IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE · L’insostenibile pesantezza del «nerd» 6 Sebi...

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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 8|2013 ottobre www.cem.coop ® Acqua Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LII - n. 8 - Ottobre 2013 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - Contiene IR .I.R.

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Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

DirettoreBrunetto [email protected]

Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected])

SegreteriaMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Monica Amadini, Daniele Barbieri, CarloBaroncelli, Davide Bazzini, Giuseppe Bias-soni, Silvio Boselli, Luciano Bosi, PatriziaCanova, Azzurra Carpo, Stefano Curci, Mar-co Dal Corso, Lino Ferracin, Antonella Fu-cecchi, Adel Jabbar, Sigrid Loos, Karim Me-

tref, Clelia Minelli, Roberto Morselli, NadiaSavoldelli, Alessio Surian, Aluisi Tosolini,Rita Vittori, Patrizia Zocchio

Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Cali-garis, Andrea D’Anna, Gianni D’Elia, Marian-tonietta Di Capita, Alessandra Ferrario, Fran-cesca Gobbo, Cristina Ghiretti, Piera Gioda,Stefano Goetz, Grazia Grillo, Mimma Iannò,Renzo La Porta, Lorenzo Luatti, FrancescoMaura, Maria Maura, Oikia Studio&Art, Ro-berto Papetti, Luciana Pederzoli, Rita Ro-berto, Carla Sartori, Eugenio Scardaccione,Oriella Stamerra, Nadia Trabucchi, FrancoValenti

Direttore responsabileMarcello Storgato

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]. n. 11815255

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Quote di abbonamento10 num. (gennaio-dicembre) € 30,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 80,00Prezzo di un numero separato € 4,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazione Disegno di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

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www.cem.coop

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Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missio-naria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 -25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127in data 19/02/1993.

La testata fruisce dei contributi statali diretti dicui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

editorialeMo Yan, la Cina è più vicina? 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditorialeLibertà religiosa, base della 3convivenza civile Giovanni Sarubbi

rebusNecroeconomia 4Gianni Caligaris

Sommarion. 8 / ottobre 2013

L’invidia. 23Guardare l’altro «di traverso» terza puntata

a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni

ascuolaeoltre

bambine e bambini

L’insostenibile pesantezza del «nerd» 6Sebi Trovato

ragazze e ragazzi

Connessioni 8Sara Ferrari

generazione y

La responsabilità comune. 10Tre parole chiave Antonella Fucecchi

in cerca di futuro

Sui passi di Francesco 12Aluisi Tosolini

mumble mumble

Fi-lo-so-fare? 13Chiara Colombo, Fiorenzo Ferrari

educazione degli adulti

Sei cappelli per pensare e cambiare 14lo sguardoRita Roberto

saggezza folle

E l’amicizia? 16Marco Valli - Osel Dorje

agenda interculturale

Educazioni interculturali in Messico 33Alessio Surian

seconde generazioni

«Ni chi le ma?». Ecco come 34ci si saluta(va) in CinaLubna Ammoune

domani è accaduto

Pohl, la pubblicità e il 2 per cento 35a cura di Dibbì

spazio CEM

Il 52° Convegno CEM 36Federico Tagliaferri

Il CEM che non c’è 37Francesca Avitabile

spazio CEM-SUD

Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia 38Gabriella Falcicchio

crea-azione

Clown interculturale 39Nadia Savoldelli

mediamondo 40

Beni comuni

Le buone pratiche 41Simona Polzot

nuovi suoni organizzati

Meridian Brothers 42Luciano Bosi

saltafrontiera

Quando la realtà supera la fantasia 43Lorenzo Luatti

cinema

Diritto alla morte contro dovere alla vita? 44Lino Ferracin

i paradossi 46Lettera a papa FrancescoArnaldo De Vidi

la pagina dei girovaghi 48Massimo Bonfatti

Acqua. Bene comune 18dell’umanità?A cura di Patrizia Canova

Raggiunti gli obiettivi 19del millennio nel setoreidrico: che significa?Mario Milanesi

Valore, prezzo, costo 22Gianni Caligaris

Acqua naturale 27vs oro blu imbottigliatoPatrizia Canova

La presenza dell’acqua 29nelle religioniMarco Dal Corso

Acqua fritta e futuri a secco 30Erremme Dibbì

Cose

Le cose e la letteratura 31Elisabetta Sibilio

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brunetto salvarani | direttore [email protected]

Mo Yan, la Cina è più vicina?

editoriale brunetto salvarani | direttore [email protected]

@BSalvarani

mente, non è così: ma l’assegnazione del premio nel2000 al poeta Gao Xingjian, emigrato dalla madrepatrianel 1987 e poi divenuto cittadino francese, era stato vis-suto a quelle latitudini più come un affronto che comeun successo. A differenza di Gao Xingjian, Mo Yan vivein Cina, e più volte è stato accusato di essersi piegato aivoleri del governo: è vicepresidente di una discussa as-sociazione di scrittori sostenuta da Pechino, nel 2009 siè rifiutato di partecipare alla fiera del libro di Francoforteper la presenza di autori dissidenti in esilio e ha parte-cipato alle commemorazioni per il discorso del 1942 diMao Zedong, quello che ha plasmato la letteratura deiprimi anni del partito comunista. Il giorno dopo la notiziadel Nobel, del resto, ha stupito un po’ tutti, soprattuttochi l’ha ridotto a puro e semplice cantore del partito,quando, durante la prima conferenza stampa, ha auspi-cato la liberazione di Liu Xiaobo, Nobel per la pace 2010,in carcere e cancellato da ogni discorso pubblico.Il microcosmo messo in scena nell’opera di Mo Yan èaffollato d’infanti mostruosi, streghe e giullari, bestie par-lanti e fanciulle splendide e selvagge, in uno zibaldonesospeso fra il realista e il grottesco. Fino a ricostruireuna Cina nazione e continente a un tempo, come un mo-saico multicolore di storie attinte al folklore popolare. Èquesta forse la ragione per cui, al di là di ogni conside-razione sulla funzione compensatoria o geopolitica dellasua vittoria, lo scorso Nobel è stato tutt’altro che usurpato.Avendo fra l’altro il merito di ricordarci non solo che laforma romanzo non è ancora esaurita, nonostante le ri-correnti campane a morto sulla sua fine; ma anche chela globalizzazione sta marciando a tutti i livelli, non ultimoquello culturale, con tutte le contraddizioni del caso.

E che con la Cina delle lettere,delle arti, del cinema, sarànecessario imparare a fare i conti: per renderle giustizia,da una parte, sul pianosquisitamente estetico; per aprirci la mente, dall’altra. E non si tratta di una prospettiva da poco.

editoriale

Ottobre, per me, è da molti anni il mese del Nobelper la letteratura, in genere assegnato il secondoo il terzo giovedì. Un’occasione per guardare il

mondo da un osservatorio diverso dal solito, e per farsivenire la voglia di leggere autori spesso poco noti dallenostre parti. In attesa del Nobel 2013, mente scrivo è an-cora settembre, ne approfitto per tornare sul vincitoredell’anno scorso: perché il cinese Mo Yan se lo merita, eperché avere qualche punto di riferimento in più sul con-tinente giallo può essere utile; anzi, indispensabile...Il suo romanzo più celebrato, Sorgo rosso (Einaudi 1994),è un autentico romanzo-mondo, che narra la storia epica,drammatica e insieme grandiosa dei decenni crucialidella Cina novecentesca, che si staglia sullo sfondo deglisconfinati campi di sorgo «che in autunno scintillano co-me un mare di sangue». Dal banditismo degli anni Ventialla cruenta invasione giapponese degli anni Trenta eQuaranta, fino alla stagione precedente la RivoluzioneCulturale, Sorgo rosso ripercorre le avventure e gli amoridel bandito Yu Zhan’ao - che nella finzione è il nonno delnarratore - e della sua famiglia, in un affresco che puntaa ritrarre un intero popolo e tutto un paese. Un paese gi-gantesco dalle campagne brulicanti di anime sperdute- contadini, soldati, monaci buddhisti, maghi taoisti - incui «un vento maschio spazza una terra femmina» e ilsangue versato è «morbido e liscio come piume d’uc-celli». Ecco gli scenari in cui si muove la saga di MoYan, che l’altro scrittore cinese Acheng ha definito il gran-de armadio della nostra infanzia, in cui troviamo tuttele parole e i giochi e le cose spaventose della vita. Cheè stata paragonata a Cent’anni di solitudine di GarcìaMarquez, e avvicinata al realismo magico del grandecolombiano. Uscito in patria nel 1987, il regista ZhangYimou ne ha tratto l’acclamato film omonimo, Orso d’oroal Festival di Berlino (1988). Particolarmente entusiasti, all’epoca, quotidiani e sitiweb di Pechino, che hanno orgogliosamente definito ilriconoscimento dell’Accademia di Svezia come una datastorica, fino a parlare al riguardo del primo Nobel perla letteratura a uno scrittore cinese. In realtà, tecnica-

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I l numero di ottobre 2013 è il primo di una serie che si propone di seguire l’iter delineato dal tema in discussione per

l’annata 2013-2014, «Quello che le cose ci dicono. Educare ai beni comuni» (v. «CEM Mondialità», numero di giugno-

luglio 2013). Il dossier, a cura di Patrizia Canova, è infatti intitolato «Acqua. Bene comune dell’umanità?».

«L’abitudine ad aprire il rubinetto e veder scendere l’acqua - scrive la curatrice - fa dimenticare a molti che l’acqua è un

bene di tutti, da custodire e tutelare perché è una risorsa limitata, perché le riserve si stanno esaurendo. Fare i conti con la

scarsità significa oggi combattere le cause che nel corso dell’ultimo secolo hanno determinato una crescita del consumo

dell’acqua molto più elevata rispetto alla crescita

della popolazione. Significa acquisire consapevo-

lezza che accanto alle “cause naturali che provo-

cano diminuzione della disponibilità di buona ac-

qua, se ne aggiunge una devastante e ingover-

nabile” (Vandana Shiva): l’azione dell’uomo. Signi-

fica attivarsi per promuovere una cultura condivisa

della conservazione e del consumo responsabile,

dove tutti facciano la propria parte come individui

e come cittadini del mondo».

Il dossier presenta contributi di vari autori, che af-

frontano il tema sotto il profilo del consumo e dello

spreco dell’acqua e della sua distribuzione, del-

l’economia e della storia, della fantascienza e della

religione.

In chiusura del dossier, sempre sull’argomento «be-

ni comuni», prende avvio la nuova rubrica «Cose»:

la prima puntata, a firma di Elisabetta Sibilio, ci parla di «Le cose e la letteratura». L’inserto centrale del «dossier», che continua

la serie «I vizi collettivi, tra etica pubblica e nichilismo», curata da Antonio Nanni e Antonella Fucecchi, è dedicato a «L’invidia.

Guardare l’altro “di traverso”».

Segnaliamo altresì, nella prima parte della rivista, nella rubrica «Educazione degli adulti», l’articolo di Rita Roberto che

presenta l’originale pratica psicologica e relazionale «Sei cappelli per pensare e cambiare lo sguardo», e, nella terza parte,

per la rubrica «Agenda interculturale», l’articolo di Alessio Surian dedicato alle «Educazioni interculturali in Messico», che

offre numerosi spunti di riflessione anche per chi non opera nelle Americhe: da un approccio critico all’educazione intercul-

turale, alle prospettive delle popolazioni indigene, alla definizione di tre modelli di educazione interculturale.

Cari lettori, consultate il sito www.cem.coop, vi troveretearticoli e documenti non disponibili sulla rivista!

2 | cem mondialità | ottobre 2013

Questo numero

a cura di Federico [email protected]

Marta FontanaLe illustrazioni di questo numero sono state realizzate da MartaFontana, che ringraziamo di cuore. Ecco un suo breve profilo:

«Da sempre appassionata di disegno, ho portato avanti questapassione durante il mio percorso di studi, prima con la scelta delliceo artistico, in seguito frequentando il corso di Illustrazione pressola Scuola Superiore di Arti Applicate del Castello Sforzesco, e il corsodi laurea di primo livello in grafica presso l’Accademia di Brera.L’illustrazione è ciò che mi appassiona maggiormente (sia per quantoriguarda le tecniche tradizionali sia quelle digitali), ma mi interesso ditutto ciò che riguarda la comunicazione attraverso le immagini(dalla grafica, al fumetto, all’animazione)».

Per [email protected]

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giovanni sarubbidirettore del sito

www.ildialogo.org

Il prossimo 27 ottobre sicelebrerà la dodicesimaedizione della Giornataecumenica del dialogocristiano-islamico,un’esperienza che va avantidal 4 novembre del 2001.

Q uesto tema è nato riflettendo essenzialmentesulla «guerra infinita», iniziata l’11 settembredel 2001 e tuttora in corso, e sulla libertà reli-

giosa e su una legge che la tuteli secondo lo spirito dellanostra Costituzione. La guerra, con la questione connessadell’immonda produzione degli armamenti, è sicuramenteun’emergenza drammatica del nostro tempo, come leultime vicende siriane dimostrano. Le religioni, purtroppo,forniscono ancora oggi motivazioni culturali-religiose adun evento, quello della guerra, che ha invece precisemotivazioni di carattere politico-economico. Ed è statoproprio lo scoppio della «guerra infinita» che ci portò alanciare l’iniziativa della Giornata del dialogo cristiano-islamico. Con questa iniziativa, abbiamo tentato d’impe-dire che la guerra facesse fallire qualsiasi possibilità didialogo fra cristiani e musulmani. Per i promotori della Giornata del dialogo cristiano-isla-mico, quindi, è indubbio che la pace sia un bene preziosoda salvaguardare a tutti i costi, ed è per questo che ab-biamo aderito alla giornata di preghiera e digiuno per lapace indetta da Papa Francesco. La pace è parte inte-grante della nostra impostazione di fondo.Ma urgente e drammatico è anche il tema della libertàreligiosa su cui poco si riflette e che, nonostante quantoprevisto dalla nostra Costituzione (artt. 3,8,19, 20), è an-cora largamente inattuata ed è anzi oggetto di scontro innumerose regioni del nostro paese, soprattutto al nord,e non solo nei confronti dei musulmani che si vedono si-stematicamente negare il permesso di erigere propriluoghi di culto. Manca, ancora, una legge attuativa dellenorme costituzionali che superi la normativa dei «Cultiammessi», che sono una triste eredità del fascismo. Lastessa questione delle intese, in attuazione dell’art. 8

l’altroeditoriale

Libertà religiosa base della convivenza civile

della Costituzione, ha avuto ed ha tuttora notevoli ritardi,per l’ostruzionismo di alcune forze politiche, negli iter diapprovazione definitiva delle intese già firmate con nu-merose organizzazioni religiose. Fra l’altro l’intesa conl’islam, che oggi rappresenta la seconda confessionedel nostro paese, non è ancora neppure in cantiere. Da un lato abbiamo una Costituzione che sancisce ine-quivocabilmente la libertà religiosa, dall’altro abbiamocomportamenti e normative preesistenti alla Costituzioneche ne frenano l’attuazione. Lo stesso dicasi sul pianostrettamente religioso, dove non mancano documenti im-portanti e spesso pieni di spirito profetico sul tema deldialogo interreligioso, che però non trovano riscontronella prassi quotidiana delle comunità cristiane. Basti ci-tare la Nostra Aetate, del Concilio Ecumenico VaticanoII, o la più recente Carta Ecumenica, che contengonoentrambe significativi passaggi sui rapporti con l’islam.La Carta Ecumenica, generalmente poco conosciutadalla grande massa dei cristiani italiani, raccomanda «diriflettere insieme sul tema della fede nel Dio unico e dichiarire la comprensione dei diritti umani», chiedendoalle chiese di impegnarsi «ad incontrare i musulmanicon un atteggiamento di stima» e «ad operare insiemead essi su temi di comune interesse». Bisogna cioè favo-rire l’incontro e la convivenza civile. Lo diciamo e tentiamodi realizzarlo da 12 anni. Ed è per questo che invitiamotutte le comunità cristiane e musulmane ad organizzareincontri di dialogo il prossimo 27 ottobre sul tema: «Libertàreligiosa, base della convivenza civile. Un unico Dio, unasola umanità, diritti umani per tutti e tutte». nnn

ottobre 2013 | cem mondialità | 3

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di Ginevra ammette il «diritto di rappresaglia»,limitandosi ad alcune prescrizioni, fra le qualila quantificazione preventiva del rapporto frale proprie vittime e la quantità degli ostaggisu cui rivalersi e la presenza di un ordine diun ufficiale superiore in comando. È istruttivoriflettere che nel caso dell’eccidio delle FosseArdeatine, Kappler non fu condannato per avermassacrato trecentotrentacinque persone, maper averne uccise cinque (o secondo un’altra

Necroeconomia

Zampettando in rete, mi sono imbattutoin un neologismo che mi ha morbosa-mente e negativamente affascinato: ne-

croeconomia. Quando il grande filosofo Miguelde Unamuno, all’Università di Salamanca, sentìil generale Astray (fondatore del Tercio, la le-gione straniera spagnola) gridare Viva la muer-te!, iniziò l’arringa dicendo «Ho udito in questasala un grido necrofilo e insensato». Non co-nosco termini col prefisso necro- che abbianoconnotazioni positive. Il più innocuo è forsenecropoli, cha fa un po’ gothic e che poi in de-finitiva è un cimitero, archeologicamente af-fascinante ma comunque non allegro.Il termine è stato coniato da Eyal Weizman,architetto, filosofo e scrittore israeliano, nelsuo ultimo libro Il minore dei mali possibili (Ed.Nottetempo, Roma, 2013), che mi sono affret-tato ad acquistare. Weizman intende definire quella che chiamaun’«economia non finanziaria», che illustracon un esempio. «Ventinove civili, gli ha spie-gato un giorno il controverso analista militarestatunitense Marc Garlasco, rappresentavanodurante la guerra in Iraq la soglia di vittimeincolpevoli ammesse nel corso di un omicidiomirato, senza la previa autorizzazione del pre-sidente George W. Bush. Quando l’intelligencestatunitense individuava il nascondiglio di unnemico importante in un edificio residenziale,gli algoritmi di un apposito software calcola-vano in base ai fattori ambientali, ai materialidi costruzione del palazzo, alla densità di abi-tanti, al tipo e alla quantità di esplosivo dautilizzare, il numero di persone che sarebberostate purtroppo uccise con lui: da trenta insu, occorreva come minimo il benestare delsegretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, inpersona. Perché, per i legali militari ameri-cani, si varcava in tal caso il confine tra “sa-crificio necessario” e “uccisione illegale”».Del resto, non c’è da stupirsi. La convenzione

QUANDO L’INTELLIGENCESTATUNITENSE INDIVIDUAVA ILNASCONDIGLIO DI UN NEMICO

IMPORTANTE IN UN EDIFICIORESIDENZIALE, GLI ALGORITMI DI UN

APPOSITO SOFTWARE CALCOLAVANO INBASE AI FATTORI AMBIENTALI, AIMATERIALI DI COSTRUZIONE DEL

PALAZZO, ALLA DENSITÀ DI ABITANTI,AL TIPO E ALLA QUANTITÀ DI ESPLOSIVO

DA UTILIZZARE, IL NUMERO DIPERSONE CHE SAREBBERO STATEPURTROPPO UCCISE CON LUI: DATRENTA IN SU, OCCORREVA COME

MINIMO IL BENESTARE DELSEGRETARIO ALLA DIFESA, DONALD

RUMSFELD, IN PERSONA

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mai non 31 o 14, o 10. Ma è una domanda sba-gliata. Io non voglio nemmeno discuterne, per-ché la gente che fa questi calcoli è gente chevuole essere libera di uccidere», scrive Weiz-man.Ciò accade, sostiene l’autore, poiché il pensieroe l’azione non sono più tesi alla ricerca del«miglior mondo possibile» secondo le impo-

gianni [email protected]

LA VIOLENZA DI STATO,UNA VIOLENZA FREDDA, FA

PARTE DI UNA FORMA DIECONOMIA NON

FINANZIARIA. QUANDONON PUOI ESPANDERE LA

QUESTIONE, DEVIROMPERE

QUELL’ECONOMIA

ottobre 2013 | cem mondialità | 5

versione, quindici) in più di quanto gli era statoordinato e consentito. Kesserling gli ordinò difucilare dieci persone per ogni soldato tedescomorto nell’attentato di Via Rasella. I caduti te-deschi erano stati trentadue, quindi arrivò l’or-dine di giustiziare trecentoventi ostaggi. Nellanotte morì per le ferite un altro tedesco, eKappler decise di aggiungere altri dieci pri-gionieri alla lista dei condannati, ma nella con-citazione di quelle ore i suoi sottoposti feceroconfusione ed i trucidati divennero trecento-trentacinque. Kappler fu condannato per queipochi sventurati in più, non per l’orrore com-plessivo della mattanza perpetrata.Entrambe le fattispecie rientrano nella cate-goria delle scelte compiute alla ricerca del«male minore», volta ad impedire o a scorag-giare attentati o atti terroristici.«Quando qualcuno ti dice di scegliere tra dueopzioni, questa persona sta controllando letue decisioni, sta orientando la tua volontà.C’è sempre una terza via. Non accetto la logicadegli omicidi mirati e dell’ineluttabilità dellevittime collaterali. La violenza di Stato, unaviolenza fredda, fa parte di una forma di eco-nomia non finanziaria. Quando non puoi espan-dere la questione, devi rompere quell’econo-mia. Perché il numero magico durante gli at-tacchi in Iran è stato il 30? Per i civili, questonumero indicava una soglia potenziale tra lavita e la morte. Ci si potrebbe chiedere come

stazioni liberali di Voltaire o Bentham, ma aquella, appunto, «del minore dei mali possi-bili». Secondo l’autore andrebbe rivista l’in-terpretazione moderna del pensiero di San-t’Agostino, ma non è nelle mie competenze edevito di avventurarmici.Weizman è certamente alquanto radicale, mai suoi stimoli ed i suoi case studies (ad esempioquello sui comportamenti di Israele nella stri-scia di Gaza) meritano una riflessione, poichénon tralasciano di vivisezionare anche alcunecosiddette «operazioni umanitarie».Ancora una volta la giustizia, meglio, la legalità(perché la giustizia è un’altra cosa) è una que-stione di numeri. I numeri ci dicono e prediconotutto. Se si progetta una grande opera (ponti,autostrade, ferrovie, trafori) esistono tabelleche stimano quanti morti sul lavoro insangui-neranno quei manufatti; costi noti e accettati,come i «danni collaterali» di un blitz bellico inguerre mai dichiarate. Una ricerca delle Na-zioni Unite ha stabilito che è il Pakistan, congli attacchi dei droni americani, il paese in cuici sono state più vittime senza che sia statadichiarata alcuna guerra.Tutto questo, ed altro, è «necroeconomia»,economia di morte. .

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Nerd è un termine anglosassone con cui viene definito chi ha predisposizione per attivitàparticolari, quali giochi di ruolo, film fantasy e innovazioni tecnologiche, ed è al contempo solitarioe con una ridotta propensione a socializzare.

L’insostenibile pesantezzadel «nerd»

bambine e bambinisebi [email protected]

ascuolaeoltre

Galeotto l’incidentecapitato alla Rosetta(la mia loquacissima

madre), la maestra (io) non èstata, come è consuetudineestiva, isolata, lei ed i suoi li-bri, lei ed i suoi giornaletti,ma nessuna persona vitale in-torno, marito silentissimo aparte. Per frequentare in unospazio ristretto la Rosetta allday long sai bene che l’aiutoprincipale per tenerla se nonmuta, almeno quieta, l’avraidalla tv (caro Popper, altroche cattiva maestra! È statal’unica valida, reale alleata,che ha distolto la figlia dalsuicidio e la genitrice dall’im-perativo morale di parlare pertenerle compagnia). Quindi ècolpa della Rosetta anche l’in-sana passione per The BigBang Theory, fiction in replicaestiva che di nerd tratta alpunto che presenta titoli diepisodi talmente incompren-sibili ai comuni mortali da avercatturato la mia attenzione inun periodo difficile: uno pertutti L’aggregazione dei fer-macapelli, un miscuglio di ter-mini derivati dalla fisica e daoggetti del mondo reale.

Nella mia vitadi maestra

mi è capitatodi crescere,

senza esserneconsapevole,alcuni nerd:

bambiniaffascinati da

attività nonpopolari tra

i coetanei, di natura

informatica

nerd, ma, durante solitarieelucubrazioni, ho finito perrendermi conto che ne ho co-nosciuti e cresciuti parecchi.Il mio primo fidanzato era unnerd, ma i tempi erano acerbiper simile terminologia, ep-pure la sospettosissima Ro-setta, che aveva subodoratoquanto il tipo fosse stramboe quindi, a suo parere, peri-coloso, lo chiamava «quel di-sgraziato» e non ha mai cam-biato idea, anche perché luinerd è rimasto: ingegnere fi-no al midollo, sapeva smon-tare una moto ad occhi ben-dati (ed anche rimontarla),nutriva un’insana passioneper i fumetti di Alan Ford,usava computer grandi comefrigoriferi programmandoli inFortran (era il 1979) e i mieiamici fuggivano quando ini-ziava a spiegare come si tagliaun pomodoro per l’insalata,perché il monologo, infarcitodi termini scientifici e di qual-che sentenza latina, facevapassare la voglia di condivi-dere il pasto (ed il posto) consiffatto commensale. A tutti,ma non a me: io ero affasci-nata dal mio primo nerd, ter-mine che appartiene al terzomillennio, anche se le ipotesisulle sue origini non sono re-centi: il nome di uno deglianimali immaginari di un li-bro del 1950, o un famosopupazzo da ventriloqui, ol’acronimo di Northern Elec-tric Research and Develop-

Per una definizione di «nerd»

Nerd è un termine anglosas-sone con cui viene definitochi ha predisposizione per at-tività particolari, quali giochidi ruolo, film fantasy e inno-vazioni tecnologiche, ed è alcontempo solitario e con unaridotta propensione a socia-lizzare. Escludo di essere una

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agosto-settembre 2013 | cem mondialità | 7

bambine e bambini

pratico pari a zero. I nerdavrei dovuto riconoscerli giàil primo giorno della prima,ora lo so: un mio ex piccolino,ora trentenne, il primo gior-no, per non sentire troppo lamancanza della mamma, salìsu una seggiola e spiegò aicompagni la strada per tor-nare a casa nei minimi detta-gli e, abitando fuori Comune,ebbe un bel da fare, ma si ri-cordò ogni punto di riferi-mento. Lo stesso, poco tem-po dopo, portò a scuola unlibro di anatomia che tentòdi mostrare ai compagni perspiegare, con termini tecniciprecisissimi, in che modo na-scono i bambini. Se fosse sta-to un alunno del Terzo mil-lennio, avrei saputo ricono-scerlo come nerd: il prendereparte a dibattiti o discussionisu argomenti tecnico-scienti-fici è una delle rare situazioniin cui si lasciano volentiericoinvolgere, ma al tempo nonpotevo saperlo: i nerd espri-mono usualmente un interes-se superiore alla norma perargomenti complessi e spessoeccellono in più materie. Oggiquel mio ex bambino è un fi-sico ed ha lasciato l’Italia conla fuga di cervelli. Il problemadel nerd, purtroppo, è che, disolito, è un animo gentile epacifico, che rischia di esseremesso all’angolo dai coetanei,anche se gli sono inferiori daun punto di vista intellettuale.I non-nerd pensano ai nerdcome persone intelligenti masocialmente goffe, con la«pessima reputazione» di im-pegnarsi eccessivamente neglistudi cui sono interessati. Chetu li riconosca o no, devi pro-teggerli, creare per loro unarete socializzante, altrimentisi isolano. nnn

Ragazze «nerd»Abitualmente il termine è ancora associato auomini e ragazzi, ma sono certa che nerd edanche geek debbano essere adottati per moltedonne con interessi nella tecnologia, nelle scienzee nella matematica: un nerd, le maestre lo sanno,merita dieci dal primo giorno della ScuolaPrimaria, esce con 10 dalla Scuola Secondaria, con100 alla maturità, ti ha dato un sacco di filo datorcere, ha messo in discussione ogni cosa che gliè stata insegnata, non sempre ti è statosimpatico, perché la sua pesantezza a volte ticonfonde e, soprattutto, non è solo maschio: una mia ex piccola nerd decise di diventarevegana a 8 anni, così costrinse l’intera famiglia adindossare solo scarpe di gomma e a mangiaretofu e semi. A dieci manifestava contro la Nestlè,indossava solo abiti in fibra vegetale e facevapiangere la mamma tutti i giorni, facendolasentire stupida. Non è facile vivere con un nerd,perché non sa di esserlo e crede sempre che tuttisiano migliori e più intelligenti. Si butta giù,oppure ti attacca. Si perde in un bicchier d’acquanelle onde della quotidianità e ti tocca andare arecuperare al canile il cane che ha dimenticato perore legato davanti al supermercato, pur essendoandata ad acquistare cibo per cani. Vi assicuro, ioqueste cose le conosco bene, perché, a dispettodella nonna Rosetta che non se n’è mai accorta: ioed il mio consorte siamo coscienti che nostrafiglia non sa di essere una nerd.

ment, azienda in cui gli im-piegati avevano dei pocketprotector con N.E.R.D. stam-pato sopra. Ultima possibilità:deriverebbe dal termine drunk(ubriaco) invertito (knurd),usato per definire chi non be-ve durante i ritrovi sociali.

Una «fiction» moltoistruttiva

I quattro nerd di The Big BangTheory (intelligenti, appassio-nati di fumetti, dipendenti daivideogiochi, in simbiosi conla fantascienza, ma social-mente inetti) abitano a Pasa-dena, in California, e lavora-no insieme al California In-stitute of Technology: un fi-sico sperimentale, un fisicoteorico, un astrofisico e uningegnere aerospaziale fannoamicizia con una bella ragaz-za di provincia col sogno didiventare attrice, che va a vi-vere nell’appartamento difronte. Lo strano mondo deiquattro, nerd e geek a tuttigli effetti, si scontra con quel-lo semplice e pragmatico diPenny, e la loro vita cambia,loro malgrado.La caratterizzazione dei pro-tagonisti è molto didattica,quattro personaggi per con-notarne lo stereotipo, nelquale, tuttavia, tutti noi pos-siamo riconoscere alcuni no-stri personali tratti patologiciche paiono gravi solo quandovengono esasperati: buono egentile, ma molto timido egoffo; un altissimo QI, spessosi esprime come «quel disgra-ziato» di cui sopra, utilizzan-do costantemente terminitecnici, anche per spiegareargomenti semplici. In molticasi si ravvisa un rapporto diamore odio con la mamma.

Ho allevato dei «nerd»...ma non lo sapevo!

Nella mia vita di maestra miè capitato di crescere, senzaesserne consapevole, alcuninerd: bambini affascinati daattività non popolari tra i coe-tanei, di natura informatica,o riguardante la scienza o lamatematica, più spesso quel-lo che noti è l’iniziale esaspe-razione di un solo interesse,chessò, i volatili: guai a citarli,perché di sicuro tu non li co-nosci così bene e dire aironecinerino se invece state os-

servando un airone tigrato te-stabianca, creerà in lui un’in-dignazione che farà vacillarela tua autorevolezza di fronteall’intera classe. Generalmen-te sembrano poco interessatialle attività sportive e socia-lizzanti, in idiosincrasia colcalcio, ignari di ciò che indos-sano, non ricordano chequando fa caldo ci si togliela felpa e, al contrario, in casodi freddo ci si può vestire: «lamamma mi ha detto che al-trimenti lo perdo, meglio chenon me lo tolga». Un senso

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8 | cem mondialità | ottobre 2013

ragazze e ragazzisara [email protected]

ascuolaeoltre

Sono stata in vacanza in una località denominata «Paradiso», che per molti aspetti lo è, se non fosseper la pressoché totale assenza di connessioni digitali e telefoniche.

Connessioni

A d agosto mi ritiro conla mia matriarcale fa-miglia (mio marito va

e viene da casa perché qui amille metri di altezza c’è trop-po ossigeno e non c’è nullada fare, dice) in una localitàdenominata Paradiso, che permolti aspetti lo è, se non fos-se per la pressoché totale as-senza di connessioni digitalie telefoniche. La prima setti-mana risulta sempre la piùdifficile, tanto che io e l’altra«digitalizzata» di famiglia (ni-pote quattordicenne) viviamonella derisione degli altri com-ponenti cercando la colloca-zione idonea per ricevere al-meno gli sms. Ogni anno pe-rò qui i cellulari sembranomeno efficaci (sarà perché so-no smartphone?), così va-ghiamo per qualche mezz’oranel prato, sotto il noce o vi-cino alla cascina di Livio percercare un timido segnale checi ricongiunga al nostro mon-do. Quella che più ci prendein giro è mia figlia di 6 anniche, vedendoci per campi co-me cacciatrici di farfalle senzaretino a urlare: «C’è una tac-ca... no non c’è più...», si è

Nessun allievofinora mi hainviato un’e-

mail! Sembrache la maggior

parte abbiaoptato per il

cartaceo!Incredibile...

ascuolaeoltre

costruita un cellulare di legnocoi numeri dipinti e fa lunghee ridenti telefonate alle ami-che (anche alle mie) e al suobabbo: «Ciao Sté! Come staGughi?». Il problema, nuovo,è che mia nipote manda smscon WhatsApp, e quindi èdavvero tagliata fuori. Dopoi primi giorni di quelle chedovevano essere le nostre fe-

do scendiamo nel primo pae-se civilizzato dove ci attac-chiamo voracemente ai Wi-Fi liberi. Si perde l’immedia-tezza delle chiacchierate degliamici, se non per quell’inter-vallo di un’ora di commissionie spese (che deleghiamo amia sorella) mentre noi dueoccasionali naviganti cerchia-mo di recuperare e-mail e te-lefonate perdute. Restiamo alungo sedute al tavolino diun bar o sulla panchina delparco, dove mia figlia saltacon sforzo vigoroso da un’al-talena allo scivolo, e se la go-de, risparmiata dalla mia os-sessiva presenza e dalle inutiliraccomandazioni. Io mi limito

rie di famiglia, l’ho sentita ri-volgersi a sua madre, triste:«In che posto mi avete por-tata!?! Non potevate ristrut-turare una casa dove c’era laconnessione? Siamo fuori dalmondo!». Entrambe ci rasse-gniamo, io perché mi abituoal cambiamento e passo a let-tura, videogiochi, ozio e me-ditazione, lei perché si accon-tenta a whatsapplicarsi quan-

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ottobre 2013 | cem mondialità | 9

Interviste e spunti digitaliFiniti i sogni ad occhi aperti, una sull’amaca, l’altra suldondolo, attiviamo il bluetooth! Che invenzione! Quasime ne ero dimenticata, ma qui si riscoprono anche igraffiti sui sassi delle scale di casa nostra (mai decifrati).Inizio così un’intervista wireless, macchinosa: a forza diphotoscreen su bozze di messaggi ci rimpalliamo lenostre parole al posto di immagini. C’è davergognarsene alla mia età di escogitare cose cosìinfantili... Mi ispiro alla prova nazionale di quest’annoche ha utilizzato in parte un articolo sul successo diHarry Potter tra i giovani, sulla loro idea di scuola, orasull’idea di scuola dell’unica quattordicenne vicina.Perdonerete la sintesi del mezzo di comunicazione.

Che idea ti sei fatta della Scuola?Un luogo ideale in cui studenti, professori e dirigente sitrovano a proprio agio con tutti; persone che imparano,che insegnano, che dirigono e organizzano. Crescereinsieme.Cosa manca nella scuola media? Più intervallo, più computer, più gite, più lim... insommapiù tecnologia, ma soprattutto conforto e aiutoreciproco. Mi turba che la scuola abbia pochi fondi. Iragazzi avrebbero bisogno di più laboratori e di pratica.Il rapporto coi tuoi prof com’è stato?I miei professori mi apprezzano anche per come sonoio. Amo aiutare gli altri. Ottenere la fiducia di un prof ècome fare tre punti in una partita di calcio, non è così? Cosa pensi degli insegnanti?Alcuni fantastici, veri e propri punti di riferimento, mihanno aiutato a crescere, a maturare ed a arricchirmi. Iprof non devono essere compagni di banco o di giocoma persone serie e in grado di fare il proprio mestiere,certi si credono i paladini della situazione e siconsiderano amici, o più di amici, di alunni o alunne; avolte è bello che un prof faccia divertire i suoi studenti,ma a tutto c’è un limite!I difetti della scuola?Mancanza, o insufficienza, di strumenti tecnologici. Il miosogno sarebbe che ogni alunno sul suo banco avesse untablet con internet: la connessione libera per tutti!Cosa hai imparato?Tanto, oltre alle varie materie scolastiche ho imparatovalori da alunni e prof: la forza, l’unione, lacollaborazione, il coraggio. Spero che ciò che ho scrittoti aiuti e ti apra gli occhi su una strada migliore.

E ora rientro a cambiare segno, a rielaborare tutto sulportatile vecchio, sopravvissuto a un fulmine, poicercherò un posto da cui inviare questo pezzo... intantoapro gli occhi e segno tra gli appunti delle note daapprofondire per domani: la connessione libera per tuttie internet delle cose. (s.f.)

ragazzi e ragazze

a controllare alcuni siti o sequalche allievo ha già svoltouno dei compiti che ho asse-gnato.

Isolamento da boyscout

«Inviami un’e-mail o una let-tera tradizionale nella qualeparli di ecc.» Cinque anni fanon avevo offerto l’opzionee-mail perché nessuno la uti-lizzava, così arrivarono sgan-gherate lettere con indirizziscritti in posti improbabili.Nessun allievo finora mi hainviato un’e-mail! Sembrache la maggior parte abbiaoptato per il cartaceo! Incre-dibile! Domanderò alla miaclasse-quasi-2.0 perché hapreferito l’inchiostro, forse l’hanno percepito come uncompito che, su carta, sareb-be stato valutato con più en-tusiasmo da parte mia, o for-se, ma ne dubito, sono ancheloro segregati in qualchesperduto posto come me (orache scrivo sono ancora mol-lemente in vacanza). Li im-magino isolati come quei gio-vani boyscout che hanno sog-giornato qui due settimane eche, nonostante il loro campobase fosse collocato in unadelle poche zone connesse alresto del pianeta, hanno do-vuto lasciare in buste sigillatei loro cellulari e partire all’av-ventura. Siccome io e mia ni-pote abbiamo pochi svaghiqui, loro diventano nostre vit-time: non solo fingiamo diessere al telefono quandopassano di qui, ma, quandoarrivano a chiederci informa-zioni armati di bussola emappe – a noi incomprensi-bili – sospiriamo: «È moltolontano...» e con orgoglio il

loro portavoce ribatte: «Ab-biamo a disposizione tempoe gambe buone» così diamoindicazioni, che non sarannoin grado di seguire perchéprivi dei riferimenti che ab-biamo noi (che i posti li co-nosciamo dal vivo e non sullacarta), così li immaginavamoaccasciati sul primo prato sot-to al sole o impigliati nel filospinato di qualche recinzione.Invece no, loro riescono sem-pre, si vede che i corsi diorienteering sono efficaci, oi ragazzi nascondono nel faz-zoletto gps camou. Sentiti glistrepiti di gioia e i canti pro-venire di notte dal loro cam-po, si direbbe che i cellularinon manchino loro un gran-ché e che, dopotutto, un iso-lamento non faccia così ma-le... allora, un po’ umiliate,immaginiamo che nasconda-no i propri strumenti digitalinelle borracce, privandosi diacqua, per concedersi qual-che contatto coi propri simili,nascosti dietro a un cespu-glio, oppure che, rassegnati,incidano dolorosi primitivimessaggi sulle cortecce deglialberi. nnn

«In che postomi avete

portata!?! Nonpotevate

ristrutturareuna casa

dove c’era laconnessione?

Siamo fuoridal mondo!»

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Su questi tre temi è opportu-no soffermarci per impostareuna riflessione che permettadi uscire dall’indeterminato edal generico impostando del-le strategie utili sul piano edu-cativo. Partiremo dall’ultima,la responsabilità, sviluppandole altre nei numeri successividella rivista.

Responsabilità come cura

Non è nostro interesse avviareuna riconsiderazione filosofi-ca del termine ripartendo daHannah Arendt e da Hans Jo-nas, che hanno teorizzatoquesto concetto in testi ormaiclassici, ma scegliere una pro-spettiva, una declinazionedella responsabilità calata nel-la realtà dei nostri tempi li-quidi e postmoderni. In que-sto ci soccorre la sensibilitàdi Elena Pulcini2 che intendeil principio responsabilità co-me cura, terapia, capacità diavere sollecitudine e premuraper qualcuno o per qualcosa:nel caso dei beni comuni è ilmondo stesso ad avere biso-gno di tale atteggiamento dicompartecipazione empatica. Prendersi cura significa averea cuore, farsi carico, cioè,molto concretamente, opera-re nell’interesse di qualcunoche è diverso dal soggetto,ma al quale siamo accomu-nati. Il comune infatti racchiu-

mettono ad un gruppo di in-dividui di costituire una co-munità umana capace di as-sicurare una vita degna a tutti,tenendo conto delle genera-zioni future e della sostenibi-lità globale del pianeta».La definizione ha il pregio dicontenere al suo interno ul-teriori classificazioni e decli-nazioni e di presentare parolechiave utili per affrontare iltema sul piano educativo:

generazione yantonella [email protected]

ascuolaeoltre

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Perché un gruppo di individui si tramuti in comunità occorre il senso della responsabilità,dell’interdipendenza, occorre la coscienza del limite e della fragilità.

C hiarire in cosa consi-stano i beni comunie come possano es-

sere identificati è un argo-mento arduo da trattare, per-ché già su questo dato fon-damentale non esiste una vi-sione davvero concorde edunanime.Per un quadro esauriente delledefinizioni è interessante con-sultare La società dei beni co-muni1; il testo propone unarassegna di interventi di stu-diosi di aree disciplinari diffe-renti che, operando distinzio-ni a partire dal proprio speci-fico, contribuiscono al dibat-tito. Bruno Amoroso nel pri-mo paragrafo intitolato Versouna definizione condivisa dibene comune (inteso comesingolare di beni comuni) of-fre un panorama articolato dipossibili interpretazioni, in pri-mo luogo quella di Unimondo(citata nell’intervento prece-dente v. «CEM Mondialità»n.6/2013) scelta per la suaampiezza riepilogativa cheidentifica come beni comuni«l’insieme dei principi e delleistituzioni, delle risorse, deimezzi e delle pratiche che per-

La responsabilità comuneTre parole chiave

Chiarire in cosa

consistano i beni comuni

è unargomento

arduo da trattare

COMUNITÀ (contrappo-sta al gruppo di individuiisolati e separati) che è di-versa da società e presup-pone uno spirito di soli-darietà e cooperazione,ma anche di fraternità;

DIGNITÀ della qualità del-la vita aperta a tutti (pariopportunità ed eguaglian-za nell’accesso al bene enella sua fruizione);

RESPONSABILITÀ neiconfronti delle generazio-ni future, e del pianeta Ter-ra (sostenibilità globale).

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ottobre 2013 | cem mondialità | 11

generazione y

de e supera il concetto di pub-blico e collettivo, perché vi ag-giunge la consapevolezza di-namica dell’appartenenza enon solo della proprietà, il ter-mine comune non evoca soloquestioni giuridiche connessecon accesso, diritti, usi e frui-zioni, ma è un aggettivo «cal-do» perché, come sostieneLuigino Bruni, può ospitare alsuo interno il paradigma dellafraternità. Perché un gruppodi individui si tramuti in co-munità occorre il senso dellaresponsabilità, dell’interdipen-denza, occorre la coscienzadel limite e della fragilità. Cosìcome l’individuo, se solo, èvulnerabile e fragile, allo stes-so modo i beni che sono dati,si danno, sono offerti, appa-iono indifesi e inermi, sonoesposti alla nostra cura o allanostra avidità. Soltanto l’em-

patia e la compassione per-mettono di rallentare i pro-cessi di entropia costituitividel sistema mondo che èstrutturato originariamenteperché l’energia di cui dispo-ne sia limitata e destinata adesaurirsi. La cura dei beni co-muni, la dimensione stessadel comune è familiare al pen-siero filosofico femminile delNovecento: per tutti valga laaffermazione straordinaria diEtty Hillesum che, ormai in-ternata e prossima alla fine,dichiara nel suo epistolario divoler essere il «cuore pensantedella baracca». Coniugare spi-rito e razionalità è un’opera-zione che al femminile riescebene perché la dicotomia do-lorosa è stata elaborata dalpensiero filosofico maschile:in realtà il concetto della re-sponsabilità mobilita tutte le

nostre risorse impegnate nelcompito di re-spondere e diassumersi l’onere e ha il poteredi trasformare la paura diqualcosa o qualcuno in pauraper, in preoccupazione per lasalvaguardia, l’incolumità e ilbene dell’altro e per un’ocu-lata e solidale gestione dei be-ni e delle risorse disponibili,ma limitate. Allora in questosenso i beni comuni secondoGiuseppina Giuffrida sono «la-boratori viventi, crogioli alche-mici animati dai cittadini resi-lienti che agiscono sul territo-rio, formano legami, produ-cono innovazioni»3. nnn

1 Aa.Vv. La società dei beni comuni, acura di Paolo Cacciari, Ediesse, Roma2010, pp. 20 e ss.2 E. Pulcini, La cura del mondo, BollatiBoringhieri, Torino 2009.3 P. Cacciari, Viaggio nell’Italia dei benicomuni. Rassegna di gestioni condivise,Marotta &Cafiero, Napoli 2012.

Educare alla responsabilità e alle virtùNel caso dei beni comuni la responsabilità si tramuta indisponibilità a mettere in atto pratiche di cittadinanzaattiva ben sapendo che tali scelte non sono soltanto buoneed opzionali, ma necessarie per la sopravvivenza e lasussistenza collettive. Responsabilità significa, allora, essereconsapevoli che i beni comuni, materiali e non, sono fragili,essenziali, insostituibili, esauribili e non rinnovabili, nonsono monetizzabili, hanno un valore e non un prezzo e nonpossono essere monopolizzati. Formare un cittadinocapace di assumersi responsabilità accettando il limite e larinuncia all’egoismo è il compito dell’educazione, non se nedanno altri più urgenti soprattutto perché non è innata espontaneamente presente nell’essere umano unadisposizione di questo tipo. Occorre, allora, educareripartendo dai preliminari dell’etica, cioè dalle virtù, dallacapacità di discernere il bene dal male, e d’identificarecriteri di giudizio e di comportamento. È necessarioarginare la tendenza ad un’affermazione del Sé che, pursacrosanta e giustamente incoraggiata, ha però da tempo

esaurito sul piano esistenziale e formativo la sua caricapositiva, degenerando nella prepotenza del proprio Sé enella prevaricazione, soprattutto quando sconfinanell’individualismo esasperato. Le virtù non rimandano aricordi agiografici di un repertorio antiquato di espedientiformativi che culminavano nei «fioretti», ma a disposizioniattive e militanti, necessarie anche sul piano politico. GuidoViale indica ben quattordici disposizioni virtuoseindispensabili per impostare strategie politiche di resistenzae di obiezione, non esitando a citare le virtù nel titolo delsuo testo1: tra tali atteggiamenti destinati a promuovere ilcambiamento delle regole e a sconfiggere consumismosfrenato e liberismo assoluto, si ritrovano anche virtù careal cammino di riflessione del CEM: la sobrietà, l’empatia(non il paternalismo) la conoscenza (e non l’ingenuità), lacostanza, la modestia, termine dimenticato, come l’umiltà,da ultimo l’autore cita la cura, specificando nella quarta dicopertina di non aver redatto un manualetto di«edificazione personale», ma «un manifesto politico perpromuovere conflitti, campagne, lotte ed organizzazione».

1 G. Viale, Virtù che cambiano il mondo. Partecipazione e conflitto, Feltrinelli, Milano 2013.

Compitodell’educazioneè formare un cittadinocapace di assumersiresponsabilitàaccettando il limite e la rinunciaall’egoismo

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Sui passi di Francesco4 ottobre Giornata della pace, dellafraternità, del dialogo

in cerca di futuroaluisi [email protected]

ascuolaeoltre

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I l 10 febbraio 2005 il Par-lamento ha stabilito cheil 4 ottobre di ogni anno

sia celebrata la Giornata Na-zionale della pace, della fra-ternità e del dialogo tra ap-partenenti a culture e religionidiverse in onore dei Santi Pa-troni d’Italia San Francescod’Assisi e Santa Caterina daSiena. La legge stabilisce che«in occasione della solennitàcivile del 4 ottobre siano or-ganizzate cerimonie, iniziati-ve, incontri, in particolare nel-le scuole di ogni ordine e gra-do, dedicati ai valori universalidella pace, della fraternità edel dialogo tra appartenentia culture e religioni diverse».Il 27 agosto il Miur, attraversola Direzione Generale dellostudente, ha inviato a tutti gliuffici scolastici regionali unanota in cui ricorda l’importan-za dell’evento e presenta ilprogramma di educazione allapace messo a punto dal Co-ordinamento nazionale entilocali per la pace di Perugia.Il Coordinamento e la Rivista«San Francesco Patrono d’Ita-lia», curata dai francescani delSacro Convento d’Assisi, han-

no infatti deciso di promuo-vere un Programma nazionaledi Educazione alla Cittadinan-za Democratica denominato«Pace, fraternità e dialogo. Suipassi di Francesco».

La sfida della fraternità

Il Programma si propone ditrasformare il progetto di unagiornata nel programma di unanno. Un programma chepunta a favorire nei giovani lariscoperta del significato au-tentico dei valori universali del-la pace, della fraternità e deldialogo promuovendo il pro-

Fra tutte è la parola

fraternità ad essere

al centro dellariflessione

La fraternità è l’inascoltato principio che sta alla base delle dichiarazioni universali dei diritti umani.

tagonismo studentesco. Lapace - ha detto recentementepapa Francesco - «è dono daaccogliere con generosità e dacustodire con cura». Accoglie-re e custodire implica l’ope-rosità di chi lavora per unacultura di pace in tutti i suoimolteplici aspetti di chi si faconcretamente e fattivamentecostruttore di pace a partiredal proprio ambiente, dallapropria scuola, dalla propriacittà. Fra tutte è la parola fra-

ternità ad essere al centro del-la riflessione. Se infatti la ce-lebrazione della «solennità ci-vile» del 4 ottobre 2013 si ca-rica di una valenza storica aseguito della decisione di papaFrancesco di recarsi ad Assisi,una decisione che ha un soloprecedente nell’altrettantostorica visita di Papa GiovanniXXIII il 4 ottobre 1962, digrande significato è la sceltadi papa Francesco di dedicarela Giornata Mondiale della Pa-ce del 1° gennaio 2014 alla«Fraternità, fondamento e viaper la pace».Perché la fraternità costituisceun assoluto paradosso: è laparola negletta della rivolu-zione francese (Liberté, Éga-lité, Fraternité); è il cuore -troppo spesso inascoltato -della fratellanza che derivadall’essere figli dello stessopadre; è l’inascoltato princi-pio che sta alla base delle di-chiarazione universali dei di-ritti umani («il riconoscimentodella dignità inerente a tutti imembri della famiglia umanae dei loro diritti, uguali edinalienabili, costituisce il fon-damento della libertà, dellagiustizia e della pace nelmondo»). Eppure se speranzac’è per il nostro mondo que-sta sta nella fraternità. Quellache portò Francesco ad in-contrare il sultano. E a dialo-gare con lui da fratello. Ecco: San Francesco è il pa-trono dell’Italia. Quasi a de-finire la nostra stessa mis-sione. nnn

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I l prigioniero liberato rien-tra nella caverna e vienederiso dai compagni. Qui

interrompiamo la narrazionedel più noto mito platonicoe chiediamo ai bambini cosafarebbero al suo posto. Daqui partiamo ora per rifletteresul tema della competenza esul suo legame con l’espe-rienza filosofica.Mario Castoldi, riprendendoLe Boterf, rappresenta lacompetenza come un insie-me di quattro cerchi concen-trici e interdipendenti: le ri-sorse cognitive (conoscenzee abilità), il saper agire, il po-ter agire e il voler agire.Immedesimandosi nel prigio-niero, il bambino esercita an-zitutto la propria volontà, co-me motivazione a risponderee come sistema di valori cheorienta le relazioni (voglio onon voglio liberare i compa-gni?). Risalendo le onde, tro-va la proposta in sé: il mito,le attività, i partecipanti sonocornice in cui sperimentare lapropria sensibilità a legami eopportunità. Il saper agire en-tra in gioco quando il bam-bino indaga la domanda e,

tramite molteplici processi co-gnitivi, la rappresenta a sé eagli altri (che cosa significaessere liberi?) e mobilita ri-sorse per affrontarla (fare onon fare la fine di Socrate?).Si completa così il disegnosull’acqua: il movimento delleonde è tornato al primo cer-

chio, quello delle conoscenzee abilità utili a filosofare.L’idea di competenza è cardinenelle Indicazioni Nazionali2012 per la scuola di base,che fanno propria la Racco-mandazione europea del 18dicembre 2006. La normativainternazionale afferma la ra-dicalità dell’idea di competen-za e auspica una ridefinizionedella formazione secondoquesta prospettiva. Nel lavorodei docenti, il metodo filoso-fico può contribuire a definireun modello formativo percompetenze e, circolarmente,la competenza può fare lostesso per l’esperienza filoso-fica. Vi è proprio questa intui-zione alla base di una ricerca-azione condotta in alcunescuole di Cuneo, originale pro-prio perché volta a individuarestrumenti di progettazione per

Fi-lo-so-fare?

Ci domandiamo se la filosofia con i bambini sia pop… Nel nostro approccio proponiamo testi filosofici, originali e semplificati.

mumble mumblechiara colombo | fiorenzo [email protected]

ascuolaeoltre

ottobre 2013 | cem mondialità | 13

Nel lavoro deidocenti, il

metodofilosofico puòcontribuire a

definire unmodello

formativo percompetenze

competenze da utilizzare inpercorsi di filosofia e a verifi-care quanto effettivamente lapratica filosofica possa pro-muovere le competenze socialie civiche. Fra di esse, anche lecompetenze interculturali, purnella difficoltà di definirle, pos-sono collegarsi alla pratica fi-losofica.Noi crediamo in questa cir-colarità: l’apprendimento percompetenze è costruttivo e ilmetodo filosofico chiamaproprio a ri-costruire gli sche-mi mentali, intervenendo suun oggetto, il dialogo, dotatodi una logica propria del di-scorso di molteplici soggetti.È socioculturale e l’interazio-ne sociale costituisce un so-stegno cognitivo all’appren-dimento. È situato e il dialo-go, come suggerisce la em-bodied cognitive science, èun processo di causazione re-ciproca continua in cui è dif-ficile separare l’ambiente (laclasse), la computazione in-terna (il pensiero di ciascuno)e la natura fisico-materialedell’agente cognitivo (le emo-zioni corporee). Oggi comeduemila anni fa, la relazionerichiede competenza. La pen-na disincantata di Platonechiudeva allora il mito con lamorte di Socrate. La menteincantata dei piccoli apprendeoggi le competenze sociali eciviche lasciandosi meraviglia-re dalle parole del filosofo eprovando a suggerirgli solu-zioni alternative. nnn

ascuolaeoltre

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Sei cappelli per pensaree cambiare lo sguardo

educazione degli adultirita [email protected]

ascuolaeoltre

Con il metodo dei sei cappelli colorati, assumendo in sé il pensiero corrispondente, si scoprono i diversi aspetti del nostro modo di affrontare la vita. Propongo il gioco individualmente,in coppia e in gruppo.

sé il pensiero corrispondente,si scoprono i diversi aspettidel nostro modo di affrontarela vita, quelli che usiamo sem-pre o non usiamo mai, si rie-sce a distinguerli e ad orien-tarli armonizzandoli. Con ilgesto teatrale d’indossarecappelli di colori diversi, ognitipo di pensiero ha il suo spa-zio legittimo di espressione,accettato e riconosciuto dase stessi, dall’altro e dal grup-po. Come una maschera, ilcappello colorato mette al ri-paro dal ruolo che s’interpre-ta e aiuta a cambiare «losguardo» su se stessi, sullecose, su luoghi e situazioniassumendo nuovi punti di vi-sta e modi di pensare.

Questo metodo ha quattrofunzioni principali:

definire la parte da recitare,cioè intraprendere un cam-mino di pensiero diverso dalsolito senza che il nostro Iosi senta in pericolo per questomotivo; osare il nuovo; dirigere l’attenzione versotutti i singoli aspetti del pro-blema o della questione chesi vuole affrontare; evidenziare la convenienzadel metodo, poiché la fun-zione simbolica dei cappellici permettere di chiedere divolta in volta a noi stessi eagli altri partecipanti di cam-biare atteggiamento; stabilire le regole base, cioèspiegare a tutti in modo chia-ro e semplice come usare i

ne ho anche fatto una ver-sione per bambini e ragazzida «giocare in classe o in fa-miglia». Quando indossiamoun cappello cambiamo atteg-giamento: provare per crede-re! Decidere d’indossare, an-che solo metaforicamente, uncappello per pensare è già,di per sé, uno stimolo ad ab-bandonare i binari del pen-siero passivo e sfiduciato,quello lineare di reazione, e

Nella mia esperienza diformazione con gliadulti m’imbatto

spesso nella difficoltà dellepersone a cambiare punto divista, e di conseguenza l’at-teggiamento, rispetto ad unmodo non positivo di affron-tare la vita. In genere, quandoci si pone di fronte ad un pro-blema, che abbiamo più volteaffrontato senza riuscire a ri-solverlo, conserviamo lo stes-so atteggiamento pessimista,distaccato e senza speranza.Questo atteggiamento mettea dura prova i formatori, cheprima di poter fare «educa-zione agli adulti» devono an-zitutto vincere la sfiducia, omeglio la paura, dei parteci-panti a sperimentare il nuovo,convinti che tanto non c’è so-luzione.

Il metodo di Edward De Bono

A me è servito molto il me-todo presentato da E. De Bo-no nel libro Sei cappelli perpensare (BUR, 1994). Lo usospesso per gestire gruppi digenitori ed insegnanti, con ri-sultati sempre interessanti, e

a predisporsi ad una formadi pensiero cre-attivo circolareo mandalico. (fig. 1) Con ilmetodo dei 6 cappelli coloratida indossare, assumendo in

Uso spesso il metodo

De Bono pergestire gruppidi genitori ed

insegnanti, conrisultati sempre

interessanti14 | cem mondialità | ottobre 2013

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sei cappelli nel gioco del pen-siero visivo.

Il metodo in pratica

1 - Costruite 6 cappelli di car-ta o feltro nei colori bianco,rosso, nero, giallo, verde, bluche simboleggiano una mo-dalità di pensiero: razionalità,emozioni e sentimenti, pen-siero critico e pessimismo, po-sitività, creatività e supervi-sione/controllo. 2 - Sedetevi in cerchio e, sottola guida del formatore, in-dossate a turno il cappellodel colore con il quale desi-derate esprimervi e valutatela situazione, stando attentiad usare, con quel cappello,solo e soltanto quel tipo dipunto di vista.

Indossare a turno i cappelli

Propongo il gioco indivi-dualmente, in coppia e ingruppo. Se indosso a turnoi cappelli colorati imparo avedere un mio problemada vari punti di vista. Uso isei cappelli anche in con-sulenza di coppia o quan-do voglio aiutare una cop-pia di bambini a gestirecreativamente un conflitto.All’interno di un gruppo èun modo per orientare ilpensiero verso mete più in-teressanti e innovative diquelle che si possono rag-giungere con gli schemi dipensiero abituali. Di solitoinizio il gioco indossandoil cappello blu e spiegandoil funzionamento del gioco.Poi invito i partecipanti adindossare a turno il cappel-lo bianco per analizzare iltema proposto e mi accer-to che tutti si comportinosecondo il cappello indos-sato. Successivamente fac-cio sperimentare tutti i cap-pelli fin quando la persona,la coppia o il gruppo nonarriva a risultati soddisfa-centi. La cosa bella è chele persone, soprattutto ibambini, continuano ad in-dossare i cappelli anche do-po l’incontro e non è rarosentirli dire: «togliti il cap-pello nero», «prova a pen-sare con il cappello giallo»,e così via… Se volete saperne di piùscrivetemi! nnn

Edward De Bono (Malta, 1933)

è considerato uno deglistudiosi di primo piano nel

campo del pensierocreativo, ha scritto oltre

sessanta libri, tradotti in 37lingue. È l’inventore del

termine «pensiero laterale»(orizzontale) e l’ideatore

del Programma di PensieroCoRT per le scuole, il

programma più utilizzato alivello internazionale per

l’insegnamento delle abilitàdi pensiero.

IL CAPPELLO BIANCO è quello della razionalità: è come unfoglio bianco su cui disegnare o scrivere le informazioni daraccogliere, i dati e le notizie certe, valide per tutti, che ènecessario sapere prima di continuare a discutere e apensare. Chi indossa il cappello bianco è tenuto a forniredati indiscutibili, e questo è il punto di partenza comune atutti in ogni situazione o discussione. IL CAPPELLO ROSSO è riservato all’emotività e ai sentimentiche ciascuno dei partecipanti può esprimere. Le nostreemozioni possono essere diverse, non devono esserespiegate razionalmente e non sono valide per tutti, maciascuna contiene una parte di verità che è meglio che glialtri conoscano, anche se non devono per forza condividerlacon noi. Chi indossa il cappello rosso fornisce un punto divista puramente emotivo. IL CAPPELLO NERO è quello del pensiero critico, dellariflessione, del giudizio che occorre dare, del rischio davalutare, analizzando pericoli, errori, conseguenze,soluzioni. È il cappello più utilizzato da chi s’impegna aragionare in profondità su un fatto o su un problema o sudecisioni da prendere. Chi lo indossa mette in evidenza irischi e può permettersi di essere pessimista. IL CAPPELLO GIALLO è quello della positività e dellaluminosità che serve per scoprire il lato bello delle cose, pervedere i meriti delle persone e gli aspetti positivi dei fattiche analizziamo e delle idee o progetti che vogliamoportare avanti. IL CAPPELLO VERDE è quello della creatività, della crescita,dell’energia e sviluppa il nostro pensiero creativo, le ideenuove e alternative, le soluzioni diverse, la fantasia, leinvenzioni. Ci permette di liberarci dagli schemi, daipregiudizi e dalle abitudini, per ricercare le idee probabili,possibili, insolite che possiamo poi coltivare nella nostramente e nella nostra vita. È il cappello che permette lalibera espressione, l’esposizione di concetti innovativi che ciaiutino a liberarci dagli schemi mentali a cui siamo abituati. IL CAPPELLO BLU è un supervisore di tutto il nostroragionamento, per capire se esso sia stato corretto. Ci serveper analizzare tutte le idee e tutti i pareri che gli altri cinquecappelli ci hanno fatto nascere e sviluppare nella mente.

Apprese le funzioni dei cappelli, s’intuisce l’efficacia delsistema! È più facile trasmettere un’emozione, fare unacritica, analizzare una situazione al riparo metaforico di uncappello che ci consenta di ragionare di volta in volta inmodo diverso, senza mettere in discussione il nostro io.Quando il gioco è ben assimilato e soprattuttol’abbinamento del codice colore con la funzione cheesprime, si può far riferimento a queste funzioni delpensiero sia in famiglia sia a scuola, ad esempio: se adessotu indossassi il cappello giallo, cosa diresti su questasituazione/argomento/problema? Vedrete che subito sia gliadulti sia i bambini si autorizzano, si permettono diesprimere quel punto di vista.

REGOLE BASEASSENZA di colore... neutralità, dati, numeri, fatti, informazioniBIANCO>

ROSSO >

NERO >

GIALLO >

VERDE >

BLU >

come la PASSIONE!... emozioni,sensazioni, premonizioni, intuizioni

come la TEMPESTA!... aspetti negativi, rischi, problemi

come il SOLE!... aspetti positivi,atteggiamenti costruttivi, opportunità

come l’ERBA!... fertilità del pensiero, nuove idee, creatività

come il CIELO che tutto sovrasta... supervisione, controllo, direzione

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16 | cem mondialità

saggezza follemarco valli - osel [email protected]

ascuolaeoltre

In termini umani e spirituali il punto essenziale di ogni rapporto autentico è la capacità di gratuità. Come adulti ed educatori, dobbiamo cominciare a chiederci come educare i giovani all’amicizia.

Una frase che mi hasempre colpito neiVangeli è quella in cui

Gesù chiama i suoi: amici,non discepoli, allievi, ma ami-ci... L’amicizia è un valore fon-dante per l’essere umano, va-lore che però va scomparen-do nella società contempo-ranea, anche nelle generazio-ni più giovani. L’amicizia, co-me ogni forma d’amore, ri-chiede impegno, dedizione egratuità, qualità difficilmentereperibili in un mondo in cuiogni cosa è merce o al piùdinamica di sfruttamento re-ciproco.Essere amici significa essereleali, fedeli, disposti al sacrifi-cio per l’altro, non semplice-mente fare cose insieme. Lacondivisione di interessi, pas-sioni, ecc., può essere l’iniziodi un rapporto che però devematurare e portare a livelli piùprofondi di comunicazione econdivisione. Se così non è,l’amicizia non fiorisce rima-nendo un gioco superficialedi do ut des. In termini umanie spirituali il punto essenzialedi ogni rapporto autentico èla capacità di gratuità, cioè il

E l’amicizia? aiuta a crescere, ci spingespesso ad annullarci per com-piacere le aspettative altrui(pur di non perdere l’altro)oppure a spingere l’altro al-l’annullamento per compia-cere le nostre aspettative...ovviamente è un gioco ne-vrotico che porta solo soffe-renza e disastri esistenziali.Riconoscere il proprio valoree dignità e conseguentemen-te quello dell’altro è fonda-mentale così come crearequello spazio sacro in cui in-contrarsi. Ognuno di noi na-sce solo, vive da solo e muoresolo, ma può uscire dalla pro-pria ontologica solitudine perincontrare l’altro in quellospazio che il rapporto crea,in quello spazio si può co-struire il rapporto, si puòcreare un progetto comune.Fintanto che ognuno rimanechiuso nei confini del suo re-gno egoico, fatto di pretese,aspettative, desideri, ecc.,non può certo aprirsi al con-fronto e al superamento disé nella magia del rapporto.Purtroppo l’incapacità di vi-vere l’amicizia autentica fini-sce per impedire l’esperienzadell’amore di coppia o di ognialtro rapporto affettivo «im-pegnativo».Come adulti ed educatori,dobbiamo cominciare a chie-derci come educare i giovaniall’amicizia per non ritrovarciin un mondo sempre più po-vero di amore... di rispetto…di bellezza. nnn

dare senza chiedere nulla incambio, l’agire per l’agire sen-za secondi fini.Un professore di teologia diun’università americana nar-rava una volta della visita ri-cevuta da uno studente in unperiodo di sospensione dellelezioni. Lo studente era en-trato nel suo studio, si era se-duto e alla sua domanda: «inche cosa posso esserti utile?»Aveva risposto: veramentenon ho bisogno di niente, so-

L’amicizia,come ogni

forma d’amore,richiede

impegno,dedizione e

gratuità

no solo venuto per passareun po’ di tempo con lei... Aquel punto rimasero unamezz’ora in silenzio, ma unsilenzio dolce, rilassato senzatensioni e imbarazzi, poi lostudente salutò e se ne andò.Il professore rimase colpito daquello spazio sacro che si eracreato fra di loro in quei mo-menti di pura gratuità, in cuinessuno pretendeva o chie-deva nulla… Non chiederenulla, non pretendere nulla,ma godere della presenza del-l’altro in quanto altro…. equindi irriducibile a me, ac-coglierlo nella sua alterità sen-za aspettarmi gratificazioni oaltro, questo è il segreto.Fritz Perls ci diceva sempre diripetere questa frase:«io sonoio e tu sei tu, io non sono ve-nuto al mondo per gratificarete e tu non sei venuto al mon-do per gratificare me» in mododa essere sempre consapevolidella distanza che deve inter-correre fra le nostre aspetta-tive e la realtà dell’altro.L’insicurezza cronica che è no-stra compagna inseparabile,in questa società che non ci

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TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE. ARTE PASSIONE INTERCULTURA

ACQUAA CURA DI PATRIZIA CANOVA

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ACQUABENE COMUNE DELL’UMANITÀ?

18 | cem mondialità | ottobre 2013

PATRIZIA CANOVA

dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

1 Rispettivamente con le risoluzioni A/RES/64/292 e A/HCR/RES/15/9, entrambedel 2010.

L’acqua è elemento primo, materia essenziale per lavita. L’acqua è crescita, sviluppo, risorsa. L’acqua èluogo, paesaggio, cultura, civiltà. L’acqua è religione,

arte, memoria. L’acqua è un diritto naturale essenziale e inso-stituibile recentemente riconosciuto anche dall’AssembleaGenerale delle Nazioni Unite e dal Consiglio delle NazioniUnite sui Diritti Umani1. Eppure oggi la nostra società sta ne-gando all’acqua il suo valore di fonte di vita e la sta riducendosempre più a strumento funzionale alle proprie esigenze, mer-ce di scambio e oggetto di contesa. La risorsa per eccellenzaè divenuta l’Affare Oro blu, si sta trasformando in motivo diguerre e di conflitti e poche multinazionali se ne contendonoi profitti. L’abitudine ad aprire il rubinetto e veder scenderel’acqua fanno dimenticare a molti che l’acqua è un bene ditutti, da custodire e tutelare perché è una risorsa limitata, per-ché le riserve si stanno esaurendo. Fare i conti con la scarsità significa oggi combattere le causeche nel corso dell’ultimo secolo hanno determinato una cre-scita del consumo dell’acqua molto più elevata rispetto allacrescita della popolazione. Significa acquisire consapevolezzache accanto alle cause naturali che provocano diminuzionedella disponibilità di buona acqua, se ne aggiunge una de-vastante e ingovernabile (Vandana Shiva): l’azione dell’uomo.Significa attivarsi per promuovere una cultura condivisa dellaconservazione e del consumo responsabile, dove tutti facciano

la propria parte come individui e come cittadini del mondo.In poche parole significa affermare una cultura che celebrila vita, dove l’acqua sia considerata bene comune, opportunitàdi crescita, di equità internazionale, di stabile e concreta po-litica di pace. È intorno a questi focus che si articola il dossierdedicato all’acqua.Coscienti però della vastità del tema e dell’impossibilità diesaurirlo nello spazio ristretto di un dossier, si è scelto di af-frontarlo da alcune prospettive, tralasciandone, a malincuore,altre. Si va così da un’analisi dello «stato reale delle cose» inrelazione al raggiungimento degli obiettivi del Millennio intema idrico, a una lucida valutazione di come si potrebberomeglio gestire gli investimenti per garantire il diritto all’accessoall’acqua potabile e ai servizi igienici, a un’interessante rifles-sione sul rapporto tra valore, prezzo e costo dell’acqua. Unacomparazione tra l’acqua in bottiglia ed esempi di buone pra-tiche nella gestione e nel consumo, mettono a confronto lamercificazione dell’acqua con scelte di tutela e pratiche edu-cative. A completare, una suggestiva lettura del dovere dellereligioni in relazione all’acqua bene comune e una rappre-sentazione della stessa nella letteratura fantascientifica e neidocumentari. nnn

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ottobre 2013 | cem mondialità | 19

dossierACQUA

LE TECNOLOGIE HANNO LA CAPACITÀ DI

SVILUPPARE NUOVI MODI DI COMUNICAZIONE

E DIFFUSIONE DELL’ARTE E PER QUESTO VANNO

CONOSCIUTE, USATE, APPREZZATE. SENZA

OVVIAMENTE DIMENTICARE CHE LA QUALITÀ DEL

PRODOTTO STA INDUBBIAMENTE NELLA

SENSIBILITÀ DELL’AUTORE, NELLA CREATIVITÀ

PERSONALE, NELLA CAPACITÀ DI COMUNICARE

IN MODO UNICO

«…CON LA STESSA RAPIDITÀ CON CUI SI ESPANDE IL

MERCATO DELL’ACQUA, STA SPARENDO LA PRATICA

TRADIZIONALE DI OFFRIRE ACQUA A CHI HA SETE.

PER MIGLIAIA DI ANNI L’ACQUA È STATA OFFERTA IN

DONO NEI PIYAO, LUNGO LE STRADE, PRESSO I

TEMPLI, NEI MERCATI: I RECIPIENTI DI TERRACOTTA

CHIAMATI GHADA E SURAI TENEVANO IN FRESCO

L’ACQUA DURANTE L’ESTATE PER GLI ASSETATI, CHE

NE BEVEVANO DALLE MANI A COPPA. QUEI

RECIPIENTI SONO STATI RIMPIAZZATI DALLE

BOTTIGLIE DI PLASTICA E L’ECONOMIA DEL DONO È

STATA SOPPIANTATA DAL MERCATO DELL’ACQUA. NON

C’È PIÙ PER TUTTI IL DIRITTO A PLACARE LA PROPRIA

SETE: È UN DIRITTO CHE ORMAI TOCCA

ESCLUSIVAMENTE AI RICCHI».

VANDANA SHIVA, «LE GUERRE DELL’ACQUA» 2003

RAGGIUNTI GLI OBIETTIVIDEL MILLENNIONEL SETTOREIDRICOCHE SIGNIFICA?

MARIO MILANESI

I l settimo degli Obiettivi del Millennio2 prevede la ne-cessità di dimezzare entro il 2015 la percentuale dipersone che non ha accesso all’acqua potabile e agli

impianti igienici di base. Il Rapporto Progress on DrinkingWater and Sanitation 20123 afferma che tale obiettivoverrà raggiunto, anzi superato, nel 2015 in quanto allafine del 2010, l’89% della popolazione mondiale (circa6,1 miliardi di persone), ha avuto accesso a fonti miglio-rate d’acqua potabile. Questa quota rappresenta l’1% inpiù rispetto alla soglia dello 88% prevista nel 2000 dagliObiettivi di Sviluppo del Millennio. Il rapporto prevedeche, entro il 2015, il 92% della popolazione mondiale avràaccesso a fonti migliorate d’acqua potabile.

MA QUESTO VUOL DAVVERO DIRE ACQUA POTABILE PER TUTTI?I DATI SOTTO RIPORTATI RISPONDONO DA SOLI…

Il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio significache tra il 1990 e il 2010 più di 2 miliardi di persone hannoottenuto l’accesso all’acqua potabile e circa 1,8 miliardil’accesso ai servizi igienici. Questo risultato è merito so-prattutto di Cina e India, che hanno contribuito da soleper metà del progresso totale nel mondo sia in acquasia in sanitation (servizi igienici e fognature). Tuttavia questo risultato significa solo che il numero diquelli che venti anni fa non avevano accesso è stato di-mezzato; in realtà ancora 783 milioni di persone riman-gono senza accesso all’acqua potabile, più di una per-sona ogni dieci. Più di due terzi di queste vivono in soli

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20 | cem mondialità | ottobre 2013

dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

dieci paesi, confermando la diseguaglianza delle condizionia livello globale. Cina, India e Nigeria ospitano un terzo di quelli cha ancoranon hanno accesso all’acqua potabile; altri sette paesi in Africae sud est asiatico un altro terzo. Gli Obiettivi del Millennio misurano a quante persone èstato concesso l’accesso, non per quante il servizio è duraturo.Dato, quest’ultimo, purtroppo molto spesso dissonante permolteplici motivi: i servizi erogati sono troppo costosi e nonsostenibili, i sistemi idrici si rompono e non vengono riparati,i progetti iniziati non vengono finiti. Solo il 63% degli Stati ha migliorato i livelli di accesso aiservizi igienico-sanitari. Secondo una proiezione, questa per-centuale sarà soltanto al 67% entro il 2015: ben al di sotto dellasoglia del 75% prevista dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Attualmente 2,5 miliardi di persone non hanno ancora ac-cesso ai servizi igienico-sanitari. Tre quarti dei 2 miliardi e mezzo di persone che non usanouna latrina adeguata abita in soli 11 paesi del mondo; uno sudue di quelli che non usano la latrina e devono defecare al-l’aperto vive o in India o in Cina. Oggi la sanitation è rimasto l’unico indicatore del millennioa contarsi ancora in miliardi e non in milioni di persone. In Africa l’aumento dell’uso di latrine riguarda solo l’11%della popolazione e se si considera la crescita demografica,in realtà tra il 1990 e il 2010 il numero di persone che non usala latrina in Africa è aumentato in numero assoluto di più di 30milioni di persone.

IL LIVELLO DI FONDI SPESI NEL MONDO

PER WATER E SANITATION STA

AUMENTANDO STABILMENTE E NON

PARE CHE L’ATTUALE CRISI MONDIALE

STIA INTACCANDO GLI AIUTI

INTERNAZIONALI IN QUESTO SETTORE

DISEGUAGLIANZA E CLASSE SOCIALE

In Africa quasi la totalità del quinto più ricco della popola-zione (circa il 20%) ha accesso ad acqua potabile e sanitationadeguate; invece il quinto più povero non ha accesso agli ac-quedotti e più della metà non usa latrine. Il mercato di acqua minerale in bottiglia rappresenta inAfrica uno dei settori più dinamici del comparto alimentarecon un aumento del 15% annuo negli ultimi anni (nell’areaasiatica: 50% annuo nella sola India). «Poverty penalty» («i più penalizzati sono i più poveri»): sonosoprattutto i più poveri a pagare il prezzo per la mancanza diservizi: si stima che il carico economico per le persone chenon possono permettersi di pagare le spese di allacciamentoalle reti idriche municipali sia di 15 volte il costo medio di unabolletta locale, e che circa una famiglia su 5 abitante in unacittà africana spenda più di un decimo del proprio reddito soloper il consumo di acqua spesso a rischio di contaminazione. La soglia utilizzata dall’Onu per identificare la spesa accet-tabile di una famiglia per la bolletta dell’acqua è del 3% delreddito famigliare. Uno studio condotto dall’Onu in diversipaesi africani ha rilevato che la spesa media del campioneintervistato era quasi sempre superiore a questa soglia edequivaleva all’11% del reddito della famiglia. Questo livello èaddirittura più elevato della soglia che le Nazioni Unite clas-sificano come catastrophic spending threshold (soglia di spe-sa catastrofica) che è uguale a 10%, e costituisce un caricopesantissimo per le famiglie povere. A quanto ammonta la soglia accettabile, secondo il redditomedio di una famiglia italiana? Considerando 2 stipendi di €1.500 per 13 mensilità, la soglia definita «accettabile» dall’Onuper quella famiglia per la bolletta dell’acqua è uguale a €1.170 all’anno, circa € 100 al mese di bolletta… Se questa fa-miglia dovesse pagare il poverty penalty, come nel caso dellostudio precedente, la sua spesa aumenterebbe a circa € 325al mese...

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ottobre 2013 | cem mondialità | 21

dossierACQUA

COME VENGONO SPESI (MALE) I FINANZIAMENTI PER IL DIRITTO ALL’ACQUAPOTABILE E AI SERVIZI IGIENICI

Circa l’80% dei paesi del mondo riconosce il diritto dei propricittadini all’acqua e circa la metà dei paesi riconosce il dirittoa condizioni igieniche adeguate. Tuttavia le politiche e le leggiche permettono d’indirizzare correttamente gli investimentiverso i più poveri e verso chi ha più bisogno, sono ancora damigliorare e non permettono ai governi di realizzare e metterein pratica questi diritti in modo efficace.Il livello di fondi spesi nel mondo per water e sanitation staaumentando stabilmente e non pare che l’attuale crisi mondialestia intaccando gli aiuti internazionali in questo settore. Ognianno vengono infatti investiti 7,8 miliardi di dollari per pro-muovere il diritto all’accesso all’acqua potabile e a serviziigienici: una cifra considerevole.

È NECESSARIO CHIEDERSI IN CHE MODO ECON QUALI RISULTATI... ECCO ALCUNI DATI PER RIFLETTERE

I FONDI INVESTITI NEL SETTORE CONTINUANO A ESSERE SPESI

MASSICCIAMENTE PER L’ACQUA, MENTRE I FINANZIAMENTI PER LA

SANITATION SONO INSUFFICIENTI.

SOLO IL 7% DEGLI INVESTIMENTI È DESTINATO ALLA MANUTEN-

ZIONE DI SISTEMI ESISTENTI. IL RESTO VIENE SPESO NELLA CO-

STRUZIONE D’INFRASTRUTTURE NUOVE SPESSO MOLTO COSTOSE

E SULLE QUALI NON VIENE OPERATO UN MONITORAGGIO SULLA

DURABILITÀ. MEDIAMENTE IL 30-40% DELLE INFRASTRUTTURE IDRI-

CHE NON DURANO PIÙ DI 5 ANNI.

NON ESISTONO DATI GLOBALI SULLA SOSTENIBILITÀ DEI SERVIZI

OFFERTI. SE SI INVESTISSE DI PIÙ SUI SISTEMI DI GESTIONE E CON-

TROLLO DELLA DURABILITÀ DEI SERVIZI, I RISULTATI SAREBBERO

SENZA DUBBIO MIGLIORI. NON BASTA GARANTIRE L’ACCESSO AL-

L’ACQUA, È NECESSARIO RENDERE PERMANENTE IL SERVIZIO.

SECONDO TRANSPARENCY INTERNATIONAL4, OLTRE IL 40% DEGLI

INVESTIMENTI IN AFRICA SI PERDE PER CORRUZIONE, I CONTROLLI

SONO DUNQUE FONDAMENTALI.

LA SPESA IN CAMPAGNE DI PROMOZIONE ALL’IGIENE SPESSO NON

È NEMMENO MONITORATA; NEI PAESI CHE HANNO DATI SU QUANTO

SPENDONO IN IGIENE, LA SPESA È INFERIORE AL 2% DEL TOTALE

DEL SETTORE. LE DUE MISURE PIÙ EFFICACI IN ASSOLUTO PER RI-

DURRE L’INCIDENZA DELLE MALATTIE IDRICHE, SOPRATTUTTO PER

I BAMBINI, SONO L’USO DELLA LATRINA E IL LAVAGGIO DELLE MANI

CON IL SAPONE.

I FINANZIAMENTI SPESI PER LE POPOLAZIONI ABITANTI NEGLI

STATI IN CONFLITTO E IN CONDIZIONI DI EMERGENZA SONO AU-

MENTATI MOLTO NEGLI ULTIMI ANNI E ORA COSTITUISCONO CIRCA

UN DECIMO DEL TOTALE DEI FONDI SPESI.

SOLO LA METÀ DEI FONDI È INVECE SPESA NEI PAESI DOVE ABITA

IL 70% DELLA POPOLAZIONE CHE NON HA ACCESSO AI SERVIZI (I

PAESI DELL’AFRICA SUB SAHARIANA, DELL’ASIA DEL SUD E SUD-EST).

I FONDI SPESI PER SISTEMI DI BASE (CIOÈ LATRINE INDIVIDUALI

ECONOMICHE, MICRO ACQUEDOTTI E POMPE MANUALI) SONO AU-

MENTATI NEGLI ULTIMI ANNI, MA RAPPRESENTANO TUTTORA SOLO

UN QUARTO DI TUTTI I SOLDI SPESI. LA MAGGIOR PARTE DELLA SPE-

SA FINISCE DUNQUE IN IMPIANTI COMPLESSI E COSTOSI PRINCI-

PALMENTE PER ESTENDERE IL SERVIZIO URBANO IN NUOVI QUAR-

TIERI (CHE SPESSO NON HANNO ABBASTANZA FONDI PER FARLI

FUNZIONARE CORRETTAMENTE). LA MAGGIOR PARTE DEGLI SLUMS

E DELLE AREE RURALI RICEVE PROPORZIONALMENTE MOLTO MENO

IN TERMINI DI FONDI.

CIRCA LA METÀ DEI PAESI NON HA DATI SULLO STATO DELLE LA-

TRINE NELLE SCUOLE. SENZA QUESTI DATI NON SI PUÒ NEMMENO

INIZIARE A CALCOLARE QUALI INVESTIMENTI SERVIREBBERO PER

RISPONDERE AI BISOGNI DEGLI STUDENTI. PER I PAESI CHE HANNO

QUESTI DATI, E A LIVELLO MONDIALE, CIRCA IL 35% DELLE SCUOLE

NON HA SERVIZI IGIENICI ADEGUATI. nnn

2 Nel settembre 2000, i 191 Capi di Stato e di Governo membri dell’Onuhanno unanimemente sottoscritto la Dichiarazione del Millennio, un pattoglobale per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ottoobiettivi da raggiungere entro il 2015: 1. Sradicare la povertà estrema e lafame 2. Rendere universale l’istruzione primaria 3. Promuovere la parità deisessi e l’autonomia delle donne 4. Ridurre la mortalità infantile 5. Migliorarela salute materna 6. Combattere l’Hiv/Aids, la malaria ed altre malattie 7. Ga-rantire la sostenibilità ambientale 8. Sviluppare un partenariato mondiale perlo sviluppo. http://www.cooperazioneallosviluppo. esteri.it/pdgcs/italiano/Mil-lennium/documenti.htm3 Realizzato nell’ambito del JMP (Joint Monitoring Programme for WaterSupply and Sanitation) di Unicef e Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità)www.unicef.it/doc/3634/acqua-raggiunto-obiettivo-di-sviluppo-del-millennio.htm4 Nel 1993, alcune persone hanno deciso di prendere posizione contro la cor-ruzione e hanno creato Transparency International. Oggi presente in più di100 paesi, il movimento lavora senza sosta per creare coscienza collettiva, perdiffondere i propri valori e ad aumentare la conoscenza sulle cause e gli effettidella corruzione. www.transparency.org/research/gcr/gcr_water_sector

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e prima ancora Veblen ed Hirsh), ma non è questo il luogoper approfondire il discorso. Questo preambolo serve perdefinire una deriva culturale: se il prezzo definisce il valore,ciò che costa poco vale poco. Come scriveva nel 1899 Veblen,«il consumo, per essere rispettabile, deve essere spreco»(v. La teoria della classe agiata).Così veniamo all’acqua, Bene Comune. In un mondo idealel’acqua dovrebbe essere gratuita per tutti, soprattutto in territoricome l’Europa e l’Italia, dive essa abbonda (o abbondava).Così è stato per millenni: fiumi, falde, sorgive e pioggia assi-curavano a campagne e città il soddisfacimento del fabbiso-gno. Ma anche qui la modernità ha impresso la sua impronta.Le acque sono state definite proprietà dello Stato (demanioidrico) che ne regolamenta l’accesso e, d’altro canto, l’agri-coltura, l’allevamento e l’industria hanno accresciuto enor-

dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

VALORE, PREZZO, COSTOGIANNI CALIGARIS

QUESTO NON VUOLE ESSERE UN ARTICOLO

«CONTROCORRENTE», MA POICHÉ SONO UN PIGNOLO,

DETESTO LE SEMPLIFICAZIONI E MI SFORZO SEMPRE

DI CREARE IL QUADRO PIÙ CHIARO POSSIBILE. PER

QUESTO PARTIRÒ UN PO’ DA LONTANO.

Nelle economie arcaiche il valore di una risorsa di-pendeva dalla sua importanza per la comunità edalla sua penuria. Ovviamente l’essere arcaiche non

impediva a quelle società di essere sociologicamente com-plesse. Prendiamo l’oro: in Europa non era essenziale perla sopravvivenza, ma era uno status symbol e misura discambio, la sua relativa scarsità ne teneva alto il valore. Eradiverso per le civiltà precolombiane del Sud America. Tor-nando in Europa, per secoli ebbe grande valore il sale; dallemie parti, pianura padana ai piedi degli Appennini, c’è unastrada che era detta «la strada del sale», poiché era percorsadalle donne della Lunigiana per portare il sale marino aimercati dell’Emilia occidentale. In quei sistemi, il prezzoera dato dal valore. L’evoluzione delle economie moderneha modificato questo rapporto. Il prezzo di un prodotto, nellastragrande maggioranza dei casi, era dato dalla somma delcosto di produzione e dal margine di profitto, ovvero dipen-deva dagli investimenti necessari e dalle aspettative di gua-dagno del produttore. Era quindi il prezzo che definiva il va-lore del bene scambiato. Si innestavano poi, in società sem-pre più complesse, i meccanismi della «società affluente»(J.K. Galbraith, ma anche Marcuse e la scuola di Francoforte

22 | cem mondialità | ottobre 2013

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a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI58

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BENI COMUNI E... VIZI CAPITALI

LA SUPERBIA

Considerato radice e culmine di ogni male moraleda sant’Agostino e san Tommaso, la superbia ènel canone dei sette vizi la violazione principale,

perché contiene e p

L’INVIDIA NEL MITO (ANCHE BIBLICO E NELLA FIABA)

Nei limiti di un inserto possiamo soltanto richiamarequalche mito e qualche fiaba legata al tema dell’invidia. Ad esempio il racconto del fratricidio di Caino nei con-fronti di Abele fa riferimento al sentimento dell’invidiae ciò mostra con evidenza come la morte sia entratanel mondo proprio a causa dell’invidia nei confrontidell’altro (fraternamente ucciso!). Questo deve portarcia ritenere che l’invidia non sia qualcosa di raro ed ec-cezionale nei rapporti interpersonali ma un dato ordi-nario e per così dire naturale. Siamo tutti invidiosi!Credere di non esserlo significa ritenersi immuni dacerte «tendenze» e quasi creature angeliche e perfette,cadendo così dalla padella alla brace, dall’invidia allasuperbia! Se nell’antico testamento si parla di Cainoinvidioso dell’amore di Dio per Abele, nel nuovo testa-mento, - dove si abbandona il mito per passare allastoria - si legge nel Vangelo di Matteo (27,18) che Gesùviene consegnato dai Sommi Sacerdoti a Pilato il qualesapeva bene che l’avevano fatto, appunto, «per invidia».Si ripeteva, così, quello che Caino aveva fatto contro

a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI9

12

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GUARDARE L’ALTRO «DI TRAVERSO»

L’INVIDIA

Dopo l’inserto introduttivo sui vizi capitali

e quello che abbiamo già dedicato alla

superbia (il più diabolico tra essi) ci sof-

fermeremo ora sull’invidia come passione che -

stando al significato etimologico della parola «in-

vidia» - ci fa guardare l’altro «di traverso», obli-

quamente, in modo torvo, distorto e deformato.

Essendo infatti il termine invidia legato al verbo

video, è piuttosto evidente come questa esprima

un sentimento di odio per la felicità dell’altro, per

il suo successo, la sua ricchezza (fortuna, bellezza,

salute, prestigio…) e ci induca, di conseguenza,

a guardarlo storto, quasi a gettargli - come dice

il popolino - il «malocchio».

In questo senso possiamo affermare che la pas-

sione dell’invidia è sempre generata e accompa-

gnata dalla «tristezza» per il bene dell’altro, come

se il suo benessere e la sua gloria fossero qualcosa

che è stato sottratto proprio a noi. Non è un caso

che nella visione dantesca (Purgatorio XIII,vv.43-

84) gli invidiosi sono rappresentati con gli occhi

cuciti con il filo di ferro quale contrappasso del

loro «non-vedere» correttamente.

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Abele! Passando poi all’analisi dell’invidia nella fiaba,troviamo opportuno riferirci non tanto a quella ben notadi Mandeville «La favola delle api», ma a quelle piùclassiche come Biancaneve oppure Cenerentola. «Vizi privati e pubblici benefici - scrive Elena Pulcini -è la nota formula con cui Mandeville riassume la suavisione spregiudicata della realtà, che equivale all’as-soluta legittimazione della concorrenza e perfino delladisuguaglianza: dobbiamo infatti rassegnarci con il fattoche coesistono ricchezza e povertà, perché l’esistenzadei poveri laboriosi (le api di cui parla la favola) chesono la risorsa produttiva della nazione, rappresenta ilcosto imprescindibile del benessere»1.

Se poi passiamo alle fiabe più celebri come Biancanevee Cenerentola bisogna riconoscere che è proprio quiche incontriamo l’interrogativo che appare come il leit-motiv dell’invidia: chi è la più bella del reame? E ciòvale sia se l’interrogativo è rivolto dalla regina cattiva(Grimilde) allo specchio delle sue brame per sentirsidare una risposta vincente che puntualmente non arrivase non nei termini della sconfitta, sia anche per l’invidiastraripante che nutrono verso la povera e bella Cene-rentola le sue sorellastre e l’orrida matrigna. Questo conflitto per la supremazia sulla bellezza ri-chiama l‘attenzione sul rapporto tra l’invidia e la donna,che presto vedremo.

UN VIZIO «SESSUATO»? SPECIFICITÀ DELL’INVIDIA MASCHILE E FEMMINILE

Un elemento molto importante quando si riflette sullepassioni umane e, come nel presente inserto, sul viziodell’invidia, è la capacità di esplorare i lati più nascostidell’antropologia maschile e femminile. Possiamo infattichiederci se corrisponde più al vero, come ritenevaFreud, che esista un’«invidia del pene» che le donneavrebbero nei confronti degli uomini, o se, al contrario,sia più attendibile e fondata un’«invidia del grembomaterno» (cioè della fecondità e del potere riproduttivo)da parte dei maschi nei confronti delle donne. Diciamosubito che non sarà certo nostro obiettivo dare una ri-

L’invidia non è unapassione unilaterale, deimaschi o delle femmine,ma reciproca poiché si èinsieme invidiosi e invidiati.Anche tra la madre e lafiglia c’è invidia dell’unaverso l’altra.

Tiziano, Caino e Abele, 1542-1544

(particolare)

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che Elena Pulcini riassume così: «Melania Klein ha vistonell’invidia verso la madre la forma primigenia di questapassione letale, che mina fin dalla nascita l’amore e lagratitudine, il seno materno, il seno buono, fonte dinutrimento e di vita, diventa infatti oggetto di fantasiedistruttive quando il bambino si sente deprivato dellecure e dell’amore che da esso si esplica. L’invidia delseno si trasforma allora in un potente impulso a dan-neggiare l’oggetto amato»4.

OLTRE L’INDIVIDUO. LA DIMENSIONE «SOCIALE» DELL’INVIDIA

Abbiamo già sottolineato che il germe dell’invidia ca-ratterizza ogni relazione e si annida nel confrontarsi,nel paragonarsi e nel misurarsi con gli altri. Questovale sia a livello interpersonale nei rapporti io-tu, sé-altro, sia a livello sociale collettivo, ossia nel rapportotra gruppi, ceti e classi sociali.Scrive in proposito Elena Pulcini: «Lo aveva ben capitoJean-Jacques Rousseau quando, nel Discorso sull’ori-gine ed i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini,riconosceva nella compassione l’inizio della relazionetra gli uomini. Noi siamo esseri numerici, naturalmenteportati a paragonarci con gli altri, immersi in un tessutorelazionale all’interno del quale si forma la nostra stessaidentità»5.Possiamo inoltre affermare che l’invidia non è soltantoun affare «privato» come la gelosia, ma possiede ancheuna dimensione sociale e collettiva. Invidia e gelosianon devono essere confuse tra di loro: l’invidia nascedal desiderio di avere ciò che non si possiede, mentrela gelosia trova origine nella paura di perdere ciò chesi ha. Anzi, la vera gelosia è quella che si prova versouna «persona» che amiamo, non certo verso una realtà,seppure importante come la ricchezza, l’intelligenza, ilsuccesso, la bellezza, il prestigio, ecc.; insomma, mentrela gelosia è una passione squisitamente privata, l’invidiaè una passione anche sociale e proprio per questo piùpericolosa e devastante della gelosia nelle sue riper-cussioni pubbliche sul piano economico e politico.La dimensione sociale dell’invidia ci porta a fare riferi-mento alla nota teoria di Nietzsche sulla «morale degli

sposta certa ma solo indicare il livello di profondità e diconflittualità che si scatena quando si ragiona sull’in-vidia. Vengono rimessi in discussione anche i rapporti,i legami e le relazioni apparentemente indiscutibilicome quello tra fratelli (Caino e Abele, Isacco e Ismaele,Giacobbe ed Esaù, Giuseppe ed i suoi fratelli) e tra so-relle (Cenerentola e le sorellastre) e perfino tra madree figlia (come presto si dirà).A mandare definitivamente in soffitta la vecchia teoriafreudiana sull’invidia del pene ci ha pensato Bruno Bet-telheim in Ferite simboliche dove parla anche di un’«in-vidia dell’utero».Bisogna, insomma, liberarsi di quella cultura «fallocen-trica» che si era insinuata anche all’interno del femmi-nismo degli anni ’70.L’invidia, tuttavia, non è una passione unilaterale, deimaschi o delle femmine, ma reciproca poiché si è in-sieme invidiosi e invidiati. Anche tra la madre e lafiglia c’è invidia dell’una verso l’altra. Ad esplorarequesta invidia, che viene il più delle volte rimossa èstata la psicoanalista Melania Klein nel libro Invidia egratitudine2 che è bene leggere insieme a quello diMaria Moretti L‘enigma della maternità 3 dove si cercadi smontare gli stereotipi più atavici e zuccherosi sullamaternità. Insomma, la Klein ci aiuta a vedere la con-nessione tra invidia del seno e invidia per la madre

Piero della Francesca, Battesimo di Cristo(1140-60), particolare

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schiavi», ossia ai motivi dell’altruismo e dell’egualita-rismo cristiano. Ma tale richiamo ai principi dell’ugua-glianza e della giustizia sociale mostra con evidenzal’intreccio politico che lega il tema dell’invidia socialecon quello della democrazia e, dunque, della polis.

UN MONDO SENZA INVIDIA? NO, GRAZIE! MA SE...

Con questo paragrafo conclusivo desideriamo far pren-dere coscienza al lettore dell’insidia che si nascondequando si è portati a ritenere che sia possibile una con-vivenza sociale senza il male, senza vizi collettivi e dun-que senza invidia. Quasi esistesse sulla terra l’even-tualità di costituire una società di «angeli», l’ennesimariproposizione dell’Eden che non tramonta mai.Ebbene, noi ci opponiamo a questa concezione ingenuaed infantile - e soprattutto per questo veramente dis-educativa - che teme di delineare una società futura intermini realistici e conflittuali, dove cioè le virtù coesi-stono con i vizi, il bianco con il nero, in quelle sfumaturedi grigio che assumono un posto sempre più rilevantenella tavolozza dei colori per una nuova umanità. D’altra parte la nostra rilettura dei vizi collettivi vuolesituarsi tra nichilismo ed etica pubblica perché soltantocosì riusciamo ad evitare - a noi sembra - sia il cata-

strofismo di maniera, sia l’utopismo consolatorio. È in-vece alla «profezia» che intendiamo collegarci. Ma i pro-feti che si sono succeduti nella storia non vanno confusicon gli «indovini», vanno invece ascoltati come personeche aprono il futuro con le loro parole ed i loro gesti,nella coerenza talora non priva di limiti e di compren-sibili contraddizioni. La voce del profeta ci sembra interessante perché osacombattere le passioni con la passione. I profeti di cuiparliamo non sono solo persone religiose o cristiane,anche se sono quelle che noi conosciamo meglio dialtre. Il futuro di un mondo nuovo non ci chiede di ri-nunciare alla fedeltà a noi stessi, né alla consapevolezzadella nostra unicità poiché, come conclude Elena Pulcini,essa «rappresenta l’unica chance che abbiamo di tra-sformare lo sguardo maligno (cioè l’invidia) verso l’altroin una relazione di reciproco riconoscimento»6. Un pro-feta che appartiene alla nostra tradizione culturale econ cui ci piace concludere questo inserto sull’invidia èGiovanni Battista, il quale, parlando di Gesù prima cheiniziasse la sua missione pubblica, così dice: Oportetillum crescere, me autem minui (bisogna che Lui crescae che io diminuisca). Ecco, questa ci sembra essere unarelazione senza invidia. Profetica, appunto!

1 E. Pulcini, Invidia. La passione triste, Il Mulino, Bologna 2011 p. 67.2 M. Klein, Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze 1985.3 M. Moretti, L‘enigma della maternità, Carocci, Roma 2008.4 E. Pulcini, op. cit., p. 124.5 Ibid., p. 13.6 Ibid., p. 135.

BIBLIOGRAFIA

F. Alberoni, Gli invidiosi. Garzanti, Milano 2000

P. De Nardis, Invidia. Un rompicapo per le scienzesociali, Meltemi, Roma 2001

M. Klein, Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze1985

E. Pulcini, Invidia. La passione triste, Il Mulino,Bologna 2011

A. e B Ulanov, Cenerentola e le sorellastre. Sul-l’invidiare e sull’essere invidiosi, Moretti e Vitali,Bergamo 2004

La nostra rilettura dei vizicollettivi vuole situarsi tranichilismo ed eticapubblica perché soltantocosì riusciamo ad evitaresia il catastrofismo dimaniera, sia l’utopismoconsolatorio. È invece alla“profezia” cheintendiamo collegarci

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ACQUA NATURALEVS ORO BLUIMBOTTIGLIATOBUONE PRATICHE TRA SOCIETÀ CIVILE E SCUOLA

PATRIZIA CANOVA

L’acqua, considerata l’oro blu del terzo millennio, è senza dubbiouna merce che alimenta business miliardari in tutto il mondo.Si stima che siano circa 120 i miliardi di litri di acqua imbotti-

gliata annualmente, con un mercato che vale intorno agli 80 miliardidi dollari. Per rimanere a casa nostra, quello delle acque mineraligenera più di 5 miliardi e mezzo di euro all’anno. L’Europa occidentaleconsuma 1/3 del totale, pur avendo solo il 6% della popolazione mon-diale, e produce circa 38 miliardi di litri (33,7 miliardi di acqueminerali e 4,1 di acque di sorgente). Nel mercato mondiale, l’Italia sicolloca al terzo posto per consumi pro capite, con 205,6 litri e la fada padrone anche nella produzione mondiale di acqua minerale,con oltre 300 marche e 192 fonti diapprovvigionamento. Per non par-lare del milione di Tir impegnati neltrasporto dell’acqua minerale daNord a Sud del paese, delle 910 milatonnellate di CO2 emesse nell’atmo-sfera e delle 350 mila tonnellate dipet da smaltire per le bottiglie con-sumate5.Leggendo questi dati, probabilmen-te la prima reazione di molti potreb-be essere quella d’impotenza difronte a uno scenario preoccupantee destinato irrimediabilmente a peg-giorare. E invece, basta guardarealle molteplici azioni promosse dallasocietà civile, per capire che il dif-fondersi capillare di buone pratiche è la risposta più efficace per ri-vendicare l’acqua come diritto e bene comune anziché come merceche genera profitto.Negli ultimi anni, infatti, associazioni, movimenti, privati cittadini, entilocali hanno cominciato a mobilitarsi per la difesa dell’acqua e dellesue fonti. Sono nate così una serie d’iniziative per difendere l’acquadel rubinetto e per salvaguardare questo bene comune così impor-tante e così a rischio. Il Comitato Italiano per il Contratto mondialedell’acqua si è fatto promotore di un Manifesto Internazionale del-

memente i loro bisogni di acqua. Non ultima, lasacrosanta esigenza di città e paesi di avere as-sicurato l’approvvigionamento di acqua potabilein tutte le case. Quindi impianti di captazione,depurazione e distribuzione. Così l’acqua iniziaad avere un costo, diversamente da quando siattingeva al fiume o dal pozzo, ed il costo significaprezzo. Addio all’acqua gratis. Come dicevo pri-ma, nelle società moderne è il prezzo a definireil valore, non viceversa; gli sforzi per mantenerebasso il prezzo dell’acqua ne hanno depresso ilvalore e, quindi, incoraggiato lo spreco. Guar-diamoci in casa: cerchiamo di risparmiare suiconsumi di energia elettrica, su quelli del gas.Coibentazioni, doppi vetri, lampade ed elettro-domestici a basso consumo, ma chi si preoccupadell’acqua, la cui tariffa è ridicolmente bassa?Ogni spreco è autorizzato, dalle piscine privatealle fontane comunali a perdere, alle irrigazioniinutili. E qui arriviamo al primo nodo. Partiamoda un punto fermo: nessuno può essere privatodell’accesso all’acqua per qualsiasi motivo, com-presa la difficoltà a pagare le bollette. Detto que-sto, l’acqua, in un sistema che inizia ad averesete, deve costare di più. E qui cominciano i do-lori: una delle grida di guerra era che «nessunodeve fare profitti sull’acqua»; quindi se l’acquacosta dieci ed io porto il prezzo a quindici perscoraggiarne lo spreco, a chi va il surplus? Nonal gestore, altrimenti l’acqua non è più Bene Co-mune ma diventa ricerca di business per ottenereguadagni che vanno oltre la copertura dei costie la remunerazione dei capitali impiegati. La ri-sposta è apparentemente semplice: essendo loStato il detentore dei diritti sull’acqua, sta a luidefinire i capitolati di concessione e stabilire,per esempio, che il surplus del prezzo dell’acquadebba ritornare al pubblico, magari con vincolidi destinazione ad usi sociali. Uno Stato che nonsi vergogna di incassare miliardi incoraggiandoed attrezzando la dipendenza dal gioco d’azzardodei suoi cittadini, né di ritoccare continuamenteal rialzo i ticket per le prestazioni sanitarie, po-trebbe progettare misure simili, che incoraggianoil risparmio di questo bene essenziale procuran-do risorse alla pubblica amministrazione, magarida investire laddove (come in Sicilia) la popola-zione deve ancora andare a prendere l’acquacon le taniche alle autobotti del Comune perchéqualcuno signoreggia sui bacini idrici. Ma queste sono solo immagini di un vecchio vi-sionario, che si ostina a credere ancora in unPubblico che faccia il suo mestiere. Cestinatele,sono fuori moda. nnn

dossierACQUA

NEL MERCATO MONDIALE,

L’ITALIA SI COLLOCA AL

TERZO POSTO PER CONSUMI

PRO CAPITE, CON 205,6 LITRI

E LA FA DA PADRONE ANCHE

NELLA PRODUZIONE

MONDIALE DI ACQUA

MINERALE, CON OLTRE 300

MARCHE E 192 FONTI

DI APPROVVIGIONAMENTO

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l’Acqua6, il Cipsi ha lanciato la Campagna pluriennale «Liberal’Acqua» e la Carta Etica dell’Acqua, il Forum italiano dei mo-vimenti per l’acqua ha promosso i tre referendum abrogatividella Legge Ronchi sulla privatizzazione dell’acqua. Gli entilocali si sono organizzati, dando vita ad un «CoordinamentoNazionale per l’Acqua Bene Comune e la Gestione Pubblicadel Servizio Idrico». E ancora la campagna «Imbrocchiamoci»,lanciata in Veneto e «Acqua in brocca» lanciata in Toscanaper difendere l’acqua del rubinetto, hanno visto la partecipa-zione di moltissimi enti locali che si sono fatti promotori a lorovolta di campagne informative sull’acqua potabile e la sua af-fidabilità, hanno implementato i controlli un laboratorio, hannoeliminato l’acqua in bottiglia dalle mense scolastiche e hannolanciato il patto con i cittadini per bere a chilometro zero. Persalvaguardare l’ambiente e consentire alle famiglie un rispar-mio sull’acquisto delle acque minerali in bottiglia, in molti co-muni lombardi sono sorte le «Case dell’acqua»: piccole strut-ture che erogano l’acqua dell’acquedotto, con la possibilitàdi averla sia naturale sia gassata, a temperatura ambiente orefrigerata. Molto importante per promuovere una cultura dell’acquacome bene comune ed educare le giovani generazioni affinchépossano diventare cittadini attivi e responsabili anche il ruologiocato dalle agenzie educative in generale e dalle scuole inparticolare. E anche su questo fronte le buone pratiche sonoandate moltiplicandosi negli anni. Basta dare una scorsa alleiniziative pubblicizzate in rete dagli istituti scolastici di ogniordine e grado per trovarsi di fronte a un panorama variegatoe interessante. Numerosissimi i laboratori e gli interventi rea-lizzati per creare consapevolezza sul piano dei comportamentiindividuali (risparmio idrico), approfondire la conoscenzadelle politiche di gestione delle risorse naturali, far conosceregli squilibri Nord/Sud del mondo legati all’accesso e all’usodelle risorse idriche, favorire l’assunzione di comportamentidi consumo critico e stimolare la ricerca di soluzioni che con-sentano l’accesso alla risorsa acqua a tutte le popolazioni delpianeta. Tra i molti esempi possibili, segnaliamo il progetto «AcquaBene Comune»7 che dal 2008 a oggi ha messo in rete circa2000 studenti di 15 istituti della provincia di Milano, ha pro-mosso azioni di sensibilizzazione territoriale interamente gestitedagli studenti e dai loro insegnanti e ha dato vita a un sitoricco di materiali e spunti didattici8 per tutti coloro che volesseroaffrontare la tematica. (P.C.) nnn

dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

28 | cem mondialità | ottobre 2013

5 Dati ricavati dal Dossier Acqua 2011 a cura del CIPSI (Coordinamento di Ini-ziative Popolari di Solidarietà Internazionale) http://cipsi.it/chi_siamo/6 http://contrattoacqua.it/public/upload/1/2/tab_elms_docs/1329739898ma-nifesto-di-lisbona.pdf7 Il progetto «Acqua Bene Comune» è stato ideato da alcune associazioni eOng impegnate sul tema dell’acqua da diversi anni. Il progetto è sostenutodall’Assessorato all’istruzione e all’edilizia scolastica della Provincia di Milanoe dalle aziende del servizio idrico integrato della provincia di Milano.8 http://www.scuoleacqua-abc.it/Default.aspx

ACQUA E RELIGIONI«PRIVATIZZARE L’ACQUA

EQUIVALE A RUBARE,

POICHÉ SI RICAVA UN PROFITTO ILLECITO

DA CIÒ CHE È UN DONO DI NATURA»

ALEX ZANOTELLI

«…LAUDATO SI’, MI SIGNORE,

PER SORA ACQUA, LA QUALE È MULTO UTILE

ET HUMILE ET PRETIOSA ET CASTA».

SAN FRANCESCO D’ASSISI, DA LAUDES CREATURARUM 1224-1226

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ottobre 2013 | cem mondialità | 29

dossierACQUA

LA PRESENZADELL’ACQUANELLE RELIGIONIMARCO DAL CORSO

Nel buddhismo zen i monaci e le monache sono indicati conla parola unsui, che vuol dire nuvole d’acqua, perché sannoattraversare la realtà in modo leggero. Ogni ruscello, poi,

è simbolo del dharma, un’immagine che indica che ogni dottrina ècome una zattera per attraversare il fiume: le religioni, insomma,sono mappe e non territori! Il termine hinduismo deriva dalla parolasanscrita shinhu, cioè fiume. Il destino più elevato, inoltre, è morirein riva al Gange e affidare al fiume le ceneri del corpo. Mentreprima di frequentare le moschee è necessaria la purificazione ha-ram, tramite le abluzioni con l’acqua mentre si recita la formula dibasmala. Nelle tradizioni di tipo afro-americano, invece, ha impor-tanza capitale la figura della dea Iemanjà, regina del mare, mentrenelle tradizioni scintoiste l’acqua è la virtù che beneficia le culturedella vita e la persona virtuosa è paragonata all’acqua dolce. Nellatradizione ebraica l’acqua rappresenta la torah: come non si vivesenz’acqua, così non si vive senza legge. Nel culto ebraico, poi,l’acqua serve per la purificazione così come nel culto cristiano delbattesimo si usa l’acqua che serve per «immergere» e «lavare»come indica il senso etimologico greco del verbo battezzare.

IL DOVERE DELLE RELIGIONI NEI CONFRONTIDELL’ACQUA COME «BENE COMUNE» E «RES PUBLICA»

Se è vero che le religioni non fondano l’etica, ma solo la dicono, al-lora, è importante segnalare il contributo che esse portano al tema

dell’acqua come bene comune. Le religioni, cioè, non sono indi-spensabili per dire i principi fondanti i diritti all’acqua come benecomune: per questo basta la riflessione etica. Eppure esse vannoascoltate per riscoprire una nuova grammatica circa i diritti e so-prattutto i doveri anche nei confronti dell’acqua come bene. Sel’etica è in grado di dire che «l’acqua è vita, non c’è vita senzaacqua. La disponibilità e l’accesso all’acqua per la vita sono undiritto umano (universale, indivisibile ed imprescrittibile)» (v. art. 6del Manifesto ABC dell’acqua ebeni comuni), le religioni aggiun-gono che «se io ho sete, questoè un problema materiale, se l’al-tro ha sete, questo è un problemaspirituale» (dalla mistica cristia-na). Il primato dell’altro e dellasua sete è dovere spirituale pri-ma che impegno caritativo!E se la riflessione etica è in gradodi dichiarare che «l’acqua è unbene comune pubblico collettivo,tutti gli esseri umani ne sono re-sponsabili secondo le regole fis-sate dalla collettività» (art. 7 delmanifesto sopra citato), le religioniarricchiscono il principio dell’ac-qua come «res pubblica» richia-mando il valore dell’acqua comedono dato dal Creatore. Primache res essa è dono di cui essere responsabili. E proprio quandol’etica afferma che «il governo dell’acqua e dell’insieme delle attivitàdel ciclo lungo dell’acqua è della responsabilità politica delle collet-tività pubbliche» (art. 8 del manifesto dell’acqua), le religioni sono lìa ricordare che responsabilità significa prima di tutto «rispondere albisogno dell’altro» perché diversamente dalla filosofia moderna cheafferma «penso dunque sono», le religioni riconoscono, piuttosto,che «sono stato pensato, dunque sono». La responsabilità, cioè,prima che un’affermazione di autonomia (a partire da sé), è il rico-noscimento del rapporto costitutivo con gli altri (rispondo al bisognodell’altro). Qui la novità e il contributo dei mondi religiosi anche peraffermare il valore dell’acqua come bene comune. nnn

LE RELIGIONI NON SONO

INDISPENSABILI PER DIRE I

PRINCIPI FONDANTI I DIRITTI

ALL’ACQUA COME BENE

COMUNE: PER QUESTO BASTA

LA RIFLESSIONE ETICA.

EPPURE ESSE VANNO

ASCOLTATE PER RISCOPRIRE

UNA NUOVA GRAMMATICA

CIRCA I DIRITTI E

SOPRATTUTTO I DOVERI

ANCHE NEI CONFRONTI

DELL’ACQUA COME BENE

GLI AUTORI DEL DOSSIER

PATRIZIA CANOVA

DOCENTE E FORMATRICE DIEDUCAZIONE INTERCULTU-RALE, MEDIA E CINEMA. DATEMPO OPERA PER CEM.

[email protected]

MARIO MILANESI

AFRICA PROGRAMME MANA-GER, WATER & SANITATION,FONDAZIONE ACRA-CCS

GIANNI CALIGARIS

COLLABORATORE DI CEM DAMOLTI ANNI, SI È SEMPRE OC-CUPATO DI ECONOMIA ETICA-MENTE ORIENTATA.

[email protected]

MARCO DAL CORSO

TEOLOGO E INSEGNANTE. SIOCCUPA DI TEMI LEGATI ALDIALOGO INTERRELIGIOSO.REDATTORE DI CEM MONDIA-LITÀ.

[email protected]

DANIELE BARBIERI

GIORNALISTA, HA SCRITTOPER VARIE RIVISTE. HA PUB-BLICATO LIBRI E TESTI SCO-LASTICI. CURATORE DELLARUBRICA «DOMANI È ACCA-DUTO» SU CEM MONDIALITÀ.

[email protected]

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dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

9 Questo sentiero di letture nella fantascienza è uscito, sul settimanale «Carta»,nel maggio 2007 a firma Erremme Dibbì, ovvero Riccardo Mancini e DanieleBarbieri.

ACQUA FRITTAE FUTURI A SECCOERREMME DIBBÌ

«Soprattutto aveva paura dell’acqua, a causa delmodo in cui l’acqua è. Cercò di usarla tutta, sep-pellendo le fonti, costruendo dighe sui fiumi. Ma

quando si beve, poi si deve orinare. L’acqua torna a scendere.Come cresce il deserto, così cresce il mare. Perciò PiccoloUomo avvelenò il mare. Tutti i pesci morirono. Ogni cosa co-minciò a morire». Così Ursula Le Guin, oggi arzilla nonnina,nel romanzo Sempre la valle.Sorella fantascienza ci ha avvisato. L’acqua sta finendo, perfino«il mare è andato a male». James Ballard nel racconto L’ultimapozzanghera dà in diretta l’assassinio dell’ultimo pesce sulfondo dell’oceano prosciugato. «Il lago Atlantico, un bracciod’acqua stagnante lungo 16 km e mezzo e largo uno e mezzo,era tutto quello che restava degli oceani […] Nel centrogiaceva il corpo schiacciato ma ancora guizzante del pesce».Due ragazzi lo hanno ucciso a sassate e un inguaribile ottimistacommenta: «Mi dispiace ma non è la fine del mondo». Appa-rentemente al lato opposto, nel romanzo Deserto d’acquaBallard ci mostra un pianeta-laguna, sommerso dallo sciogli-mento delle calotte polari, altrettanto inabitabile.

Periodicamente la ricca New York va in crisi d’acqua e ognitanto qualcuno propone di razionarla. Ma l’idea di fare ladoccia a giorni alterni getta nel panico i cittadini spreconi.Che dovrebbero invece rileggere Largo, largo di Harry Har-rison [del 1966]: in una sovraffollata New York l’acqua è tal-mente poca che si può solo riempire qualche bottiglia nellefontanelle guardate da soldati armati, sperando di non essereaggrediti dagli scippatori di H2O in agguato; oppure si bevel’acqua del fiume, «veleno puro». Una catastrofe che l’insensatosfruttamento ha da tempo concretizzato in molte parti del pia-neta ma i succhia-risorse [altrui] statunitensi mai l’avrebberopensata in casa loro dove un neonato stelle-e-strisce media-mente consuma in un giorno l’acqua per un anno d’un bimboafricano. I tragi-comici amministratori di Clyde [Usa e dovesennò?] nell’estate 1988 di fronte a un’imprevista siccità pa-garono 2000 dollari ai pellerossa superstiti per «una danzadella pioggia». Patetica resa della pretesa onnipotenza tec-nologica ad antiche magie. Era meglio dar retta a Platone:«La legge sull’acqua sia dunque questa: chi corrompe conveleni l’acqua altrui sia citato in giudizio; se colpevole […]oltre alla multa sia condannato a purificare le fonti o il depositod’acqua». Ancora un passo e ci ritroviamo nel ciclo di Dune di FrankHerbert, dove è un delitto persino piangere perché così sispreca una goccia del liquido più raro che ci sia. Un passopiù in là Howard Fast recupera un’antica favola nera - in altraversione in La ballata dell’amore cieco di De Andrè - con«l’unico figlio di una madre […] che vittima di un amore follele strappa il cuore». Nel racconto La ferita quel figlio impazzitosiamo tutti noi. Continuiamo a trivellare la madre-Terra percercare petrolio rimanendo sorpresi quando… sgorga sanguee non sappiamo se quella ferita si chiuderà: «Voi uomini fetentisapete solo uccidere […] non avete imparato a fare qualcosadi vivo […] E adesso è troppo tardi».Infine un delirio che mai potrà accadere. Pensate a un pianetapieno di acquedotti e con l’acqua che comodamente arrivain quasi tutte le case [almeno nella parte più ricca del pianeta],da comodi rubinetti. Una bella utopia, no? E ora immaginateche un gruppo di pazzi inizi a imbottigliare l’acqua, a traspor-tarla da una parte all’altra [su veicoli inquinanti] per venderla,a caro prezzo, alle stesse persone che potrebbero berla, quasigratis, a casa loro; provate per un attimo a pensare che i go-verni li lascino fare e che la gente ci caschi. Impossibile no?Oppure provate a immaginare che ci sia un referendum eche subito dopo...9. nnn

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elisabetta sibilio elisabetta. [email protected]

Le cosee la letteratura

L e cose e la letteratura... praticamente un argo-mento infinito. Le cose sono ovunque: sulle co-pertine dei libri, nei titoli cioè, e dentro i libri. E

dentro i libri, sul filo della memoria, cominceremo acercare. Partiamo da lontano: sulla Luna Astolfo cercail senno di Orlando tra le migliaia di cose perdute sullaTerra che lì vanno a finire.

Da l’apostolo santo fu conduttoin un vallon fra due montagne istretto,ove mirabilmente era riduttociò che si perde o per nostro diffetto,o per colpa di tempo o di Fortuna:ciò che si perde qui, là si raguna.....Lungo sarà, se tutte in verso ordiscole cose che gli fur quivi dimostre;che dopo mille e mille io non finisco,e vi son tutte l’occurrenze nostre:sol la pazzia non v’è poca né assai;che sta qua giù, né se ne parte mai.

L. Ariosto, Orlando Furioso, c. XXXIV

E qui finalmente, tra «versate minestre» e «bocce rotte»trova l’ampolla cercata. E spesso nei libri le cose sonocercate, sono oggetti simbolici o magici e per trovarlegli eroi mettono in campo tutte le loro qualità e a re-pentaglio la loro vita: il senno di Orlando, il Vello d’oro,il sacro Graal, l’Arca perduta…Tutte cose, quelle appena nominate, che anche trovatenon sono di chi le trova ma appartengono a chiunquecreda nel loro valore. Un valore che non è mai monetario,materiale, ma ideale e simbolico, sono cose che rap-presentano altro, sono segni.Tornando sulla terra, un paio di secoli dopo, troviamo,su un’isoletta sperduta dell’Atlantico, un vero campione

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Che ci fa un barometro in questo placido salottoborghese? Ci ricorda che fuori di lì, e fuori dallibro, c’è un mondo con i suoi fenomeni me-teorologici. Ma più avanti, nello stesso racconto,ecco un passaggio che illumina da un altropunto di vista il nostro discorso sulle cose:«Quel luogo, nel quale erano ammesse pochepersone, sembrava tanto una cappella quantoun bazar, data la gran quantità di oggetti reli-giosi e di cose disparate che conteneva.Un grosso armadio impediva la completa aper-tura della porta. Di fronte alla finestra chedava sul giardino, un occhio di bue si affacciavasul cortile; su un tavolo, accanto alla branda,erano appoggiati una brocca per l’acqua, duepettini e un cubo di sapone blu in un piattosbreccato. Appesi al muro c’erano dei rosari,delle medaglie, diverse madonnine, un’acqua-santiera in noce di cocco; sul comò, drappeg-giato come un altare, la scatola ricoperta diconchiglie che le aveva regalato Victor, poi unannaffiatoio e un posticcio, dei quaderni, illibro di geografia illustrato, un paio di stivaletti;e al centro dello specchio, appeso per i nastri,il cappellino di peluche! Félicité spingeva que-sta sorta di culto fino a conservare una redin-gote del signore. Tutte le cose vecchie che lasignora Aubain non voleva più, lei le prendevaper camera sua. Così fu che c’erano dei fiorifinti sul bordo del comò e il ritratto del conted’Artois nella nicchia del lucernaio» (GustaveFlaubert, Un animo semplice trad. it. di Elisa-betta Sibilio, Portaparole, Roma-Parigi 2009).

La protagonista di questo racconto, Félicité, haun vero e proprio culto per le cose che peròhanno per lei una funzione affettiva. Non le in-teressano in quanto tali ma in quanto sono ap-partenute o lo sono state donate da qualcuno acui voleva bene. Ed ecco che il nostro cerchio,provvisoriamente, si chiude. Siamo tornati acose che non hanno valore in sé ma per quelloche rappresentano. Ma per i personaggi dei ro-manzi, come per noi, questo genere di cose nonha un valore assoluto, riconosciuto da altri, nonsi tratta di amuleti né di oggetti simbolici, nonservono a fondare religioni né a costruire imperima nella loro semplicità ci aiutano a provaresentimenti, sensazioni, a ricordare. nnn

1 F. Moretti, The Bourgeois, Versus, London 2013, p.61, la traduzione è mia.2 R. Morselli, Le cose, in CEM Mondialità, giugno-luglio 2013, pp. 39-40.3 R. Barthes, L’effetto di reale, in Il brusio della lingua,Einaudi, Torino 1988, p. 158.

dell’utilitarismo borghese alle prese con undisastroso naufragio e con la necessità di pro-curarsi cose utili, appunto. Ritrovata quasi in-tatta, ma deserta, la nave con cui era arrivatofin lì, Robinson Crusoe cerca di recuperarecose prima che vadano perdute in fondo al-l’oceano: «Ora l’unica cosa di cui avevo bisognoera un’imbarcazione, per rifornirmi di unaquantità di cose che, lo prevedevo, mi sareb-bero state di grandissima utilità. La circostanzam’indusse a mettermi in cerca di indumenti,e ne trovai in abbondanza, ma mi limitai a pre-levare quanto mi serviva per uso immediato,perché altre cose mi premevano di più, e so-prattutto gli arnesi da lavoro. Riuscii nondi-meno a portar via molte cose oltremodo utili:innanzitutto fra gli attrezzi del carpentiere tro-vai due o tre sacchi pieni di chiodi e di borchie,un grosso martinetto e una o due dozzine diaccette, ma soprattutto una mola per affilare,cosa utilissima fra tutte».

Qui le cose non sono più simboli, segni dialtro, sono ridotte alla loro materialità. Ro-binson le vuole, le desidera, perché gli man-cano, perché solo «usando» le cose potrà spe-rare di ottenere una seppur pallida immaginedel mondo da cui proviene. «Stabilità e affi-dabilità, questo è il significato delle cose inDefoe»1. Le cose sono concepite al servizio diuna visione del mondo che ha l’utile come va-lore principale. E tutte le cose recuperate daRobinson appartengono all’ordine dell’uti (chesi oppone al frui, come ricordava nel numerodi giugno-luglio 2013 di questa rubrica Ro-berto Morselli riferendosi a Rubem Alves2,che a sua volta recuperava queste categorieda Sant’Agostino) come emerge chiaramentedall’insistenza con cui Defoe utilizza l’aggettivouseful (utile). Perfino il denaro perde comple-tamente il suo valore al cospettodelle cose: «La vista di quel de-naro mi fece sorridere: “Spaz-

zatura!” esclamai ad alta voce. “Non vali piùnulla per me, nulla di nulla, non fa conto nem-meno raccoglierti da terra; uno solo di questicoltelli mi è molto più utile di tutto questomucchio di quattrini. Non so proprio che far-mene di te, quindi resta dove sei, come unacreatura indegna di salvezza”» (Daniel Defoe,Robinson Crusoe, trad. it. di Franco Prattico,Newton Compton, Roma 2011).

Bisogna aspettare un altro secolo perché que-sta visione del mondo borghese (e capitalista,come si è cominciato a chiamarla a seguitodel Manifesto del partito comunista di Marx eEngels del 1848) cominci a incrinarsi e alloraappaiono in letteratura una serie di indimen-ticabili personaggi che cercano di soppiantareil valore dell’utile con l’aspirazione alla libertàe alla bellezza. Si tratta di personaggi perdentiperò, come Madame Bovary o Anna Karenina,che si tolgono la vita oppresse da un mondofatto di convenzioni.Per tornare alle cose, è proprio il cosiddetto«romanzo realista» ottocentesco a dare unnuovo senso alle cose. Le sue pagine sonodisseminate, come ha insegnato Roland Bar-thes, di dettagli, di cose che portano baglioridi realtà nell’universo immaginario della let-teratura3 facendo somigliare quel mondo im-maginario al nostro. E l’osservazione di Bar-thes parte da questo passo tratto da Un animosemplice di Flaubert: «Lungo la parete im-biancata erano allineate otto sedie in legno dimogano. Un vecchio pianoforte sopportava,sotto un barometro, un mucchio piramidale discatole e cartoni. Due bergère ricamate a mez-zo punto erano sistemate ai lati del camino inmarmo giallo, in stile Luigi XV».

«OGNI OGGETTO AMATO

È IL CENTRO

DI UN PARADISO» Novalis

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agenda interculturaleEducazioniinterculturaliin MessicoAlessio [email protected]

ottobre 2013 | cem mondialità | 33

agenda interculturale

A vete già sentito volgere «educazione interculturale»al plurale? Il sociologo messicano Eduardo San-doval Forero lo fa e nel raccontare le «educazioni

interculturali» non ha bisogno di uscire dai confini del suopaese natale. Per l’editore Estudios Sociologicos, ha datoalle stampe, e mette a disposizione tramite internet1, un li-bro (in spagnolo) che presenta numerosi spunti di riflessioneanche per chi non opera nelle Americhe: da un approcciocritico all’educazione interculturale, alle prospettive dellepopolazioni indigene, alla definizione di tre modelli di edu-cazione interculturale.Al cuore del libro stanno le proposte educative che nasconodalle lotte delle popolazioni indigene, ma anche l’analisidelle risposte in chiave di educazione formale che sonostate fornite dallo Stato messicano a tali lotte. Il testo diSandoval ripercorre l’introduzione nei sistemi educativi del-l’America Latina dell’educazione bilingue (che riconoscealcune lingue indigene locali) a partire dagli anni Settantadel secolo scorso e che negli ultimi anni ha riguardato ogniordine e grado dei sistemi di istruzione, anche universitaria,come documentato dal progetto coordinato per l’Unesco2

da Daniel Mato, con pubblicazioni in spagnolo su esperienze

chiave, sui centri attivi, sui rapporti fra aspetti interculturalie cultura della sostenibilità e del buen vivir, all’interno del-l’Osservatorio sulla diversità culturale e l’interculturalità3.Il libro di Sandoval riprende la questione posta recentementeda Jiménez Naranjo: come evitare false presunzioni di «re-lazioni armoniche» fra cultura comunitaria e istituzioniscolastiche? Rimettendo al centro una «pedagogía críticadel control cultural» della scuola, sostengono ricercatoricome Gunther Dietz e Laura Selene Mateos Cortés (peresempio in «Interculturalidad y educación Intercultural enMéxico»4. Viste dall’Europa queste istanze ci ricordanocome in America Latina il dibattito sull’educazione inter-culturale sia molto legato alle dinamiche di esclusione ealla mancanza di riconoscimento che ancora caratterizzale relazioni fra governi centrali e popolazioni indigene equindi ai processi di etnificación política che riguarda leregioni che chiedono maggiore autonomia, dove, quindi,anche una educación autónoma tende pensare in chiavedifensiva e dicotomica ciò che è proprio e ciò che è alienoe come far fronte ai meccanismi di controllo impostidall’«esterno». Il lavoro di Sandoval pone l’attenzione sul-l’approccio educativo maturato in seno al movimento za-patista: i promotori educativi agiscono come «guide» cheintendono suscitare in chi apprende pratiche di relazioniorizzontali che sappiano far ricorso sia alle esperienze ealle conoscenze del promotore, sia a quelle di chi partecipaai processi educativi, nel tentativo di costruire collettiva-mente saperi a partire dalle comunità in cui si vive, consa-pevoli della «propria» storia. nnn

1 http://estudiosociologicos.com.ar/portal/blog/educaciones-interculturales/2 www.unesco.org.ve/index.php?option=com_content&view=article&id=22&Itemid=405&lang=es3 www.unesco.org.ve/index.php?option=com_content&view=article&id=2474&Itemid=642&lang=es4 www.uv.mx/iie/files/2013/01/Libro-CGEIB-Interculturalidad.pdf

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Ni chi le ma?Ecco come ci si saluta(va) in Cina

Lubna [email protected]

seconde generazioniqueste sconosciute

avessero pranzato o cenato. Una voltachiesi loro il perché. «È abitudine, un sa-luto cortese… sai quanto tengono i ci-nesi al cibo no?», anche loro sapevanoche era una cosa divertente chiederlo aigiorni nostri. Una volta stavo cammi-nando vicino alla stazione, e incontraimio zio che andava di fretta a prendereil treno. Correndo mi disse «Ciao, haimangiato?», «Sì e tu?» tutto contentoper avergli rivolto la stessa domanda mirispose «Anch’io, ora però corro a pren-dere il treno».Oramai avevo preso l’abitudine, e pen-savo che il saluto stesso fosse un’abitu-dine frutto di chissà quale ragione. Chem’importa, sai quante tradizioni seguia-mo senza capirne le origini e i motivi?Ma di questa strana forma di saluto, for-tunatamente ho scoperto la ragione. Loimparai tanti anni fa leggendo un testoche raccontava di un occidentale in Cinae delle sue avventure. Tra i tanti misteri

non capiva perché gli amici cinesi lo sa-lutassero con «Ni chi le ma?» (cioè «Haimangiato?»). Anche lui fece questa do-manda al suo insegnante. La spiegazionefu che la Cina affrontò nel corso dellasua storia tantissime carestie. Poter man-giare era considerato un lusso. Però ci siaiutava a vicenda e si dice che una dellepiù grandi caratteristiche della Cina siaproprio il valore della comunità. In effettiè proprio così. O almeno, lo era.Ricordo che mia madre mi raccontavadi mia nonna e che durante il comuni-smo in Cina «morire di fame» non eraper niente un modo di dire. Il riso eradistribuito in base al numero dei membridi famiglia ed essendo mio nonno al-l’epoca un missionario (e quindi consi-derato un ribelle dallo Stato) il cibo allafamiglia di mia madre era stato pratica-mente tolto. Ma il senso di comunità esolidarietà tra il parentado e il vicinatoera fortissimo. Mia nonna riceveva daglialtri nello stesso modo in cui aveva sem-pre dato. Condivideva con altre personeancor più bisognose e dava ai figli ciòche poteva bastare. L’avanzo non potevadurare fino al giorno dopo, se il tuo vi-cino ne aveva bisogno.Ora è diventata un’abitudine chiederese si ha mangiato o meno. Salutarsi con«Ni chi le ma?» è ancora frequente seb-bene sembri un’espressione po’ assurdaagli occhi degli altri. Oggi quando mianonna (quella paterna) mi telefona, enaturalmente la sua prima domanda do-po il «Ciao» è «Hai mangiato?», non rie-sco a non sorriderle… e rispondere «Sìe tu?» è una gioia per lei, una vera be-nedizione per me. nnn

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Cari lettori, per ilcontributo di questomese vi propongo unpost scritto da unaragazza di secondagenerazione difamiglia cinese. (l.a.)

di Mary Pan

Stai camminando per strada e in-contri un amico. Come lo salute-resti? Il «ciao» è certamente la cosa

più naturale, così come è ordinario ag-giungere un bel «come stai?». Poi c’èchi chiede «come stai» e senza ascoltarela risposta passa già a un altro argomen-to. Pensa invece se qualcuno ti salutassecon «hai mangiato?».«Bene, grazie» lo diciamo anche quandotanto bene non si sta… in fondo, perchéannoiare gli altri con i propri problemi?Ma nel rispondere a quest’altra domandac’è poco da mentire. La risposta è «sì» o«no» in base ai fatti. Ma a chi può venirein mente di salutare in questo modo?Ebbene sì! In Cina, ci si saluta propriocosì: «Hai mangiato?». Purtroppo però(o per fortuna), questo saluto piano pia-no verrà archiviato nel passato come tan-te altre usanze cinesi. Coloro che ancorasalutano in questo modo hanno dai 60anni in su.Il punto è: perché?Spesso sentivo i miei genitori parlare altelefono e chiedere all’interlocutore se

Spesso sentivo imiei genitori

parlare altelefono echiedere

all’interlocutorese avesseropranzato o

cenato. Unavolta chiesi loro

il perché...

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Pohl, la pubblicitàe il 2 per cento

A ll’inizio di settembre è morto, a 94 anni,Frederik Pohl, l’ultimo dei grandi del pe-riodo d’oro (anni 1950-70) della fanta-

scienza, immeritatamente poco noto in Italia,grande amico di Isaac Asimov e di Arthur Clarke.Oltre che eccellente scrittore fu un’ottima persona,sempre impegnata per cause giuste e in primiscontro le guerre. A sedici anni aveva aderito al-l’organizzazione dei giovani comunisti ma ne erauscito dopo il patto fra Hitler e Stalin; d’altronde– raccontò Pohl – era malvisto perché appassio-nato di fantascienza che, secondo certi comunisti,corrompeva la gioventù con i suoi strani sogni. Pohl iniziò a scrivere ma continuò a sognare senzadimenticare l’impegno sociale (negli anni ‘80 conAsimov fu in prima fila contro le «guerre stellari»di Reagan). Un pess-ottimista o, se preferite, unseguace della nota frase di Gramsci sul «pessimi-smo della ragione e ottimismo della volontà».Nei suoi migliori racconti si affaccia spesso il timoreche i nuovi fascismi nasceranno all’incrocio frapubblicità ovunque e merci obbligatorie. Ne hascritto nel racconto Il tunnel sotto il mondo (v.«CEM Monialità», gennaio 2013, p. 35) e nel ro-manzo breve La pubblicità è l’anima della guerrache ha per spunto questa frase di Charles Kette-ring, boss della General Motors negli anni Venti:«Il nostro lavoro principale nel campo delle ricercheè mantenere il cliente in un perenne stato di ra-gionevole insoddisfazione». Il suo romanzo più famoso resta I mercanti dellospazio, scritto con Cyril Kornbluth, dove si descrive,con grande anticipo (è del 1953) l’inferno che «imercanti» ci preparano lasciando spazio a un esilelieto fine: i cattivi si tengono la Terra e i buonivanno su Marte (che allora si credeva abitabile).Marte a parte, molto si è avverato e qualcosa no.A esempio gli spot non vengono proiettati infaccia a chi guida, per ora...

«Chi non spera quello che non sembra sperabile nonpotrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare,con il suo non sperarlo, qualcosa che non può esseretrovato, e a cui non porta nessuna strada».Eraclito

a cura di Dibbì[email protected]

domani è accaduto

Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri.

wordpress.com

Clamorosamente errata invece la previsione diPohl che era alla base del comunque geniale Ilmorbo di Mida, un lungo racconto scritto in tempidi «abbondanza» dove immagina che alle classisuperiori venga concesso il privilegio di consumaremeno, di vivere in case più piccole, di utilizzaremeno robot e soprattutto di trascorrere più temponel lavoro.Non ha mai perso la speranza Pohl. Nel 1984scrisse Gli anni della città dove, di fronte all’ideadilagante che le metropoli fossero pericolose etristi, raccontava di una Los Angeles del futuroprossimo allegra, oltre che produttiva, dove i con-flitti economico-sociali venivano affrontati con ra-zionalità, con metodi nonviolenti e... risolti.Ha scritto moltissimo e su ogni registro: memo-rabile il sarcasmo di Perché corriamo tanto, dovetrova un’inquietante chiave fantascientifica perspiegare la moltiplicazione dei convegni e l’affan-narsi di tanti intellettuali da uno all’altro, senzapiù tempo per studiare davvero. In uno dei suoi ultimi libri Pohl ha sostenuto cheimpossibile è una parola che «a volte si prendecome una sfida» ma in altri casi «è solo un fatto». Decida chi legge se l’impossibile qui sotto riportato(purtroppo non ancora un fatto) sia una sfida...per noi: intendo noi dalle parti del CEM - dovecontinuiamo a impegnarci per un mondo senzaguerre - e della speranza. Il racconto (ahinoi,ormai introvabile in italiano) di Pohl ha un titolochiaro: Provate a immaginare se solo il 2 per centodella razza umana si rifiutasse di combattere.Provate? Proviamo? nnn

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Federico Tagliaferri

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Dopo il saluto di Lucrezia Pe-drali, condirettrice di CEM

Mondialità, e l’introduzione di Ma-ria Maura, curatrice del dossierdella rivista «CEM Mondialità» digiugno-luglio 2013 dedicata ai benicomuni, Luigino Bruni ha inaugu-rato il 52° Convegno nazionale diCEM Mondialità, svoltosi dal 20 al24 agosto scorsi a Trevi (Pg).L’intervento di Bruni, economista,professore ordinario di politica eco-nomica presso la LUMSA (LiberaUniversità Maria SS. Assunta) diRoma e coordinatore del progettosull’«Economia di comunione», haavviato una riflessione sull’argo-mento «L’era dei beni comuni, qua-le economia?». Esploratore dei te-mi dell’economia «civile», «sociale»e «di comunione», Bruni ha guidatoi partecipanti in un’analisi dell’at-tuale situazione economico-socialee sulla grande attenzione che oggicaratterizza l’approccio ai beni co-muni, fino ad una proposta perun’economia veramente umananella politica, nella finanza e nellasocietà. Dopo aver chiarito la que-

stione terminologica relativa all’usodei termini «beni comuni» e «benecomune», nella sua riflessione Bru-ni ha sottolineato come la moder-nità consideri l’economia di mer-cato come «il» bene comune. La ri-cerca di una via alternativa, di unanuova modalità di gestire i beni co-muni che non preveda un’appro-priazione esclusivamente indivi-duale e privatistica, è la via da ri-cercare e da seguire per un mag-giore benessere condiviso. All’intervento di Bruni ha fatto se-guito quello di Domenico Luciani,architetto e paesaggista, già diret-tore della Fondazione Benetton Stu-di Ricerche. Luciani è un ricercatoreimpegnato da anni nella battagliadi idee per i beni comuni e nellasperimentazione per il governo deiluoghi, di cui ha elaborato progetti,assumendosi responsabilità gestio-nali e amministrative. La sua rela-zione, «Conoscere i luoghi e curarlicome beni comuni», ha affrontatouno degli aspetti più ardui nella va-sta tematica dei beni comuni: la di-fesa e valorizzazione di beni che

52° Convegno Nazionale CEM Mondialità

Quello che le cose ci dicono Educare ai beni comuni

non rientrano nella possibilità di unimmediato godimento economico,ma che, proprio per questo, esigo-no uno sforzo «politico», culturalee scientifico per la loro conserva-zione in quanto patrimonio di tutti.Il Convegno, come da tradizione,ha riservato un’intera serata allamusica d’autore. Dopo i Giganti,Cisco Bellotti e Freak Antoni, ospitidelle ultime edizioni, ad animarela serata musicale è stata la Kachu-pa Folk Band; nome derivante dalpiatto tipico dell’isola di Capo Ver-de che mischia più ingredienti perottenere un sapore inimitabile e ori-ginale. Grande successo della lorogenerosa performance tra i parte-cipanti, che ne hanno apprezzatole canzoni, i testi e i ritmi in un cre-scendo musicale in perfetta sinto-nia con i temi di CEM.Il Convegno ha voluto anche ricor-dare Gianfranco Zavalloni, genialecollaboratore di CEM per molti anniscomparso esattamente un anno fa.Eugenio «Gegè» Scardaccione, suoamico e compagno di avventure,gli ha voluto dedicare un raccontoda lui scritto appositamente, rievo-candone la figura e l’opera, ora benrappresentata nel volume «Dise-gnare la vita - I mondi di GianfrancoZavalloni», una splendida realizza-zione editoriale, degno omaggio aldocente, all’ecologista, all’artista emolte altre cose ancora… nnn

Disegnare la vitaI mondi di Gianfranco Zavalloni

Fulmino EdizioniRimini 2013

Gli atti del ConvegnoCEM 2013 verranno pubblicati nel numero di dicembre 2013.

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Il sottotitolo del Convegno CEM2012 era ispirato a un verso di

una celebre canzone, «trovare l’al-ba dentro l’imbrunire»; mi sembròprofetico e necessario in questotempo di crisi che sembra irrigidireogni possibilità, ogni relazione,ogni costruzione. Oggi lo scenariosembra ancora peggiorato: ventidi guerra ci accompagnano, le trac-ce del passato non sembrano riu-scire a convincere che è davveroora di bandire la guerra dall’uma-nità. Un senso di scoraggiamentosembra prenderci e paralizzarel’iniziativa. Eppure la speranza c’è!Forse in forme meno eclatanti, mol-to nascosta nelle pieghe di un quo-tidiano difficile, piccole luci sparsepiuttosto che un grande sole... Miè capitato, durante il Convegno diquest’anno, di scambiare qualchechiacchiera con i partecipanti; tro-varmi un po’ a disagio, nella primaimpressione frettolosa, nel leggerel’accento sul locale e uno sguardosull’Italia molto disincantato. Mi so-no chiesta, ancora: «Dov’è la spe-ranza?». Con i pochi meridionalipresenti ci siamo chiesti cosa vuoldire partecipare con il nostro sguar-

do del Sud, che non è Sud del mon-do, ma pur sempre Sud, quantobasta per capovolgere il punto divista, assumere quello degli addi-tati, dei condannati, di quelli appa-rentemente senza speranza. Nelcorso dei giorni, ho sentito pronun-ciare la parola «speranza» la primavolta da Mohammed Ba, nel corsodella presentazione del suo libroautobiografico... non un caso! E poida Antonella Fucecchi, pur nelladrammaticità del racconto della si-tuazione siriana. Mi sono trovata araccontare il luogo principale nelquale trovo e vivo oggi la mia spe-ranza, insieme a tanti altri, napole-

tani e non: Scampia. Incontrato unpo’ per caso (abito in un altro quar-tiere della città), mi ha affascinatoper il suo essere laboratorio vivodi esperienze associative, politiche,sociali, ecclesiali, con un fermentoche non ho trovato in altri luoghipiù centrali: è lo sguardo del Sud!Tutti gli indicatori più negativi e tri-stemente noti (presenza della ca-morra, alti tassi di dispersione sco-lastica, disoccupazione, popolazio-ne carceraria...) convivono con unarete di resistenti che, spesso a vocebassa e quasi sempre senza poteree senza soldi, costruiscono una so-cietà diversa, partendo dai bambi-ni, che sono tanti, tanti e molte voltecon genitori giovanissimi. Un im-pegno che si costruisce con la lu-cidità dell’analisi e il motore del-l’utopia, nella consapevolezza deinostri limiti e nel desiderio sempli-ce semplice che tutti abbiano ac-cesso alla bellezza, alla cultura, allasalute, alla vita. Nel Centro AlbertoHurtado, luogo di formazione crea-to nel quartiere dai Padri Gesuiti,con il sostegno del Comune di Na-poli, la nostra famiglia si è inseritaed è stata accolta in alcune inizia-tive che vi si organizzano: il Rotolo,progetto di catechesi familiare, incui le famiglie costruiscono insie-me l’educazione alla fede dei lorofigli, da quando sono piccolissimi(anche prima di nascere!); il grup-po scout Agesci Napoli XIV, in retecon scout di tutta Italia, che ognianno vengono a prestare servizioe a conoscere la nostra realtà; ilprogetto Musica libera tutti-prati-che quotidiane per crescere insie-me a Scampia a suon di musica,ispirato al metodo Abreu, che inVenezuela ha proposto la musicaclassica come mezzo di socializ-zazione e formazione a bambini,anche molto piccoli, in qualsiasiluogo essi vivessero, incluse le fa-velas. Un sogno d’integrazione, incui tutti i Sud possano incontraretutti i Nord, in cui costruire pontirappresenti l’unica strada per cre-scere nella pace. Per tutti. nnn

Con i pochimeridionalipresenti ci

siamo chiesticosa vuol dire

parteciparecon il nostrosguardo del

Sud, che nonè Sud del

mondo, mapur sempre

Sud

Francesca Avitabile

Il CEM che non c’è

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a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

Il Parco Nazionaledell’Alta MurgiaTra servitù militari e lotte pacifiste

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sul piano della tutela della terra eraancora molto acerbo. La convergenzadi forze mosse dal basso ha portatofinalmente alla costituzione del Parconel 2004, avviando una nuova faseper la Murgia, non priva di conflitti.Il processo è ancora in corso: l’Enteparco, dopo qualche anno di rodag-gio, presenta una progettazione piùampia e da incrementare, sia sul pia-no turistico sia ambientale; gli im-prenditori stanno lentamente adat-tandosi ai vincoli che ogni area pro-tetta impone alle attività produttive;la conoscenza e la cura dei cittadiniverso il Parco si va pian piano for-mando, ma il tessuto è da coltivare. Nella primavera 2013, la Murgia èstata attraversata da un’enorme pre-senza di militari (si parla di tremilauomini in poche settimane) con unincremento di esercitazioni a fuoco,svolte senza alcun accordo con l’En-te. L’impatto di queste attività è for-tissimo sia in termini di inquinamentodel suolo e delle acque, sia per il ru-more che interferisce con la riprodu-zione di specie avicole rare. Animalie vegetazione vengono distrutti. Il tu-rismo, le attività ricreative ed educa-tive nel parco subiscono un pesantedanno. Quando in giugno il Presidente delParco ha inviato una lettera aperta atutto il tessuto sociale, il MovimentoNonviolento non ha voluto restare insilenzio, nella convinzione che oggipiù che mai l’istanza nonviolenta sileghi a quella della cura verso il pia-neta e tutti gli esseri viventi che loabitano. A metà luglio, MN, Wwf eLegambiente hanno redatto un do-cumento congiunto, contestualmentealla mozione approvata da Federpar-chi, in cui tutti i parchi italiani dichia-rano le attività nei parchi incompatibilicon la presenza militare. A fine agosto sono giunti i primi risul-tati: il calendario delle esercitazioniverrà finalmente concordato con ilParco e nel mese di settembre non sisvolgeranno esercitazioni a fuoco. Èsolo l’inizio di un processo che, insie-me a tutto il popolo murgiano, voglia-mo continuare a condurre. nnn

Gabriella FalcicchioRicercatrice nell’Università degli Studi di BariMovimento Nonviolento - Puglia

Il pacifismomurgiano ha unalunga storia chenasce con la guerrafredda, quando gliUsa scelsero dicollocare 24 missiliJupiter in Alta Murgia.Tra il 1959 e il 1961,la Murgia divienecosì l’unico sitodell’Europaoccidentale a fare daavamposto diun’ipotetica guerraatomica con il bloccosocialista.

Èin questa occasione che iniziala mobilitazione del popolo

murgiano, che ottiene l’appoggiodi intellettuali italiani ed europeiper la prima marcia della pace del13 gennaio 1963. Aldo Capitini, fon-datore della marcia Perugia-Assisi,è tra i firmatari dell’appello puglie-se, insieme a Carlo Levi, Moravia,Vittorini, Quasimodo, TommasoFiore, Bertrand Russell e HerbertMarcuse, tra gli altri. La Murgia simobiliterà ancora nel 1985, 1987,2003 e 2005 grazie all’azione capil-lare svolta dai Comitati Alta Murgia(CAM), intenti a creare una culturaambientalista ante litteram in unterritorio che, se sul versante dellanonviolenza cristiana vedeva ilgrande nome di don Tonino Bello,

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Per la segnalazione di eventi interculturali

scrivere [email protected]

Clowninterculturale

a cura di Nadia [email protected]

crea-azione

«La risata è ladistanza più breve tradue persone»

Stage con Robert McNeer e Paul MacDonald19-23 ottobre 2013

Partiamo dal presupposto che ridereinsieme fa bene alla salute, apre ilcuore e unisce il gruppo. Nel lavoro

del clown teatrale, le debolezze diven-tano punti di forza e gli errori basi dipartenza; ciò che comunemente è messoa margine in una società sempre più ve-loce e perfezionista, si trasforma in poe-sia. Scoprire il proprio clown, non ilclown del circo con le sue gag preparate,ma una figura più enigmatica e non con-venzionale, è un viaggio nell’autenticità,la semplicità, l’humour e la gioia. È la ri-cerca della propria vulnerabilità, senzadoverla nascondere, per trovare lì la pro-pria forza e una nuova autostima. Il nasodel clown, «la maschera più piccola delmondo», è la maschera che smaschera.Attraverso il clown, scopriamo le qualitàinteriori dell’apertura, della spontaneità,del gioco. Il clown lascia volare la nostraimmaginazione, mentre tiene i nostripiedi saldamente a terra. Quindi il lavoroproposto nello stage concentra l’atten-zione sul processo interiore che portaun’attenzione tenera ai rapporti umani.Questo clown non deve saper fare gio-coleria, acrobatica o gag comiche. Ciaiuta a trovare la porta verso la nostraingenuità umana, dando il benvenuto atutto quello che emerge. Si lavora con ilgioco, l’improvvisazione e il palco vuoto,

si lavora con le emozioni e con la propriaparte intuitiva per esplorare in formacreativa l’incontro con sé e con l’altro. Ibambini sono dei clown naturali. Esplo-rano e comunicano con il loro ambiente,utilizzando soprattutto i linguaggi nonverbali, attraverso il gioco simbolico del«far finta». Da adulti è attraverso la crea-tività che possiamo ritrovare quel poten-ziale e scoprire che lo humour ama spe-rimentare ai confini della nostra «areaprotetta», tra paura ed eccitazione. Ilclown è un punto di vista differente checon leggerezza ci permette l’apertura anuovi modi di pensare e di vivere. L’in-grediente che dà un sapore particolarea questo stage è il fatto che i partecipantisono in parte italiani e in parte stranieri,un miscuglio di culture, età e percorsi di vita. Comunicare con tutti diventa un’impresa spesso disperatamente co-mica e molto coinvolgente per il clowndi ciascuno. nnn

«Il clown è la celebrazione ditutte le cose che cerchiamo dievitare nella vita»

Il Centro La Luna nel Pozzo èun’antica masseria-teatro, uncentro culturale nella campagnadi Ostuni (Br). Nel 1999 gli attoriRobert McNeer e Paul MacDonald, dopo 15 anni di viaggioin Europa con la compagniaTeatro Kismet di Bari, creano unospazio con la speranza di un’oasidove sperimentare nuove formeartistiche, creare occasionid’incontro e di lavoro, permettere in pratica i desideri. Robert McNeer, laureato inletteratura e spettacolo aChicago, ha studiato anche allaMimenschule Ilg a Zurigo e conTadashi Suzuki in Giappone. Ha insegnato teatro in scuole,carceri e istituti psichiatrici; ha lavorato come attore in varieparti del mondo. Paul MacDonald, clown e pittore,è un mentor per insegnanti dilaboratori teatrali, social clown, egiullari improvvisazionali, attivonel Regno Unito e in NordAmerica, in Italia e in Polonia. Si è formato come clown con ilgruppo «Nose to Nose» (RegnoUnito), lavora come insegnante e regista con attori, medici,educatori ed operatori sociali,specializzandosi con diversamenteabili. È fondatore del gruppoperformance «Fool effect-UK».

LA LUNA NEL POZZOOstuni (Br)tel: 0831.330353cell: 335.8037241

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Brunetto Salvarani (a cura di)La fragilità di Dio. Contrappunti teologici sul terremotoCon contributi di Moni Ovadia, Vito Mancuso, Gianfranco Ravasi, Gabriella Caramore e altriEdizioni Dehoniane, Bologna 2013, pp. 223, euro 16.50

Il libro nasce dalla situazione del terremoto in Emilia Romagna, in cui il curatore Brunetto Salvaraniè stato coinvolto. Di fronte ad un evento imprevedibile, come una catastrofe, un terremoto, si spe-rimenta un nuovo ethos, inteso nel senso alto del termine. In determinate circostanze occorre ripensarsi come genere umano nella fragilità, non solo teologica,e riflettere su stili di vita e su modelli di sviluppo più lungimiranti ed equilibrati rispetto alle sceltecontabili e «criminali» dei banchieri che governano il nostro paese, dei padroni della guerra, e deimercati finanziari che detengono il monopolio delle risorse del pianeta. La catastrofe naturale fariemergere un senso di solidarietà rinnovata, nella nostra fragilità implicita e creaturale. Una lungavicenda di debolezze, miserie, fallimenti, tradimenti, che saranno la trama costante della storiaumana; dove l’assenza e il dolore sono luoghi germinativi; dove la speranza riposa nell’essenzadella mancata presenza, dell’assenza divina, nella percezione di un «Dio fragile» che si affida agliuomini, nell’evidenza embrionale della fragilità umana. Strana congiunzione, ossimoro dissacrante,nel risveglio del «sonno delle teologie», in un attributo sconcertante, persino contraddittorio,rispetto all’immagine dell’onnipotenza edell’ineffabilità del divino. Un Dio, quellodel terremoto, in costante relazione, per-ché tesse i legami del bisogno e della ne-cessità. Sperimenta la dipendenza. Devefare i conti con l’altro, nell’amore creativo.Un Dio che soffre nel cuore dell’uomo,come promessa, mendicante di ascolto.Un Dio in contrasto con la vulgata occi-dentale del divino, associato per secoli aconcetti totalizzanti di onnipotenza, on-niscienza e ineffabilità. Il Dio del terremotosi lascia attraversare dal dubbio, scongiu-rando il pericolo esiziale del baratro del-l’idolatria e della schiavitù conformistica,consumista e capitalista imposta dagli in-tegralismi e imperialismi politici di turno. Un Dio che si fa prossimo, per sanare l’infranto, nel voltoumano del dramma che ci fa sentire minuscoli, precari, ma anche unici e irripetibili. La fragilità diDio comunica e infonde forza. La «forza della fragilità» che non confida nell’arroganza, nellasicurezza e nella protervia di chi non sbaglia mai, di chi non si lascia attraversare dal dubbio e dal-l’incertezza. Questo libro aiuta a riflettere sul senso della fragilità, perché quella che stiamo vivendoè un’epoca di profonda crisi, non solo economica. Questo libro trasmette i valori dell’accoglienzadella fragilità da cui scaturiscono sensibilità, leggerezza, semplicità, stupore, tenerezza, qualitàsempre più rare e che vanno recuperate per rendere più vivibile l’umana esistenza, e anche quelladi chi ci sta accanto. Fragilità è cercare relazioni e rapporti che creino pace, scambio, dialogo, con-fronto, non solo umani, ma di contenuto solidale, dove non siano la potenza, la certezza, l’efficienza,ma appunto il fragile, il debole, il vinto, l’ultimo, nella mancanza, nello scarto, nel dubbio, nellasconfitta a permettere al teologico di rivelarsi umano. (Laura Tussi - PeaceLink)

mediamondo

Questo libro trasmette i valoridell’accoglienza della

fragilità da cui scaturisconosensibilità, leggerezza,

semplicità, stupore,tenerezza, qualità sempre

più rare e che vannorecuperate per rendere più

vivibile l’umana esistenza, e anche quella di chi

ci sta accanto

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per i possessori della CEM Card.

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Come nasce la rivendicazione per l’ac-qua come bene comune? Quali sonoi fatti che hanno provocato quella cheabbiamo imparato a conoscere come«guerra dell’acqua» che proprio in Bo-livia ha avuto inizio?Occorre risalire a fine anni ’90 quando ilgoverno boliviano, dopo aver privatiz-zato l’educazione, la sanità e le teleco-municazioni, vuole privatizzare anchel’acqua. Il governo municipale di Cocha-bamba, infatti, nel 1999 firma un con-tratto di concessione della durata di 30anni con alcune multinazionali straniere(la statunitense Becthel e l’italiana Edi-son, tra le altre). Reagiscono dapprima isindacati come la Fedecor (FederazioneDipartimentale degli Irrigatori di Cocha-bamba) e poi tutta la popolazione localeche occupa le strade come segno di pro-testa contro la legge 2029 per la priva-tizzazione dell’acqua. Quindi sindacalisti,contadini, operai, ma anche studenti esingoli cittadini fanno nascere la «Coor-dinadora de defesa del agua y la vida».Il governo inizialmente sottovaluta lapartecipazione popolare contro la leggesulla privatizzazione dell’acqua, maquando nell’aprile del 2000 circa 600mila persone scendono in strada, la re-pressione governativa sfocia nella cosid-detta «guerra dell’acqua» di Cochabam-ba che, purtroppo, lascia sul campo cin-que morti e diverse centinaia di feriti,con l’arresto anche dei responsabili della«Coordinadora». La sollevazione popo-lare, infine, obbliga il governo ad abolirela legge 2029. L’acqua torna a gestionepubblica e la «carovana andina per lapace» del 2003, con la partecipazionedi organizzazioni non governative e mo-vimenti sociali di solidarietà, anche ita-liani, dà impulso a progetti di coopera-

Acqua bene comuneDal conflitto al progetto

zione internazionale per la gestione pub-blica e partecipata del bene acqua.

Quali progetti, quindi, sono nati daqueste “lotte” e dalla rivendicazionedell’acqua come bene comune? Voleteraccontarci brevemente ciò a cui avetepartecipato in quanto volontari?Il progetto che abbiamo accompagnatoin questi anni si chiama «Acqua per Po-tosì». Luogo andino conosciuto dai turisti

per le sue famose miniere, ma ancheluogo secco, arido e pietroso. A Potosìtra le tante carenze di servizi c’è anchequello della fornitura d’acqua. Scom-mettendo sul coinvolgimento della genteche prima prendeva l’acqua dal fiume(in cui, tra l’altro, confluivano ogni speciedi rifiuti, detriti e residui minerali), il pro-getto è riuscito a portare l’acqua a 13comunità. Sono serviti quattro anni perrealizzare tredici sistemi idrici e relativereti di distribuzione. Accanto all’archi-tettura idrica, si è dato sviluppo al lavoroagricolo, soprattutto alla produzione diverdure ed ortaggi, di frutta e mais. Si èscoperta una terra ricca non solo di pie-tre, spini e rovi, ma di fiumi che favori-scono sulle loro sponde una grande ric-chezza agricola: uva, peschi, meli... Ilprogetto, allora, non solo si è impegnatonella distribuzione dell’acqua, ma anchenella costruzione di un Centro di trasfor-mazione dei prodotti e nella costituzionedella relativa Associazione dei produttorilocali. L’Associazione partecipa al Coor-dinamento delle Organizzazione econo-miche contadine, una realtà a livello re-gionale e nazionale.E questo, forse, è il risultato migliore dellavoro: sapere che ben 180 famiglie (checompongono l’Associazione) hanno as-sunto il compito e la responsabilità diportare avanti quello che il progetto «Ac-qua per Potosì» ha provato a costruirein questi anni. nnn

Simona Polzot

beni comuniIntervista aicooperanti italianiAnna Alloid e AurelioDanna, presenti damolti anni in Boliviaper l’Ong ProgettoMondo MLAL.

le buone pratiche

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Il disco

Meridian Brothers – Desesperanza, Soun-dway Records, 2012.42 | cem mondialità | ottobre 2013

nuovi suoniMeridian BrothersPer niente senza speranza

Luciano Bosi

organizzati

te le composizioni, utilizzando in studiodi registrazione la tecnica delle sovrain-cisioni, se le suona, se le canta e se lemanipola tutte da solo. Alvarez, classe1977, è un chitarrista e un musicista che

ha frequentato inizialmente la musicaclassica e il jazz, per dedicarsi a partiredalla fine degli anni ’90 alla sperimen-tazione strumentale, coadiuvata ancheda supporti elettronici. A tale propositorisulterà fondamentale, tra le altre espe-rienze, il periodo di studio trascorso inDanimarca presso la Royal Danish Aca-demy of Music e il Diem (Istituto Danese di Musica Elettronica). Il mondo sonoro che Eblis Javier ci pre-senta nei nove brani di questo cd è dav-vero inusuale e accattivante nella suadimensione provocatoria e a tratti dis-sonante, cupa e psichedelica ma sempreprotesa a fare emergere la tensione dan-zante dei temi melodici ispirati alla salsa,alla cumbia e ad altri sapori latini; il tuttosostenuto da sequenze ritmiche realiz-zate con percussioni campionate manon prive del loro magico ed ossessivopotere trainante. Ciò detto, il titolo Desesperanza, lette-ralmente «mancanza di speranza», ap-pare del tutto inappropriato, perchéquesto splendido lavoro pone al centrouna questione fondamentale nella ricer-ca e nel fare arte in genere: le novitànon vengono dal ripetere gli identici ineterno, ma dal provare a reinventarli.Alvarez, almeno in parte, questo l’haottenuto: se non è speranza questa!Buon ascolto a tutte e a tutti. nnnBen ritrovate e ben ritrovati. Inda-

gando tra le formazioni e i musi-cisti meno attempati che frequen-

tano terre sonore dai confini e dalle iden-tità espressive sempre meno definite,ma legati al tempo stesso alle tradizionie alla voglia di reinventarle, non potevoesimermi da una piacevole e rigenerantesosta tra le energetiche e surreali musi-che dei Meridian Brothers. Nome, que-sto, che designa sia la formazione di Bo-gotà, costituita da cinque musicisti e at-tiva per lo più nelle performance dalvivo, sia il progetto artistico e musicaledel leader Eblis Javier Alvarez, fondatonel 1998. Alvarez, nella fattispecie, è davvero unleader sui generis, considerando che an-che in Desesperanza, l’ultimo lavoropubblicato, oltre ad essere autore di tut-

«Tra le nostre influenzeprincipali ci sono le musiched’epoca provenienti dallazona costiera colombiana,dal Perù e dai Caraibi;utilizzando gli strumentimusicali in modo inusuale,inserendo rumori emodificando le melodie inmodo da farle uscire dailuoghi comuni stilistici,siamo alla ricerca diun’immagine astratta diqueste influenze».

Eblis Javier Alvarez

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saltafrontieraQuando la realtàsupera la fantasia

Lorenzo [email protected]

Figaro, Libeccio e tutti gli altri. Finchétocca a lui partire insieme alla mammae sognare la nave e il porto: ma non c’èmare quando scendono dal treno; c’è lapioggia di un paese che si chiama Belgiodove il padre vive nelle baracche di legno,lavora in una miniera di carbone e doveha appena rischiato la vita in un crolloche ha ucciso molti uomini.

In una stanza dell’ospedale dove se loaspetta morto, il bambino ritrova vivoun padre che non conosce. La delusioneè immensa: il grande pirata non c’è più,suo padre gli ha sempre mentito... Poitutti, mestamente, fanno ritorno persempre al paese dove il padre racconteràal figlio di aver desiderato e sognato finda piccolo di essere un marinaio.Alcuni anni dopo, un altro telegramma:la miniera chiude, la «nave» va a riposo,termina la sua attività. Altro treno, altroviaggio, stessa destinazione. E, per ilbambino - diventato ragazzo - la sco-perta: Tabacco, Turco, Libeccio e Barbutoesistono davvero, sono i vecchi compagnidel padre, e Speranza è il nome che cam-peggia all’ingresso della miniera. I lorovolti ossuti e spigolosi, i loro occhi persilontano in ricordi e pensieri a compagniperduti, si portano dentro le storie diemigrazione, i sogni segreti, le speranzeche le hanno supportate.La miniera è nera come il carbone: allorail ragazzo d’un balzo issa sul tralicciopiù alto la bandiera della pirateria. Anchela verità più prosaica può nascondereun’inattesa magia.La storia, benché manchi una precisa lo-calizzazione al fine di renderla più inter-nazionale, ruota attorno alla miniera diMarcinelle, in Belgio, dove nel ’56 a se-guito di un incidente, morirono quasitutti i lavoratori, tra cui decine di emigratiitaliani. I due autori riescono perfetta-mente a delineare la figura del padre vi-sta dal figlio bambino come un eroe; uneroe senza poteri magici, che compiescelte difficili ed è costretto persino amentire a suo figlio per mantenere la fa-miglia. Una persona che fa l’eroe a cui ilfiglio vorrebbe assomigliare.

«M io padre il grande pirata»,scritto da Davide Calì e il-lustrato da Maurizio A.C.

Quarello (orecchio acerbo, 2013, pp.48), è una bellissima storia di migranti,di grandi miniere, di fatica, di dolore eforse anche di morte. Ma è soprattuttouna storia di crescita, di formazione, disogni perduti, di solidarietà, di affetti,di fiducia e speranze e di lavoro. È un li-bro che ci parla del rapporto tra padre efiglio e del sogno di un ragazzo che vo-leva fare il marinaio, ma poi si è ritrovatoa lavorare un chilometro sottoterra. Unastoria d’incomprensione e riscoperta chesi rivela una lettura intensa e commo-vente.C’è un bambino che racconta di un pa-dre. Un padre minatore emigrato in Bel-gio, rientra a casa solo una volta l’annoe a suo figlio porta regali di mare e rac-conti di tesori perduti e avventure. Ilbambino ascolta le storie del padre ed èconvinto che sia un grande pirata chevarca i mari sulla sua nave. Un padre pi-rata capace di raccontare storie affasci-nanti, di descrivere una ciurma in uominiche rispondono al nome di Tatuato, Ta-bacco, Centesimo, Turco. Un padre cheporta regali pirateschi, che viaggia suuna nave che si chiama Speranza, che sirimette in viaggio verso l’oceano con unvelo di tristezza. Il bambino raccoglie re-gali, ricordi, tracce di viaggi su una map-pa e le immagini del Tatuato col suopappagallo Centesimo, del Barbuto, di

«Quando erobambino, mio

padre era lontano.Tornava a casa

solo una voltal’anno, d’estate,

per due settimane.Odorava di mare,mio padre. Questo

perché era unpirata. Un grande

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Il film. Non è felice Irene: i suoi amo-ri restano sulla sua pelle, i suoi sforziestremi in acqua o in bici l’aiutano anon pensare e a gridare un sì tuttofisico alla vita minacciata ma non ba-sta per vivere se hai perso il gustodelle cose e il senso del nuovo. E poici sono tutti quelli che Miele ha aiu-tato a chiudere con la vita diventatainsopportabile: lo ha fatto con serie-tà, convinta della bontà del suo in-tervento ma non basta, bisogna andare oltre per trovare il perchédel vivere e del morire. Il film dice tutto questo senza parole inutilio gesti forzati. Miele non arriva alla risposta ma la tenta Irene allafine del suo percorso accanto all’ingegnere. Tutto il film gira attornoal cuore e ai pensieri di Miele/Irene ed è un bel modo per passarele domande a chi guarda.

Lino [email protected]

cinema

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Regia, soggetto e sceneggiaturaValeria Golinodal romanzo «A nome tuo» di Mauro Covacich

InterpretiJasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo, Vinicio Marchioni.

Italia, 2013; 105min.; BIM Distribuzione

La regista

Valeria Golino, nata aNapoli nel 1966, è famosaper il suo lavoro di attriceiniziato nel 1983 con LinaWertmüller; da allora sonoquasi cinquanta i film aiquali ha partecipato,lavorando con Capuano,Rubini, Calopresti, Zanussi,Bentivoglio, Comencini,Ozpetek, Archibugi,Soldini, Carpenter,Salvatores, Penn, Levinson,Trotta, Montaldo. Nel1986 ha vinto il premiocome Migliore attrice allaMostra del Cinema diVenezia con il film Storiad’amore, nel 2006 ha vintoil David di Donatello comemigliore attrice con Laguerra di Mario. Nel 2013la sua prima regia conMiele, che, presentato aCannes nella sezione UnCertain Regard , ottiene lamenzione speciale dellaGiuria Ecumenica.

MieleLa trama. Irene è una ragazza d’oggi, attenta al suocorpo, che tiene costantemente in forma, che ha unpadre e amori. Irene diventa Miele quando si guadagnada vivere aiutando le persone in situazioni estreme a mo-rire. Lo fa con serietà e con un rituale preciso che le per-mette, pare, di mantenere le giuste distanze, anche emo-tive. Questo equilibrio salta quando incontra l’ingegnerGrimaldi, che vuole morire ma che è in piena salute enon ha altra motivazione che l’aver vissuto abbastanza.Ne nascerà un rapporto difficile e nuovo che porteràIrene a mettere in discussione la sua Miele.

Le parole della regista. «In questo film la morte non sivede mai, davvero. Si vede un rituale, perché volevo chesi sentisse il peso e la tensione di un momento grave esacro, ma non volevo vedere le morti». «Il tema del filmimpedisce l’inutile, e quindi tutte le volte che mi sonospinta troppo in là sono poi dovuta tornare indietro».

Diritto alla mortecontrodovere alla vita?

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Bella addormentataLa trama. Attorno agli ultimi giorni di Eluana Englaro e attorno ai temi decisivi chequesta vicenda risveglia nei mass media e nelle coscienze si dipanano quattro storie:una ragazza eroinomane che un medico cerca di salvare dal suicidio; un’attrice famosache si è ritirata per poter assistere anche con la preghiera la figlia in coma ma dimen-ticando così il marito e l’altro figlio; un senatore del Pdl diviso tra la posizione delpartito sull’eutanasia e la sua personale contraria a tale legge, mentre la figlia èattivista del Movimento per la Vita; una storia d’amore tra due giovani schierati indue manifestazioni opposte a Udine di fronte all’ospedale dove è ricoverata Eluana.Le parole del regista. «Non sono un cinico. Lo scandalo al cinema non esiste più,perché altri mezzi che vengono prima, come internet, lo annullano. Ho sempre cercatodi fare buoni film, dell’utilizzare argomenti di scandalo non m’è mai importato nulla».Il film. Mentre alla Tv, in Parlamento e nelle strade ci si scontra attorno ad un nomelegato ad un corpo in sofferenza, la vita si confronta con il dolore, con la vita nonvita, portando alla superficie piccolezze, gelosie, sogni, bisogni repressi, domandeirrisolte, preconcetti radicati, illusorie vie di fuga. Bellocchio segue storie intime,private, familiari, al di là del rumore delle manifestazioni, delle notizie giornalistichee dei sotterfugi politici, e scrive un film sul bisogno d’amore e di accettazione, sul

dedicarsi all’altro e sull’importanzadel ritrovarsi intorno alla vita da vive-re. Chi è la bella addormentata? Elua-na, che non vediamo se non per unattimo ma che tutto mette in moto?O è la bionda figlia dell’attrice quasiimpazzita di dolore e di fede? O è in-vece la giovane drogata alla ricercaossessiva del suicidio ma che è risve-gliata alla vita dalla cocciuta volontàdi un medico?Ognuno nel film fa lasua strada, soprattutto quelli capacidi confrontarsi con se stessi e di rire-lazionarsi con l’altro accanto. nnn

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BibliografiaValeria Parrella, Antigone, Einaudi, 2012. In questarilettura Antigone è condannata perché ha staccatola spina che, per decreto del potere, teneva in vitail fratello. Un classico riportato con la sua forzanelle domande d’oggi.

G. Reale, U. Veronesi, Responsabilità della vita, Unconfronto fra un credente e un non credente,Bompiani, 2013. Parole chiare e schierate ma nelrispetto delle idee dell’altro.

Altri spunti ORDET - LA PAROLA, 1955 di C.T. Dreyer. In un calvinistico bianco e nero, la mortedi una giovane madre: dolore, disperazio-ne, speranza e fede e la Parola che salvanei gesti ieratici di un folle.

E JOHNNY PRESE IL FUCILE, 1971 di D. Trumbo.Nel grido disperato di Johnny dalla suatomba di carne la rivolta contro un potereche ha bisogno di costruire eroi per domi-nare.

MARE DENTRO, 2004 di A. Amenábar.Di fronte al rifiuto della legge Ramon de-cide di andare da solo e nella dignità in-contro alla morte.

AMOUR, 2012, di M. Haneke. La vita di due anziani è stroncata dallamalattia degenerativa della moglie. Finoa dove può arrivare l’amore?

LO SCAFANDRO E LA FARFALLA2007, di J. Schnabel.Uscito da un coma Jean-Do può solo co-municare col battito di ciglio, ma che vo-glia di vivere e di dire!

LA BOTTEGA DEI SUICIDI, 2012 animazione, di P. Leconte.È possibile portare il sorriso e la vita inuna bottega di morte dentro ad una so-cietà che produce suicidi?

RegiaMarco Bellocchio

InterpretiToni Servillo, Isabelle Huppert, AlbaRohrwacher, Michele Riondino, PierGiorgio Bellocchio, Maya Sansa, BrennoPlacido, Fabrizio Falco, Gian MarcoTognazzi, Roberto Herlitzka, GigioMorra, Federica Fracassi

Il registaMarco Bellocchio, nato a Bobbio(Pc) nel 1939, premiato con ilLeone d’oro alla carriera nel 2011,esplode subito con il suo primolavoro I pugni in tasca (1965)manifesto di una rivolta giovanilein arrivo. Tra la trentina dei suoilungometraggi ricordiamo: La Cinaè vicina (1967), Nel nome del padre(1972), Sbatti il mostro in primapagina (1972), Marcia trionfale(1976), Enrico IV (1984), L’ora direligione (2002), Buongiorno, notte(2003), Vincere (2009). Film maitranquilli o consolatori, semprepronti a porre domande e asuscitare discussioni.

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arnaldo de [email protected]

i paradossi

Lettera a Papa Francesco

Caro papa Francesco, Pace e bene!

Ti scrivo oggi, lunedì 29 di luglio 2013 in cui laChiesa fa la memoria di Santa Marta, e tu sei tor-nato a Santa Marta, in Vaticano. Vorrei aiutarti in

una riflessione sulla Giornata Mondiale della Gioventùdi Rio de Janeiro 2013, che è appena terminata. È statauna settimana di grazia, d’incontri, di evangelizzazione,di preghiera, di sacrifici, perfino di silenzi e contempla-zione. Di tutto questo vogliamo ringraziare il Signore,datore di tutti i beni. Voglio anche ringraziare te, che haisalvato la GMG con i tuoi messaggi, evitando che la set-timana fosse uno show della fede. Dico questo perché icristiani più impegnati e attenti sono stanchi di assistereai vari show della fede - tanto cattolici quanto evangelici- che passano in tv. E qui mi permetto di accennare ailati d’ombra della GMG. I nostri vescovi hanno subappaltato la GMG ai movimentiecclesiali (rinnovamento dello spirito con i padri can-tautori, neocatecumenali...) che, rispondendo a un tempocaratterizzato dal pentecostalismo (e dall’era dell’ac-quario?), sono rampanti, pieni di entusiasmo. Essi, intempo di globalizzazione, dove l’omissione dei governiporta al fai-da-te, mostrano che molto si può fare collo-cando piena fiducia in Gesù Cristo e riunendosi (pursenza unirsi). Così essi trasmettono gioia e speranza. E«convertono». Ma i movimenti non sono tutta la Chiesacattolica brasiliana.Con il monopolio dei movimenti, abbiamo avuto unaGMG che ha fatto di Rio un no-logo, uno spazio neutro.La settimana poteva essere trasferita senza ritocchi inqualsiasi altra metropoli. C’è stata, sì, l’accoglienza ca-lorosa, e poi il mare, il Corcovado, la favela, ma del po-polo brasiliano non c’era traccia. Qual è la realtà sociale,che coinvolge la gioventù brasiliana? Nell’intervista perla Globo, tu stesso ti sei scusato dicendo che non sapevi

perché i giovani brasiliani stanno da un mese e mezzoprotestando, in tutte le città. Non c’è stata la presenzadelle culture di cui il Brasile è un crogiuolo. Non ci sonostati momenti per una presenza forte di indios, afro-bra-sileiros, donne (così importanti per il Brasile), nuovi im-migrati... Anche le espressioni artistiche del Brasile sonostate ignorate. Era tutto secondo la mega-cultura post-moderna, come evento mondiale globalizzato. La chiesa tradizionale e la religiosità popolare - caratte-ristiche della realtà brasiliana - sono state presenti solonella devozione affettuosa a Maria (l’adorazione al San-tissimo in Brasile è stata introdotta col progetto di roma-nizzazione). Certi canti popolari - passati e recenti -avrebbero «incendiato» i tre milioni di giovani (p.e. JesusCristo eu estou aqui di Roberto Carlos e Erasmo C).Sappiamo infatti che i canti pentecostali sono individua-li-e-di-massa, ma non di comunità. Anche più grave è stata l’esclusione della chiesa profeticabrasiliana. A partire dalla fine degli anni Sessanta, c’èstata una primavera della Chiesa in Brasile e nell’AmericaLatina: l’opzione per i poveri, le Comunità Ecclesiali di

Voglio ancheringraziare te, che hai

salvato la GMG con ituoi messaggi,

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passano in tv

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Base (Ceb) e la teologia della liberazione, considerate una pente-coste. Adesso pentecoste sono i movimenti carismatici. Eppure, ivescovi ad Aparecida, nella V Conferenza Latinoamericana, hannorilanciato le Ceb e i documenti più recenti della Cnbb parlano diurgenze come: fare della parrocchia una comunità di comunità, eimpegnarsi nella difesa della vita (impegno socio-politico). L’esclu-sione della chiesa profetica è stata un regresso politico per nullaevangelico. Ho pensato che quando tu eri serio, forse lo eri non a motivodella stanchezza, ma della perplessità. Non voglio direche tu fosti strumentalizzato, non permetteresti mai. Inte sono evidenti l’immediatezza, la sincerità, la sem-plicità creativa dei gesti e delle parole... Ma - voglioessere franco, non irritarti della mia impertinenza- la tua sensibilità sociale arriva alla solidarietàdella carità e alla proposta di promozioneumana. C’è anche la denuncia contro ladittatura del denaro. Ma non trovo mes-saggi sul cambiamento delle strut-ture di peccato. Dirai che segui laspiritualità francescana (e lucana)di rivoluzionare senza volere loscontro; ma non puoi dimenticarela spiritualità martiriale (e giovan-nea) in situazione di grave conflittoe ingiustizia. Tutto questo ho voluto scriverti per tol-gliermi un peso dalla coscienza. Chieditanto di pregare per te e prometto che lo farò.

Il Signore ti benedica e ti protegga. Memento. Arnaldo, presbitero.

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dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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Chiesa di S. CristoBrescia, via Piamarta 9 (trav. di via Musei)

telefono 3493624217

I MISSIONARI SAVERIANIPRESENTANO

LA 12a MOSTRA ANNUALE

9 novembre 2013 23 febbraio 2014

I N G R E S S O L I B E RO con possibilità d’accedere all’ampio parcheggio

Feriali: ore 9.00-12.30 - 14.30-17.00 Domenica e festivi: ore 14.30-18.30

Si ringraziano: Ambasciata della Repubblica dell’Indonesia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, Fondazione ASM, Gruppo Masserdotti, Circolo Filatelico Numismatico Bresciano,Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma, UNMS sez. di Brescia

Museo d’Arte Cineseed Etnografico

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Arte e nuovi media

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Non solo a scuolaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

Atti del Convegno tenuto a Parma il 17 marzo 2012 in occasione del 70° anniversario della fondazione di CEM

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Arte e intercultura

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Atti del 51° convegnoR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Arte e politica

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Arte e naturaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Sentinella

Oltre ogni crisiper un nuovo patto generazionale

quanto resta della notte?

1|2012gennaio

R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Ricordando GFZR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Educare ai beni comunQuello che le cose ci dicon

NUMERO PROGRAMMATICO 2013-20

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Arte e corpoR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Arte e nuovi media R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Arte e intercultura R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Educare ai beni comuniQuello che le cose ci dicono

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