L’insostenibile leggerezza Il rasoio dei governi locali di ... filedi 18 milioni di risarcimento,...

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l De bello sanitario sembrerebbe essersi pla- cato. L’ex assessore alla sanità Barberini non è rientrato in giunta, le sue deleghe sono state redistribuite. Il direttore regionale Wal- ter Orlandi rimane al suo posto: otto hanno votato a favore della sua permanenza nel ruolo e otto hanno votato contro, i cinque consiglieri bocciani o si sono astenuti o si sono assentati. Catiuscia Marini resta in sella, sostenuta dal socialista e dai sette ex Ds. Se ne ricava che la governatrice e i suoi assessori permangono al governo, ma che per loro sarà molto difficile governare. Anche a chi ha elementari cognizioni di aritmetica non sfugge che cinque consiglieri ballerini, sempre meno legati a discipline di gruppo e di partito, capaci di inter- loquire con settori dell’opposizione, sono in grado di porre serie ipoteche sul governo regionale, sul- l’attività legislativa e delle commissioni, sul con- creto funzionamento della macchina amministra- tiva. Lo si è già visto in occasione delle votazioni sul Documento annuale di programmazione. La questione è tuttavia più complessa e articolata di quanto appaia e si allarga dalla Regione all’in- sieme del contesto amministrativo e politico um- bro. Sono evidenti gli elementi di fibrillazione delle giunte civiche e di centrodestra a Spoleto e Perugia, ma egualmente disarticolata è la situazione di quelle di centrosinistra. Più semplicemente quello che, si verifica a Palazzo Cesaroni, si sta realizzando, con varianti specifiche, nell’insieme delle ancora numerose amministrazioni in cui è centrale il ruolo del Pd. Gli esempi sono numerosi e riguardano sia comuni grandi che piccoli. Quelli più eclatanti per le dimensioni dei territori sono Foligno e Terni. A Foligno - al netto delle difficoltà di bilancio, delle frizioni con il personale, delle ambizioni sportive di Mismetti (la città dello sport), della grana delle polveri sottili - la maggioranza subisce continui scossoni che ne rendono precaria la sta- bilità. Sul bilancio di previsione si è verificato uno strappo all’interno del Pd, con la fuoriuscita di un consigliere passato al gruppo di Fassina e con i mal di pancia di altre due consiglieri della mino- ranza democratica. Sanata tale difficoltà si è aperta la querelle con la Coop centro Italia a proposito del progetto “Campus” che riguarda l’area dell’ex Zuccherificio. E’ in atto un contenzioso con il Comune, con relativo ricorso al Tar e una richiesta di 18 milioni di risarcimento, per varianti al Piano regolatore. Non è tanto interessante in questa sede dare conto dei termini dello scontro, quanto del fatto che la questione ha avuto ricadute sul sia sull’opposizione che sulla maggioranza. Il punto del contendere ha riguardato l’opportunità di dar vita ad una commissione consiliare che si occupasse della questione o di convocare un Consiglio co- munale straordinario aperto. Su questo si sono divisi la maggioranza e lo stesso Pd, ma anche la minoranza. Insomma nella commissione alla fine c’è stato chi ci voleva stare. Non basta: questo è avvenuto nel pieno della crisi sulla sanità che ha visto il partito folignate schierato con Luca Bar- berini e con i consiglieri ribelli, grazie al patto di ferro tra Mismetti e Bocci. Se Foligno piange Terni non ride. Sono noti la difficile situazione produttiva, occupazionale e ambientale, il disamore nei confronti di partiti e di istituzioni, il pressing costante dei 5 stelle sulla giunta. La maggioranza ha tenuto un seminario incentrato su come ricostituire il rapporto, ormai incrinatosi, con la città. La soluzione scelta è stata una ricontrattazione del programma di governo e un sostanziale rimpasto di giunta. Entrambe le cose vanno talmente a rilento da configurare una situazione sostanzialmente immobile. Da ciò la scelta delle liste civiche di dissociare le loro re- sponsabilità da Di Girolamo e dalla sua giunta. Ai cinque civici si aggiungono i consiglieri di fe- deltà bocciana che sarebbero 3. In altri termini la maggioranza continua ad essere in bilico, prosegue l’opera di logoramento della giunta ed alcuni so- stengono che Di Girolamo non sarà in grado di finire la sindacatura. In questo quadro il centrosinistra umbro, o meglio quello che di esso rimane e segnatamente il suo maggior partito, appare straniato e spiazzato, in una situazione in cui Renzi continua a tagliare fi- nanziamenti ai governi locali e sottoporre il partito ad un costante logoramento, mentre prosegue l’eclisse della sinistra. Emergono amministrazioni locali e un partito sull’orlo di una crisi di nervi, sottoposti a continui corti circuiti. La successiva evoluzione di tale processo saranno le comunali di giugno. Si voterà in Umbria in una decina di comuni. I più importanti sono Assisi e Città di Castello. Sarà interessante vedere chi vin- cerà il confronto, le percentuali elettorali, il con- senso dei sindaci e delle amministrazioni uscenti. Ma ancor più interessante sarà conoscere il numero di cittadini che andranno a votare o si asterranno dal voto. Sarà un test limitato anche se non inin- fluente per chi governa il paese e per il Pd, ma an- che per il sistema politico istituzionale dell’Umbria, che fino a qualche anno fa appariva inossidabile e che oggi è, invece, continuamente sottoposto a trazioni che possono provocarne in ogni momento il tracollo. mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto” commenti Garbo Identità cittadine Beata umbritudine Camicia di forza Il vescovo sindaco Kung fu gender “L’altra” città che non c’è più 2 politica Nestlè scopre le carte 3 di Stefano De Cenzo Meccanica fine: un mondo integrato e articolato 4 Renato Covino, Osvaldo Fressoia A tutto voucher 5 di Miss Jane Marple Il 17 aprile votiamo sì al referendum di A.G. Mobilità incontenibile 6 di Anna Rita Guarducci un Viaggio in Umbria L’Alta valle del Tevere 7 a cura di Alberto Barelli, Franco Calistri, Renato Covino, Osvaldo Fressoia, Paolo Lupattelli società Antifascismo (ri)costituente di Osvaldo Fressoia Donne e uomini uguali e resistenti 11 di Marzia Biagiotti L’open source è donna di Alberto Barelli Il Papa arranca e l’Anno Santo s’impantana 12 di Salvatore Lo Leggio cultura Fenomenologia della crisi 13 di Roberto Monicchia Icone in mostra 14 di Matteo Aiani Nostalgie nobiliari di Attilio Bartoli Langeli Sagra 15 di Jacopo Manna Libri e idee 16 marzo 2016 - Anno XXI - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 copia omaggio Il rasoio di Occam a tesi occamiana è nota: semplificare il ragionamento al massimo, eliminando quanto c’è di superfluo e partendo dal- l’evidenza. Questo principio non è stato certa- mente applicato nella kermesse della minoranza Pd, tenutasi nelle scorse settimane a San Martino in Campo. La situazione interna al partito è chiara: Renzi ha una solida maggioranza in un partito ormai ridotto ad un agglomerato di ca- marille e cacicchi, Renzi non ha nessuna inten- zione di giungere a mediazioni accettabili con la sua minoranza interna, Renzi ha in mente ed ha in gran parte realizzato - su questo ha ragione Massimo D’Alema nella sua intervista al “Corriere della sera” - quello che viene definito il partito della nazione ossia un agglomerato centrista aperto a destra. In questo quadro la minoranza può stare nel partito solo alle condizioni del leader, criticando quanto vuole, ma alla fine facendo quello che vuole lui. Il destino della dissidenza è segnato: quando si arriverà alle elezioni e alle liste si ridurrà al minimo la sua presenza, riducendola ad un ruolo puramente decorativo, un po’ come gli animali rari negli zoo.Di questa realtà la “sini- stra” democratica non vuol prendere atto, conti- nua a dire che resta con tutti e due i piedi nel Pd. Ciò significa che non è d’accordo sugli atti qua- lificanti del governo che tuttavia continua a votare, che non ha e non vuole avere una piattaforma definita con cui opporsi, che non fa nessuna atti- vità di contrasto a Renzi né in parlamento, né nel paese. L’idea cardine, tutt’altro che evidente, è che non c’è spazio fuori del Pd, che si sarebbe ridotti ad un minoritarismo velleitario e che allora conviene stare in cambusa, attendendo tempi mi- gliori, esponendosi così a tutti i contropiedi dello statista di Rignano e dei suoi pasdaran. Insomma - sempre per restare alla filosofia medievale - la minoranza Pd è come l’asino di Buridano che di fronte a due mucchi di paglia equivalenti scelse di non scegliere, morendo di fame. Eppure l’evi- denza suggerirebbe una strada semplice fatta di atti di disubbidienza, di una elaborazione da pro- porre al paese e alla sinistra, di forme di organiz- zazione separata capaci di rispondere al bisogno di partito. Certo alla fine bisognerebbe rompere, fare un rischioso atto di dignità. Ma sempre l’evi- denza non offre altre vie. Vale in questo caso la règle du pari di pascaliana memoria. Nella fatti- specie una scelta di dignità potrebbe consentire di andare in paradiso (un nuovo partito e un peso nel paese), in ogni caso chi la fa avrebbe la soddi- fazione di aver risposto ad un principio di coe- renza. Qualità francamente in disuso almeno in Italia e nel Pd. L I L’insostenibile leggerezza dei governi locali La statua di Garibaldi a Città di Castello. In tutta Italia la spada indica Roma in questo caso indica Apecchio. Le foto dell’intero numero sono relative al viaggio nell’Alta valle del Tevere.

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l De bello sanitario sembrerebbe essersi pla-cato. L’ex assessore alla sanità Barberininon è rientrato in giunta, le sue deleghe

sono state redistribuite. Il direttore regionale Wal-ter Orlandi rimane al suo posto: otto hanno votatoa favore della sua permanenza nel ruolo e ottohanno votato contro, i cinque consiglieri boccianio si sono astenuti o si sono assentati. CatiusciaMarini resta in sella, sostenuta dal socialista e daisette ex Ds. Se ne ricava che la governatrice e isuoi assessori permangono al governo, ma che perloro sarà molto difficile governare. Anche a chi haelementari cognizioni di aritmetica non sfuggeche cinque consiglieri ballerini, sempre meno legatia discipline di gruppo e di partito, capaci di inter-loquire con settori dell’opposizione, sono in gradodi porre serie ipoteche sul governo regionale, sul-l’attività legislativa e delle commissioni, sul con-creto funzionamento della macchina amministra-tiva. Lo si è già visto in occasione delle votazionisul Documento annuale di programmazione.La questione è tuttavia più complessa e articolatadi quanto appaia e si allarga dalla Regione all’in-sieme del contesto amministrativo e politico um-bro. Sono evidenti gli elementi di fibrillazionedelle giunte civiche e di centrodestra a Spoleto ePerugia, ma egualmente disarticolata è la situazionedi quelle di centrosinistra. Più semplicementequello che, si verifica a Palazzo Cesaroni, si starealizzando, con varianti specifiche, nell’insiemedelle ancora numerose amministrazioni in cui ècentrale il ruolo del Pd. Gli esempi sono numerosie riguardano sia comuni grandi che piccoli. Quellipiù eclatanti per le dimensioni dei territori sonoFoligno e Terni. A Foligno - al netto delle difficoltà di bilancio,

delle frizioni con il personale, delle ambizionisportive di Mismetti (la città dello sport), dellagrana delle polveri sottili - la maggioranza subiscecontinui scossoni che ne rendono precaria la sta-bilità. Sul bilancio di previsione si è verificato unostrappo all’interno del Pd, con la fuoriuscita diun consigliere passato al gruppo di Fassina e con imal di pancia di altre due consiglieri della mino-ranza democratica. Sanata tale difficoltà si è apertala querelle con la Coop centro Italia a propositodel progetto “Campus” che riguarda l’area dell’exZuccherificio. E’ in atto un contenzioso con ilComune, con relativo ricorso al Tar e una richiestadi 18 milioni di risarcimento, per varianti al Pianoregolatore. Non è tanto interessante in questa sededare conto dei termini dello scontro, quanto delfatto che la questione ha avuto ricadute sul siasull’opposizione che sulla maggioranza. Il puntodel contendere ha riguardato l’opportunità di darvita ad una commissione consiliare che si occupassedella questione o di convocare un Consiglio co-munale straordinario aperto. Su questo si sonodivisi la maggioranza e lo stesso Pd, ma anche laminoranza. Insomma nella commissione alla finec’è stato chi ci voleva stare. Non basta: questo èavvenuto nel pieno della crisi sulla sanità che havisto il partito folignate schierato con Luca Bar-berini e con i consiglieri ribelli, grazie al patto diferro tra Mismetti e Bocci. Se Foligno piange Terni non ride. Sono noti ladifficile situazione produttiva, occupazionale eambientale, il disamore nei confronti di partiti edi istituzioni, il pressing costante dei 5 stelle sullagiunta. La maggioranza ha tenuto un seminarioincentrato su come ricostituire il rapporto, ormaiincrinatosi, con la città. La soluzione scelta è stata

una ricontrattazione del programma di governo eun sostanziale rimpasto di giunta. Entrambe lecose vanno talmente a rilento da configurare unasituazione sostanzialmente immobile. Da ciò lascelta delle liste civiche di dissociare le loro re-sponsabilità da Di Girolamo e dalla sua giunta.Ai cinque civici si aggiungono i consiglieri di fe-deltà bocciana che sarebbero 3. In altri termini lamaggioranza continua ad essere in bilico, proseguel’opera di logoramento della giunta ed alcuni so-stengono che Di Girolamo non sarà in grado difinire la sindacatura.In questo quadro il centrosinistra umbro, o meglioquello che di esso rimane e segnatamente il suomaggior partito, appare straniato e spiazzato, inuna situazione in cui Renzi continua a tagliare fi-nanziamenti ai governi locali e sottoporre il partitoad un costante logoramento, mentre proseguel’eclisse della sinistra. Emergono amministrazionilocali e un partito sull’orlo di una crisi di nervi,sottoposti a continui corti circuiti.La successiva evoluzione di tale processo sarannole comunali di giugno. Si voterà in Umbria in unadecina di comuni. I più importanti sono Assisi eCittà di Castello. Sarà interessante vedere chi vin-cerà il confronto, le percentuali elettorali, il con-senso dei sindaci e delle amministrazioni uscenti.Ma ancor più interessante sarà conoscere il numerodi cittadini che andranno a votare o si asterrannodal voto. Sarà un test limitato anche se non inin-fluente per chi governa il paese e per il Pd, ma an-che per il sistema politico istituzionale dell’Umbria,che fino a qualche anno fa appariva inossidabile eche oggi è, invece, continuamente sottoposto atrazioni che possono provocarne in ogni momentoil tracollo.

mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto”

commentiGarbo

Identità cittadine

Beata umbritudine

Camicia di forza

Il vescovo sindaco

Kung fu gender

“L’altra” cittàche non c’è più 2

politicaNestlè scopre le carte 3di Stefano De CenzoMeccanica fine: un mondointegrato e articolato 4Renato Covino, Osvaldo FressoiaA tutto voucher 5di Miss Jane Marple

Il 17 aprile votiamo sìal referendumdi A.G.

Mobilità incontenibile 6di Anna Rita Guarducci

un Viaggio in UmbriaL’Alta valle del Tevere 7a cura di Alberto Barelli, FrancoCalistri, Renato Covino, OsvaldoFressoia, Paolo Lupattelli

societàAntifascismo (ri)costituentedi Osvaldo Fressoia

Donne e uomini ugualie resistenti 11di Marzia Biagiotti

L’open source è donna di Alberto Barelli

Il Papa arranca e l’AnnoSanto s’impantana 12di Salvatore Lo Leggio

culturaFenomenologiadella crisi 13di Roberto Monicchia

Icone in mostra 14di Matteo Aiani

Nostalgie nobiliari di Attilio Bartoli Langeli

Sagra 15di Jacopo Manna

Libri e idee 16

marzo 2016 - Anno XXI - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10copia omaggio

Il rasoiodi Occam

a tesi occamiana è nota: semplificare ilragionamento al massimo, eliminandoquanto c’è di superfluo e partendo dal-

l’evidenza. Questo principio non è stato certa-mente applicato nella kermesse della minoranzaPd, tenutasi nelle scorse settimane a San Martinoin Campo. La situazione interna al partito èchiara: Renzi ha una solida maggioranza in unpartito ormai ridotto ad un agglomerato di ca-marille e cacicchi, Renzi non ha nessuna inten-zione di giungere a mediazioni accettabili con lasua minoranza interna, Renzi ha in mente ed hain gran parte realizzato - su questo ha ragioneMassimo D’Alema nella sua intervista al “Corrieredella sera” - quello che viene definito il partitodella nazione ossia un agglomerato centristaaperto a destra. In questo quadro la minoranzapuò stare nel partito solo alle condizioni del leader,criticando quanto vuole, ma alla fine facendoquello che vuole lui. Il destino della dissidenza èsegnato: quando si arriverà alle elezioni e alle listesi ridurrà al minimo la sua presenza, riducendolaad un ruolo puramente decorativo, un po’ comegli animali rari negli zoo.Di questa realtà la “sini-stra” democratica non vuol prendere atto, conti-nua a dire che resta con tutti e due i piedi nel Pd.Ciò significa che non è d’accordo sugli atti qua-lificanti del governo che tuttavia continua a votare,che non ha e non vuole avere una piattaformadefinita con cui opporsi, che non fa nessuna atti-vità di contrasto a Renzi né in parlamento, nénel paese. L’idea cardine, tutt’altro che evidente,è che non c’è spazio fuori del Pd, che si sarebberidotti ad un minoritarismo velleitario e che alloraconviene stare in cambusa, attendendo tempi mi-gliori, esponendosi così a tutti i contropiedi dellostatista di Rignano e dei suoi pasdaran. Insomma- sempre per restare alla filosofia medievale - laminoranza Pd è come l’asino di Buridano che difronte a due mucchi di paglia equivalenti scelsedi non scegliere, morendo di fame. Eppure l’evi-denza suggerirebbe una strada semplice fatta diatti di disubbidienza, di una elaborazione da pro-porre al paese e alla sinistra, di forme di organiz-zazione separata capaci di rispondere al bisognodi partito. Certo alla fine bisognerebbe rompere,fare un rischioso atto di dignità. Ma sempre l’evi-denza non offre altre vie. Vale in questo caso larègle du pari di pascaliana memoria. Nella fatti-specie una scelta di dignità potrebbe consentiredi andare in paradiso (un nuovo partito e un pesonel paese), in ogni caso chi la fa avrebbe la soddi-fazione di aver risposto ad un principio di coe-renza. Qualità francamente in disuso almeno inItalia e nel Pd.

L

I

L’insostenibile leggerezzadei governi locali

La statua di Garibaldi a Città di Castello.In tutta Italia la spada indica Roma

in questo caso indica Apecchio.

Le foto dell’intero numero sono relativeal viaggio nell’Alta valle del Tevere.

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Il vescovosindaco

ra le città umbre che andranno al voto in questaprimavera, Assisi è quella che sembra vivere lepiù forti fibrillazioni. Nel marasma è soprat-

tutto il Pd, che nessuno sembra volere come alleato edè alla ricerca spasmodica di un “papa straniero”, uncandidato che possa ampliare l’ormai ristrettissima baseelettorale del partito di Renzi. Ma anche nell’ex cen-trodestra, ferma restando la candidatura di Lunghi,l’attuale sindaco facente funzioni, la confusione è tantae non sono ancora chiare le intenzioni dei tanti grup-petti d’interesse e dei tanti piccoli notabili.A sinistra si candida Luigino Ciotti, che spera di rac-cogliere i frutti di una lunga e onesta militanza, mentrenon è facile capire quale possa essere lo spazio dei 5Stelle. La sorpresa è rappresentata dall’intervento del vescovo,Domenico Sorrentino. Per festeggiare i 15 anni di or-dinazione episcopale sabato 19 ha diffuso una sorta di“proclama” intitolato con lo slogan che fu caro al pretecampano Peppe Diana, ucciso dalla camorra: Per amoredel mio popolo.Il sottotitolo, esplicito, è Messaggio alla Città di Assisiin vista delle elezioni amministrative 2016. Il “corrie-rino”, commentando codesto “porre i piedi nel piatto”,parla di “sindaco Sorrentino” e in effetti il documento,in dieci punti, pur presentandosi come “contributo allariflessione”, assomiglia a un programma di governo ecopre un vasto arco di problemi. Il vescovo, del resto,rivendica il diritto-dovere per la Chiesa di dire la suain materia di governo della città e nei diversi campi incui si esercita.Il pensiero va alla “poliarchia”, cara al vescovo Paglia,cioè al riconoscimento reciproco tra differenti poteri.In Sorrentino il primato del potere religioso, anzi ec-clesiastico, da sottinteso diventa esplicito: “la Chiesaguarda alla persona e la persona non è né di destra nédi sinistra né di centro”.Quello del vescovo appare pertanto come un poteresovraordinato a cui la politica deve ossequio ed obbe-dienza.

Vale la pena di notare che in una città come Assisi quelpotere, che si vuole spirituale, difende e aspira a con-solidare vasti e corposi interessi materiali.

Kung fu genderersonaggi e interpreti: Kung fu Panda, impac-ciato e dolcissimo eroe di una saga animatagiunta al terzo episodio; Mario Adinolfi (sem-

bra, ma purtroppo non è un cartone animato) che daimicrofoni di Radio Maria (la prestigiosa emittente cheaveva ricordato all’on. Cirinnà l’appuntamento con lamorte) lancia la crociata contro il film: poiché il pro-tagonista ha "due padri" esso non sarebbe altro cheuna subdola propaganda "gender", la misteriosa, nefastateoria che minaccerebbe la salute morale dei nostri pic-coli; le maestre della scuola dell’infanzia di Ponted’Oddi a Perugia che organizzano l’uscita dei bambiniper andare a vedere Kung fu Panda 3; tre genitori dellascuola (che conta novanta alunni) che protestano. Per capire quanto infimo sia il livello di certe prese diposizioni è opportuno precisare che la storia non ri-guarda una coppia gay (anche se non ci sarebbe nulladi male, ovviamente): il protagonista ritrova, dopo es-sere stato cresciuto da uno adottivo, il genitore biolo-gico, e i due padri riescono dopo varie vicissutudini adaccettarsi. Come del resto si era capito dal dibattitosulle unioni civili, certi difensori della "famiglia tradi-zionale" sono del tutto indifferenti ai valori che diconodi sostenere (Kung fu Panda è una storia di amicizia,tolleranza e coraggio tra le più tenere che siano stateraccontate) e sono pronti a lanciare le più assurde pan-zane, come la "minaccia gender" (l’Esorcista a confrontoera realismo puro), pur di difendere a oltranza la propriaviolenta intolleranza. Reagisce anche il Ministro Gian-nini, e durissima è la denuncia del garante dell’infanziadell’Umbria Maria Pia Serlupini: "Il rischio - dice - èche ci ritroviamo alla mercè oggi di chi agita questafantomatica teoria gender, ma domani potrebbe succe-dere con qualche teoria razzista".Fatto sta che alla fine gli intolleranti l’hanno avutavinta: i bambini di Ponte d’Oddi a vedere il film nonci sono potuti andare.

GarboSabato 6 febbraio, intervenendo a un convegno del Centro inter-nazionale Montessori, Brunello Cucinelli ha detto: “Gentilezzza,educazione e garbo sono alla base di tutto”.Tre settimane più tardi, l’imprenditore filosofo, che un compiacentegiornalista di Perugiatoday definisce “esuberante e geniale”, auna convention del Monte dei Paschi di Siena ha dichiarato, rivoltoalle banche: “È facile scopare col cazzo duro, prova a scopare colcazzo moscio”.

Identità cittadineGiancarlo Baronti, antropologo di vaglio, rampognando l’idea bal-zana dell’amministrazione civica perugina di promuovere la cele-brazione “Perugia 1416” sui fasti della signoria di Braccio Forte-braccio, ha affermato che le rievocazioni storiche inventate forsevanno bene per piccole città come Assisi, Foligno, Narni, non certoper una città come Perugia. Subito a Foligno si sono agitati. L’as-sessore ai lavori pubblici, il socialista Belmonti, si è sollevato indi-gnato. Come si permette Baronti di criticare e sostenere che laRosa dell’Umbria è una città di provincia! La Quintana è una rievo-cazione storicamente testata. Baronti si scusi. Ha naturalmenterincarato la dose Domenico Metelli, presidente dell’Ente giostra.Lo studioso ha dichiarato che non ha intenzione di scusarsi ed haproposto come soluzione della disputa o una sua decapitazionebarocca o una sfida a singolar tenzone con opportuna scenografia.I campioni folignati sono già designati: Belmonti o Metelli.

Beata umbritudineSempre a proposito di “Perugia 1416”, Giovanni Picuti sul “Corrieredell’Umbria” del 17 marzo la prende alla larga: “l’Umbria ha rico-perto un ruolo determinante nella storia del paese. Quel che cimanca è la piena coscienza delle nostre radici culturali. Ci mancaanche la prepotenza dei romani, l’impudenza dei toscani e la sicu-rezza dei marchigiani”. Dopo simile sfoggio di luoghi comuni, Picutirespinge ogni critica alla manifestazione come “tracotante, steril-mente spocchiosa”, per poi concludere solenne: “Beata umbritu-dine, Umbra beatitudine”. Viene spontanea una domanda: Picutisarà romano o toscano?

Umbro a sua insaputaSulla beata umbritudine si allinea il noto attore francese FabriceLuchini, recente Coppa Volpi a Venezia per La corte. “Io ho originiumbre! Mio padre è stato battezzato ad Assisi”, è la sua entusia-stica precisazione alla domanda del “Corriere dell’Umbria”. Al que-sito successivo circa i ricordi delle proprie origini la risposta è piùfreddina: “Pochissimi, lo confesso. Non visito l’Umbria da molto,molto tempo”. E noi che già eravamo pronti a chiedere un doppia-tore della valle umbra sud.

Islam sì ma senza minaretiE’ da copione l’opposizione della destra sull’ipotesi di una moscheaa Umbertide. Singolari sono però le motivazioni addotte dal capo-gruppo Fi Sassolini: “Il progetto di una moschea vera e propria,con tutti gli elementi classici, come il minareto, è motivo di preoc-cupazione tra i cittadini perché costituisce un forte richiamo per imusulmani di tutto il centro Italia, disincentivando i processi inte-grativi a causa dell’alta concentrazione di fedeli che versosimil-mente si verificherà a Umbertide e dintorni”. Insomma, musulmanisì, ma a piccoli gruppi e possibilmenti negli scantinati: favorisconol’integrazione.

Camicia di forzaOrmai tra Carmine Camicia e centrodestra del comune di Perugiaè guerra aperta: il 1 marzo gli viene revocato l’incarico nella Com-missione Albo d’Oro. Al che Camicia replica con il consueto aplomb:il capogruppo di Fi Perari “è un uomo di sinistra”, mentre il suo so-stituto nella commissione, Tracchegiani, è un “piccolo gregario diForza Italia che in due anni non ha capito il suo ruolo”.

il piccasorci

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - é un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. La ru-brica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e, ovenecessario, di “rosicare il cacio”.

il fatto

“L’altra” città che non c’è più

2comme n t imar zo 2016

TP

iovedì 17 marzo il portonedi Via Ulisse Rocchi è rima-sto chiuso: dopo circa qua-

rant’anni cessa l’attività "l’Altra libre-ria". Una chiusura in sordina, come ènello stile del proprietario, AlbertoMori, che ha commentato laconica-mente: "stiamo valutando se poter ria-prire prima o poi, ma ci dovrà essereuna possibilità". Nell’attesa di saperese questa possibilità sarà reale, la vi-cenda suscita diverse considerazioni.Da un lato è quasi inevitabile seguireil filo della memoria: per le tre stipa-tissime stanze della libreria sono pas-sate più generazioni di lettori: univer-sitari italiani e stranieri (lo scaffale deicorsi di lingua era il primo a destra,entrando), turisti, passanti. Tantissimiricorderanno la sterminata cultura e lacortesia di Serse Luigetti, capace diprocurarti i titoli più improbabili, per-fino attingendo alla propria bibliotecadi casa. Ma "L’altra" è stata qualcosadi più e di diverso di un’ottima libreria:un punto di riferimento per militantie simpatizzanti di tutte le anime dellasinistra e dei movimenti: attorno ai li-bri e alle riviste - spesso davvero di

nicchia - si incontravano e scontravanodirigenti del Pci e femministe, spon-taneisti e trotzkisti, avanguardie ope-raie e studentesche. Un ruolo centrale,politico-culturale, segno e simbolo diuna stagione irripetibile, che viene ce-lebrato in uno dei più famosi romanzisul sessantotto e quanto ne seguì, Duedi due di Andrea de Carlo.Tornando all’oggi, la chiusura de "l’Al-tra" suscita preoccupazione per l’en-nesimo pezzo pregiato che lascia lacittà, riducendone l’offerta culturale ebanalizzandone i tratti distintivi. Nonsi può ignorare il peso di difficoltà og-gettive, strutturali, su cui ben poco sipuò fare a livello locale: l’evoluzionedi tecnologie concorrenti alla cartastampata che aggrava la cronica scarsitàdi domanda; le distorsioni della catenadistributiva, la concorrenza dellegrandi catene e dei supermercati. Tut-tavia, la scomparsa di una libreria dispessore da una città che conta dueuniversità e una ricca tradizione, finoa ieri candidata a capitale culturale eu-ropea, rappresenta comunque unbrutto segno, che dà la misura dell’as-senza di azioni che non inseguano solo

gli "eventi" usa e getta e che possano,al contrario, delineare un progetto.Non si chiede chissà che cosa, ma nondovrebbero essere impossibili forme disostegno diretto o indiretto delle am-ministrazioni pubbliche a simili presidipermanenti di cultura, che potrebberospaziare dalle agevolazione per l’affittodei locali alla cura di relazioni non epi-sodiche ma permanenti con scuola euniversità: presentazioni congiunte dilibri e autori, fornitura di bibliografie,corsi di formazione. Certo questo non esaurisce la que-stione, che rimanda a cambiamentipiù radicali, poco compresi e ancormeno governati: si è andato esaurendola produzione da parte della società ci-vile di forme collettive e autonome diorganizzazione della vita e della cul-tura. Contrariamente a certe previ-sioni, al declino delle ideologie e allariduzione dei partiti a comitati eletto-rali (o di affari) ha corrisposto un im-poverimento generale del tessuto so-ciale, con conseguente sfilacciamentodei suoi elementi connettivi, quali ap-punto le librerie, le biblioteche, i centrisociali.

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ome avevamo anticipato nel numeroscorso, il 2 marzo Nestlè ha presen-tato il Piano industriale per lo stabi-

limento di San Sisto. Il contenuto è ormaiben noto a tutti: niente esuberi alla scadenzadel contratto di solidarietà che avrà termine ilprossimo agosto, stop alle caramelle Rossanaed alla pasticceria secca Ore liete e via liberaalla promozione del Bacio nel mondo la cuiproduzione, d’ora in avanti, dovrebbe rappre-sentare il core business della Perugina. In-somma la richiesta dei lavoratori di rilanciarel’azienda e superare lo storico limite della sta-gionalità diversificando la produzione è stata- in buona sostanza - rigettata, anche se trovaconferma nel Piano la costituzione di una jointventure con R&R Ice Cream per la produzionedi cialde per i coni gelato, in sinergia con loStabilimento Eskigel di Terni. La scelte aziendali, per quanto attese, hannoprovocato reazioni contrastanti. Le segreterienazionali di Flai Cgil e Fai Cisl, pur con sfu-mature diverse, non hanno gridato allo scan-dalo ma si sono dette pronte a migliorare ilPiano da qui al prossimo incontro con il ma-namegent previsto per il 7 aprile. Hanno urlatomolto di più, come sempre, politici e ammi-nistratori. Su tutti, per diritto di sangue, CarlaSpagnoli che dopo avere riconquistato la scenacittadina, grazie alla fiction sulla bisnonnaLuisa, ha sparato a zero su tutti, azienda, sin-dacato, centrodestra, centrosinistra, inneg-giando alla Rossana che, nata nel 1926, si ap-presta a compiere 90 anni. Note di colore a parte è proprio sull’abban-dono di caramelle e pasticcini, definiti dal-l’azienda prodotti “residuali”, che si è levatoun coro di critiche che ha portato la RegioneUmbria a chiedere a Nestlè di cedere i marchiRossana e Ore liete per poterne consentire ilmantenimento della produzione in Umbria.Così si è infatti espresso in Consiglio regionalel’assessore allo Sviluppo economico Paparelliin riposta ad una interrogazione presentatadal segretario Pd Leonelli. Resta da capire chisiano gli imprenditori locali interessati a su-bentrare alla multinazionale.Per approfondire la questione, per tastare ilpolso dei lavoratori di San Sisto, abbiamo in-contrato Vincenzo Sgalla, segretario regionaledella Cgil, il cui legame con la fabbrica, di cuiè ancora formalmente operaio e dove ha ini-ziato la sua carriera sindacale, è profondo, eLuca Turcheria, attuale coordinatore della Rsuin quota Cgil. Con loro anche Stefano Zuc-cherini, già responsabile delle politiche del la-voro del Prc.“Siamo di fronte ad una delle vertenze piùcomplicate degli ultimi anni”, è questo l’esor-dio di Vincenzo Sgalla. La lettura di Zucche-rini, invece, evidenzia, senza mezzi termini,le responsabilità della multinazionale: “E’ inu-tile girarci intorno, Nestlè ha una visione pa-rassitaria della proprietà che ha finito, nel

corso degli anni, per determinare il massacroproduttivo della Perugina”. Nel documento presentato dalla Rsu lo scorsofebbraio, che esprimeva le proposte dei lavo-ratori per il rilancio dell’azienda, si sottoli-neava il progressivo calo dei volumi di produ-zione che nel 2015 sono scesi al di sotto delle25.000 tonnellate, punto più basso di sempre.Abbiamo chiesto a Turcheria di illustrarcicome sono suddivisi, anche per capire qualepossa essere realmente l’impatto della rinunciaa caramelle e pasticceria secca. “In base agliultimi dati che ho a diposizione, lo stabili-

mento produce, in cifre approssimative, 11mila tonnellate di tavolette, 4500 tonnellatedi cioccolatini, bacio compreso, 2 mila di ca-cao in polvere, 2 mila di zuccheri [leggi cara-melle, ndr], altre 2 mila di prodotti da forno,di cui il 90% è rappresentato da cialde per ge-lati e, infine, 900 tonnellate di pezzi per uova.Ma al di là dei numeri il punto vero - che èindice di debolezza - è che si tratta di unaproduzione quasi tutta rivolta alla domandainterna”. Per questo Nestlè si è detta pronta amettere sul piatto 45 milioni di euro per lan-ciare il Bacio nel mondo. Nonostante le nostre obiezioni riguardo alla

concreta fattibilità di aumentare la produzionedella pralina oltre un certo limite strutturale,che nel corso degli anni si è attestato sulle3500 tonnellate, Turcheria, in questo acco-gliendo con favore l’impegno di Nestlè, apparefiducioso sulla possibilità di allargare il mer-cato del Bacio: “Il prodotto ha potenzialitàenormi, ma serve una vera politica di marke-ting che con Nestlè non c’è mai stata. La con-quista di nuovo mercati dipende, in primoluogo, da una nuova idea di confiserie, un set-tore in cui siamo stati sempre leader”. Obiet-tiamo ancora che è difficile credere perchè mai

Nestlè per conquistare il mercato cinese, soloper fare un esempio, debba continuare a pro-durre il Bacio a Perugia, ma sia Turcheria cheSgalla escludono categoricamente una even-tualità del genere, segno che deve esserci unimpegno preciso da parte dell’azienda. “Il mo-dello che intendono seguire - prosegue Tur-cheria - è quello già sperimentato con successocon la San Pellegrino, azienda sull’orlo dellachiusura che è arrivata ad imporre la sua acquaminerale nel mondo [1,3 miliardi di pezzi ven-duti in 145 paesi, ndr], tanto che hanno decisodi affidarlo a Valeria Norreri che di quel pro-getto di sviluppo è stata l’artefice. L’obiettivo

è triplicare in tre-quattro anni la produzionedei baci”. Intanto, però, si tagliano caramellee biscotti. “Su questo noi non ci stiamo, comeabbiamo dimostrato con l’immediata mobili-tazione del 1° marzo”, chiarisce Turcheria. Lanostra sensazione è che, tuttavia, si tratti piùdi una dichirazione di principio e intanto sicerchi, quantomeno, di fare in modo che laproduzione resti sul territorio per evitare unaperdita occupazionale.Nestlè si impegna anche a spendere 15 milioniper ammodernare lo stabilimento. Cerchiamodi capirne di più. “Nella sostanza si tratta diinnovare la logistica, per rendere la produzionepiù lineare, ridurre i tempi morti, salvaguar-dare la qualità del prodotto riducendone imargini di deterioramento dovuti ad una per-manza eccessiva in azienda”. Come a direniente di nuovo, sarebbe infatti questo l’en-nesimo piano della logistica nella storia dellaPerugina, e, soprattutto, niente in termini diricerca e innovazione di prodotto. Eppure spa-zio ci sarebbe, anche per recuperare quellaqualità che si vorrebbe mettere al centro della“conquista del mondo” e che invece è andataperduta nel tempo. Un tema che - come am-mette lo stesso Sgalla “dovrà essere recuperatoall’interno del Piano industriale”.Insomma la Cgil, ma questo lo si era già capitodalle dichiarazioni a caldo seguite alla presen-tazione del Piano, assume una visione moltopragmatica della vicenda, registrando che, inuna situazione di forte e perdurante difficoltà,la proprietà ha, quantomeno, scoperto le carte.“Nestlè fattura 97 miliardi di franchi svizzeriall’anno - afferma Sgalla - di cui appena il 6%nel settore dolciario ed è evidente che appenapotranno mollarlo lo faranno.Detto questo è altrettanto evidente che nonc’è nessuno al momento in grado di accollarsiuna azienda così complessa come la Perugina.D’altronde qualunque nuovo compratore co-mincerebbe con 300 esuberi. Al momentotutto ciò è scongiurato e questo è un dato difatto. Certamente noi abbiamo il dovere - elo stiamo già facendo - di migliorare perquanto possibile il piano e di vigilare sulla suacorretta applicazione”. Una visione che non soddisfa affatto StefanoZuccherini che è invece convinto che la sceltadel monoprodotto porterà comunque ad unaperdita occupazionale e ad una riduzione dellafabbrica, ormai troppo grande per determinativolumi produttivi. “La vertenza della Perugina- incalza - deve diventare quella di tutta lacittà, i lavoratori non vanno lasciati soli. Invecetutto sta avvenendo nel completo disinteresse- a parte le dichiarazioni di rito - delle istitu-zioni. Per quanto mi riguarda ho intenzione,insieme ad altri, di proporre l’iscrizione all’albod’oro del Comune di Perugia delle lavoratricie dei lavoratori della Perugina. Si tratterebbedi un segnale importante e di un riconosci-mento doveroso”.

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Perugina

Nestlè scopre le carteStefano De Cenzo

sottoscrivi per micropolis

Diecimila euro8716 euro

Walter Cremonte 100,00 euro;Fabio Paganini 40,00 euro;

8856 euro

C/C 13112 intestato a Centro Documentazione e Ricercac/o BNL Perugia Agenzia 1Coordinate IBAN IT97O0100503001000000013112

micropolis

Fabbriche sì, fabbriche noDue forum, dialoghi, interviste (chiamatele come volete)con sindacalisti e membri delle Rsu, una sulla meccanica finenell’area folignate e l’altra sulla Perugina. Due realtà diverse,la prima in crescita come fatturati ed occupazione; la secondaalla ricerca di un faticoso rilancio, con incertezze sul futuro.Due sistemi di fabbrica equivalenti come occupazione ed indotto.Sono gli aspetti contraddittori della crisi che interroganoil sindacato e i lavoratori, rompendo schemi consolidati.Da una parte una grande impresa multinazionale, dall’altra formedi capitalismo familiare indigeno, con imprenditori cresciutinel corso degli anni per quanto riguarda le tecniche di gestione,le capacità di innovazione, l’esperienza internazionale.Anche la meccanica fine non è esente da contraddizioni.Le imprese maggiori appaiono proiettate verso forme di workfareaziendale, di formazione della forza lavoro, percorsidi innovazione e d’investimento consistenti; le altre - quelle piùpiccole - evitano il rapporto con il sindacato, cercanodi impedirne la presenza in fabbrica. Percorsi differenziati,visioni diverse che generano ambiguità e complessità inediteche non è inutile raccontare.

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Riceviamo e pubblichiamo

La mutazionegeneticadella CoopVasco Cajarelli*

ono dipendente e socio Coop da 33anni e posso dire di aver visto comple-tarsi la trasformazione genetica di que-

sta realtà. C’è da interrogarsi su cosa sia stato edove siano finiti i principi del “movimento coo-perativo”, che anche nella nostra regione si erasviluppato, crescendo fortemente sulla spintadi valori che delineavano una possibile “terzavia” rispetto ai modelli economici esistenti. Mapoi tante cooperative nel nostro territorio hannochiuso, penso all’importante esperienza del Mo-lino cooperativo del Trasimeno, o agli oleificicooperativi che avevano tentato di coniugare lebattaglie mezzadrili con l’idea di un autogo-verno dell’impresa e che consentivano di supe-rare la necessità e l’obbligo di rivolgersi ai pa-droni e al loro grande capitale fondiario. E allora, mi domando e vi domando cosa è di-ventata oggi l’esperienza cooperativa. Mi si ri-sponderà che le aziende se non fanno profittochiudono, ma è altrettanto vero che queste coo-perative sono nate per il bisogno di risponderealla necessità di una visione diversa del “mer-cato”, o, per lo meno, di una visione non “uni-laterale”, cioè rivolta solo al profitto. Certo, quando un cliente, anche un socio Coop,va al supermercato, deve avere qualità nel ser-vizio e un buon prezzo. Ma forse alla Coop ilcliente si aspetta qualcosa di più: un’aziendache vuole fare dell’etica commerciale anche unostile. E allora, perché questa azienda oggi scegliedi intraprendere una concorrenza verso il bassoalle catene commerciali più agguerrite? Perchési punta sulla “finanza creativa”, anziché tutelarei piccoli risparmiatori con il “prestito soci”, cheera e dovrebbe ancora essere una delle impor-tanti risorse della Coop? Questa azienda ha de-ciso di diventare come le altre, recidendo l’ul-timo cordone ombelicale con la sua storia ormailontana?Quando aziende come la Coop sono state at-taccate da una certa cultura di destra per to-gliergli le agevolazioni fiscali, l’abbiamo difese,pensando e credendo ancora nelle finalità socialiche le caratterizzavano. E allora: perché si sceglieancora la strada della riduzione dei diritti dellavoro, arrivando a minacciare la possibilità cheil magazzino di Castiglione del Lago sia ester-nalizzato? Già oggi i dipendenti Coop hannostipendi anche troppo bassi, fino al punto chequalche volta sono costretti a rinunciare a farela spesa nel loro supermercato e rivolgersi allaconcorrenza. Ma non è per tutti così. È vero ono che all’interno di questa azienda c’è unacondizione di privilegio per pochi, con condi-zioni economiche e di “rendita di posizione”indiscutibili e indiscusse? È vero o no che sipuò restare ai vertici di una cooperativa perquasi 40 anni, senza rischiare mai la messa indiscussione? Esiste o no un problema di demo-crazia decisionale ed economica in questaazienda? Vorrei che all’interno di Coop si svi-luppi una riflessione, per fare meglio ed accre-scere anche la competitività. Perché prima opoi dovremo fare i conti con un aspetto fonda-mentale: non esiste solo la dittatura del mercato,ma forse si può vincere puntando ad altro. Èvero che viviamo tempi difficili, riduzione deidiritti economici, sociali e democratici, i grandiideali sembrano scomparsi, ma forse, ancora,abbiamo bisogno di credere che l’uomo non siriduca a ricercare la felicità nell’affermazionedi sé e limitando le possibilità a chi gli è vicinoo lavora con lui, nella stessa azienda. 33 annifa, quando caricavo un pancale o rifornivo uncamion, avevo il sogno che quel gesto, oltre adarmi da vivere, alimentasse la speranza di con-tribuire ad un’altra idea di mercato. Non ucci-diamo tutti i sogni, o saremo tutti più soli.

*Dipendente Coop e dirigente sindacale Cgil

‘industria abita sempre di meno inUmbria. Tra il 1981 ed il 2011 il valoreaggiunto prodotto dal settore mani-

fatturiero è calato dal 38,9% al 17%; gli occu-pati che nel 1981 erano pari a 92.256 nel 2009erano scesi a 67.099, le unità locali da 10.009a 8.104. E’ in questo quadro che si colloca il settore me-tallurgico meccanico. Negli anni ottanta del se-colo scorso gli analisti ne sottolineavano il bassolivello di specializzazione. Nel corso dei decenni,mentre deperiva la carpenteria metallica e lametallurgia perdeva occupati, si affermavanoaltri settori che si affiancavano a quelli tradi-zionali. Al 31 dicembre 2010 gli occupati nelsettore erano 23.140, di essi 6.165 si concen-travano in aziende da 10 a 49 addetti e 4.578in quelle da 250 e oltre. Tra il 31 dicembre2007 e il 31 dicembre 2010, nella prima fasedella crisi, la crescita si realizza nelle aziendesotto nove addetti per quanto riguarda le unitàlocali (+52) con una perdita però di 112 occu-pati, la caduta più rilevante si registra nelleaziende tra 10 e 49 addetti (-31 unità locali e -970 addetti), più contenuta è in quelle tra 50 e249 occupati (-4 unità locali e -565 addetti),mentre crescono le imprese con 250 occupati eoltre e gli addetti alle stesse (3 e 301). Il saldopositivo per il numero delle unità locali (+20)diviene fortemente negativo per quanto riguardagli occupati (-1247).Si tratta di dati non facilmente interpretabili,non divisibili per aree geografiche e compartie, soprattutto, fermi a cinque anni fa, primadell’acuirsi delle crisi industriali. Tuttavia, è in-tuitivamente possibile affermare, sia pure contutte le cautele del caso, che si sono avute rea-zioni diverse alla crisi che - nel caso delle imprese

più tradizionali - hanno significato una proie-zione verso i mercati dei paesi in via di sviluppo(Africa, Asia, Est Europa), con gli stessi prodottiper clienti meno esigenti; mentre - per altroverso - si sono verificati percorsi di specializza-zione che hanno avuto come sbocco finale set-tori di punta dello sviluppo, attivando ricerca,investimenti e formazione. Più semplicementec’è chi ha chiuso, chi ha resistito come ha potutoe, infine, chi si è rafforzato ed è cresciuto.

Il volto proteiformedella meccanica fineE’ in questa ottica che abbiamo interrogato Si-mone Pampanelli, responsabile della Fiom inValle Umbra e un gruppo di rappresentati delleRsu dell’Umbra cuscinetti e delle Officine mec-caniche aeronautiche, due imprese cresciute ne-gli ultimi anni che hanno conosciuto e cono-scono una fase di espansione. Il tema è quellodella meccanica fine o di precisione. Pampanellil’ha caratterizzata come comparto con produ-zioni di alto valore aggiunto, di alta qualità, dialti livelli di professionalità della mano d’opera.Accanto alle due aziende principali se ne collo-cano altre che hanno conosciuto nell’ultimodecennio un consistente sviluppo e che, per unverso, lavorano per le imprese maggiori (soprat-tutto l’Umbra Cuscinetti), per altri aspettihanno prodotti originali con i quali hanno co-minciato a penetrare il mercato. E’ il caso dellaCo.me.ar e della Bsp, entrambe di proprietàdella famiglia Becchetti, che nel 2015 hannoraggiunto e superato i 200-250 addetti, o dellaNcm e dell’High Technology Center due societàper azioni, il cui pivot è Renato Cesca, che for-nisce alla General Electric camere di combu-stione e combustori di ultima generazione oltre

a fornire componenti all’industrie aeronautiche.Ad esse si aggiunge l’Amco srl, un’azienda sub-fornitrice della Umbra cuscinetti che impiegacirca 40 addetti, nel cui capitale sociale sonopresenti gli stessi soci dell’Umbra e di cui è pre-sidente Antonello Marcucci, che ha lo stessoincarico nell’azienda madre. Aziende ancoraoggi in crescita produttiva e occupazionale checompressivamente hanno circa 1800-2000 ad-detti intorno ai quali si muove una costellazionedi piccole, piccolissime imprese cui viene ester-nalizzato il lavoro “povero”. “Complessivamentetra fabbriche principali e subfornitori - diconoPampanelli e i rappresentanti delle Rsu - nelcomparto lavorano circa 3.500-4.000 addetti”.

Il centro del comparto: l’Umbracuscinetti e le Oma TontiIl sistema non ha i caratteri del distretto indu-striale, non è un modello di produzione oriz-zontale in cui ogni azienda si specializza in unaparticolare funzione che si colloca a monte o avalle di altre lavorazioni. Il centro è rappresen-tato dalle imprese maggiori intorno alle quali,in parte o per l’intero, ruotano le produzionidelle altre fabbriche. Le aziende che costitui-scono l’architrave del comparto sono l’UmbraCuscinetti e le Officine meccaniche aeronauti-che Tonti (Oma).L’Umbra cuscinetti è frutto di un salvataggiodi un’impresa locale da parte della tedesca Fage della Gepi nei primi anni settanta del secoloscorso. Nel 1983 la Gepi cede il suo pacchettoazionario alla Fag che nel 1987, grazie ad unvite a riciclo di sfera per i flap, diventa fornitoreesclusivo della Boeing. Nel 1993 il capitale azio-nario viene acquisito, attraverso un’operazionedi management buyout e con l’aiuto di alcuni

Meccanica fine:un mondo integrato

e articolatoa cura di Renato Covino, Osvaldo Fressoia

S

L

Città di Castello. Piazza Gabriotti.

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istituti finanziari, da Valter Baldaccini, che as-sume il ruolo di direzione dell’impresa, e daReno Ortolani che ne diviene il direttore tec-nico. Oggi la società (Umbra group) ha lo sta-bilimento centrale a Foligno dove lavorano 700addetti, più un centro di ricerca ad Albanella,un impianto negli Stati Uniti e, dopo l’acquisi-zione della Präzisionkugeln, due stabilimenti inGermania. Produce cuscinetti a sfera, attuatorielettromeccanici e viti complesse. Soprattuttoin questo settore è concentrata la forza lavoro(circa il 40%). Consistente l’ufficio tecnico(circa 80 persone). Complessivamente ha oc-cupato, nel 2015, 944 unità lavorative, con unfatturato pari a circa 160 milioni e un capitaleinvestito di oltre 138 milioni. L’azienda mostra la matrice tipica delle formedi imprenditoria familiare. Il 52,23% del capi-tale sociale è di Poliscom srl (la famiglia Bal-daccini), il 19,47% della Safim (la famiglia Or-tolani), il 5.02% è in mano a dipendenti ecollaboratori, il 10,28% è di proprietà del-l’azienda stessa e l’8,05% è di Bifin, una societàfinanziaria. Nel consiglio di amministrazione,oltre agli azionisti principali e ai collaboratoridell’impresa, siedono anche due consiglieri in-dipendenti, con esperienze in campo aeronau-tico e finanziario. Il parco clienti si è andatoprogressivamente ampliando. Se i cuscinetti asfera vengono rilevati nella quasi totalità dallaFag e dalla svedese Scha-effler, per le viti circolarialla Boeing si sono ag-giunti Airbus, Embraer,Bombardier e Siemens.L’investimento in mac-chinari sempre nel 2015è stato stimato in otto mi-lioni di euro a cui nevanno aggiunti altrettantiin ricerca. Investimenti ericerca sono stati elevatianche negli anni di piùacuta crisi e rappresentanoun elemento che caratte-rizza l’impresa, come lascarsa esposizione nei con-fronti del sistema banca-rio: gli investimenti sonoper lo più assicurati tra-mite l’autofinanziamento.Più antica è la storiadell’Oma. L’azienda nasceper iniziativa della fami-glia di industriali tessiliTonti. Nel dopoguerra itecnici che riadattavano imacchinari dell’azienda, che si era trasferita daRasiglia a Foligno, erano anche impegnati pressol’Ausa Macchi. Quest’ultima aveva ricevuto unacommessa dall’aeronautica che la direzione diVarese aveva intenzione di rifiutare, avendo de-ciso di riportare tecnici e impianti a Varese.Egeo Pittoni, il tecnico che dirigeva la Macchidi Foligno, sceglie di non rientrare a Varese epropone a Tonti di portare a termini i lavoricommissionati all’Ausa. Così il 14 gennaio 1948nasce l’Oma. L’azienda si presenta come un aggregato com-posito di lavorazioni. Il 40% del fatturato èrappresentato da lavori di carpenteria, circa il55% è costituito da prodotti di meccanica diprecisione, in particolare assemblaggi di pezzi edi sistemi complessi, il 5% da altre lavorazioni.Complessivamente gli occupati sono circa 600;un terzo di questi, approssimativamente, sonooperai con relativa specializzazione, circa 30sono ingegneri di produzione, una sessantina icollaboratori tecnici, circa 200 lavorano in am-ministrazione. Mentre le produzioni di carpen-teria metallica hanno come destinatari Alenia eFinmeccanica, i prodotti di precisione hannocome commissionari Boeing, Pemco, Nordam,Piaggio, Lockheed, Ministero della Difesa, ecc.Rilevante il comparto dedicato alle riparazionitecniche per le compagnie aeree. Solo una parte limitata della produzione vienedestinata al settore dell’aeronautica militare. Inrealtà la quota in questo settore è marginale ederiva da commesse da poco avviate, comequelle per realizzare parti degli F35, che occu-pano ad oggi pochi lavoratori. Il capitale socialeè interamente della famiglia Tonti. Alla presi-

denza si stanno alternando, per legato testa-mentario, ogni tre anni, i due fratelli maggiori.Unico membro esterno alla famiglia del verticeaziendale è il general manager Vincenzo Rossi.Notevole è il flusso degli investimenti. Negliultimi anni è stato costruito un capannone de-stinato alle produzioni per gli F35 per un costodi 12-13 milioni, di cui 7 a carico dell’azienda.Si prevede di costruirne altri entro il 2018, sonostati inoltre acquistati macchinari per 1,5 mi-lioni a cui se ne dovrebbero aggiungere altri perun valore analogo, sempre finalizzati alle lavo-razioni destinate alla meccanica fine. La valu-tazione è che questi investimenti siano destinatiad occupare una ventina di lavoratori e chesiano finalizzati all’obiettivo di garantirsi ulte-riori commesse, entrando in un gioco destinatoa durare alcuni anni. In questa ipotesi va collo-cato l’annuncio di 130 posti di lavoro entro il2018 per la revisione degli F35.

Formazione, qualifiche, salari e re-lazioni sindacaliIn tale contesto vanno analizzate le condizionidi lavoro, i salari, le relazioni sindacali. In en-trambi i casi la scelta dichiarata è quella di co-struire comunità di fabbrica in cui le ragionidella sopravvivenza dell’impresa, della sua com-petitività sono direttamente collegate alla soli-darietà tra azienda e lavoratori. Ovviamente tale

ispirazione viene coniugata diversamente, a se-conda dei livelli di specializzazione dell’azienda,della sua capacità di penetrazione sul mercato,della professionalità dei lavoratori. Appare, pe-raltro, evidente che in tutti e due i casi il rap-porto con il territorio si struttura più orizzon-talmente (la scuola, le famiglie dei dipendenti,in qualche caso la chiesa e il sindacato esterno)piuttosto che verticalmente (la politica, le isti-tuzioni). A quest’ultime si chiede soprattuttodi creare situazioni territoriali favorevoli allosviluppo delle imprese. Labili, peraltro, sonoanche i rapporti con le associazioni datoriali e ilegami con gli altri imprenditori.In primo piano sono i livelli di professionaliz-zazione dei lavoratori. L’Oma utilizza le agenzieinterinali presenti nel territorio, anche se a li-vello formativo si interfaccia con le scuole tec-niche e professionali per formare ulteriormentee specificamente i presunti futuri lavoratori.Ciò dipende dai caratteri della produzione cheprevede la presenza di molte mansioni. Anchealla Umbra cuscinetti l’attenzione alla forma-zione è forte e, per alcuni aspetti, meglio gestita.In questo caso la duttilità del lavoratore implicaperiodi di affiancamento ad operatori piùesperti, corsi professionali interni, che dipen-dono dall’alto livello di immissioni in fabbrica,realizzatosi tra il 2005 ed il 2008, che ha fattosì che in azienda siano entrati anche diplomatisenza specifiche conoscenze e senza precedentiesperienze lavorative. Anche nel 2008, quandosi verificò un periodo di difficoltà produttive evenne richiesta la cassa integrazione, la sceltafu quella di applicare percorsi di mobilità in-terna, dato questo che ha assicurato all’azienda

un maggiore duttilità della forza lavoro e ai la-voratori la possibilità di superare, agevolmentee senza perdite occupazionali, la fase di diffi-coltà. La risposta fu quella di accentuare la com-petitività all’esterno, puntando sull’ulteriorespecializzazione della forza lavoro. La manod’opera risulta, quindi, giovane, scolarizzata,professionalizzata, elastica.La differenza tra le due fabbriche emerge connettezza per quello che riguarda qualifiche e,conseguentemente, standard retributivi. Al-l’Oma il grosso dei lavoratori è inquadrato nellaIII categoria con livelli retributivi mensili dicirca 1100 euro. Un lavoratore inquadrato nellaV categoria percepisce poco più di 1400 euro,il premio di produzione congloba anche quellodi rendimento ed è fortemente ancorato allapresenza in fabbrica. All’Umbra cuscinetti pre-valgono le categorie IV e V. I salari sono piùconsistenti. Per molti aspetti ciò deriva dal fattoche all’Umbra si lavora su tre turni e che questoinnalza i livelli salariali dei turnisti. Fatto stache un turnista percepisce un salario notevol-mente più alto che nelle altre realtà produttivea cui vanno aggiunti la quattordicesima, il pre-mio di produzione e quello di rendimento Ognimese per il premio di produzione vengono ac-cantonati 50 euro a cui si aggiunge una inden-nità di presenza di 6 euro al giorno e 1,5 eurodi integrazione oraria per il lavoro notturno.

Accanto a questi benefit,che Pampanelli e i mem-bri della Rsu dell’Umbracuscinetti valutano aggi-rarsi intorno ad alcunemigliaia di euro l’anno,se ne aggiungono altri,come la mensa aziendalee, proposta di questigiorni, un’assicurazionesanitaria integrativa peri dipendenti e i loro fa-miliari, pagata intera-mente dall’impresa, incui sono conglobati i tic-ket della sanità pubblicae la prevenzione. Ci sonoanche altre procedureche fanno emergere uninteresse della Società neiconfronti dei lavoratori,come le riunioni in cuisi spiega l’andamento delbilancio aziendale e delleperformance del-l’azienda. In entrambe lerealtà il sistema di rela-

zioni industriali appare soddisfacente e sostan-zialmente corretto e i contratti nazionali ven-gono rispettati ed applicati. La Rsu si muoveunitariamente e gestisce la contrattazione conl’azienda con scarsi interventi delle strutturedella categoria.

Il volto oscuro delle imprese minoriSe questa è la situazione delle aziende maggiori,che pur nelle differenze dimostrano un livellodi relazioni sindacali buono o comunque ac-cettabile, diversa è la situazione nelle altre fab-briche del comparto dove il sindacato, soprat-tutto per avversione padronale e per una pauradiffusa di discriminazioni, non riesce a pene-trare. Ne consegue che i livelli salariali, come ilsistema di garanzie - frutto di una lunga storiadi contrattazione - non riescono a generalizzarsi.I punti alti, in altri termini, rimangono isolati.Ciò non toglie che la retorica della meccanicafine passi attraverso i media, non distinguendosituazione da situazione, fabbrica da fabbrica.Più semplicemente non esiste solo chi ha di-mostrato capacità di resistere alla crisi, anzi diassicurare processi di crescita e di sviluppo, masi registrano anche atteggiamenti diversi tra im-prenditore e imprenditore, tra chi ritiene chelo scopo fondamentale dell’azienda sia il livellodi profitto e chi ritiene che l’impresa, per soste-nere la competizione, debba coinvolgere tuttigli attori in campo. Una forma nuova e anticadi corporativismo? Una riedizione in terra um-bra dell’esperienza olivettiana? Non ci sembrail caso di mutuare esempi dalla storia impren-ditoriale straniera e italiana. Fatto sta che, coni tempi che corrono, non è cosa da poco.

Fondatasul lavoroA tuttovoucherMiss Jane Marple

el 2015, in Italia, sono stati venduti115 milioni di voucher, 68,60% in piùrispetto al 2014. Il governo come al

solito batte le mani e si congratula con se stessoper il miracolo compiuto dal Jobs act. Ma siamosicuri che questo si tratti di una buona notizia?I voucher sono i tagliandi da 10 euro l’ora (7,5netti per chi li riceve) introdotti per la vendem-mia del 2008, per permettere di avere un aiutoper la raccolta dell’uva senza dover pagare il la-voratore occasionale in nero. Il loro utilizzo si èpoi allargato agli altri settori, facendone esplo-dere la vendita. Questi buoni lavoro, acquistabilionline o presso le tabaccherie da imprese e pri-vati, restano comunque una forma di lavoroprecario e senza alcun diritto: utilizzati corret-tamente permettono l’emersione del lavoro innero, ma si prestano anche a fungere da coper-tura per lavori non regolarizzati. Nati nel 2003con la Legge Biagi, i voucher vengono estesi atutti i settori di attività e per tutte le categoriedi lavoratori dalla riforma Fornero. Infine, ilJobs act di Renzi (decreto legislativo 81 del 15giugno 2015) ha innalzato il limite annuo deicompensi per le prestazioni da 5.000 a 7.000euro, imposto l’acquisto dei voucher e la comu-nicazione dei dati anagrafici, del codice fiscaledel lavoratore e del luogo della prestazione pervia telematica.Chiunque può lavorare con i voucher: i cosid-detti “prestatori” infatti, possono essere pensio-nati, studenti in vacanza, cassintegrati e disoc-cupati, lavoratori part time, extracomunitari inpossesso di permesso di soggiorno e dipendenti.Il valore dei voucher è identico, indipendente-mente dal tipo di attività svota: che tu lavorinei campi, come barista, consulente, come guidaturistica, giornalista o baby sitter guadagni sem-pre 7,5 euro l’ora. Non si scappa.In più anche in questo caso vale il principio“fatta la legge trovato l’inganno”. Alcuni datoridi lavoro scelgono il lavoro accessorio con i vou-cher non per lavori occasionali, di poche ore epochi giorni, ma per intere stagioni. Accade cheil prestatore di lavoro riceva voucher, quandogli va bene, per la metà delle ore lavorative gior-naliere, il resto è pagato in nero.Si tratta della forma di lavoro più precaria e conmeno tutele attualmente in vigore, non esisteun contratto nazionale di riferimento, non esi-stono giorni di malattia o di riposo. E se arrivanodei controlli, il datore di lavoro è coperto daivoucher, e non importa se il giovane ha lavorato8 ore e ha ricevuto soltanto 2-3 voucher. Biso-gnerebbe che fossero i lavoratori stessi a denun-ciare certe situazioni, ma soprattutto in tempidi crisi ogni lavoro trovato va bene, indipen-dentemente dalle condizioni, purché permettadi pagare l’affitto. Anche in Umbria i voucher sono triplicati indue anni, toccando quota 1.971.122. I settorifondamentali che utilizzano questo strumentosono commercio, turismo e servizi. Ben 17.874sono i lavoratori coinvolti, di cui 1.711 non co-munitari. Si tratta di ciffe che corrispondono al10% della forza lavoro dipendente, non più unaquota marginale, e che cambiano profonda-mente ed in peggio le caratteristiche del nostromercato del lavoro. Basta pensare che il 50%dei lavoratori interessati è under 49 anni e cheil compenso medio annuo di ciascun lavoratorecorrisponde a 471 euro.L’utilizzo di questo istituto, che tutela assai pocoil lavoratore, che nel tempo produrrà pensioniminime, instabilità lavorativa, bassa professio-nalità e un buco fiscale per le casse dello Stato,con un indebolimento del sistema di sostegnoal reddito (i voucher non prevedono il dirittoall’indennità di disoccupazione), si può parago-nare solo ad una moderna forma di schiavismo.

N

Città di Castello. Le antiche mura civicheche delimitavano il centro storicosono state demolite o deturpateda costruzioni di ogni tipo.

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sempre l’Europa a darci le direttive esulla mobilità ne abbiamo bisogno vi-sto che l’Italia detiene l’europrimato

per l’uso dei mezzi privati, da cui consegue, la-palissianamente, che le infrastrutture più indi-spensabili siano le strade, indipendentementedalla loro gerarchia. E così mentre l’Europa simuove con i mezzi pubblici e collettivi noi cispostiamo con il mezzo privato e da soli, conti-nuiamo a costruire strade e rotonde ad ogni cro-cicchio, andiamo proprio controcorrente. Ep-pure qualcosa si poteva fare, volendo, per cercaredi schiodarci da questa fissazione: per esempioistituire il mobility manager, una figura introdottadal decreto Ronchi del 1998 con il compitospecifico di organizzare gli spostamenti casa-la-voro dei dipendenti di pubbliche amministra-zioni e aziende private che superassero certe di-mensioni stabilite dalla legge. Avrebbe cioèdovuto agire sulla domanda di mobilità per ri-durre i flussi di traffico in entrata e uscita accor-pando le domande con il car pooling (più di unapersona nella stessa auto privata) oppure predi-sponendo servizi di trasporto collettivi, o im-plementando qualsiasi altro dispositivo per rag-giungere l’obiettivo. Nella piccola Umbria le aziende obbligate dallalegge a dotarsi di mobility manager sono pocheper ovvi motivi, il Comune di Perugia è una diqueste e tale figura è presente da circa dieci anni,ma l’incidenza del suo operato sul traffico autonon si percepisce. Tanto è vero che si registra,solo recentemente, nel febbraio 2015, il “Pro-getto Chums” (Changing habits for urban mo-bility solutions) in partenariato internazionaleche, finanziato dalla Comunità europea conpoco più di 101.000 euro, svolgerà il lavoro delmobility manager. Cioè cercherà di convincerecon incentivi, dispositivi e nuove aree parcheggioi dipendenti del comune e dell’università cheusano l’auto privata singolarmente ad organiz-zarsi in car pooling. Questo progetto ha una du-rata limitata di trenta mesi, e dopo? Potrà di-ventare strutturale? Se l’avviamento di questabuona pratica è stato pagato con i finanziamentieuropei sarà sufficiente questo perché il progettovada a regime? Ma soprattutto, in questi dieci

anni a cosa è servito stipendiare il mobility ma-nager? Viene il sospetto che sia stato impiegatoper la progettazione delle rotonde stradali vistala fioritura che c’è stata fino a poco tempo fa.Possiamo permetterci un tale lusso? Eppure la classe dirigente locale, politica e non,continua a vantarsi delle soluzioni di mobilitàalternativa implementate a Perugia, tanto daconsiderarsi un’avanguardia. Si cominciò con lascelta felice delle scale mobili dentro la RoccaPaolina, sull’onda della quale si progettò il mi-nimetrò, scelta meno felice sotto molti aspetti,due in particolare: la domanda effettiva dellatratta realizzata è molto più bassa delle previsioniprogettuali, il costo economico è stato troppogravoso per la realizzazione, e ora anche per lamanutenzione. Ma l’entusiasmo dei pionieridella mobilità alternativa pareva incontenibiletanto da metterlo per iscritto nella deliberazionen. 415 del 28/9/2006 con cui la giunta comu-nale di Perugia, capeggiata dal sindaco Locchicon l’assessore alla mobilità Chianella, adottavail Pum (Piano urbano della mobilità), pratica-mente costruito intorno alla presenza del mini-metrò. La prospettiva del piano era decennale,e non poteva essere altrimenti. La deliberazioneinfatti recitava: “l’Amministrazione Comunaleha, fra i suoi obiettivi principali, quello di rior-ganizzare il sistema della mobilità delle personee delle merci, procedendo alla risoluzione deiproblemi connessi alla viabilità, a vantaggio dellaqualità urbana e della diminuzione di inquina-mento acustico ed atmosferico” e ancora “laprossima entrata in funzione del minimetrò mo-dificherà in maniera sostanziale l’offerta di tra-sporto pubblico della città di Perugia che legrandi trasformazioni urbanistiche di Perugia,accompagnate dallo spostamento nell’ambitourbano delle principali funzioni, cambierannogli scenari della domanda di mobilità nel medioe lungo periodo”. Insomma veniva descritto unoscenario da “magnifiche sorti e progressive” no-nostante fossero già note, e anche pubblicamentecondivise, le numerose e complesse cause dellacronica insufficienza e inefficienza dell’offertadi mobilità pubblica. Tuttavia una verità si dicevae cioè che le grandi trasformazioni urbanistiche

avrebbero cambiato la domanda di mobilità.Peccato che la risposta sia stata insufficientequando non assente. Lo dimostrano i continuisuperamenti dei limiti della concentrazione diPm10, segno evidente che sono ancora troppiquelli che preferiscono il mezzo privato.Nel frattempo l’Europa continua a dare indica-zioni e quelli che prima si chiamavano Pumoggi si chiamano Pums, è stata aggiunta la essedi sostenibile.Si caratterizzano per tenere debitamente contodei principi di integrazione, partecipazione e va-lutazione, inoltre sono molto orientati ad in-centivare l’uso della mobilità dolce (come i per-corsi ciclopedonali e le zone 30), sicuramentealternativa a quella su gomma, a istituire dellestrutture permanenti di valutazione delle variesoluzioni messe in campo. Per promuovere e so-stenere i Pums la Comunità europea ha presen-tato il progetto chiamato Bump (Boosting urbanmobility plans) che risulta noto alle ammini-strazioni locali, almeno a quella regionale e aquella del capoluogo visto che un incontro daltitolo “Breakfast at sustainability’s” si è svoltoin questo mese di marzo nella sede della RegioneUmbria di Bruxelles e uno dei relatori via etereè stato proprio il mobility manager del comunedi Perugia. Rimane un mistero la ragione per cui, dopo unintervento che sarà stato sicuramente mirato araccontare le soluzioni perugine di mobilità so-stenibile, se ne sia uscito sulla stampa locale conuna proposta come quella del tunnel sotto l’acro-poli, con ingresso nei pressi della Madonna deiCenciarelli e uscita in zona San Galigano perproseguire poi, eventualmente, fino a Pian diMassiano. Questa bella pensata, che non brilladi certo per le caratteristiche di sostenibilità,dato l’impatto ambientale, e non agevola la mo-bilità dolce raccomandate dal Pums, dovrebbeservire per evitare il famigerato nodo di Perugiaa coloro che da nord salgono al colle.Ancora e sempre mobilità su gomma per i forzatidell’auto costretti dall’assenza di offerta sosteni-bile, che appena possono riprendono il “cavallodi San Francesco” in lunghe file in mezzo allacampagna.

6p o l i t i c amar zo 2016

l 17 aprile si va a votare al referendumper raggiungere il quorum del 50% piùuno degli aventi diritto e si vota sì, perché

è ora di abbandonare l’economia delle fonti ener-getiche fossili. Il 15 marzo si è costituito anche in Umbria, suimpulso nazionale, il “Comitato Ferma le Tri-velle” al quale hanno aderito più di trenta asso-ciazioni - ci siamo anche noi di “micropolis” -che metteranno a disposizione le proprie orga-nizzazioni senza portare bandiere. Lo scopo èquello di rompere il silenzio nel quale è stata av-volta la notizia di questo referendum e di veico-lare le informazioni necessarie a farsi un’idea sucome votare. E’ il destino, sancito per legge, dei referendumitaliani quello di raggiungere il quorum primaancora del risultato di merito, doppia fatica anzitripla visto che non aiuta la tendenza all’aumentodell’astensione nelle competizioni elettorali. Enon aiuta neanche il mancato accorpamento conle amministrative di giugno che si terranno inmolte città. Si poteva indire un election day ri-sparmiando 300 milioni: evidentemente la spen-ding review non è la priorità che ci viene rac-contata. Tuttavia vogliamo credere che unreferendum, che come spesso accade riguardaun grande tema trasversale, sia in grado di risve-gliare l’attenzione dei più distratti. Così comeavvenne nel 2011 con quello per l’acqua pubblicache, semplificando, confermò la gestione pub-blica del servizio idrico. Abbiamo ancora negliocchi le celebrazioni di una grande vittoria dellademocrazia, così pensavamo. Poi fummo costrettia vedere anche la disinvoltura con cui la bassapolitica disattendeva, e ancora disattende, l’esitoreferendario. Ma veniamo alle trivelle. Il quesito chiederà se sivuole abrogare una parte dell’articolo 6 dellalegge di stabilità 2016 che prolunga l’autorizza-zione a trivellare dei vari concessionari, presentientro le 12 miglia marine, finché dura il giaci-mento e non fino allo scadere della concessione,come stabilito dalla precedente legge. Tali con-cessioni, a cui la legge attribuì la durata massimadi 40 anni, sono prossime alla scadenza e riguar-dano 21 siti dai quali si estrae per la maggiorparte gas metano, e poco petrolio. E qui viene ladomanda delle domande: per quel 10% scarsodi energia vale la pena tenere in piedi un’attivitàcosì impattante? Inoltre si tratta ancora e sempredi fonti di origine fossile, quelle che dovremmoabbandonare per passare ad un modello di svi-luppo basato sulle fonti rinnovabili, secondo ilmantra che abbiamo sentito, per la ventunesimavolta, anche nel 2015 dopo la Cop (Conferenceof the parties) 21 di Parigi. A giudicare dalle azioni dei vari governi nonsembrerebbe che si stiano mettendo in campo lepolitiche giuste per affrancarci dall’economiadelle fonti fossili, anche a costo di pagare conse-guenze pesanti a livello ambientale.Ma il comitato per il sì al referendum si sta im-pegnando per ripetere l’esito del 2011 con un’or-ganizzazione che ha fatto “adottare” a ognunadelle regioni direttamente interessate dalle trivelle,Basilicata, Calabria Campania, Liguria, Marche,Molise, Puglia, Sardegna, Veneto, una o più dellealtre per coordinare la campagna a livello nazio-nale. Ben sapendo che il comitato per il no di-spone di grandi e potenti mezzi che finora hannoimpedito, con il silenzio, la diffusione delle in-formazioni. Per questo la prima iniziativa umbraè stata davanti alla sede Rai di Perugia il 18marzo per rompere il silenzio della stampa, neseguiranno altre in ogni occasione pubblica pos-sibile per convincere il quorum ad andare a votaree votare sì, il 17 aprile.

Il 17 aprilevotiamo sì alreferendumA.G.

I

È

Fa discutere la proposta di realizzareun tunnel sotto Perugia

Mobilitàincontenibile

Anna Rita Guarducci

Città di Castello. Parcheggi.

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Città di Castello si tengono due mer-cati settimanali, il giovedì e il sabato.Non è una particolarità, analoghi mer-

cati si svolgono in tutte le città dell’Umbria enon solo.La specificità è che essi hanno sede nelle duepiazze principali della città: piazza Gabriotti,dove si erge la mole del Palazzo Comunale, ini-ziato nel 1322 e rimasto incompiuto, e piazzaMatteotti dove sorgono il Palazzo del Podestà,anch’esso di impianto trecentesco, e la Cassa dirisparmio, costruita tra Otto e Novecento. Ledue piazze sono unite dal breve corso Cavour elungo di esse e nella via di collegamento si col-locano i banchi degli ambulanti. E’ il simbolodi una città ha superato i 40.000 abitanti, cheperò continua ad avere le movenze di un centroche ancora organizza un territorio, quello cheuna volta si sarebbe chiamato contado, non soloper quanto riguarda le funzioni burocratiche,ma anche per quelle mercantili. Accanto ai su-permercati e alle piastre commerciali, resistonoanche i luoghi della tradizione. I mercati nellepiazze sono cioè il simbolo di una comunitàper alcuni aspetti chiusa nel suo territorio, dovecontinuano a convivere attività agricole e in-dustria, spesso in simbiosi tra loro.

La crisi e l’industriaSu questa realtà, retoricamente definita il Nordest dell’Umbria, in cui, ancora agli inizi del se-colo, si raggiungevano livelli di quasi piena oc-cupazione, come si è ripercossa la crisi? Cosahanno provocato le politiche agricole comuni-tarie? Come hanno reagito la città e il territorio,la società e le strutture culturali? Quale è ilruolo delle istituzioni e della politica, o meglioquale percezione si ha di tale ruolo?Non si può non partire dal ridimensionamentodella struttura industriale. Nel comprensoriodell’Alta valle del Tevere si registrava fino al2005-2008 la presenza di alcuni settori forti: ilmeccanico, il tipografico, il tessile abbiglia-mento, la produzione di mobili d’arte. Questiultimi due comparti hanno pagato più dura-mente la crisi, in termini sia di sopravvivenzadelle aziende che di occupazione. In parte di-versa è la situazione del tipografico e del mec-canico. Di quello che è avvenuto nella grafica e nellacartotecnica parliamo con Agostino Granci, tec-nico del settore e nostro antico compagno.Granci individua il punto più alto della crisinel 2009-2010 e lo fa derivare dal livello di in-debitamento delle tipografie. Il motivo è la per-

dita di dinamicità della tipografia classica. E’in gran parte il frutto dell’innovazione tecno-logica, dell’introduzione dell’informatica nellagrafica. Ciò ha comportato la scomparsa di tuttala fase preparatoria, ma soprattutto è entrato incrisi il modello produttivo. Negli anni settanta,come effetto di processi di crisi, si assiste ad undecentramento delle imprese maggiori, ad unagemmazione di imprese che provoca un frazio-namento del processo produttivo, con aziendeoperanti in segmenti del ciclo di lavorazione.Conseguenza immediata di tale percorso è statauna vasta terziarizzazione e la crescente specia-lizzazione del settore poligrafico tifernate che,peraltro, poteva giovarsi di una formazione pro-fessionale garantita dal corso di grafica dell’Ipsiache forniva forza lavoro preparata alle aziende.Accanto al settore poligrafico si collocava la car-totecnica, meno specializzata dal punto di vistadella mano d’opera e meno estesa per quantoriguardava l’assorbimento di forza lavoro. Siconfigurava così una sorta di distretto produt-tivo che determinava la tenuta e la fortuna delsettore. Quest’ultimo nel 1961 contava 26 im-prese con 744 addetti, nel 1991 aveva 150aziende e 1.630 occupati. Gli scricchiolii si sonomanifestati negli anni a cavallo dei due secoli e

7 i l v i a g g i omar zo 2016

L’Alta valledel Tevere (1)

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‘industria manifatturiera continua adessere il motore propulsivo dell’in-tera area altotiberina, nonostante

elementi di fragilità e dipendenza dell’esternoche ne hanno condizionato e ne condizionanofortemente lo sviluppo. Nel 2011 il Censi-mento delle attività produttive segnalavanell’area la presenza di 1.140 unità locali delcomparto manifatturiero, delle quali 931 nellaclasse tra gli 1 ed i 9 addetti, 168 tra i 10 e49 addetti e 41 tra i 50 ed i 249 addetti.Queste 931 unità locali danno lavoro a 9.514persone (nel 2001 erano 11.592). All’internodel manifatturiero il comparto moda con1.778 continua a concentrare poco meno del20% degli addetti, le attività tipografiche e diprodotti in legno contano 1.788 addetti, deiquali 1.457 nella sola Città di Castello, men-tre le attività meccaniche, più omogenea-mente diffuse in tutta l’area, raggiungono i1.475 addetti. Accanto al manifatturiero unpeso rilevante ricopre tutta la filiera della colti-vazione e lavorazione del tabacco. Attual-mente vengono annualmente prodotte15.000 tonnellate di varietà Virginia Bright su

una superficie di circa 6.000 ettari. Vi sonoinoltre 60 ettari di terreno che producono 130tonnellate di varietà Kentuchy. Il settore dà la-voro ad oltre 3.000 unità nella fase agricola ealtrettanti nell’indotto. Al 2014, ultimo datodisponibile, la popolazione residente negli 8comuni dell’Alta Valle del Tevere (Citerna,Città di Castello, Lisciano Niccone, Monte S.Maria Tiberina, Montone, Pietralunga, SanGiustino ed Umbertide) ammonta a 77.214unità, pari all’8,6% della popolazione regio-nale. Al censimento del 2011 gli occupatisono 32.988: 2.470 in agricoltura (7,5% deltotale, rispetto al 5,1% alla media dell’interaprovincia di Perugia), 11.865 nell’industriamanifatturiera e costruzioni (36,8%, rispettoal 28,7% provinciale), 10.103 nei servizi pri-vati (30,6%, rispetto al 36,8% della provincia)e 8.549 negli altri servizi, comprensivi dellapubblica amministrazione (25,9% contro il29,4% dell’intero territorio della provincia diPerugia). I dati censuari ci restituiscono l’im-magine di un’area che, almeno fino al 2011,ovvero prima della crisi, continuava ad averenell’industria e nel manifatturiero, il suo cuore

produttivo: un cuore antico che risale a fineOttocento inizi Novecento con esperienze dispicco (Scipione Lapi nelle attività tipografica,Francesco Nardi per la costruzione di mac-chine agricole, la Fattoria Autonoma Tabacchiper la lavorazione del tabacco, la Scuola Ope-raia Bufalini per la formazione professionale,la Tela umbra nel tessile). Più recentemente,tra il 1961 ed il 1980 gli occupati nell’indu-stria manifatturiera dell’Alta valle passano da2.308 a 8.761. I settori di punta sono il mec-canico, con 59 unità locali e 2.490 addetti, equello tessile e abbigliamento, con 69aziende e 2.585 occupati. Già dagli anni Ot-tanta sono tuttavia evidenti - come in altrezone dell’Umbria - i segni di fragilità di questotipo di sviluppo, che spesso lavora in contoterzi. A tale proposito fondamentale è lastretta dipendenza di buona parte di questotessuto manifatturiero da processi di decen-tramento produttivo ed il suo collocarsi nelleparti a meno valore aggiunto del ciclo produt-tivo. Da ciò la mancanza e/o gracilità in ter-mini di capacità organizzativa e tecnologica el’assenza di contatti diretti con il mercato.

I dati macroeconomiciFranco Calistri

A

L

Hanno partecipatoe curato il “viaggio”Alberto Barelli,Renato Covino,Osvaldo Fressoia,Paolo Lupattelli

Città di Castello. Piazza Matteotti

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sono esplosi a partire del 2005. Progressiva-mente si è passati a 70-80 imprese, con circa700 addetti, di cui solo una decina capaci disostenere un flusso sufficiente di investimenti(Petruzzi editore, Litograf, Cts grafica, GraficheSabbioni, ecc.). Il parco clienti, inoltre, si è an-dato riducendo. La Perugina, ma non solo essa,dopo il passaggio alla Nestlè ha spostato fotolitoe packaging a Varese. Infine la cartotecnica èoggi in mano a grandi imprese, come Fincarta,esterne al contesto tifernate. Ma quello che piùconta è che sono venuti meno i caratteri di-strettuali del comparto. Ormai le imprese mag-giori tendono a riportare all’interno le lavora-zioni, con un ovvio scadimento della qualità.Era possibile fare qualcosa di diverso? Alcunianni fa a seguito del deperimento della sezionegrafica dell’Ipsia, grazie alla presenza di inse-gnanti a zero ore, non trasferibili altrove permotivi normativi, sarebbe stato possibile costi-tuire un Osservatorio di settore a costi conte-nuti. E’ stata un’occasione perduta: alla Regioneed alle altre istituzioni da un punto di vista pro-duttivo la grafica non interessava più di tanto.E’ dai caratteri della crisi che inizia il dialogo

con Fiorenzo Luchetti, presidente dell’Associa-zione industriali dell’alto Tevere. La crisi sembraattenuarsi solo nell’ultimo periodo. Molto è do-vuto ad un atteggiamento di maggiore dispo-nibilità del sistema creditizio e alla solidità in-trinseca delle aziende altotiberine, al fatto chel’impresa familiare - le multinazionali nell’areasono poche - è riuscita ad indirizzarsi con mac-chinari più moderni verso prodotti di maggiorespecializzazione. Per quanto riguarda il settoregrafico e cartotecnico Luchetti afferma che senzanuovi investimenti si rischia di scontareun’uscita dai mercati. Più favorevole è la situa-zione nel settore meccanico - in cui è impegnatol’imprenditore - dove sono presenti circa 100aziende con 2.000 occupati. La distinzione vienefatta tra due sezioni. Una che lavora nel com-parto degli autoveicoli e che si concentra so-prattutto ad Umbertide. A Montone la Trivago,una grande azienda francese, che produce au-

tocaravan, ha aumentato la produzione di circail 50%. L’altra sezione è quella delle macchineagricole per la lavorazione del terreno, per laconcimazione, la raccolta, il trasporto. In questatipologia d’impresa oggi si sta configurando unavera e propria filiera. Si sta tentando di realizzareun sistema capace di fare marketing e d’inter-venire nei confronti del sistema bancario. Si av-verte, tuttavia, per quanto riguarda il credito,l’assenza di agenzie di garanzia pubbliche, l’im-pressione è che ci sia in questo settore un di-simpegno delle istituzioni - Regione e Stato -dalle quali si vorrebbero maggiori servizi. Nonsolo il credito, ma le strade, le regole, l’energiae più in generale le infrastrutture. Elementi chepotrebbero alleggerire la crisi. D’altro canto siavverte un rimpianto nei confronti delle banchedi comunità, sempre più depotenziate dai pro-cessi di concentrazione. Il quadro che Luchettifa del sistema produttivo e della meccanica e ladescrizione di un sistema di imprese piccolecon fatturati che mediamente si attestano su20-30 milioni annui realizzati su mercati nuovi(l’Est europeo, l’Africa, l’Asia), è in buona parteconfermato, anche se con minore ottimismo,da Maurizio Maurizi segretario regionale dellaFiom.

Impresa e sindacatoLa crisi, sostiene Maurizi, ha avuto un anda-mento impetuoso agli inizi, nel 2008-2009,con forti ridimensionamenti e consistenti li-cenziamenti. Ne è conseguita una polverizza-zione delle aziende produttrici del mobile d’arte,ma più in generale un malessere complessivoche ha provocato reazioni specifiche nel mondoimprenditoriale. La più rilevante, dovuta al cam-bio generazionale dell’imprenditorialità dellepiccole e medie imprese della valle, è stata laspinta alla capitalizzazione. La crisi inizialmenteregistra una caduta delle imprese storiche: laNardi, che vede ridursi l’occupazione dai 1.000operai del passato ai 130-140 di oggi, e la Ren-zacci. La successiva ripresina del 2010 ha co-munque lasciato cadaveri sul territorio nei set-tori del mobile, della grafica, dell’abbigliamento.Più complessa la situazione del settore mecca-nico. Si registra a volte un inserimento di capi-tale estero. Il caso della Vic, che produce viti,rilevata da un’impresa britannica e che ha 80addetti, ne è un esempio. Nelle imprese localila sostanziale tenuta è dovuta al sacrificio deilavoratori. A partire dal 2010 si comincia a re-gistrare un rilancio di produzioni nuove nellamotoristica e nella stampistica, mentre si assistea riconversioni produttive. Ad esempio inaziende che producevano tubi di scappamentoper ciclomotori e piccole cilindrate si passa acilindrate maggiori. Si rafforzano imprese, comequelle di proprietà di Codovini, che produconocomponenti, stampaggi e saldature e lavorarano

su commesse Fiat. Qui i salari si attestano su1.200-1.300 euro, forte è la presenza di mano-dopera straniera. L’occupazione nelle aziendeCodovini è di circa 500 unità. Nelle imprese più recenti, al contrario che inquelle storiche, si registra un’ostilità diffusa neiconfronti del sindacato. La scarsa propensioneal dialogo è dovuta per un verso ad uno sviluppodella competitività, avvenuto a scapito dei la-voratori: solo 12 aziende su 50 erogano il pre-mio di risultato; per l’altro gli imprenditori nonvogliono intromissioni nella gestione. Ciò hasignificato un peggioramento della condizioneoperaia. Il caso limite è quello della Metalmec-canica tiberina, fabbrica che rifiuta sistemati-camente la trattativa, dove 200 dipendenti sonosenza bagni. Al lato opposto si colloca la fabbricadi autocaravan della Trivago. Qui i 100 operaioccupati (di cui 25 iscritti alla Fiom) hanno itrasporti e la mensa, ricevono 1.000 euro dipremio di risultato, i rapporti sindacali sonobuoni. In generale le decine di aziende del set-tore occupano circa 3.000 addetti, non ci sonosituazioni di crisi insuperabili, i fatturati sonoin ripresa, il sindacato maggioritario nella stra-grande maggioranza delle imprese è la Cgil, concirca 1.000 iscritti. Un quadro, insomma, dalpunto di vista produttivo e delle relazioni in-dustriali, con luci e ombre, che attesta però cheil settore ha tenuto, che in alcuni casi la quotadi investimenti è cresciuta, che in altri l’autofi-nanziamento è servito per rafforzare con glistessi prodotti la penetrazione in mercati esteri.

Il tabacco: croce e deliziaE tuttavia la chiave del ragionamento di Mauriziè l’affermazione, fatta come inciso, che la tenutadell’economia dell’Alto Tevere è dovuta all’agri-coltura, in gran parte assistita dai fondi europeiche, tuttavia, innescano meccanismi perversicome il ristorno, è il caso della Fat, di fondiverso un settore immobiliare oggi in crisi. Persaperne di più sul tabacco e il suo ruolo nel-l’economia dell’area abbiamo parlato con PaoloFratini, sindaco di San Giustino, ma soprattuttoagrimensore, con Gabriele Zippilli, imprendi-tore di sigari fatti a mano e Daniele Bistoni,funzionario del settore cultura del Comune cheè stato magna pars nella nascita e nella gestionedel Museo del tabacco. E’ Fratini il nostro Virgilio nell’universo ta-bacco. La stima approssimativa delle dimensionidel settore è di circa 400 aziende con 500 mi-lioni di fatturato annuo e 3.000 addetti. Nelcorso degli anni ha conosciuto profonde modi-ficazioni. Si sono ampliatele maglie poderali, le6-7 imprese che effettuavano la fase premani-fatturiera che precede le lavorazioni finali (sigari,trinciati, sigarette) si sono ridotte a due o trecon molti meno addetti che in passato. I quan-titativi contingentati sono stati pari a 180.000

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Aboca:Un successotrasparentee inarrestabileAlberto Barelli

hi legge le pagine economichedei giornali o segue le rubrichespecializzate delle tv avrà inevi-

tabilmente la sensazione di essere in-cappato nella pagina dei necrologi.Crisi, cassa integrazione, mobilità, mer-cati asfittici, disoccupazione, delocaliz-zazione sono le parole ricorrenti. Pochele eccezioni. Una di queste è rappresen-tata da Aboca spa di Sansepolcro che sioccupa di coltivazione e trasformazionedi prodotti erboristici. Una società lea-der nei prodotti come integratori alimen-tari, dispositivi medici a base di com-plessi molecolari naturali, prodottifitoterapeutici, sostanze naturali epiante medicinali che sembra non cono-scere crisi. Oggi Aboca è un’azienda lea-der del settore in Europa, ha 730 dipen-denti di cui 130 assunti nel 2014. Nel2015 ha registrato un fatturato consoli-dato di 120 milioni con un utile lordo dipiù di 20 milioni e un export del 25%del fatturato. Nel 2014 le vendite al-l’estero hanno registrato un aumentodel 38% grazie alle quattro filiali in Spa-gna, Polonia, Usa e Francia e ai nove di-stributori in Belgio, Romania, Taiwan,Azerbaijan, Bulgaria, Grecia, Malta, Por-togallo ed Equador. Una quota pari al7% del fatturato viene investito in ri-cerca e sviluppo con l’obiettivo di tro-vare nuovi Api, Active Pharmaceutical In-gredients, destinati a target terapeuticisempre più elevati. Aboca coltiva le ma-terie prime in più di mille ettari di ter-reno di cui 700 nella Valtiberina a ca-vallo tra Toscana e Umbria e 300 ettariin Valdichiana in Toscana. E proprio daiterreni e dalla cura con cui vengono col-tivati che arriva la spinta per il successodelle tre tipologie di prodotti di Abocatutti naturali al cento per cento: i dispo-sitivi medici, gli integratori alimentari e icosmetici. Tutti i terreni in cui Abocacoltiva le sue materieprime sono vincolati alledisposizioni del Regola-mento sull’agricoltura bio-logica che prevede tecni-che di coltura idonee apreservare la struttura egli equilibri micro-organicidel terreno, l’utilizzo divarietà vegetali adatte al-l’ambiente specifico,l’esclusione assoluta difertilizzanti e antiparassi-tari chimici e di organismigeneticamente modificati.Nei terreni di Aboca ses-santa coltivatori, in collaborazione conuna squadra di agronomi, controllano laqualità delle 70 specie diverse di pianteofficinali per un totale di duemila tonnel-late all’anno di prodotto di alta qualitàmonitorato in tutte le sue fasi prima diessere avviato nel moderno stabili-mento farmaceutico che dal 2006 pro-duce i dispositivi medici a base di com-plessi molecolari vegetali. Produzionirigidamente naturali che hanno per-messo ad Aboca di ottenere tre certifi-cazioni di qualità internazionali ricono-sciute in 170 paesi: Iso 9001, Iso14001 e soprattutto Iso 13485 che re-golamenta i dispositivi medici e includeanche gli aspetti degli standard dell’Iso9001. Riconoscimenti che hanno per-messo la diffusione dei prodotti Abocanel mondo.

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quintali di Bright. Buona la qualità: l’Alto Te-vere è zona da sempre particolarmente vocataper la coltivazione tabacchicola. I produttorilegati alla Coldiretti conferiscono il prodottoalla Philip Morris, le vecchie cooperative legatealla Lega e la Fat alla Japan Tobaco. Le integra-zioni, che ormai non ci sono più, erano pari a100 milioni di euro l’anno. La fine delle sov-venzioni europee ha comportato un aumentodel prezzo pagato dalle grandi compagnie cheormai ha raggiunto 270-280 euro al quintale.E tuttavia ciò non significa che l’interventodell’Unione sia finito. Fino al 2020 verrannoconferiti 1.500 euro per il disaccoppiamento.In sintesi, indipendentemente da quello che sicoltiva o non si coltiva, ogni ettaro dove erapresente tabacco accede a tale contributo. Altri600 euro ad ettaro sono previsti per chi diffe-renzia le culture, ossia coltiva altro oltre il ta-bacco. La ratio delle sovvenzioni, di quella che Fratinichiama riforma, è la riconversione delle cultureche rappresenta anche un’ancora di salvataggionei confronti delle multinazionali. Quest’ul-time, peraltro, divengono sempre più esigenti ecominciano a richiedere tabacco biologico. E’il frutto della rottura tra opinione pubblica etabacco e della volontà di recuperare questogap. In ogni caso il Piano agricolo regionalemette a disposizione per l’agricoltura 70 milionil’anno fino al 2020, destinati a varie misure:dai giovani alle macchine, dagli annessi al be-stiame che pascola in montagna, alle forme diagricoltura integrata e biologica. Tuttavia no-nostante il calo delle sovvenzioni e i mutamentiche si cercano di indurre nel comparto agricolo,il tabacco continua ad essere una cultura ad altaredditività, dato che spiega il consenso al suomantenimento da parte del territorio. Ciò nontoglie che, malgrado le normative e le innova-zioni introdotte riguardo all’impiego della chi-mica in agricoltura, continui la polemica sulruolo impattante sull’ambiente del tabacco. Intale contesto si inserisce la polemica di Abocache accusa i tabacchicoltori di utilizzare prodottiche compromettono le culture biologiche del-l’impresa. Si tratta di problemi in parte reali, inparte utilizzati per giustificare scelte quale l’ac-quisto di terreni in Toscana. Resta un ulterioreelemento che non va sottovalutato: l’effetto im-magine che Aboca ricava dalla polemica, quellodi azienda che difende l’ambiente ed il territo-rio.Ma se la produzione di Bright evidenzia i van-taggi e le criticità che ricordavamo prima, esisteun’altra dimensione legata alle produzioni dinicchia. E’ quella del Kentucky utilizzato persigari e trinciati. Gabriele Zippilli ne coltiva 35ettari e ne produce 600 quintali di cui una parteviene ceduta ad altri produttori (soprattutto allaCornell e Diehl per tabacco da pipa), un’altraviene utilizzata in un piccolo stabilimento cheoccupa 2 maestre e 8 dipendenti, che produce500.000 sigari prodotti a mano e 1.200.000 amacchina sotto il controllo costante delle lavo-ratrici. E’ una piccola produzione. La Manifat-tura Sigaro Toscano di Lucca copre infatti il92% dei 200 milioni di sigari prodotti in Italia.Ma la scommessa di Zippilli, fatta con tabacchicontrollati e biologici, è ottimizzare la produ-zione in rapporto con un territorio dove il ta-bacco si produce da secoli. E così l’obiettivo èmettere in rete la valorizzazione di Cospaia, ilborgo che si costituì fino all’Ottocento, per er-rore di confinazione, come una repubblica diproduttori e contrabbandieri; il Museo del ta-bacco; la produzione di sigari e il resto del pa-trimonio culturale di San Giustino, in un per-corso virtuoso che consenta di connetterecultura, identità territoriali, ambiente e mani-fattura. In questo quadro il museo ha un ruolocentrale, come ci dicono il sindaco e DanieleBistoni. Può sviluppare il progetto su cui eranato: non solo luogo di memoria di qualcosache non c’è più, ma istituto che consenta la co-noscenza e la lettura di un paesaggio e delle suespecificità, volano di uno sviluppo territorialeproiettato nel futuro.

La cultura come risorsa?Quello del tabacco non è l’unico museo dellaproduzione presente nell’Alta valle del Tevere.Ce ne sono due che riguardano la grafica, quelli

delle tipografie Pliniana e Grifani-Donati, euno del settore tessile, quello della Tela umbra.Nell’ispirazione originaria non sono templi delpassato, ma tentativi di tenere insieme produ-zione, valori culturali della comunità, capacitàdi proiettare nel futuro antichi mestieri, di farlivivere come elemento di qualità e di competi-tività di un territorio. La vicenda del museodella Tela umbra è significativa e mette in lucicontraddizioni e difficoltà, come dimostra ilcontenzioso sorto recentemente tra LucianoNeri, presidente della cooperativa che lo gestisce,e il sindaco del Comune di Città di Castello. La Tela umbra è il frutto dell’iniziativa di AliceHallgarten, moglie di Leopoldo Franchetti,uomo politico, finanziere, proprietario terrierolivornese trasferitosi nell’Alto Tevere a fine Ot-tocento. Alice dà vita, a inizi Novecento, a duescuole elementari, una a Villa Montesca e l’altraa Riviglieto, dove dopo qualche anno vieneadottato il metodo Montessori. Ad esse ag-giunge nel 1908 il laboratorio tessile che ha loscopo di insegnare il mestiere e contemporane-mente produrre per il mercato. Dopo la mortedi Alice (1911) e il suicidio di Leopoldo (1917)le attività vengono gestite, grazie ad un generosolegato testamentario, dalla Fondazione ReginaMargherita fino al 1981 quando le Opere pievengono sciolte e la loro mission passa alla Re-gione. Si tratta di un patrimonio di tutto ri-spetto: villa Montesca, palazzo Tomassini (già

Bourbon del Monte), arredi, un archivio, gliimpianti del laboratorio. Nel 1985 le lavoratricicostituiscono una cooperativa con il Comune,Sviluppumbria e il Consorzio Valtiberina Pro-duce. Contemporaneamente si apre un conte-zioso tra le stesse e la Regione per l’assunzionenell’organico dell’ente, risoltosi recentementecon una sentenza definitiva che dà loro ragionee che significa il pagamento di 6 milioni di eurodi indennizzi oltre le spese legali e l’assunzionenei ranghi regionali. La legge regionale 33 del 1988 stabilisce per ilfunzionamento della Tela umbra uno stanzia-mento annuale che ammonta oggi a 98.000euro, a cui si sono aggiunte altre sovvenzionisporadiche. Intanto viene alienata parte di pa-lazzo Tomassini e vi vengono insediati ufficipubblici, villa Montesca è destinata a centro diformazione, gli arredi e gli archivi vengono spo-stati nei depositi della Regione. Dopo la con-clusione della vertenza delle lavoratrici la Telaumbra è allo stremo. Restano solo due tessitrici.In questa situazione nel 2010 la presidenza vieneaffidata a Luciano Neri, che riesce ad ampliarel’organico attraverso corsi di formazione, a quasiraddoppiare il fatturato (da 30.000 a 50.000euro), a ristrutturare e restaurare palazzo To-massini grazie ad un un intervento fattivo disettori di società civile. E’ in questo quadro chesi apre il contenzioso con il Comune. Per Nerila struttura è un bene comune, in cui produ-zione e attività culturale devono alimentarsi avicenda. Il Comune, per converso, non ha in-tenzione di impegnarsi su questo terreno chesignifica management, marketing, promozioneturistica, ossia investimenti che facciano uscireTela umbra dal limbo in cui finora è rimastaconfinata. Si scontrano due visioni: una proiet-

tata all’esterno della città, l’altra sostanzialmenterinchiusa nel circuito urbano. Diversa, anche se per molti aspetti analoga, lavicenda del Museo della tipografia Grifani-Do-nati. La bottega tipografica è situata in pienocentro storico in via Cavour. I titolari hannocercato di affiancarle uno stabilimento modernonella zona industriale che ha operato, sia purecon difficoltà, dal 1986 al 1994. L’esaurirsi diquesto tentativo li porta, Giovanni Ottaviani eAdriana Saporosi, ad interrogarsi sul futurodell’azienda. Da ciò nasce l’idea della tipografiamuseo che ha l’aiuto finanziario della Regioneed ulteriori forme di sovvenzione dal Comune.Oggi le macchine antiche producono “litografie,calcografie, manifesti, carte intestate, bigliettida visita, partecipazioni nunziali, ex libris”. Latipografia è stata riconosciuta come “Museo vi-vente delle Arti Grafiche” ed inserita nel circuitomuseale regionale. Nonostante ciò non riescefino in fondo a svolgere un ruolo di collega-mento e promozione dell’attività tipograficadell’Alto Tevere. Scarsi i rapporti con il settore,inesistenti gli itinerari sul territorio. Il Museovive in una condizione di splendido isolamentosenza la possibilità di proiettarsi all’esterno, nonper incapacità di chi lo gestisce e vi lavora, maper insensibilità degli altri operatori del settoree l’assenza di politiche pubbliche efficaci.I due esempi descrivono una situazione chetende a divenire condizione, ossia la difficoltàdi trasformare i musei della produzione in al-trettanti volani di sviluppo e di rilancio delleattività, siano pure esse di nicchia, attivando,come si dice impropriamente, percorsi di mar-keting territoriale. La tendenza è invece quelladi farne oggetti di orgoglio cittadino, senza ca-pacità di espansione, in una autoreferenzialità,che non consente di comunicare tra loro. Questa autoreferenzialità non è solo dovuta allaindifferenza dei poteri pubblici, è un fatto piùprofondo che attraversa l’insieme delle strutturesociali e culturali. In città si contano ben 107associazioni che operano in diversi campi, dallacultura all’assistenza e prevenzione di specifichemalattie, allo sport. Tra esse esistono ben pochicollegamenti e solidarietà, ma soprattutto nonc’è volontà di realizzarli. E’ questo che DanielaBrodi, imprenditrice del settore grafico e pro-motrice dell’associazione Artè, cerca di incrinare.L’ambizione è quella di far comunicare quantosi muove nel territorio dal punto di vista arti-stico, musicale, filosofico, letterario con ciò chesi muove fuori di esso. A tale scopo è dedicatal’apertura della canonica della Chiesa degli ar-tisti, che vuol essere anche luogo ospitale d’in-contro e di comunicazione interpersonale. Nulladi eccezionale, ma importante in una cittàchiusa in sé stessa. Questo ripiegamento emergeanche a proposito di un evento importantecome il centenario di Burri. I muri e le plancedi affissione erano tappezzati di manifesti cheannunciavano per il 12 marzo un’assemblea dibilancio delle iniziative del centenario. Oratori:il sindaco, l’assessore regionale alla cultura, ilpresidente della fondazione Burri. Sala piena,discorsi tutti tesi a esaltare l’attenzione mondialenei confronti dell’illustre concittadino. Già, magli eventi più rilevanti avvengono altrove, inItalia. In Umbria a Città di Castello è avvenutopoco o nulla. Così Alberto Burri si trasformain testimonial, un destino che non meritava.Alla scarsa senibilità, peraltro, si affiancano fe-nomeni di sciatteria evitabili che incidono sulquotidiano. E’ il caso della biblioteca comunale.Doveva trasferirisi in altra sede. I libri eranostati imballati per il trasloco, i locali dove eraospitata destinati ad altri uffici. Poi si è scopertoche il nuovo edificio non aveva tutti i requisitioccorrenti ad un polo bibliotecario. Conclu-sione: da due anni la città è senza biblioteca ci-vica e non si sa per quanto durerà questa situa-zione, nessuno protesta. Intanto la funzionebibliotecaria è stata surrogata da un centro dilettura allestito presso il Palazzo del podestà.Ben misera base per lo sviluppo della culturatifernate!

Le aporie del socialeQuello che stupisce, tuttavia, è l’assenza di di-scussione, che per lo più si sviluppa sottotraccia,senza un confronto esplicito, anche duro, mavolto a porre questioni e soluzioni. Non è cosa

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Da sinistra a destra

Tela umbra, telai

Museo del tabacco di San Giustino

Tela umbra, Ingresso negozio

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che riguarda solo le istituzioni, ma più in gene-rale il dibattito pubblico. Un esempio può spie-gare questa difficoltà. Davanti alla Chiesa diSan Francesco ha sede il monumento all’11 set-tembre 1860 dello scultore Elmo Palazzi.L’opera venne inaugurata nel 1914. Il monu-mento raffigura un cavallo rampante (il popolotifernate), in sella al quale sta un giovane (l’eser-cito piemontese), che rompe le catene secolaridella teocrazia pontificia e calpesta la tiara sim-bolo del potere temporale della Chiesa. La scul-tura suscitò all’epoca la vivace reazione dellaChiesa locale, innescando polemiche e discus-sioni. Il 16 novembre 1926 un gruppo di zelantifascisti distaccò con la fiamma ossidrica la tiarae ne fece dono al vescovo dell’epoca, oggi è con-servata nello studio vescovile in una teca di ve-tro. Nel 2004 l’Associazione culturale Luigi An-gelini si impegna nel restauro del monumentonella sua integrità, ma non richiede la tiara ori-ginale, ne fa fare una nuova. Quella “antica”resta in vescovado. Insomma una sorta di laici-smo timoroso, che non vuole suscitare discus-sioni. Non c’è solo questo. I cattolici hannoavuto un peso non indifferente nella storia cit-tadina del Novecento. I parroci che promuo-vono leghe bianche e Venanzio Gabriotti, il pre-sidente del Cln di Città di Castello fucilato dainazifascisti, ne sono gli esempi più rilevanti.Quello che però non funziona è che un rispettodoveroso per questa storia si tramuti in ossequioall’autorità ecclsesiastica, segno di una subal-ternità non dovuta. Peraltro la stessa Chiesa sof-fre delle difficoltà del periodo, non riesce, no-nostante papa Bergoglio, ad uscire da ciò chel’attanaglia. E’ quanto emerge dalla discussione con due te-stimoni privilegiati che provengono da questatradizione e da questa cultura: Pier Luigi Bruschie Franco Ciliberti. Pier Luigi Bruschi, già se-gretario regionale della Cisl, oggi impegnatonella Caritas, conferma il quadro di difficoltàdell’industria e l’assenza dei poteri locali, mamette a fuoco anche l’andamento asfittico dellestrutture sociali. A suo parere occorrerebbe, perprodurre il nuovo, un atteggiamento diverso,capace di innovare in diversi settori - dall’agri-coltura agli antichi mestieri - di costruire incu-batori d’impresa. La frustrazione del corpo so-ciale semina disinteresse. La crisi con tutte ledifficoltà che genera, invece, potrebbe essere uncampo di opportunità inedito. L’esempio deltabacco è evidente. Valentino Mercati il patron

di Aboca ha ragione: senza andare ad un supe-ramento del vincolo tabacchicolo è difficile pro-durre un’agricoltura rispettosa dell’ambiente.La crisi incide anche sul mondo cattolico. L’en-ciclica papale suscita attenzione, ma non riescea produrre azioni conseguenti che passino dal-l’enunciazione all’operatività. Ciò risulta evi-dente anche nel settore assistenziale-caritativo,la cui attività si svolge nel solco della tradizione.Le politiche sociali avrebbero invece bisognoanch’esse di innovazione nel solco di quella cheviene definita la sussidiarità circolare in cui siesce dall’orizzontalità del rapporto istituzionipubbliche, privato sociale e/o volontariato e sientra in un processo in cui si rapportano, oltrea questi soggetti, anche fondazioni, privati eimprese. E’ l’ipotesi suggerita dall’economistacattolico Stefano Zamagni che in ciò vede lasoluzione della crisi fiscale dello Stato e del wel-fare. Peccato che all’elaborazione teorica corri-sponda una sperimentazione puntiforme, inca-pace di generalizzarsi. Sarebbero necessarisoggetti forti che, nella situazione attuale, è dif-ficile intravedere.Analoghe e per molti aspetti coincidenti sonole considerazioni di Franco Ciliberti, in passatogiovane parlamentare della sinistra democri-stiana. Ciliberti disegna un processo di lungoperiodo che ha portato alla corrosione del sensocivico e delle solidarietà cittadine. Osserva come

gli imprenditori, attanagliati da difficoltà og-gettive e soggettive, tendano a rinchiudersi nelleloro attività. Registra la mancanza di pivot, diuna visione strategica. Città di Castello oggi ri-fiuta di essere centro di un territorio, suo criterioorganizzativo, rientra in una tipologia, per leiinusuale, come quella del campanilismo. In-somma siamo di fronte ad una crisi non soloeconomica e produttiva, ma di leadership socialee politica.Oggi le rappresentanze politiche ed istituzionalisono tutte concentrate sulle loro fortune perso-nali. Manca, in altri termini, una funzione pe-dagogico-educativa della politica. La stessaChiesa, al di là della generosità del volontariato,ha paura dell’impegno pubblico. I poteri fortiappaiono indifferenti, dato questo che rafforzale lobby, ma anche le mafie, non solo quellache vive del traffico di stupefacenti (il Sert assiste370 persone) ma anche quella dei fitofarmacidiffusa tra Umbria e Toscana. Infine il centrostorico è luogo di residenza dei più poveri e deimigranti, mentre l’intervento nel sociale è oggiin affanno ed inadeguata è l’integrazione degliimmigrati. E’ questo che spiega il 17% dellaLega. In questo quadro si colloca la questionedella macroregione che implicherebbe non ope-razioni di ingegneria istituzionale, ma una vi-sione generale dello Stato e delle autonomie.Ma al di là della retorica dell’interregionalità si

assiste ad una sostanziale chiusura che sfavorisceuna zona di confine come l’Alto Tevere. Per lepolitiche di sviluppo occorrerebbero infrastrut-ture efficienti: la ferrovia e la messa in sicurezzadella E 45. Non ci sono né l’una né l’altra. Incompenso il piano urbanistico si sviluppa suuna previsione di 80.000 abitanti, in una cittàche ne ha poco più di 40.000, in prospettivaun regalo alle lobby del mattone e a quelle adesse collegate, in attesa della ripresa del cicloedilizio. Si registra insomma un malessere diffuso, ingran parte sotterraneo o messo sotto silenzio.Di ciò fa parte un fenomeno di difficile quan-tificazione come il precariato che assume di-mensioni tutt’altro che marginali. E’ un feno-meno nazionale, non un’eccezione altotiberina.Un primato poco invidiabile è invece l’alto nu-mero dei call center presenti nel territorio, dovele condizioni di lavoro sono segnate dallo sfrut-tamento e dalla mancanza di tutele. La realtàtifernate può, tuttavia, rivendicare una pecu-liarità positiva: la rottura del silenzio e del di-sinteresse nei confronti del fenomeno. I lavora-tori hanno saputo far sentire la propria voce,dando vita a vertenze e, soprattutto, ad unadelle prime esperienze di mobilitazione, certa-mente tra le più innovative. Nei mesi scorsi ènato il Comitato precari dei call center del-l’Umbria, che ha saputo in poco tempo diven-tare un punto di riferimento significativo. Nonè un caso che la vicenda del gruppo Cepu -l’azienda leader per la formazione scolastica consede a Città di Castello, recentemente dichiaratafallita - sia giunta alla ribalta delle cronache al-cuni anni fa proprio con la vertenza avviata dailavoratori del call center dell’Accademia dellusso, ai quali non era stato rinnovato il con-tratto. Non si sa quanti siano i lavoratori im-piegati in tale attività, ma è certo che San Giu-stino è sede uno dei più importanti call centerdella Telecom.L’iniziativa del Comitato ha messo un frenoalla paura diffusa dei lavoratori di perdere il la-voro e all’assenza di dati; per questo mappare ilfenomeno, spiega Marta Melelli, una delle pro-motrici del comitato, è propedeutico alla co-struzione di vertenze e piattaforme. Un secondofreno è costituito - sottolinea la Melelli - dal-l’indifferenza delle istituzioni e della politica.Meglio mettere la cenere sotto il tappeto. Inquesto, l’Alto Tevere e l’intera Umbria nonfanno eccezione. (Continua)

l 12 marzo, si sono ufficialmente chiusii festeggiamenti per il centenario dellanascita di Alberto Burri. Con un bilancio

alquanto deficitario per l’Italia visto chel’evento più importante, la mostra The traumaof painting è stato organizzato al GuggenheimMuseum di New York dal 9 ottobre 2015 algennaio 2016. La mostra si è poi trasferitadal 5 marzo in Germania a Duesseldorf e aprimavera inoltrata arriverà in Italia. Il belPaese si è limitato all’organizzazione di mani-festazioni marginali e a fiumi di parole. Sosteneva Burri: “Le parole non significanoniente per me, esse parlano intorno alla miapittura. Ciò che io voglio esprimere apparenella pittura”. Avrebbe provato fastidio perl’esercizio burocratico e per la vocazione stru-mentale che ha accompagnato nel 2013 lanascita e la promulgazione della legge d’inizia-tiva di tutti i parlamentari umbri per i festeggia-menti del centenario. C’erano proprio tutti, an-che il M5S, con il rinforzino di ex ministri dellacultura come Veltroni, Buttiglione e Melandri.Una storia molto renziana fatta di promesse,rilanci, bluff e controbluff. Una legge di 1.395parole, settantacinque in più della Dichiara-zione di Indipendenza americana. Una leggesenza alcun stanziamento finanziario che, unavolta approvata in Commissione cultura, èstata inviata al Comitato ristretto poi a 3 Com-missioni parlamentari (Affari costituzionali, Bi-lancio e Bicamerale per gli affari regionali). Un

ping pong tra Camera, Senato, Ragioneria diStato, le firme di Napolitano, di Renzi, delGuardasigilli Orlando fino alla pubblicazionesulla Gazzetta Ufficiale. Obiettivo dei sei arti-coli che la compongono: istituire un comitatoper le celebrazioni del centenario. Interpretedello spirito della legge il tifernate on. WalterVerini, primo firmatario, convinto che “il 2015,l’anno di Burri, possa rappresentare ungrande momento di valorizzazione della cul-tura, dell’arte contemporanea e delle politicheturistiche a questa legate” nonché “unagrande occasione per il Paese, per l’Umbria eper Città di Castello, la città di Burri”. Veriniannuncia addirittura l’emissione di un franco-bollo speciale in onore del grande artistacome la Francia aveva già fatto 30 anni prima.Una emissione tra le 48 effettuate nel 2015,omaggio riservato, tra gli altri, ai borghi bellid’Italia, alla ciliegia di Vignola, al Palio di LaSpezia e allo speck dell’Alto Adige. La leggeprevede l’istituzione di un comitato cui spettal’onore e l’onere di stendere il programma. Nefanno parte rappresentanti delle istituzioni eGabriella Belli dei Musei civici di Venezia, San-drina Bandera della Pinacoteca di Brera, Anto-nino Natali della Galleria degli Uffizi. Eccellentipoli museali, ottimi esperti, nessuno dei qualisi occupa di arte contemporanea. I verticidella Fondazione Burri presentano, ad ognibuon conto, il programma prima dell’insedia-mento del Comitato. Autoreferenziali e insoffe-

renti ad ogni ingerenza nella gestione dei mu-sei Burri non ammettono intrusioni o critiche.Alla fine del 2013 si dimette Maurizio Cal-vesi, Presidente della Fondazione da 12 anni.Dice al mensile L’Altrapagina: “Lascio perchéall’interno c’è un po’ di caos, di anarchia […]la Fondazione risente di una sorta di autorita-ria dinastia. Il figlio di Tiziano Sarteanesi, èora titolare di una casa editrice cui vengono(almeno per ora) affidate tutte le pubblicazionidella Fondazione, compreso si teme l’impor-tantissimo e voluminosissimo Catalogo gene-rale del grande Maestro”. I preventivi sonoesorbitanti come per il catalogo della mostradi Kiefer. Per i curiosi il prezzo per il catalogogenerale delle opere di Burri è stato di un mi-lione e centomila euro, realizzato senza gared’appalto e preventivi. Per far fronte allespese dei festeggiamenti la Fondazione havenduto quadri per più di cinque milioni dieuro.Mondo dell’arte e della politica in assordantesilenzio: vietato disturbare la festa. Assenti?No anzi molti, troppi presenti. In tanti hannopartecipato alla gita culturale per l’inaugura-zione della mostra di New York: la PresidenteMarini e l’assessore alla cultura della RegioneUmbria Cecchini; il sindaco tifernate Bac-chetta e il suo vice Bettarelli, i vertici dellaFondazione Burri e tanti cittadini. Mentre im-pazzava l’allegra gita a New York, la provin-ciale Umbria si interrogava sulle spese. Chi ha

pagato? La Regione, la Fondazione, i parteci-panti? E perché per ogni istituzione una cop-pia come i carabinieri delle barzellette? E sele eventuali spese in favore di esponenti poli-tici fossero state affrontate dalla Fondazionesiamo sicuri che non ci sia conflitto di inte-ressi tra controllori e controllati? Infine, è d’obbligo citare una iniziativa dellaFondazione per promuovere Burri. Nel campio-nato di Superlega pallavolo 2015 la squadraAltotevere è scesa in campo con la scritta“Burri centenario” sulla maglia. “Un connubiodi cultura, arte e sport per promuovere al me-glio il nome e l’opera Burri” ha dichiarato l’as-sessore alla cultura Bettarelli. Ai tifosi di Cal-zedonia Verona o di Macelleria Tomazzo diPadova e delle altre squadre è stata offertal’opportunità di conoscere il nome di Burri. IlMaestro avrebbe lanciato i suoi anatemi e, dacampione di tiro come era, avrebbe centratogli obiettivi. Altotevere è arrivata ultima ed hacessato ogni attività. Ma alla Fondazionehanno ampiamente dimostrato che l’impor-tante non è vincere ma partecipare. Dalla morte di Burri nel 1995 ad oggi la Fon-dazione ha venduto quadri per circa 28 milionidi euro, sborsato 11 milioni e 590 mila europer spese legali e ha un patrimonio non vinco-lato valutato intorno ai 300 milioni. La giostragira e diverte chi è a bordo. Per ora è benoliata e non ha bisogno di interventi. Per il fu-turo vedremo.

Burri e il suo centenarioPaolo Lupattelli

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Città di Castello 2015.Per il centenario, restaurodell’intonaco di palazzoAlbizzini sede del museo Burri

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aramente il collasso dei partiti e la crisidella politica vengono spiegati comefrutto della insipienza e impotenza nei

confronti dell’imperante turbo-capitalismo libe-rista (oggi soprattutto finanziario) che, pur fo-mentando una crisi economica lunga e feroce,riesce ancora a spacciarsi come insostituibile. Maanziché dire la verità su una crisi strutturale e disistema e cercare vie alternative all’altezza, la po-litica, quasi tutta, continua a rimuovere il punto,preoccupandosi soprattutto di come mantenereo estorcere consenso (e potere) che, non a caso,si rivelano sempre più fragili e volatili. Né la pro-duzione artificiosa e continua di stati d’emergenzapermanente, né l’ormai imperante rapporto di-retto fra “capo” e popolo - incoraggiato e sdoga-nato anche dalla ex sinistra, quale elemento dimodernità ed efficienza - riescono a compensareil declino dei cosiddetti corpi intermedi (partiti,sindacati, organizzazioni sociali, ecc.) che fino apochi lustri orsono avevano costituito l’ossaturadella dialettica democratica e della partecipazionepopolare. Di fronte a questa resa, culturale e po-litica, il “popolo” di quella che una volta, purvariamente articolata, si chiamava “sinistra”, sene è andato, letteralmente, a casa. Eppure puòcapitare che ogni tanto torni a fare capolino, ein qualche modo a farsi sentire, e che se trovi deiposti accoglienti - anche una Pro loco! - si fermie vi entri. Luoghi ove, in qualche modo, potercontinuare il proprio impegno politico e passionecivile, mortificati per anni dentro la deriva di un“riformismo” rivelatosi fallimentare. Molti sonoinfatti, coloro di quel “popolo della sinistra”, or-mai disperso, che, come dei veri e propri rifugiatipolitici, hanno trovato “patria” dentro le migliaiadi associazioni, sindacati di base, gruppi di vo-lontariato, e realtà sociali variamente organizzatepresenti nel nostro paese. Uno di questi luoghi è l’Anpi, l’antica Associa-zione partigiana che anche in Umbria pare vivereuna stagione di rinascita. Niente di travolgente,

sia chiaro, ma 18 sezioni nella provincia e circa900 iscritti, rappresentano una realtà significativadi fronte all’ormai conclamato, deserto della po-litica: una associazione più numerosa e forte-mente determinata a superare il rischio di “re-ducismo” e di qualsiasi tipo di collateralismopolitico, come dimostra anche la netta posizioneassunta contro la (contro)riforma costituzionaleBoschi-Renzi. Ciò è stato ribadito - pur con qual-che tremore suscitato dalla presenza di alcuniesponenti renziani di non poco peso - anche nelcorso del Congresso provinciale di Perugia, svol-tosi a Casa del Diavolo (20 marzo 2016) in pre-parazione del XVI Congresso nazionale. Moltele nuove adesioni, soprattutto di giovani, mira-colosamente scampati all’indifferenza e al cinismodi questi tempi disgraziati. L’Anpi, infatti, anchein Umbria pare intercettare un desiderio di par-tecipazione e protagonismo: dalla difesa dei dirittie dei beni comuni, alla battaglia contro i fascismirisorgenti e la riscrittura revisionistica della storia,così come contro il tentativo, purtroppo già am-piamente avviato, di stravolgere la Costituzione,la più importante eredità prodotta dalla Resi-stenza e dalla guerra di Liberazione. La scom-messa è che, attraverso il costante collegamentotra le “glorie” del passato e i tristi tempi dell’oggi,la Resistenza e l’Antifascismo, lungi dai ritualismicon cui per molti lustri sono stati consumati erinsecchiti, tornino ad essere percepiti e vissuticome una dimensione esistenziale, quale linfa esprone per cercare coraggiosamente nuove stradee percorsi capaci, proprio partendo dalla prossimabattaglia a difesa della Costituzione, di contri-buire a liberare il nostro Paese da quel declinoche, né il populismo di governo, arrogante e va-cuo, del piccolo smargiasso fiorentino, né l’in-consistenza ideale e politica di chi gli si oppone,paiono riuscire a fermare. In proposito, pubbli-chiamo volentieri un documento che la SezioneAnpi di Ponte Valleceppi, inaugurata solo alcunimesi fa, ci ha inviato.

iamo un gruppo di donne e uomini chehanno attraversato insieme il tornanteepocale della scomparsa della sinistra e

di ogni ipotesi di trasformazione proprio dentrola crisi economico-sociale che ancora, pesante-mente, attraversa il mondo con il sostegno dellaideologia neoliberista che riduce tutto a merce.Ognuno di noi ha preso la sua strada, politica-mente, ma tutte e tutti siamo restati fedeli allafede laica dell’antifascismo, dell’uguaglianza, dellaliberazione ed emancipazione dai bisogni. Ab-biamo dato vita ad una sezione dell’Anpi a PonteValleceppi dove l’unico requisito richiesto è l’an-tifascismo e la difesa della Costituzione Repub-blicana a partire da due articoli che oggi sonofortemente in discussione.Art. 1 L’Italia è una Repubblica fondata sul la-voro. In questo senso è emblematica la recenteriflessione di Zagrebelsky: “la Repubblica, pos-siamo dirla, senza mentire, fondata sul lavoro?”Ci induce ad una comprensione più profondadella questione sociale nel Paese, della solitudinesostanziale delle lavoratrici e dei lavoratori. I co-stituenti vollero una democrazia partecipativa,vollero che il lavoro assumesse una rilevanza co-stituzionale in rapporto all’altro grande principiodi uguaglianza formale e sostanziale. Il diritto adun reddito decoroso per tutti, per chi è malato,disoccupato, anziano ed anche per lo stranieroesule e migrante che voglia vivere rispettando leregole del Paese che lo ospita. Né possiamo di-menticare da dove matura la Costituzione Ita-liana. Dietro ogni articolo di questa Costituzione,dobbiamo vedere i giovani caduti combattendo,fucilati, impiccati, torturati, morti nei campi diconcentramento; quei giovani che hanno dato lapropria vita affinchè la libertà e la giustizia po-tessero essere scritte su questa Carta.Art. 11 L’Italia ripudia la guerra come strumentodi offesa alla libertà degli altri popoli e comemezzo di risoluzione delle controversie interna-zionali.Viviamo in tempi difficili. La barbarie del vigenteordine mondiale; i disastri ecologici; l’inaccetta-bile divario tra le ricchezze di una minoranza ele grandi difficoltà economiche ed esistenziali dilarga parte dell’umanità; l’oppressione di genere.La primavera araba faceva pensare ad un risvegliocon la nascita di un movimento che rivendicavala costruzione di una società civile con istituzionidemocratiche e cittadini con diritti, compresoquello di rivendicare l’ateismo e la libertà di nonpraticare nessuna religione. Ma quella primaveraè precipitata nell’oscurantismo, nel terrore, nellaregressione totale, ha negato libertà e uguaglianzaalla donna. Il ricorso alla religione ha trasformatoquella primavera in un inferno. La religione èstata interpretata e sfruttata a fini ideologici lon-

tani da spiritualità e tolleranza. La verità vieneimposta con la forza, con la distruzione di uominie donne dell’oggi come di mirabili vestigia delpassato, imponendo una società in cui nessunopossa esprimersi liberamente, un regime autori-tario del terrore che odia ogni testimonianza cul-turale e storica dell’umanità come si è venutaformando da almeno cinque millenni a questaparte. Il terrorismo si fa partito con la sua ideo-logia, i suoi dirigenti, il suo programma, comefece il nazi-fascismo del novecento, sfruttando leragioni profonde, teologiche, storiche che si sonosedimentate in secoli di colonialismo occidentale.Drammaticamente abbiamo visto gli attentati diParigi e il Presidente francese dichiarare la guerrae chiedere formalmente, secondo i trattati, il so-stegno dell’Europa e abbiamo visto l’Inghilterrae la Germania inviare bombardieri.Ma è mai riuscita un’operazione annunciata apacificare territori in conflitto con una “guerraumanitaria”? No. È drammaticamente, sotto inostri occhi, accaduto proprio il contrario: neiBalcani, in Iraq, in Somalia, in Afghanistan, inLibia.Loredana, una giovane ragazza impegnata in undoposcuola popolare, frequentato prevalente-mente da immigrati, spiegava la nostra Costitu-zione e descriveva le modalità della Resistenza,del sacrificio di tanti per riconquistare la libertà.Descriveva i diritti ed i doveri di cittadinanza, ildiritto allo studio, di parola, la possibilità di or-ganizzarsi collettivamente. Descriveva la Costi-tuzione come prospettiva di emancipazione e li-berazione. Una bambina, che l’ascoltavaattentamente, ad un certo punto ha esclamato:“Ma mi conoscevano, che hanno fatto tutto que-sto per me?” “Si!!” Perché, loro che avevano co-nosciuto gli orrori dei campi di sterminio, laguerra, gli eccidi prospettavano un diverso futuroper le nuove generazioni. Avevano un pensierolungo.“Partigiane d’Italia” è il nome che abbiamo sceltoper la nostra sezione Anpi di Ponte Valleceppi,in onore di tutte le donne che hanno combattutonella Resistenza per la Liberazione dell’Italia eper l’emancipazione femminile, partendo dal di-ritto di voto del 1946.I recenti fatti di Colonia, 150 denunce di mole-stie sessuali, o i femminicidi drammatici, anchenella nostra regione, dimostrano i rapporti didominio che tutt’ora esistono tra uomo e donnae che ancora ci impongono di combattere perl’uguaglianza delle cittadine e dei cittadini. Quest’anno l’Anpi sarà impegnata nel suo 16°Congresso. Nel 2016 ci sarà anche il referendumsu quesiti Costituzionali, per cui costruire insiemeun forte fronte di Resistenza e Liberazione. *Presidente Sezione Anpi - Partigiane d’Italia

R

11s o c i e t àmar zo 2016

Donnee uomini uguali

e resistentiMarzia Biagiotti*

L’Anpi a congresso

Antifascismo(ri)costituente

Osvaldo Fressoia

Città di Castello 2015.Facciata del vecchio ospedale da sedici anniin attesa di restauro

Città di Castello. Prospetto del vecchio ospedale

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12s o c i e t àmar zo 2016

L’esorcistaL’Anno Santo è tempo di incontri e bilanci per glispecialisti del “sacro”. Tra i convegni recenti spiccail raduno di esorcisti svoltosi tra Palermo e Mon-reale, di cui dà notizia “Avvenire” del 21 febbraio.Vi ha tenuto un corso sulle azioni del diavolo PaulMarie De Mauroy, della Congregazione religiosadei Fratelli di San Giovanni. A suo dire “il demonioagisce quando si lascia una portaaperta. La causa può essere data daun maleficio che si subisce (fattura,maledizione, malocchio), ma anchedalla presenza di ferite dell’infanzia”.Frate Benigno Palilla, francescano,consigliere della Associazione inter-nazionale degli esorcisti, dal cantosuo, parlando di “magia bianca”, hadichiarato perentoriamente: “Nonesistono spiriti buoni. Se ci sono delleentità in una persona sono semprespiriti cattivi, cioè demoni”. Gli esor-cisti di nuova generazione non si li-mitano peraltro ad allontanare il ma-ligno, ma propongono alle personeche ne sono state liberate un percorsoterapeutico, anche utilizzando équipedi laici. Uno dei più efficienti centria mezza strada tra psicoterapia digruppo e stregoneria è in funzioneproprio nel capoluogo siciliano: ognimercoledì gli ex posseduti ed altri di-sturbati si radunano nella parrocchiadi san Tommaso per pregare e for-marsi spiritualmente. La seduta siapre con l’annuncio kerigmatico:“Dio ti ama”.

L’assorto D’Alemae la melassa papaleIl 24 febbraio al teatro Marrucino di Chieti sisvolge un incontro singolare, tra il vescovo delluogo, tal Bruno Forte, e lo statista in disarmo,Massimo D’Alema: tema il pontificato di Bergoglio.Il cronista di “Avvenire”, Marinucci, giudica “affa-scinante l’attenzione al fenomeno Francesco di unassorto D’Alema”, per il quale il “riformatore Fran-cesco” rappresenta “finalmente un punto di riferi-mento sociale, economico e politico certo, riferi-mento per una grande coesione nazionale in Italia,paese profondamente diviso”. Lo stesso giorno, nel corso dell’udienza del merco-ledì il papa, in Vaticano, continua la sua catechesisulla misericordia. Parla di sfruttamento, dei “po-tenti che per avere più soldi sfruttano la gente”,dice: “È la storia della tratta delle persone, dellavoro schiavo, della povera gente che lavora in

nero e con il salario minimo per arricchire i po-tenti”. È lontanissima dal suo modo di pensarel’idea che lo sfruttamento del lavoro possa essereelemento strutturale, portante, del sistema econo-mico-sociale vigente. Cita il “guai a voi” di Isaiaverso chi accumula proprietà, ma ci tiene a dirlo:“Isaia non è comunista”. Con queste premesse nonmeraviglia che tutto si risolva in melassa: “Che

bello sarebbe se i potenti sfruttatori, toccati dalladivina misericordia, chiedessero perdono!”.

Artisti e profetiAl Cardinale Bassetti, ai primi di marzo, è stato as-segnato il premio “La Pira - Città di Cassano”,giunto alla terza edizione. Ne dà notizia “La nuovaCosenza”, ricordando - tra i precedenti vincitori -il cardinale Ruini. La festosa cerimonia nel teatrodel comune calabrese è stata chiusa da una lectiomagistralis del prelato fiorentino che è ora arcive-scovo a Perugia: La Pira e il Mediterraneo: attualitàdi una profezia. La motivazione del premio a Bas-setti rammenta la sua attenzione alle problematichedel mondo del lavoro oltre alla sua provenienza daFirenze, la città del “sindaco santo” Giorgio LaPira. Qualche giorno dopo, tornato a Perugia, quasia sottolineare la sua vocazione verso il sociale, il

cardinale ha detto Messa a Ponte Rio negli stabili-menti della Gesenu, l’azienda della Nettezza Urbanasotto inchiesta per infiltrazioni mafiose. Secondola stampa il porporato ha fatto un’allusione alla vi-cenda, parlando di “turbolenze abbastanza forti”,ma ha voluto elogiare gli “operatori ecologici” chia-mandoli “artisti dell’ambiente” e promettendo pre-ghiere per la loro serenità. Lo stesso giorno a Terni

ben 1800 persone partecipavano allapreselezione per 8 posti fissi di net-turbino. Quante vocazioni artistichein Umbria!

Folli amoriEmiliano Fittipaldi, il giornalista de“L’Espresso” che è autore di Avarizia,un libro sulle finanze vaticane, è at-tualmente sub iudice nello Stato pon-tificio. In una intervista ad “Articolo21” parla di processo-farsa e denuncial’acquiescenza dei media: “Sul Vati-cano stampa e telegiornali sono solitifare i pezzi sui tre anni rivoluzionaridi Papa Francesco, senza badare ai fattiche sono accaduti realmente”. Fitti-paldi non sembra dare eccessivo cre-dito all’immagine del “papa rivolu-zionario” e rammenta un Angelus incui Bergoglio parlò enfaticamente di“documenti rubati e trafugati”, men-tre nessun inquisitore ha mai formu-lato accuse del genere nei confrontidegli imputati del Vatileaks 2. Ag-giunge: “Il reato, che prevede unapena da quattro a otto anni di carcereper cittadini vaticani e stranieri chedivulghino informazioni di cui è vie-tata la divulgazione, è previsto dall’ar-

ticolo 116 bis, voluto da Francesco nel 2013”.Gliarcana imperii cui il Vaticano appare affezionatonon riguardano solo le finanze clericali. Come ac-cade sovente nei regimi autocratici, soprattuttoquando l’autocrate è vecchio, una sorta di tabùsembra circondare le condizioni di salute del papa.A me, ma anche ad altri con cui mi sono confron-tato, sembra che il peso degli anni e dei malannicominci ad incidere su Bergoglio. In tv, al rito dellabenedizione delle palme e dei ramoscelli di ulivo,mi è apparso affaticato, arrancava sulle scalinate,s’appoggiava al bastone pastorale, si faceva aiutare.In giro sulla jeep sembrava un po’ più eretto, manei suoi discorsi non c’è novità, non c’è verve e in-torno a lui sembra tornata la palude. Così anchein Umbria. Tornano i titoli onorifici pontifici: aSpoleto il vescovo Boccardo, a nome e per contodi Papa Francesco, ha nominato commendatorel’avvocato Sergio Zinni, presidente della Fonda-zione Cassa di Risparmio di Spoleto: “Siamo gratial Pontefice che ha riconosciuto in Zinni un uomocapace di costruire ponti”. Alla liturgia peruginadella domenica della Palme due confraternite dinobiluomini e nobildonne, residui di un passatomai dimenticato, circondavano l’officiante, il car-dinale Bassetti: erano cavalieri e dame del santo se-polcro, gli uni in bianca divisa crociata, le altre ve-latissime di nero. Benedetti i rami di palma e olivo(una accoppiata ripresa nel ‘900 da una multina-zionale della saponetta, con grande successo com-merciale), l’arcivescovo si è prodotto in una omeliaun po’ sciatta: a commento della lunga letturaevangelica centrata sulla Passione di Luca ha parlatosoprattutto della follia amorosa di un Dio, unoche per amore arriva ad annientarsi ed è attratto inmaniera particolare dai peccatori.

Cronache giubilari

Il Papa arranca e l’AnnoSanto s’impantana

Salvatore Lo Leggio

Chipsin UmbriaL’opensourceè donnaAlberto Barelli

a Meloni che secondo il cavalieremascarato non potrebbe fare il sin-daco di Roma perché in dolce attesa,

la candidata del M5S di Milano costretta aritirarsi perché bersagliata di insulti per il suoaspetto fisico. Sia chiaro: beghe loro. Mameno male che in Umbria ci ha pensato ilmovimento a sostegno dell’open source a di-pingere di rosa questo marzo in cui, alla facciadella festa della donna, c’è stato ben poco dafesteggiare. “Futuro digitale: ma le donneno?” è stato il titolo del convegno promossoad inizio mese dall’associazione LibreItaliaassieme al Dipartimento di matematica e in-formatica dell’Università di Perugia, dove sisono tenuti i lavori. E così anche la nostraregione ha offerto un’occasione di riflessionee confronto per individuare le strategie piùefficaci per abbattere il divario di genere inambito tecnologico. Questo è stato infatti iltema al centro della campagna “La settimanadel RosaDigitale”, espressione dell’omonimomovimento nazionale, nato nel novembrescorso per dare vita ad una rete permanentedi iniziative di sensibilizzazione.Gli incontri di questa prima sessione in par-ticolare si sono incentrati sulle figure femmi-nili che si sono distinte per il contributo datoin campo digitale per l’innovazione della so-cietà italiana. Come hanno sottolineato glianimatori dell’appuntamento umbro, le ini-ziative in cantiere prevedono momenti di ap-profondimento su argomenti come la pro-grammazione, libreoffice, web marketing,graphic design, web design e, ovviamente, ilsoftware libero. Le modalità con le quali sa-ranno affrontati i vari argomenti saranno lepiù varie, andando dai progetti online, aiworkshop e ai laboratori dal vivo. Come vieneevidenziato, ogni appuntamento sarà orga-nizzato in assoluta autonomia dalle associa-zioni territoriali (il calendario è consultabilesul sito www.rosadigitale.it). In Umbria leidee e le risorse non mancano di certo. Al-l’incontro che ha dato il via al progetto haportato il proprio contributo anche il movi-mento dei sostenitori del Gnu/Linux di Pe-rugia, per il quale è intervenuto Marco Gior-gettiIl suo intervento si è incentrato sul tema delleprofessioni digitali e il mercato del lavoro le-gato alla tecnologia dell’informazione e dellacomunicazione (Ict).Anche su questo frontec’è da fare ancora un bel po’ di strada. Perfortuna che a tenere alta l’attenzione sullequestioni di genere ci sono i movimenti comequello a sostegno dell’open source, perché isegnali che vengono dalla politica (nei casirecenti, ad onor del vero, dalla destra) vannoin tutt’altra direzione.

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Città di Castello. Monumento alla mistica Santa Veronica Giuliania ridosso delle mura urbiche.

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o scorso 3 marzo è morto MarcelloDe Cecco, economista di lungocorso, noto soprattutto per i suoi

studi sulla storia delle politiche monetarie. Ri-cordandolo sul “Fatto quotidiano”, SergioNoto ha sottolineato che De cecco ha condi-viso con il collega di orientamento oppostoSergio Riscossa - scomparso pochi giorni dopo- il destino di essere poco o nulla consideratodalla parte politica che ha cercato di orientarecon il suo pluridecennale lavoro accademico epubblicistico. E dire che De Cecco, punta didiamante della scuola keynesiana italiana, hafatto parte del comitato fondatore del Pd. Nonc’è molto da stupirsi: per restare nell’ambitoeconomico non sembra che i nobel Krugmane Stieglitz, i cui interventi quasi quotidianicontinuano a sbattere contro il muro ideolo-gico del liberismo, siano molto ascoltati. E’più in generale una sorte abbastanza consueta,in un’epoca in cui anche con la migliore buonavolontà non si capisce a quale aggregato unintellettuale potrebbe aspirare a essere “orga-nico”.Marcello De Cecco univa il rigore del ragio-namento allo sforzo di applicare alla congiun-tura categorie interpretative di ampio respiro.Lo prova la ricca produzione pubblicistica, ilcui più recente esempio è il volume pubblicatoda Donzelli Ma cos’è questa crisi (Roma 2013),che raccoglie gli interventi usciti su “Repub-blica” tra il 2007 e il 2013. Sul filo di una prosa precisa ma chiara, pervasada un’ironia sottile e pacata, vi si ripercorronosei anni molto intensi, quelli della la crisi eco-nomica globale. Nell’introduzione De Cecconon esita a paragonarla alla grande depressionedegli anni ‘30, non solo per le cause ma ancheper la tendenza a modificare le strutture e legerarchie del sistema: se l’ascesa della Cinacome superpotenza e il contemporaneo declinodel “centro” (Usa Europa Giappone) appaionoesiti già in gran parte scritti, resta aperto ildubbio sul futuro - se un futuro ci sarà - del-l’Unione Europea.Dopo aver colpito i paesi asiatici emergenti,la crisi raggiunge Usa ed Europa dal 2007,agendo su una situazione paragonabile a quelladel 1914, quando il sistema economico inter-nazionale era guidato dalla sterlina, ma la GranBretagna presentava segni di declino ed erainsidiata dalle emergenti potenze di Germaniae Usa. Solo dopo il 1945 il dollaro avrebbepreso il posto della sterlina: nell’entre-deux-

guerres all’instabilità politica corrispose un po-licentrismo monetario e finanziario, segnatoda una estesa speculazione, con lo sviluppo dinuove forme di pagamento e di titoli.La crisi attuale affonda le radici negli anni ‘90ed ha un’analoga origine. Dopo il crollo so-vietico gli Usa hanno cercato di finanziare leproprie guerre egemoniche senza incidere suldebito pubblico, bensì attraverso una politicamonetaria espansiva. Si è venuto così a creareun sistema di scambi in cui all’enorme deficitcommerciale statunitense corrisponde il sur-plus di Cina ed Europa.In parallelo vi è stata la crescita abnorme dellafinanza, divenuta il centro dell’economia edelle politiche economiche anche per l’appog-gio delle politiche pubbliche. La crisi attualetrae origine da questa situazione, ma ha poiinvestito “con furore” l’economia reale e ilcrollo di produzione ed occupazione ha messoin sofferenza soprattutto le classi medie, men-tre l’instabilità e l’incertezza regnano sovrani.Un’altra grande vittima della crisi è l’integra-zione europea: la puntuale analisi di De Ceccosi sofferma spesso sulle tendenze centrifugheche dividono il centro tedesco-nordico dallaperiferia dei Pigs, con la Francia in un ruolointermedio ben poco significativo.Un ulteriore effetto della crisi è di mettere indiscussione molte convinzioni radicate: il pro-blema è che mentre l’ortodossia neoliberistatarda a prendere atto delle conseguenze nefastedel proprio orientamento, acquistano forze al-ternative già sperimentate nel passato, in par-ticolare, le tentazioni protezioniste e naziona-liste. In questo modo il paragone con gli annitrenta del ‘900 accentua il proprio profilo mi-naccioso. I segnali della tempesta in arrivo sono registratifin dai primi articoli: a luglio del 2007 DeCecco paragona l’ascesa economica di Cina eIndia a quella di Germania e Usa all’inizio delXX secolo; ma alla ridislocazione dei centridella produzione di beni corrisponde nei paesidel “centro” una crescita abnorme della “fi-nanza non tradizionale” (come gli hedgefounds), le cui pratiche sono spesso adottatedalle banche di investimento aumentando lesituazioni di rischio dell’economia globale. PerDe Cecco la crisi ai suoi esordi assomiglia aquella del 1907, quando la guida della sterlinacominciava ad essere messa in discussione e siaffermavano strumenti finanziari inediti adalto rischio. Adesso l’epicentro decisivo è ildollaro, ma tutto ruota attorno al concetto diliquidità. L’ortodossia monetarista dell’ultimoventennio, dopo aver consentito lo sviluppodi strumenti finanziari ad altissimo rischio, sa-crifica consumi e occupazione per salvare lebanche che su quella finanziarizzazione senzafreni hanno prosperato e sono cadute. Col diffondersi della crisi si rimescolano anchele idee e molti sfegatati liberisti invocano mi-sure di protezione dei mercati nazionali e dellafinanza, dimenticando che “lo Stato è come lamamma: ce n’è uno solo”: spremuto e dima-grito in nome dell’autonomia dei mercati, sitrova ora in grosse difficoltà a venire in soc-corso. Il dollaro resta comunque la chiave divolta di un sistema internazionale in cui pre-valgono gli “speculatori puri” rispetto agli “in-vestitori motivati” dall’economia reale.Un’altra rivelazione della crisi riguarda le con-traddizioni della costruzione europea: la crisifinanziaria mette a nudo prima di tutto l’in-completezza della moneta unica, in assenza diuna banca centrale che funga da prestatore diultima istanza; dal lato dell’economia reale,

d’altronde, la locomotiva tedesca continua lasua corsa sulla base di un’integrazione subal-terna dell’Europa centrorientale e su una cre-scita abnorme delle esportazioni che va a sca-pito dell’unione del suo complesso.Tutti i nodi vengono al pettine nel 2009 at-torno alla crisi del debito greco. Sul piano ge-nerale si finge di non sapere che l’esplosionedei debiti sovrani è anch’essa figlia del poterespropositato acquisisto dalla finanza nei de-cenni precedenti: con l’esplosione della crisi ibilanci pubblici sono intervenuti massiccia-mente per ridare fiato al sistema bancario,senza peraltro correggerne l’attitudine alla spe-culazione.Nello specifico della questione Grecia, la Ger-mania e l’Europa che ne accetta la guida, insi-stendo sul “rigore”, compiono una serie di er-rori esiziali, rendendo distruttiva unasituazione che se affrontata subito (all’iniziodel 2009) poteva essere risolta con relativa fa-cilità. Prima di tutto Merkel e Schauble so-stengono Karamanlis e Nea demokratia, i di-retti responsabili dei bilanci truccati e dellespese inopinate per le Olimpiadi di Atene. Insecondo luogo vi è il rifiuto di rinegoziare ildebito e l’imposizione di ricette “lacrime esangue”, sostanzialmente per ragioni elettoralitedesche, il che accresce il solco tra le economiedell’area europea e rende più difficile usciredalla recessione.Più in generale, il “moralismo” tedesco copre

una clamorosa miopia politica: invece di unafinanziare la domanda dei paesi periferici, hapreferito una politica neomercantilista spintache alla lunga non risolverà i suoi problemi didomanda interna e aggraverà le spinte nazio-naliste e protezioniste in forte aumento in tuttal’Europa. Tra i cinquanta pezzi che compongono la rac-colta, non mancano i riferimenti alla situazioneitaliana: l’ondata della crisi coglie l’Italia inuna fase di pluriennale arretramento, per cuiDe Cecco propone il confronto con il 1930 eun paese fiaccato dalla deflazione (quota ‘90):allora Beneduce seppe immaginare un progettostrutturale di rilancio, che trovò compimentopieno solo dopo la guerra, con l’inserimentonei mercati internazionali, ma che costruì quelsistema di economia mista che fu alla base delboom. Di simile capacità progettuale non restatraccia ai giorni nostri e De Cecco denunciaprima l’inanità del governo Berlusconi difronte alla bufera che rischia di travolgere ilnostro paese nel novembre del 2011, poi leincertezze e le distrazioni di partiti impegnatinelle manovre preelettorali, mentre a Montispetta il gravoso compito di tamponare unasituazione al limite della catastrofe. La raccoltasi interrompe alla vigilia delle politiche del2013: da allora non è cambiato molto: l’in-certezza resta la nota dominante, mentre sireiterano politiche di scarsa efficacia e di pocorespiro.

13c u l t u r amar zo 2016

L

Una raccolta di articoli di Marcello De Cecco

Fenomenologia della crisi Roberto Monicchia

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Terni, nei locali del Caos, è possi-bile visitare un’interessante mostrafotografica su Elliott Erwitt, dal ti-

tolo “Icons”, inserita nel più ampio (sigh!)contesto degli eventi valentiniani. Erwitt è senza dubbio uno dei più grandi ecelebri fotografi del panorama internazio-nale. I vari scatti che è possibile ammirarene ripercorrono la carriera e la poetica, at-traverso 42 istantanee da lui stesso selezio-nate. La sua sensibilità artistica e le temati-che trattate appaiono profondamente intrisesia delle sua esperienze di vita, che delle con-taminazioni con i vari contesti con cui è en-trato in contatto. Perché in effetti, nella suaesistenza ha incrociato importanti perso-naggi e ha potuto pure confrontarsi con re-altà assolutamente eterogenee. Al secolo Elio Romano Erwitz, nasce a Pariginel 1928 da genitori ebrei di origine russa.Vive in Italia sino all’età di 10 anni ma,dopo l’approvazione delle leggi razziali, deveemigrare con la propria famiglia negli Usa.Per questa ragione, ha più volte dichiarato:“sono americano grazie a Mussolini”. Vivea New York e a Los Angeles. Durante i suoistudi, si avvicina alla fotografia lavorandoin un laboratorio che sviluppa stampe per ifans di Hollywood.Nel 1949, torna in Italia e Francia, doveviaggia molto e immortala soggetti e situa-zioni particolari. Sono questi gli anni chesegnano l’inizio della sua carriera di foto-grafo professionista. Nel 1951, lavora pressol’esercito americano come assistente foto-grafo. La grande opportunità giunge dall’in-contro con Edward Steichen, Robert Capae Roy Stryker, che ne apprezzano il talento.Nel 1953, congedato dall’esercito, è lo stessoCapa che lo fa entrare a far parte dell’agenziaMagnum Photos. Nel 1968, peraltro, Erwittne assume la presidenza. Si tratta, dunque,di uno dei più importanti fotografi del No-vecento che, armato della sua Leica L3, hasaputo cogliere e fissare nella pellicola scenee momenti che sono diventati senza tempo,

icone appunto, a prescindere dalla fama deisoggetti ritratti. L’allestimento dell’esposizione è semplice edessenziale e, snodandosi su due livelli, bensi adatta ai locali dell’ex opificio Siri. In ma-niera trasversale rispetto all’ordine di dispo-sizione delle opere, emergono pienamentele tematiche da lui trattate: squarci di vitaquotidiana, scene d’amore e guerra, razzi-smo, cani, personaggi di cinema e politica.La rassegna restituisce la capacità di Erwittdi realizzare fotografie fortemente espressive,attraverso una sapiente scelta del punto divista che possa conferire maggiore forza al-l’immagine. Spesso lo scatto è l’esito di unapaziente attesa, che fa cogliere il “momento”e fissarlo in un’istantanea. In questo approc-cio alla fotografia si pone come perfettoerede del grande Cartier Bresson.Pur nella grande eterogeneità di contesti esoggetti immortalati, si staglia la sua pecu-liarità, rappresentata dalla ricerca dell’ironiae della spontaneità. La mostra è infatti com-posta prevalentemente da scatti rubati e inbianco e nero. Anche i personaggi famosinon sono ritratti in pose ufficiali e artefatte,ma sono colti nel loro contesto originario eper questo appaiono decisamente spontanei.E’ il caso di Grace Kelly al ballo del suo fi-danzamento, di un’affranta Jacqueline Ken-nedy al funerale del marito, di un Che Gue-vara con sguardo sognante mentre fuma ilsigaro, o di una Marylin Monroe che assistedivertita alla prima di un suo film o malin-conica sul set de Gli spostati. Di grandeforza è pure la foto che fissa Richard Nixonnel momento in cui, con fare deciso e nienteaffatto conciliante, punta il dito contro Ni-kita Khrushchev, in un’istantanea che resti-tuisce tutta l’irascibilità e la durezza insitenel presidente americano. Alcune immagini ritraggono contesti dram-matici o situazioni di particolare delicatezza,ma restituiscono pur sempre una sottilepunta ironica o sdrammatizzante. D’altraparte, lo stesso Erwitt afferma che preferisce

“essere più divertente che tragico, è un fattoinconscio”. E’ il caso di fotografie scattatein scenari di guerra, come ad esempio ilbambino ritratto dietro il finestrino diun’auto, che ha un occhio nascosto perchéperfettamente coincidente con il foro sul ve-tro provocato da un colpo d’arma da fuoco. E ancora, le tematiche razziali, alle qualitiene particolarmente. Nella mostra, di no-tevole effetto risultano il bambino nero dellaPennsylvania, che sorridente punta la pistolaalla propria tempia e la stanza immortalatanel 1950 nel North Carolina, con due lavabialimentati dallo stesso tubo. In questa foto,è presente un uomo di colore accanto alprimo lavabo, piccolo e sporco con la targa“colored”, affiancato a quello più grande,nuovo e pulito, che invece reca il cartello“white”.Si tratta di uno scatto significativo per ladenuncia delle politiche segregazioniste, inun’epoca ancora segnata dai retaggi del KuKlux Klan, ma anche dai movimenti anti-razziali. Molto note sono le fotografie che ritraggonoscene di strada e di vita quotidiana. Erwittritiene che debbano possedere una forza in-trinseca, “che non ci sia bisogno di spiegarlecon le parole”. Tra di esse si segnalano leistantanee con i due amanti riflessi nellospecchietto dell’automobile e del padre e fi-glio in bicicletta con la baguette nel portapacchi, immortalati in Provenza nel 1955.Infine, la sua predilezione per i cani, cheben si associa con la tendenza contempora-nea. “Sono ovunque e sono interessanti”,hanno “un richiamo antropomorfo”, ma “lefoto non hanno a che fare con i cani, bensìcon la condizione umana”. Molti sono gliscatti in proposito, dal cane che salta (a cuiErwitt ha dichiarato di aver abbaiato) aquello piccolissimo ai piedi della padrona,sino a quelli agghindati e un po’ ridicoli alconcorso canino o con aria vanesia, con pelovellutato e rosa al collo. Proiezioni di tantiuomini, appunto.

14c u l t u r amar zo 2016

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A Ternigli scatti di Elliott Erwitt

Icone in mostraMatteo Aiani

EventivalentinianiPocheidee e allarinfusaM.A.

a mostra fotografica su Elliott Er-witt fa parte delle proposte deglieventi valentiniani e rappresenta

uno dei pochi appuntamenti degni di notaall’interno di un cartellone altrimentiscarno e privo di particolare appeal. Sono lontani i tempi delle vacche grasse,di eventi di rilevanza nazionale in grado dirichiamare un certo pubblico, pure affian-cati da proposte eterogenee e spalmati ad-dirittura lungo tutto il mese di febbraiosino ai primi giorni di marzo.Quella stagione è ormai terminata e, aconti fatti, la progettualità di quegli anni,se di progettualità si può parlare, si è di-mostrata fallimentare, stretta tra la voracitàdel momento (sia per il volume di risorsespese che per alcune gestioni finanziarie fi-nite sotto la lente degli inquirenti) e l’in-capacità o lo scarso interesse nel costruirequalcosa di duraturo e sostenibile. Esauritala propulsione dei finanziamenti pubblici,l’intero castello si è sbriciolato. La risultante è la miseria attuale, con lamancata creazione di strutture permanentiper la città, utili per costruire percorsi co-noscitivi e identitari, mentre quelle esi-stenti sono state abbandonate a un mestodestino, come il teatro Verdi o Palazzo Pri-mavera. Di fatto, in città non esistono sog-getti e contenitori alternativi rispetto alcircuito del Caos, ma forse non casual-mente, considerato che la sua gestione èlegata a doppio filo all’amministrazione co-munale.L’esito è sotto gli occhi di tutti: un am-biente culturalmente asfittico, piatto, privodi slanci e incapace di valorizzare i propripunti di forza. Nel frattempo, nel sistema paese ha acqui-sito sempre più consenso il celebre mottodi Giulio Tremonti: “con la cultura non simangia”.Molti di quelli che lo avevano in originecriticato, li ritroviamo ora tra i più convintisostenitori della mercificazione della cul-tura e del progressivo svilimento della va-lenza di bene comune. Anche a Terni, ilbrusco risveglio ha imposto un repentinocambio di paradigma: la cultura deve ge-nerare profitti, specie a beneficio dei pri-vati, e produrre consenso. Ma nella concala situazione appare più grave che altrove.Perché mancano i soldi, ma latitano purestrutture e buone idee. Pochi mesi fa, Giorgio Armillei, assessorealla cultura, ha affermato che è necessario“produrre cultura e produrre crescita eco-nomica”.Secondo questa logica, per realizzare unasimile operazione, il primo step è rappre-sentato dall’organizzazione di un prodottospendibile, attraente e quindi vendibile. Esiamo sempre lì, senza idee e progettualitàsi combina ben poco e senza strutture ido-nee ancora meno. Dopo le “sfortunate” partecipazioni ai titolidi capitale della cultura, crediamo di nonallontanarci troppo dalla realtà se affer-miamo che Terni possieda tutti i requisitiper aggiudicarsi un’ambita palma: quelladi città più grande d’Italia priva di un tea-tro cittadino, di un museo degno di talnome e di un palasport che ospiti eventidi una certa portata.Una candidatura davvero seria questa, unae trina, per la quale sono stati profusi im-pegno e dedizione negli anni.

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La squadra di pallavoloAltotevere con la magliadel centenario di Burri

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“SABATO 11 E DOMENICA 12 GIUGNO2016, PERUGIA SI CALERÀ, DI COLPO,NELL’A.D. 1416. Con la sua prima edizionedella rivisitazione storica, la città celebrerà, dalcentro al contado, la suggestione di quel mo-mento storico che ha segnato il passaggio diPerugia DAL MEDIOEVO AL RINASCI-MENTO”. “Una delle epoche più luminosenella plurimillenaria storia di Perugia si collocafra Medioevo e Rinascimento, quando l’imma-gine di una nuova società diviene nota in tuttaEuropa come modello di ordinato sviluppo so-ciale, fervore economico e straordinario impulsoartistico e culturale”. “A seguito dell’avvento diBraccio, le violente lotte tra fazioni, che avevanocaratterizzato un lungo periodo del Libero Co-mune, furono finalmente sedate ed ebbe iniziouna signoria capace di portare ordine (nellacittà) attraverso riforme moderate e rispettosedegli statuti comunali. Fermo restando che ‘l’In-vincibile’ fu il più famoso condottiero e strategadel suo tempo, Braccio era inoltre ispirato daun sogno politico, che vedeva Perugia capitaledi un Regnum Italicum, di un dominio tuttoitaliano, affrancato dalle ‘peregrine spade’ e dalpotere temporale di Roma”.Parole che si leggono nel sito ufficiale dell’asso-ciazione Perugia 1416, per giustificare e soste-nere l’iniziativa del Comune di Perugia - delquale quell’associazione è il braccio operativo -di festeggiare, con sfilate in costume e forzutegare tra le Porte e sbandieramenti e tammur-riate, quel fausto anniversario. Titolo della ma-nifestazione, Il risveglio di una città. In duegiorni scelti a caso, l’11 e 12 giugno. Un casostrano: una settimana prima del 20 giugno, lafesta della città.Sia inteso: questa cosa si farà. Troppo avanti siè spinto il Comune nel pompare l’evento,troppo ha speso (quanto?) e troppo spenderà(quanto?) per poter tornare indietro. Non solo:questa cosa si farà con grande affluenza di pub-blico, non c’è da dubitarne. Dubitare semmaisi può del numero dei tanto evocati turisti chesaranno calamitati dall’evento, oppure del re-cupero dei mestieri tradizionali atteso da quelladuegiorni. Perugia si accoderà, buona ultima,alle tante città che offrono il piatto forte di unritorno fantasy al passato. Tanto doveva peronorare la nomina a Capitale italiana della cul-tura nel 2015, contentino (si fa per dire: unmilione di euro) alla mancata nomina a Capitaleeuropea 2019. Sono molti i motivi che fannogiudicare negativamente questo progetto. Tantopiù che l’intenzione è di farne un appuntamentofisso: “con la sua prima edizione della rivisita-zione storica”, si legge nel documento riportatosopra. Braccio da Montone (o come si debba chia-mare), di nascita perugina, era tra i nobili espulsidalla città da Biordo Michelotti, signore di partepopolare, nel 1393. Se la legò al dito e nonebbe pace fino alla vittoria sulla città. Ci provònel 1398, nel 1406, nel 1410, infine nel 1416:una prima volta nell’aprile, e fu respinto ancorauna volta; poi nel luglio, e ce la fece. La battagliadell’aprile merita da Luigi Bonazzi toni epici:“Braccio si presenta sotto le mura di Perugiadal lato di Porta Sole, assalendo la porta di Fon-tenovo. La porta è atterrata, le prime alture,dopo accanite lotte, sono superate, ma nel salireil più ripido pendio una grandine di pietre e ditegole scagliate dalle finestre e dai tetti lo sforzaa dare indietro”. Qualche giorno dopo, Braccioci riprova: “la pugna, che fu la più fiera chemai si combattesse nei borghi di Perugia, si ri-dusse infine alla salita di S. Ercolano pressol’ospedale, nel luogo medesimo ove il popolo

eroicamente combatteva un’altra volta e comequesta volta con sovrumani sforzi vinceva. An-che un terzo assalto dato da alcuni militi a PortaSole ritornò vano, e fin dalla chiesa della Trinitàfuori delle mura l’oppressore della patria fu co-stretto a ritirarsi”. Morale: “I venturieri aveanodisfatto la milizia cittadina, ma nella patria delgran venturiero essa non era ancor morta”.Reso più saggio dalla disfatta, il prode Bracciocambiò strategia: non più l’assalto alla città mauna battaglia campale, nella quale lui e le suetruppe non avevano uguali. Infatti la vinse, il12 luglio, nella piana di Sant’Egidio (sugge-riamo all’associazione Perugia 1416 la posa diun cippo commemorativo). Il 16 luglio la cittàfirma la resa. Il 19 luglio Braccio entra trionfal-mente in città.Su che cosa egli abbia fatto negli otto anni incui signoreggiò Perugia (morì nel 1424) si puòdiscutere. In verità del governo della città nonpoteva importargli di meno: vi lasciò un luo-gotenente, lui aveva da combatter battaglie esaccheggiar campagne in giro per l’Italia.

Quanto al sogno di un Regnum Italicum, megliosoprassedere. Il già arduo tentativo di renderesimpatico Braccio non può arrivare a farne unostatista pensoso dei destini dell’Italia. Avesseconquistato l’Aquila, l’impresa nella quale morì,probabilmente si sarebbe comportato come s’eracomportato con Bologna nel 1413: non mi vo-lete? Va bene, vi libero della mia presenza; main cambio di centottantamila ducati d’oro. Pe-rugia era un altro discorso: voleva sottometterlae la sottomise.In città, dicono i valorosi organizzatori, Braccioportò ordine e pace. Ahimé, la storia è piena di“uomini forti” che fanno ordine e spazzano viale incertezze e lentezze della democrazia. Fece,continuano i nostri, riforme moderate e rispet-tose degli statuti comunali. La riforma princi-pale fu l’ordine dato ai rettori delle Arti di am-mettere nei loro collegi qualsiasi persona, di

qualsiasi condizione sociale, ne avesse fatto ri-chiesta. Un puro ritocco, un gesto che più de-mocratico non si può. Niente affatto. Prima diBraccio, fin dal 1260, i nobili non potevanoentrare nelle Arti perugine, la spina dorsale delregime di Popolo. Con lui, sì; e a poco se neimpadronirono, impadronendosi così della so-cietà e delle istituzioni cittadine. CommentaLello Rossi: “il passaggio dal libero Comune aldominio signorile [...] corrisponde a una lungafase di involuzione e di offuscamento dei valoridi libertà, di autonomia e di alta creatività”. Civorranno i francesi, alla fine del Settecento, perchiuderla.Il “libero Comune”. Lo si giri in un verso onell’altro, è questo il perno della storia di Perugiaprima dell’Unità. Per molti i centocinquant’annidel Comune di popolo, dalla metà del XIII allafine del XIV secolo, segnarono il massimo deldinamismo e della democrazia. Simbolo, la Fon-tana Maggiore; cantore, Bartolo da Sassoferrato,che verso il 1355 scrive che il regimen ad popu-lum gli sembra cosa più di Dio che degli uomini(videtur enim magis regimen Dei quam homi-num); e questo lo verifica in civitate Perusina,que isto modo regitur in pace et unitate. Dopovengono i secoli bui di Perugia, quelli del do-minio aristocratico e chiesastico. Perugia si ri-scatta col Risorgimento. Il simbolo stavolta èuna data, non un monumento, il 20 giugno1859; il cantore è Luigi Bonazzi, la cui Storiadi Perugia è un inno al popolo, alla pace, allalibertà, alla laicità. Questa è la tradizione civica che ha alimentatola cultura democratica di Perugia. L’hanno sen-tita vivissimamente le amministrazioni comu-nali di fine Ottocento e inizio Novecento, l’an-tifascismo cittadino, la classe politica deldopoguerra (un’eredità dispersa, a vedere le ul-time giunte di centrosinistra). Il filo che legaBartolo a Bonazzi, senza dimenticare AnnibaleMariotti, si è via via irrobustito con Aldo Ca-pitini e Walter Binni, con Roberto Abbondanzae Lello Rossi e Pietro Scarpellini e tanti altri,compresi gli storici che hanno lavorato sul me-dioevo perugino.Si rileggano i brani riportati all’inizio: un per-fetto rovesciamento. È troppo vedere in Perugia1416 un tentativo d’inventare per la città unanuova tradizione? Credo di no. Magari (all’ini-zio) inconsapevolmente, magari in maniera im-provvisata e raffazzonata, magari travestendolada sagra paesana, c’è irresistibile la nostalgia perun’altra Perugia. Non la Perugia comunale epopolare, ma la Perugia nobiliare: una città pa-cificata, ossia ordinata, rispettosa delle gerarchiesociali, immobile, passiva. Però festaiola.

15c u l t u r amar zo 2016

Perugia 1416

Nostalgie nobiliariAttilio Bartoli Langeli

ParoleSagraJacopo Manna

L’Umbria è da decenni terra di sagre e festepopolari la cui strabordante crescita ha spintofinalmente la Regione a disciplinarne la naturacon una apposita legge (la n. 2 del 21 gennaio2015). Specificato che “la Regione promuovee valorizza le sagre e le feste popolari al fine difavorire, a) la conoscenza delle tradizioni cul-turali regionali e del territorio; b) l’aggrega-zione e la coesione sociale attraverso il ruolodel volontariato e dell’associazionismo”, il le-gislatore provvede subito a distinguere: la sagraè una manifestazione che valorizza il territoriopromuovendo vendita e consumo di specialitàagroalimentari locali, mentre la festa popolareè “organizzata esclusivamente o prevalente-mente per finalità culturali, storiche, politiche,religiose, sportive e di volontariato in genere,non necessariamente legata alla valorizzazionedel territorio”. La legge ha avuto una gesta-zione lunga e dibattuta: da un lato i ristoratoridi professione mal tolleravano la presenza an-nuale di un concorrente avvantaggiato dal la-voro volontario e favoritissimo dal punto divista fiscale; dall’altro le comunità in quelleiniziative non vedevano solo una fonte di pro-venti o di promozione turistica, ma anche unmodo per restituire ai collaboratori un po’ diquel senso della partecipazione la cui scom-parsa è il grande male dei nostri tempi (si vedaquanto già detto in questa rubrica trattandodelle parole volontario e volontariato). La leggeattuale è frutto di un compromesso la cui te-nuta verrà collaudata dal tempo: per il mo-mento sembra che sia finita l’era buffa e cial-trona delle sagre dedicate al pesce di mare,alla crêpe o alla sangrìa, e iniziata l’era del ri-pescaggio di cibi ed usanze locali cui intitolarele manifestazioni. Se poi non c’è nulla da ri-pescare possiamo inventarcele, queste usanze,ovviamente addentellandoci a qualche eventomagari sepolto nel tempo. E’ è stato il grandestorico Eric Hobsbawm a identificare perprimo il concetto di “invenzione della tradi-zione” che serve a creare legami sociali e nutrireil senso dell’appartenenza, e (per quanto stranopossa sembrare) simili necessità possono veniresoddisfatte anche divertendosi a rievocare gliallegri tempi in cui i Goti invadevano CastelRigone, che infatti da anni celebra la sua “Festadei Barbari”. Come tanti fenomeni sociali dif-fusi, anche quello delle manifestazioni paesaneè ambiguo: per chi vi collabora o le frequentaè un modo per rimanere in contatto col terri-torio o la comunità di origine; ma allo stessotempo costituisce una esaltazione degli oriz-zonti municipali che, per loro natura, sonorassicuranti ma asfittici. Come spiegato in que-sta stessa pagina da Attilio Bartoli Langeli, ilComune di Perugia sta allestendo una rievo-cazione storica per celebrare Braccio Forte-bracci, personaggio anch’egli ambiguo e, nona caso, rimasto estraneo al cuore dei perugini(che mai si sono adattati a chiamare “Forte-bracci” la vecchia Piazza Grimana): e infattiall’origine del revival non c’è una richiesta dif-fusa, collettiva o insomma popolare ma la ne-cessità di far qualcosa che giustifichi il titolodi “Capitale italiana della cultura” conferitolo scorso anno al capoluogo. Che una rievo-cazione storica nata dal nulla possa venire ri-venduta come iniziativa di livello culturale na-zionale fa intuire la sostanziale sintonia fraquesta amministrazione comunale e le prece-denti: queste azzeravano le tradizioni esistenti(“Eurochocolate” è di fatto la cancellazionedella tradizione operaia dolciaria perugina),quella di Romizi le inventa là dove non esi-stono.

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Marco Jacoviello, Al favor dellanotte… Notturni nel teatro di Mo-zart, Morlacchi editore, Perugia2015.

Il libro è un piccolo trattato sulrapporto tra Mozart e Lorenzo DaPonte, il suo librettista italiano e siconcentra sulle tre opere (Il matri-monio di Figaro, Don Giovanni eCosì fan tutte) scritte dal poeta ce-nedese e che andarono in scena perla prima volta dal 1786 ed il 1790.Sono note le affinità tra i due. En-trambi massoni, sedotti dal climailluminista e dalla cultura libertina,costruiscono nelle tre opere “buffe”una poetica tesa a demistificare leidee dominanti dell’epoca, po-nendo al centro l’ambiguità e la ra-gione come criteri cardine dellaloro elaborazione artistica.Il conte di Almaviva che si inca-

priccia di Susanna, la promessasposa di Figaro; Don Giovanni che,con il suo disperato libertinismo,non si pente neppure di fronte al-l’Inferno; la labile fedeltà di Fior-diligi e Dorabella e i tranelli deiloro amanti Ferrando e Guglielmo“orchestrati” da Don Alfonso: sonogli esempi di un mondo in cui leconvenzioni e le gerarchie socialientrano in crisi e debbono essere“ricontrattate” sul filo della ra-gione.Il libro è anche un percorso in cuisi contestualizzano nella cultura eu-ropea ottocentesca e novecentescai lavori mozartiani e il libertinaggiodegli autori, il fatto che l’uomo peressere libero deve mettere in discus-sione tutti i parametri della tradi-zione e che l’eros è il luogo in cuitale rottura investe la quotidianità.

Il discorso sui notturni entra in talecontesto “La notte è invocata comeultima sponda di un difficile ap-prodo, come una dea pagana […]Quanto il giorno definisce i con-torni e misura le differenze, tantola notte li dilata e le trascura. Lanotte è una risorsa, è il regno dellepossibilità”.

Rieti 1943-1944. Guerra, Resistenzae Liberazione, Atti del Convegnodell’Archivio di Stato di Rieti, a curadi Renato Covino e Roberto Lo-renzetti, Archivio di Stato di Rieti,Rieti 2015.

Sono gli atti del Convegno tenutoa Rieti nel giugno 2014, in occa-sione del settantesimo della Libe-razione, che ha avuto un obiettivogenerale e due specifici. In generale

si trattava di coprire un vuoto sto-riografico sul tema. La Resistenzaa Rieti e provincia è stata finorapoco studiata: qualche tesi di laureaed il volume di Antonio Cipolloni.Il fenomeno, nonostante la sua ri-levanza, non ha suscitato particolaripassioni storiografiche. Sembravaopportuno, dopo settanta anni, in-dagarlo con una nuova consapevo-lezza, prendendo in considerazionetutti i protagonisti e l’insieme dellaricca documentazione conservatapresso l’Archivio di Stato.I due obiettivi specifici erano perun verso l’attenzione nei confrontidella Brigata Gramsci che nel corsodei nove mesi dell’occupazione na-zista aveva allargato la sua zona dioperazione dai monti intorno Terniall’Appennino umbro-laziale-mar-chigiano; per l’altro la ricostruzione

del fenomeno resistenziale in altrezone della provincia, a cominciaredal cicolano - la zona limitrofa al-l’Abruzzo - ma allargando il cam-po anche ad altre realtà, localizzatesoprattutto nel Lazio settentrionale.L’attenzione alla Brigata Gramsciha consentito di mettere a fuocoalcune nodi finora rimasti confinatinel campo della memorialistica: daicaratteri della formazione, alla bat-taglia di Poggio Bustone, dove leformazioni partigiane realizzaronoun consistente successo militare suifascisti repubblicani, alla conquistadi Leonessa, alla gestione della zonalibera, al rastrellamento-rappresa-glia del marzo-aprile 1944. En-trano in campo, in questo caso,non solo problematiche di storiapolitico-militare, ma anche di sto-ria sociale in una prospettiva coraledi cui sono protagonisti civili, re-ligiosi, appartenenti alle forze dipolizia, donne, abitanti dei villaggi,Ne emerge una visione complessadella Resistenza, difficilmente com-primibile nel rito celebrativo.

Ci siamo. Dopo annunci di fusioni tra le regioni centrali,ipotesi che collegano Toscana, Umbria, Marche in ununico aggregato (Italia mediana? Centronia?), altre pro-

poste che assumono come più praticabile l’unione tra Umbria eMarche con qualche appendice toscana e laziale, siamo arrivati aquello che sarà il piatto forte del dibattito della riforma delle ma-croregioni, almeno in Umbria, ossia l’esplosione degli interessi mu-nicipali in qualche modo pudicamente nascosti oppure brutalmenteesibiti. Ha cominciato Luca Diotallevi con una articolessa sul “Corrieredell’Umbria”, lo ha supportato Giuseppe Croce, economista di ri-ferimento della Curia ternana, gli ha fatto eco Stefano Moretti, giàconsigliere regionale socialista. La proposta di Diotallevi non è ori-ginale: è stata già esposta in varie forme e a più riprese da protagonistidiversi e si basa su due poli di ragionamento. Il primo è che laregione è stata matrigna con l’Umbria meridionale, privilegiandola provincia perugina e non tutta; che Spoleto, Narni, Amelia, laValnerina, oltre che Terni, sono state penalizzate da un riparto ter-ritoriale che le ha aggregate a Perugia. Il secondo è che gli interessistorici, le determinanti geografiche, le caratteristiche economiche,produttive, gravitazionali dei territori in questione non hanno nes-suna convergenza con Perugia e il perugino: gli interessi sono diversi.A ben vedere Diotallevi ripropone, senza dirlo e forse saperlo, la ri-costituzione della Sabina storica, peccato che questa risalga a più diduemila anni fa, se ne trovi traccia nella cartografia antica e memoria

fino al medioevo. Ma tralasciando corsi e ricorsi storici e venendoall’oggi quello che si delinea per Terni e l’Umbria meridionale è unruolo di cerniera tra Lazio e Marche, semmai da codificare in ag-gregato territoriale regionale che, a detta dei suoi estimatori, avrebbe900.000 abitanti. In sintesi, si scioglierebbe una regione, per rico-stituirne una di dimensioni analoghe. Appare evidente che si tratta

di una proposta debole: l’unica vera soluzione sarebbe quella di ag-gregare Terni e la sua provincia al Lazio, sull’onda del vecchio sognodi divenire retroterra di Roma, luogo di residenza per cittadini infuga dalla capitale, di decentramento - sempre dalla capitale - difunzioni ritenute pregiate. Dietro a tutto l’idea, ormai da decennivagheggiata, di uno sviluppo sempre meno dipendente dall’industriae sempre più legato all’economia del terziario “pregiato”, all’inno-vazione creativa, all’imprenditorialità diffusa.In verità le tesi di Diotallevi valgono quelle di altri opinion e kingmaker. Hanno la stessa consistenza e sono destinate a fare la stessafine. Sono il sintomo di un malessere diffuso di una comunitàlocale, costretta ad un destino di lenta decadenza, che non riesce aconiugare passato e presente e che fugge verso un improbabilefuturo. C’è di più, ossia l’idea che la salvezza stia nel dividersi daterritori ritenuti ostili, da una Regione matrigna, nella convinzioneche così la comunità, o meglio i suoi ceti dirigenti e i suoi intellet-tuali, possano rivendicare un protagonismo finora inesistente. Laquestione è che né la fusione Umbria Marche Toscana, né quellatra Umbria e Marche con appendici di vario genere, né la propostadal sociologo cattolico hanno dietro truppe. Sono teorie destinatea rimanere tali. Alla fine si deciderà a prescindere, secondo conve-nienze decise altrove e sotto la spinta dell’impulso dato dai potericentrali, nell’indifferenza di chi subirà tali scelte. E’ già successo nelpassato, con la riforma degli enti locali del fascismo, e sembra de-stinato a riproporsi nel futuro.

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la battaglia delle idee

libri

Editore: Centro di Documentazione e RicercaVia Raffaello, 9/A - Perugia

Tipografia: RCS Produzioni SpaVia A.Ciamarra 351/353 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96

Direttore responsabile: Stefano De CenzoImpaginazione: Giuseppe Rossi

Redazione: Alfreda Billi, Franco Calistri,Alessandra Caraffa, Renato Covino, OsvaldoFressoia, Anna Rita Guarducci, Salvatore LoLeggio, Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini,Enrico Mantovani, Roberto Monicchia, Saverio

Monno, Francesco Morrone, Rosario Russo, Enrico Sciamanna,Marco Venanzi.

Chiuso in redazione il 24 /03/2016

O

La dolce aladel municipalismo

Re. Co.

16c u l t u r amar zo 2016

San Giustino.Castello Bufalini.

Foto di Roberto Leonardi