Il Melanoma

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Melanoma startoncology.net /area-professionale/it-melanoma/ Capitolo Bibliografia Autori e revisori 1. INFORMAZIONI GENERALI 1.1 Incidenza 1.1.1 Incidenza e mortalità Ogni anno in Europa vengono diagnosticati circa 63.000 nuovi casi di melanoma, circa il 2% di tutti i tumori. Il tasso di incidenza è maggiore nel nord Europa e nell’Est Europa. Nel nord Europa, in Asutralia ed in Nuova Zelanda l’incidenza di melanoma cutaneo è ancora piu’ alta, rispevamente al 14 e 34 (figura 1). Piu’ del 50% di pazienti con diagnosi di melanoma cutaneo hanno tra i 20 e i 59 anni, ed è estremamente raro che si presenti in pubertà. In Europa l’incidenza è maggiore nelle donne piuttosto che negli uomini: rispettivamente circa 8 e 6 su 100.000 ogni anno Al contrario in America, Asustralia e Nuova Zelanda la popolazione maschile ha un rischio dirca 1.5 volte maggiore di sviluppare un melanoma rispetto alle donne (Ferlay 2004). Figura 1 Tasso di incidenza di melanoma nel mondo (Ferlay 2004) Il tasso di melanoma aggiustato per età è in crescita. I tassi sono raddoppiati dalla metà degli anni ’50 in tutti i paesi sviluppati, in particolare modo in quelli dove erano già elevati i tassi. Questo trend è in particolare modo accentuato in quei paesi dove è alta la percentuale di popolazione con fenotipo chiaro. Il melanoma della cute è rapidamente incrementato di incidenza in Inghilterra dal 1960, come in molti altri paesi (Coleman 1999). L’indenza è aumentata del 30-50% ogni 5 anni, piu’ rapidamente nelle donne piuttosto che negli uomini; il numero di pazienti si è piu’ che raddoppiato dal 1971 al 1990. L’aumento di incidenza si è visto a tutte le età e non è legato a variazioni diagnostiche (Van der Esh 1991). Negli Stati Uniti l’incidenza di tumore malino è incrementata del 270% dal 1973 al 2002

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Il melanoma

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Melanomastartoncology.net /area-professionale/it-melanoma/

Capitolo

Bibliografia

Autori e revisori

1. INFORMAZIONI GENERALI

1.1 Incidenza

1.1.1 Incidenza e mortalità

Ogni anno in Europa vengono diagnosticati circa 63.000 nuovi casi di melanoma, circa il 2% di tutti itumori. Il tasso di incidenza è maggiore nel nord Europa e nell’Est Europa. Nel nord Europa, inAsutralia ed in Nuova Zelanda l’incidenza di melanoma cutaneo è ancora piu’ alta, rispevamente al 14e 34 (figura 1). Piu’ del 50% di pazienti con diagnosi di melanoma cutaneo hanno tra i 20 e i 59 anni,ed è estremamente raro che si presenti in pubertà. In Europa l’incidenza è maggiore nelle donnepiuttosto che negli uomini: rispettivamente circa 8 e 6 su 100.000 ogni anno Al contrario in America,Asustralia e Nuova Zelanda la popolazione maschile ha un rischio dirca 1.5 volte maggiore disviluppare un melanoma rispetto alle donne (Ferlay 2004).

Figura 1 Tasso di incidenza di melanoma nel mondo (Ferlay 2004)

Il tasso di melanoma aggiustato per età è in crescita. I tassi sono raddoppiati dalla metà degli anni ’50in tutti i paesi sviluppati, in particolare modo in quelli dove erano già elevati i tassi. Questo trend è inparticolare modo accentuato in quei paesi dove è alta la percentuale di popolazione con fenotipochiaro. Il melanoma della cute è rapidamente incrementato di incidenza in Inghilterra dal 1960, comein molti altri paesi (Coleman 1999). L’indenza è aumentata del 30-50% ogni 5 anni, piu’ rapidamentenelle donne piuttosto che negli uomini; il numero di pazienti si è piu’ che raddoppiato dal 1971 al 1990.L’aumento di incidenza si è visto a tutte le età e non è legato a variazioni diagnostiche (Van der Esh1991). Negli Stati Uniti l’incidenza di tumore malino è incrementata del 270% dal 1973 al 2002

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(Markovic 2007). In Italia tra 1988 e il 2002, l’incidenza di melanoma è raddoppiata ma è rimastastabile la mortalità (Figura 2) (AWG 2007). La differenza tra incidenza e mortalità si spiegasostanzialmente con un incrmento della sopravvivenza a lungo termine (Coleman 1999). L’incidenza dimelanoma è 3 volte maggiore nella popolazione piu agiata rispetto ai ceti piu’ poveri (MacKie 1996).

Figura 2 Trend di incidenza del melanoma cutaneo in Italia, popolazione maschile (AWG 2007)

1.1.2 Sopravvivenza

In europa per i pazienti condiagnosi di melanoma tra il 2000 eil 2002 la sopravvivenza è statadel 86%. E’ segnalato un lievemiglioramento di sopravvivenza a5 e 10 anni per i pazienti condiagnosi di melanoma tra il 1991 eil 2002. Il profilo di sopravvivenzaa 5 e 10 anni è simile, anche se a10 anni è un poco inferiore.. Lasopravvivenza a 10 anni è molto simile a quella a 5 anni, indicando quindi che il decesso avvienesolitamente entro 5 anni dalla diagnosi (Verdecchia 2007). La sopravvivenza relative a 5 annidiminuisce con l’età dall’88% al 74% peri piu giovani (15-45 anni) ripsetto ai piu’ anziani (con piu’ di 75anni). C’è una maggior differenza di sopravvivenza tra paese e paese europeo: la sopravvivenza èmaggiore per il Nord-Ovest Europa, dove anche l’incidenza è maggiore. Questo può essere dovuto adun maggior numero di diagnosi di melanomi superficiali. LA sopravvivenza è maggiore in Scozia, si pergli uomini che per donne, in quanto è attivo un programma di screening precoce (MacKie 2003), ed èminore in quei paesi Europei, come quelli del Mediterraneo, dove si dà poca attenzione alla diagnosiprecoce. I melanomi che insorgono sulla cute degli arti tendono ad avere una migliore prognosi,(a 5anni sopravvivenza relativa 85%) rispetto a quelli che insorgono sul tronco, alla testa o al collo (a 5anni sopravvivenza dell’86%) . A 5 anni la sopravvivenza per le alter sedi è ancora piu’ bassa (61%)(Dickman 1999). Un’associazione tra stato di indigenza e sopravvivenza è segnalato (Coleman 1999).In Inghilterra e nel Gelles, vi è una differenza di sopravvivenza a 5 anni tra popolazione piu’ e menoabbiente del 13%. Una diagnosi precoce avviene quindi piu’ precocemente nei ceti sociali piu’ ricchi equesto influisce sulla sopravvivenza. In uno studio sulla popolazione della Scozia occidentale, imelanomi cutanei erano piu’ frequenti nella popolazione piu’ ricca, e la sopravvivenza era peggiore neigruppi piu’ poveri anche aggiustando i tassi in base allo spessore della lesione (MacKie 1992).

1.1.3 Prevalenza

La prevalenza di melanoma. È il numero di persone viventi con diagnosi di melanoma. In Europa perentrambi i sessi la prevalenza di melanoma rappresenta il 4% della prevalenza di tutti i tumori (Micheli2002)., con una proporzione di 81 per 100,000. C’è una grande differenza di prevalenza all’interno deipaesi europei; con un tasso di prevalenza da 31 casi in Polonia a 230 in Svezia per 100.000.

1.2 Eziologia e fattori di rischio

Esposizione solareSi stima che l’80% dei melanomi sia causata dai danni provocati dai raggi ultravioletti a pelliparticolarmente sensibili (IARC 1992). Diversi studi hanno dimostrato che esposizioni episodiche,

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come ad esempio bagni di sole intensi, specialmente per coloro che hanno una cute chiararappresentano il fattore di rischio maggiore nello sviluppare un melanoma. Il rischio di sviluppare unmelanoma in quella popolazione abituata ai “ bagni di sole” è doppio rispetto alla popolazione che nonne ha mai fatti. Inoltre, sembra anche che l’età in cui una persona è stata esposta a questo tipo dieccesso di raggi solari , sia importante: in particolare se questi avvengono in età infantile sonoassociati ad un rischio maggiore. Vi è anche l’evidenza del ruolo degli UVR da studi eseguiti supopolazioni immigrate provenienti dall’Australia, il rischio è infatti proporzionale alla durata dellapermanenza ed inversamente proporzionale all’età di arrivo (Markovic 2007; Veierød 2003). L’uso deiraggi PUVA come fotochemioterapia nella psoriasi è anche associato ad un aumento del rischio dimelanoma (Stern 2001). Una recente metanalisi di 13 studi ha suggerito che docce o lettini solaripotrebbero incrementare leggermente il rischio di melanoma e questo è maggiore tanto più precoce èl’età di inizio e la durata (Gallagher 2005). L’uso di schermi solari ad ampio spettro di protezione solareha dimostrato di ridurre il numero di nevi secondari nei bambini dal 30% al 40%. Poiché i nevisecondari sono un segno di esposizione solare un sistema di prevenzione del melanoma è l’utilizzoappunto di schermi solari ad ampio spettro (Gallagher 2000).

OccupazioneCi sono diverse pubblicazioni che hanno riportato un’associazione tra esposizione occupazionale emelanoma cutaneo. Un grande studio di coorte eseguito sui piloti Nordici ha dimostrato un notevoleincremento del rischio di sviluppare un melanoma (Pukkala 2003). Una metanalisi effettuata sulpersonale di volo (servizio di assistenza, piloti civili o militari) hanno confermato esservi unincrementato rischio di sviluppare un melanoma (Buja 2005). È stato anche analizzato su una grandecoorte l’utilizzo di pesticidi sia in agricoltura che in ambito commerciale (Agricultural Health Study).Relativamente a coloro che non ne hanno mai fatto uso, si segnala un incremento del rischio disviluppare melanoma di 4-5.5 volte, in base al periodo di esposizione. Il rischio è calcolato edaggiustato in base anche all’esposizione solare (Mahajan 2007). Recenti studi hanno dimostrato unrischio aumentato nelle infermiere (Lie 2007) in scrittori e giornalisti (Band 2001), impiegati nellemanifatture dei semicondutture (Nichols 2005), e in lavoratori del petrolio ( Gun 2006; Sorahan 2007).

Fattori riproduttiviUna recente analisi di 10 studi caso-controllo suggeriscono che le donne con una età giovane allaprima gravidanza (5) hanno un minore rischio di melanoma rispetto a donne con la prima gravidanzain età più avanzata e minor numero di figli (odds ratio, 0.33) (Karagas 2002).

E’ stato supposto che estrogeni e progesterone incrementino il rischio di melanoma stimolando laproliferazione dei melanociti (Markovic 2007). La gravidanza e l’utilizzo di contraccettivi orali noninfluenzano il rischio di sviluppare un melanoma (Wiggins 2005; Karagas 2002).

Dieta e obesitàSi ipotizza che l’obesità possa aumentare il rischio id sviluppare un melanoma, probabilmente legatoad un incremento della superficie esposta al sole e a profili ormonali differenti (Markovic 2007). Unarecente ampia meta-analisi ha dimostrato una debole associazione (RR<1.2) tra BMI e melanomamaligno nell’uomo (Renehan 2008). Il World Cancer Research Fund e l’ American Institute for CancerResearch (AICR) (WCRF 2007) in una loro estesa relazione sulla letteratura scientifica in ambito didiete, attività fisica e prevenzione del cancro, hanno pubblicato importanti conclusioni dopo aver rivisto167 pubblicazioni specifiche. Il pannello di esperti ha concluso che:- la presenza di arsenico nell’acqua utilizzata per uso domestico è una causa probabile di tumore dellacute- che vi è una debole evidenza che il selenio invece ne possa essere una causa.Altri fattori legati alla dieta, quali le patate, le verdure senza amido, la frutta, il pesce, le uova, il latte,ilcaffè,il the, l’alcool, I grassi, il colesterolo, le proteine, la vitamina A,il retinolo nei cibi, il beta-carotene, l’alpha-carotene, il carotene, il licofene, la vit C,i folati, la vit D, la vit E, i multivitaminici, l’attività fisica, lecalorie sono stati valutati ma sono tutti risultati essere cosi inconsistenti, e con un numero di studi cosimisero che non è possibile trarre delle conclusioniFattori legati all’ospite

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Nevi melanotici. Il rischio di melanoma è direttamente correlato al numero totale di nevi benigni (siadisplatici che non) su tutto il corpo. Il rischio è approssimativamente di 1.5 maggiore per quei soggetticon 11-25 nevi (rispetto a<10 nevi) e sembra raddoppiarsi se il numero di nevi è maggiore di 25(Markovic 2007). Ugualmente , nevi di grandi dimensioni (>5mm) sono associati a un rischio maggioredi melanoma. I melanomi che si sviluppano all’interno di un precedente nevo più frequentemente sipresentano al tronco, insorgono in persone giovani e appartengono ad una varietà con diffusione acrescita superficiale.Storia famigliare. Pazienti con una storia famigliare di melanoma all’interno dei parenti di primo gradohanno un rischio raddoppiato di sviluppare un melanoma rispetto a coloro che hanno una storiafamigliare silente, il rischio aumenta se sono presenti altri fattori di rischio(Cho, 2005). Il melanomafamigliare rappresenta il 10% dei melanomi. Infatti il melanoma è noto insorgere in quelle famiglie consindromi famigliari quali il retinoblastoma, la sindrome di Li-Fraumeni e la sindrome di Lynch tipo II.L’ Immunosoppressione. Pazienti che sono stati trattati con agenti immunosoppressivi dopo untrapianto di organo, o per sindrome da immunodeficienza acquisita o per tumori ematologici hanno unrischio aumentato di sviluppare un melanoma (Hollenbeak 2005; Euvrard 2003; Markovic 2007).

1.3 Screening e case finding

1.3.1 Programma di screening

I dati correnti non supportano nessun programma di screening sulla popolazione. Sia gli USA cheCanada ritengono che l’esame della cute non sia sufficiente per la diagnosi di melanoma precoce(Berg 2001; Feightner 1994). L’Australian National Health and Medical Research Councilnon nonraccomandano screening di massa nè per la popolazione generale nè per la popolazione ad altorischio (NHMRC 1996).

1.3.2 Prevenzione primaria (riduzione del rischio)

Un’educazione pubblica corrente é uno strumento fondamentale per la prevenzione primaria delmelanoma. Essa é raccomandata con un livello di evidenza di tipo R, soprattutto mirata agli individuicon un rischio più elevato. Questi ultimi dovrebbero essere istruiti su come tenere sotto controllo ericonoscere i segni clinici sospetti (vedi schema ABCDE, Tabella 1), e dovrebbero anche esserefortemente scoraggiati ad esporsi a (intermittenti) radiazioni UVB, inclusi lampade e lettini abbronzanti.

Tavola 1 SEGNI ABCDE

A ———–> Lesione asimmetricaB ———–> Bordi irregolariC ———–> Colore policromoD ———–> Diametro > 6 mmE ———–> Espansione (Ingrossamento)

1.3.3 Prevenzione secondaria (diagnosi precoce)

Nonostante la prevenzione secondaria (diagnosi precoce) sotto forma di screening (Vasen 1989) risultimolto allettante per questa neoplasia facilmente riconoscibile e – almeno nei primi stadi – facilmentecurabile, mancano studi randomizzati riguardo all’esecuzione di “screening” rispetto al “nonscreeening”. Un recente studio caso-controllo sulla popolazione (Berwick 1996) condotto su 1199individui di razza caucasica residenti negli Stati Uniti ha rivelato che l’autoesame della cute è associatoad una ridotta incidenza di melanoma e ad una riduzione di diagnosi di malattia in fase avanzata. Unrapporto di screening di massa della American Academy of Dermatologist (AAD) ha indicato che la

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maggior parte dei melanomi diagnosticati erano localizzati, con uno spessore mediano di 0.3 mm, eche quasi la metà dei pazienti nei quali si era riscontrata la neoplasia non sarebbe ricorsaspontaneamente ad un medico (Koh 1996). Tuttavia, l’evidenza del vantaggio dei programmi dicontrollo e screening è più forte per le popolazioni ad alto rischio, in cui diversi studi hanno confermatoche la diagnosi di melanomi primitivi è stata possibile in stadi iniziali, quando il tumore avevadimensioni e spessore più ridotti (Wolfe 1999). Per le ragioni fin qui elencate, lo screening deveritenersi appropriato per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza di tipo R, ed éraccomandato con un livello di evidenza di tipo C (Wolfe 1999) per tutti gli individui ad alto rischio.Questi ultimi andrebbero individuati e incoraggiati ad effettuare l’autoesame della propria superficiecutanea, come programma di screening e misura preventiva.

1.4 Riferimento

1.4.1 Il riferimento ad Istituti specializzati

Il riferimento del paziente con melanoma cutaneo ad un centro specializzato generalmente non éraccomandato. Tuttavia, per quei pazienti che rientrano nei criteri di eleggibilità per studi prospettici,secondo le condizioni dettagliate di seguito, questa opportunità potrebbe essere presa inconsiderazione:

a) Pazienti con melanoma primitivo operabile: studi sui margini di escissione o sulla biopsia dellinfonodo sentinellab) Individui ad alto rischio di sviluppare un melanoma primario e pazienti con metastasi linfonodali, neicasi in cui un trattamento adiuvante sia da prendersi in considerazionec) Pazienti con metastasi a distanza: possono essere arruolati in studi mirati a chiarire il ruolo di nuoveopzioni di terapia sistemica

Il riferimento a centri specializzati deve essere raccomandato per i pazienti che, dopo la resezionedella lesione primitiva, o necessitino della biopsia del linfonodo sentinella, o che debbano esseresottoposti a svuotamento linfonodale del collo o dell’inguine, oppure che necessitino di un interventochirurgico specialistico. Ciò vale anche per la procedura di perfusione regionale isolata degli arti o dilocalizzazioni rare, quali i melanomi della vulva o del retto o, ancora, per nei casi in cui il pazienteesprima la volontà di essere arruolato in uno studio clinico sperimentale (per esempio un protocolloper la sperimentazione di un vaccino, etc). Per quanto attiene al trattamento palliativo, il riferimentodeve essere preso in considerazione nei casi in cui si renda necessario un trattamento radioterapico,oppure quando deve essere effettuata una metastasectomia polmonare o cerebrale.

1.5 Review recenti e volumi

Balch CM, Houghton AN, Sober AJ, Soong S-J, editors. Cutaneous melanoma. 4th ed, St. Louis:Quality Medical Publishing; 2003.

Balch CM. Surgical management of melanoma: results of prospective randomized trials. Ann SurgOncol 1999; 5: 301-9.

Eggermont AMM, Kirkwood JM. Re-evaluating the role of dacarbazine in metastatic melanoma: whathave we learned in 30 years? Eur J Cancer 2004; 40: 1825-1836.

Kroon BBR, Bergman W, Coebergh JWW, Ruiter DJ, on behalf of the Dutch Melanoma Working Party.Consensus on the management of melanoma of the skin in the Netherlands. Melanoma Research1999; 9: 207-12.

Thompson JF, Scalyer RA, Kefford RF. Cutaneous melanoma. Lancet 2005; 365: 687-701.

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Tsao H, Atkins MB, Sober AJ. Management of cutaneous melanoma. N Engl J Med 2004; 351: 998-1012

Rosso S, Budroni M. Skin cancers: melanoma, non-melanoma cancers and Kaposi’s sarcoma. InCrocetti E et al Cancer trends in Italy: figures from the Cancer registries (1986-97). Epidemiologia ePrevenzione, Marzo-aprile, 2004.

2. PATOLOGIA E BIOLOGIA

2.1 Dati di biologia

Il melanoma é un tumore maligno che origina dalla trasformazione e proliferazione dei melanociti, chenormalmente risiedono nello strato cellulare basale dell’epidermide. Il melanoma cutaneo primario puòinsorgere su una lesione preesistente precursore del melanoma (per es., il lentigo maligna, un nevodisplastico o congenito), oppure direttamente su una zona di pelle normale (Reed 1985). Le cellule delmelanoma sono caratterizzate da una relativa autonomia di crescita in coltura. É stato, pertanto,suggerito un meccanismo autocrino di stimolazione della crescita, che agisce attraverso la secrezionedi fattori di crescita peptidici endogeni, quali il fattore di crescita dei fibroblasti (bFGF), il fattore dicrescita delle piastrine (PDGF), il fattore di crescita trasformante alpha (TGF-alpha), il TGF-b ointerleukina -1 (IL-1) (Herlyn 1992).

2.1.1 La crescita tumorale

La crescita del melanoma può essere bifasica o monofasica (Reed 1985). Il modello bifasico consistein una fase di crescita iniziale (intraepidermica) orizzontale o radiale, seguita da una successiva fase dicrescita verticale, che corrisponde all’infiltrazione del derma e dell’ipoderma. I melanomi che seguono ilmodello di crescita bifasico sono i melanomi a diffusione superficiale e i melanomi tipo lentigo maligna.Molto spesso, anche i melanomi acrali lentigginosi seguono il modello di crescita bifasico. Il modello dicrescita monofasico del melanoma consiste in una crescita esclusivamente verticale ed includesostanzialmente la forma di melanoma detta melanoma nodulare. La fase di crescita verticale puòincludere la variante desmoplastica e il melanoma tipo a variazione minima.

2.1.2 Anomalie genetiche

E’ stato provato che il melanoma familiare é geneticamente eterogeneo (Greene 1999), e loci disuscettibilità al melanoma familiare sono stati individuati sul braccio corto del cromosoma 1p e delcromosoma 9p, attraverso studi di delezioni omozigoti. Molteplici eventi genetici sono stati correlati allapatogenesi del melanoma (Halachmi 2001). In effetti, esistono famiglie di proteine che inibiscono ilgene CDK:p16INK4a e i suoi omologhi e le famiglie di proteine CIP e KIP. Se il legame con un genesul cromosoma 9 é chiaro, il ruolo del cromosoma 1 rimane ancora da definire. Alcuni marcatori dellaregione 9p21 sono deleti in più della metà delle linee cellulari di melanoma studiate. Il genedenominato “multiple tumour suppressor 1″ (CDKN2A/MTS1) che codifica la proteina p16INK4a –proteina a basso peso molecolare di 148 residui e un inibitore, precedentemente identificato, dellechinasi ciclino-dipendenti (CDKs) – é stato localizzato nella regione p21 del cromosoma umano 9 eall’interno della regione critica deleta. Esso consiste in 3 esoni codificanti: l’esone 1 contenente 125bp,esone 2 contenente 307 bp, ed esone 3 che contiene solo 12 bp. Nel 56% delle linee testate (sonostate esaminate 84 linee cellulari) sono state riscontrate delezioni omozigoti della regione delcromosoma 9p21. Il locus p16 INK4a si sovrappone ad una fase di lettura alternata (ARF) del p14 ed èstata riportata una mutazione familiare dell’intero cistrone p16 INK4a /p14ARF. E’ stato dimostrato cheesistono tre geni omologhi di p16INK4a: p15 INK4b(CDKN2B/MTS2) in 9p21; p18INK4c in 1p32;p19INK4d in 19p13. Sulla base della sequenza del DNA e di studi di dilezione, è risultato che almeno il75% delle linee cellulari del melanoma contenevano MTS1 mutato, o avevano perso il gene da

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entrambi gli omologhi. Mutazioni della sequenza codificante di p16INK4a e delle giunzioniesone/introne fiancheggianti sono state identificate in 33/36 casi di melanoma in 9 famiglie, mentre 2sono state riscontrate in controlli normali e non sono correlati alla malattia. L’analisi di questemutazioni ha dimostrato che il 92% dei casi di melanoma (30% dei nevi displastici e 15% degli individuisani), presentavano una delle mutazioni. Dei 48 individui nei quali era stata riscontrata una mutazionedi p16, soltanto 15 (31%) non erano affetti da melanoma. La mutazione non senso (Arg50Ter), lamutazione del sito di splicing (sito donatore) (IVS2+1 [G-T]), e 3 delle mutazioni missense specifiche dimelanoma (Val118Asp, Gly93Trp, and Arg79Pro) sono strettamente correlate con il melanoma inqueste famiglie, e non sono state riscontrate nell’analisi dei controlli. Salvo alcune eccezioni, ladistribuzione di mutazioni patogenetiche in molte famiglie sembra confermare la tesi che p16 in 9p21sia un gene responsabile del melanoma familiare (Goldstein 1998; Pollock 1996).

2.2 Lesioni pre-cancerose

Nonostante le controversie riguardo la natura delle lesioni potenzialmente associate al melanoma,l’identificazione di tali lesioni è fondamentale per comprendere la biologia di questa neoplasia e peridentificare i rischi individuali (Barnhill 1992).

2.2.1 Melanoma tipo lentigo maligna

Il lentigo maligna è il precursore del melanoma tipo lentigo. Consiste nella diffusione di melanocitipleomorfi lungo la giunzione dermo-epidermica. L’epidermide è spesso atrofica, visto che tali lesioniinsorgono generalmente in individui anziani o su aree cutanee danneggiate dall’esposizione solare.

2.2.2 Nevo displastico

Una delle caratteristiche principali del nevo displastico é una iperplasia melanocitica di tipolentigginoso, con atipia citologica dei nevomelanociti. Queste cellule, site lungo la giunzione dermo-epidermica, sono molto spesso circondate da mutazioni del collagene, infiltrati linfocitari e riccavascolarizzazione del derma papillare. Gli individui con molti nevi displastici (e non displastici) possonopresentare un più elevato rischio di sviluppare un melanoma, che non necessariamente origina nellalesione displastica, ma che può anche formarsi in zone cutanee libere da nevi. L’incidenza annuale diinsorgenza di un melanoma in un nevo displastico è pari a 1:3000. I nevi displastici, pertanto, nondevono essere annoverati tra i precursori del melanoma, bensì costituiscono dei marcatori chepermettono di identificare gli individui con un rischio più elevato rispetto alla popolazione generale.

2.2.3 Nevo congenito

Il nevo congenito può essere diagnosticato clinicamente anche solo in base alle dimensioni, dato chevirtualmente tutti i nevi di dimensione maggiore a 2-3 cm sono congeniti. I nevi più piccoli possonoessere diagnosticati con buona attendibilità come congeniti in base alla loro storia. Tuttavia, alcuni esitiistologici sono in grado di stabilire un’origine congenita, come nel caso della presenza di cellule di neviin un dato insieme di cellule nello strato intradermico e nello strato adiposo sottocutaneo, oppure innidi all’interno di ghiandole sebacee, follicoli piliferi, dotti eccrini e papille pilifere. La stima del rischio disviluppare un melanoma in associazione a lesioni inferiori a 10 cm rimane un tema controverso.

2.3 Tipi istologici

I melanomi vengono convenzionalmente classificati in base alla modalità di crescita. Possono esserecosì distinti quattro tipi: il melanoma a diffusione superficiale (65%), il melanoma nodulare (25%), il

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melanoma tipo lentigo maligna (5%) e il melanoma tipo acrale lentigginoso (5%). Il melanoma adiffusione superficiale, il melanoma tipo lentigo maligna e il melanoma tipo acrale lentigginoso sono poiclassificati come tumori con modalità di crescita radiale, mentre il melanoma nodulare presenta unamodalità di crescita meramente verticale. Altre varianti della fase di crescita verticale sonorappresentate dal melanoma desmoplastico e dal melanoma tipo a deviazioni minime (Barnhill 1992).

2.3.1 La classificazione ICD-O

Gli istotipi nella lista qui sotto riportata sono considerati “tipici”. Il codice morfologico dellaclassificazione ICD-O (International Classification of diseases for Oncology) sono dettagliati traparentesi (ICD-O 2000).

[M-8720/3] NAS[M-8744/3] Melanoma maligno acrale lentigginoso[M-8730/3] Melanoma amelanotico[M-8722/3] Melanoma a cellule globose[M-8745/3] Melanoma maligno desmoplastico[M-8771/3] Melanoma a cellule epitelioidi[M-8770/3] Melanoma misto a cellule epitelioidi e fusate[M-8720/2] Melanoma in situ[M-8770/0] Melanoma giovanile[M-8742/3] Melanoma tipo lentigo maligna[M-8720/3] Melanoma maligno, NAS[M-8761/3] Melanoma maligno in nevi pigmentato gigante[M-8742/3] Melanoma in lentigo maligna di Hutchinson[M-8740/3] Melanoma maligno in nevo giunzionale[M-8741/3] Melanoma maligno in melanosi premaligna[M-8745/3] Melanoma maligno neurotropico[M-9044/3] Melanoma maligno delle parti molli[M-8723/3] Melanoma maligno in regressione[M-8721/3] Melanoma nodulare[M-8772/3] Melanoma a cellule fusate NAS[M-8773/3] Melanoma a cellule fusate, tipo A[M-8774/3] Melanoma a cellule fusate, tipo B[M-8743/3] Melanoma a diffusione superficiale

2.3.2 Il melanoma a diffusione superficiale

Il melanoma a diffusione superficiale é l’istotipo più frequente di melanoma. È principalmentecaratterizzato da una prominente proliferazione intraepidermica, solitamente in un singoloraggruppamento ordinato. Questa fase iniziale di crescita può durare per mesi o anni, in cui le cellulemaligne invadono o soltanto l’epidermide (melanoma in situ o livello di Clark I), oppure, piùfrequentemente, la parte superficiale del derma (livello di Clark II). Tuttavia, nella fase radiale dicrescita del tumore, le cellule maligne nel derma vengono riscontrate soltanto in piccoli cluster o anchecome singole cellule tumorali isolate. La prognosi in questo stadio é ancora molto favorevole.Nell’ultima fase di crescita del tumore, i melanociti maligni cominciano ad invadere la parte piùprofonda del derma (livelli di Clark III, IV e IV).

2.3.3 Il melanoma tipo lentigo maligna

Il melanoma tipo lentigo maligna rappresenta un istotipo meno comune di melanoma. Corrisponde ad

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una degenerazione del lentigo maligna. La fase di crescita verticale consiste solitamente in cellulefusate che invadono spesso il derma reticolare, contornato da stroma fibrotico (desmoplastico), oppurepossono infiltrare i nervi e le strutture perineuronali della cute.

2.3.4 Il melanoma tipo acrale-lentigginoso

Il melanoma tipo acrale-lentigginoso si manifesta sul palmo delle mani e sulle piante dei piedi. Inqueste sedi possono essere riscontrati sia melanomi a diffusione superficiale, sia melanomi nodulari.

2.3.5 Il melanoma nodulare

Il melanoma nodulare rappresenta un terzo di tutti i melanomi diagnosticati ogni anno tra lapopolazione caucasica. Sin dalla sua fase iniziale di crescita, il melanoma nodulare presenta unaprogressione verticale, invadendo gli strati cutanei più profondi. Solitamente non si riscontranoalterazioni melanocitiche nell’epidermide intorno al nodulo. Il melanoma polipoide é una variante delmelanoma nodulare, caratterizzata istologicamente da un accumulo di cellule tumorali che coprono unvasto volume della superficie cutanea. L’aumento del volume del tumore favorisce il distaccamentodelle cellule del melanoma, che vengono trasportate dai vasi linfatici superficiali, determinando unaprognosi sfavorevole.

2.4 Accuratezza e affidabilità della diagnosi patologica

2.4.1 Il referto patologico

Si raccomanda con un livello di evidenza di tipo C che il referto patologico includa età e sesso delpaziente, la sede anatomica del melanoma e la dimensione dell’area resecata. E’ inoltre auspicabileche il referto riporti eventuali segni di regressione se presenti, e la percentuale di mitosi. Al fine didefinire l’entità del rischio del paziente e l’appropriatezza del follow-up proposto o del trattamento, ilreferto patologico deve riportare sempre: il tipo istologico, la presenza di ulcerazione, la presenza dilinfociti infiltranti, la regressione, le lesioni micro-satelliti, i margini di radicalizzazione, lamicrostadiazione (lo spessore massimo verticale del tumore, secondo la classificazione di Breslow e illivello di invasione secondo la classificazione di Clark).

2.4.2 L’esame istopatologico

L’esame istopatologico di un sospetto melanoma deve essere sempre effettuato da anatomopatologiche abbiano un’esperienza specifica di questa neoplasia e che siano ben addestrati a riconoscerediagnosi differenziali, quali un nevo di Spitz, un nevo pigmentato a cellule fusate, un nevo displastico,un nevo alonato, un nevo composto, un nevo ricorrente, un nevo blu cellulare. Le tecnicheimmunoistochimiche possono essere d’aiuto. Altre diagnosi, quale quella di carcinoma, può essereesclusa dall’assenza di reazione a specifici antigeni (citocheratina, vimentina, antigene comuneleucocitario). La diagnosi di melanoma, può invece essere supportata dalla positività di due reazioni: leproteine HMB45 e S-100, di cui la prima è la più specifica per il melanoma.

2.5 Microstadiazione (Microstadiazione di Clark e microstadiazione di Breslow)

2.5.1 La microstadiazione di Clark

La microstadiazione di Clark si basa sulla profondità dell’infiltrazione cutanea del melanoma (Clark

Page 10: Il Melanoma

1969a). I diversi livelli di infiltrazione tumorale includono:

Livello I: Melanoma in situ: il tumore è nell’epidermide al di sopra di una lamina basale intatta;

Livello II: il tumore invade il derma papillare;

Livello III: il tumore arriva fino all’interfaccia tra derma papillare e derma reticolare, senzainfiltrare quest’ultimo;

Livello IV: il tumore invade il derma reticolare;

Livello V: il tumore invade il tessuto sottocutaneo.

2.5.2 La microstadiazione di Breslow

Il metodo di microstadiazione di Breslow misura l’effettivo spessore del tumore, utilizzando unmicrometro oculare (Breslow 1970). Questa misurazione richiede da parte del chirurgo edell’anatomopatologo una serie di precauzioni riguardanti l’escissione, il trattamento iniziale delcampione, e l’escissione e il taglio delle sezioni più rappresentative. La misurazione dello spessoresecondo Breslow è molto affidabile: le differenze intra- e inter-osservatore sono basse. Diversi studihanno dimostrato che lo spessore del tumore è un parametro prognostico più affidabile rispetto ai livellidi microstadiazione di Clark. Recentemente (Balch 2001a) é stato dimostrato che l’ulcerazione é ilfattore prognostico più rilevante per lesioni spesse più di 1mm, mentre I livelli IV e V dellamicrostadiazione di Clark rimangono parametri significativi soltanto per lesioni di spessore inferiore a 1mm.

2.6 Tipi istologici particolari

2.6.1 Il melanoma desmoplastico

Il melanoma desmoplastico è una forma rara di melanoma; può essere associato al lentigo maligna edè localizzato in zone esposte ai raggi solari, specialmente sul volto (41% dei casi). Varianti delmelanoma desmoplastico sono: il melanoma neurotrasformante e il melanoma neurotropico. Questotipo di melanoma é noto per la tendenza ad infiltrare l’avventizia dei vasi sanguigni, a diffondersi perinvasione perineurale e per l’alta frequenza con la quale recidiva localmente (intorno al 50%, con unrange compreso tra 25% e 82%). Un attento esame dei margini del campione prelevato è, pertanto, daconsiderarsi obbligatorio.

2.6.2 Il nevo blu maligno

Il nevo blu maligno insorge soprattutto sul cuoio capelluto e può essere associato ad un pre-esistentenevo blu cellulare. Si tratta di una lesione molto rara (si conoscono solo 11 casi ben documentati) equindi ogni ipotesi di melanoma metastatico deve essere esclusa.

2.6.3 Il melanoma delle membrane mucose, dell’iride, e il sarcoma a cellule chiare

Il melanoma può manifestarsi in qualsiasi sede anatomica, in cui siano presenti i melanociti. Ciòspiega la possibilità, ancorché rara, di sviluppare un melanoma in sedi, quali le membrane mucose(cavo orale, rinofaringe, canale anale, vagina e uretra), la coroide e l’iride nell’occhio, oppure ilsarcoma a cellule chiare. Si tratta di tumori che presentano specifiche problematiche diagnostiche eterapeutiche e verranno, pertanto, trattati in capitoli a parte.

3. DIAGNOSI

Page 11: Il Melanoma

3.1 Segni e sintomi

Il segno iniziale più classico con cui si manifesta un melanoma è la modificazione di una lesionepigmentata pre-esistente lungo un periodo di alcuni mesi. Quando la modificazione avviene in unperiodo più breve (giorni o settimane) il fenomeno è solitamente imputabile ad una condizioneflogistica. In circa il 70% dei pazienti le modificazioni iniziali riguardano dimensione e colore dellalesione (Wick 1980). Aumento dello spessore, prurito, ulcerazione e sanguinamento si osservano,invece, in stadi più avanzati della malattia (Milton 1968). L’aumento dello spessore del melanoma puòessere seguito da un’ulcerazione; in questi casi il sanguinamento é solitamente segnale di malignitàdella lesione. Il prurito può costituire un sintomo soggettivo. La regione cutanea intorno alla lesione puòapparire di un rosso molto chiaro, mentre in caso di melanoma a diffusione superficiale, intorno allalesione è talvolta visibile un alone non pigmentato. La sigla ABCDE, introdotta negli anni ’60 perriassumere i segni clinici sospetti, è ancora attuale e raccomandata.

A ———–> Asimmetria della lesione

B ———–> Bordi irregolari

C ———–> Colore policromo

D ———–> Diametro >6 mm

E ———–> Espansione (ingrossamento)

L’applicazione delle linee-guida riassunte nello schema ABCDE costituisce un valido ausilio nelriconoscimento dei melanomi meno spessi e a rischio meno elevato. Comunque bisogna dire chequeste caratteristiche non devono essere prese come uno standard : molte persone hanno unnotevole numero di nevi sul corpo con le caratteristiche dell’ ABCD positive. Per questa ragione è daconsiderare come sospetto quelnevo con caratteristiche differenti rispetto agli altri.

3.1.1 Il melanoma a diffusione superficiale

Il melanoma a diffusione superficiale si presenta solitamente come un’area molto pigmentata, cheorigina in un nevo giunzionale. In genere, la lesione appare inizialmente piatta e successivamente siallarga con margini irregolari. Le zone prive di melanociti, frequentemente riscontrabili, rappresentanoaree di regressione. In una fase successiva, la superficie diventa irregolare, con un colore variegatoche va dal blu pallido e rosa al marrone-nero chiazzato e a volte fino al nero. Questo processo puòsvolgersi lentamente, in un arco di tempo di anni.

3.1.2 Il melanoma nodulare

Il melanoma nodulare si presenta come un nodulo dai bordi nettamente delineati, spesso lucido conuna sottile base infiltrante. Il colore, generalmente scuro e più uniforme rispetto al melanoma adiffusione superficiale, può variare dal nero fino all’assenza di pigmentazione. Queste lesioni sonocaratterizzate da una fase di crescita verticale piuttosto rapida. Rispetto al melanoma a diffusionesuperficiale, il melanoma nodulare é più comune negli uomini, insorge più spesso sul tronco e nellearee della testa e del collo, cresce più spesso ex novo, è biologicamente più aggressivo, soprattuttoquando è peduncolato o polipoide.

3.1.3 Melanoma tipo lentigo maligna

Il melanoma tipo lentigo maligna si sviluppa nel 5% delle lesioni di lentigo maligna (melanosi

Page 12: Il Melanoma

premaligna di Dubreuilh o lentigo maligna di Hutchinson). Si tratta di una lesione tipicamente sita inaree esposte ai raggi solari, come il volto e gli avambracci negli individui più anziani. Si stima chequesto tipo di melanoma comprenda il 15% di tutti i melanomi di testa e collo. Inizialmente apparecome una efelide solare dai bordi irregolari (Clark 1969b). Successivamente, il colore diventa piùscuro, variegato nei toni del marrone-nero e la lesione si ingrandisce. Dopo una fase di crescitaorizzontale non-invasiva, che dura fino a 20 anni, può aver luogo una fase di crescita verticale, in cui lalesione si presenta come un nodulo pigmentato: il melanoma tipo lentigo maligna. Uno studio recenteha stimato in 2.2% il rischio di sviluppare, nell’intero arco della vita, un melanoma invasivo in pazientiaffetti da lentigo maligna, la cui che il rischio di sviluppare, durante l’intero arco della vita, un melanomainvasivo in pazienti affetti da lentigo maligna, la cui aspettativa di vita é di 11 anni. La percentuale salea 4.7% in pazienti con un’attesa di vita di 33 anni (Weinstock 1987). Ad oggi mancano studi di follow-up a lungo termine per pazienti con lentigo maligna.

3.1.4 Il melanoma acrale lentigginoso

Il melanoma acrale lentigginoso può essere riscontrato su zone glabre della cute delle zone acrali(palmo delle mani, piante dei piedi, letto ungueale). Il quadro clinico può variare a causa del fatto chein queste zone anatomiche la cute è molto spessa; ne deriva perciò un ritardo nella diagnosi (sia daparte del paziente, sia da parte del medico), fenomeno, questo, comune in questo tipo di lesioni. Ilmelanoma acrale lentigginoso insorge raramente in soggetti di razza bianca, mentre rappresenta il35% di tutti i tipi di melanoma che interessano la razza nera, quella ispanica e asiatica.

3.2 La strategia diagnostica

Un paziente che presenti lesioni sospette deve sottoporsi ad una visita medica, durante la qualedevono essere esaminati la cute e il tessuto sottocutaneo intorno alla lesione primaria e traquest’ultima e la stazione linfonodale regionale, al fine di individuare eventuali metastasi satelliti o intransit. La stazione linfonodale regionale deve essere valutata. L’intera superficie cutanea deve essereesaminata per evidenziare eventuali melanomi primitivi simultanei, che si sviluppano nell’1% dei casi.La visita medica deve essere eseguita da un medico professionista esperto o da un dermatologo(Whited 1997). La dermoscopia (o microscopia a epiluminiscenza) é una tecnica diagnostica peresaminare in vivo lesioni cutanee, ingrandite di 10-20 volte. Si tratta di un’apparecchiatura che utilizza:olio che, applicato sulla lesione rende il derma più trasparente; un obiettivo, che posto a direttocontatto con la lesione tramite l’olio potenzia l’esame in vivo delle strutture della giunzione dermo-epidermica; una sorgente di luce e una lente d’ingrandimento. Grazie a questo strumento, lospecialista è in grado di indagare strutture non visibili ad occhio nudo. Questa tecnica diagnostica émolto efficace per la discriminazione di lesioni benigne verso lesioni maligne. E’ stato inoltre stimatoche l’impiego del dermoscopio aumenta di circa il 20% l’accuratezza della diagnosi delle lesioni piùpiccole, clinicamente borderline. Più recentemente, sono stati studiati sistemi digitali di diagnostica perimmagini, con e senza epiluminiscenza, al fine di stabilire se, e in che misura, tali dispositivi siano ingrado di potenziare e/o automatizzare le procedure diagnostiche (Kenet 1993; Rajadhyaksha 1995).Tuttavia, la dermoscopia é raccomandata soltanto se effettuata da uno specialista. La biopsiaescissionale é l’opzione standard con un livello di evidenza di tipo C. E’ da considerarsi una proceduradiagnostica appropriata per indagare lesioni sospette, a patto che ci siano tutti i presupposti di naturaanatomica, funzionale ed anche estetica (NIH 1992). La punch biopsy, la biopsia incisionale o la shavebiopsy, l’enucleazione, seguite o meno da elettrocoagulazione o crioterapia, vanno invece scoraggiate.Solo l’esame dell’intera lesione può garantire un accertamento istologico corretto e affidabile. E’ inoltreimportante sottolineare che le procedure diagnostiche devono in ogni caso salvaguardare gli aspettifunzionali e quelli estetici. L’ago aspirato per la diagnosi citologica di una lesione primaria non èritenuta affidabilee non è, pertanto, raccomandata con un livello di evidenza di tipo C (NIH 1992).

3.3 La diagnosi patologica

Page 13: Il Melanoma

3.3.1 La biopsia

La biopsia escissionale é l’opzione standard con un livello di evidenza di tipo C; è da considerarsi unaprocedura diagnostica appropriata per indagare lesioni sospette, a patto che ci siano tutti i presuppostidi natura anatomica, funzionale ed anche estetica (NIH 1992). La punch biopsy, la biopsia incisionale ola shave biopsy, l’enucleazione, seguite o meno da elettrocoagulazione o crioterapia, vanno invecescoraggiate. Solo l’esame dell’intera lesione può garantire un accertamento istologico corretto eaffidabile. E’ inoltre importante sottolineare che le procedure diagnostiche devono in ogni casosalvaguardare gli aspetti funzionali e quelli estetici. L’ago aspirato per la diagnosi citologica di unalesione primaria non è ritenuta affidabilee non è, pertanto, raccomandata con un livello di evidenza ditipo C (NIH 1992). Un’accurata misurazione dello spessore del melanoma, attualmente il piùimportante parametro prognostico, è garantita soltanto se l’intera lesione viene escissa. Campioniparziali rischiano di risultare poco rappresentativi. Inoltre, la microstadiazione può esserecompromessa dal rischio di intrappolamento tangenziale del campione. Anche prescindendo dallamicrostadiazione di Breslow in base allo spessore del tumore, una biopsia parziale potrebbe inficiarel’indagine di altri parametri istologici, quali il tipo istogenetico del melanoma, la presenza o assenza diulcerazione e il livello di invasione secondo la classificazione di Clark. L’esame di campioni allestitiall’oncotomo congelatore non é attendibile (Nield 1988) ed è da ritenersi, pertanto, non raccomandatocon un livello di evidenza di tipo C.

3.3.2 Il margine per l’escissione diagnostica

Il margine raccomandato in una escissione diagnostica é una distanza di 2 mm dal bordo della lesionee nel tessuto sottocutaneo. Proseguire oltre I margini dell’escissione non é auspicabile, poiché laddovel’escissione non fosse radicale, potrebbe rendersi necessaria una successiva escissione più ampia.L’orientamento della ferita bioptica dovrebbe essere pianificata sulla base dell’incisione definitiva.L’anestesia locale direttamente nella zona perilesionale è sconsigliata, a favore di un’anestesia in unazona più distante (“anestesia regionale”). L’anestesia locale direttamente sull’area perilesionale non èindicata.

3.3.3 La biopsia diagnostica incisionale

Nei casi in cui non é possibile effettuare una biopsia escissionale, ad esempio quando si tratta dilesioni molto estese e/o site in sedi anatomiche i cui un’escissione potrebbe sfiguare il paziente orisultare mutilante (specie nella regione del capo e del collo), deve essere effettuata una biopsiadiagnostica incisionale. In questi casi é consigliabile prelevare un campione rappresentativo nella zonasospetta della lesione. Se, successivamente, l’esame conferma che si tratta effettivamente di unmelanoma, l’intera lesione deve essere asportata con un intervento di radicalizzazione, per poterprocedere ad un’appropiata microstadiazione utile per la prognosi (Nield 1988). I vantaggi della biopsiaescissionale sono evidenti. In primo luogo, soltanto una biopsia escissionale permette, in datecircostanze, di addivenire ad una corretta diagnosi che risponda al quesito: si tratta effettivamente diun melanoma? L’esame istopatologico di campioni bioptici di molte lesioni nevocitiche, allestiti con unabiopsia parziale, pone innumerevoli problemi diagnostici. Inoltre, molti tipi di melanoma conservanotracce istologiche di un nevo pre-esistente. Se la biopsia incisionale produce erroneamente solo uncampione prelevato dalla porzione di nevo pre-esistente, verrà formulata una diagnosi errata. Insecondo luogo, solo la biopsia escissionale è in grado di garantire una corretta microstadiazione e unacorretta prognosi.

4. STADIAZIONE

4.1 Classificazione della stadiazione

Page 14: Il Melanoma

4.1.1 Il sistema di stadiazione

In passato il sistema di stadiazione utilizzato per il melanoma consisteva in un semplice schema, checlassificava i pazienti dividendoli in tre categorie: Lo stadio I corrispondeva alla malattia localizzata, lostadio II alle metastasi regionali; lo stadio III alle metastasi a distanza. Tuttavia, dal momento chel’80% dei pazienti a cui attualmente viene diagnosticato un melanoma presentano uno stadio I,l’American Joint Committee on Cancer (AJCC) e l’ Union Internationale Centre le Cancer (UICC)hanno messo a punto una nuova classificazione in 4 stadi, che divide in pazienti più equamente (UICC1997). Recentemente tale classificazione é stata ulteriormente modificata ulteriormente ed é statapubblicata nella nuova edizione del manuale dell’AJCC per la classificazione dei tumori (Balch 2001a ;UICC 2002). La nuova classificazione contempla anche lo spessore e l’ulcerazione della malattia,classifica il tumore primitivo (T), il numero di linfonodi interessati da metastasi; distingue tra metastasilinfonodali occulte versus palpabili; classifica le metastasi linfonodali regionali (N), il sito dellemetastasi a distanza e include la presenza di un elevato siero LDH nella classificazione dellemetastasi (M).

4.1.2 Il nuovo sistema di stadiazione (Balch 2001a)*

Nuovo sistema di stadiazione

Tumore primitivo (T)

T1 Tumore minore o uguale a 1.0 mm in spessore A: Senza ulcerazione elivello diClark II /IIIB: Con ulcerazione o livello diCark IV / V

T2 Tumore 1.01-2.0 mm in spessore A: Senza ulcerazioneB: Con ulcerazione

T3 Tumore 2.01-4.00 mm in spessore A: Con ulcerazioneB: Senza ulcerazione

T4 Tumore >4.00 mm in spessore A: Senza ulcerazioneB: Con ulcerazione

Linfonodi regionali (N)

N1 1 linfonodo A: MicrometastasiB: Macrometastasi

N2 2-3 linfonodi A: MicrometastasiB: MacrometastasiC: metastasi in-transit/satellite(s)senzalinfonodi metastatici

N3 4 o più linfonodi oppure linfonodi regionali metastaticiconglobatio metastasi satellite(i) o in-transit con metastasi neilinfonodi regionali

Metastasi a distanza

M1a Metastasi a distanza cutanee, sottocutanee o linfonodali LDH = Normale

Page 15: Il Melanoma

M1b Metastasi polmonari LDH = Normale

M1c Metastasi visceraliQualsiasi metastasi a distanza

LDH = Elevata

Stadi

Stadiazione Clinica Stadiazione Patologica

0 Tis N0 M0 Tis N0 M0

IA T1a N0 M0 T1a N0 M0

IB T1b N0 M0 T1b N0 M0

T2a N0 M0 T2a N0 M0

IIA T2b N0 M0 T2b N0 M0

T3a N0 M0 T3a N0 M0

IIB T3b N0 M0 T3b N0 M0

T4a N0 M0 T4a N0 M0

IIC T4b N0 M0 T4b N0 M0

III Qualsiasi T N1 M0

N2

N3

IIIA T1-4a N1-2a M0

IIIB T1-4b N1-2a M0

T1-4a N1-2b M0

T1-4a/b N2c M0

IIIC T1-4b N1-2b M0

T1-4b N2b M0

Qualsiasi T N3 M0

IV Qualsiasi T, qualsiasi N, M1

4.1.3 Comparazione tra vecchio sistema di stadiazione (1997) e nuovo (2002)

Comparazione tra vecchio e nuovo sistema di stadiazione

FATTORE SISTEMA VECCHIO SISTEMA NUOVO COMMENTI

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Livello diinvasione

Fattore primario per lastadiazione di T

Utilizzato unicamenteper definire i melanomiT1

Correlazione significativa solo perlesioni più sottili

Spessore Secondo fattoreprognostico dellastadiazione di T, limitidi 0.75, 1.50, 4.0 mm

Fattore primario per lastadiazione di T; limitidi 1.0, 2.0, 4.0 mm

La correlazione del rischio dimetastasi è una variabile costante

Ulcerazione Non inclusa Inclusa come fattoresecondariodeterminante per lastadiazione di T e di N

Significa una lesione localmenteavanzata; fattore prognosticodominante per gli staging group I,II e III

Metastasisatellite

Nella categoria T Nella categoria N Raggruppate insieme allemetastasi in transit

Melanomispessi, > 4.0mm

Nello Stadio IIIA Nello Stadio IIC Stadio III definito come metastasiregionale

Dimensionidellemetastasilinfonodali

Fattore primario perdeterminare lastadiazione di N

Non utilizzato Nessuna evidenza di correlazioneprognostica significativa

Num. dimetastasilinfonodali

Non incluso Fattore primario perdeterminare lastadiazione di N

Limiti di 1 vs 2-3 vs ³ 4 linfonodimetastatici

Caricotumoralemetastatico

Non incluso Incluso come secondofattore per determinarela stadiazione di N

Carico delle metastasi linfonodaliclinicamente occulto(microscopico) vs. clinicamenteapprezzabile (macroscopico)

Metastasipolmonari

Raggruppate insiemea tutte le altremetastasi viscerali

Categoria separatacome M1b

Ha una prognosi un po’ migliorerispetto alle altre metastasiviscerali

StadiazioneClinica vsStadiazionePatologica

Non considerato permancanza dellatecnologia dellinfonodo sentinella

Il linfonodo sentinella éintegrato nelladefinizione dellastadiazione patologica

Ampia variabilità di risultato trastadiazione clinica e stadiazionepatologica

4.1.4 Il sistema M.D Anderson

Per confrontare I risultati ottenuti con la per fusione regionale isolata, viene utilizzato il sistema M.D.Anderson, con particolare attenzione sulla malattia loco-regionale recidivante.

Sistema M.D. Anderson

IA Tumore primitivo intatto

IB Tumore primitivo escisso

IIA* Recidiva locale a contatto con ferita/innesto cutaneo

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IIB* Metastasi satelliti Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4 /*Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:”Tabella normale”;mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes;mso-style-parent:”"; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:10.0pt; font-family:”Times New Roman”; mso-ansi-language:#0400; mso-fareast-language:#0400; mso-bidi-language:#0400;} =3 cm dall’innesto primitivo/cute

IIIA Metastasi Satelliti/in-transit > 3 cm dal tumore primitivo/innesto cutaneo

IIIB Metastasi linfonodali regionali

IIIAB Metastasi satelliti/in-transit con metastasi linfonodali regionali

IV Metastasi a distanza

* Il sistema distadiazione M.D.Anderson originaleé adottato secondoKlaase (Klaase1994), con lasuddivisione delloStadio II in StadioIIA e Stadio IIB.

4.2 Procedure di stadiazione

4.2.1 Esame fisico

Un paziente che presenti lesioni sospette deve sottoporsi ad una visita medica, durante la qualedevono essere esaminati la cute e il tessuto sottocutaneo intorno alla lesione primaria e traquest’ultima e la stazione linfonodale regionale, al fine di individuare eventuali metastasi satelliti o intransit. La stazione linfonodale regionale deve essere valutata. L’intera superficie cutanea deve essereesaminata per evidenziare eventuali melanomi primitivi simultanei, che si sviluppano nell’1% dei casi.

4.2.2 Esami radiografici e/o di laboratorio

In caso di lesioni superficiali, non sono necessarie indagini radiografiche e/o esami di laboratorio,nonostante spesso si prescrivano radiografie del torace, ultrasuoni e misurazione dell’LDH(latticodeidrogenasi). TC, RM o PET in fase pre-operatoria non sono affidabili per controllare eventualimetastasi linfonodali o metastasi a distanza e sono, pertanto, non raccomandate. L’ecografia deilinfonodi regionali, invece, costituisce l’esame più semplice e con un miglior rapporto costo-effetto.L’ago aspirato per una diagnosi citologica dei linfonodi sotto guida ecografica è da ritenersi laprocedura standard. La radioimmunoscintigrafia, come strategia diagnostica, é una procedura nonraccomandata.

4.2.3 La stadiazione patologica (microstadiazione)La stadiazione patologica é importante per determinare la prognosi e il trattamento. Esistono duemetodi di microstadiazione comunemente utilizzati in tutto il mondo. La microstadiazione di Clark(Clark 1969a) si basa sulla profondità dell’invasione cutanea del melanoma. I diversi livelli dipenetrazione del tumore sono suddivisi in:Livello I: melanoma in-situ, il tumore rimane al di sopra della lamina basale intatta;

Page 18: Il Melanoma

Livello II: il tumore invade il derma papillare;Livello III: il tumore giunge fino all’interfaccia tra derma papillare e reticolare, senza invaderloLivello IV: il tumore invade il derma reticolare;Livello V: il tumore invade il grasso sottocutaneo.Il sistema di microstadiazione di Breslow (Breslow 1970) misura lo spessore massimo verticale deltumore, utilizzando un micrometro oculare. Il metodo di microstadiazione di Breslow misura l’effettivospessore del tumore, utilizzando un micrometro oculare (Breslow 1970). Questa misurazione richiededa parte del chirurgo e dell’anatomopatologo una serie di precauzioni riguardanti l’escissione,essenzialmente il trattamento del campione, e l’escissione e il taglio delle sezioni rappresentative.

4.2.4 La biopsia del linfonodo sentinella

Un importante traguardo raggiunto nell’ultimo decennio nel campo della diagnosi precoce e deltrattamento delle metastasi linfonodali occulte è rappresentato dalla biopsia intra-operatoria dellinfonodo sentinella, la prima stazione di drenaggio linfonodale del melanoma primitivo. Questilinfonodi possono essere identificati tramite una linfoscintigrafia preoperatoria e, nella fase intra-operatoria, tramite un colorante vivo o un radiocolloide marcato con isotopi e rilevato successivamenteda un’apposita sonda manuale. Il radiocolloide e il colorante tracciante vengono somministrati coniniezione intradermica intorno alla sede del melanoma primitivo, se ancora presente, o in sedepericicatriziale, in caso di escissione pregressa. Per le lesioni di spessore maggiore di 1 mm, lapresenza di metastasi nel linfonodo sentinella viene riscontrata nel 20% dei casi. Questi pazientidevono essere sottoposti a successiva dissezione linfonodale. Se effettuate da mani esperte, lamappatura linfatica e la biopsia del linfonodo sentinella garantiscono un’alta affidabilità; tuttavia, sitratta ancora di un approccio in fase sperimentale, poiché la valenza biologica dei linfonodi sentinellacoinvolti non è nota. Ciononostante, non c’é omogeneità nel gruppo di pazienti con linfonodi sentinellapositivi (Cascinelli 2002). La biopsia del linfonodo sentinella è diventata una procedura molto diffusa eormai raccomandata con un livello di evidenza di tipo C, data la sua rilevanza nell’assegnare i pazientiad un meglio definito gruppo di rischio (Balch 2001b). E’in atto uno studio per determinare se lamappatura linfatica e la biopsia del linfonodo sentinella migliorino il controllo regionale della malattia ela sopravvivenza. Lo stato del linfonodo sentinella risulta essere il fattore prognostico principale per ipazienti con stadio clinico di malattia I e II ed è un importante criterio per la selezionenell’arruolamento di pazienti in studi randomizzati relativi a trattamenti adiuvanti (Edwards 1998;Jansen 2000; Morton 1992; Morton 1999; Nieweg 1997; Testori 1999).Un’analisi multivariata eseguita in un ampio studio su 472 pazienti, con un follow up mediano di 42mesi, ha dimostrato che la positività del linfonodo sentinella è un fattore indipendente dal grado diprofondità e dall’ulcerazione della lesione, ed ha un valore prognostico altamente predittivo nel decorsodi un melanoma (Kettlewell 2006). Uno studio condotto su 1108 pazienti con melanoma in stadio IB e IIsottoposti alla procedura di valutazione del linfonodo sentinella, con un periodo id follow up di circa 60mesi ha dimostrato che la prognosi di questi pazienti non è solamente secondaria e determinata dallostato del linfonodo sentinella: infatti lo stato dei linfonodi “non” sentinella risulta essere di primariaimportanza.

Si sono identificati quattro gruppi di pazienti: a) pazienti con linfonodo sentinella negativo e che nonsvilupperanno mai metastasi linfonodali regionali (a 5 anni un tasso di sopravvivenza del 92.6%), b)pazienti con linfonodo sentinella positivo con linfonodi non sentinella negativi (sopravvivenza a 5 anninell’82%), c) linfonodi sentinella positivi e presenza di malattia anche nei linfonodi non sentinellasottoposti a dissezione linfonodale (a 5 anni sopravvivenza del 41.7%), d) pazienti con linfonodosentinella negativo che sviluppano metastasi cliniche nella stessa sede (a 5 anni sopravvivenza del61.7%). Queste differenze di sopravvivenza risultano essere statisticamente significative. Gli autoriconcludono che la biopsia del linfonodo sentinella sia una procedura in 2 tempi che permette diidentificare quei pazienti da sottoporre a dissezione linfonodale completa, e questa procedura èessenziale per definire la prognosi di questi pazienti (Cascinelli 2006). Uno studio condotto su 1269pazienti con un melanoma con profondità intermedia (1.2-3.5 mm) sono stati randomizzati a ricevere

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un’ampia escissione del tumore primitivo e quindi sono stati posti sotto osservazione postoperatoriaper quei linfonodi regionali che verrebbero asportati con linfadenectomia nel caso di recidivalinfonodale, o ad ampia escissione locale e biopsia del linfonodo sentinella con linfadenectomiaimmediate nei casi di micrometastasi linfonodali; tra i due gruppi non si è avuta una differenza insopravvivenza globale, ma all’interno del gruppo di pazienti con metastasi linfonodali la sopravvivenzaa 5 anni è superiore in quei pazienti trattati subito con linfadenectomia locoregionale rispetto al gruppodi pazienti in cui la dissezione linfonodale è stata ritardata. (72.3±4.6% vs. 52.4±5.9%; hazard ratio peril rischio di morte di 0.51; 95% CI, 0.32 a 0.81; P = 0.004) (Morton 2006).Uno studio randomizzato pervalutare se una linfadenectomia eseguita in seguito al riscontro di linfonodo sentinella positivo sianecessaria per aumentare il controllo locale o la sopravvivenza è in corso. Si è eseguita unametanalisi su 22 studi in cui erano stati arruolati 4.019 pazienti che erano stati sottoposti a biopsia dellinfonodo sentinella in stadio clinico I o II, correlando la presenza della PCR di cellule da melanoma neilinfonodi sentinella con la stadiazione TNM, il tasso di recidiva e la sopravvivenza; dai dati analizzatisembra che lo stato della PCR si correli sia al TNM (stadio I o II vs III; PCR positiva; 95.1% vs46.6%;p<.0001) che alla recidiva di malattia (PCR positiva vs PCR negativa; rischio di recidiva, 16.8 %vs 8.7 %;p<.0001). La positività della PCR è anche associata ad una prognosi peggiore (hazard ratio[HR], 5.08; 95% CI, 1.83 to 14.08; P < .002) e ad un inferiore tempo libero da malattia (HR, 3.41; 95%CI, 1.86 to 6.24; P < .0001)(Mocellin 2007). Poiché vi è una eterogeneità statistica rilevante, occorrononuovi e più forti riscontri in grado di supportare queste supposizioni.

5. PROGNOSI

5.1 Considerazioni generali

5.1.0 Sesso

Il sesso maschile è associato ad una maggior incidenza di tumore primario sfavorevole senza però unaumentato rischio di metastasi linfonodali. Tuttavia , il sesso è un fattore indipendente.5.1.1 La storianaturale

Il corso clinico del melanoma è determinata dalla sua disseminazione e dipende dal tipo, dallospessore, dalla localizzazione, dalla modalità di crescita e dall’istologia del tumore primitivo.Localmente il melanoma cresce maggiormente in diametro e soprattutto in spessore, dando origine alesioni ulceranti. La modalità di disseminazione non è prevedibile: può avere periodi di rapida crescita,così come sono anche possibili regressioni spontanee. La diffusione regionale locale consiste inmetastasi satelliti e in-transit con metastasi linfonodali.

5.1.2 Le metastasi satelliti e in-transit

Le metastasi satelliti e in-transit sono tipiche del melanoma e si sviluppano tra la sede del melanomaprimitivo e i linfonodi regionali nei vasi linfatici della cute e del tessuto sottocutaneo. Possono esseremolto numerose e a volte restare a lungo confinate nella stessa regione. Le metastasi entro 3 cm daltumore primitivo sono denominate “satelliti”. Le metastasi satelliti e in-transit vengono riscontrate,rispettivamente, nel 2% e nel 3% dei pazienti e raramente hanno spessore minore di 2 mm. Ad essepuò essere imputata la tendenza dei melanomi più spessi a recidivare localmente. Nella sesta edizionedel “Cancer Staging Manual” della AJCC, le metastasi satelliti intorno ad un melanoma primitivo e lemetastasi in-transit sono state ricondotte ad un’unica entità e raggruppate nello stadio III (Balch 2001a;UICC 2002).

5.1.3 Le metastasi linfonodali

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Le metastasi linfonodali sono riscontrate nel 20% dei pazienti affetti da melanoma, e spessoprecedono le metastasi per via ematica. Nel 5% dei casi linfonodi metastatici sono riscontrabili almomento della diagnosi iniziale. Le metastasi linfonodali sono, per lo più, intracapsulari. La crescitaextra-capsulare e, soprattutto, la diffusione per via linfatica, sono fattori associati a una prognosisfavorevole.

5.1.4 Le metastasi a distanza

Contrariamente al modello usuale osservato nei tumori epiteliali (fegato e polmone), la disseminazionedelle metastasi per via ematica ha luogo con relativa frequenza in sede cerebrale, nel tratto intestinalee nelle aree cutanee e sottocutanee extraregionali. La diffusione sistemica del tumore avviene nel 20%dei pazienti ad un certo punto durante il corso della malattia. Le metastasi cerebrali ed epatichecostituiscono una frequente causa di morte. Le metastasi con sede primitiva ignota (generalmente neilinfonodi) sono riscontrate nel 2.6-5% dei pazienti con melanoma (Jonk 1990; Katz 2005).

5.2 Fattori prognostici

5.2.1 Fattori prognostici clinici

Al fine di convalidare il nuovo sistema di stadiazione secondo l’ AJCC, sono stati raccolti e analizzati idati di sopravvivenza relativi a 17.600 pazienti con melanoma (Balch 2001b). Lo stadio di malattia almomento della diagnosi rimane il fattore prognostico principale; la percentuale di sopravvivenzacomplessiva a 10 anni ammonta al 71% per i pazienti con stadio di malattia AJCC I e II e si attesta tra20% e 30% per i pazienti con stadio di malattia AJCC III (Balch 1992b). Altri fattori prognostici nellalesione primitiva sono: la presenza di ulcerazione, lo spessore del tumore, il livello di invasione, lasede primitiva (i melanomi delle estremità rispondono meglio delle lesioni assiali) e il sesso delpaziente (le donne sono favorite rispetto agli uomini). Per le lesioni con spessore minore di 1 mm, illivello di invasione sembra avere un valore prognostico maggiore rispetto all’ulcerazione, che invecerimane chiaramente il parametro predittivo per lesioni con spessore maggiore di 1.0 mm (Balch2001b). In un’ampia casistica (Balch 1992c) di pazienti con stadio di malattia I e II i fattori prognosticipiù rilevanti sono risultati essere: la presenza di ulcerazione, lo spessore della lesione, l’età delpaziente, la sede primitiva, il livello di invasione e il sesso del paziente. Tra questi fattori, l’ulcerazione,lo spessore e l’età, hanno significato prognostico anche per lo stadio III, in cui, tuttavia, il numero dinoduli metastatici e la massa tumorale sono i più importanti fattori predittivi della sopravvivenza (Balch1992c; Balch 2004).

5.2.2 Fattori prognostici istologici

Attualmente, lo spessore massimo del tumore, secondo la classificazione di Breslow, è ritenuto il piùimportante fattore predittivo. Diversi studi hanno dimostrato che lo spessore del tumore è un parametroprognostico più affidabile rispetto ai livelli di microstadiazione di Clark. Esiste una correlazionepiuttosto diretta tra spessore massimo del tumore e sopravvivenza. Il secondo parametro istologicoprognostico è la profondità di infiltrazione del tumore (microstadiazione di Clark). I livelli I e II dellamicrostadiazione di Clark sono associati ad una prognosi molto favorevole, mentre il livello V, in cui iltumore ha invaso il tessuto adiposo sottocutaneo, comporta una prognosi sfavorevole. Per le lesioniche rientrano nei gruppi intermedi (livello III e IV), la prognosi può variare sensibilmente e in questi casilo spessore della lesione secondo la microstadiazione di Breslow ha una valenza prognosticasuperiore rispetto al livello di infiltrazione. Recentemente (Balch 2001a) è stato provato che per lelesioni di spessore maggiore a 1 mm l’ulcerazione è il parametro prognostico principale, mentre i livelliIV e V della microstadiazione di Clark restano rilevanti soltanto per lesioni di spessore inferiore a 1mm. Anche il tipo istologico ha un’influenza sulla prognosi: in generale, il melanoma tipo lentigo

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maligna (LMM) è associato ad una prognosi più favorevole, mentre la prognosi peggiore è correlata alMelanoma Nodulare. Altre tipologie istologiche, quali il Melanoma desmoplastico e il MelanomaPolipoide , saranno trattate più avanti. Altri fattori prognostici istologici sono: il numero di mitosi, ilinfociti infiltranti il tumore (TIL), l’invasione vascolare, la presenza di micrometastasi e l’amelanosi.

5.3 I fattori prognostici nella malattia operabile

5.3.1 L’aspettativa di vita

Nei Paesi dell’Europa Occidentale, l’aspettativa di vita a cinque anni dopo un appropriato trattamentochirurgico del melanoma di stadio I e II, riguarda attualmente l’80% dei pazienti e ciò è dovuto allecrescenti diagnosi precoci rese possibili da un aumento di consapevolezza nella popolazione dipossibili implicazioni delle modificazioni in lesioni esistenti. Le percentuali di sopravvivenza a 10 annisono così riassumibili: 82-90% per i melanomi con spessore non superiore a 1 mm, 85-65% per imelanomi con spessore compreso tra 1 e 2 mm, 73-60% per i melanomi di spessore tra 2 e 4 mm, e60-40%% per i melanomi con spessore superiore a 4 mm, per i quali è determinante anche lapresenza o assenza di ulcerazione (Balch 2001b; Balch 2004). Una recidiva locale di malattia, lemetastasi satelliti o in-transit sono tutti fattori che riducono la percentuale di sopravvivenza a 5 anni acirca il 54-52%, mentre le metastasi linfonodali la riducono a circa il 67-24%, a seconda del grado diinteressamento linfonodale (microscopico o macroscopico), a seconda della presenza o assenza diulcerazione nella lesione primaria e della concomitante presenza di metastasi satelliti o in-transit, e delnumero di linfonodi metastatici (Cascinelli 1984; Coit 1991; Day 1981; Jonk 1990; Balch 2004).

5.4 I fattori prognostici di istotipi particolari

Il melanoma desmoplastico é una forma rara di melanoma, che può essere associato al lentigomaligna e insorge in zone del corpo esposte ai raggi solari, in particolare al volto (41% dei casi).Varianti del melanoma desmoplastico sono: il melanoma neurotrasformante, e il melanomaneurotropico. Questo tipo di melanoma é noto per la tendenza ad infiltrare la tonaca avventizia dei vasisanguigni, a diffondersi per invasione perineurale e per l’alta frequenza con la quale recidivalocalmente (intorno al 50%, con un range compreso tra 25% e 82%). E’ pertanto raccomandata con unlivello di evidenza di tipo C, un’escissione ampia con margine di 2 -3 cm, laddove possibile, seguita daun meticoloso esame microscopico dei margini del campione, al fine di evidenziare un’eventualeinvasione perineurale o perivascolare. Deve essere attuato uno stretto follow-up. Quando unmelanoma desmoplastico insorge sul volto può infiltrare, attraverso i nervi, il sistema nevoso centrale.In questi casi può rendersi necessaria una parziale rimozione dell’osso interessato (Bruijn 1992).

5.4.2 Il melanoma polipoide

Il melanoma polipoide é una variante del melanoma nodulare, caratterizzata istologicamente da unaccumulo di cellule tumorali che coprono un vasto volume della superficie cutanea. L’aumento delvolume del tumore favorisce lo sfaldamento delle cellule del melanoma, che vengono trasportateattraverso i canali linfatici superficiali, determinando una prognosi sfavorevole (Plotnick 1990).

5.5 Gravidanza, contraccettivi orali, terapia ormonale sostitutiva e prognosi

Secondo I risultati di diversi studi comparativi lo stato di gravidanza non influisce sulla prognosi nelledonne con melanoma (O’Meara 2005), né nel caso in cui la donna sia già gravida al momento delladiagnosi, né nel caso in cui la gravidanza cominci dopo un trattamento apparentemente risolutivo(MacKie 1999). D’altra parte, in alcuni casi é stato riscontrato che lo spessore mediano di melanomidiagnosticati durante la gravidanza è maggiore rispetto allo spessore di melanomi riscontrati, nelle

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stesse sedi anatomiche, in donne non gravide. Tale risultato trova spiegazione nella convinzione che lagravidanza comporti modificazioni nella dimensione di nevi melanocitici o anche la formazione di nuovinevi, a cui sarebbero imputabili errori nella fase delle diagnosi precoce di melanoma. Nonostantemanchino ulteriori studi a supporto di questa tesi, in un suo lavoro (Pennoyer 1997) Pennoyer riportasolo un 6.2% di modificazioni relativamente alla distribuzione e alle dimensioni dei nevi, all’interno diuna ristretta casistica di donne in stato di gravidanza. E’ pertanto raccomandato con un livello dievidenza di tipo C, che l’indicazione ad intraprendere una gravidanza dopo un trattamento permelanoma maligno, sia basata sui criteri prognostici già noti, di cui lo spessore e lo stadio di malattiasono i più importanti (MacKie 1991; O’Meara 2005). Minima o nulla sembra essere, allo stato attuale,l’influenza di contraccettivi orali, anche assunti per lunghi periodi, sull’incidenza e gli esiti delmelanoma (Slingluff 1993a). Lo stesso vale per la terapia ormonale sostitutiva (Armstrong 1992)

5.6 Malattia localmente avanzata o metastatica

5.6.1 Malattia localmente avanzata

La percentuale relativa alla sopravvivenza a 5 anni in seguito a metastasi linfonodali regionali (malattialocalmente avanzata) si attesta tra il 20% e il 50% (Balch 1992b) La maggior parte dei pazienti conmalattia metastatica limitata alla cute, sottocute e ai linfonodi hanno una sopravvivenza di 12 mesi(Balch 2001b).

5.6.2 malattia metastatica

La sopravvivenza dall’insorgenza delle metastasi a distanza nei pazienti con melanoma risultageneralmente limitata: i pazienti con metastasi viscerali o con alti valori di LDH hanno unasopravvivenza mediana di 4-6 mesi (Balch 2001b). La sopravvivenza a 2 anni in seguito a metastasiviscerali a distanza è solo dell’1-2%. Tra i diversi tipi di metastasi ematogene, i casi con le percentualipiù alte di sopravvivenza riguardano generalmente le metastasi linfonodali, (sottocutanee ointradermiche) o i casi di metastasi polmonari. La differenza più evidente rimane quella tra metastasiviscerali e non viscerali (Balch 2001b). I pazienti con metastasi cerebrali e/o metastasi epaticheraramente sopravvivono oltre i 6-8 mesi. Un prolungamento di tale sopravvivenza può essere ottenuto,anche se in modo limitato, dai trattamenti chemio-immunoterapici o polichemioterapici. Il ricorso aopzioni terapeutiche particolarmente aggressive, quali la pneumonectomia, l’exeresi delle metastasi insede polmonare, cutanea e sub-cutanea, linfonodale o cerebrale, l’irradiazione panencefalica, laradioterapia “gamma knife”, la polichemioterapia e la chemio-immunoterapia, può portare ad unaumento significativo, anche se esiguo, del numero di pazienti lungosopravviventi. I fattori cheinfluenzano la risposta, legittimando il ricorso a tali opzioni terapeutiche, sono sostanzialmente basatisul performance status del paziente e sul carico tumorale, determinato dal numero di sedimetastatiche, dal numero e le dimensioni delle metastasi e la velocità della crescita tumorale (Presant1982).

6. TRATTAMENTO

6.1 La strategia terapeutica alla diagnosi clinica

6.1.1 Dati generali

La chirurgia costituisce l’opzione standard con un livello di evidenza di tipo C per il melanoma primitivolocalizzato. L’ampiezza dei margini di resezione varia, a seconda della profondità della lesione, fino adun massimo di 2 cm per lesioni, la cui profondità non supera i 2 mm. Le lesioni con spessore inferiorea 2 mm possono essere escisse con un margine di 1 cm. La tendenza a mantenere margini di

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resezione più ristretti non viene applicata al melanoma desmoplastico, un tumore generalmentelocalizzato sul volto e caratterizzato da un’alta frequenza di recidiva locale. Anche il melanoma tipolentigo maligna richiede approcci terapeutici differenziati, a causa delle dimensioni spesso importantidella circostante componente pre-invasiva del lentigo maligna. La procedura standard con un livello dievidenza di tipo R consiste nell’escissione della parte invasiva della lesione con margini variabili aseconda dello spessore, assicurando così, laddove possibile, che la componente non-invasiva dellentigo maligna, venga completamente asportata. Queste lesioni possono essere ben controllate conun’irradiazione con raggi x a bassa energia o con un ortovoltaggio a 30-250 Key, utilizzando alte dosiper ogni frazionamento (Farshad 2002). L’impiego della radioterapia rimane, tuttavia, sperimentale. Neipazienti con linfonodi clinicamente negativi, l’indicazione ad una linfadenectomia elettiva è tuttoracontroversa e tale procedura è, pertanto, da ritenersi non raccomandata con un livello di evidenza 1(Balch 2000; Balch 1988). Tale controversia può essere risolta con la biopsia del linfonodo sentinella,un approccio sperimentale molto promettente (Balch 1999a; Cascinelli 1998). Non c’é, invece,nessuna evidenza sul possibile beneficio di una chemioterapia adiuvante. L’impiego post-chirurgicodell’Interferone a (IFN-a) ha dato risultati controversi, a seconda dello stadio della malattia, della dosesomministrata e del gruppo di pazienti selezionati. L’uso dell’Interferone alfa é, pertanto, inappropriatocon un livello di evidenza 1 per pazienti con stadio II di malattia (Creagan 1995; Grob 1998 ; Kirkwood1996; Pehamberger 1998) e può, invece, essere considerato appropriato per uso clinicoindividualizzato con un livello di evidenza 2 esclusivamente per pazienti con stadio III di malattia.

L’unico esito positivo è stato riscontrato con l’impiego di alte dosi di IFN-a (20 MU/m2 e.v. al giorno x 5giorni a settimana x 4 settimane, seguito da 10 MU/m2 3 volte a settimana per 48 settimane, in ungruppo selezionato di pazienti, e con esiti tossici significativi (Kirkwood 2000; Kirkwood 2001; Kirkwood1996; Ravaud 1999), anche se dati recenti riportano un beneficio sulla sopravvivenza con l’utilizzo dialte dosi di IFN-a. D’altro canto, la revisione sistematica degli studi clinici con IFN adiuvante (Lens eDawes) e una metanalisi di tutti gli studi clinici con IFN adiuvante, hanno dimostrato un importanteimpatto sulla sopravvivenza libera da malattia ma non un impatto altrettanto significativo sullasopravvivenza, oltre a non aver fornito indicazioni sul rapporto dose-effetti (Wheatlet 2003). L’analisidei dati estrapolati dagli studi clinici con alte dosi di IFN ha, inoltre, dimostrato un consistente impattosull’intervallo libero da malattia ma, ancora una volta, non è stato evidenziato alcun impattosignificativo sulla sopravvivenza globale (Kirkwood 2004). La biopsia del linfonodo sentinella é unimportante criterio di selezione per l’inclusione di pazienti in studi sul trattamento adiuvante. A tal finedovrebbero essere eleggibili soltanto i pazienti con stadio III di malattia, compresi quelli con stadio I eII “sovra-stadiati” dalla biopsia del linfonodo sentinella. La chemioterapia sistemica costituisce l’opzioneterapeutica standard con un livello di evidenza di tipo R, in caso di malattia metastatica inoperabile, main tale ambito nessun regime chemioterapico può definirsi standard. La radioterapia (RT) rappresentaun efficace trattamento palliativo per lesioni cerebrali e ossee, come pure per linfonodi metastatici ecompressione midollare (Cooper 1998; Ewend 1996; Geara 1996; Perchel 1994; Sause 1991). Il ruolodella radioterapia come trattamento adiuvante, dopo una linfadenectomia terapeutica e dopo unametastasectomia cerebrale, è considerato appropriato per uso clinico individualizzato in pazientiselezionati, con un livello di evidenza 3 (Ang 1994; Cooper 1998; Creagan 1978; Elsmann 1991;Ewend 1996; Geara 1996; Hansson 1993; Storper 1993; Ballo 2003).

6.2 Melanoma in situ o non invasivo

6.2.1 Strategia teraputica generalePer il melanoma in situ o non invasivo, l’escissione terapeutica con un margine addizionale di 0.5 cmcostituisce il trattamento standard con un livello di evidenza di tipo C, poiché queste forme tumorali, adispetto del fatto che non danno esiti metastatici, possono recidivare localmente, grazie alla loromodalità di crescita orizzontale.

6.2.2 L’escissione terapeutica

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L’escissione lungo la fascia muscolare viene solitamente eseguita perpendicolarmente alla superficie(Kenady 1982). Lasciare intatta la fascia costituisce una procedura standard con un livello di evidenzadi tipo C. Laddove possibile, la cicatrizzazione per prima intenzione costituisce l’opzione standard conun llivello di evidenza di tipo C. Le escissioni terapeutiche, così come le escissioni diagnostiche,possono essere effettuate anche in regime ambulatoriale, senza ricovero.

6.3 Il trattamento nello stadio I (AJCC) di malattia (IA: pT1a, N0, M0; IB: pT1b, T2a,N0, M0)

6.3.1 Strategia terapeutica generale

La chirurgia costituisce l’opzione terapeutica standard con un livello di evidenza di tipo C per iltrattamento del melanoma localizzato. Nei pazienti con linfonodi clinicamente negativi, l’indicazione aduna linfadenectomia elettiva è tuttora controversa e tale procedura è, pertanto, da ritenersi nonraccomandata con un livello di evidenza 1 (Balch 2000; Balch 1988). La biopsia del linfonodosentinella costituisce un’opzione sperimentale promettente che con ogni probabilità costituirà in futurola soluzione a tale controversia (Balch 1999a; Cascinelli 1998).

6.3.2 L’escissione terapeutica del melanoma primitivo

Attualmente si registra una tendenza sempre maggiore a restringere i margini di resezionenell’escissione del melanoma primitivo. I risultati, recentemente pubblicati, relativi a studi prospetticirandomizzati, confermano che un margine di 1 cm è da considerare come l’opzione standard con unlivello di evidenza 1 per melanomi, il cui spessore non superi i 2 mm (Veronesi 1988). Tale tendenzanon é applicabile al melanoma desmoplastico, un tumore generalmente localizzato sul volto e noto perla frequenza con la quale recidiva localmente. Anche il melanoma tipo lentigo maligna richiedeapprocci terapeutici differenziati, a causa delle dimensioni spesso importanti della circostantecomponente pre-invasiva del lentigo maligna. La procedura standard con un livello di evidenza di tipoR consiste nell’escissione della parte invasiva della lesione con margini variabili a seconda dellospessore, assicurando così, laddove possibile, che la componente non-invasiva del lentigo maligna,venga completamente asportata. Queste lesioni possono essere ben controllate dalla radioterapia, conraggi x morbidi o un ortovoltaggio a 30-250 Key, utilizzando frazionamenti ad alte dosi, nonostante laradioterapia debbae essere considerata sperimentale e applicabile soltanto nei casi in cui la lesionerisulti in operabile o il paziente rifiuti l’intervento chirurgico (Cooper 1998). L’escissione terapeuticaprevede margini adeguati di cute normale, in base allo spessore secondo la microstadiazione diBreslow, di 1 o 2 cm dal margine visibile del melanoma primitivo o dalla zona cicatriziale, in caso dibiopsia pregressa. L’escissione lungo la fascia muscolare viene solitamente eseguitaperpendicolarmente alla superficie (Kenady 1982) Lasciare intatta la fascia costituisce una procedurastandard con un livello di evidenza di tipo C, salvo nel caso in cui ci sia solo un sottile strato adipososottocutaneo, soprattutto di fronte ad un melanoma spesso o qualora sia inopportuno eseguire unaseconda escissione (ad esempio, quando la biopsia non sia stata radicale). Laddove possibile, lacicatrizzazione per prima intenzione é l’opzione standard. Sottominare i bordi cutanei é una possibilitàallettante per facilitare ciò, ed é una procedura permessa, poiché non c’è alcuna evidenza che possaviolare i principi oncologici. Nei rari casi in cui la cicatrizzazione per prima intenzione non sia possibile,si può ricorrere ad un lembo cutaneo locale, oppure a un innesto cutaneo. Per quest’ultimo, si tende aprediligere un sito donatore lontano dalla regione interessata dalla lesione. Le escissioni terapeutiche,così come le escissioni diagnostiche, possono essere effettuate anche in regime ambulatoriale, senzaricovero. L’ospedalizzazione é giustificata nei casi in cui si preveda la necessità di ricorrere ad uninnesto cutaneo o ad un lembo cutaneo locale per richiudere la ferita. I melanomi primitivi localizzati insedi particolari, quali il distretto cervico-facciale, le dita delle mani e dei piedi o, ancora, i melanomidelle mucose, richiedono trattamenti differenti.

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6.3.3 La linfadenectomia elettiva (ELND)

La linfadenectomia elettiva consiste nell’asportazione di localizzazioni linfonodali nella stazione didrenaggio linfonodale del tumore in assenza di linfonodi clinicamente sospetti. Sulla sede in cuieffettuare la linfadenectomia elettiva in pazienti con melanomi di spessore compreso tra 1 e 4 mm si èdibattuto per anni, ma studi recenti hanno indicato che per questo sottogruppo di pazienti lecomplicanze sono superiori al possibile beneficio in termini di sopravvivenza. Secondo uno studioretrospettivo, effettuato su 4682 pazienti, in melanomi con spessore minore di 0.76 mm o compreso tra0.76 mm e 1.5 mm (microstadiazione di Breslow), i linfonodi regionali e la stazione linfonodale sonorisultati positivi, rispettivamente, nello 0% e nel 5% dei casi (Slingluff 1994). Nessun dato significativosul vantaggio in termini di sopravvivenza è stato riportato negli studi randomizzati effettuati (Balch2000; Lens 2002; Sim 1986; Veronesi 1982) e i risultati degli studi retrospettivi rimangonocontraddittori. Uno di questi studi retrospettivi, tuttavia, ha rilevato un effettivo beneficio della ELND neipazienti con melanomi non-ulcerati degli arti inferiori, di spessore compreso tra 1 e 2 mm (Balch 2000).Dal momento che l’analisi di un sottogruppo di pazienti non è, in via di principio, consideratastatisticamente valida, l’opzione terapeutica standard con un livello di evidenza 2 è quella di noneseguire la linfadenectomia elettiva. In caso si decida per l’opzione “wait and see” un attentoprogramma di follow-up é raccomandato con un livello di evidenza di tipo R (Berwick 1996) al fine diindividuare precocemente eventuali linfonodi metastatici. Questo aspetto va ribadito, poiché che lemetastasi del melanoma hanno a volte una crescita esplosiva. Oltre a sottoporsi alla regolari visitepreviste dal follow-up, il paziente va pertanto istruito ad eseguire un autoesame della stazionelinfonodale regionale con scadenza, per esempio, mensile.

6.3.4 La biopsia del linfonodo sentinella

Un importante traguardo raggiunto nell’ultimo decennio nel campo della diagnosi precoce e deltrattamento delle metastasi linfonodali occulte è rappresentato dalla sperimentale biopsia intra-operatoria del linfonodo sentinella, prima stazione di drenaggio linfonodale (Morton 1992). Questilinfonodi possono essere identificati tramite una linfoscintigrafia preoperatoria e, nella fase intra-operatoria, tramite un colorante vivo o un radiocolloide marcato con isotopi e rilevato successivamenteda un’apposita sonda manuale (Jansen 2000). Il radiocolloide e il colorante tracciante vengonosomministrati con iniezione intradermica intorno alla sede del melanoma primitivo, se ancora presente,o in sede pericicatriziale, in caso di escissione pregressa. Per le lesioni di spessore maggiore di 1 mm,la presenza di metastasi nel linfonodo sentinella viene riscontrata nel 20% dei casi. Questi pazientidevono essere sottoposti a successiva dissezione linfonodale. Se effettuate da mani esperte, lamappatura linfatica e la biopsia del linfonodo sentinella garantiscono un’alta affidabilità; tuttavia, sitratta ancora di un approccio in fase sperimentale, poiché la valenza biologica dei linfonodi sentinellacoinvolti non è nota. Uno studio randomizzato per determinare se la mappatura linfatica e la biopsiadel linfonodo sentinella possano incrementare il controllo locale e la sopravvivenza globale hadimostrato come questa procedura sia in grado di incrementare il tempo libero da recidiva, ma non lasopravvivenza globale (Morton 2006). E’ in atto uno studio randomizzato per determinare se lamappatura linfatica e la biopsia del linfonodo sentinella migliorino il controllo regionale della malattia ela sopravvivenza. Lo stato del linfonodo sentinella risulta essere il fattore prognostico principale per ipazienti con stadio clinico di malattia I e II ed è un importante criterio per la selezione perl’arruolamento di pazienti in studi randomizzati relativi a trattamenti adiuvanti (Balch 1999a; Edwards1998; Jansen 2000; Morton 1992; Morton 1999; Nieweg 1997; Testori 1999; Kettlewell 2006).

6.3.5 Il trattamento adiuvante post-chirurgico

Nessuna evidenza indica, attualmente, che la chemioterapia sistemica, l’immunoterapia o laradioterapia, abbiano un ruolo nel trattamento adiuvante nello stadio I del melanoma (Nathan 1995).

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Questo tipo di approccio terapeutico non è, pertanto raccomandato. I pazienti con stadio clinico I,successivamente “sovrastadiati” dalla biopsia del linfonodo sentinella allo stadio III sono candidati adentrare in studi relativi a trattamenti adiuvanti con IFN, vaccini, etc. Il ruolo della radioterapia dopolinfadenectomia è attualmente in stato di rivalutazione. Essa può essere impiegata come trattamentoappropriato per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza di tipo R, con l’intento dimassimizzare il controllo locale quando, pur in presenza di un residuo di malattia in situ, microscopicoo macroscopico, un secondo intervento sia reso impossibile dal rischio di morbidità, per ragioni clinicheo a causa degli effetti sfiguranti (Bastiaannet 2005).

6.4 Stage II (AJCC) disease (IIA: pT2b, T3a, N0, M0; IIB: pT3b, T4a, N0, M0; IIC:T4b, N0, M0)

6.4.1 Strategia terapeutica generale

La chirurgia costituisce l’opzione terapeutica standard nel trattamento del melanoma primitivolocalizzato. Per le lesioni di spessore compreso tra 2 e 4 mm, un margine di 2 cm è ritenuto standardcon un livello di evidenza 1 (Balch 1993). Riguardo ai margini di resezione per il melanomadesmoplastico e il melanoma tipo lentigo maligna si vedano anche le sezioni 5.4.1 e 6.3.2. Nei pazienticon linfonodi clinicamente negativi, l’indicazione ad una linfadenectomia elettiva è tuttora controversa etale procedura è, pertanto, da ritenersi non raccomandata con un livello di evidenza 1 (Balch 2000;Balch 1988). La biopsia del linfonodo sentinella, promettente approccio sperimentale, potrebbedirimere tale controversia. Non esiste, invece, alcuna evidenza dei possibili benefici di unachemioterapia adiuvante o di una radioterapia post-operatoria della stazione di drenaggio linfatico.Quest’ultima è risultata molto efficace nel trattamento dei melanomi del distretto cervico-facciale o aifini di un miglior controllo loco-regionale (Bastiaannet 2005) e deve essere considerata un’opzioneappropriata per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza di tipo R. Soltanto due studirandomizzati hanno confermato l’efficacia dell’interferone- a nell’aumentare l’intervallo libero damalattia e del tasso di sopravvivenza nei pazienti con malattia di stadio IIIC (Kirkwood 1996; Kirkwood2001), nonostante altri 4 studi randomizzati abbiano riportato un vantaggio in termini solo di intervallolibero di malattia (Creagan 1995; Grob 1998; Kirkwood 1996; Pehamberger 1998). L’efficaciadell’interferone-a, riportata dallo Studio dell’ECOG 1964 (Eastern Cooperative Oncology Group) sultrattamento ad alte dosi, non è stata, tuttavia, riprodotta nel successivo studio di Intergruppo (Kirkwood2000). Pertanto, il trattamento adiuvante con IFN-a nello stadio II del melanoma, deve essereconsiderato non raccomandato con un livello di evidenza 1. I pazienti in stadio II, che sono statisovrastadiati a stadio III con biopsia del linfonodo sentinella, sono eleggibili per l’arruolamento in studirandomizzati relativi a trattamenti adiuvanti con INF, vaccini ecc.

6.4.2 L’escissione terapeutica del melanoma primitivo

Per melanomi di spessore compreso tra 2 e 4 mm, un margine di resezione di 2 cm è considerato iltrattamento standard con un livello di evidenza 1 (Balch 1993). Non esistono dati di studi randomizzatirelativi a pazienti con melanomi di spessore superiore a 4 mm. Tuttavia, essendo altamente probabile,in questi casi, la presenza di micrometastasi, l’ampiezza dei margini di resezione locale è menorilevante. Anche per questi pazienti, pertanto, un’escissione con margine di 2 cm può essereconsiderata una procedura adeguata. Tale ipotesi é stata recentemente confermata da uno studioretrospettivo (Heaton 1998). Per i margini di resezione nel melanoma desmoplastico e nel melanomatipo lentigo maligna si vedano le sezioni 5.4.1 e 6.3.2. I melanomi primitivi localizzati in sedi particolari,quali il distretto cervico-facciale, le dita delle mani e dei piedi o, ancora, i melanomi delle mucose,richiedono trattamenti differenti. L’escissione terapeutica prevede margini adeguati di cute normale, inbase allo spessore secondo la microstadiazione di Breslow, di 1 o 2 cm dal margine visibile delmelanoma primitivo o dalla zona cicatriziale, in caso di biopsia pregressa (vedi anche sezione 6.3.2

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per ulteriori dettagli).

6.4.3 La linfadenectomia elettiva (ELND)

La linfadenectomia elettiva consiste nell’asportazione di localizzazioni linfonodali nella stazione didrenaggio linfonodale del tumore in assenza di linfonodi clinicamente sospetti. Sulla sede in cuieffettuare la linfadenectomia elettiva in pazienti con melanomi di spessore compreso tra 1 e 4 mm si èdibattuto per anni, ma studi recenti hanno indicato che per questo sottogruppo di pazienti lecomplicanze sono superiori al possibile beneficio in termini di sopravvivenza. Secondo uno studioretrospettivo, in melanomi con spessore compreso tra 1.5 mm e 2.5 mm, tra 2.5 mm e 4 mm, e conspessore maggiore di 4 mm (microstadiazione di Breslow), i linfonodi regionali sono risultati positivi,rispettivamente, nel 16%, nel 24% e 36% dei casi (Slingluff 1994). Nessun dato significativo sulvantaggio in termini di sopravvivenza è stato riportato negli studi randomizzati effettuati (Lens 2002;Sim 1986; Veronesi 1982) e i risultati degli studi retrospettivi rimangono contraddittori. Uno di questistudi retrospettivi, tuttavia, ha rilevato un effettivo beneficio della ELND nei pazienti con melanomi non-ulcerati degli arti inferiori, di spessore compreso tra 1 e 2 mm (Balch 2000). Un altro studio, condottodal Gruppo Melanoma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) su pazienti con melanomalocalizzato sul tronco, ha dimostrato un beneficio in termini di sopravvivenza nei pazienti coninteressamento linfonodale sottoposti a ELND, rispetto a quelli che avevano subito unalinfadenectomia terapeutica ritardata (Cascinelli 1998). Dal momento che l’analisi di un sottogruppo dipazienti non è, in via di principio, considerata statisticamente valida, l’opzione terapeutica standard conun livello di evidenza 2 è quella di non eseguire la linfaedenectomia elettiva. In caso si decida perl’opzione “wait and see” un attento programma di follow-up é raccomandato con un livello di evidenzadi tipo R (Berwick 1996) al fine di individuare precocemente eventuali linfonodi metastatici. Questoaspetto va ribadito, in quanto che le metastasi del melanoma hanno a volte una crescita esplosiva.Oltre a sottoporsi alla regolari visite previste dal follow-up, il paziente va pertanto istruito ad eseguireun autoesame della stazione linfonodale regionale con scadenza, per esempio, mensile.

6.4.4 La biopsia del linfonodo sentinella

Un importante traguardo raggiunto nell’ultimo decennio nel campo della diagnosi precoce e deltrattamento delle metastasi linfonodali occulte è rappresentato dalla biopsia intra-operatoriasperimentale del linfonodo sentinella, la prima stazione di drenaggio linfonodale (Morton 1992). Unostudio randomizzato per determinare se la mappatura linfatica è la biopsia linfonodale siano in grado dimigliorare il controllo locale del tumore e la sopravvivenza globale hanno dimostrato che questaprocedura incrementi la sopravvivenza libera da malattia ma non la sopravvivenza globale (Morton2006). E’ attualmente in corso uno studio randomizzato volto a stabilire se la mappatura linfatica e labiopsia del linfonodo sentinella migliorino il controllo regionale della malattia e la sopravvivenza. Lostato del linfonodo sentinella è risultato il fattore prognostico principale nei pazienti con stadio clinico II(Balch 1999a; Edwards 1998; Jansen 2000; Morton 1992; Morton 1999; Nieweg 1997; Testori 1999;Kettlewell 2006), e costituisce un importante criterio dper liinclusione in studi clinici nell’ambito dellaterapia adiuvante. Per le lesioni di spessore maggiore di 1 mm, la presenza di micrometastasi nellinfonodo sentinella viene riscontrata nel 20% dei casi. Questi pazienti devono essere sottoposti asuccessiva dissezione linfonodale. Se effettuate da mani esperte, la mappatura linfatica e la biopsiadel linfonodo sentinella garantiscono un’alta affidabilità; tuttavia, si tratta ancora di un approccio in fasesperimentale, poiché la valenza biologica dei linfonodi sentinella coinvolti non è nota. Una stadiazioneaccurata, attraverso CT del torace e addome é raccomandata con un livello di evidenza di tipo R inmodo particolare nei pazienti con stadio di malattia IIC, al fine di escludere la presenza di metastasi adistanza prima di procedere alla biopsia del linfonodo sentinella.

6.4.5 Perfusione profilattica di un arto

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Il trattamento adiuvante di perfusione regionale nel melanoma primario non è di alcun beneficio.Irisultati del grande trial EORTC/WHO su questo quesito sono risultati negativi, sia nell’impatto disopravvivenza globale, che sulla riduzione di recidive locali nell’arto trattato (Koops 1998).

6.4.6 Il trattamento adiuvante post-chirurgico

Nessuna evidenza indica, attualmente, che la chemioterapia sistemica costituisca un’opzioneterapeutica efficace nel trattamento adiuvante nello stadio II del melanoma. Il ruolo dell’Interferone-a èstato indagato nell’ambito di alcuni studi clinici randomizzati. Tra questi, l’unico ad aver riportato unvantaggio sulla sopravvivenza è stato uno studio condotto nel 1946 dall’ECOG sull’impiego di alte dosidi a-2b Interferone (Kirkwood 1996). I risultati di questo studio, tuttavia, non sono stati riprodotti nelsuccessivo studio dell’Intergruppo, che comparava alte dosi di IFN vs. basse dosi di IFN vs. gruppo dicontrollo (Kirkwood 2000). Inoltre, circa il 50% dei pazienti trattati con alte dosi di IFN ha riportatoimportanti effetti tossici. A ciò va aggiunto che si tratta di schemi chemioterapici più costosi (Kirkwood1996; Ravaud 1999). Soltanto due studi randomizzati hanno dimostrato che un trattamento adiuvantecon Interferone alpha aumenta l’intervallo libero da malattia e migliora la sopravvivenza nei pazienticon stadio IIC di malattia (Kirkwood 1996; Kirkwood 2001), nonostante altri quattro studi abbianoconfermato un vantaggio rispetto all’intervallo libero da malattia (Creagan 1995; Grob 1998; Kirkwood2000; Pehamberger 1998). Tuttavia, l’efficacia di IFN-alpha, riportata nello Studio ECOG 1964relativamente al trattamento ad alte dosi, non è stata riprodotta nel successivo Studio di Intergruppo(Kirkwood 2000).

In conclusione, nello stadio II del melanoma, il trattamento adiuvante con IFN-a, deve essereconsiderato inappropriato con un livello di evidenza 1. Per i pazienti con stadio IIC di malattia nonesiste alcuna evidenza a supporto dell’efficacia di un trattamento adiuvante con IFN a basse dosi, conun livello di evidenza 1, mentre un trattamento adiuvante con IFN ad alte dosi deve essere consideratoappropriato per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza 2. I pazienti con stadio clinico II,“sovrastadiati” dalla biopsia del linfonodo sentinella allo stadio III sono candidati ad entrare in studirelativi a trattamenti adiuvanti con IFN, vaccini, etc.

Una recente revisione di tutti gli studi randomizzati sul trattamento adiuvante con Interferone a (abasse, alte o medie dosi), ha concluso che, secondo gli studi dagli ultimi dati sull’intervallo libero damalattia e sulla sopravvivenza complessiva, non è evidente alcun beneficio dell’impiego di IFN-a abasse dosi, mentre alte dosi di IFN-alpha potrebbero avere vantaggi sull’intervallo libero da malattia,ma a costo di rilevanti effetti tossici sui pazienti (Punt 2001).. Una metanalisi di studi condotti con unfollow-up mediano di 2.1-12.6 anni ha dimostrato un miglioramento significativo, di circa il 10% a 5anni, in termini dell’intervallo libero da ripresa di malattia nei pazienti trattati con IFN-a ad alte dosi,senza, tuttavia, evidenziare chiari benefici in termini di sopravvivenza globale, rispetto ai pazientirandomizzati per osservazione o terapia con vaccino (Kirkwood 2004). La tossicità associata a IFN-alpha è alta (Kirkwood 2002) e, alla luce della mancanza di evidenza di un beneficio in termini disopravvivenza globale, tale terapia non può essere indicata come terapia adiuvante standard. Laperfusione regionale post-operatoria nel melanoma primitivo non presenta benefici. I risultati ottenutida un vasto studio EORTC/WHO sull’argomento, hanno dato esito negativo rispetto alla sopravvivenzacomplessiva, nonostante una riduzione della recidiva locale negli arti trattati (Koops 1998).L’autoimmunità clinica e sierologica sviluppata durante il trattamento con interferon ad alte dosi sembrasia correlata con un miglior tasso di sopravvivenza, ma poiché si riscontra solo dopo un anno ditrattamento, è uno strumento inutile per selezionare quei pazienti che possano beneficiare di questotrattamento (Gogas 2006). Il valore prognostico della presenza o della nascita di un sistema dianticorpi autoimmuni potrebbe non essere confermata come fattore prognostico indipendente nel trialEORTC 18952 che valuta l’utilizzo di IFN a dosi intermedie vs la sola osservazione in pazienti constadio IIB e III di melanoma (Eggermont 2005), non è stato valutato neppure nello studio dell’EORTC18991 l’utilizzo di una terapia adiuvante a lungo termine con IFNa2b peghilato (Eggermont 2008)come dimostrato da studi riportati da Bouwhuis and collaboratori al meeting della ASCO e del ECCO

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2007 (Bouwhuis 2007a; Bouwhuis 2007b).

6.4.7 La radioterapia

L’irradiazione post-operatoria di lesioni primarie profonde é considerata in fase sperimentale oappropriata per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza di tipo R (Cooper 1998; Geara1996; Storper 1993). Il ruolo dei trattamenti radioterapici post-operatori è attualmente al vaglio. Unaradioterapia post-operatoria può essere somministrata per massimizzare il controllo locale nelleseguenti situazioni:a) in presenza di un residuo si malattia in situ, microscopico o macroscopico, quando un secondointervento sia reso impossibile da un rischio troppo alto di morbilità, oppure qualora la chirurgia potesserisultare mutilante per il paziente (Garbe 2008);b) in lesioni localizzate nel distretto cervico-facciale, in cui c’ un alto rischio di recidiva a causa dellaprofondità dell’invasione, è indicato irradiare il campo chirurgico e/o l’area linfonodale regionale (Ang1994);c) Fattori associati ad un elevato rischio di recidiva del tumore primitivo, quali il sottotipodesmoplastico, margini microscopici positivi, malattia recidivante e lesioni primitive di spessoreimportante, con ulceraziioni o presenza di lesioni satelliti (Ballo 2004a).Nei casi di lesioni del capo e del collo, in cui il melanoma può essere considerato un’entità a sé, conuna propria evoluzione biologica, si può ricorrere ad un’irradiazione elettiva post-operatoria (Cooper1998; Geara 1996; Storper 1993). L’irradiazione elettiva è una possibile alternativa allalinfadenectomia elettiva e, in alcuni casi, anche alla biopsia del linfonodo sentinella (Bonnen 2004). Ingenerale, la radioterapia può essere considerata una procedura appropriata per uso clinicoindividualizzato con un livello di evidenza 3. A seconda dell’estensione della malattia, della sede e delrischio di effetti collaterali, possono essere impiegati diversi programmi di ipofrazionamento, quali, peresempio, 3 Gy x 18, 4.5 Gy x 10, 6 Gy x 5, 7-8 Gy x 3 (schemi di 0-7-21 giorni).

6.5 Il trattamento dello Stadio III (AJCC) di malattia (qualsiasi T, N 1-3, M0)

6.5.1 Strategia terapeutica generale

La chirurgia costituisce l’opzione terapeutica standard con un livello di evidenza di tipo C neltrattamento del melanoma primitivo avanzato. Per lesioni di spessore superiore a 2 mm, i margini diresezione devono essere più ampi, a seconda della profondità del melanoma, fino ad un massimo di 2cm (vedi sezioni 6.3.1 e 6.4.1). La linfadenectomia terapeutica costituisce il trattamento standard conun livello di evidenza di tipo C; l’asportazione di un unico linfonodo è ritenuta inappropriata. Non esiste,alcuna evidenza dei possibili benefici di una chemioterapia adiuvante per lo stadio III (Nathan 1995). Ilruolo dell’Interferone alpha (IFN-alpha) è stato indagato all’interno di pochi studi randomizzati(Cascinelli 2001; Nathanson 1996) e l’unico beneficio provato da tali studi è stato ottenuto con alte dosidi IFN-alpha (20 MU/m2/giorno iv x 5 giorni a settimana x 4 settimane, seguito da 10 MU/m2 3 voltealla settimana x 48 settimane) somministrate ad un sottogruppo di pazienti selezionati, che hannoriportato, però, importanti effetti tossici (Kirkwood 2000; Kirkwood 2001; Kirkwood 1996). Una recenterevisione di tutti gli studi randomizzati sul trattamento adiuvante con Interferone alpha (a basse, alte omedie dosi), ha concluso che, secondo gli studi non è evidente alcun beneficio dell’impiego di IFN-alpha a basse dosi con dati maturi sull’intervallo libero da malattia e sulla sopravvivenza complessiva,mentre alte dosi di IFN- alpha potrebbero avere vantaggi sull’intervallo libero da malattia, ma a costo dirilevanti effetti tossici sui pazienti (Punt 2001). Persino i dati dello studio ECOG 16964 (Easterncooperative Oncology Group), che riportavano un beneficio in termini di sopravvivenza, sembranoridimensionati dal follow-up a lungo termine (dati non ancora pubblicati). Alla luce di quanto detto,possiamo concludere che, con un livello di evidenza 2, non esiste alcuna prova del possibile ruolodell’IFN-alpha a basse dosi nel trattamento adiuvante dello stadio III del melanoma, mentre l’impiego dialte dosi di IFN-alpha deve essere considerato appropriato per uso clinico individualizzato con un

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livello di evidenza 2.

Un totale di 444 pazienti con melanoma in stadio III provenienti da 42 centri German DermatologicCooperative Oncology Group che hanno beneficiato di una dissezione linfonodale completa sono statirandomizzati a ricevere o 3MU di IFNa2a 3 volte a settimana per 2 anni (braccio A) sia a ricevere, oltreall’interferon, anche DTIC 850mg/mq ogni 4-8 settimane per 2 anni (braccio B) o solo osservazione(braccio C). Il trattamento è stato interrotto non appena si è riscontrata una recidiva. 3MU di interferon?2a date s.c. 3 volte la settimana per 2 anni hanno significativamente migliorato la sopravvivenzaglobale e libera di malattia in quei pazienti sottoposti a dssezione dei linfonodi ascellari. Interessantecome l’aggiunta di DTIC alla terapia con interferon sia risultata dannosa. (Garbe 2008). Sicuramentequesti risultati dimostrano un beneficio dato dalla terapia a basse dosi con Interferon per due anni inpazienti con melanoma in stadio III rispetto alla sola osservazione, ma non ci dicono nulla rispetto aduna terapia con iFN ad alte dosi. Gli studi che confrontino la fase di induzione con IFN iv ad alte dosirispetto a IFN ad alte dosi per un anno sono in corso in Grecia, Germania e Italia; ma ognuno di essi èdeficitario di un braccio di controllo, pertanto i risultati risultano non definitivi, LA tossicità del regime diinduzione rispetto al classico regime di Kirkwood è stata pubblicata dal gruppo italiano (Chiarion-Sileni2006).Gogas e colleghi hanno riportato all’ Hellenic Melanoma group trial all’ ASCO 2007, come un mese diinduzione di IFN ad alte dosi è simile come efficacia ad un anno di terapia ad alte dosi per un anno, edè chiaramente meno tossica (Gogas 2007).Il più recente trial riportato di melanoma in stadio III è stato quello dell’EORTC 18991 in 1256 pazienti,che hanno confrontato una terapia a lungo termine (5 anni) con IFNa2b peghilato rispetto alla solaosservazione. C’è stata un significativo e sostanziale impatto di riduzione della recidiva sullapopolazione trattata. L’impatto sul DMFS e sull’ OS non è però stato significativo. Comunque i pazientiin stadio III-N1, definiti come pazienti con linfonodo sentinella positivo, hanno avuto un significativoaumento di RFS e DMFS se trattati nel braccio di terapia con IFN (Eggermont 2008).Gli ultimi risultati di una metanalisi che ha incluso I dati di 13 trial clinici è stata riportata all’ASCO 2007da Wheately et al all’interno del International Malignant Melanoma Collaborative Group.

Dati riguardanti più di 6000 pazienti sono stati analizzati con eventi riguardanti la DFS (3700 eventi) el’OS (3000 eventi).Dati di pazienti individuali sono stati raccolti in 11 dei 13 trials dove l’IFN era statocomparato a sola osservazione (87% delle serie complete di casi) e i dati pubblicati sono stati usati peri restanti 2 trials. Si è visto un beneficio statisticamente significativo per i pazienti trattati con IFN (p=0.00004) per la DFS: e questo beneficio è indipendente dal dosaggio di IFN usato (p=0.2) o dalladurata (p=0.5). Le meta-analisi hanno dimostrato un beneficio statisticamente significativo in OS(p=0.008); non c’è evidenza di variazioni di beneficio per differenti dosi di IFN (p=0.8 o durata diIFN(p=0.9). Un beneficio in termini di sopravvivenza è stato di circa il 3% per pazienti trattati con IFN,con un intervallo di confidenza tra l’1% e il 5%.L’effetto di IFN non era legato all’età, alla sede deltumore, al Breslow, allo stadio di malattia o al numero di linfonodi interessati. I pazienti con melanomaulcerato hanno avuto un maggior beneficio dalla tp con IFN. Gli autori concludono che “questametanalisi fornisce l’evidenza che IFN in fase adiuvante riduca significativamente il rischio di recidiva eaumenti la sopravvivenza globale, nonostante il beneficio in termini di sopravvivenza sia comunquerelativamente piccolo” (Wheatley 2007). La questione è che nonostante il beneficio sia statisticamentesignificativo, questo consiste solo in un 1-5% di beneficio, e questi valori sembra non siano sufficientiper dare un trattamento adiuvante con consistenti tossicità come quelle associate a IFN ad alte dosi.Se quindi si deve prendere in considerazione un trattamento adiuvante questo deve essere quello conIFN a basse dosi, la cui tossicità è veramente minima.

6.5.2 L’escissione terapeutica del melanoma primitivo

Vedi sezioni 6.3.1 e 6.4.1.

6.5.3 La linfadenectomia terapeutica

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In caso di coinvolgimento linfonodale regionale, la linfadenectomia terapeutica costituisce l’opzioneterapeutica standard con un livello di evidenza di tipo C; l’asportazione di un unico linfonodo è ritenutainappropriata. In alcuni casi clinicamente sospetti può rendersi necessario un agoaspirato del linfonodosospetto. Un esito negativo giustificherebbe una politica “wait and see”, sotto un rigoroso programmadi follow-up (Morton 1991; Plukker 1993). Anche in caso di metastasi a distanza, viene spessopraticata una resezione palliativa dell’area linfonodale coinvolta, al fine di evitare complicanze, qualiulcerazione, emorragia o invasione neurale. Tale procedura è considerata appropriata per uso clinicoindividualizzato con un livello di evidenza di tipo R. Quando il melanoma é localizzato nelle vicinanzadella stazione linfonodale sospetta, la ri-escissione lungo la ferita della precedente dissezione delmelanoma primitivo, senza interruzione (en-bloc) sino alla dissezione della stazione linfonodalecostituisce il trattamento standard con un livello di evidenza di tipo R. Tecnicamente, gli interventi dilinfadenectomia si suddividono, a seconda della sede interessata, in:Dissezione inguinale: lopzione standard con un livello di evidenza di tipo C consiste nella dissezionefemoro-inguinale (inguine superficiale) e iliaco-inguinale (inguine profondo), che comprende, oltre ailinfonodi inguinali, anche gli iliaci esterni e gli otturatori, sino alla biforcazione dell’arteria iliaca(Karakousis 1994; Karakousis 1981; Strobbe 1999).Dissezione ascellare: la procedura standard con un livello di evidenza di tipo C comprende i linfonodidei tre livelli ascellari in blocco. Se necessario, anche il muscolo piccolo pettorale viene rimosso,insieme al campione linfonodale.Dissezione cervicale: la procedura standard con un livello di evidenza di tipo C consiste in unosvuotamento laterocervicale completo. Ciò può significare una dissezione radicale, con il sacrificio delmuscolo sternocleidomaistoideo, la vena giugulare interna e il nervo accessorio, oppure unadissezione radicale modificata, che risparmi una o più delle suddette strutture. Il razionale per lapreservazione di tali strutture é spesso arbitrario e viene indicato dalla prossimità delle metastasilinfonodali alla struttura stessa. La decisione tra le due procedure deve essere basata tenendopresenti fattori, quali la sopravvivenza, il controllo regionale del tumore, e gli eventuali esiti funzionalied estetici. In caso di melanoma nell’area fronto-temporale, dell’orecchio o della regione anteriore delcuoio capelluto, la ghiandola parotide si trova nella stazione di drenaggio linfonodale. Pertanto, inquesti casi, deve essere eseguita una parotidectomia superficiale in continuità con la dissezionecervicale. Il coinvolgimento dei linfonodi retroauricolari e occipitali richiede la rimozione dei tessutidell’area retroauricolare e sub-occipitale, in cui i linfonodi sono contenuti, in continuità con il triangoloposteriore del collo e della catena giugulare interna (Plukker 1993; Shah 1991).

6.5.4 Il trattamento adiuvante postchirurgico

Nessuna evidenza indica, attualmente, che la chemioterapia sistemica costituisca un’opzioneterapeutica efficace nel trattamento adiuvante nello stadio III del melanoma (Nathan 1995). Unarecente revisione (Punt 2001) di tutti gli studi randomizzati sul trattamento adiuvante con Interferone-a(a basse, alte o medie dosi), ha concluso che, secondo gli studi con dati maturi sull’intervallo libero damalattia e sulla sopravvivenza complessiva, non è evidente alcun beneficio dell’impiego di IFN-a abasse dosi (Cascinelli 2001; Nathanson 1996), mentre alte dosi di IFN-a potrebbero avere vantaggisull’intervallo libero da malattia, ma a costo di rilevanti effetti tossici sui pazienti. L’unico esito positivo èstato riscontrato con l’impiego di alte dosi di IFN-a (20 MU/m2 e.v. al giorno x 5 giorni a settimana x 4settimane, seguito da 10 MU/m2 3 volte a settimana per 48 settimane), in un gruppo selezionato dipazienti, e con esiti tossici significativi (Kirkwood 2000; Kirkwood 2001; Kirkwood 1996). I risultatipositivi, ottenuti dallo Studio dell’ECOG 1946 (Eastern cooperative Oncology Group) con alte dosi di a-2b IFN (Kirkwood 1996) non sono stati riprodotti dal successivo Studio dell’Intergruppo (E1690), checomparava alte dosi di IFN vs basse dosi vs gruppo di controllo in 642 pazienti (Kirkwood 2000).Recentemente, un terzo Studio (Intergruppo E 1694) condotto su 880 pazienti ha dimostrato chel’impiego di alte dosi di IFN migliora in modo significativo sia la sopravvivenza complessiva, sial’intervallo libero da recidiva, rispetto ai vaccini formulati dall’antigene ganglioside GM2 (Kirkwood

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2001). Tuttavia, il il breve follow-up relativo a questo studio (meno di due anni) non consente ancora ditrarre conclusioni definitive. Dati definitivi non sono stati prodotti neppure dallo Studio condottodall’EORTC (European Organization for Research and Treatment of Cancer) 18952, realizzato su1418 pazienti. Una recente revisione di tutti gli studi randomizzati sul trattamento adiuvante conInterferone a (a basse, alte o medie dosi), ha concluso che, secondo gli studi con dati maturisull’intervallo libero da malattia e sulla sopravvivenza complessiva, non è evidente alcun beneficiodell’impiego di IFN-a a basse dosi, mentre alte dosi di IFN-alpha potrebbero avere vantaggisull’intervallo libero da malattia, ma a costo di rilevanti effetti tossici sui pazienti (Punt 2001).

Una metanalisi di studi condotti con un follow-up mediano di 2.1-12.6 anni ha dimostrato unmiglioramento significativo, di circa il 10% a 5 anni, in termini di intervallo libero da ripresa di malattianei pazienti trattati con IFN-alpha ad alte dosi, senza, tuttavia, evidenziare chiari benefici in termini disopravvivenza globale, rispetto ai pazienti randomizzati per osservazione o terapia con vaccino(Kirkwood 2004). La tossicità asscociata a IFN-alpha è alta (Kirkwood 2002) e, alla luce dellamancanza di evidenza di un beneficio in termini di sopravvivenza globale, tale terapia non può essereindicata come terapia adiuvante standard. Invece da un recente studio eseguito in pazienti con stadioIII di malattia (Garbe 2008) si è evidenziato con un livello 2 di evidenza il possibile ruolo dell’utilizzo diIFN a basse dosi per 2 anni di trattamento in fase adiuvante, mentre l’IFN ad alte dosi potrebbe essereconsiderato appropriato per utilizzo clinico individualizzato con un livello di evidenza 2. Un grandestudio randomizzato, l’EORTC 18952, con un braccio di controllo ancora presente, ha confrontatol’utilizzo di IFN a dosi intermedie s.c. (5 UM 3 volte a settimana per 2 anni) dimostrando un ritardo nellacomparsa di metastasi , ma senza un vantaggio in sopravvivenza (Eggermont 2005). Un particolareriguardo è suggerito nei riguardi dell’ utilizzo di radioterapia concomitante, in quanto è noto il rischio diun incremento della tossicità indotta dalla radioterapia (Conill 2007).Un recente metanalisi su 12 trials con IFN adiuvante in pazienti con melanoma ad alto rischio hannodimostrato come l’IFN sia in grado di incrementare il tempo libero da recidiva in un particolare gruppodi pazienti. Una riduzione del 17% del rischio di recidiva è stata infatti calcolata. Comunque gli effettisu un eventuale aumento della sopravvivenza sono di un impatto inferiore con un 7% di riduzione delrischio di morte (Wheatley 2002; Wheatley 2003). La maggior parte dei trials clinici eseguiti pervalutare l’efficacia della terapia adiuvante sono stati in realtà in grado di dimostrare solo differenzestatistiche minime. Anche se in un grande studio EORTC su 1388 pazienti con solo un grosso tumoreprimario o solo metastasi linfonodali regionali, è stato riscontrato un piccolo incremento (7.2%)nell’intervallo libero da metastasi e un 5.4% di vantaggio di sopravvivenza dopo un follow up medianodi 4.65 anni con una dose intermedia di IFN sc (5 MU 3 volte a settimana per 2 anni) rispetto alla solaosservazione.

Le differenze non sono state statisticamente significative (Eggermont 2005). E’ necessaria una piùattenta selezione di pazienti che possano beneficiare della terapia con IFNa, ma non è eseguibile inassenza di fattori predittivi. Un totale di 444 pazienti con melanoma in stadio III provenienti da 42 centriGerman Dermatologic Cooperative Oncology Group che hanno beneficiato di una dissezionelinfonodale completa sono stati randomizzati a ricevere o 3MU di IFNa2a 3 volte a settimana per 2anni (braccio A) o a ricevere oltre all’interferon anche DTIC 850mg/mq ogni 4-8 settimane per 2 anni(braccio B) o solo osservazione (braccio C). Il trattamento è stato interrotto non appena si riscontravauna recidiva. 3MU di interferon ?2a date s.c. 3 volte la settimana per 2 anni hanno significativamentemigliorato la sopravvivenza globale e libera di malattia in quei pazienti sottoposti a dssezione deilinfonodi ascellari. Interessante come l’aggiunta di DTIC alla terapia con interferon si a risultatadannosa. (Garbe 2008). Sicuramente questi risultati dimostrano un beneficio dato dalla terapia a bassedosi con Interferon per due anni in pazienti con melanoma in stadio III rispetto alla sola osservazione,ma non ci dicono nulla rispetto ad una terapia con iFN ad alte dosi. Gogas e colleghi hanno riportatoall’ Hellenic Melanoma group trial all’ ASCO 2007, che un mese di induzione di IFN ad alte dosi è similecome efficacia ad un anno di terapia ad alte dosi per un anno, ed è chiaramente meno tossica. (Gogas2007). Il più recente trial riportato di melanoma in stadio III è stato quello dell’EORTC 18991 in 1256pazienti, che hanno confrontato una terapia a lungo termine (5 anni) con IFNa2b peghilato rispetto allasola osservazione. C’è stata una significativa e sostanziale impatto di riduzione della recidiva sulla

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popolazione trattata. L’impatto sul DMFS e sull’OS non è però stato significativo. Comunque i pazientiin stadio III-N1, definiti come pazitni con linfonodo sentinella positivo, hanno avuto un significativoaumento di RFS e DMFS se trattati nel braccio di terapia con IFN. (Eggermont 2008).La perfusione regionale può essere considerata investigazionale o appropriato di uso clinicoindividualizzato con un livello 2 di evidenza come un’aggiunta all’escissione locale a scopo diaumentare il controllo locale in presenza di metastasi in transit (Hafstrom 1991; Vrouenraets 1996)anche se non è risultata evidente nessun incremento di sopravvivenza.

6.5.5 La radioterapia

L’irradiazione post-operatoria di lesioni primarie profonde é considerata in fase sperimentale oappropriata per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza di tipo R (Ballo 2003; Cooper1998; Elsmann 1991; Geara 1996). Il ruolo dei trattamenti radioterapici post-operatori è attualmente alvaglio. Una chemioterapia post-operatoria può essere somministrata per massimizzare il controllolocale nelle seguenti situazioni:a) in presenza di un residuo si malattia in situ, microscopico o macroscopico, quando un secondointervento sia reso impossibile da un rischio troppo alto di morbilità, oppure qualora la chirurgia potesserisultare mutilante per il paziente oppure per ragioni cliniche (Cooper 1998; Elsmann 1991; Geara1996);b) in lesioni localizzate nel distretto cervico-facciale, in cui c’é un alto rischio di recidiva a causa dellaprofondità dell’invasione, è indicato irradiare il campo chirurgico e/o l’area linfonodale regionale (Ang1994; Ballo 2003; Storper 1993);c) dopo una linfadenectomia terapeutica a fronte di metastasi linfonodali, in presenza di marginiristretti e di diffusione linfonodale multipla e/o extra-nodale della malattia (Ballo 2002; Ballo 2003;Creagan 1978; Hansson 1993; O’Brien 1995; Ballo 2006; Mendenhall 2008; Burmeister 2006).Il trattamento dei noduli inguinali può talvolta comportare recidive cutanee all’interno del campo diirradiazione o un linfedema correlato al trattamento (Ballo 2004 b). Il ruolo della radioterapia post-.operatoria per il trattamento delle metastasi linfonodali é stato indagato nell’ambito di due studirandomizzati, utilizzando o uno schema di ipofrazionamento – 7 frazionamenti a settimana di 6 Gy,oppure uno schema di frazionamento convenzionale – 50 Gy in 25 frazioni. Rispetto allasopravvivenza globale o al tasso di mortalità non si sono notate differenze tra i due schemi, mentreuna ridotta percentuale di recidiva è stata ottenuta nei pazienti trattati con gli schemi diipofrazionamento. Questo tipo di trattamento può, pertanto, essere considerato appropriato per usoclinico individualizzato con un livello di evidenza 2 (Ballo 2002; Ballo 2003; Creagan 1978; Hansson1993; Ross 1994; Burmeister 2006). Nei casi di lesioni del capo e del collo, quando il melanoma puòconsiderarsi un’entità a sé, con una propria evoluzione biologica, si può ricorrere ad un’irradiazioneelettiva post-operatoria (Ballo 2005). In generale, la radioterapia può essere considerata unaprocedura appropriata per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza 3. A secondadell’estensione della malattia, della sede, del rischio di effetti collaterali, e della presenza o meno dilinfonodi regionali, possono essere impiegati diversi programmi di ipofrazionamento, quali, peresempio 2.4 Gy x30, 3 Gy x 18, 4.5 Gy x 10, 6 Gy x 5, 7-8 Gy x 3 (schemi di 0-7-21 giorni) (Ang 1994;Cooper 1998; Geara 1996; Storper 1993; Burmeister 2006).

6.6 Il trattamento dello Stadio IV (AJCC) di malattia (ogni T, ogni N M1a, b, c)

6.6.1 Strategia terapeutica generale

L’opzione terapeutica standard con un livello di evidenza di tipo C consiste nell’escissione dellerecidive locali, delle metastasi satelliti e delle metastasi in-transit, laddove possibile (Urist 1990). Laperfusione regionale isolata può essere utilizzata come trattamento sperimentale o appropriato per usoclinico individualizzato con un livello di evidenza 2, dopo un intervento di escissione, con l’intento dipotenziare il controllo loco-regionale (Hafstrom 1991; Lienard 1999; Vrouenraets 1996). In caso di

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isolate metastasi polmonari, epatiche e cerebrali l’escissione chirurgica costituisce un’opzioneappropriata per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza di tipo R (Balch 1999b). Lamalattia metastatica viene trattata con la chemioterapia sistemica, laddove non sia possibile unintervento chirurgico palliativo, con un livello di evidenza di tipo R, anche se non vi é alcuno schemachemioterapico che si possa definire standard. La radioterpia é un trattamento efficace nellapalliazione di lesioni cerebrali, ossee o nodali, così come nel trattamento delle compressione midollare(Cooper 1998; Ewend 1996; Geara 1996; Perchel 1994; Sause 1991).

6.6.2 Recidive locali, metastasi satelliti e metastasi in-transit

L’opzione terapeutica standard con un livello di evidenza di tipo C consiste nell’escissione dellerecidive locali, delle metastasi satelliti e delle metastasi in-transit, laddove possibile (Urist 1990). Laperfusione regionale isolata può essere utilizzata come trattamento sperimentale o appropriato per usoclinico individualizzato con un livello di evidenza 2, dopo un intervento di escissione, con l’intento dipotenziare il controllo loco-regionale (Hafstrom 1991; Lienard 1999; Vrouenraets 1996). La perfusioneregionale in pazienti con metastasi in-transit o con malattia molto estesa in un arto, che non possaessere resecata completamente, è generalmente considerata appropriata per uso clinicoindividualizzato con un livello di evidenza di tipo R. Circa l’80% di questi pazienti ottiene unaremissione completa, che in una percentuale sostanziale di pazienti (circa 35%) è di lunga durata (> 3anni). La perfusione, inoltre, permette di evitare il ricorso all’amputazione dell’arto (Kroon 1988;Lienard 1999; Vrouenraets 1996). Questa procedura consiste nell’isolare il flusso sanguignodell’estremità interessata, collegandolo ad un circuito extra-corporale, con regolazione dellatemperatura e della ossigenazione. Successivamente, l’arto viene perfuso con alte dosi di un farmacocitostatico, solitamente si tratta di melfalan. Recenti pubblicazioni relative ad ampie casistiche dipazienti con metastasi in-transit multiple, malattia bulky e una mancata risposta ad un a precedenteperfusione isolata degli arti con solo melpfalancon, suggeriscono che l’aggiunta del fattore di necrositumorale (TFN) migliori in modo significativo i risultati in questo gruppo di pazienti (Grunhagen 2004;Grunhagen 2005). La criochirurgia, l’elettrocoagulazione, il trattamento laser (Strobbe 1997a), laradioterapia combinata con l’ipertermia (Geara 1996; Overgaard 1995) e la somministrazione intra-lesionale di BCG o denitroclorobenzene (DNCB) (Strobbe 1997b) sono tutte opzioni terapeutiche chetrovano applicazione nel trattamento palliativo della malattia loco-regionale estesa.

6.6.3 La malattia metastatica

I pazienti con metastasi a distanza hanno una prognosi piuttosto sfavorevole, con una sopravvivenzamediana che può variare da 2 a 8 mesi, a seconda della sede anatomica e del numero di metastasi. Lachirurgia, laddove possibile, é raccomandata come trattamento appropriato per uso clinicoindividualizzato, ogniqualvolta la rimozione di tutte le metastasi visibili sia praticabile.

6.6.3.1 La metastasectomia

In alcuni pazienti con metastasi ematogene la metastasectomia è appropriato per uso clinicoindividualizzato con un livello di evidenza di tipo R (Balch 1999b). Tale approccio chirurgico risultaspesso un trattamento palliativo veloce ed efficace. L’indicazione per una metastasectomia é piuttostoforte in caso di metastasi solitarie, tanto più dal momento che altri trattamenti citostatici sistemici o diimmunoterapia si sono rivelati quasi del tutto inefficaci. La metastasectomia è particolarmente indicatain caso di metastasi cutanee o sottocutanee. Il ricorso alla metastasectomia é anche suggerito perquei pazienti con malattia e/o complicanze da melanoma metastatico gastrointestinale, qualisanguinamento acuto o cronico, ileo (invaginazione) o perforazione (Klaase 1990). L’escissione diun’unica metastasi cerebrale risulta, a volte, una buona terapia palliativa. In un vasto studioretrospettivo, i fattori associati in modo significativo ad un incremento della sopravvivenza, nell’ambito

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di un’analisi multivariata, sono stati i seguenti: il trattamento chirurgico, l’assenza di metastasi extra-cerebrali concomitanti, la giovane età del paziente, e un lungo intervallo libero da malattia (Fife 2004).In caso di metastasi polmonari, la palliazione non costituisce lo scopo terapeutico principale, anche sea fronte di un’unica metastasi polmonare, si può ottenere un prolungamento della sopravvivenza.

6.6.3.2 La radioterapia

La radioterapia può essere considerato un trattamento palliativo appropriato per uso clinicoindividualizzato per i casi di compressione midollare, di metastasi cerebrali, linfonodali, polmonari eosse, per le metastasi cerebrali dopo l’intervento chirurgico e, da ultimo, per il controllo del dolore(Buchsbaum 2002; Cooper 1998; Ewend 1996; Geara 1996; Gerosa 2002; Jenrette 1996; Olivier2007). Il suo ruolo dopo una linfadenectomia terapeutica é considerato appropriato per uso clinicoindividualizzato in pazienti selezionati, con un livello di evidenza 3 (Ang 1994; Cooper 1998; Creagan1978; Elsmann 1991; Geara 1996; Hansson 1993; Storper 1993). I dati radio-biologici e clinicidisponibili non indicano più una radioresistenza del melanoma (Overgaard 1995; Perchel 1994;Rounsaville 1988; Sause 1991). La radiosensibilità intrinseca appare eterogenea, ma entro la gammadi valori osservati nella grande maggioranza delle linee cellulari tumorali il melanoma si dimostraaltamente responsivo a diversi regimi radioterapici frazionati. Le cellule del melanoma hanno lacapacità di riparare efficacemente sia il danno subletale, sia il danno potenzialmente letale (Konefal1988; Overgaard 1985; Rofstad 1994). I dati clinici concludono che con frazionamenti ad alte dosi sipossa ottenere una percentuale più elevata di remissioni complete (Overgaard 1985), anche se unostudio randomizzato, in cui sono state comparate alte dosi (8 Gy x 4) e basse dosi (2.5 x 20) perfrazionamento, ha ottenuto risultati sostanzialmente uguali per entrambi gli schemi (range 23-72%;controllo locale a 2 anni: 48-82%). Entrambi gli schemi possono, pertanto, essere considerati opzionistandard con un livello di evidenza 2 (Cooper 1998; Geara 1996; Sause 1991). Maggiori dosi totalisono suggerite come metodo per offire una prolungata palliazione (Olivier 2007). La scelta del regimeradioterapico più appropriato è dettata dall’aspettativa di vita del paziente, dalla sua qualità di vita odalla comparsa di sequele tardive: tale procedura è da considerare appropriata per uso clinicoindividualizzato con un livello di evidenza di tipo R.

6.6.3.3 La chemioterapia

La chemioterapia sistemica non ha dimostrato un’attività significativa nel trattamento del melanoma. Gliagenti chemioterapici più efficaci sono: dacarbazina (DTIC), nitrosuree cisplatino (CDDP), e glialcaloidi della Vinca. La dacarbazina è considerata il più attivo degli agenti singoli, con una risposta chesi attesta tra il 12 e il 20%. Tuttavia, studi recenti rilevano un tasso di risposta inferiore al 10% neipazienti trattati con sola DTIC. Risposte in siti viscerali sono rare mentre aneddotica è la risposta sumetastasi cerebrali (Balch 1989). Inoltre, tassi di risposta più elevati, riportati in studi su protocolli dipolichemioterapia, non si sono tradotti in beneficio in termini sopravvivenza, bensì soltanto in unincremento significativo della tossicità (Jungnelius 1998; Jelic 2002; Bafaloukos 2005). Sinora, né lapolichemioterapia, né l’aggiunta di tamoxifen, interferone, interleukina-2, hanno prodotto, all’interno di27 studi randomizzati, un miglioramento della sopravvivenza. Il temozolomide é un profarmaco delladacarbazina, che può essere somministrato per via orale e viene meglio distribuito nel liquidocerebrospinale. Si tratta di un nuovo farmaco molto promettente, sia per la possibilità di esseresomministrato per via orale, sia perché il tasso di risposta è simile a quello ottenuto con la dacarbazina(21% CR + PR in uno studio di fase III) (Middleton 2000b). La risposta ottenuta con la fotemustina,farmaco non ancora disponibile in tutto il mondo, nel melanoma metastatico si attesta intorno al 24%,con un 20-25% di risposte per quanto riguarda le metastasi cerebrali. La tossicità è solitamenteaccettabile e include soprattutto neutropenia e trombocitopenia (Jacquillat 1990). In un recente studioclinico randomizzato, la fotemustina ha ottenuto un tasso di risposta complessiva del 15%, che non siè, tuttavia, tradotto in un effettivo vantaggio in termini di sopravvivenza, rispetto ai pazienti trattati conDTIC (Avril 2004). Per tutti questi farmaci, la risposta completa corrisponde a meno del 10% dei casi,

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e la durata mediana della risposta è tra 4 e 6 mesi. Diversi regimi chemioterapici con 2, 3 o 4 agentisono stati testati.

I più comuni sono CVD (Cisplatino, Vinblastina, dacarbazina) o la combinazione di Cisplatino (CDDP)e Dacarbazina (DTIC). La risposta completa riscontrata con questi schemi chemioterapici si aggiraintorno al 30-45%. La durata mediana della risposta e le percentuali di risposta completa non sidiscostano in modo significativo dai risultati ottenuti con la fotemustina o la dacarbazina utilizzatecome agenti unici (Luikart 1984). Nonostante sia preferibile arruolare pazienti con melanomametastatico in studi di fase III, la scelta tra monochemioterapia e polichemioterapia viene considerataappropriata per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza di tipo R, poiché non esistono datia supporto di un vantaggio sulla sopravvivenza con trattamenti indipendenti da altri fattori prognostici.La combinazione di DTIC con altri singoli agenti attivi e/o composti immuno-terapeutici non dimostra unincremento clinico significativo della sopravvivenza, oltre a determinare un potenziale incremento dellatossicità, rispetto alla somministrazione della DTIC come singolo agente (850-1000 mg/m2) una voltaogni 3 settimane (Eggermont 2004).L’aggiunta di oblimersen alla dacarbazina, con l’intento di bypassare l’eventuale resistenza allachemioterapia, ha significativamente incrementato il tempo di progressione libera da malattia (medianadi 2.6 mesi vs 1.6 mesi;p<001), la sopravvivenza globale (13.5% vs 7.5%;p<.007),le risposte complete(2.8% vs 0.8%) e la durata della risposta (7.3%vs 3.6%;p<.03) in circa 771 pazienti con melanomaavanzato sottoposti a ricevere o solo dacarbazina o dacarbazina in combinazione con il farmacoprecedentemente menzionato. Si è osservata una significativa variazione tra il valore di LDH basale edil trattamento.Oblimersen ha incrementato significativamente la sopravvivenza in quei pazienti in cui ilvalore base di LDH non era elevato (sopravvivenza mediana 11.4 vs 9.7 mesi;p<.02) (Bedikian 2006).Nonostante i valori riportati siano statisticamente significativi, il loro significato clinico rimane ancorairrilevante.

6.6.3.4 Chemioterapia più Tamoxifen

L’uso del Tamoxifen non é raccomandato con un livello di evidenza 2, poiché la maggior parte dei datirelativi a studi prospettici randomizzati indicano che non c’è alcun vantaggio nell’aggiungere ilTamoxifen ai regimi CDV, DTIC o alla combinazione CDDP + DTIC in pazienti con malattia resistente alCDDP (Agarwala 1999; Chapman 1999; Cocconi 1992; Creagan 1999; Falkson 1998; Margolin 1998;Mc Clay 1996; Rusthoven 1996).

6.6.3.5 Immunoterapia a base di citochina con IFN-alpha e IL-2 e chemio-immunoterapia

L’immunoterapia costituisce un’altra opzione terapeutica per questo tipo di pazienti. L’IFNricombinante, somministrato con dosi tra 3 e 18 MU e.v. x 3 volte a settimana, dà una percentuale dirisposte tra il 12 e il 18%. Le risposte risultano rare nelle sedi viscerali. La tossicità può dar luogo adastenia, mialgia, febbre, leucopenia e trombocitopenia. Nell’ambito di studi clinici randomizzati,l’aggiunta di IFN alla chemioterapia non ha determinato alcun incremento della sopravvivenza (Bajetta1994; Falkson 1998; Thompson 1993; Vuoristo 2005; Young 2001). Con dosi comprese tra 9 e 18 MU(dose totale o per m2) di interleuchina 2 (IL-2) ricombinante come singolo agente, si possono ottenererisposte tra il 15 e il 25%. L’IL-2 viene somministrata per bolo, oppure sottocute o, più comunemente, ininfusione continua (Keilholz 1998; Kirkwood 1995). La tossicità associata a IL-2 può comportaresindromi simil-influenzali, febbre, ipotensione, sindrome da aumentata permeabilità vascolare conoliguria, edema e neutropenia. Alte dosi di IL-2 producono una risposta completa nel 7% dei casi, 4%dei quali risultano di lunga durata (Atkins 2000). Nonostante la combinazione di IL-2 e IFN-a si siarivelata sinergica in vitro, i risultati nell’uomo sono stati piuttosto deludenti, con risposte inferiori al 30%(Atzpodien 1988). L’associazione DTIC + IFN-a é stata ritenuta più efficace dell’impiego della solaDTIC, ma il solo vantaggio ottenuto riguarda il tasso di risposta, senza alcun impatto sulla

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sopravvivenza (Huncharek 2001). La combinazione di IL-2 ricombinante e DTIC + IFN, opolichemioterapia, non ha dimostrato alcun beneficio significativo (Atkins 2003; Atzpodien 1998; DelVecchio 2003; Hauschild 2001; Keilholz 1997; Keilholz 2005; Middleton 2000a; Ridolfi 2002;Rosenberg 1999; Young 2001; Vuoristo 2005). La combinazione di IFN e/o IL-2 non deve essereraccomandato con un livello di evidenza 2 nel trattamento palliativo al di fuori di studi clinici. Lo stessodiscorso vale per la combinazione di cisplatino e IFN-a, che é stata inizialmente associata ad un altotasso di risposta (oltre il 50%), con un 10-20% di risposte complete e alcune remissioni di lungadurata, non, tuttavia, mantenute. Questi risultati non sono stati riprodotti da studi randomizzati piùrecenti (Dorval 1999; Rosenberg 1999).

6.6.3.6 Terapia genica e vaccini

I vaccini e la terapia genica devono essere raccomandati come terapia strettamente sperimentale(Rosenberg 2001). Studi randomizzati con cellule dendritiche e peptidi, in combinazione con IL-2, nonhanno, sino ad ora, prodotto risultati positivi (Schadendorf 2004; Ernstoff 2005).

6.6.4 Metastasi ossee

Per il trattamento delle metastasi osseesintomatiche, la radioterapia costituisce l’opzione standard conun livello di evidenza di tipo C. La radioterapia palliativa, somministrata sia in dosi convenzionali che indosi ipofrazionate (dosaggi totali comprese tra 20-36 Gy, dose per frazionamento 3-6 Gy in 2-3settimane) é efficace nel 50-85% dei pazienti (Cooper 1998 ; Ewend 1996; Rate 1988).

6.6.5 Compressione midollare

Il trattamento standard con un livello di evidenza di tipo R per la compressione midollare consiste inuna radioterapia più corticosteroidi. La radioterapia può essere impiegata da sola, come modalità de-compressiva, oppure come trattamento adiuvante dopo una laminectomia (Cooper 1998; Geara 1996;Mc Clay 1996; Rate 1988). La palliazione viene raggiunta nel 44-85% dei casi. I trattamentiradioterapici devono essere selezionati sulla base delle prognosi a breve o a lungo termine, e sultasso di tolleranza del midollo spinale, che segna i limiti dei frazionamenti delle alte dosi (30 Gy totali a2-3 Gy al giorno in 2-3 settimane).

6.6.6 Metastasi cerebrali

I pazienti con metastasi cerebrali hanno una prognosi sfavorevole, con una sopravvivenza mediana di2-5 mesi dalla diagnosi. La radioterapia, in questi casi, può fornire un’efficace palliazione temporanea.In caso di metastasi cerebrali solitarie, il trattamento standard con un livello di evidenza 3 consiste inuna resezione chirurgica, seguita da radioterapia (Ewend 1996; Hagen 1990). La combinazione di piùtrattamenti sembra essere più efficace rispetto ad ogni singolo trattamento (Buchsbaum 2002). Laradiochirurgia, evitando i rischi chirurgici e anestesiologici, può costituire un’opzione appropriata incaso di lesioni solitarie piccole. Questa procedura può essere considerata sperimentale o appropriataper uso clinico individualizzato con un livello di evidenza 3 (Choi 1985; Buchsbaum 2002; Gerosa2002; Gonzalez-Martinez 2002; Mingione 2002; Gaudy-Marqueste 2006; Mathieu 2007). L’irradiazionepanencefalica può essere eseguita in combinazione con la radiochirurgia, con risultati superiori,rispetto alla sola irradiazione panencefalica e con esiti paragonabili a quelli ottenuti con chirurgia piùirradiazione panencefalica, semprecchè il diametro delle metastasi non sia superiore a 3 cm (Stone2004). Nei casi di metastasi multiple, o di residuo di malattia dopo l’intervento chirurgico, laradioterapia palliativa rappresenta il trattamento standard con un livello di evidenza di tipo R (Coffey1991; Cooper 1998; Ewend 1996; Geara 1996; Fife 2004). Per i pazienti con lesioni multiple è stata

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suggerita anche l’irradiazione totale del cranio a dosi di 30 Gy in 2 settimane o 20 Gy in 2 settimane.La dose va determinata in base alla prognosi, alla presenza di metastasi in altre sedi e al performancestatus.In un piccolo gruppo di pazienti con melanoma in fase avanzata e piccole metastasi cerebrali,si èusato la temozolomide come unico trattamento: si è avuta una stabilizzazione delle metastasisistemiche in 7 su 52 pazienti (13%), e c’è stata una risposta in 6 pazienti (5 risposte parziali e 1completa;11%), il tempo mediano di progressione neurologica è stato di 7 mesi (range 2-15 mesi. Lasopravvivenza mediana in pazienti con metastasi cerebrali è stata di 5.6 mesi(intervallo di confidenzadel 95%,4.4-6.8 mesi). Non si sono avute complicanze emorragiche intracraniche (Boogerd 2007).

6.7 Il trattamento dei melanomi in sedi particolari

6.7.1 Melanomi delle mani e dei piedi

La tendenza a restringere i margini di escissione é un argomento di cruciale importanza per iltrattamento dei melanomi localizzati alle mani e ai piedi. Tuttavia, anche con margini di 1 o 2 cm,spesso non é possibile evitare esiti mutilanti. In tali occasioni, il chirurgo deve fare appello al propriogiudizio, soppesando da una parte, gli aspetti funzionali ed estetici, e dall’altra, l’aumento del rischio direcidiva locale, legato alla scelta di restringere i margini di resezione rispetto agli standard. Il ricorso alembi cutanei in queste sedi anatomiche è spesso controindicato.

6.7.2 Melanomi delle unghie delle mani e delle unghie dei piedi

Per questi melanomi, l’amputazione é spesso considerata la migliore opzione terapeutica.L’amputazione nei melanomi subunguali delle dita dei piedi può essere operata a livello della giunturametatarsofalangea, mentre per i melanomi subungueali delle dita delle mani, il livello dell’amputazionepuò essere la giuntura falagea prossimale. In caso di melanomi subungueali sottili, l’amputazione deveavvenire a livello più distale. Per i melanomi subunguale del pollice, il trattamento standard con unlivello di evidenza di tipo R è l’amputazione distale all’articolazione metacarpofalangea, laddovepossibile, onde preservare qualche funzione al moncone del pollice.

6.7.3 Melanomi delle mucose

Il melanoma delle mucose é una neoplasia rara, che rappresenta il 4% circa di tutti i melanomi. E’accompagnato da una prognosi sfavorevole. Le sedi anatomiche maggiormente interessate da questotipo di melanoma sono la regione anorettale e la regione urogenitale e della testa e del collo(Kristiansen 1992; Shibuya 1993). Per i melanomi anorettali e urogenitali la radioterapia post-chiturgica e palliativa può essere considerata appropriata per uso clinico individualizzato con un livellodi evidenza di tipo R. I melanomi mucosali del capo e del collo interessano, più comunemente, il cavoorale, le cavità nasali, e i seni paranasali. Quando l’intervento chirurgico non è praticabile, unairradiazione radicale può essere considerata opzione standard con un livello di evidenza di tipo C, conrisposta completa e controllo locale duraturo nel 29-75% dei casi (Cooper 1998; Elsmann 1991;Gilligan 1991; Wada 2004; Krengli 2006). Sull’irradiazione post-operatoria disponiamo di pochi dati.Tuttavia, essa può essere considerata una terapia opzionale con un livello di evidenza di tipo R, alloscopo di potenziare il controllo locale a lungo termine (De Meerleer 1998; Temam 2005; Owens 2003).Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale nel campo di trattamento rappresenta, ovviamente, unfattore limitante rispetto all’utilizzo di frazionamenti ad alte dosi.

6.7.4 I melanomi del capo e del collo

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Meno del 20% dei pazienti sviluppa un melanoma nell’area cervico-facciale. Si considera che talipazienti abbiano una prognosi piuttosto sfavorevole, nonostante manchino dati conclusivi in tal senso.Molto probabilmente, un melanoma localizzato sul cuoio capelluto ha una prognosi sfavorevole, perchéal momento della diagnosi ha uno spessore maggiore rispetto ad altri tipi di melanoma. In talioccasioni, il chirurgo deve fare appello al proprio giudizio, soppesando da una parte, gli aspettifunzionali ed estetici, e dall’altra, l’aumento del rischio di recidiva locale, legato alla scelta di restringerei margini di resezione rispetto agli standard. Non ci sono dati a supporto dell’ipotesi che margini menoampi in quest’area comportino un incremento del rischio di recidive locali. Il ricorso a lembi cutanei neldistretto cervico-facciale, soprattutto sul volto, è raramente indicato. Per il trattamento di alcuni tipi e inalcuni stadi del melanoma, una radioterapia post-operatoria e adiuvante può essere appropriata (Ang1994; Cooper 1998; Geara 1996; Morton 1991; Burmeister 2006). La radioterapia é considerataappropriata per uso clinico individualizzato con un livello di evidenza 3. Diversi sono gli schemi diipofrazionamento impiegabili, quali 3Gy x 18, 4.5 Gy x 10, 6 Gy x 5, 7-8 Gy x 3 (schemi in 0-7-21giorni), a seconda dell’estensione della malattia, della sede delle lesioni, del rischio di effetti collaterali,della presenza o meno di linfonodi regionali coinvolti (Ang 1994; Storper 1993).

6.7.5 Melanoma ano-rettale

Il melanoma rettale é raro ed è incline ad una rapida metastatizzazione. L’indicazione al trattamentochirurgico rimane un tema controverso; la resezione addominoperineale non ha dimostrato alcunvantaggio in termini di sopravvivenza, rispetto all’escissione locale ampia e deve, pertanto, essereriservata ai casi non candidabili a escissione locale o per il trattamento palliativo di vaste lesioniostruttive, con un livello di evidenza di tipo C (Yap 2004).

6.7.6 Melanoma vaginale

In caso di malattia non resecabile chirurgicamente, la radioterapia primaria é indicata, con un livello dievidenza di tipo R (Miner 2004).

7. LE SEQUELE TARDIVE

7.1 Il trattamento delle sequele tardive correlate al trattamento

Ferite sfiguranti e cicatrici sono le sequele più frequenti dovute al trattamento chirurgico di unmelanoma. In tali casi può essere necessario un intervento di chirurgia plastica.

7.2 Tumori secondari

Esistono dati controversi rispetto ad eventuali tumori secondari in pazienti con melanoma. Numerosirapporti indicano una maggiore incidenza di tumori in pazienti trattati per un melanoma e un rischio piùelevato di sviluppare un secondo melanoma primitivo, linfomi , tumori cutanei non melanomi, tumoricerebrali e tumori del sistema nervoso centrale. L’età, il sesso e il periodo intercorso dalla diagnosi dimelanoma sono tutti fattori che influenzerebbero l’incidenza di tali tumori secondari.

8. FOLLOW-UP

8.1 Scopi generali del follow-upIl follow-up post-operatorio é lo stesso per tutti Ii pazienti operati per unmelanoma, a prescindere dalla sede del tumore. Lo scopo principale del follow-up é l’individuazione diun’eventuale ripresa di malattia locoregionale e linfonodale, poiché le metastasi a distanza sonoincurabili e tutti gli esami di laboratorio e imaging non hanno rivelato alcuna utilità. La valenza del(potenziale) marcatore tumorale nel sangue, la proteina S-100, è attualmente oggetto di indagine.

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Alcuni rapporti hanno indicato che questo marcatore può essere utilizzato nell’individuazione direcidive locali, prima che queste diventino manifeste (Bonfrer 1998). Tutti i pazienti vengono invitati adeseguire un autoesame cutaneo periodico. Non ci sono studi sulla frequenza delle visite di follow-up. Inun ampio studio effettuato su 602 pazienti con melanomi con spessore minimo (< 0.75 mm), sono statiriscontrati, a 5 anni, soltanto 24 casi (4%) di recidive, e tra questi soltanto 5 (1%) erano recidiveoperabili (Moloney 1996).

L’unico studio prospettico sul follow up è stato condotto in Germania su 2008 pazienti consecutivi conmelanoma in stadio I-IV.Il protocollo di follow up è stato portato avanti sulle linee guida stabilite nel1994 da German Society of Dermatology, che raccomandava visite di follow up ogni 3 mesi per I primi5 anni, poi ogni sei mesi sino al raggiungimento del 10° anno dopo l’asportazione del melanoma. Irisultati di questo studio suggeriscono che una schedula di follow up elaborata sia in grado diriscontrare precocemente melanomi secondari o di riscontrare piu precocemente le recidive (Garbe2003).

8.2 Protocolli suggeriti

Una procedura comune di follow-up consiste nella revisione della storia clinica del paziente e in unavisita ripetuta 3-4 volte l’anno nei primi 2-3 anni. Nei successivi 10 anni, tale procedura può essereripetuta ogni 6 mesi. In pazienti asintomatici, gli esami di laboratorio e gli esami radiologici perriscontrare la presenza di malattia metastatica sono giustificati soltanto all’interno di studi clinici.

INDICE

1. Informazioni generali

2. Patologia e Biologia

3. Diagnosi

4. Stadiazione

5. Prognosi

6. Trattamento

7. Sequele tardive

8. Follow-up

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Prof. Alexander M.M. Eggermont (Author)Erasmus MC – Daniel den Hoed Cancer Center – Rotterdam, The Netherlandsmail: [email protected]

Dr. Gemma Gatta (Consultant)Istituto Nazionale Tumori – Milan, Italymail: [email protected]

Dr. Antonella Romanini (Author)Ospedale Santa Chiara – Pisa, Italymail: [email protected]

Tradotto da:

Dr. Maria Teresa GiannelliRedazione START Fondazione IRCCS “Istituto Nazionale dei Tumori’ – Milan, Italymail: [email protected]

Dr.ssa Chiara Rossinimail: [email protected]