Il Manifesto Del 26 Marzo 2015

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Spie come noi LEGGE ELETTORALE Renzi accelera, obiettivo spaccare le minoranza P er nulla preoccupato per l’accusa di «arro- ganza», Renzi sferra l’ultimo affondo sulle minoranze Pd nel momento della loro mas- sima divisione. L’Italicum accelera: si voterà pri- ma delle regionali. Oggi il Pd lo proporrà formal- mente alla riunione dei capigruppo. Per lunedì il segretario ha convocato una riunione di direzio- ne alla quale alla fine chiederà un voto. Il bersa- niani D’Attorre rilancia la proposta di «un tavolo per modificare la legge elettorale e le riforme», ma non è aria. L’aria invece è quella dell’ultima spaccatura della sinistra Pd, e di una nuova im- barcata dei ’riformisti dialoganti’ nella maggioran- za renziana. PREZIOSI |PAGINA 4 ANTICORRUZIONE |PAGINA 5 Al senato Pd e Ncd vanno in direzione opposta E il voto finale viene rinviato al primo aprile DOMENICO CIRILLO MATTEO RENZI NELLA SALA STAMPA DI PALAZZO CHIGI FOTO LUIGI MISTRULLI Renzi più furbo di James Bond: l’Italia è il primo paese europeo a legalizzare «trojan» e programmi di spionaggio indiscriminati su qualsiasi computer e telefonino. Senza limiti di tempo o ipotesi di reato. E così anche la privacy è rottamata PAGINA 4 C are lettrici, cari lettori, il momento storico per la cooperativa è finalmente ar- rivato: sfogliando il giornale di og- gi troverete l’annuncio del bando di vendita della nostra testata. I Li- quidatori, nominati dal Ministero per lo Sviluppo economico, han- no finalmente reso pubbliche le modalità e la somma richiesta per acquistare il manifesto. La pubbli- cazione del bando è il passaggio fondamentale per completare, speriamo positivamente, l’ultima parte di un cammino iniziato or- mai tre anni fa con la chiusura del- la vecchia cooperativa e la nascita della nostra nuova impresa. Una liquidazione, e poi l'asta di un bene, possono essere momen- ti poco importanti. Nel caso no- stro è l’esatto contrario perché rappresentano la vendita di una storia, del tempo e del cuore mes- si in campo da generazioni di don- ne e uomini in difesa di un «bene comune», di un patrimonio di esperienze individuali dentro un patrimonio collettivo. Perciò dire che l’asta è un momento delicato, entusiasmante, difficile, è forse perfino riduttivo. Comunque tutte le battaglie, tut- ti gli ostacoli affrontati e superati per arrivare all’appuntamento, ora verranno sottoposti alla prova finale: l’ultimo salto per oltrepas- sare l’ostacolo. Insieme a voi, in questi due anni di vita della nuova cooperativa, abbiamo lavorato per un solo obiettivo: tornare a es- sere padroni di noi stessi. E per raggiungere questa meta abbia- mo camminato su un doppio bi- nario: tenere in vita e in buona sa- lute il manifesto e, contemporane- amente, attivare una campagna di finanziamento. Essere ogni gior- no in edicola «per la causa» (della sinistra italiana), e nello stesso tempo, dare una solida casa e un futuro a un’informazione libera e autonoma, mantenere aperto e al- largare ancora di più uno spazio intellettuale e politico. Restando fedeli alla forma che da quaran- taquattro anni rappresenta una fe- lice anomalia italiana: una testata nazionale gestita da una coopera- tiva pura, trasparente. Ma autonomia e indipendenza si pagano. E noi stiamo pagando salato: 26 mila euro al mese (mille euro ogni giorno che usciamo) per l’affitto della testata. Così da due anni. Fate i calcoli di quanto abbiamo dato e ancora daremo ai Liquidatori. Oltre la metà dell’esor- bitante richiesta del bando d’asta. CONTINUA |PAGINA 15 IL MANIFESTO ALL’ASTA Norma Rangeri 1992 LA SERIE Non siamo mica gli americani Alberto Piccinini C ome si dice? La storia si ripete due volte: la prima in tragedia, la se- conda in farsa. Per motivi di tem- po Marx – che escogitò la frase - non im- maginava una terza eventualità: che la storia potesse ripetersi in una serie ameri- cana. Ora ce l’abbiamo anche noi. In 1992, da martedì in onda su Sky Atlantic, si rifà il primo anno di Tangentopoli. L’uo- mo Publitalia Stefano Accorsi si compor- ta come il Don Draper di Mad Man, il fin- to Dell’Utri (ma il nome è vero) è un catti- vo tipo House of Card, l’aspirante soubret- te Myriam Leone fa sesso coi potenti e senza veli, proprio come si vedrebbe su Netflix e su Hbo. CONTINUA |PAGINA 5 Nessuna defezione e tanti in- contri per la kermesse della società civile mondiale, che si è aperta ieri all’università della capitale tunisina. Città invasa da 60 mila persone solidali con i tunisini sotto attacco. Po- lemiche sulla riapertura del Bar- do solo per un’élite, un segno di scarso rispetto per i volontari che hanno lavorato giorno e notte per riaccogliere il pubbli- co |PAGINE 2 E 3 WORLD SOCIAL FORUM La Tunisi ferita diventa una capitale altermondiale YEMEN Truppe saudite al confine, per «avvisare» il nemico Iran ISituazione ogni giorno più com- plicata: i ribelli Houthi continua- no la loro avanzata verso sud e la città di Aden. Hanno conqui- stato il porto e l’aeroporto della capitale provvisoria con il soste- gno dei fedelissimi di Saleh, mentre il presidente Hadi è in fuga. La sua assenza lascia campo libero allo scontro tra sciiti, tribù sunnite e gruppi estremisti. E, forse, sauditi |PAGINA 7 BIANI Coalizione sociale? Difficile, senza la crisi della "forma sindacato" L’ARTICOLO Marco Bascetta pagina 15 MARTEDÌ 31 MARZO In edicola un Manifesto speciale per i cento anni di Pietro Ingrao INTERVISTA A COLIN CROUCH La sinistra per battere le disuguaglianze BENEDETTO VECCHI l PAGINA 10 OGM Ttip, le aziende del biotech alla carica L. FAZIO, M. BUIATTI l PAGINE 8, 9 ANNO XLV . N. 73 . GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 EURO 1,50 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013

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Spie come noi

LEGGE ELETTORALE

Renzi accelera, obiettivospaccare le minoranzaP er nulla preoccupato per l’accusa di «arro-

ganza», Renzi sferra l’ultimo affondo sulleminoranze Pd nelmomento della loromas-

sima divisione. L’Italicum accelera: si voterà pri-ma delle regionali. Oggi il Pd lo proporrà formal-mente alla riunione dei capigruppo. Per lunedì ilsegretario ha convocato una riunione di direzio-ne alla quale alla fine chiederà un voto. Il bersa-niani D’Attorre rilancia la proposta di «un tavoloper modificare la legge elettorale e le riforme»,ma non è aria. L’aria invece è quella dell’ultimaspaccatura della sinistra Pd, e di una nuova im-barcata dei ’riformisti dialoganti’ nellamaggioran-za renziana. PREZIOSI |PAGINA 4

ANTICORRUZIONE |PAGINA 5

Al senato Pd eNcd vannoin direzione oppostaE il voto finale vienerinviato al primo aprile

DOMENICO CIRILLO

MATTEO RENZI NELLA SALA STAMPA DI PALAZZO CHIGI FOTO LUIGI MISTRULLI

Renzi più furbo di James Bond:l’Italia è il primo paeseeuropeo a legalizzare «trojan»e programmi di spionaggioindiscriminati su qualsiasicomputer e telefonino. Senzalimiti di tempo o ipotesi direato. E così anche la privacyè rottamata PAGINA 4

C are lettrici, cari lettori,il momento storico per la

cooperativa è finalmente ar-rivato: sfogliando il giornale di og-gi troverete l’annuncio del bandodi vendita della nostra testata. I Li-quidatori, nominati dal Ministeroper lo Sviluppo economico, han-no finalmente reso pubbliche lemodalità e la somma richiesta peracquistare il manifesto. La pubbli-cazione del bando è il passaggiofondamentale per completare,speriamo positivamente, l’ultimaparte di un cammino iniziato or-mai tre anni fa con la chiusura del-la vecchia cooperativa e la nascitadella nostra nuova impresa.

Una liquidazione, e poi l'asta diun bene, possono essere momen-ti poco importanti. Nel caso no-stro è l’esatto contrario perchérappresentano la vendita di unastoria, del tempo e del cuore mes-si in campoda generazioni di don-ne e uomini in difesa di un «benecomune», di un patrimonio diesperienze individuali dentro unpatrimonio collettivo. Perciò direche l’asta è un momento delicato,entusiasmante, difficile, è forseperfino riduttivo.

Comunque tutte le battaglie, tut-ti gli ostacoli affrontati e superatiper arrivare all’appuntamento,ora verranno sottoposti alla provafinale: l’ultimo salto per oltrepas-sare l’ostacolo. Insieme a voi, inquesti due anni di vita della nuovacooperativa, abbiamo lavoratoper un solo obiettivo: tornare a es-sere padroni di noi stessi. E perraggiungere questa meta abbia-mo camminato su un doppio bi-nario: tenere in vita e in buona sa-lute il manifesto e, contemporane-amente, attivare una campagna difinanziamento. Essere ogni gior-no in edicola «per la causa» (dellasinistra italiana), e nello stessotempo, dare una solida casa e unfuturo a un’informazione libera eautonoma,mantenere aperto e al-largare ancora di più uno spaziointellettuale e politico. Restandofedeli alla forma che da quaran-taquattro anni rappresenta una fe-lice anomalia italiana: una testatanazionale gestita da una coopera-tiva pura, trasparente.

Ma autonomia e indipendenzasi pagano. E noi stiamo pagandosalato: 26 mila euro al mese (milleeuro ogni giorno che usciamo)per l’affitto della testata. Così dadue anni. Fate i calcoli di quantoabbiamo dato e ancora daremo aiLiquidatori. Oltre lametà dell’esor-bitante richiesta del bando d’asta.

CONTINUA |PAGINA 15

ILMANIFESTOALL’ASTA

Norma Rangeri

1992 LA SERIE

Non siamomicagli americani

Alberto Piccinini

C ome si dice? La storia si ripete duevolte: la prima in tragedia, la se-conda in farsa. Per motivi di tem-

po Marx – che escogitò la frase - non im-maginava una terza eventualità: che lastoria potesse ripetersi in una serie ameri-cana. Ora ce l’abbiamo anche noi. In1992, da martedì in onda su Sky Atlantic,si rifà il primo annodi Tangentopoli. L’uo-mo Publitalia Stefano Accorsi si compor-ta come il Don Draper diMadMan, il fin-toDell’Utri (ma il nome è vero) è un catti-vo tipoHouse of Card, l’aspirante soubret-te Myriam Leone fa sesso coi potenti esenza veli, proprio come si vedrebbe suNetflix e su Hbo. CONTINUA |PAGINA 5

Nessuna defezione e tanti in-contri per la kermesse dellasocietà civile mondiale, che siè aperta ieri all’università dellacapitale tunisina. Città invasada 60 mila persone solidalicon i tunisini sotto attacco. Po-lemiche sulla riapertura del Bar-do solo per un’élite, un segnodi scarso rispetto per i volontariche hanno lavorato giorno enotte per riaccogliere il pubbli-co |PAGINE 2 E 3

WORLD SOCIAL FORUM

La Tunisi feritadiventauna capitalealtermondiale

YEMEN

Truppe sauditeal confine,per «avvisare»il nemico IranISituazione ogni giorno più com-plicata: i ribelli Houthi continua-no la loro avanzata verso sud ela città di Aden. Hanno conqui-stato il porto e l’aeroporto dellacapitale provvisoria con il soste-gno dei fedelissimi di Saleh,mentre il presidente Hadi è infuga. La sua assenza lasciacampo libero allo scontro trasciiti, tribù sunnite e gruppiestremisti. E, forse, sauditi

|PAGINA 7

BIANI

Coalizionesociale?Difficile,

senza la crisidella "formasindacato"

L’ARTICOLOMarco Bascetta

pagina 15

MARTEDÌ 31 MARZO

In edicolaun Manifestospeciale

per i cento annidi Pietro Ingrao

INTERVISTA A COLIN CROUCH

La sinistra per batterele disuguaglianzeBENEDETTO VECCHI l PAGINA 10

OGM

Ttip, le aziendedel biotech alla caricaL. FAZIO, M. BUIATTI l PAGINE 8, 9

ANNO XLV . N. 73 . GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 EURO 1,50

CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamentopostale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013

pagina 2 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

Vittorio AgnolettoTUNISI

D opo il 18 marzo il rischio è che nellapopolazione cresca la richiesta di unregime forte, una dittatura, per fron-

teggiare il rischio del terrorismo e dell'inte-gralismo islamico,mi racconta Fathi Chamk-ni, deputato tunisino del Fronte Popolare,all'opposizione dell’attuale governo.

«Sull'esercito non abbiamo timori - prose-gue - quattro anni fa ha difeso la rivoluzionee nella nostra storia è sempre stato leale ver-so chiunque governava. Diversa è la situazio-ne della polizia che nel passato ha represso imovimenti democratici e in gran parte rim-piange il regime precedente. Oggi le cosevannounpo'meglio perché è nato un sinda-cato di polizia che difende gli spazi di demo-crazia. Ma alcuni dei vertici della polizia cheil governo ha dimesso dopo l'attentato del18 marzo erano tra quelli che sostenevano ilregime precedente. La polizia si divide quin-di in tre parti: una minoritaria che sostienela democrazia, una cheha simpatia verso set-tori islamici integralisti e la maggioranza cheè a favore di un regime forte. E questo è unproblema. Il Fronte Popolare ha convocatola conferenza nazionale per maggio, abbia-mo grande urgenza di aggiornare la nostrastrategia e dobbiamo riuscire a rendere evi-dente alla popolazione che esiste un'alterna-tiva al terrorismo e al richiamo al governoforte e dittatoriale».

Dopo la manifestazione di apertura che siè svolta sotto una pioggia torrenziale si èaperto ieri il Forum. Decine dimigliaia i par-

tecipanti da tutto il mondo e moltissimi gio-vani tunisini emaghrebini discutono in deci-ne di seminari che si tengono all'Universitàdi El Manar: sovranità alimentare, lotta con-tro l'accaparramento delle terre, traffico diesseri umani, ecc. Si tenta di rafforzare la col-

laborazione tra la società civile dalle duesponde del Mediterraneo.

Se si eccettua il discreto controllo da partedella polizia al quale devono sottoporsi i par-tecipanti al Forume la presenza di alcune ca-

mionettemilitari davanti ai punti sensibili si-tuati nel centro della città e i rotoli di filo spi-nato in alcune traverse della centrale Ave-nue Burghiba, non è facile rintracciare i se-gni della strage del 18 marzo. Ma il museodel Bardo rimarrà chiuso tutta la settimana.

Ho incontrato un gruppo di ragazzi tunisi-ni che partecipano al Forum e ho chiesto lo-ro come è cambiata la vita dopo il 18 marzo.«In nulla, tutto prosegue come prima - mihanno risposto - nondeve cambiare nulla, al-trimenti diamo ragione ai terroristi. Certoche abbiamopaura, è vero che alcunemiglia-ia di nostri connazionali combattono in Siria

a fianco dell'Isis ed anche veroche qui ci sono delle cellule dor-mienti,ma la nostra vita nonde-ve cambiare. Noi dobbiamo di-fendere la democrazia che abbia-mo conquistato con la nostra ri-voluzione 5 anni fa e se sarà ne-cessario sapremo resistere».Non sono solo i ragazzi presential Forum a pensarla così. L'im-pressione che si ha qui a Tunisiè di uno sforzonazionale colletti-vo per cercare di mostrare inogni aspetto della vita quotidia-na un senso di normalità. Le pri-me pagine dei quotidiani tunisi-ni non dedicano più l’aperturaalle notizie relative alle indaginisui fatti del 18 , surclassate da al-tre notizie nazionali o internazio-nali. Questa scelta ha certamen-te anche motivazioni economi-che: evitare un forte calo del turi-smo, si considera che siano alcu-nemigliaia (tra i 3 e i 5.000) i turi-sti che hanno cancellato le loro

prenotazioni per le vacanze pasquali.L'obiettivo delle autorità tunisine è quello diconsiderare l'attentato una parentesi in unPaese che rimane "normale" a differenza diquanto avviene in tutti i Paesi confinanti.

Giuliana SgrenaTUNISI

L’ arrivo inmassa dei parteci-panti al Forum sociale in-ternazionale ieri mattina

ha bloccato il traffico nelle stradeadiacenti al campus universitariodi al Manar. Abbandonati i mezzidi trasporto perché si arrivava pri-ma a piedi, ci aspettava una lungafila per superare i controlli di sicu-rezza, inevitabili a una settimanadall’attentato al museo del Bardo.Ottenuto anche l’accredito, nonrestava che sfogliare le 88 paginedel programma per individuareun gruppo di lavoro da seguire.C’è solo l’imbarazzo della scelta:donne, diritti, lavoro, economia al-ternativa, Mediterraneo, cittadi-nanza, migrazione, media, sovra-nità alimentare, la pace, l’ambien-te, il clima, etc.. E poi la difficoltàdi trovare il luogo in cui si svolgel’incontro, tra le innumerevoli sa-le dislocate nelle varie facoltàdell’università.

Ad aiutare a districarsi tra le va-rie sigle delle sale vi è un nutritogruppo di volontari e soprattuttovolontarie tunisine, gentili e dispo-nibili. Sembra fatta, sempre se du-rante il percorso non si viene tra-volti dalla corrente fatta di donne,uomini, giovani che attraversano

lo spazio centrale della facoltà didiritto. Arrivati finalmente allame-ta, può darsi che la sala sia vuotao che a parlare di Kobane ci sia uncomunista americano o un sinda-calista italiano!

Il tutto mentre continuavano ilavori per montare i vari gazebo,stand, bancarelle, approfittandodel sole che oltre a riscaldare co-

minciava ad asciugare il fango la-sciato dalla pioggia che aveva im-perversato il giorno prima.

Il Forum non manca di aspettifolkloristici, si canta, si balla, sivende di tutto, c’è chi improvvisaun comizio mettendosi in cima aun barile per essere meglio nota-to, soprattutto dai giornalisti chenon possono certo fermarsi a se-

guire un dibattito approfondito.Sono circa 60 mila i partecipan-

ti al Forum, quasi nessuna diser-zione causata dall’attacco terrori-stico, a parte alcuni francesi, anzialcune delegazioni sono aumenta-te di numero proprio per esprime-re solidarietà ai tunisini, come1.500 algerini che sono arrivatiproprio per questo emartedì si so-no scatenati durante la manifesta-zione urlando slogan per rinsalda-re i legami e l’impegno comunenella lotta al terrorismo.

D’altra parte «è indispensabileun lavoro comune tra Algeria, Tuni-sia e Libia per far fronte al terrori-smo»,mi ha detto Mbarka Brahmi,la vedova di Mohamed Brahmi as-sassinato dai terroristi nel lugliodel 2013, ora deputata del Frontepopolare e vicepresidente dell’As-semblea nazionale. Non potevanomancare dibattiti sulla violenza e ilterrorismo, unodei quali è stato or-ganizzato proprio dall’associazio-ne Brahmi. Secondo Mbarka il ter-rorismo ora ha cambiato tatticacolpendoun simbolo come il parla-mento «perché quel palazzo è la se-de dell’Assemblea nazionale cheospita anche il museo e se lo statonon li fermerà la prossima volta at-taccheranno il palazzo di Cartagi-ne (residenza del presidente dellarepubblica) o la Kasbah, dove hasede il governo», ha aggiunto la de-putata eletta a Sidi Bouzid, dove ènata la rivoluzione. E oggi l’Assem-blea nazionale discuterà la leggecontro il terrorismo.

Il timore del Fronte popolareè che cresca ora nel Paesela richiesta di un governo

forte e dittatoriale. Se ne parlerànella conferenza nazionale di maggio

Valentina Porcheddu

S amehArfaoui, giovanemuse-ologa che collabora col Mu-seo del Bardo di Tunisi,

avrebbe dovuto trovarsi al lavoromercoledì 18 marzo, giornodell’assalto terroristico. Sotto l’egi-da dell’Icom e nell’ambito dellaGiornata Internazionale dei Mu-sei del 18 maggio sul tema dellosviluppo sostenibile promossodall’Unesco, sta preparandoun’esposizione sulmestiere dimo-saicista, un percorso per immagi-ni che metta in luce le metodolo-gie antiche e quelle che ancora og-gi vengono praticate in Tunisia:dal restauro alla «riproduzione».

Un ritardo provvidenziale le haforse salvato la vita, accrescendoancor più il suo sensodi responsa-bilità nei confronti dell’eredità delpassato. «Mi sono recata al museoall’indomani della strage – raccon-ta Sameh – ma la polizia scientifi-ca stava eseguendo i rilievi e nonmi ha autorizzato ad accedere. Ve-nerdì 20 sono iniziate le pulizie eho dato la mia disponibilità a par-teciparvi. Nonostante unprimo in-tervento da parte degli agenti, laSala di Cartagine e la Sala del Teso-ro rispecchiavano l’orrore delmas-sacro. È stato atroce ma abbiamolavorato duro nella prospettiva diun’immediata riapertura al pub-blico – continua Arfaoui – perchédal giorno successivo all’attaccosiamo stati sommersi di messaggidi sostegno da parte dei cittadini.Imembri dello staff del Bardohan-no offerto gratuitamente il lorotempo, facendo delle ore supple-mentari. Io stessa, chepresto servi-zio al museo come volontaria, hotrascurato i miei impegni di stu-dio. Tutto questo perché le perso-ne si riappropriassero di un luogosimbolico. Malgrado la gravitàdell’evento, questa sarebbe statauna buona occasione perché i tu-nisini capissero l’importanza delloropatrimonio. Le cifre ufficiali ri-

feriscono infatti che lamaggioran-za dei visitatori del Bardo sonostranieri».Come avete accolto, dunque,l’annullamento dell’annunciatagiornata di «porte aperte» previ-sta per il 24 marzo?È stata una decisione irrispetto-

sa nei confronti del popolo tunisi-

no e un atto politico controprodu-cente. Il culmine è stato raggiuntocon l’organizzazione di una ceri-monia riservata a una élitema tra-smessa alla tv nazionale. Durantequesta kermesse – che non esito adefinire una «mascherata» – abbia-mo assistito alla più mediocremessa in scena del folklore eall’onta di un balletto diretto dallascenografa Sihem Belkhodja, em-blemadi quella becera cultura perlemasse in voga durante la dittatu-ra di Ben Alì. Il privilegio concessoalle autorità non avrebbe dovutoprecedere il coinvolgimento dellasocietà civile, la quale ha dato an-cora una volta prova di dignità,

partecipandougualmente all’aper-tura conunamanifestazione spon-tanea che si è svolta all’esterno,senza clamore.Secondo dichiarazioni attribuitedalla stampa al direttore del Bar-do, Moncef BenMoussa, le trac-ce dell’attentato non sarannocompletamente rimosse.

Almuseo se ne di-scute. Pensiamo siagiusto lasciare il se-gno dei tiri, adesempio su una ve-trina o sulle portedell’ascensore. An-che quest’evento,benché traumatico edoloroso, rappresen-ta una tappa dellanostra storia. Dob-biamo voltare pagi-na ma ripartendo daquanto è accaduto.La damnatio memo-riae non serve, dob-biamo praticare l’eti-ca della responsabili-tà costruttiva.Le raffiche dei ka-lashnikov hannocausato danni alleopere?La statuetta in

bronzo di Dionisobambino è stata sfio-

rata da un proiettile e un piccoloframmento di faïence che forma-vaparte di unaparete è stato disin-tegrato. Abbiamo appreso che gliassalitori erano in possesso diesplosivi ma non possiamo sape-re se contassero di utilizzarli con-tro le opere d’arte.È verosimile prevedere in Tuni-sia attacchi al patrimonio comequelli che si stanno verificandoda parte dell’Isis in altri paesidel Medioriente?Dopo la rivoluzione del 2011 ci

sono stati diversi atti vandalici,mi-rati alla distruzione di marabout –mausolei di santi – consideratidall’estremismo religioso offensi-

vi per l’Islam, in quanto luoghi incui si adorano gli uomini e nonDio. Non abbiano notizia, finora,di un accanimento verso siti ar-cheologici appartenenti alle civil-tà pre-islamiche.Quali sono le prospettive dellamuseologia in Tunisia?

È una disciplina nuova da noi,che fatica ancora a trovare un suospazio e un riconoscimento pro-fessionale. Allo stato attuale, se ve-nissi assunta col mio titolo verreipagata 300 dinari (circa 120 euro,ndr) al mese. Nella migliore delleipotesi, superandoun concorso in-terno, ne guadagnerei cinquecen-to. Noi giovani che ci specializzia-mo nei mestieri del patrimoniosiamo motivati, vogliamo restarenel nostro paese e cambiare le co-se. Però succede che molti, visti imezzi a disposizione e la miseriadei salari, si scoraggiano e finisco-no per assumere le norme com-

portamentali della generazioneprecedente. In un museo ci sonoil direttore, che ha un ruolo preva-lentemente amministrativo, e i ri-cercatori, ai quali tuttavia noncompetono la logistica, l’organiz-zazione degli eventi e l’animazio-ne. Un museologo elabora i pro-getti, proponenuove idee. È una fi-gura necessariamaper farla accet-tare bisogna intervenire sumenta-lità cristallizzate, dare impulso anuove dinamiche, anche dal pun-to di vista economico. Io ho co-scienza di una realtà imperfetta einvesto le mie energie per miglio-rarla. Il fatto che altri s’impegninoper raggiungere le stesse aspirazio-ni mi dà coraggio. Da quatto annilavoriamo per mutare la società ela democrazia non esclude il cam-po del patrimonio.

WORLD SOCIAL FORUM · Ieri l’apertura: nessuna defezione e tanti incontri

In 60mila senza pauraUn’offesaper ilBardo

MAROCCO · Arrestati in 13: «Sono dell’Isis»

88 paginedi programma,1.500 algerini arrivatiper solidarizzarecon la popolazione

Gina Musso

È durato 26 ore l'interrogato-rio a cui sono stati sottopostidal Bat, la Brigata anti-terrori-

smo della polizia tunisina, i con-giunti di Yassine Laâbidi, uno deidue terroristi uccisi dopo l'assaltoal museo del Bardo. Padre, fratelloe sorella, a proposito dei 28 giorniche secondo gli investigatori l'uo-mo avrebbe trascorso in un campodi addestramento dell'Isis in Libia,hanno riferito che Laâbidi avevacomunicato di trovarsi a Sfax, inTunisia, per motivi di lavoro.

Se una svolta nelle indagini c'èstata, ieri, di certo è avvenuta lonta-no dalla stanza in cui i tre veniva-no torchiati. Secondoquanto riferi-to dal segretario di Stato per la sicu-rezza tunisina, Rafik Chelli, inun'intervista al quotidiano al-Ma-ghreb, sarebbe addirittura stato ar-restato il mandante della strage,un cittadino tunisino residente inBelgio indicato come il capo diuna cellula composta da 16 perso-ne, delle quali due con alle spalleesperienze combattenti in Siria. Re-sta invece latitante Maher binal-Moulidi Al-Qaidi, considerato ilterzo membro del commando inazione al Bardo.

Una cellula, sempre secondoquanto sostiene Chelli nell'intervi-sta, il cui contenuto non è stato pe-raltro smentito né confermato dalgoverno, legata a Okba bin Lafaa,brigata jihadista attiva soprattuttonell'area dei monti Châambi, alconfine dell'Algeria, un gruppoche in diverse azioni ha ucciso de-cine di soldati tunisini impegnatinel pattugliamento della zona. Ne-gli ultimi mesi Luqman Abu Sakhr,leader della formazione salafita euno degli uomini più ricercati del-la Tunisia, con l’evoluzione delconflitto in Libia sarebbe passatodall’orbita di al Qaeda a quella del-lo Stato islamico. Cosa che senz’al-tro spiegherebbemeglio la rivendi-cazione dell’attentato al Bardo,che ha provocato 23 morti, di cui20 turisti in visita al museo.

Aumentano intanto le adesionialla manifestazione di domenicaprossima, parola d’ordine «Lemonde est bardo», per quella chesi annuncia comeuna grandemar-cia di condanna e di sostegno inter-nazionale alla Tunisia, un po’ sulmodello della marcia parigina do-po l’attentato a Charlie Hebdo.Dall’Italia oltre al ministro degliesteri palo gentiloni confermarnola loro presenza il premier Matteorenzi e la presidente della CameraLaura Boldrini (ieri l'aula diMonte-citorio ha osservato un minuto disilenzio per commemorare le vitti-me dell'attentato, nel quale hannoperso la vita anche quattro italia-ni). L’Eliseo fa invece sapere cheanche il presidente Hollande saràin piazza a Tunisi.

Laprossima settimana invece sa-rà la volta del presidente del Consi-glio europeoDonald Tusk e dell’al-to rappresentante per la politicaestera dell’Ue, Federica Mogheri-ni. L’Ue parla di Tunisia anchenell'ultimo rapporto annuale sullerelazioni con i Paesi partner vicini,annunciando massima collabora-zione nella lotta al terrorismo «tra-mite un dialogo politico ma ancheprogetti concreti, nell'ambito diun sostegno più ampio alla rifor-ma del settore della sicurezza»

I partecipanti /«NON DIAMO RAGIONE AI TERRORISTI CAMBIANDO LE NOSTRE VITE»

La «normalità» è la resistenzadei giovani tunisini. E non solo

TUNISI NON È SOLA TUNISI NON È SOLA

La museologa Sameh Arfaoui critica la sceltadi riaprire il luogo della strage solo per un’élite.«Mascherata politicamente controproducente».Ma la società civile ha risposto con dignità

Dopo un’operazione compiuta in più città, compresa Marrakesh, la polizia ma-rocchina ha arrestato 13 persone sospettate di aver organizzato una «celluladell’Isis» e aver pianificato diversi attacchi in diverse zone del paese. Oltre agliattentati, il gruppo avrebbe organizzato anche il passaggio dei jihadisti diretti acombattere con gli uomini del Califfato in Iraq e Siria. Secondo quanto specifica-to alla Reuters dalla polizia marocchina, ai «terroristi» sarebbero state sequestra-te armi, computer e telefoni cellulari. Secondo quanto ricostruito dalle autoritàmarocchine, le armi sarebbe state procurate nell’enclave spagnola di Melilla.

«CELLULA TERRORISTA» TRE ARRESTI TRA ITALIA E ALBANIA Tre persone sono statearrestate ieri, con l’accusa di reclutare i foreign fighters, desiderosi di combattere nelle fila deicombattenti del Califfato in Siria e Iraq. «Diverse decine di persone sono passate negli anni attraversola filiera messa in piedi dalla cellula, che ritengo che non fosse l'unica in attività nel Paese», haspecificato il questore di Brescia, Carmine Esposito. «Anche la ricerca dell'autore del documentopropagandistico pubblicato su internet, un ventenne cittadino italiano di origine marocchina,residente in provincia di Torino, considerato l'autore del documento, non è stata semplice, data ladifficoltà ad associare una persona fisica all'autore di materiale circolante sul web». E naturalmentenon mancano le speculazioni politiche. La Procura di Brescia, che ha coordinato le indagini chehanno portato ad arresti di presunti fiancheggiatori dell'Isis in Italia dovrebbe diventare «una sorta disuper-procura nazionale» per il terrorismo islamico: è quanto ha chiesto ieri il vice-capogruppo dellaLega Nord al Consiglio regionale lombardo, Fabio Rolfi. In una nota l’esponente leghista haspecificato che «l'eccessiva presenza di immigrati islamici nella nostra provincia, sommata alladiffusione incontrollata di luoghi di culto, rende il nostro territorio particolarmente esposto».

LE INDAGINI

«Arrestato il capodella cellula»,dice alMaghreb

ALCUNI MOMENTI DELLA MARCIA CHE HA APERTOIL WORLD SOCIAL FORUM DI TUNISI

/FOTO LAPRESSE E LA VETRINA CON LA STATUETTAIN BRONZO DI DIONISO BAMBINO (II-III SEC. D.C.)

COLPITA DA UN PROIETTILE /FOTO SAMEH ARFAOUI

Nel museo colpito dall’attacco si discute se lasciare i foridei proiettili: « Anche questa è una tappa della nostra storia» Movimenti • Città invasa dagli altermondialisti. Per parlare di Mediterraneo,

migrazioni, media, sovranità alimentare, ambiente, clima. E pacePolemiche •

GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 il manifesto pagina 3

Vittorio AgnolettoTUNISI

D opo il 18 marzo il rischio è che nellapopolazione cresca la richiesta di unregime forte, una dittatura, per fron-

teggiare il rischio del terrorismo e dell'inte-gralismo islamico,mi racconta Fathi Chamk-ni, deputato tunisino del Fronte Popolare,all'opposizione dell’attuale governo.

«Sull'esercito non abbiamo timori - prose-gue - quattro anni fa ha difeso la rivoluzionee nella nostra storia è sempre stato leale ver-so chiunque governava. Diversa è la situazio-ne della polizia che nel passato ha represso imovimenti democratici e in gran parte rim-piange il regime precedente. Oggi le cosevannounpo'meglio perché è nato un sinda-cato di polizia che difende gli spazi di demo-crazia. Ma alcuni dei vertici della polizia cheil governo ha dimesso dopo l'attentato del18 marzo erano tra quelli che sostenevano ilregime precedente. La polizia si divide quin-di in tre parti: una minoritaria che sostienela democrazia, una cheha simpatia verso set-tori islamici integralisti e la maggioranza cheè a favore di un regime forte. E questo è unproblema. Il Fronte Popolare ha convocatola conferenza nazionale per maggio, abbia-mo grande urgenza di aggiornare la nostrastrategia e dobbiamo riuscire a rendere evi-dente alla popolazione che esiste un'alterna-tiva al terrorismo e al richiamo al governoforte e dittatoriale».

Dopo la manifestazione di apertura che siè svolta sotto una pioggia torrenziale si èaperto ieri il Forum. Decine dimigliaia i par-

tecipanti da tutto il mondo e moltissimi gio-vani tunisini emaghrebini discutono in deci-ne di seminari che si tengono all'Universitàdi El Manar: sovranità alimentare, lotta con-tro l'accaparramento delle terre, traffico diesseri umani, ecc. Si tenta di rafforzare la col-

laborazione tra la società civile dalle duesponde del Mediterraneo.

Se si eccettua il discreto controllo da partedella polizia al quale devono sottoporsi i par-tecipanti al Forume la presenza di alcune ca-

mionettemilitari davanti ai punti sensibili si-tuati nel centro della città e i rotoli di filo spi-nato in alcune traverse della centrale Ave-nue Burghiba, non è facile rintracciare i se-gni della strage del 18 marzo. Ma il museodel Bardo rimarrà chiuso tutta la settimana.

Ho incontrato un gruppo di ragazzi tunisi-ni che partecipano al Forum e ho chiesto lo-ro come è cambiata la vita dopo il 18 marzo.«In nulla, tutto prosegue come prima - mihanno risposto - nondeve cambiare nulla, al-trimenti diamo ragione ai terroristi. Certoche abbiamopaura, è vero che alcunemiglia-ia di nostri connazionali combattono in Siria

a fianco dell'Isis ed anche veroche qui ci sono delle cellule dor-mienti,ma la nostra vita nonde-ve cambiare. Noi dobbiamo di-fendere la democrazia che abbia-mo conquistato con la nostra ri-voluzione 5 anni fa e se sarà ne-cessario sapremo resistere».Non sono solo i ragazzi presential Forum a pensarla così. L'im-pressione che si ha qui a Tunisiè di uno sforzonazionale colletti-vo per cercare di mostrare inogni aspetto della vita quotidia-na un senso di normalità. Le pri-me pagine dei quotidiani tunisi-ni non dedicano più l’aperturaalle notizie relative alle indaginisui fatti del 18 , surclassate da al-tre notizie nazionali o internazio-nali. Questa scelta ha certamen-te anche motivazioni economi-che: evitare un forte calo del turi-smo, si considera che siano alcu-nemigliaia (tra i 3 e i 5.000) i turi-sti che hanno cancellato le loro

prenotazioni per le vacanze pasquali.L'obiettivo delle autorità tunisine è quello diconsiderare l'attentato una parentesi in unPaese che rimane "normale" a differenza diquanto avviene in tutti i Paesi confinanti.

Giuliana SgrenaTUNISI

L’ arrivo inmassa dei parteci-panti al Forum sociale in-ternazionale ieri mattina

ha bloccato il traffico nelle stradeadiacenti al campus universitariodi al Manar. Abbandonati i mezzidi trasporto perché si arrivava pri-ma a piedi, ci aspettava una lungafila per superare i controlli di sicu-rezza, inevitabili a una settimanadall’attentato al museo del Bardo.Ottenuto anche l’accredito, nonrestava che sfogliare le 88 paginedel programma per individuareun gruppo di lavoro da seguire.C’è solo l’imbarazzo della scelta:donne, diritti, lavoro, economia al-ternativa, Mediterraneo, cittadi-nanza, migrazione, media, sovra-nità alimentare, la pace, l’ambien-te, il clima, etc.. E poi la difficoltàdi trovare il luogo in cui si svolgel’incontro, tra le innumerevoli sa-le dislocate nelle varie facoltàdell’università.

Ad aiutare a districarsi tra le va-rie sigle delle sale vi è un nutritogruppo di volontari e soprattuttovolontarie tunisine, gentili e dispo-nibili. Sembra fatta, sempre se du-rante il percorso non si viene tra-volti dalla corrente fatta di donne,uomini, giovani che attraversano

lo spazio centrale della facoltà didiritto. Arrivati finalmente allame-ta, può darsi che la sala sia vuotao che a parlare di Kobane ci sia uncomunista americano o un sinda-calista italiano!

Il tutto mentre continuavano ilavori per montare i vari gazebo,stand, bancarelle, approfittandodel sole che oltre a riscaldare co-

minciava ad asciugare il fango la-sciato dalla pioggia che aveva im-perversato il giorno prima.

Il Forum non manca di aspettifolkloristici, si canta, si balla, sivende di tutto, c’è chi improvvisaun comizio mettendosi in cima aun barile per essere meglio nota-to, soprattutto dai giornalisti chenon possono certo fermarsi a se-

guire un dibattito approfondito.Sono circa 60 mila i partecipan-

ti al Forum, quasi nessuna diser-zione causata dall’attacco terrori-stico, a parte alcuni francesi, anzialcune delegazioni sono aumenta-te di numero proprio per esprime-re solidarietà ai tunisini, come1.500 algerini che sono arrivatiproprio per questo emartedì si so-no scatenati durante la manifesta-zione urlando slogan per rinsalda-re i legami e l’impegno comunenella lotta al terrorismo.

D’altra parte «è indispensabileun lavoro comune tra Algeria, Tuni-sia e Libia per far fronte al terrori-smo»,mi ha detto Mbarka Brahmi,la vedova di Mohamed Brahmi as-sassinato dai terroristi nel lugliodel 2013, ora deputata del Frontepopolare e vicepresidente dell’As-semblea nazionale. Non potevanomancare dibattiti sulla violenza e ilterrorismo, unodei quali è stato or-ganizzato proprio dall’associazio-ne Brahmi. Secondo Mbarka il ter-rorismo ora ha cambiato tatticacolpendoun simbolo come il parla-mento «perché quel palazzo è la se-de dell’Assemblea nazionale cheospita anche il museo e se lo statonon li fermerà la prossima volta at-taccheranno il palazzo di Cartagi-ne (residenza del presidente dellarepubblica) o la Kasbah, dove hasede il governo», ha aggiunto la de-putata eletta a Sidi Bouzid, dove ènata la rivoluzione. E oggi l’Assem-blea nazionale discuterà la leggecontro il terrorismo.

Il timore del Fronte popolareè che cresca ora nel Paesela richiesta di un governo

forte e dittatoriale. Se ne parlerànella conferenza nazionale di maggio

Valentina Porcheddu

S amehArfaoui, giovanemuse-ologa che collabora col Mu-seo del Bardo di Tunisi,

avrebbe dovuto trovarsi al lavoromercoledì 18 marzo, giornodell’assalto terroristico. Sotto l’egi-da dell’Icom e nell’ambito dellaGiornata Internazionale dei Mu-sei del 18 maggio sul tema dellosviluppo sostenibile promossodall’Unesco, sta preparandoun’esposizione sulmestiere dimo-saicista, un percorso per immagi-ni che metta in luce le metodolo-gie antiche e quelle che ancora og-gi vengono praticate in Tunisia:dal restauro alla «riproduzione».

Un ritardo provvidenziale le haforse salvato la vita, accrescendoancor più il suo sensodi responsa-bilità nei confronti dell’eredità delpassato. «Mi sono recata al museoall’indomani della strage – raccon-ta Sameh – ma la polizia scientifi-ca stava eseguendo i rilievi e nonmi ha autorizzato ad accedere. Ve-nerdì 20 sono iniziate le pulizie eho dato la mia disponibilità a par-teciparvi. Nonostante unprimo in-tervento da parte degli agenti, laSala di Cartagine e la Sala del Teso-ro rispecchiavano l’orrore delmas-sacro. È stato atroce ma abbiamolavorato duro nella prospettiva diun’immediata riapertura al pub-blico – continua Arfaoui – perchédal giorno successivo all’attaccosiamo stati sommersi di messaggidi sostegno da parte dei cittadini.Imembri dello staff del Bardohan-no offerto gratuitamente il lorotempo, facendo delle ore supple-mentari. Io stessa, chepresto servi-zio al museo come volontaria, hotrascurato i miei impegni di stu-dio. Tutto questo perché le perso-ne si riappropriassero di un luogosimbolico. Malgrado la gravitàdell’evento, questa sarebbe statauna buona occasione perché i tu-nisini capissero l’importanza delloropatrimonio. Le cifre ufficiali ri-

feriscono infatti che lamaggioran-za dei visitatori del Bardo sonostranieri».Come avete accolto, dunque,l’annullamento dell’annunciatagiornata di «porte aperte» previ-sta per il 24 marzo?È stata una decisione irrispetto-

sa nei confronti del popolo tunisi-

no e un atto politico controprodu-cente. Il culmine è stato raggiuntocon l’organizzazione di una ceri-monia riservata a una élitema tra-smessa alla tv nazionale. Durantequesta kermesse – che non esito adefinire una «mascherata» – abbia-mo assistito alla più mediocremessa in scena del folklore eall’onta di un balletto diretto dallascenografa Sihem Belkhodja, em-blemadi quella becera cultura perlemasse in voga durante la dittatu-ra di Ben Alì. Il privilegio concessoalle autorità non avrebbe dovutoprecedere il coinvolgimento dellasocietà civile, la quale ha dato an-cora una volta prova di dignità,

partecipandougualmente all’aper-tura conunamanifestazione spon-tanea che si è svolta all’esterno,senza clamore.Secondo dichiarazioni attribuitedalla stampa al direttore del Bar-do, Moncef BenMoussa, le trac-ce dell’attentato non sarannocompletamente rimosse.

Almuseo se ne di-scute. Pensiamo siagiusto lasciare il se-gno dei tiri, adesempio su una ve-trina o sulle portedell’ascensore. An-che quest’evento,benché traumatico edoloroso, rappresen-ta una tappa dellanostra storia. Dob-biamo voltare pagi-na ma ripartendo daquanto è accaduto.La damnatio memo-riae non serve, dob-biamo praticare l’eti-ca della responsabili-tà costruttiva.Le raffiche dei ka-lashnikov hannocausato danni alleopere?La statuetta in

bronzo di Dionisobambino è stata sfio-

rata da un proiettile e un piccoloframmento di faïence che forma-vaparte di unaparete è stato disin-tegrato. Abbiamo appreso che gliassalitori erano in possesso diesplosivi ma non possiamo sape-re se contassero di utilizzarli con-tro le opere d’arte.È verosimile prevedere in Tuni-sia attacchi al patrimonio comequelli che si stanno verificandoda parte dell’Isis in altri paesidel Medioriente?Dopo la rivoluzione del 2011 ci

sono stati diversi atti vandalici,mi-rati alla distruzione di marabout –mausolei di santi – consideratidall’estremismo religioso offensi-

vi per l’Islam, in quanto luoghi incui si adorano gli uomini e nonDio. Non abbiano notizia, finora,di un accanimento verso siti ar-cheologici appartenenti alle civil-tà pre-islamiche.Quali sono le prospettive dellamuseologia in Tunisia?

È una disciplina nuova da noi,che fatica ancora a trovare un suospazio e un riconoscimento pro-fessionale. Allo stato attuale, se ve-nissi assunta col mio titolo verreipagata 300 dinari (circa 120 euro,ndr) al mese. Nella migliore delleipotesi, superandoun concorso in-terno, ne guadagnerei cinquecen-to. Noi giovani che ci specializzia-mo nei mestieri del patrimoniosiamo motivati, vogliamo restarenel nostro paese e cambiare le co-se. Però succede che molti, visti imezzi a disposizione e la miseriadei salari, si scoraggiano e finisco-no per assumere le norme com-

portamentali della generazioneprecedente. In un museo ci sonoil direttore, che ha un ruolo preva-lentemente amministrativo, e i ri-cercatori, ai quali tuttavia noncompetono la logistica, l’organiz-zazione degli eventi e l’animazio-ne. Un museologo elabora i pro-getti, proponenuove idee. È una fi-gura necessariamaper farla accet-tare bisogna intervenire sumenta-lità cristallizzate, dare impulso anuove dinamiche, anche dal pun-to di vista economico. Io ho co-scienza di una realtà imperfetta einvesto le mie energie per miglio-rarla. Il fatto che altri s’impegninoper raggiungere le stesse aspirazio-ni mi dà coraggio. Da quatto annilavoriamo per mutare la società ela democrazia non esclude il cam-po del patrimonio.

WORLD SOCIAL FORUM · Ieri l’apertura: nessuna defezione e tanti incontri

In 60mila senza pauraUn’offesaper ilBardo

MAROCCO · Arrestati in 13: «Sono dell’Isis»

88 paginedi programma,1.500 algerini arrivatiper solidarizzarecon la popolazione

Gina Musso

È durato 26 ore l'interrogato-rio a cui sono stati sottopostidal Bat, la Brigata anti-terrori-

smo della polizia tunisina, i con-giunti di Yassine Laâbidi, uno deidue terroristi uccisi dopo l'assaltoal museo del Bardo. Padre, fratelloe sorella, a proposito dei 28 giorniche secondo gli investigatori l'uo-mo avrebbe trascorso in un campodi addestramento dell'Isis in Libia,hanno riferito che Laâbidi avevacomunicato di trovarsi a Sfax, inTunisia, per motivi di lavoro.

Se una svolta nelle indagini c'èstata, ieri, di certo è avvenuta lonta-no dalla stanza in cui i tre veniva-no torchiati. Secondoquanto riferi-to dal segretario di Stato per la sicu-rezza tunisina, Rafik Chelli, inun'intervista al quotidiano al-Ma-ghreb, sarebbe addirittura stato ar-restato il mandante della strage,un cittadino tunisino residente inBelgio indicato come il capo diuna cellula composta da 16 perso-ne, delle quali due con alle spalleesperienze combattenti in Siria. Re-sta invece latitante Maher binal-Moulidi Al-Qaidi, considerato ilterzo membro del commando inazione al Bardo.

Una cellula, sempre secondoquanto sostiene Chelli nell'intervi-sta, il cui contenuto non è stato pe-raltro smentito né confermato dalgoverno, legata a Okba bin Lafaa,brigata jihadista attiva soprattuttonell'area dei monti Châambi, alconfine dell'Algeria, un gruppoche in diverse azioni ha ucciso de-cine di soldati tunisini impegnatinel pattugliamento della zona. Ne-gli ultimi mesi Luqman Abu Sakhr,leader della formazione salafita euno degli uomini più ricercati del-la Tunisia, con l’evoluzione delconflitto in Libia sarebbe passatodall’orbita di al Qaeda a quella del-lo Stato islamico. Cosa che senz’al-tro spiegherebbemeglio la rivendi-cazione dell’attentato al Bardo,che ha provocato 23 morti, di cui20 turisti in visita al museo.

Aumentano intanto le adesionialla manifestazione di domenicaprossima, parola d’ordine «Lemonde est bardo», per quella chesi annuncia comeuna grandemar-cia di condanna e di sostegno inter-nazionale alla Tunisia, un po’ sulmodello della marcia parigina do-po l’attentato a Charlie Hebdo.Dall’Italia oltre al ministro degliesteri palo gentiloni confermarnola loro presenza il premier Matteorenzi e la presidente della CameraLaura Boldrini (ieri l'aula diMonte-citorio ha osservato un minuto disilenzio per commemorare le vitti-me dell'attentato, nel quale hannoperso la vita anche quattro italia-ni). L’Eliseo fa invece sapere cheanche il presidente Hollande saràin piazza a Tunisi.

Laprossima settimana invece sa-rà la volta del presidente del Consi-glio europeoDonald Tusk e dell’al-to rappresentante per la politicaestera dell’Ue, Federica Mogheri-ni. L’Ue parla di Tunisia anchenell'ultimo rapporto annuale sullerelazioni con i Paesi partner vicini,annunciando massima collabora-zione nella lotta al terrorismo «tra-mite un dialogo politico ma ancheprogetti concreti, nell'ambito diun sostegno più ampio alla rifor-ma del settore della sicurezza»

I partecipanti /«NON DIAMO RAGIONE AI TERRORISTI CAMBIANDO LE NOSTRE VITE»

La «normalità» è la resistenzadei giovani tunisini. E non solo

TUNISI NON È SOLA TUNISI NON È SOLA

La museologa Sameh Arfaoui critica la sceltadi riaprire il luogo della strage solo per un’élite.«Mascherata politicamente controproducente».Ma la società civile ha risposto con dignità

Dopo un’operazione compiuta in più città, compresa Marrakesh, la polizia ma-rocchina ha arrestato 13 persone sospettate di aver organizzato una «celluladell’Isis» e aver pianificato diversi attacchi in diverse zone del paese. Oltre agliattentati, il gruppo avrebbe organizzato anche il passaggio dei jihadisti diretti acombattere con gli uomini del Califfato in Iraq e Siria. Secondo quanto specifica-to alla Reuters dalla polizia marocchina, ai «terroristi» sarebbero state sequestra-te armi, computer e telefoni cellulari. Secondo quanto ricostruito dalle autoritàmarocchine, le armi sarebbe state procurate nell’enclave spagnola di Melilla.

«CELLULA TERRORISTA» TRE ARRESTI TRA ITALIA E ALBANIA Tre persone sono statearrestate ieri, con l’accusa di reclutare i foreign fighters, desiderosi di combattere nelle fila deicombattenti del Califfato in Siria e Iraq. «Diverse decine di persone sono passate negli anni attraversola filiera messa in piedi dalla cellula, che ritengo che non fosse l'unica in attività nel Paese», haspecificato il questore di Brescia, Carmine Esposito. «Anche la ricerca dell'autore del documentopropagandistico pubblicato su internet, un ventenne cittadino italiano di origine marocchina,residente in provincia di Torino, considerato l'autore del documento, non è stata semplice, data ladifficoltà ad associare una persona fisica all'autore di materiale circolante sul web». E naturalmentenon mancano le speculazioni politiche. La Procura di Brescia, che ha coordinato le indagini chehanno portato ad arresti di presunti fiancheggiatori dell'Isis in Italia dovrebbe diventare «una sorta disuper-procura nazionale» per il terrorismo islamico: è quanto ha chiesto ieri il vice-capogruppo dellaLega Nord al Consiglio regionale lombardo, Fabio Rolfi. In una nota l’esponente leghista haspecificato che «l'eccessiva presenza di immigrati islamici nella nostra provincia, sommata alladiffusione incontrollata di luoghi di culto, rende il nostro territorio particolarmente esposto».

LE INDAGINI

«Arrestato il capodella cellula»,dice alMaghreb

ALCUNI MOMENTI DELLA MARCIA CHE HA APERTOIL WORLD SOCIAL FORUM DI TUNISI

/FOTO LAPRESSE E LA VETRINA CON LA STATUETTAIN BRONZO DI DIONISO BAMBINO (II-III SEC. D.C.)

COLPITA DA UN PROIETTILE /FOTO SAMEH ARFAOUI

Nel museo colpito dall’attacco si discute se lasciare i foridei proiettili: « Anche questa è una tappa della nostra storia» Movimenti • Città invasa dagli altermondialisti. Per parlare di Mediterraneo,

migrazioni, media, sovranità alimentare, ambiente, clima. E pacePolemiche •

pagina 4 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

D opo settimane di attesa sembra che il Ddl sulla "Buo-na Scuola» sia stato rintracciato ieri dalle parti delQuirinale. Dove è in corso l’esame di un provvedi-

mento che istituisce la figura del «preside-padre-padrone» equella dei «docenti nomadi» costretti a cambiare scuola ognitre anni. Contro questo obbrobrio, che lunedì ha ricevuto la«bollinatura» da parte della Ragioneria di Stato andranno inpiazza gran parte dei sindacati della scuola il prossimo 18aprile. In attesa del parere del Quirinale voci insistenti ieri da-

vano il Ddl incardinato allaCommissione Cultura dovela discussione potrebbe par-tire lunedì 30 marzo (giornoin cui le commissioni non la-vorano) o più probabilmen-te il giorno successivo. La re-torica delle indiscrezioniparla di «cronoprogram-

ma», in puro stile renziano. I tempi sono da sincope: tempoper gli emendamenti fino al 24 aprile. Discussione negli ulti-mi tre giorni del mese e poi, sprintando, di corsa al Senato.Pronti per finire entro fine maggio quando le scuole dovran-no comunicare il piano formativo e dovranno sapere chi saràassunto. Sempre che non ci siano sorprese e intoppi, il che èprobabilissimo. Quelli che da sette mesi impediscono al go-verno di far coincidere gli annunci con la realtà.

Daniela Preziosi

E ssere definito «arrogante» daMassimo D’Alema, con annes-se polemiche, non lo ha preoc-

cupato. Forse però è stato proprio que-sto a ispirargli l’idea di sferrare l’ulti-mo affondo sulle minoranze Pd nelmomento della massima esposizionemediatica delle proprie divisioni. Perquesto ieri Matteo Renzi, nella casac-cadi segretario del Pd, è partito in con-tropiede convocando una riunionedella direzione sull’Italicum e sulle ri-forme. Mossa inaspettata: fin qui eraopinione diffusa che il fatidico votosull’Italicum alla camera, quello percui la minoranza ha lanciato avverti-menti e ultimatum, sarebbe arrivatopiù avanti, a maggio, dopo le elezioniregionali.

Invece Renzi accelera, cogliendo albalzo l’occasione di spaccare definiti-vamente le minoranze e imbarcareun’altra fetta della sinistra Pd. Nellaconvocazione della riunione infatti èspecificato che al termine della dire-zione «sonopreviste votazioni». Un vo-to gli darebbe così ilmandato di porta-re a casa definitivamente l’Italicum, e«senza cambiare una virgola», comeda settimane ripetono i renziani del gi-ro più stretto. La mossa è studiata. Et-tore Rosato, vicecapogruppo alla ca-mera, annuncia che oggi, alla riunio-ne della capigruppo, il Pd «proporràun’accelerazione sulla legge elettora-le. Non decide il Pd ma la capigrup-po», e aggiunge con nonchalance che«però non ci sono motivi per non esa-minare la legge elettorale, non ci sonoprovvedimenti in scadenza, i tempi cisono». Una decisione che può portarea una reazione a catena dentro il grup-po del Pd, almeno nella minoranzache a legge non modificata giura dinon votare l’Italicum. Peraltro l’an-nuncio arriva da un franceschinianomolto vicino a Renzi, e non dal capo-gruppo Roberto Speranza, che daesponente dell’alamoderata del bersa-

nismoha chiesto lemodifiche alla leg-ge elettorale. E invece da presidentedei deputati porterà la richiesta ’ren-ziana’ alla capigruppo.

Ma il tentativo di rompere il frontedelle minoranze è scoperto. La stradasembra segnata: «In direzione i rap-porti di forza sono sul filo del rasoio»,ironizzaGianni Cuperlo. I numeri del-la direzione sono a prova di bomba,per Renzi. Quanto alle minoranze,una parte non voterà il dispositivo, ri-vendicando un margine di autonomiasulla materia costituzionale assicura-to dagli statuti dei gruppi parlamenta-ri; un’altra voterà sì e sancirà la spacca-tura dei bersaniani e l’ingresso dell’aladialogante nella maggioranza del Pd.Nei fatti, la ripetizione tardiva dellamossa fatta dai giovani turchi un an-no fa, al momento dell’elezione diMatteo Orfini alla presidenza del Pd.

L’ala intransigente, uscita malcon-cia dall’assemblea di sabato scorso, siprepara a una battaglia che potrebbeessere la prima di una nuova fase. Ieriin Transatlantico D’Attorre spiegavache «sui tempi non abbiamo nulla daobiettare, il nostro obiettivo non èdila-torio. Vuol dire che la proposta di ungruppo di lavoro sulle riforme esull’Italicum lo ribadiremo in direzio-ne. Torniamo almetodoMattarella, ri-partiamo dal Pd per trovare l’accordocon tutti quelli che ci stanno. E se ci sa-rà una disponibilità, la minoranza ga-rantisce di non toccare più i testi nei

successivi passaggi». Anche Pippo Ci-vati spera «che Renzi venga in direzio-ne con la proposta di una serie di mo-difiche all’Italicum. Se non lo farà, citroveremo a votare quella legge nelpieno della campagna elettorale: poinon venga a dirci che vogliamo le divi-sioni, così è lui a creare un clima ditensione»

Il no di Renzi sembra però già scrit-to. È una sfida ai suoi, per costringerei più critici a ’pesarsi’. Emettere spalleal muro l’ex segretario Bersani: il ’pa-dre’ nobile del dissenso dovrà abban-donare quella autoinflitta «lealtà alladitta» ripetuta come un’ossessione erisolta in un regalone alla propagandarenziana. Per D’Attorre comunque «lamateria istituzionale non si risolvecon un voto in direzione, su questi te-mi è sempre stato riconosciuto unmargine di autonomia ai gruppi parla-mentari. Mi hanno fatto notare chenello statuto del primo gruppodell’Ulivo del 2006 la materia costitu-zionale era apertamente indicata co-me quelle per cui c’era una autono-mia dei gruppi». Così è anche negli sta-tuti parlamentari.

Ma la prova di forza del premiernon è solo interna: è anche rivoltaall’Ncd e a Forza Italia (alla camera pe-rò non servirebbero i voti dei dissiden-ti). Per dimostrare di essere l’uomo for-te di un quadro politico debole, tor-mentato e irredimibilmente ricattatodalla minaccia di voto anticipato.

Anna Maria Merlo

I l voto è la fotografia di un mo-mento, ma racconta anche lasituazione di fondo. Al primo

turno delle dipartimentali france-si, uno dei dati principali è l’esten-sione del voto per il Fronte nazio-nale su tutto il territorio, anche inzone finora refrattarie (l’ovest, ilcentro). Non è solo più l’elettoratoanziano o pied-noir del sud-est equello impoverito del nord a rivol-gersi all’estrema destra, ma Mari-ne Le Pen sembra aver fatto brec-cia nel mondo rurale o in quellocosiddetto «rurbano», ex abitantidelle città che si sono trasferiti incittadine o in campagna per ragio-ni soprattutto economiche, che su-biscono oggi la crisi e sembranoaver perso i punti di riferimentodel passato.

L’accusa fatta alla sinistra è dinon riuscire più a dare risposteconvincenti alle preoccupazionidei cittadini. Le divisioni hannofatto il resto, unite al tradizionalemessaggio di sfida al governo del-le elezioni locali. Con l’aiuto delsociologo Michel Wieviorka, stu-

dioso dellemanifestazioni del raz-zismo (tra i suoi ultimi libri, Pourla prochaine gauche, Robert Laf-font, 2011; L’antisémitisme expli-qué aux jeunes, Le Seuil, 2014),analizziamo il voto.Cosa dice della Francia di oggi ilrisultato di domenica, quandoun quarto del 50% che è andatoa votare ha scelto un partitoche propone xenofobia, antise-

mitismo, razzismo?E’ il frutto di una situazione politi-ca singolare. La sinistra è scredita-ta, ha fallito sul fronte economico.La destra coltiva illusioni,ma èmi-nata dalla guerra dei capi. Gli out-sider sono in condizioni favorevo-li. In Francia, poi, non ci sono inquesto momento movimenti so-ciali importanti, con una fortemo-bilitazione, un alto livello di pro-getto. Non esiste un’azione politi-ca e sociale tipo quella espressada Podemos in Spagna, per esem-pio. Invece, il paese è inquieto, dif-fidente, ha paura dell’avvenire. Vi-ve nell’attualità dei media, comese avesse perso il senso dello spes-sore della storia. Vive nel presenti-smo, chiuso nel tempo presente.Il Fn occuperà un posto impor-tante nel futuro del paese?

Il partito propone una societàchiusa, rispetto all’Europa, all’eu-ro, ai migranti. E’ senza alleati.Esercita un’attrattiva nella con-giuntura politica attuale. A breve,non si vedranno le conseguenzedel voto di domenica, perché al se-condo turno i dipartimenti finiran-no nelle mani della destra

Ump-Udi, in alcuni casi grazie aivoti della sinistra (in nome delFronte repubblicano), in altri peraccordi vergognosi con il Frontenazionale. Alle regionali, a dicem-bre, il Fn potrà avere una posizio-ne molto forte. Allora si prepare-ranno le presidenziali e le legislati-ve del 2017, e solo allora vedremose la Francia sarà capace di ferma-re questo fenomeno. Adesso è pre-sto per bloccarlo. Ma non bisognadisperare, in politica le cose posso-no cambiare in fretta.

Si può quindi non essere del tut-to pessimisti sul medio-lungo pe-riodo?

Nel ’97, l’allora presidente Chiracaveva convocato elezioni legislati-ve anticipate. La sinistra era a pez-zi, eppure ha vinto e ne è seguitoun governo di sinistra. Nel brevetermine, la situazione appare cata-strofica, con il Fronte nazionale al25%. Ma dopo le regionali le cosepossono cambiare, ci si renderàconto che la situazione è congela-ta. Il problema della sinistra oggi èche dà di sé un’immagine terrifi-cante, è divisa, non si sa dove va.Ma esiste, secondome, unpiccolomargine per riprendersi, ci può es-sere un’evoluzione, sia sul frontedell’unione con le altre compo-nenti della sinistra che su quelloeconomico, agendo a favore dellaredistribuzione e della crescita.

FRANCIA · Il sociologo Michel Wieviorka analizza il voto di domenica

«La sinistra è divisa e senza bussolae il paese ha paura dell’avvenire»

LEGGE ELETTORALE · L’ultimo schiaffo alla minoranza: subito il sì della direzione, poi in aula prima delle regionali

Italicum, Renzi accelera e sfida i suoi

«Per fermarel’ascesa di Le Penè presto. Ma dopole regionali le cosepossono cambiare»

Roberto Ciccarelli

M ancano 87 giorni, e 43 mila firmesu change.org, per chiedere l’ap-provazione al Parlamentouna ra-

pida discussione e approvazione di unalegge sul «reddito minimo o di cittadinan-za». «Unamisura necessaria, contro pover-tà emafie» sostengono le associazioni pro-motrici: Libera di Don Ciotti, il Bin - BasicIncome Network-Italia, il Cilap. Alla cam-pagna ha aderito la Fiom di Landini. Pertutta la giornata di oggi è previsto un «twe-et bombing» ai capigruppo di Camera e Se-nato, oltre che sul pluribersagliato ac-count twitter del presidente del ConsiglioMatteo Renzi. I materiali della campagnapossono essere scaricati dal sito web:www.campagnareddito.eu/partecipa/. Adoggi le firme raccolte sono 57mila. L'obiet-tivo è raggiungerne 100mila in 100 giorni.

Malgrado le risoluzioni dell'Unione Eu-ropea abbiano incoraggiato dal 1992 a defi-nire una soglia di reddito minimo garanti-to, l'Italia (insieme alla Grecia) non ha unalegge che garantisca una protezione eco-nomica per chi è disoccupato, precario oin povertà. La campagna «reddito per la di-gnità» sollecita uno deiWelfare più arretra-ti d'Europa a recuperare 23 anni di ritardoe promuove una misura ispirata ad unprincipio consolidato: il reddito minimo èstabilito almeno al 60%del redditomedia-no dello Stato membro.

In parlamento esistono due proposte dilegge presentate da Sinistra Ecologia e Li-bertà sul «reddito minimo» (nata da unaproposta di legge popolare) e dal Movi-mento 5 Stelle sul «reddito di cittadinan-za», oggi incardinate nella commissioneLavorodel Senato dove sono in corso le au-dizioni. La campagna «Reddito per la di-gnità» propone mediazione migliorativatra proposte non proprio coincidenti:«Redditominimoodi cittadinanza». In tut-ta evidenza, si tratta di misure diverse: ilreddito minimo è condizionato alla sceltadi un lavoro congruo, quello di cittadinan-za è rivolto a tutti i residenti. Da precisareche la proposta dei Cinque Stelle non corri-sponde ad un «reddito di cittadinanza»,ma è in realtà un reddito minimo soggettoa limitazioni ispettive e lavoriste. Alla basedi questo equivoco c’è una confusione ter-minologica in cui tutto il sistema mediati-co si è fatto trasportare in modo acritico.

La proposta di Libera, Bin e Cilap invo-ca un accordo sulla base di quattro princi-pi: il reddito dev'essere individuale, suffi-ciente, congruo rispetto alle competenzeal reddito e al lavoro precedente e riserva-to a tutti i residenti. La campagna proponeinoltre un doppio passo in avanti. Il reddi-to minimo non va considerato come unamisura alternativa al sussidio di disoccupa-zione (la «Naspi» o il «Dis-Coll» previsti dalJobs Act) e, tanto meno, un sussidio con-tro la povertà assoluta. Dev'essere invececonsiderato anche uno strumento oppo-sto a chi pensa che un reddito deve essereaccettato in cambio di un lavoro «purchésia». Sono elementi utili per prefigurareuna riforma delWelfare in senso universa-listico, ben diversa da quella contenutanel Jobs Act per il solo lavoro dipendente.

Il costo del reddito minimo sostenutodalla campagna «Reddito per la dignità»varia tra i 15 ai 26 miliardi di euro. L’incer-tezza deriva anche dal fatto che nel nostropaese esistonomisure frammentate e inco-erenti che andrebbero semplificate e gra-dualmente accorpate. Una buona parte diquesti fondi potrebbero essere ricavati dauna riduzione strutturale delle spese mili-tari, da una imposta sui grandi patrimonie da una maggiore tassazione dei giochid’azzardo.

Ipotesi ormai di senso comune, nella so-cietà e in una larga porzione dell'opposi-zione parlamentare, che non ha ancoratrovato una sponda nel governo che hapreferito l'erogazione a pioggia del bonusIrpef da 80 euro per il lavoro dipendentecon un costo di 10 miliardi all'anno. Soldiche avrebbero potuto essere usati in ma-niera più efficace e universale, senza cede-re a tentazioni populistiche ed elettoralisti-che come invece ha fatto Renzi.

POLITICA

MATTEO RENZI FOTO MAX ROSSI-REUTERS

D’Attorre fa l’ultimotentativo di

mediare: «Convochiun tavolo, ripartire

dal metodoMattarella». Ma

la sinistra potrebbespaccarsi. I ’duri’verso il non voto

Scomparsa dasettimane, la «BuonaScuola» ieri è stataavvistata dalle partidel Quirinale

SCUOLA

Il Ddl alla Camerail 31marzo. Forse

OGGI IL TWEET BOMBING

Per essere degnici vuole comeminimo un reddito

GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 il manifesto pagina 5

Carlo LaniaROMA

L a necessità di contrastare ilterrorismo internazionale ri-schia di trasformarci tutti e a

nostra insaputa in sorvegliati spe-ciali. Il pericolo, per niente teorico,è contenuto nel decreto antiterrori-smo varato dal governo e in discus-sione alla Camera. Salvo correzionidell’utimominuto, il testo licenzia-to dalle Commissioni Difesa e Giu-stizia prevede infatti la possibilitàper la polizia di utilizzare program-mi che consentono di controllareda «remoto» le comunicazioni e idati presenti in un sistema infor-matico, ma anche di effettuare in-tercettazioni preventive sulle retiinformatiche. Una possibilità cheal momento non è limitata ai solisospetti di terrorismo, ma estesa atutti i cittadini indiscriminatamen-te. «Una svista» per il deputato diScelta civica Stefano Quintarelliche per primo ha denunciato i ri-schi di un nuovo e più estesoGran-de fratello dal quale sarebbe impos-sibile difendersi. La speranza è cheora l’aula intervenga correggendoil tiro e introducendo paletti che li-mitino i controlli a soli soggetti so-spetti tutelando di più la privacydei cittadini.

Ma non si tratta dell’unica novi-tà introdotta dalle commissioni.

Un emendamento del relatore PdAndrea Manciulli e chiamato «an-ti-Greta e Vanessa» dal nome delledue volontarie rapite e poi rilascia-te in Siria, introduce per la primavolta la responsabilità individualeper quanti decidono di recarsi inPaesi considerati a rischio dalla Far-nesina. Un modo per scoraggiareviaggi in aree considerate pericolo-se e come tali indicate sul sito delministero degli Esteri. «Resta fer-mo - specifica la norma -, che leconseguenze dei viaggi all’estero ri-cadononell’esclusiva responsabili-tà individuale e di chi si assume ladecisione di intraprendere o di or-ganizzare i viaggi stessi».

Ieri il decreto è stato bloccato inattesa di un parere del governo sualcun emendamenti per i qualimanca la copertura di spesa. La si-tuazione dovrebbe sbloccarsi oggi,ma visti i 250 emendamenti presen-tati dalle opposizioni, palazzo Chi-gi sta valutando la possibilità di unricorso al voto di fiducia in mododa poter licenziare il testo martedìprossimo. Già oggi, però, si sapràse saremo destinati a perdere unagrossa fetta della nostra libertà. A ri-schionon c’è infatti solo il contenu-to di una conversazione telefonica,ma tutto ciò che abbiamo inseritonel nostro computer ritenendoloal sicuro da occhi indiscreti: foto-grafie, scritti, filmati, registrazioni,

appunti di lavoro, corrispondenzacon gli amici. Tutta una vita a di-sposizione di chi sarà addetto aicontrolli. Tecnicamente questo sa-rà possibile grazie a captatori infor-matici (Trojan, Keylogger, snifferecc.) che dopo essere stati scaricaticasualmente consentiranno alleautorità di sicurezza di accedere ai

nostri dati senza limiti di tempo.«Con questo emendamento l’Italiadiventa, per quanto a me noto, ilprimo paese europeo che rendeesplicitamente ed in via generaliz-zata legale e autorizzato la “remotecomputer searches“ e l’utilizzo dicaptatori occulti da parte dello Sta-to!», scrive Quintarelli sul suo sito.

«L’usodi captatori informatici qua-le mezzo di ricerca delle prove -prosegue - è controverso in tutti ipaesi democratici per una ragionetecnica: con quei sistemi compiouna delle operazioni più invasiveche lo Stato possa fare nei confron-ti dei cittadini». E’ opportuno ricor-dare come solo due giorni fa il ga-rante per la privacy Antonello Soroha espresso preoccupazione per lamancata proporzionalità esistentenel decreto tra le esigenze della pri-vacy e della sicurezza.

Il decreto prevede inoltre altremisure finalizzate contrastare il ter-rorismo internazionale. Si va dallostanziamento di 40 milioni di europer lamissionemare sicuro nelMe-diterraneo, all’affidamento al pro-curatore nazionale antimafia an-che delle indagini sul terrorismo.Prevista inoltre la reclusione dai 5aglim 8 anni di carcere per i forei-gn fighters, l’aggravante se reati co-me l’arruolamento e la propagan-da vengono effettuati via web e laperdita della patria potestà per icondannati per associazione terro-ristica che abbiamo coinvolto deiminori nella realizzazione del rea-to. Infine il decreto consente l’arre-sto in flagranza per gli scafisti, i pro-motori, gli organizzatori e i finan-ziatori dei viaggi dei migranti. oltreall’assuzione di 150 carabinieri eall’aumentodi 300 unità del contin-gente impiegato nell’operazionestade sicure.

Il leghista è un fascio disadattato re-duce dall’Iraq con un retrogusto diambiguità patriottica e disastro fami-

liare alle spalle, tipo film di Clint Eastwood.Punto di partenza: il 1992 è stata l’infanzia

di un Paese nuovo («il futuro non èancora scritto», recita il sottotitolodella serie Sky). Alla seduzione (e al-la nostalgia) del «quando tutto eraancora possibile» è difficile resiste-re. Ma non sarà un caso se i pochifilm che in Italia hanno raccontatoquel momento in presa diretta sonostati comici, cinici e di grana grossa(Anni ’90 di Oldoini, Spqr dei Vanzi-na e poi cos’altro?). Il portaborse èdel 1991.

Ed è precisamente qui che entrain gioco l’estetica delle serie ameri-cane. Che è fichissima. Nelle serieamericane nessuno è mai completa-mente buono e mai completamen-te cattivo. Guidato dai propri istintitiranni, alterna pose shakespearia-ne a battute da barzelletta. Alta la ca-rica erotica (i bambini sono a letto,o guardano youtube sul tablet), cultil livello del trovarobato e dei costu-mi, la regia non risparmia soluzioniardite. Le serie americane sonoquella cosa in cui a ogni minutouno sceneggiatore, un attore o unregista ti convince che sta facendouna cosa pazzesca, e ti strizza l’oc-chio. Tu strizzi l’occhio a lui. Le sce-ne americane sono quella cosa incui spesso la sceneggiatura è molto megliodella vita vera.

Pure gli sceneggiatori di 1992 ti fanno l’oc-chiolino. Esibiscono con civetteria i loro riferi-menti (peccano di provincialismo? E il Rosi

delle Mani sulla città allora dove lo mettia-mo?) Citano un testo chiave della narrativastorica moderna come American Tabloid diJames Ellroy, da cui proviene la struttura coni personaggi inventati che simuovono accan-to ai personaggi veri. Che ci riescano fino infondo è un altro paio di maniche ma fa partedel gioco. Ogni imprecisione, ogni caduta distile, ogni dialoghetto da sceneggiatore italia-

no, ogni oggetto sbagliato si ritorcerà controdi loro: la tv contemporanea vive in simbiosicon i social network, e il livello di sbeffeggiomartedì sera è stato medio-alto. Però le som-me, come sempre dicono gli allenatori di cal-

cio, si tirano alla fine.Sposteremo invece l’accento non sul «sa-

per fare» (le serie americane, noi, in Italia, do-po Gomorra e Romanzo Criminale ecceteraeccetera), ma sul «poterle» fare. A saperle fa-re prima, le serie americane, ci saremmo ri-sparmiati tante menate sulla procura di Mi-lano, la pacificazione nazionale, l’uscita daTangentopoli, le discese in campo, Vespa,

Fede, Liguori e tutto il resto. A poterlefare ci saremmo risparmiati tanta pes-sima televisione: i santi, gli eroi e leguardie forestali della fiction del ven-tennio. Perché c’è una quarta possibi-lità rispetto alla Storia (e neppurequesta il buon Marx avrebbe potutoprenderla in considerazione): checioè la storia si ripeta come una fic-tion Rai/Mediaset. Incubo di ognispettatore radical, di ogni sceneggia-tore ambizioso, di ogni attore con pre-tese di contribuire alla crescita cultu-rale del proprio paese.

Nella storia della narrazione televi-siva italiana ci sono voluti vent’anniper poter pronunciare seriamenteuna battuta come quella di Dell’Utrisulla Repubblica delle Banane da sal-vare a tutti i costi. Ce ne sono volutialtrettanti per mettere in bocca a An-tonioDi Pietro la frase: «Questa è Tan-gentopoli signori, rock’n’roll!». Van-no messe a verbale, perché per noiequivalgono alle grandi sfide liberalche animano le migliori serie ameri-cane: tipo il vecchio padre che diven-ta trans in Transparent, o la famigliaex rappettara criminale miliardaria diEmpire, per citarne solo due recenti.

E va messa a verbale un’altra cosa:nelle prime due puntate di 1992 non c’è nep-pure un personaggio che possa dirsi di sini-stra. Soltanto ex, sparsi, smarriti. Gli unici pro-babilmente appetibili per gli sceneggiatori diuna ambigua serie americana.

1992, «QUANDO TUTTO ERA ANCORA POSSIBILE»

L’incubo peggiore per i «radical»

Domenico CirilloROMA

H anno scelto il primo apri-le, mercoledì prossimo,come il giorno giusto per

l’approvazione (in prima lettura)della legge cosiddetta "anticorru-zione" al senato. La legge - ottoarticoli piuttosto modificati ri-spetto alla proposta di inizio legi-slatura del presaidente Grasso -prevede sostanzialmente l’innal-zamento delle pene per la corru-zione (si arriva fino a 12 anni perla corruzione in atti giudiziari) ela riformulazione del reato di fal-so in bilancio, con un regime piùtollerante per le società non quo-tate. Non proprio quell’interven-to "di sistema" tanto spesso evo-cato, ma anzi un provvedimentonemmeno coordinato con quel-lo approvato martedì alla came-ra che allunga i termini di prescri-zioneper la stesso reato di corru-zione.

Da qui - anche da qui - i pro-blemi nella maggioranza, con glialfaniani che si sono astenuti aMontecitorio e che minacciano"battaglia" a palazzo Madama(dove possono essere determi-nanti). Tensioni ravvivate ieri dal-la presidente della commissionegiustizia della camera. la demo-craticaDonatella Ferranti, secon-do la quale "il preoccupante da-

to che emerge dal report dell’Oc-se sulla corruzione rende a mag-gior ragione incomprensibile l’at-teggiamento del Ncd, mi auguroun ravvedimento operoso al se-nato".

Il report dell’Ocse in questioneè in realtà il documento prepara-torio della conferenza sulla corru-zione che è cominciata ieri a Pari-gi, chepeggiora le già pessime sti-me del 2013 di Transparency in-ternational, spostando l’Italia dalterzultimo all’ultimo posto tra ipaesi sviluppati quanto a corru-zione percepita.

Il primo risultato del grandefreddo tra Ncd e Pd - la cui origi-ne ha a che fare con la corruzio-ne sono nel senso che riguardale dimissioni dell’ex ministro Lu-pi e la partita per la sua sostitu-zione - è appunto la frenatasull’anticorruzione. Che esponeil presidente del senato a una gaf-fe: Grasso comincia la giornataprevedendo un’approvazionedell’aula entro la settimana, poi ,dopo la conferenza dei capigrup-po, deve prendere atto che si vaa mercoledì. E fedeli all’accordo,i senatori del Pd cominciano dasubito a intervenire inmassa nel-la discussione generale - mentrein tanti altri passaggi come le ri-forme o la legge elettorale hannosaputo dare prova dimutismo in-teressato.

Contraria Forza Italia, che par-la di provvedimento "manife-sto", "non una buona legge mauna grida manzoniana per dareun segnale". Sono critici,ma nonnel tutto, i grillini e Sel. E la stes-sa posizione potrebbe assumerela Lega. Nel conteggio finale, i 36voti degli alfaniani possono risul-

tare indispensabili. Il ministrodella giustizia Orlando si esercitaallora in una professione di sere-nità: "Il relatore è del Ncd, il te-sto è concordato con il Ncd, nonvedo perché dovrebbero darebattaglia".

Oggi emartedì prossimo saran-no i giorni dedicati all’esame de-gli emendamenti, prima delle di-chiarazioni di voto e del voto fi-nale mercoledì pomeriggio. Gliemendamenti sono 213 e nonmancano proposte di modificafirmate da senatori del Pd, anzisono almeno una quindicina.Tra queste una che si riferisce di-rettamente alla prescrizione (lalegge approvata in prima letturaalla camera) e propone di conge-larla del tutto dopo il rinvio al giu-dizio (idea anche dei grillini). Unaltro emendamento riscrive lalegge Severino, riportando aun’unica fattispecie la concussio-neper costrizione e la concussio-neper induzione (della distinzio-ne ha beneficiato Berlusconi nelprocessoRuby). Una terza propo-sta di modifica del Pd aumentala penamassimaper il falso in bi-lancio delle società non quotate,così da consentire il ricorso alleintercettazioni durante le indagi-ni. In ognuno di questi passaggi isenatori del Ncd saranno sicura-mente di opinione opposta.

OCSE · Corruzione percepita, Italia al top

Nelle prime due puntate non c’è neppureun personaggio di sinistra. Soltanto ex,sparsi, smarriti. Gli unici probabilmente

appetibili per gli sceneggiatoridi una ambigua serie americana

SENATO · Pd e Ncd vanno in direzione opposta

Legge anticorruzionerinviata al primo aprile

Orlando ottimistasugli alfaniani:«Il relatore è loro,perché dovrebberodare battaglia?»

SPIE COME NOI

Scarsa fiducia nel governo e convinzione diffusa che ci sia un alto livello di corru-zione nelle istituzioni. Nel documento dell'Ocse «Cubbing corruption. Investing ingrowth» presentato ieri, che riporta uno studio Gallup, l’Italia è al top: la percezio-ne della corruzione nelle istituzioni è al 90%. La fiducia nel governo poco sopra il30. L’Ocse, a convegno sulla corruzione a Parigi, ricorda i costi della corruzione,dalle spese più alte per le opere pubbliche alla loro scarsa qualità. Il costo di truf-fe e corruzione negli investimenti pubblici è anche politico e istituzionale con seririsvolti per la legittimazione dell’apparato dello Stato e il funzionamento delle isti-tuzioni. «C’è una stretta connessione - dice il capogabinetto del Mef Roberto Garo-foli - tra economia e legalità o illegalità. La corruzione crea danni di sistema nonscientificamente misurabili ma che influenzano l’andamento dell'intera economia.Secondo alcune tesi c’è correlazione tra crescita del Pil e indice di percezione del-la corruzione. Il Pil aumenta dove la corruzione è meno percepita e viceversa».

La polizia potràfare controlli sullecomunicazionie i dati contenutinei computer

TERRORISMO · Prevista anche una norma «anti-Greta e Vanessa» per chi si reca in Paesi a richio

Sorvegliati per decreto

DALLA PRIMAAlberto Piccinini

pagina 6 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

Luca Tancredi BaroneBARCELLONA

S olo le tragedie sono capaci direstituire a tutti gli altri pro-blemi la loro giusta importan-

za. Se due giorni fa i giornali spa-gnoli erano pieni di commenti sul-le elezioni in Andalusia o sulle inda-gini per la corruzione dei due prin-cipali partiti spagnoli, ieri improvvi-samente la tragedia aveva occupa-to ogni spazio informativo. 150 per-sone morte in un volo di linea cheuniva Barcellona aDüsseldorf han-no sconvolto Spagna, Germania eFrancia, sul cui territorio è avvenu-to l’incidente.

Il volo 4U9525dellaGermanwin-gs, la filiale low cost della Lufthan-sa, aveva lasciato l’aeroporto delPrat di Barcellona alle 9.55 di mar-tedì mattina, con qualche minutodi ritardo, con 144 passeggeri, 2bebè e seimembri dell’equipaggio.Alle 10.31, sorvolando le Alpi fran-cesi, inizia una strana discesa, pas-sandoda 11milametri di altitudinea circa 3000 in 8 minuti. Osservan-do l’improvvisa discesa, il centro dicontrollo francese cerca di metter-si in contatto con i piloti, senza suc-cesso. Non è chiaro cosa sta succe-

dendo, l’unica cosa che si sa è che ipiloti non lanciano nessun allar-me. L’ultimo segnale il transpon-der dell’aereo lo manda alle 10.41.

Questa breve ricostruzione deifatti è stata confermata ieri da Ré-mi Jouty, presidente dell’agenziaBea francese, incaricata delle inda-gini aeree, durante una conferenzastampa alle 16. Nel frattempo sulposto sono arrivati i leader dei trepaesi a cui appartengono la mag-gior parte delle vittime. I soccorsisono resimolto complicati dalla na-tura del terreno. Il paesino più vici-no si trova a circa 10 km di terrenomontagnoso dal luogo dell’impat-to e le autorità avvertono che ci po-trebbero volere giorni per recupe-rare i corpi e reperti fondamentaliper le indagini. Ieri sera all’ora diandare in stampa non era ancorastata recuperata una delle due sca-tole nere, quella che registra i datidi bordo. L’altra, con le voci in cabi-na, era già nellemani della Bea che

durante la conferenza stampa haconfermato che contiene dati "leg-gibili" anche se con cautela ha det-to che ci vorrà qualche giorno pri-ma di poter dare informazioni at-tendibili. Alla domanda se si potes-sero riconoscere le voci dei piloti,Jouty non ha risposto.

In teoria sono aperte tutte le ipo-tesi, ma nelle ultime ore si sta re-stringendo il campo. Lo stesso Jou-ty ha scartato esplicitamente unblocco del motore o che il tempopossa essere stata una delle cause.Anche lo scenario di un’esplosionein volo è escluso, perché i restidell’aereo sono troppo piccoli. Ilpresidente di Lufthansa ha dichia-rato ieri sera in una conferenzastampa congiunta con l’ammini-stratore delegato di Germanwingsa Barcellona che «l’incidente è in-comprensibile». Molti osservatori,come per esempio alcuni piloti delblog PPrume (Professional PilotsRumor Network, http://www.ppru-ne.org) pur in assenza di dati certie contrastabili,manifestano la pos-sibilità che ci sia stata una depres-surizzazione (forse dovuta a un im-patto) che abbia costretto i piloti auna brusca manovra di discesa (aquell’altezza la percentuale di ossi-geno nell’aria è troppo bassa, e cisonopochi secondi primadi perde-re la coscienza se non si indossanole maschere). Alcuni infatti parla-no di piloti forse privi di sensi. Ilche, secondo alcuni, spiegherebbeche il volo abbia proseguito in li-nea retta. Ma, come detto, tuttequeste per ora sono illazioni.

JoanHernández, pilota commer-ciale di linee aeree di stanza a Bar-cellona sentito dal Manifesto, con-ferma che la discesa è sì «rapida,ma non straordinaria, e forse è do-vuta a una depressurizzazioneesplosiva o comunque a un’emer-genza». In casodi depressurizzazio-ne «a quell’altezza ci sono solo 18secondi di coscienza». Negli aereiattuali ci sono «dai 15 ai 22minuti»di ossigeno, «abbastanza tempoper prendere la decisione, una vol-ta arrivati all’altitudine di 3000me-tri dove l’aria è di nuovo respirabi-le, di sviare il volo dall’ostacoloprincipale: le Alpi». Hernández ri-corda che ci sono tre regole per ilvolo: «Volare, compito del pilota, ecioè in questo caso rimanere inaria e scendere di quota; navigare,cioè assicurarsi che non ci sianoostacoli, cercare gli aeroporti più vi-

cini o dirigersi verso il mare, e cal-colare il combustibile rimanente,compito del copilota; e comunica-re, sempre compito del copilota».Sempre che aggiunge Hernández,«non ci fosse unproblemanei siste-mi di comunicazione».

Quello che è certo è che non ap-pena saputo dell’incidente in Fran-cia sono scattati i protocolli diemergenza (Hollande ha dato unaconferenza stampa praticamentein contemporanea con l’uscita del-la notizia) e a Barcellona e Düssel-dorf è stato immediatamente mes-so a disposizione delle famiglie eamici delle vittimepersonale quali-ficato per trattare in casi delicati co-me questi.

Come sempre, sono le storie per-sonali a fissarsi nellamente: la navi-gazione aerea è così presente nellenostre vite che ciascuna delle vitti-me potrebbe essere uno di noi. Suquella rotta viaggiavano in moltiper lavoro, ma anche un’interaclasse di sedicenni con i loro pro-fessori, di ritorno da un intercam-bio con una scuola catalana. O duecantanti d’opera che avevano appe-na finito di rappresentare il Sigrfridal Teatro Liceu, una delle quali conil suo bebè. O lamamma che anda-va a trovare suo figlio in Erasmus.Martedì mattina non c’è stata nes-suna impresa, ente o istituto in Ca-talogna che non abbia immediata-mente controllato che fra i suoi di-pendenti non ce ne fosse qualcunoin volo. Persino il presidente spa-gnolo Rajoy e il presidente catala-no Mas per la prima volta da mesisi sono parlati al telefono per coor-dinarsi e per viaggiare assieme ver-so le Alpi.

Antonio Sciotto

«A nche io piloto un AirbusA320, come quello cheha avuto l'incidente in

Francia. E certo non è piacevolepensare che potrebbe accadertiuna cosa simile. Ma noi ci sentia-mo sicuri, i nostri voli sono sicu-ri». Stefano Di Cesare, 45 anni, la-vora comeprimoufficiale in Alita-lia e nel sindacato è responsabilepiloti della Fit Cisl. Spiega che glistandard applicati nel sistema dicontrollo, fissati in Italiadall'Enac, sono rigidi e vengono ri-spettati:ma dall'altro lato, le com-pagnie low cost, alcune almeno,esercitano una pressione sul per-sonale navigante tale che a volte ilconfine tra regola e trasgressionediventa molto sottile.Cosa avete pensato, tra piloti eassistenti di volo, quando avetesaputo dell'incidente?Io sono in Alitalia da 17 anni, e

da 12 lavoro proprio sugli AirbusA320. Quindi sono veicoli familia-ri, che conosco bene. Nel casodell'aereo che ha avuto l'inciden-te, se ho capito bene, parliamo diun'anzianità di 24 anni, la nostraflotta Alitalia ha una media di 8

anni: ma se i controlli e gli stan-dard sono rispettati, la maggioreetà di un aeromobile non lo rendemeno sicuro. Prima di ipotizzarequalsiasi cosa, dobbiamo aspetta-re di capire cosa contengono lescatole nere, sapere cosa è succes-so nel cockpit, la cabina di pilotag-gio, e nell'intera cellula dell'aereo,sentire le analisi degli esperti.Vi sentite sicuri?Qui posso parlare come pilota

Alitalia, e dico sì: ci sentiamo sicu-ri. Gli standard di controllo sonoalti, e noi li rispettiamo conassolu-to rigore.Vale anche per le compagnielow cost?Gli standard fissati dall'Enac so-

no uguali per tutti, quindi sia lecompagnie tradizionali che le lowcost applicano procedure operati-ve e di discrezionalità da parte

dell'equipaggio, che sono pratica-mente equivalenti. Ma certamen-te alcune low cost, avendo comeprimo obiettivo il massimo utiliz-zo degli aeromobili e lamassimiz-zazione del profitto, diciamo chestressano di più il personale, equesto può ripercuotersi sulle pro-cedure e sul grado di discrezionali-tà nel prendere le decisioni.In pratica si rischia di avere ungrado di sicurezza inferiore?Non possiamo generalizzare.

Ci sono low cost come Easyjet chein realtà sono molto vicine allostandarddi compagnie tradiziona-li come Alitalia. Non c’è quellostress sui piloti e sugli assistenti divolo che invece troviamo esercita-to in altre compagnie. Il persona-le non sempre riesce a esprimeredubbi e lamentele, ci può essere iltimore di parlare con il sindacatoo con la stampa: in Ryanair, adesempio, i piloti e gli assistenti divolo hanno denunciato più volte,spesso camuffandosi, unapressio-ne sui tempi. L’ultimo serviziol’ho visto alla tv tedesca. Intendia-moci, si resta comunque dentrogli standard di sicurezza, ma la li-nea di travalicamento può diven-taremolto sottile se devi per forza

riportare l’aeromobile alla base.Gli standard ci sono, insomma,e tutti devono ugualmente ri-spettarli, ma poi si corre. E se cisono anomalie nell’aeromobile?Può capitare in casi ecceziona-

li che qualcuno voglia spingere lamacchina al massimo, pur di por-tare a termine il volo: volo che inaltre aziende, dove l’organizzazio-ne e i tempi sono diversi, magariavresti cancellato. La decisione èautonoma e spetta al comandan-te e al primoufficiale, che in gene-re decidono insieme: la responsa-bilità giuridica, comunque, secon-do il Codice di navigazione, alla fi-ne è solo del comandante. Se le

pressioni della compagnia sonoforti, il margine di discrezionalitàsi restringe. Se vedo che c’èun’anomalia e decido di restare aterra, garantisco più sicurezza.La presenza del sindacato, di uncontratto, aiuta? Nelle low costnon sono molto presenti.

Dico sempre che ovunque ci sia ilsindacato confederale, il persona-le si sente più tutelato, anche neldenunciare le anomalie.Maovvia-mente non significa automatica-mente che ci sia più sicurezza. InAlitalia ad esempio abbiamo unente preposto a queste problema-tiche, e una figura di raccordo tral’azienda e il sindacato.

Strage aereo, «leggibile»una scatola nera

HOLLANDE E RAJOYSUL LUOGO DELLATRAGEDIA. SOTTO,L’OMAGGIO ALLE

VITTIMEFOTO

LAPRESSE -REUTERS

IN CABINA · Standard di sicurezza rispettati: ma si rischiano le eccezioni

«In alcune compagnie low costla pressione sui piloti è insostenibile»

EUROPA

Ritrovato unodei due registridi bordo.Ma ancoranessuna ipotesisulle causedell’incidente

La Spagna è sotto choc,Rajoy e il presidentecatalano Mas per laprima volta da mesitornano a parlarsi

STEFANO DI CESARE, 45 ANNI: DA 17 È PRIMO UFFICIALE IN ALITALIA E SINDACALISTA FIT CISLDi Cesare guida unA320, come quellodella tragedia.Il comandante e ilpeso delle aziende

GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 il manifesto pagina 7

Chiara Cruciati

L a marcia dei ribelli sciitiHouthi su Aden è comincia-ta, la città èprossima alla ca-

duta.Dopo il fallimento del nego-ziato e la conseguente chiamataalle armi per rovesciare il presi-dente Abd Rabbo Mansour Hadi,ilmovimento ha lanciato ieri l’of-fensiva contro la capitale provvi-soria del paese.

È alle battute finali la battagliaper lo Yemen, a cui potrebbeprendere parte l’esercito saudita,dispiegato al confine. Ieri i ribellisciiti, che da settembre hanno as-sunto il controllo della capitaleSana’a, hanno arrestato il mini-stro della Difesa, Mahmud al-Su-baihi, nella città di Houta. Nellestesse ore aerei da guerra bom-bardavano il palazzo presidenzia-le di Aden,mentre forze governa-tive passate con i ribelli e milita-ri fedeli all’ex presidente Salehprendevano il porto e l’aeropor-to della città ed esplosioni risuo-navano nella base dell’esercito.Hadi è fuggito via mare nel po-meriggio, fanno sapere funziona-ri della sicurezza yemenita. Nes-suno sa dove sarebbe diretto,ma la sua assenza lascia campolibero allo scontro tra Houthi, tri-bù sunnite e gruppi estremisti.E, forse, sauditi.

Su di lui pesa una taglia da100mila dollari, messa sul tavolodagli Houthi ormai intenzionatia porre fine alla guerra civile assu-mendo il potere. E occupandoaree strategiche: nella marcia danord, loro roccaforte, verso sud,gli sciiti hanno preso possesso dinumerose comunità fino adoccu-pare ieri la basemilitare di Al-An-nad, a 50 km da Aden, utilizzatadall’esercito Usa come piattafor-ma di lancio dei droni anti-al Qa-eda. Dopo la presa di Al-Annad,gli Houthi sono tornati ad attac-care Houta: testimoni racconta-no di corpi senza vita lungo lestrade e del rumore continuo del-le armi automatiche in moltiquartieri.

All’avanzata sciita rispondonogli alleati del presidente Hadi:l’Arabia Saudita ha dispiegatol’artiglieria pesante lungo il confi-ne con lo Yemen, il più poverodel Golfo e per questo da decen-ni cortile di casa saudita. Riyadhe Washington la definiscono unamossa a fini solo difensivi. Ma laverità è che la petromonarchia,che non ha disdegnato in passa-to di intervenire per frenare le ri-bellioni sciite e soffocare le prote-ste popolari, non intende lasciare

alcuno spazio di manovra al ne-mico Iran, accusato da più partidi guidare il colpo di Stato Hou-thi. Ora la probabilità di un’inva-sione via terra dello Yemen si fasempre più concreta.

Ufficialmente l’Arabia Sauditaha fatto sapere di voler decidereun eventuale intervento oggi, du-rante il meeting della Lega Arabain Egitto, anticipato di un giornoper far fronte all’escalation delleviolenze. Agli appelli regionali aldialogo, gli Houthi hanno rispo-sto con un secco no, consapevoliche il tavolo sarebbe gestito daisauditi a scapito delle richiestedegli sciiti che altronon chiedeva-no che riformedemocratiche e di-stribuzione del potere. E al noHouthi ha reagito il governo uffi-ciale che due giorni fa si era ap-pellato alla comunità internazio-nale perché intervenisse in Ye-men: prima al Consiglio di Sicu-rezza e poi al Consiglio di Coope-razione del Golfo, che si è dettodisposto ad assumere «le misure

necessarie».Perché in Yemen a scontrarsi

non sono solo gruppi avversari in-terni. In corso c’è una guerra perprocura tra i due potenti assi re-gionali, lo sciita guidato da Tehe-ran e il sunnita con a capo Ri-yadh: «Il rischio di frammentazio-ne è elevatissimo perché i gruppiinteressati sononumerosi e ognu-no con una zona di influenza –spiega al manifesto l’analista ye-menita Sama’a al Hamdani – Ilnord non è del tutto sotto l’in-fluenza iraniana, così come il sudnon è interamente controllatodai sauditi. L’Iran sostiene i suoialleati e l’Arabia Saudita fa lo stes-so, seppur tale sostegno sia diver-so. Per anni l’economia yemeni-ta è sopravvissuta con l’aiuto fi-nanziario di Riyadh, mentre l’in-tervento iraniano è più logistico».

«Il timore è che la frammenta-zione dello Yemen non seguirà iconfini del 1990: accanto alla divi-sione nord-sud, ne esistono altre.Lo scenario peggiore prevedepar-

te del nord controllato dagliHou-thi, che potrebbero prendere an-cheTaez e Ibb, comunità che si ri-belleranno al controllo sciita. Leregioni diMarib e al-Jawf finireb-bero inmanoalle tribù sunnite lo-cali, quelle a sud (Socotra, Ha-dhramout, al-Mahara) si autogo-vernerebbero. E Lahj e Abyan po-trebbero finire definitivamenteinmano adalQaeda».Uno scena-rio distruttivo, una divisione arti-colata a cui si aggiunge la vocedei fedelissimi dell’ex presidenteSaleh: ieri il portavoce del cosid-detto Alto Comitato per la difesadelle forze armate (formato damilitari ancora vicini al dittatoredeposto) ha annunciato che ilgruppo prenderà le armi controqualsiasi interferenza esterna.Dopo la caduta di Saleh,Washin-gtonha accettato la nuova leader-shippro-saudita, senza tener con-to delle istanze delleminoranze edi un popolo sceso in piazza perla democrazia, pur di salvare laguerra dei droni.

Ucraina/ I CLAN HANNO PRESO IL SOPRAVVENTO, IN BALLO GLI «AIUTI» OCCIDENTALI

Arrestati due funzionari governativi, ormaiè guerra aperta tra Poroshenko e Kolomojskij

Roberto LiviL’AVANA

I l «segnale forte» della volontà didialogo è stato recepito da Cuba.Per questo l’Alto rappresentante

della politica estera dell’Ue, FedericaMogherini, si è dichiarata «molto sod-disfatta» della sua missione all’Avana:nella giornata aveva incontrato il car-dinale Jaime Ortega, rappresentantedi una Chiesa impegnata nel proces-so di «trasformazione» dell’isola, ilpresidente del’Assemblea nazionale,Esteban Lazo, due ministri economi-ci, Rodrigo Malmierca - commercioestero- e Marino Murillo - incaricatodi supervisionare le riforme economi-che lanciate quattro anni fa- il capodella diplomazia Bruno Rodríguez, ilpresidente Raúl Castro e, infine, rap-presentanti delmondo culturale e del-la società civile.

L’Ue è il secondo partner commer-ciale di Cuba (dopo il Venezuela) conun interscambio di 3,6miliardi di dol-lari nel 2013 e il maggiore investitore,ma l’isola è l’unico paese dell’Ameri-ca latina con cui l’Unione non ha untrattatobilaterale. L’ostacolo principa-le è costitutito dalla questione dei di-ritti umani e civili, usati nel 1996 co-me una clava politica - su incitamen-toUsa e per iniziativa del governo spa-gnolo dell’ultra destro Aznar- per de-stabilizzare «il regime dittatoriale diFidel Castro».

L’ostacolo è rimasto anche dopoche Fidel nel 2006 ha lasciato le redinipolitiche e la presidenza di Cuba alfratello minore Raúl e, per iniziativadi paesi ex socialisti comePolonia, Re-pubblica ceca, ha fatto sì che le tratta-tive per firmare un Accordo di dialo-go politico e di cooperazione tra Ue eCuba si trascinino dall’aprile dell’an-no scorso, nonostante i progressi fattiin campo commerciale e di coopera-zione. La visita di Mogherini, primoAlto rappresentante europeo all’Ava-na, ha appunto lo scopo di sbloccarela situazione e fare in modo che i ne-goziati abbianoun’«accelerazione» ta-le che «l’Accordo venga firmato entrola fine dell’anno». Per questo, oltre aitemi economici e commerciali, «LadyPesc» ha affrontato la questione dei di-ritti umani, «senza tabù» e ammetten-do che «anche a casa nostra abbiamo

i nostri problemi». Su questo temachiave,Mogherini ha voluto sottoline-are che il metodo scelto è «il dialogo,non lo scontro» e che l’Uenonè inten-zionata a «imporre modelli». Posizio-ne questa molto apprezzata dal verti-ce cubano, che ha sempre difeso nonsolo la sovranità politica ma anche il«modello socialista» cubano, basatosul «poder popular», una sorta di «de-mocrazia assembleare».

Nella conferenza stampa,Mogheri-ni ha ribadito che «nonvi è concorren-za» tra i negoziati dell’Ue con Cuba eil processo di distensione e ristabili-mento di relazioni diplomatiche traWashington e l’Avana annunciato loscorso 17 dicembre. Mogherini ha af-fermato che l’embargo decretato piùdi cinquant’anni fa dagli Usa «è obso-leto» e dannoso perché colpisce so-prattutto la popolazione cubana (einoltre con i suoi effetti extraterritoria-li ha riflessi negativi anche in Euro-pa). Ma si tratta - ha detto - di «dueprocessi negoziali differenti», nonconcorrenziali, che anzi possono in al-cuni temi essere complementari. Pe-rò appare evidente che la linea piùpragmatica presentata da «LadyPesc» - con il consenso dei membridell’Ue anche in passato più recalci-tranti - ha molto a che fare con la«concorrenza » economico- commer-ciale che gli Stati uniti potranno eser-citare. E non solo a Cuba, perché ilprocesso di distensione con gli Usa«può cambiare la dinamica nell’isola,ma anche nella regione» latinoameri-cana. Per questa ragione, l’Europapuò e deve giocare «un ruolo attivo inquesta fase» , «accompagnando le tra-sformazioni - le riforme- in corso»nell’isola. In sostanza, quello propo-sto dall’Unione è unaccordo imposta-to sul dialogo e la collaborazione, bendifferente dalla politica perseguita da-gliUsa, i quali –per bocca della vicese-gretaria di Stato, Roberta Jacobson-hanno ribadito che la distensione incorso è una «nuova linea» (dopo il fal-limento dell’embargo) per perseguireil vecchio obiettivo: un cambiamentodi regime e di modello politico e eco-nomico a Cuba.

Mogherini - che ha informato dellafirma di un programma che prevede50milioni di euro in 5 anni per proget-ti agricoli a Cuba - è stata attenta nelmettere in chiaro che il dialogo politi-co e la cooperazione offerte dall’Uedebbano «portare benefici al popolocubano», dunque ad aiutare lo svilup-po di una società civile che si sta raf-forzando nell’isola proprio in seguitoalle riforme che permettono attivitàprivate (por cuentapropria). Attual-mente vi sono nell’isola circa mezzomilione di «piccoli imprenditori» cheoperano soprattutto nel campodell’alimentazione e ristorazione, tra-sporto e turismo.Manei progetti di ri-forme del governo è previsto che en-tro un anno, soprattutto grazie allosviluppo di cooperative non agricole,il settore «non statale» assorba circaun milione di lavoratori che il gover-no dovrebbe –secondo il piano dimo-dernizzazione- «tagliare» dall’inflazio-nato e deficitario settore statale. Inquesto campo, rafforzamento dellasocietà civile, formazione di nuovi im-prenditori sono impegnati la Chiesa eilmovimento laico cattolico che ad es-sa è collegato con lo scopo di favorirela formazione di «una classe mediacubana» che in futuro ottenga «dirittipolitici e democratici».

YEMEN · Gli Houthi avanzano e conquistano porto e aeroporto di Aden, il presidente Hadi in fuga

I sauditi sono pronti al confine

Fabrizio Poggi

S trane cose stanno accadendo in Ucrai-na. Sembra che lo stesso «forte vento»(e non i cocktail Molotov lanciati

dall'esterno) che, dopo 10 mesi di indagine,gli investigatori hanno dichiarato responsa-bile della strage di 48 persone bruciate vivenella Casa dei sindacati di Odessa il 2 mag-gio 2014, porti con sé anche il momentaneotrasferimento del fronte dal Donbass a Kiev.

Alla guerra (per ora senza morti) tra il pre-sidente-magnate Petro Poroshenko e il ma-gnate-(ormai ex) governatore Igor Kolo-mojskij, si è aggiunto ieri un nuovo fronte.

Serghej Bochkovskij, capo del Servizio sta-tale per le situazioni d'emergenza e il suo vi-ce, Vasilij Stoevskij, sono stati arrestati in di-retta tv, durante una riunione del Governo,accusati di appropriazione di fondi pubblici,tramite uno schema di contratti di appaltoche dirottava la valuta verso loro conti inbanche cipriote. Dunque, con i cannonimo-mentaneamente silenziosi nelDonbass, si di-stinguono ora i veri rumori della «lotta per lademocrazia»: la guerra tra clan fino ai verticidel potere per i miliardi occidentali.

Dopo gli assalti armati alle sedi diUkrtran-snafta e Ukrnafta della scorsa settimana, Po-roshenko ieri ha infine «accolto la richiestadi dimissioni» di Igor Kolomojskij (il cuigruppo «Privat» controllava Ukrtransnaftagià nel 2009, grazie all'allora premier Julja Ti-moshenko) da governatore della regione diDnepropetrovsk.

Il meeting pro-Kolomojskij fissato per sa-bato aDnepropetrovsk, «Azione civile in dife-sa dell’unità dell'Ucraina», pare tanto civileche, per il servizio d’ordine, sarebbero stati

fatti affluire daOdessa reparti dei battaglioniultranazionalisti sponsorizzati da Kolo-mojskij. Secondo il Presidente della Commis-sione della Duma russa per le questioni del-la Csi, Leonid Slutskij, le dimissioni di Kolo-mojskij possono condurre a una «Majdan oli-garchica».

Il leader di «Russia giusta» Serghej Miro-novdice che Poroshenko, dimissionandoKo-lomojskij, «ha aperto un secondo fronte; maogni semplice stratega sa che una guerra sudue fronti finisce sempre con la sconfitta dichi la conduce». Il conflitto tra Kolomojskij e

Poroshenko è scoppiato dopo che la Rada,lo scorso 19 marzo, ha abbassato dal 60% al50%più una azione, il quorumper le assem-blee degli azionisti, con ciò privando l’oligar-ca governatore di Dnepropetrovsk del con-trollo su Ukrnafta, la principale compagniaucraina di gas e petrolio, di cui lo Stato detie-ne il 50%più una azione. Ora dunque il grup-po Privat di Kolomojskij, con il 42% delleazioni, oltre a non poter più bloccare l'as-semblea, dovrà pagare allo Stato dividendiper 1,7miliardi di grivne. Tra il 20 e il 22mar-zo si erano verificati gli assalti e contrassaltialla sede di Ukrtransnafta. Dopo l'esonerodel manager a libro paga di Kolomojskij e la

sua sostituzione con un direttore di fiduciadi Poroshenko, Kolomojskij ha reagito occu-pando militarmente la sede di Ukrtransnaf-ta. Secondo pravda.ru, qualcuno a Washin-gton ha dato il via libera a Kolomojskij: dopoche i suoi sponsor entreranno allaCasa bian-ca, Poroshenko sarà fatto fuori. Sponsor delPresidente sarebbe infatti Obama. Ma, datoche l’uno e l’altro hanno i loro santi protetto-ri oltreoceano, per Kolomojskij si parla delduo Clinton-McCaine e dei repubblicani, fi-nanziati da Goldman Sachs. Goldman Sachsche, insieme a Monsanto e Vangurd Group,finanzierebbe l'esercito mercenario «Acade-mi» (ex Blackwater), che combatte con i go-vernativi nel Donbass.

Secondo Tatiana Volkova, migliaia di uo-mini della «Academi» rimpinguano sia il bat-taglione «Dnepr» di Kolomojskij, sia il «So-kol» del Ministero degli interni: «Monsantoperderebbe centinaia di migliaia di dollari sela guerra finisse un giorno prima e alcunimi-liardi se finisse unmese prima. AllaMonsan-to non si pongono la domanda infantile“Chi vince”». Kolomojskij avrebbe sostenito-ri anche tra alcuni media tedeschi, tipo DerTagesspiegel, che sponsorizzano le impresedi guerra dei suoi battaglioni. Da parte sua,Poroshenko, tra i propri sostegni tede-sco-americani, può vantare la Shell (legata al-la Deutsche Bank), cui ha concesso i dirittidi perforazione per i giacimenti di scisto nelsudest dell'Ucraina.

Sembra dunque che sia Kolomojskij,sia Poroshenko, rispondendo agli impul-si della medesima centrale di comando,esprimano quello che Marx definiva «ilgrande segreto di ogni guerra: gettare ilnemico sulla difensiva».

INTERNAZIONALE A SANAA UN UOMO MOSTRA LA FOTO DEL FIGLIO UCCISO, A DESTRA MOGHERINI A CUBA LAPRESSE

La petromonarchianon ha intenzionedi lasciare spaziodi manovraal nemico Iran

CUBA · Si avvicina il trattato bilaterale con la Ue

Mogherini: «Acceleriamo,senza imporremodelli»

pagina 8 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

Maionese e Ketchup saranno prodotte dalla stessasoccietà, grazie alla fusione tra Kraft e Heinz, che daràvita al quinto gruppo alimentare al mondo. La nuovasocietà si chiamerà Kraft Heinz Company, avrà il suoquartier generale a Pittsbugh, negli Stati Uniti, e do-

vrebbe raggiungere ricavi per 28 miliardi di dollari, con otto marchi capaci di raggiungereun fatturato di oltre 1 miliardo e cinque tra i 500 milioni e il miliardo di dollari. Il numerouno al mondo nel settore resta la Nestlé, con 95 miliardi di dollari di fatturato. L'investitoreWarren Buffett e la società di private equity 3G, che possiede Heinz, avrà il 51 per centodella nuova impresa, mentre gli azionisti di Kraft riceveranno il 49 per cento e un dividendoin contanti di 10 miliardi di dollari. «Questa operazione, che unisce due società di livellomondiale e darà più valore agli azionisti -ha detto Buffett- Sono entusiasta delle opportuni-tà che questa nuova società potrà raggiungere». Kraft ha lottato negli ultimi anni per rag-giungere i gusti degli americani puntando sugli alimenti trasformati. La fusione dovrebbeportare a misure di riduzione dei costi per Kraft.

BIG COMPANYSi fondono Kraft e Heinz,insieme il ketchup e la maionese

Luca Fazio

L a nuova direttiva europea sugli Or-ganismi geneticamente modificati(2015/412) è appena stata pubblica-

ta sulla Gazzetta ufficiale europea. A unaprima lettura sembrerebbe una normain difesa della biodiversità e dell’agricol-tura sostenibile poiché prevede la possi-bilità per gli stati dell’Unione europea divietare la coltivazione di Ogm. Anche idati relativi al 2014 pubblicati dall’Inter-national Service for the Acquisition ofAgri-biotech Applications (Isaaa) non so-no incoraggianti per le multinazionalibiotech: con un ulteriore calo del tre percento la superficie coltivata a Ogm in Eu-ropa si è ridotta a 143.016 ettari di maisBt coltivati in 5 paesi su 28 (si coltiva inSpagna il 90% delle superficie totale). Ilresto sono briciole sparse tra Portogallo,Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca.In Italia, nell’immediato, non dovrebbe-ro aprirsi scenari allarmanti: è in vigoreun divieto temporaneo che impedisce lacoltivazione dell’unico Ogm autorizzatoper la coltivazione in Europa, il maisMon810 di Monsanto.

Battaglia vinta? Tutt’altro. La nuovalegge europea presenta alcune criticità.Una in particolare. Il governo che voles-se bandire gli Ogm dal suo territorio nonpotrà addurremotivazioni che contrasta-no con la valutazione di impatto ambien-tale condotta dall’Efsa (Autorità europeaper la sicurezza alimentare). «Significache i governi - spiega Federica Ferrariodi Greenpeace - non possono basare ibandi su specifici impatti ambientali oevidenze di possibili danni da parte dellecoltivazioni Ogm a livello nazionale nelcaso in cui questi rischi non siano statipresi in considerazione da parte della va-lutazione dell’Efsa». Quindi i paesi non

potranno utilizzare argomentazioni di ca-rattere ambientale per giustificare il divie-to di coltivazione. Inoltre, la nuova diret-tiva rimette in moto l’attività della Com-missione europea sempremolto disponi-bile ad autorizzare nuovi Ogm (il primoin esame è il mais 1507, inventato per re-sistere all’erbicida glufosinato che nel2017 sarà vietato in Europa per la sua tos-sicità).Ma anche di fronte a unOgmbuo-no autorizzato dalla Ue e certificatodall’Efsa non sarebbe scongiurato il fatto-re di rischio più pericoloso per coltivato-ri e consumatori: la contaminazione. Se-condo uno studio di Greenpeace, condot-to con il gruppo di ricerca inglese Ge-neWatch e pubblicato dalla rivista Inter-national journal of food contamination,dal 1997 al 2013 si sono verificati circa400 casi di contaminazione.

Ma la vera trappola che potrebbe vani-

ficare un decennio di lotte condotte da-gli ambientalisti europei e stravolgere leregole della produzione del sistema agro-alimentare del vecchio continente - nonsolo per l’insidia Ogm - si chiama Transa-tlantic Trade and Investment Partner-ship, meglio (s)conosciuto ai più con lasigla Ttip. Si tratta di un accordo semi se-greto per «facilitare» gli scambi economi-ci tra Europa e Stati Uniti. L’obiettivo di-chiarato è agevolare la circolazione dellemerci armonizzando le diverse normati-ve che esistono in Europa e negli StatiUniti. Cosa succederà per quanto riguar-da agricoltura e cibo? Il mistero è fitto. Letrattative febbrili. I catastrofisti ritengo-no che le nuove regole del trattato favori-ranno le aziende a stelle e strisce. Le con-seguenze? Cibi Ogmdifficilmente rintrac-ciabili, maggior utilizzo di pesticidi, pre-dominio dei grandi cartelli agroindustria-

li, scarsa tutela dei prodotti tipici, etichet-tature e tracciabilità meno approfonditee delocalizzazione della produzione ali-mentare dove costa meno. Non è la "pi-stola fumante" ma poco ci manca: suquasi 600 incontri di consultazione realiz-zati dalla Commissione europea - di cuici sono pochi documenti in circolazione- circa 500 si sono svolti alla presenza dipotenti aziende del settore (sementi, alle-vamento e mangimi, biotech, produttoridi bevande e cibi).

Le trattative per il Ttip sono complica-te. Si stanno confrontando duemondi di-versi. Da una parte ci sono gli Usa che tu-telano il mercato e i loro prodotti edall’altra c’è l’Europa che, sulla carta, do-vrebbe prediligere la tutela dei consuma-tori e la qualità dei prodotti. Lo scontro ètra un paese con un sistema agricolo chepunta sulla quantità e uno che sta sulmercato grazie alla qualità della sua pro-duzione. Un sistema amaglie larghe con-tro uno con normative più rigide. Per leassociazioni ambientaliste e dei consu-matori l’esito è scontato: «l’armonizzazio-ne» delle leggi per l’Europa si tradurrà inuna cessione di sovranità in termini di si-curezza.Marco Zullo, parlamentare euro-peo del M5S (commissione agricoltura)non ha dubbi. «La qualità dei cibi che ar-riveranno sulle nostre tavole è a rischio -ha spiegato - perché perderemo la tuteladerivante dalle informazioni presenti sul-le nostre etichette. Gli Usa non hanno unsistemadi etichettatura ferreo come quel-lo europeo e non hanno certo intenzionedi introdurlo con il Ttip. In Europa le pro-cedure di controllo per ottenere un’auto-rizzazione sulla sicurezza alimentare so-no più complesse. Negli Usa sono per-messe sostanze vietate in Europa, comecereali Ogm, antibiotici, carne derivatada animali clonati e sostanze chimiche.

In nome del libero mercato tutte questeinformazioni non saranno a nostra dispo-sizione nelle etichette post-Ttip».

Questo è vero in particolare quando siparla di Ogm. Mentre in Europa, nono-stante i tentativi delle lobby, esiste unquadro giuridico che si basa sul princi-pio di precauzione (procedure rigide perl’autorizzazione ampia valutazione del ri-schio, consultazione pubblica obbligato-

ria), negli Stati Uniti gli Ogm non devonoessere sottoposti ad autorizzazione. Nonesiste nemmeno un registro pubblico de-gli Ogm autorizzati. Per non parlare dellatrasparenza. In Europa, dove non esisteun solo prodotto Ogm destinato all’ali-mentazione umana, è obbligatorio segna-lare sull’etichetta una quantità genetica-mente modificata superiore allo 0,9 percento. Negli Stati Uniti, invece, l’etichet-

tatura è volontaria. Ma anche nella pa-tria di Monsanto&Co. i consumatori co-minciano a chiedere più trasparenza: lostato del Vermont ha deciso che dal lu-glio 2016 sarà obbligatorio segnalare unaquantità di Ogm superiore allo 0,9%, unalegge che è stata impugnata da una po-tente associazione che raggruppa produt-tori e distributori alimentari.

La consapevolezza del rischio per il set-

tore agro alimentare dell’Europa è docu-menta anche da uno studio specifico rea-lizzato per il Parlamento europeo dallaDirezione generale delle politiche inter-ne. Secondo il dossier, «se il commerciofosse liberalizzato senza una convergen-za normativa, i produttori europei po-trebbero subire gli effetti negativi dellaconcorrenza in alcuni settori… Questoè particolarmente rilevante per quantoriguarda i vincoli dell’Ue in meritoall’uso degli Ogm, dei pesticidi e alle mi-sure di sicurezza alimentare nel settoredella carne».

Il gioco d’azzardo degli americani nonè un mistero per nessuno. «Nei negoziatirelativi al Ttip - si legge nel dossier - unafacilitazione nell’approvazione e nelcommercio degli Ogm è un’importanterichiesta dei coltivatori e delle impresestatunitensi. Essi sono sostenuti dalle au-torità Usa, che lamentano la lentezza e lepoche autorizzazioni alla vendita e alcommercio di organismi geneticamentemodificati. Il governo americano, inoltre,ritiene che l’etichettatura obbligatoria de-gli Ogm discrimini ingiustamente questiprodotti». Come se ne esce? SecondoDan Mullaney, uno dei negoziatori statu-nitensi per il Ttip, dovrebbe essere lascienza a fare da arbitro: «Se l’Unione eu-ropea ha un processo scientifico per lebiotecnologie, questo deve essere segui-to», ecco il suggerimento. Quindi, «le de-cisioni in materia di sicurezza alimenta-re dovrebbero essere basate sulla scienzae sulla valutazione d’impatto». Traduzio-ne: che decida l’Autorità europea per lasicurezza alimentare (l’Efsa) e che gli sta-ti europei facciano un passo indietro da-vanti a un parere scientifico favorevoleall’introduzione di un Ogm sul mercato.Che si siano già accorti delle criticità (otrappole) della nuova direttiva europea?

Marcello Buiatti

I n questo Paese gli Ogm sono amatie odiati come un simbolo del maleo del bene ma non per quello che

sono, cioè piante modificate per duegeni per la resistenza ad un insetto e/ouna resistenza a un diserbante. Questosulla base della ideologia meccanicadella Ingegneria Genetica (nomenomen) e sulla potenza finanziaria basa-ta sulle royalties dei brevetti di tre mul-tinazionali: Monsanto, Dupont e Syn-genta. L’ideologia base degli Ogm ini-zia con la «rivoluzione verde» della Faodel Novecento, che puntava a ridurrela fame nel mondo selezionando pian-te e animali «ottimali» con il metodo diDonald, un selezionatore scozzese ilquale assimilava piante e animali amacchine costituite da parti indipen-denti e quindi proponeva che si potes-sero «ottimizzare» migliorandone sin-gole parti una a una emettendole insie-me come nelle macchine. Così si tentònei bovini di aumentare insieme carne,latte e lavoro e di ottenere piante tutteuguali e fatte di parti ottimali e si co-struirono laboratori in molti Paesi.

La «rivoluzione verde» ebbe inizial-mente successo soprattutto in Americalatina e in India, meno in Africa, la cuipovertà impediva dicomprare prodotti chi-mici e le macchine perl’agricoltura moderna.La rivoluzione verde sibasava sul concetto divarietà «pure», conpiante tutte uguali co-me imodelli dellemac-chine, senza pensareche le vite restano tali solo se diverse equindi capaci di resistere ai cambia-menti esterni. Mancando la variabilitànelle varietà selezionate si ricorse allachimica e alla meccanica, con alti costinei Paesi in via di sviluppo. Per questo,dopo una riduzione degli affamati delmondo dai 918 milioni del 1970 a 780nel 1995, questi aumentarono a oltre800 pochi anni dopo e ora sono più diunmiliardo e centomilioni. Questo an-cheperché si perse oltre il 75%della va-riabilità esistente prima della rivoluzio-ne, fatto che particolarmente adessocolpisce l’umanità tutta, per l’accelera-zione del cambiamento climatico chemodifica le temperature, riduce l’ac-qua disponibile, aumenta la concentra-zione di sali e produce la migrazione diparassiti in ambienti mai infestati. Ser-vono quindi sempre di più varietà pla-stiche che si possano adattare ai cam-biamenti del contesto.

Purtroppo la risposta è stata l’omolo-gazione degli agro-ecosistemi viventi aindustrie meccaniche che migliorano iprodotti innovando pezzi singoli pezzie facilmente brevettabili. L’ingegneriagenetica consiste nell’introduzione disingoli geni che, come nelle macchine,non dovrebbero determinare nessuncambiamento non previsto. Le pianteinvece sono viventi e possono reagire aun gene alieno con reazioni negativeimpreviste che hanno limitato l’intro-duzione nel mercato solo a soia, mais,colza e cotone resistenti a diserbanti ea un insetto. Questo perché, quando si

introduce in una pianta un gene alie-no, non prevediamo in quante copieentrerà nel Dna delle piantemodifican-dolo, se il gene funzionerà, che effettiavrà sul metabolismo della pianta equesta sull’agro-ecosistema, se saràproduttiva e il prodotto alimentare sa-rà pericoloso per la salute degli umanie dell’agro-ecosistema. Di tutto questoMonsanto, Dupont e Syngenta non sisono interessate e hanno invece ridot-to la spesa per la ricerca di nuovi Ogmmigliori, imponendo l’istituzione delbrevetto industriale introducendo ilconcetto della «sostanziale equivalen-za» fra vivente e non vivente. Così, chicompra semi Gm deve pagare di nuo-vo ogni anno, anche se usa semi da luiprodotti. Anzi basta che ci sia ancheuna sola pianta Gm perché il contadi-no paghi per tutto il campo.

Il cambiamento del valore legale deibrevetti ha arricchito le multinazionalial punto da poter trattare anche con lenazioni l’uso diOgmnel loro Paese. Co-sì in America latina le Sorelle hannotrattato e introdotto i loro prodotti com-prando poi a basso prezzo i campi deicontadini locali e formando gigante-sche aziendedovenon si coltiva cibo lo-cale ma solo soia resistente a un diser-bante di Monsanto che si esporta co-

me mangime. Milionidi ettari della agricoltu-ra locale sono stati com-prati, i contadini caccia-ti o ridotti a bracciantia basso costo nellegrandi aziende, dove ir-rorano il pericoloso di-serbante Round Up.Per ora l’Europa resiste

in parte alle Sorelle, ma gli Ogm sonocoltivati in 170 milioni di ettari nelleAmeriche, in Cina, in India e in Africa.L’Italia ne proibisce la coltivazione perevitare possibili pericoli per la saluteumana e per difendere un’agricolturabasata sulla variabilità dei cibi. Purtrop-po gli Ogm non sono sufficientementecontrollati dall’Agenzia europea per lasicurezza alimentare, che ha linee gui-da che nonpermettono di usare labora-tori indipendenti per i controlli. Questaprassi è contrastata da laboratori euro-pei che hannoda tempo segnalato pos-sibili effetti dannosi delle Gm per la sa-lute e per l’ecosistema suolo. Questononostante molti laboratori europei sisiano riuniti nella Rete per la responsa-bilità sociale e ambientale (Ensser), delcui direttivo fa parte chi scrive e che hadifficoltà ad avere finanziamenti Ue.

In Italia un solo progetto è stato fi-nanziatomolti anni fa con risultati inte-ressanti, ma non è stato ripetuto per lapovertà dei finanziamenti della nostraricerca nazionale, nonostante gli sforzidella Coalizione anti-Ogm coordinatadallaColdiretti, dalla Cia e da altri. Il no-doquindi non è che solo in parte la pre-senza di pericoli per i consumatori, masi rischia la distruzione della nostraagricoltura, delle nostre varietà e dei ci-bi. Tutto questo per la potenza dell’eco-nomia finanziaria delle royalties delleimprese Ogm che, come Big Pharma,hanno smesso di fare scienza per sfrut-tare il mercato virtuale dei brevetti in-dustriali sulle vite.

GliogmeuropeiallaprovadelTtip

L’INCHIESTA L’INCHIESTA

Su 600 incontri bilaterali Usa-Ueper il nuovo trattato supersegreto,500 si sono svolti alla presenzadelle aziende del settore biotech.Obiettivo: conquistare i mercaticomunitari. Mentre negli Statesi consumatori chiedono trasparenza

MULTINAZIONALI

La ricerca sacrificatasull’altare dei brevetti

La «rivoluzioneverde» della Fao

ha apertola strada. Ora solol’Europa resiste

PROTESTE ANTI-OGM FOTO LAPRESSE. IN BASSO FOTO ALEANDRO BIAGIANTI

GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 il manifesto pagina 9

Maionese e Ketchup saranno prodotte dalla stessasoccietà, grazie alla fusione tra Kraft e Heinz, che daràvita al quinto gruppo alimentare al mondo. La nuovasocietà si chiamerà Kraft Heinz Company, avrà il suoquartier generale a Pittsbugh, negli Stati Uniti, e do-

vrebbe raggiungere ricavi per 28 miliardi di dollari, con otto marchi capaci di raggiungereun fatturato di oltre 1 miliardo e cinque tra i 500 milioni e il miliardo di dollari. Il numerouno al mondo nel settore resta la Nestlé, con 95 miliardi di dollari di fatturato. L'investitoreWarren Buffett e la società di private equity 3G, che possiede Heinz, avrà il 51 per centodella nuova impresa, mentre gli azionisti di Kraft riceveranno il 49 per cento e un dividendoin contanti di 10 miliardi di dollari. «Questa operazione, che unisce due società di livellomondiale e darà più valore agli azionisti -ha detto Buffett- Sono entusiasta delle opportuni-tà che questa nuova società potrà raggiungere». Kraft ha lottato negli ultimi anni per rag-giungere i gusti degli americani puntando sugli alimenti trasformati. La fusione dovrebbeportare a misure di riduzione dei costi per Kraft.

BIG COMPANYSi fondono Kraft e Heinz,insieme il ketchup e la maionese

Luca Fazio

L a nuova direttiva europea sugli Or-ganismi geneticamente modificati(2015/412) è appena stata pubblica-

ta sulla Gazzetta ufficiale europea. A unaprima lettura sembrerebbe una normain difesa della biodiversità e dell’agricol-tura sostenibile poiché prevede la possi-bilità per gli stati dell’Unione europea divietare la coltivazione di Ogm. Anche idati relativi al 2014 pubblicati dall’Inter-national Service for the Acquisition ofAgri-biotech Applications (Isaaa) non so-no incoraggianti per le multinazionalibiotech: con un ulteriore calo del tre percento la superficie coltivata a Ogm in Eu-ropa si è ridotta a 143.016 ettari di maisBt coltivati in 5 paesi su 28 (si coltiva inSpagna il 90% delle superficie totale). Ilresto sono briciole sparse tra Portogallo,Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca.In Italia, nell’immediato, non dovrebbe-ro aprirsi scenari allarmanti: è in vigoreun divieto temporaneo che impedisce lacoltivazione dell’unico Ogm autorizzatoper la coltivazione in Europa, il maisMon810 di Monsanto.

Battaglia vinta? Tutt’altro. La nuovalegge europea presenta alcune criticità.Una in particolare. Il governo che voles-se bandire gli Ogm dal suo territorio nonpotrà addurremotivazioni che contrasta-no con la valutazione di impatto ambien-tale condotta dall’Efsa (Autorità europeaper la sicurezza alimentare). «Significache i governi - spiega Federica Ferrariodi Greenpeace - non possono basare ibandi su specifici impatti ambientali oevidenze di possibili danni da parte dellecoltivazioni Ogm a livello nazionale nelcaso in cui questi rischi non siano statipresi in considerazione da parte della va-lutazione dell’Efsa». Quindi i paesi non

potranno utilizzare argomentazioni di ca-rattere ambientale per giustificare il divie-to di coltivazione. Inoltre, la nuova diret-tiva rimette in moto l’attività della Com-missione europea sempremolto disponi-bile ad autorizzare nuovi Ogm (il primoin esame è il mais 1507, inventato per re-sistere all’erbicida glufosinato che nel2017 sarà vietato in Europa per la sua tos-sicità).Ma anche di fronte a unOgmbuo-no autorizzato dalla Ue e certificatodall’Efsa non sarebbe scongiurato il fatto-re di rischio più pericoloso per coltivato-ri e consumatori: la contaminazione. Se-condo uno studio di Greenpeace, condot-to con il gruppo di ricerca inglese Ge-neWatch e pubblicato dalla rivista Inter-national journal of food contamination,dal 1997 al 2013 si sono verificati circa400 casi di contaminazione.

Ma la vera trappola che potrebbe vani-

ficare un decennio di lotte condotte da-gli ambientalisti europei e stravolgere leregole della produzione del sistema agro-alimentare del vecchio continente - nonsolo per l’insidia Ogm - si chiama Transa-tlantic Trade and Investment Partner-ship, meglio (s)conosciuto ai più con lasigla Ttip. Si tratta di un accordo semi se-greto per «facilitare» gli scambi economi-ci tra Europa e Stati Uniti. L’obiettivo di-chiarato è agevolare la circolazione dellemerci armonizzando le diverse normati-ve che esistono in Europa e negli StatiUniti. Cosa succederà per quanto riguar-da agricoltura e cibo? Il mistero è fitto. Letrattative febbrili. I catastrofisti ritengo-no che le nuove regole del trattato favori-ranno le aziende a stelle e strisce. Le con-seguenze? Cibi Ogmdifficilmente rintrac-ciabili, maggior utilizzo di pesticidi, pre-dominio dei grandi cartelli agroindustria-

li, scarsa tutela dei prodotti tipici, etichet-tature e tracciabilità meno approfonditee delocalizzazione della produzione ali-mentare dove costa meno. Non è la "pi-stola fumante" ma poco ci manca: suquasi 600 incontri di consultazione realiz-zati dalla Commissione europea - di cuici sono pochi documenti in circolazione- circa 500 si sono svolti alla presenza dipotenti aziende del settore (sementi, alle-vamento e mangimi, biotech, produttoridi bevande e cibi).

Le trattative per il Ttip sono complica-te. Si stanno confrontando duemondi di-versi. Da una parte ci sono gli Usa che tu-telano il mercato e i loro prodotti edall’altra c’è l’Europa che, sulla carta, do-vrebbe prediligere la tutela dei consuma-tori e la qualità dei prodotti. Lo scontro ètra un paese con un sistema agricolo chepunta sulla quantità e uno che sta sulmercato grazie alla qualità della sua pro-duzione. Un sistema amaglie larghe con-tro uno con normative più rigide. Per leassociazioni ambientaliste e dei consu-matori l’esito è scontato: «l’armonizzazio-ne» delle leggi per l’Europa si tradurrà inuna cessione di sovranità in termini di si-curezza.Marco Zullo, parlamentare euro-peo del M5S (commissione agricoltura)non ha dubbi. «La qualità dei cibi che ar-riveranno sulle nostre tavole è a rischio -ha spiegato - perché perderemo la tuteladerivante dalle informazioni presenti sul-le nostre etichette. Gli Usa non hanno unsistemadi etichettatura ferreo come quel-lo europeo e non hanno certo intenzionedi introdurlo con il Ttip. In Europa le pro-cedure di controllo per ottenere un’auto-rizzazione sulla sicurezza alimentare so-no più complesse. Negli Usa sono per-messe sostanze vietate in Europa, comecereali Ogm, antibiotici, carne derivatada animali clonati e sostanze chimiche.

In nome del libero mercato tutte questeinformazioni non saranno a nostra dispo-sizione nelle etichette post-Ttip».

Questo è vero in particolare quando siparla di Ogm. Mentre in Europa, nono-stante i tentativi delle lobby, esiste unquadro giuridico che si basa sul princi-pio di precauzione (procedure rigide perl’autorizzazione ampia valutazione del ri-schio, consultazione pubblica obbligato-

ria), negli Stati Uniti gli Ogm non devonoessere sottoposti ad autorizzazione. Nonesiste nemmeno un registro pubblico de-gli Ogm autorizzati. Per non parlare dellatrasparenza. In Europa, dove non esisteun solo prodotto Ogm destinato all’ali-mentazione umana, è obbligatorio segna-lare sull’etichetta una quantità genetica-mente modificata superiore allo 0,9 percento. Negli Stati Uniti, invece, l’etichet-

tatura è volontaria. Ma anche nella pa-tria di Monsanto&Co. i consumatori co-minciano a chiedere più trasparenza: lostato del Vermont ha deciso che dal lu-glio 2016 sarà obbligatorio segnalare unaquantità di Ogm superiore allo 0,9%, unalegge che è stata impugnata da una po-tente associazione che raggruppa produt-tori e distributori alimentari.

La consapevolezza del rischio per il set-

tore agro alimentare dell’Europa è docu-menta anche da uno studio specifico rea-lizzato per il Parlamento europeo dallaDirezione generale delle politiche inter-ne. Secondo il dossier, «se il commerciofosse liberalizzato senza una convergen-za normativa, i produttori europei po-trebbero subire gli effetti negativi dellaconcorrenza in alcuni settori… Questoè particolarmente rilevante per quantoriguarda i vincoli dell’Ue in meritoall’uso degli Ogm, dei pesticidi e alle mi-sure di sicurezza alimentare nel settoredella carne».

Il gioco d’azzardo degli americani nonè un mistero per nessuno. «Nei negoziatirelativi al Ttip - si legge nel dossier - unafacilitazione nell’approvazione e nelcommercio degli Ogm è un’importanterichiesta dei coltivatori e delle impresestatunitensi. Essi sono sostenuti dalle au-torità Usa, che lamentano la lentezza e lepoche autorizzazioni alla vendita e alcommercio di organismi geneticamentemodificati. Il governo americano, inoltre,ritiene che l’etichettatura obbligatoria de-gli Ogm discrimini ingiustamente questiprodotti». Come se ne esce? SecondoDan Mullaney, uno dei negoziatori statu-nitensi per il Ttip, dovrebbe essere lascienza a fare da arbitro: «Se l’Unione eu-ropea ha un processo scientifico per lebiotecnologie, questo deve essere segui-to», ecco il suggerimento. Quindi, «le de-cisioni in materia di sicurezza alimenta-re dovrebbero essere basate sulla scienzae sulla valutazione d’impatto». Traduzio-ne: che decida l’Autorità europea per lasicurezza alimentare (l’Efsa) e che gli sta-ti europei facciano un passo indietro da-vanti a un parere scientifico favorevoleall’introduzione di un Ogm sul mercato.Che si siano già accorti delle criticità (otrappole) della nuova direttiva europea?

Marcello Buiatti

I n questo Paese gli Ogm sono amatie odiati come un simbolo del maleo del bene ma non per quello che

sono, cioè piante modificate per duegeni per la resistenza ad un insetto e/ouna resistenza a un diserbante. Questosulla base della ideologia meccanicadella Ingegneria Genetica (nomenomen) e sulla potenza finanziaria basa-ta sulle royalties dei brevetti di tre mul-tinazionali: Monsanto, Dupont e Syn-genta. L’ideologia base degli Ogm ini-zia con la «rivoluzione verde» della Faodel Novecento, che puntava a ridurrela fame nel mondo selezionando pian-te e animali «ottimali» con il metodo diDonald, un selezionatore scozzese ilquale assimilava piante e animali amacchine costituite da parti indipen-denti e quindi proponeva che si potes-sero «ottimizzare» migliorandone sin-gole parti una a una emettendole insie-me come nelle macchine. Così si tentònei bovini di aumentare insieme carne,latte e lavoro e di ottenere piante tutteuguali e fatte di parti ottimali e si co-struirono laboratori in molti Paesi.

La «rivoluzione verde» ebbe inizial-mente successo soprattutto in Americalatina e in India, meno in Africa, la cuipovertà impediva dicomprare prodotti chi-mici e le macchine perl’agricoltura moderna.La rivoluzione verde sibasava sul concetto divarietà «pure», conpiante tutte uguali co-me imodelli dellemac-chine, senza pensareche le vite restano tali solo se diverse equindi capaci di resistere ai cambia-menti esterni. Mancando la variabilitànelle varietà selezionate si ricorse allachimica e alla meccanica, con alti costinei Paesi in via di sviluppo. Per questo,dopo una riduzione degli affamati delmondo dai 918 milioni del 1970 a 780nel 1995, questi aumentarono a oltre800 pochi anni dopo e ora sono più diunmiliardo e centomilioni. Questo an-cheperché si perse oltre il 75%della va-riabilità esistente prima della rivoluzio-ne, fatto che particolarmente adessocolpisce l’umanità tutta, per l’accelera-zione del cambiamento climatico chemodifica le temperature, riduce l’ac-qua disponibile, aumenta la concentra-zione di sali e produce la migrazione diparassiti in ambienti mai infestati. Ser-vono quindi sempre di più varietà pla-stiche che si possano adattare ai cam-biamenti del contesto.

Purtroppo la risposta è stata l’omolo-gazione degli agro-ecosistemi viventi aindustrie meccaniche che migliorano iprodotti innovando pezzi singoli pezzie facilmente brevettabili. L’ingegneriagenetica consiste nell’introduzione disingoli geni che, come nelle macchine,non dovrebbero determinare nessuncambiamento non previsto. Le pianteinvece sono viventi e possono reagire aun gene alieno con reazioni negativeimpreviste che hanno limitato l’intro-duzione nel mercato solo a soia, mais,colza e cotone resistenti a diserbanti ea un insetto. Questo perché, quando si

introduce in una pianta un gene alie-no, non prevediamo in quante copieentrerà nel Dna delle piantemodifican-dolo, se il gene funzionerà, che effettiavrà sul metabolismo della pianta equesta sull’agro-ecosistema, se saràproduttiva e il prodotto alimentare sa-rà pericoloso per la salute degli umanie dell’agro-ecosistema. Di tutto questoMonsanto, Dupont e Syngenta non sisono interessate e hanno invece ridot-to la spesa per la ricerca di nuovi Ogmmigliori, imponendo l’istituzione delbrevetto industriale introducendo ilconcetto della «sostanziale equivalen-za» fra vivente e non vivente. Così, chicompra semi Gm deve pagare di nuo-vo ogni anno, anche se usa semi da luiprodotti. Anzi basta che ci sia ancheuna sola pianta Gm perché il contadi-no paghi per tutto il campo.

Il cambiamento del valore legale deibrevetti ha arricchito le multinazionalial punto da poter trattare anche con lenazioni l’uso diOgmnel loro Paese. Co-sì in America latina le Sorelle hannotrattato e introdotto i loro prodotti com-prando poi a basso prezzo i campi deicontadini locali e formando gigante-sche aziendedovenon si coltiva cibo lo-cale ma solo soia resistente a un diser-bante di Monsanto che si esporta co-

me mangime. Milionidi ettari della agricoltu-ra locale sono stati com-prati, i contadini caccia-ti o ridotti a bracciantia basso costo nellegrandi aziende, dove ir-rorano il pericoloso di-serbante Round Up.Per ora l’Europa resiste

in parte alle Sorelle, ma gli Ogm sonocoltivati in 170 milioni di ettari nelleAmeriche, in Cina, in India e in Africa.L’Italia ne proibisce la coltivazione perevitare possibili pericoli per la saluteumana e per difendere un’agricolturabasata sulla variabilità dei cibi. Purtrop-po gli Ogm non sono sufficientementecontrollati dall’Agenzia europea per lasicurezza alimentare, che ha linee gui-da che nonpermettono di usare labora-tori indipendenti per i controlli. Questaprassi è contrastata da laboratori euro-pei che hannoda tempo segnalato pos-sibili effetti dannosi delle Gm per la sa-lute e per l’ecosistema suolo. Questononostante molti laboratori europei sisiano riuniti nella Rete per la responsa-bilità sociale e ambientale (Ensser), delcui direttivo fa parte chi scrive e che hadifficoltà ad avere finanziamenti Ue.

In Italia un solo progetto è stato fi-nanziatomolti anni fa con risultati inte-ressanti, ma non è stato ripetuto per lapovertà dei finanziamenti della nostraricerca nazionale, nonostante gli sforzidella Coalizione anti-Ogm coordinatadallaColdiretti, dalla Cia e da altri. Il no-doquindi non è che solo in parte la pre-senza di pericoli per i consumatori, masi rischia la distruzione della nostraagricoltura, delle nostre varietà e dei ci-bi. Tutto questo per la potenza dell’eco-nomia finanziaria delle royalties delleimprese Ogm che, come Big Pharma,hanno smesso di fare scienza per sfrut-tare il mercato virtuale dei brevetti in-dustriali sulle vite.

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L’INCHIESTA L’INCHIESTA

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pagina 10 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

Mauro Ravarino

L e trasformazioni socio-economiche, legrandi migrazioni, i tempi accelerati dellavita quotidiana. Sono alcuni dei «passaggi»

ai quali è dedicata la quarta edizione di BiennaleDemocrazia, la manifestazione presieduta daGustavo Zagrebelsky in pro-gramma a Torino dal ieri al 29marzo. L’obiettivo è fotografa-re il presente nell’atto dellatransizione – appunto i «passag-gi», tema della rassegna – pertornare a credere nel futuro.

Nei cinque giorni dell’eventosi daranno appuntamento nelcapoluogo piemontese 128ospiti che discuteranno di co-me ogni «passaggio dischiudaorizzonti e apra molteplicipossibilità»: dalla crisi econo-mica alle capacità previsiona-li dei Big Data, dalle riformeche il nostro Paese deve af-frontare alle scoperte dellascienza, dalle mutazioni cli-matiche alle rivoluzioni delmondo del lavoro. Nella gior-nata inaugurale Claudio Magris terrà una lec-tio magistralis al Teatro Regio intitolata «L’Eu-ropa della cultura». «La cultura – sottolinea Za-grebelsky - è chiamata in causa nella sua fun-zione più profonda, per comprendere, dare unsenso e offrire prospettive di convivenza».

Uno speciale percorso sarà dedicato ai «Gran-di Discorsi della Liberazione»: Winston Chur-chill commentato da Adrian Lyttelton e letto daUmberto Orsini; pagine di Primo Levi a cura diFabio Levi e interpretate da Fausto Paravidino; einfine Giuseppe Cederna darà voce alle lettere diVittorio Foa, con un’introduzione di Carlo Ginz-

burg. Tra gli appuntamenti, il26 marzo per i «discorsi dellaBiennale», Moni Ovadia inter-verrà al Teatro Carignano su «Ilprincipio della dignità, fonda-mento della democrazia». Il 27workshop con Marco Revelli eBeppe Rosso al Circolo dei Let-tori su «Le conseguenze del la-voro». Il 28marzo si svolgerà al-la aula magna della Cavalleriz-za Reale il dibattito «Democra-zia e diritti negati», con i socio-logi Colin Crouch, DonatellaDella Porta e Saskia Sassen. Ri-fletteranno su come il neoliberi-smo, con il privilegio accordatoal libero mercato, abbia portatoa una continua erosione di dirit-ti civili, politici e sociali. Sempresabato, al Carignano, è in pro-

gramma il dialogo tra Luciano Canfora e AntonioGnoli «L’Europa e Il mondo. Panta Rei». Domeni-ca, 29 marzo, tavola rotonda, al Circolo dei Letto-ri, su «Le tre guerre della resistenza» con gli storiciDavid Bidussa, Guido Crainz, Giovanni De Luna,Mariuccia Salvati e Franco Sbarberi.

Benedetto Vecchi

C olin Crouch appartiene allaesigua,ma autorevole schie-ra di economisti, filosofi, so-

ciologi «riformisti» che, rimanen-do fedeli alle loro convinzioni, so-noormai indicati, daimediamain-stream, come teorici radicali. Nefanno parte studiosi come Ri-chard Sennett, Zygmunt Bauman,Alessandro Pizzorno e LucianoGallino. Negli anni tutti loro si so-no applicati ad indagare le trasfor-mazioni del mondo del lavoro o ilvenir meno di quelle identità col-lettive che hanno caratterizzato ilNovecento. Si sono applicati al lo-ro specifico campo disciplinare,registrando le continuità e le di-scontinuità nello sviluppo capitali-stico. Non hanno mai nascosto laconvinzione che l’economia dimercato potesse continuare a pro-sperare solo in presenza di robu-sti, seppur flessibili diritti socialidi cittadinanza che garantisserouna «ragionevole» redistribuzionedella ricchezza.

Crouch è inoltre lo studioso cheha, come gli altri, individuato nelwelfare state il punto più avanza-to raggiunto durante «il secolo so-cialdemocratico», per usareun’espressione coniata da RalphDarendhorf, altra figura chiave diquesta cultura politica democrati-ca europea. Non un «radicale»dunque, anche se i suoi ultimi stu-di - Il potere dei giganti e Postde-mocrazia, entrambi pubblicati daLaterza - sono stati consideratiuna corrosiva critica del neoliberi-smo.Colin Crouch sarà ospite del-la «Biennale Democrazia».

Sono anni che la discussionesulla democrazia occupa un po-sto rilevante nella riflessione difilosofi, economisti, sociologi.Lei ha scritto diffusamente di re-gimi politici postdemocratici,caratterizzati da un paradosso:in essi sono vigenti tutti i diritticivili e politici acquisita dallamodernità, ma i centri decisio-nali sono caratterizzati da logi-che che difficilmente possonoessere sottoposte al controllodei cittadini. Stiamo cioè assi-stendo a una cambiamento del-la forma-stato. Può spiegare co-sa intende per postdemocrazia?

Si, viviamo una situazione para-dossale, come lei suggerisce. Oltreche un paradosso, i regimi politicieuropei e statunitense sono unaforma di atrofia della democrazia.La globalizzazione lo rende evi-dente, così come rende manifestoil fatto che la democrazia (che ri-

mane principalmente nazionale)cessa di esistere sulla soglia dei po-sti dove si prendono le decisionipiù importanti sull’economia. Ildeclino delle identità di classe edella religione, elementi fonda-mentale nella definizione delleidentità politiche nei primi decen-ni dei processi di democratizzazio-ne, priva gli elettori di legami conil mondo politico. Ma anche i par-titi politici ormai si sentono lonta-ni dalla popolazione e usano ime-todi del «marketing» come surro-gato dei legami venuti meno conchi dovrebbero rappresentare.

La cattura dell’attenzione crea-ta dal marketing politico crea pe-rò legami artificiali, contingenti; edunque non convincenti. La cre-scita della diseguaglianza rende in-fine molto più facile che le élite ele grandi imprese controllino lapolitica.Questo comporta una tra-sformazione della forma dello sta-

to. Ciò che stiamo assistendo è laformazione di uno stato post-feu-dale saldamente nelle mani dellanuova aristocrazia delle grandi im-prese. Uno stato, tuttavia, che hauna legittimazione democratica.Alle élite non serve quindi più unadittatura per esercitare il potere.Parallelamente alla discussionedella democrazia, c’è quella sul«deperimento» dello stato-nazio-ne, vista la cessione di sovrani-tà ad organismi sovranazionali,come l’Unione europea, il FondoMonetario Internazionale, il Wtoo la Banca mondiale. Eppure as-sistiamo a una superfetazionedell’intervento statale in termi-ni di norme amministrative cheregolano la vita dei singoli. In In-ghilterra, ciò è stato qualificatocome «politica della vita». Dauna parte dunque, perdita dellasovranità, dall’altra aumentodelle sfere di intervento delloStato. Come vede lei questa si-tuazione?

Il «deperimento» dello stato-nazio-ne è sotto gli occhi di tutti. Perme,però, le cose sono complesse. Allaluce della globalizzazione, un fe-nomeno che ritengo positivo, ab-biamo bisogno di trascendere lostato-nazione, perché è un mododi organizzare e gestire la vita pub-blica inadeguato rispetto i compi-ti politici che abbiamo di fronte.Abbiamo bisogno di queste istitu-zioni sovranazionali. Più che abo-lirle dobbiamo però lavorare auna loro democratizzazione. Que-sto vale anche per l’Unione Euro-pea. Per quanto riguarda l’Europasiamo di fronte a un caso di recu-ler pour mieux sauter, come dico-no i francesi, cioè di arretrare unpo’ per meglio compiere un balzoin avanti. È infine vero che la poli-tica nazionale ormai si interessa,forse troppo, delle piccole cose, inuna miscela di superfetazione de-gli interventi sulla vita dei singoli eincapacità di fronteggiare i proble-mi derivanti dalla globalizzazione.

ËL’Europa politica e sociale èl’oggetto del desiderio del rifor-mismo socialdemocratico euro-peo. Tuttavia, l’Europa sembraessere un laboratorio sociale epolitico di un neoliberismo in cri-si, certo, ma ancora abbastanzaforte da definire draconiane poli-tiche di austerità. Cosa ne pen-

sa della situazione europea?C’è stata sempre una tensione nel-la politica europea tra il neolibera-lismo e una politica sociale, conuna egemonia del primo aspetto.D’altrondenonpossiamodimenti-care che il progetto iniziale era difare un mercato comune. Ma la«mercatizzazione», benché portaalcuni vantaggi, produce danni so-ciali. Da questo punto di vista ladefinizionedi politiche sociali è in-dispensabile per riparare i «dan-ni» prodotti dalle politiche neoli-berali.

Per sintetizzare: più si diffondela «mercatizzazione», più deve cre-scere l’impegno per sviluppare in-terventi politico-sociali per stabi-lirne limiti e argini. Questo è acca-duto, seppur parzialmente, duran-te i lavori delle commissioni euro-pee presiedute daDelors e da Pro-di. Quel che manca oggi è invecel’opera di «bilanciamento» chepuò essere esercito da parte dellapolitica. È questo un aspetto deltrionfo della postdemocrazia. Af-finché si sviluppi un’Europa socia-le servono proteste e mobilitazio-ni dei cittadini. Solo in questomo-do i governi, le banche e le altreistituzioni (sia nazionali, che euro-pee che internazionali) potrannocambiare la loro agenda.In tutto il mondo sono cresciutele diseguaglianze sociali. Anche

questo rimette in discussione lademocrazia. È come se nei glo-riosi, meglio sarebbe dire infau-sti trenta anni di neoliberismo cisia stato uno spostamento rile-vante di potere nella società.Poche centinaia di migliaia dipersone hanno redditi e poteri digran lunga superiore a quelli del-la maggioranza della popolazio-ne. Lei ha scritto un saggio suquesto elemento («Il potere deigiganti»). A che punto siamo diquesta tendenza alla crescitadelle crescita delle disugua-glianze sociali?

Questo è il tema al centro delleanalisi non solo di studiosi autore-voli come Joseph Stiglitz e Tho-mas Piketty, ma anche di organi-smi come l’Ocse e il FondoMone-tario Internazionale. Dalle loroanalisi emerge nelle loro analisiun elemento comune: il negativoimpatto economico dovuto allacrescita delle disuguaglianze. Con-cordo però con Stiglitz quando af-ferma che ci sono anche aspettipolitici scaturiti dalle disugua-glianze sociali. Il principale è chela ricchezza economica può tra-sformarsi in potere politico; il qua-le, a sua volta, può essere usatoper acquisire ulteriori vantaggieconomici.Ma sta a noi interrom-pere questa spirale alimentata dal-la «crescita incardinata sulla cre-

scita delle disuguaglianze sociali».Uno dei suoi primi libri, scritto ecurato assieme con AlessandroPizzorno, è pervaso dalla convin-zione che il conflitto di classeavesse portato a compimento ladefinizione dei diritti sociali dicittadinanza. Uscì quando eracominciato a spirare il vento ne-oliberista. Da allora i diritti so-ciali di cittadinanza sono statoil bersaglio preferito di molte po-litiche in Europa, mentre la pre-carietà ha fatto crescere a di-smisura l’esercito dei «workingpoor», che hanno bassi salari epochissimi diritti. Come vede lasituazione dei rapporti di lavoronel capitalismo?

Il declino dei sindacati - causatoprincipalmente dal declino dellagran industria e la crescita dei set-tori postindustriali non organizza-ti - ha reso più facile un attaccocontro i diritti sociali di cittadinan-za. Ora però è importante capire icambiamenti nel lavoro. Le con-quiste operaie e sindacali degli an-ni Settanta hanno come sfondoun’economia industriale, che nonèovviamente scomparsa,ma è tut-tavia segnata da una sistematicacondizione «congiunturale» dovu-ta ai continui e repentini muta-menti nell’economia .

Prendiamo, ad esempio, l’artico-lo 18 del vostro Statuto dei lavora-tori. È una norma pensata e validain unpreciso contesto storico-pro-duttivo tesa a garantire alcuni di-ritti dei lavoratori, come ad esem-pio il licenziamento ingiustificato.L’esito delle profonde e drammati-che trasformazioni economiche èla «sparizione» di interi settori pro-duttivi in alcuni paesi europei. Daqui la necessità di elaborare nuo-ve tipologie di diritti a difesa del la-voro. Se i lavoratori sono costrettia vivere periodi più o meno lun-ghi di disoccupazione, hannobiso-gno di un compenso generoso percontinuare a vivere. Allo stessotempo devono accedere a corsi diformazione professionale finaliz-

zati a trovare unnuovo lavoro. Po-litiche di questo tipo sono partico-larmente deboli in Italia. I sindaca-ti, più che attestarsi nella sola dife-sa dell’articolo 18, dovrebbero atti-varsi anche per lo sviluppodi poli-tiche del lavoro. Allo stesso tem-po, però, il governo non può limi-tarsi a volere l’abolizione dell’arti-colo 18: dovrebbe sviluppare nuo-vi diritti adeguati per l’economiaattuale.Nel suo ultimo libro tradotto inItalia - «Quanto capitalismo puòsopportare la società» - lei scri-ve diffusamente sulla «socialde-mocrazia assertiva». Cosa inten-de con questa espressione?

In ogni paese europeo, i socialde-mocratici sono attestati su una po-sizione difensiva. Credono che iltrionfo del mercato e del neolibe-ralismo li abbiano ridotti a dino-sauri in via di estinzione o a pezzidamuseo. Ritengo che per i social-democratici si aprononuove e ine-dite strade politiche da percorre-re. Come ho già detto, il mercatocrea problemi sociali; è proprio inquesta situazione di potere delmercato che abbiamobisognodel-le politiche sociali della socialde-mocrazia. Il potere del mercato,delle grandi e spesso globali im-prese più mercato, la crescita del-le disuguaglianze sociali prevedo-no la forte presenza della socialde-mocrazia che può rappresentaregli interessi sociali, civili, culturalidi chi è penalizzato dall’egemoniadell’economia di mercato. Certo,dovrebbe essere una socialdemo-crazia innovativa, nel senso diuna democrazia «femminilizzata»e verde. Il neoliberalismonon puòinfatti riuscire a risolvere i proble-mi sociali e di svuotamento dellademocrazia creati proprio del neo-liberalismo.

Luca Lenzini

N ella Prefazione a Autobio-grafia documentaria, il vo-lume che raccoglie i suoi

scritti di oltre mezzo secolo (Quo-dlibet, 2007), così scriveva RenatoSolmi: «Hopiù chemai l’impressio-ne (…) che questo libro, che è, secosì si può dire, un sommario det-tagliato della mia vita, sia tutto ri-volto verso il passato, e non possofare a meno di temere che essa siadestinata a prevalere su qualsiasialtra agli occhi degli esponenti del-la nuova generazione che si batto-no con tanto ardore e con tanta fer-mezza sulla linea più avanzata delfronte che separa il passato dal fu-turo, o, se si preferisce, la salvezzadalla catastrofe». Ma a chi abbiapresenti le ottocento e passa pagi-ne del libro, l’impressione dell’au-tore risulta infondata, anzi fuor-viante: perché, al contrario, la lezio-ne dell’Autobiografia di Solmi -scomparso ieri - era ed è quella diun pensatore la cui bussola è statasempre orientata verso ciò che, nelpresente, si schiude anuovi svilup-pi, al di fuori di schemi dottrinari oteleologici. E già il sommariodell’antologia del 2007 dispiegavain piena luce l’amplissimoorizzon-te entro cui si è mossa, con straor-dinaria mobilità intellettuale, la ri-flessione di Solmi: dai primi lavorisu Jaeger, Snell, Cassirer, DeMarti-no degli anni Cinquanta, ai contri-buti su «Discussioni», la rivista rea-lizzata con Insolera, Amodio, Ran-chetti, Fortini, i Guiducci, tra il ’49e il ’53, agli interventi del redattoreEinaudi nel periodo più fecondodella casa editrice, fino a quelli su«Quaderni Piacentini», i pezzi sullascuola e sui movimenti degli anni’60/’70, sul pacifismo.

A partire da quei testi si può be-ne intendere come l’opera di Sol-mi non sia in alcun modo classifi-

cabile comequella di uno «speciali-sta», anche se sul terreno volta avolta affrontato, dalla filosofia insenso stretto alla storia della cultu-ra, dall’antropologia alla sociolo-gia, la storia o la critica letteraria,pochi specialisti – oggi meno chemai - ne sarebbero all’altezza. Il ca-rattere militante, e perciò critico,del pensiero di Solmi, ostile per na-tura ai dogmi e agli shematismi, èil filo che ne tiene saldamente in-sieme l’opera, e nonmeno caratte-ristico è il suo stile intellettuale,tanto più garbato, raziocinante etalvolta persino cerimoniosonell’argomentare i suoi dissensi,quanto più si rivela radicale e indo-cile alle pretese della doxa, fossepure quella della parte politica percui si è sempre schierato, con pre-veggente impegnopacifista e altret-tanto rigore morale.

Tutto questo, mentre spiega lasua emarginazione rispetto ai sen-tieri della cultura ufficiale, sia deipartiti sia accademica, pone la suaopera esattamente, per usare lesue parole, «sulla linea più avanza-ta del fronte che separa il passatodal futuro». Ed è di una tale lezio-ne, nel nostro tempo di filosofi dafestival e microspecialisti, segnatodal conformismo (non meno taleper vestirsi di provocazionemoda-iola o da lezione di disincanto),che c’è bisogno, ora che lui ci ha la-sciato. Chi saprà misurarsi con isaggi introduttivi all’opera di Ador-no o Benjamin, scritti tra il 1953 edil ’59, potrà rendersi conto di qualicalibrate rimozioni è capace la cul-tura del nostro paese: quel che èstato rimosso, beninteso, non so-no Adorno o Benjamin, che anzisono stati ampiamente pubblicati

e fatti oggetto persino (non senzaambiguità) di culto, ma la prospet-tiva e lo spessore di storia e culturaentro cui un lettore come Solmi siponeva: quella di una traduzionenel senso più vero (incluso, ovvia-mente, il più letterale, in cui eccel-leva), capace ogni volta di fare iconti con la società che si andavasviluppando nelle tumultuose on-date di quella «modernizzazione»,le cui contraddizioni ed i cui limitisi sono poi rivelati tragicamentenel corso degli anni seguenti, e an-cora oggi scontiamo.

C’è un testo del 1985 in cui ram-mentando l’autunno del ’68, Solmiannotava: «Ricordo unamattina, intram–enonera un’esperienzauni-ca o eccezionale in quei giorni, - glistudenti e le studentesse che anda-vano a scuola, e che si raccontava-no reciprocamente quel che era ac-caduto nelle rispettive scuole e inquei giorni, con un’immediatezza,una spontaneità, come se tutte lebarriere fossero cadute: c’eraun’esperienza comune di cui si po-teva parlare». Proseguiva poi, conun rilievo consonante con le osser-

vazioni di De Certeau sulla «presadella parola»: «Non è durato molto,forse, nel sensochebenpresto si so-no aggiunti anche altri elementiche hanno alterato o adulterato lapurezza originaria del movimento.Questa purezza si manifestava, fral’altro nella lingua, nel linguaggio,nel modo di esprimersi e di comuni-care degli studenti». Lo ricordiamocosì, mentre guarda ai giovani e aquanto è in movimento; e con i versiche gli dedicò Franco Fortini, cheportano un’altra data cruciale, quel-la del 1956 (Ventesimo Congresso):«Una mattina di febbraio/ grigio gen-tile ghiaccio/ nello sventolio/ delleedicole, balzo e riso,/ delizioso fulmi-ne, le mani gli occhi dell’amico/ con-vulso, con l’articolo/ mangiato dalvento: Il vento/ - diceva ridendo fra identi –/ il ventodella storia, checipre-cipita!»

Si deve a Colin Crouch l’espressione «postdemocrazia».Ma al di là del successo di questa fortunata espressio-ne, Crouch è uno studioso che negli anni ha analizzatocon continuità i mutamenti dei regimi politici mettendo-le in relazione con le trasformazioni nel mondo del lavo-

ro, forte della convinzione del triangolo esistente tra identità sociale, rappresentanza,identità politica. Se vengono meno uno o più lati del triangolo ad essere messa in discus-sione e in crisi è proprio la democrazia, intendendo con questo il potere della societànell’orientare e influire sulla decisione politica. Nato nel Regno Unito, Crouch ha insegna-to per molti anni alla London School of Economics. Noto per lo studio sulle relazioni indu-striali condotto con Alessandro Pizzorno raccolto nel volume «Conflitti in Europa: Lotte diclasse, sindacati e Stato dopo il 68» (Etas), è stato docente anche nelle Università diBath, di Oxford e nell’Istituto universitario europeo di Fiesole. Tra i suo libri vanno ricorda-ti «Sociologia dell’Europa occidentale» (Il Mulino), «Postdemocrazia» (Laterza), «Europeand problems of marketization: from Polanyi to Scharpf» (Firenze University Press), «Ilpotere dei giganti» (Laterza), «Quanto capitalismo può sopportare la società» (Laterza)

SCAFFALIDalle relazioni industrialialla critica del neoliberismo

Marco Rovelli

C osa intende Spinozaper etica, si chiede-va Deleuze. Per capirlo pensiamoall’etologia, ovvero una «scienza pratica

delle maniere di essere». Se la morale ha a chefare con l’essenza e con i valori, e dunque colgiudizio, un’etica parla di singolarità, dove sin-golarità è cosa opposta a individualismo, per-ché non di atomi separati gli uni dagli altri sitratta,madi unmondo fatto di infinite connes-sioni tra ogni singolarità. Ecco, Anima di Waj-di Mouawad (Fazi, 18 euro) è un roman-zo-mondo che è (anche) un capolavoro di eti-ca. Quella raccontato da Mouawad è un uni-verso senza giudizio dove ogni ente (uomo oanimale che sia) è connesso con ogni altro en-te, ognuno restituito nella sua forma di vita as-solutamente singolare, eppure intramatadell’altro da sé. Un universo di risonanze di«anime animali», dove a risuonare è una scrit-tura impetuosa, trascinante, a tratti miracolo-sa.

Mouawad è un libanese cresciuto in Fran-cia, dove è celebratissimo anche come autoreteatrale. In questo romanzo, la messa in scenainizia con un evento tremendo: il selvaggio,folle, macabro omicidio di una donna. Da lìinizia il viaggio: il suo uomo simette sulle trac-ce dell’assassino psicopatico, che la polizia harinunciato a cercare, e in quella rincorsa siapronomondi, unodopo l’altro. Prima le riser-ve indiane del Quebec, perché l’assassino è unmohawk; e poi sarà una corsa lungo tutti gliStates, unpunto zero che non si fermerà alla ri-cerca dell’assassino,maproseguirà fino alla ra-dice dell’orrore, una radice che abitava il pro-tagonista da sempre. Sarà insieme una anaba-

si e una catabasi, per Wahhch (nome che in li-banese significa «mostruoso», dove il cogno-me Debch significa «brutale»), una discesa/ri-salita al suo proprio orrore rimosso e cancella-to, fino a quella Sabra e Chatila dove era nato,e dove aveva vissuto l’orrore che adesso dove-va riscoprire nelle sue viscere, nella sua ani-

ma. Ma l’anima, racconta Mouwad, è una so-la, nei suoi infiniti modi: tutto si tiene, tutto èconnesso nel regno della vita. Anime ed ani-mali, tutto risuona. Ed è questa la particolaritànarrativa del romanzo: che a raccontare glieventi sono gli animali che li osservano. È il lo-ro sguardo «alieno» a farne parola. Fino a sco-prire che quella presunta alterità degli animalirispetto all’uomo è solo apparente, fino a sco-prire la profonda animalità dell’uomo stesso,nel bene e nelmale: là dove bene emale scom-paiono, e c’è solo un unico canto animale chetutto tiene, e lascia scorrere.

Le parole risuonano grazie al silenzio deglianimali che ascoltano gli uomini, ed è propriograzie a quel silenzio che il mondo degli uma-ni si riconnette al proprio senso più profondo.Gli animali guardano, e la sapienza narrativadi Mouawad riesce a mostrarci lo sguardo de-gli animali, la loro specifica formadi vita (resti-tuita con precisione nella scrittura: del resto

ogni capitolo, nelle prime due parti del roman-zo, si intitola col nome scientifico dell’animaleche racconta, e già questo segnala che non c’èimpressionismo naif nell’immaginarsi queglisguardi). Si costruisce così una trama di sensodel mondo che coincide con la trama stessadel romanzo. Ovviamente, non c’è nessunaidillizzazione della natura: la ferocia appartie-ne al regno animale, è una delle modalità diquell’interconnessione universale. Ma la fero-cia dell’umanohaun suo senso specifico, sem-bra dirciMouawad, particolarmente abietto. Eallora il viaggio del protagonista a partire dallaferocia che lo ha toccato è un percorso («unamacabra caccia al tesoro») che va a toccare lecorde più intime della violenza degli uomini, iframmenti di una storia esplosa che sono le lo-ro guerre, che si richiamano le une con le al-tre.

«Gli umani sono soli», così a un certo puntoriflette Tomahawak, lo scimpanzé del capo in-diano che aiuteràWahhch. «Malgrado la piog-gia, malgrado gli animali, malgrado i fiumi egli alberi e il cielo emalgrado il fuoco. Gli uma-ni sono sempre sulla soglia.Hanno avuto il do-no della verticalità, e tuttavia conducono la lo-ro esistenza curvi sotto un peso invisibile. C’èqualcosa che li schiaccia. Piove: ecco che cor-rono. Sperano nella venuta delle divinità, manon vedono gli occhi degli animali che li guar-dano. Non sentono il nostro silenzio che liascolta. Prigionieri della loro ragione, la mag-gior parte di loro non faranno mai il grandepasso dell’irragionevolezza, se non al prezzodi un’illuminazione che li lascerà esangui, efolli. Sono assorbiti da ciò che hanno sottoma-no e quando le loromani sono vuote, se le por-tano al viso e piangono. Sono fatti così».

CULTURE

NARRATIVA · «Anima» di Wajdi Mouawad per Fazi editore

La singolarità umana della violenza

CULTURE

Il paradossodemocratico

Un’intervista con lo studiosoinglese, ospite della «BiennaleDemocrazia» di Torino.La necessità di una puntualecritica al potere dei gigantie di una complementarecapacità innovativadella sinistra europea

Traduttore di Benjamine Adorno, lavoròper anni a Einaudi.Il lungo sodaliziocon Fortini e Ranchetti

Da Saskia Sassena Marco Revelli,

i seminari, i workshope le mostre

del meeting di Torino

Incontri/ PARTITA IERI LA «BIENNALE DEMOCRAZIA»

Quei passaggi che segnanola transizione verso il futuro

ADDII · La scomparsa di Renato Solmi

Un elegante stile criticoper guardare al futuro

Un omicidio dove la ricercadell’assassino è una discesanegli abissi della Storia.Un romanzo scanditodalle parole degli animali

COLIN CROUCH

Nella globalizzazioneabbiamo bisognodi istituzioni sovranazionaliche mettano in campopolitiche di contenimentodelle disuguaglianze sociali

PER LE FALSE ACCUSE DI EVASIONE FISCALE,STEPHEN KING CHIEDE SCUSE UFFICIALIAccusato ingiustamente di evasione fiscale, Stephen King reclama scuseufficiali. Nei giorni scorsi, lo scrittore era stato citato dal governatorerepubblicano dello Stato del Maine, Paul LePage, in carica dal 2011,

come «un esempio» di evasore fiscale. In un discorso pubblico, LePageha attaccato lo scrittore sper aver aggirato il regime fiscale del Maine,scegliendo quello più vantaggioso della Florida. Immediata la replica diKing, che ha affermato di pagare le tasse fino all'ultimo centesimo, ed èanche felice di farlo. «Vediamo le nostre tasse come un modo per

rimborsare lo Stato che ci ha dato tanto», ha scritto via Twitter. Tutto ènato dal fatto che King vive alcuni mesi l’anno in Florida. In una mailindirizzata al «Portland Press Herald», Stephen King ha fatto sapere diaver versato nelle casse dello Stato del Maine circa 1,4 milioni di dollaridi imposte, più o meno la stessa cifra che verserà anche per il 2014.

GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 il manifesto pagina 11

Mauro Ravarino

L e trasformazioni socio-economiche, legrandi migrazioni, i tempi accelerati dellavita quotidiana. Sono alcuni dei «passaggi»

ai quali è dedicata la quarta edizione di BiennaleDemocrazia, la manifestazione presieduta daGustavo Zagrebelsky in pro-gramma a Torino dal ieri al 29marzo. L’obiettivo è fotografa-re il presente nell’atto dellatransizione – appunto i «passag-gi», tema della rassegna – pertornare a credere nel futuro.

Nei cinque giorni dell’eventosi daranno appuntamento nelcapoluogo piemontese 128ospiti che discuteranno di co-me ogni «passaggio dischiudaorizzonti e apra molteplicipossibilità»: dalla crisi econo-mica alle capacità previsiona-li dei Big Data, dalle riformeche il nostro Paese deve af-frontare alle scoperte dellascienza, dalle mutazioni cli-matiche alle rivoluzioni delmondo del lavoro. Nella gior-nata inaugurale Claudio Magris terrà una lec-tio magistralis al Teatro Regio intitolata «L’Eu-ropa della cultura». «La cultura – sottolinea Za-grebelsky - è chiamata in causa nella sua fun-zione più profonda, per comprendere, dare unsenso e offrire prospettive di convivenza».

Uno speciale percorso sarà dedicato ai «Gran-di Discorsi della Liberazione»: Winston Chur-chill commentato da Adrian Lyttelton e letto daUmberto Orsini; pagine di Primo Levi a cura diFabio Levi e interpretate da Fausto Paravidino; einfine Giuseppe Cederna darà voce alle lettere diVittorio Foa, con un’introduzione di Carlo Ginz-

burg. Tra gli appuntamenti, il26 marzo per i «discorsi dellaBiennale», Moni Ovadia inter-verrà al Teatro Carignano su «Ilprincipio della dignità, fonda-mento della democrazia». Il 27workshop con Marco Revelli eBeppe Rosso al Circolo dei Let-tori su «Le conseguenze del la-voro». Il 28marzo si svolgerà al-la aula magna della Cavalleriz-za Reale il dibattito «Democra-zia e diritti negati», con i socio-logi Colin Crouch, DonatellaDella Porta e Saskia Sassen. Ri-fletteranno su come il neoliberi-smo, con il privilegio accordatoal libero mercato, abbia portatoa una continua erosione di dirit-ti civili, politici e sociali. Sempresabato, al Carignano, è in pro-

gramma il dialogo tra Luciano Canfora e AntonioGnoli «L’Europa e Il mondo. Panta Rei». Domeni-ca, 29 marzo, tavola rotonda, al Circolo dei Letto-ri, su «Le tre guerre della resistenza» con gli storiciDavid Bidussa, Guido Crainz, Giovanni De Luna,Mariuccia Salvati e Franco Sbarberi.

Benedetto Vecchi

C olin Crouch appartiene allaesigua,ma autorevole schie-ra di economisti, filosofi, so-

ciologi «riformisti» che, rimanen-do fedeli alle loro convinzioni, so-noormai indicati, daimediamain-stream, come teorici radicali. Nefanno parte studiosi come Ri-chard Sennett, Zygmunt Bauman,Alessandro Pizzorno e LucianoGallino. Negli anni tutti loro si so-no applicati ad indagare le trasfor-mazioni del mondo del lavoro o ilvenir meno di quelle identità col-lettive che hanno caratterizzato ilNovecento. Si sono applicati al lo-ro specifico campo disciplinare,registrando le continuità e le di-scontinuità nello sviluppo capitali-stico. Non hanno mai nascosto laconvinzione che l’economia dimercato potesse continuare a pro-sperare solo in presenza di robu-sti, seppur flessibili diritti socialidi cittadinanza che garantisserouna «ragionevole» redistribuzionedella ricchezza.

Crouch è inoltre lo studioso cheha, come gli altri, individuato nelwelfare state il punto più avanza-to raggiunto durante «il secolo so-cialdemocratico», per usareun’espressione coniata da RalphDarendhorf, altra figura chiave diquesta cultura politica democrati-ca europea. Non un «radicale»dunque, anche se i suoi ultimi stu-di - Il potere dei giganti e Postde-mocrazia, entrambi pubblicati daLaterza - sono stati consideratiuna corrosiva critica del neoliberi-smo.Colin Crouch sarà ospite del-la «Biennale Democrazia».

Sono anni che la discussionesulla democrazia occupa un po-sto rilevante nella riflessione difilosofi, economisti, sociologi.Lei ha scritto diffusamente di re-gimi politici postdemocratici,caratterizzati da un paradosso:in essi sono vigenti tutti i diritticivili e politici acquisita dallamodernità, ma i centri decisio-nali sono caratterizzati da logi-che che difficilmente possonoessere sottoposte al controllodei cittadini. Stiamo cioè assi-stendo a una cambiamento del-la forma-stato. Può spiegare co-sa intende per postdemocrazia?

Si, viviamo una situazione para-dossale, come lei suggerisce. Oltreche un paradosso, i regimi politicieuropei e statunitense sono unaforma di atrofia della democrazia.La globalizzazione lo rende evi-dente, così come rende manifestoil fatto che la democrazia (che ri-

mane principalmente nazionale)cessa di esistere sulla soglia dei po-sti dove si prendono le decisionipiù importanti sull’economia. Ildeclino delle identità di classe edella religione, elementi fonda-mentale nella definizione delleidentità politiche nei primi decen-ni dei processi di democratizzazio-ne, priva gli elettori di legami conil mondo politico. Ma anche i par-titi politici ormai si sentono lonta-ni dalla popolazione e usano ime-todi del «marketing» come surro-gato dei legami venuti meno conchi dovrebbero rappresentare.

La cattura dell’attenzione crea-ta dal marketing politico crea pe-rò legami artificiali, contingenti; edunque non convincenti. La cre-scita della diseguaglianza rende in-fine molto più facile che le élite ele grandi imprese controllino lapolitica.Questo comporta una tra-sformazione della forma dello sta-

to. Ciò che stiamo assistendo è laformazione di uno stato post-feu-dale saldamente nelle mani dellanuova aristocrazia delle grandi im-prese. Uno stato, tuttavia, che hauna legittimazione democratica.Alle élite non serve quindi più unadittatura per esercitare il potere.Parallelamente alla discussionedella democrazia, c’è quella sul«deperimento» dello stato-nazio-ne, vista la cessione di sovrani-tà ad organismi sovranazionali,come l’Unione europea, il FondoMonetario Internazionale, il Wtoo la Banca mondiale. Eppure as-sistiamo a una superfetazionedell’intervento statale in termi-ni di norme amministrative cheregolano la vita dei singoli. In In-ghilterra, ciò è stato qualificatocome «politica della vita». Dauna parte dunque, perdita dellasovranità, dall’altra aumentodelle sfere di intervento delloStato. Come vede lei questa si-tuazione?

Il «deperimento» dello stato-nazio-ne è sotto gli occhi di tutti. Perme,però, le cose sono complesse. Allaluce della globalizzazione, un fe-nomeno che ritengo positivo, ab-biamo bisogno di trascendere lostato-nazione, perché è un mododi organizzare e gestire la vita pub-blica inadeguato rispetto i compi-ti politici che abbiamo di fronte.Abbiamo bisogno di queste istitu-zioni sovranazionali. Più che abo-lirle dobbiamo però lavorare auna loro democratizzazione. Que-sto vale anche per l’Unione Euro-pea. Per quanto riguarda l’Europasiamo di fronte a un caso di recu-ler pour mieux sauter, come dico-no i francesi, cioè di arretrare unpo’ per meglio compiere un balzoin avanti. È infine vero che la poli-tica nazionale ormai si interessa,forse troppo, delle piccole cose, inuna miscela di superfetazione de-gli interventi sulla vita dei singoli eincapacità di fronteggiare i proble-mi derivanti dalla globalizzazione.

ËL’Europa politica e sociale èl’oggetto del desiderio del rifor-mismo socialdemocratico euro-peo. Tuttavia, l’Europa sembraessere un laboratorio sociale epolitico di un neoliberismo in cri-si, certo, ma ancora abbastanzaforte da definire draconiane poli-tiche di austerità. Cosa ne pen-

sa della situazione europea?C’è stata sempre una tensione nel-la politica europea tra il neolibera-lismo e una politica sociale, conuna egemonia del primo aspetto.D’altrondenonpossiamodimenti-care che il progetto iniziale era difare un mercato comune. Ma la«mercatizzazione», benché portaalcuni vantaggi, produce danni so-ciali. Da questo punto di vista ladefinizionedi politiche sociali è in-dispensabile per riparare i «dan-ni» prodotti dalle politiche neoli-berali.

Per sintetizzare: più si diffondela «mercatizzazione», più deve cre-scere l’impegno per sviluppare in-terventi politico-sociali per stabi-lirne limiti e argini. Questo è acca-duto, seppur parzialmente, duran-te i lavori delle commissioni euro-pee presiedute daDelors e da Pro-di. Quel che manca oggi è invecel’opera di «bilanciamento» chepuò essere esercito da parte dellapolitica. È questo un aspetto deltrionfo della postdemocrazia. Af-finché si sviluppi un’Europa socia-le servono proteste e mobilitazio-ni dei cittadini. Solo in questomo-do i governi, le banche e le altreistituzioni (sia nazionali, che euro-pee che internazionali) potrannocambiare la loro agenda.In tutto il mondo sono cresciutele diseguaglianze sociali. Anche

questo rimette in discussione lademocrazia. È come se nei glo-riosi, meglio sarebbe dire infau-sti trenta anni di neoliberismo cisia stato uno spostamento rile-vante di potere nella società.Poche centinaia di migliaia dipersone hanno redditi e poteri digran lunga superiore a quelli del-la maggioranza della popolazio-ne. Lei ha scritto un saggio suquesto elemento («Il potere deigiganti»). A che punto siamo diquesta tendenza alla crescitadelle crescita delle disugua-glianze sociali?

Questo è il tema al centro delleanalisi non solo di studiosi autore-voli come Joseph Stiglitz e Tho-mas Piketty, ma anche di organi-smi come l’Ocse e il FondoMone-tario Internazionale. Dalle loroanalisi emerge nelle loro analisiun elemento comune: il negativoimpatto economico dovuto allacrescita delle disuguaglianze. Con-cordo però con Stiglitz quando af-ferma che ci sono anche aspettipolitici scaturiti dalle disugua-glianze sociali. Il principale è chela ricchezza economica può tra-sformarsi in potere politico; il qua-le, a sua volta, può essere usatoper acquisire ulteriori vantaggieconomici.Ma sta a noi interrom-pere questa spirale alimentata dal-la «crescita incardinata sulla cre-

scita delle disuguaglianze sociali».Uno dei suoi primi libri, scritto ecurato assieme con AlessandroPizzorno, è pervaso dalla convin-zione che il conflitto di classeavesse portato a compimento ladefinizione dei diritti sociali dicittadinanza. Uscì quando eracominciato a spirare il vento ne-oliberista. Da allora i diritti so-ciali di cittadinanza sono statoil bersaglio preferito di molte po-litiche in Europa, mentre la pre-carietà ha fatto crescere a di-smisura l’esercito dei «workingpoor», che hanno bassi salari epochissimi diritti. Come vede lasituazione dei rapporti di lavoronel capitalismo?

Il declino dei sindacati - causatoprincipalmente dal declino dellagran industria e la crescita dei set-tori postindustriali non organizza-ti - ha reso più facile un attaccocontro i diritti sociali di cittadinan-za. Ora però è importante capire icambiamenti nel lavoro. Le con-quiste operaie e sindacali degli an-ni Settanta hanno come sfondoun’economia industriale, che nonèovviamente scomparsa,ma è tut-tavia segnata da una sistematicacondizione «congiunturale» dovu-ta ai continui e repentini muta-menti nell’economia .

Prendiamo, ad esempio, l’artico-lo 18 del vostro Statuto dei lavora-tori. È una norma pensata e validain unpreciso contesto storico-pro-duttivo tesa a garantire alcuni di-ritti dei lavoratori, come ad esem-pio il licenziamento ingiustificato.L’esito delle profonde e drammati-che trasformazioni economiche èla «sparizione» di interi settori pro-duttivi in alcuni paesi europei. Daqui la necessità di elaborare nuo-ve tipologie di diritti a difesa del la-voro. Se i lavoratori sono costrettia vivere periodi più o meno lun-ghi di disoccupazione, hannobiso-gno di un compenso generoso percontinuare a vivere. Allo stessotempo devono accedere a corsi diformazione professionale finaliz-

zati a trovare unnuovo lavoro. Po-litiche di questo tipo sono partico-larmente deboli in Italia. I sindaca-ti, più che attestarsi nella sola dife-sa dell’articolo 18, dovrebbero atti-varsi anche per lo sviluppodi poli-tiche del lavoro. Allo stesso tem-po, però, il governo non può limi-tarsi a volere l’abolizione dell’arti-colo 18: dovrebbe sviluppare nuo-vi diritti adeguati per l’economiaattuale.Nel suo ultimo libro tradotto inItalia - «Quanto capitalismo puòsopportare la società» - lei scri-ve diffusamente sulla «socialde-mocrazia assertiva». Cosa inten-de con questa espressione?

In ogni paese europeo, i socialde-mocratici sono attestati su una po-sizione difensiva. Credono che iltrionfo del mercato e del neolibe-ralismo li abbiano ridotti a dino-sauri in via di estinzione o a pezzidamuseo. Ritengo che per i social-democratici si aprononuove e ine-dite strade politiche da percorre-re. Come ho già detto, il mercatocrea problemi sociali; è proprio inquesta situazione di potere delmercato che abbiamobisognodel-le politiche sociali della socialde-mocrazia. Il potere del mercato,delle grandi e spesso globali im-prese più mercato, la crescita del-le disuguaglianze sociali prevedo-no la forte presenza della socialde-mocrazia che può rappresentaregli interessi sociali, civili, culturalidi chi è penalizzato dall’egemoniadell’economia di mercato. Certo,dovrebbe essere una socialdemo-crazia innovativa, nel senso diuna democrazia «femminilizzata»e verde. Il neoliberalismonon puòinfatti riuscire a risolvere i proble-mi sociali e di svuotamento dellademocrazia creati proprio del neo-liberalismo.

Luca Lenzini

N ella Prefazione a Autobio-grafia documentaria, il vo-lume che raccoglie i suoi

scritti di oltre mezzo secolo (Quo-dlibet, 2007), così scriveva RenatoSolmi: «Hopiù chemai l’impressio-ne (…) che questo libro, che è, secosì si può dire, un sommario det-tagliato della mia vita, sia tutto ri-volto verso il passato, e non possofare a meno di temere che essa siadestinata a prevalere su qualsiasialtra agli occhi degli esponenti del-la nuova generazione che si batto-no con tanto ardore e con tanta fer-mezza sulla linea più avanzata delfronte che separa il passato dal fu-turo, o, se si preferisce, la salvezzadalla catastrofe». Ma a chi abbiapresenti le ottocento e passa pagi-ne del libro, l’impressione dell’au-tore risulta infondata, anzi fuor-viante: perché, al contrario, la lezio-ne dell’Autobiografia di Solmi -scomparso ieri - era ed è quella diun pensatore la cui bussola è statasempre orientata verso ciò che, nelpresente, si schiude anuovi svilup-pi, al di fuori di schemi dottrinari oteleologici. E già il sommariodell’antologia del 2007 dispiegavain piena luce l’amplissimoorizzon-te entro cui si è mossa, con straor-dinaria mobilità intellettuale, la ri-flessione di Solmi: dai primi lavorisu Jaeger, Snell, Cassirer, DeMarti-no degli anni Cinquanta, ai contri-buti su «Discussioni», la rivista rea-lizzata con Insolera, Amodio, Ran-chetti, Fortini, i Guiducci, tra il ’49e il ’53, agli interventi del redattoreEinaudi nel periodo più fecondodella casa editrice, fino a quelli su«Quaderni Piacentini», i pezzi sullascuola e sui movimenti degli anni’60/’70, sul pacifismo.

A partire da quei testi si può be-ne intendere come l’opera di Sol-mi non sia in alcun modo classifi-

cabile comequella di uno «speciali-sta», anche se sul terreno volta avolta affrontato, dalla filosofia insenso stretto alla storia della cultu-ra, dall’antropologia alla sociolo-gia, la storia o la critica letteraria,pochi specialisti – oggi meno chemai - ne sarebbero all’altezza. Il ca-rattere militante, e perciò critico,del pensiero di Solmi, ostile per na-tura ai dogmi e agli shematismi, èil filo che ne tiene saldamente in-sieme l’opera, e nonmeno caratte-ristico è il suo stile intellettuale,tanto più garbato, raziocinante etalvolta persino cerimoniosonell’argomentare i suoi dissensi,quanto più si rivela radicale e indo-cile alle pretese della doxa, fossepure quella della parte politica percui si è sempre schierato, con pre-veggente impegnopacifista e altret-tanto rigore morale.

Tutto questo, mentre spiega lasua emarginazione rispetto ai sen-tieri della cultura ufficiale, sia deipartiti sia accademica, pone la suaopera esattamente, per usare lesue parole, «sulla linea più avanza-ta del fronte che separa il passatodal futuro». Ed è di una tale lezio-ne, nel nostro tempo di filosofi dafestival e microspecialisti, segnatodal conformismo (non meno taleper vestirsi di provocazionemoda-iola o da lezione di disincanto),che c’è bisogno, ora che lui ci ha la-sciato. Chi saprà misurarsi con isaggi introduttivi all’opera di Ador-no o Benjamin, scritti tra il 1953 edil ’59, potrà rendersi conto di qualicalibrate rimozioni è capace la cul-tura del nostro paese: quel che èstato rimosso, beninteso, non so-no Adorno o Benjamin, che anzisono stati ampiamente pubblicati

e fatti oggetto persino (non senzaambiguità) di culto, ma la prospet-tiva e lo spessore di storia e culturaentro cui un lettore come Solmi siponeva: quella di una traduzionenel senso più vero (incluso, ovvia-mente, il più letterale, in cui eccel-leva), capace ogni volta di fare iconti con la società che si andavasviluppando nelle tumultuose on-date di quella «modernizzazione»,le cui contraddizioni ed i cui limitisi sono poi rivelati tragicamentenel corso degli anni seguenti, e an-cora oggi scontiamo.

C’è un testo del 1985 in cui ram-mentando l’autunno del ’68, Solmiannotava: «Ricordo unamattina, intram–enonera un’esperienzauni-ca o eccezionale in quei giorni, - glistudenti e le studentesse che anda-vano a scuola, e che si raccontava-no reciprocamente quel che era ac-caduto nelle rispettive scuole e inquei giorni, con un’immediatezza,una spontaneità, come se tutte lebarriere fossero cadute: c’eraun’esperienza comune di cui si po-teva parlare». Proseguiva poi, conun rilievo consonante con le osser-

vazioni di De Certeau sulla «presadella parola»: «Non è durato molto,forse, nel sensochebenpresto si so-no aggiunti anche altri elementiche hanno alterato o adulterato lapurezza originaria del movimento.Questa purezza si manifestava, fral’altro nella lingua, nel linguaggio,nel modo di esprimersi e di comuni-care degli studenti». Lo ricordiamocosì, mentre guarda ai giovani e aquanto è in movimento; e con i versiche gli dedicò Franco Fortini, cheportano un’altra data cruciale, quel-la del 1956 (Ventesimo Congresso):«Una mattina di febbraio/ grigio gen-tile ghiaccio/ nello sventolio/ delleedicole, balzo e riso,/ delizioso fulmi-ne, le mani gli occhi dell’amico/ con-vulso, con l’articolo/ mangiato dalvento: Il vento/ - diceva ridendo fra identi –/ il ventodella storia, checipre-cipita!»

Si deve a Colin Crouch l’espressione «postdemocrazia».Ma al di là del successo di questa fortunata espressio-ne, Crouch è uno studioso che negli anni ha analizzatocon continuità i mutamenti dei regimi politici mettendo-le in relazione con le trasformazioni nel mondo del lavo-

ro, forte della convinzione del triangolo esistente tra identità sociale, rappresentanza,identità politica. Se vengono meno uno o più lati del triangolo ad essere messa in discus-sione e in crisi è proprio la democrazia, intendendo con questo il potere della societànell’orientare e influire sulla decisione politica. Nato nel Regno Unito, Crouch ha insegna-to per molti anni alla London School of Economics. Noto per lo studio sulle relazioni indu-striali condotto con Alessandro Pizzorno raccolto nel volume «Conflitti in Europa: Lotte diclasse, sindacati e Stato dopo il 68» (Etas), è stato docente anche nelle Università diBath, di Oxford e nell’Istituto universitario europeo di Fiesole. Tra i suo libri vanno ricorda-ti «Sociologia dell’Europa occidentale» (Il Mulino), «Postdemocrazia» (Laterza), «Europeand problems of marketization: from Polanyi to Scharpf» (Firenze University Press), «Ilpotere dei giganti» (Laterza), «Quanto capitalismo può sopportare la società» (Laterza)

SCAFFALIDalle relazioni industrialialla critica del neoliberismo

Marco Rovelli

C osa intende Spinozaper etica, si chiede-va Deleuze. Per capirlo pensiamoall’etologia, ovvero una «scienza pratica

delle maniere di essere». Se la morale ha a chefare con l’essenza e con i valori, e dunque colgiudizio, un’etica parla di singolarità, dove sin-golarità è cosa opposta a individualismo, per-ché non di atomi separati gli uni dagli altri sitratta,madi unmondo fatto di infinite connes-sioni tra ogni singolarità. Ecco, Anima di Waj-di Mouawad (Fazi, 18 euro) è un roman-zo-mondo che è (anche) un capolavoro di eti-ca. Quella raccontato da Mouawad è un uni-verso senza giudizio dove ogni ente (uomo oanimale che sia) è connesso con ogni altro en-te, ognuno restituito nella sua forma di vita as-solutamente singolare, eppure intramatadell’altro da sé. Un universo di risonanze di«anime animali», dove a risuonare è una scrit-tura impetuosa, trascinante, a tratti miracolo-sa.

Mouawad è un libanese cresciuto in Fran-cia, dove è celebratissimo anche come autoreteatrale. In questo romanzo, la messa in scenainizia con un evento tremendo: il selvaggio,folle, macabro omicidio di una donna. Da lìinizia il viaggio: il suo uomo simette sulle trac-ce dell’assassino psicopatico, che la polizia harinunciato a cercare, e in quella rincorsa siapronomondi, unodopo l’altro. Prima le riser-ve indiane del Quebec, perché l’assassino è unmohawk; e poi sarà una corsa lungo tutti gliStates, unpunto zero che non si fermerà alla ri-cerca dell’assassino,maproseguirà fino alla ra-dice dell’orrore, una radice che abitava il pro-tagonista da sempre. Sarà insieme una anaba-

si e una catabasi, per Wahhch (nome che in li-banese significa «mostruoso», dove il cogno-me Debch significa «brutale»), una discesa/ri-salita al suo proprio orrore rimosso e cancella-to, fino a quella Sabra e Chatila dove era nato,e dove aveva vissuto l’orrore che adesso dove-va riscoprire nelle sue viscere, nella sua ani-

ma. Ma l’anima, racconta Mouwad, è una so-la, nei suoi infiniti modi: tutto si tiene, tutto èconnesso nel regno della vita. Anime ed ani-mali, tutto risuona. Ed è questa la particolaritànarrativa del romanzo: che a raccontare glieventi sono gli animali che li osservano. È il lo-ro sguardo «alieno» a farne parola. Fino a sco-prire che quella presunta alterità degli animalirispetto all’uomo è solo apparente, fino a sco-prire la profonda animalità dell’uomo stesso,nel bene e nelmale: là dove bene emale scom-paiono, e c’è solo un unico canto animale chetutto tiene, e lascia scorrere.

Le parole risuonano grazie al silenzio deglianimali che ascoltano gli uomini, ed è propriograzie a quel silenzio che il mondo degli uma-ni si riconnette al proprio senso più profondo.Gli animali guardano, e la sapienza narrativadi Mouawad riesce a mostrarci lo sguardo de-gli animali, la loro specifica formadi vita (resti-tuita con precisione nella scrittura: del resto

ogni capitolo, nelle prime due parti del roman-zo, si intitola col nome scientifico dell’animaleche racconta, e già questo segnala che non c’èimpressionismo naif nell’immaginarsi queglisguardi). Si costruisce così una trama di sensodel mondo che coincide con la trama stessadel romanzo. Ovviamente, non c’è nessunaidillizzazione della natura: la ferocia appartie-ne al regno animale, è una delle modalità diquell’interconnessione universale. Ma la fero-cia dell’umanohaun suo senso specifico, sem-bra dirciMouawad, particolarmente abietto. Eallora il viaggio del protagonista a partire dallaferocia che lo ha toccato è un percorso («unamacabra caccia al tesoro») che va a toccare lecorde più intime della violenza degli uomini, iframmenti di una storia esplosa che sono le lo-ro guerre, che si richiamano le une con le al-tre.

«Gli umani sono soli», così a un certo puntoriflette Tomahawak, lo scimpanzé del capo in-diano che aiuteràWahhch. «Malgrado la piog-gia, malgrado gli animali, malgrado i fiumi egli alberi e il cielo emalgrado il fuoco. Gli uma-ni sono sempre sulla soglia.Hanno avuto il do-no della verticalità, e tuttavia conducono la lo-ro esistenza curvi sotto un peso invisibile. C’èqualcosa che li schiaccia. Piove: ecco che cor-rono. Sperano nella venuta delle divinità, manon vedono gli occhi degli animali che li guar-dano. Non sentono il nostro silenzio che liascolta. Prigionieri della loro ragione, la mag-gior parte di loro non faranno mai il grandepasso dell’irragionevolezza, se non al prezzodi un’illuminazione che li lascerà esangui, efolli. Sono assorbiti da ciò che hanno sottoma-no e quando le loromani sono vuote, se le por-tano al viso e piangono. Sono fatti così».

CULTURE

NARRATIVA · «Anima» di Wajdi Mouawad per Fazi editore

La singolarità umana della violenza

CULTURE

Il paradossodemocratico

Un’intervista con lo studiosoinglese, ospite della «BiennaleDemocrazia» di Torino.La necessità di una puntualecritica al potere dei gigantie di una complementarecapacità innovativadella sinistra europea

Traduttore di Benjamine Adorno, lavoròper anni a Einaudi.Il lungo sodaliziocon Fortini e Ranchetti

Da Saskia Sassena Marco Revelli,

i seminari, i workshope le mostre

del meeting di Torino

Incontri/ PARTITA IERI LA «BIENNALE DEMOCRAZIA»

Quei passaggi che segnanola transizione verso il futuro

ADDII · La scomparsa di Renato Solmi

Un elegante stile criticoper guardare al futuro

Un omicidio dove la ricercadell’assassino è una discesanegli abissi della Storia.Un romanzo scanditodalle parole degli animali

COLIN CROUCH

Nella globalizzazioneabbiamo bisognodi istituzioni sovranazionaliche mettano in campopolitiche di contenimentodelle disuguaglianze sociali

PER LE FALSE ACCUSE DI EVASIONE FISCALE,STEPHEN KING CHIEDE SCUSE UFFICIALIAccusato ingiustamente di evasione fiscale, Stephen King reclama scuseufficiali. Nei giorni scorsi, lo scrittore era stato citato dal governatorerepubblicano dello Stato del Maine, Paul LePage, in carica dal 2011,

come «un esempio» di evasore fiscale. In un discorso pubblico, LePageha attaccato lo scrittore sper aver aggirato il regime fiscale del Maine,scegliendo quello più vantaggioso della Florida. Immediata la replica diKing, che ha affermato di pagare le tasse fino all'ultimo centesimo, ed èanche felice di farlo. «Vediamo le nostre tasse come un modo per

rimborsare lo Stato che ci ha dato tanto», ha scritto via Twitter. Tutto ènato dal fatto che King vive alcuni mesi l’anno in Florida. In una mailindirizzata al «Portland Press Herald», Stephen King ha fatto sapere diaver versato nelle casse dello Stato del Maine circa 1,4 milioni di dollaridi imposte, più o meno la stessa cifra che verserà anche per il 2014.

pagina 12 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

Silvana SilvestriBARI

S u uno dei muri di Varsavia c’è un murales che raffiguraZbigniew Cybulski, il James Dean polacco, come erachiamato, l’interprete dei primi film di Andrzej Wajda.

«Questo sta a significare che ancora oggi c’è un legame traquei film e la nuova generazione» dice il regista invitato dal Bi-fest (21-28 marzo) a tenere una Master Class, lezione di cine-ma e di storia, accolta tanto più intensa-mente dopo la proiezione di Katyn. Isuoi film attraversano la storia del paesedal dopoguerra ad oggi, ha formato nuo-ve generazioni di cineasti, ha saputo par-lare al pubblico a dispetto della censura,vate della Polonia. Sono stati gli anni ’50diUnaGenerazione, diCenere e diaman-ti, Ingenui perversi, gli anni ’80 dei filmgi-rati n Francia dopo il trionfo dell’Uomodi Marmo, del film richiesto espressa-mente dagli operai di Danzica L’uomo diferro per la sua vicinanza a Solidarnosc,fino all’Oscar alla carriera ricevuto nel2000.Di tutti i suoi filmKatyn è il più per-sonale, un conto da chiudere, una feritaaperta: la vicenda del padre massacratocon un colpo alla nuca insieme ad altridiecimila ufficiali polacchi gettati nellefosse comuni nel 1940 dai russi e nondai nazisti.

«La vittima del crimine è stato mio pa-dre, ma la vittima della menzogna è sta-ta mia madre che avevo sotto i miei oc-chi. Ho fatto un film sulle donne che aspettano e sugli uominiche non tornano. Nel ’43 i tedeschi hanno scoperto le fosse ehanno trasmesso anche in polacco che erano stati trovati gliufficiali trucidati dai russi. «L’Urss non hamai ammesso il cri-mine, era un argomento tabù. Gli ufficiali sono stati trovati av-volti da giornali con cui si proteggevanodal freddo equelle da-te testimoniano la data della loro morte. In qualche modoquesto film chiude un cerchio: la guerra ci ha condizionato,era il nostro temaed era la formadei nostri film sotto l’influen-za del neorealismo, aspettavamo i film che arrivavano dall’Ita-

lia, ci aprivano gli occhi, si trattava di cinema sincero, vero,personale. Noi aggiravamo la censura eliminando il più possi-bile la parola. Il cinema sonoro è malsano, meglio le immagi-ni che stimolano l’immaginazione, mentre è facile dire con leparole qualcosa contro l’ideologia. Noi volevamo intraprende-re un dialogo con il pubblico polacco non attraverso le parole,ma attraverso le immagini. In Kanal, quando i rappresentantidella resistenza che combattevano nelle fogne arrivano difronte a una grata e da lì vedono un fiume. Il pubblico polac-

co sapeva che si trattava della Vistola,che sulle sponde c’erano i russi di Stalincon i carri armati e che avrebbero potu-to sostenere la resistenza contro i nazi-sti, ma non si sono mossi, hanno com-messo il crimine di fermare la resistenza.Io non avevobisognodimostrare i cingo-lati, il pubblico sapeva».

Cenere e diamanti , ricorda, fu un altrofilm che fece scalpore, premio Fipresci aVenezia, ma osteggiato in Polonia tantoda farlo uscire in una sola sala, con unaimmensa folla che si era radunata perstrada. Per non fare intervenire la poliziaa disperderla si cambiò strategia: sareb-be stato in più sale ma senza titolo. Tuttilo sapevano lo stesso - queste cose succe-devano nel nostro paese - e il film supe-rò i confini per via di un piccolo distribu-tore che lo portò in una sala fuori Vene-zia, dove lo vide Rubinstein che ne parlòa René Clair che rimase incantato e cosìil film presentato fuori concorso ebbe ilpremio Fipresci che segnò il successo in-

ternazionale». Certo Zbigniew Cybulski non sembra per nien-te un attivista dell’Armata craiova: «Lui portava occhiali da so-le perché aveva problemi agli occhi, portava un giubbottoamericano, pantaloni come jeans che per noi era un sogno ir-raggiungibile, scarpe che solo in seguito sarebbero arrivate inPolonia. Non voleva cambiarsi, io che avevo trent’anni ed eroun buon regista decisi che andava bene così ed è diventato ilsimbolo della nuova generazione. Dopo tutti si vestivano co-me Cybulski. Quel murales che ho visto nel mio quartiere si-gnifica che ha ancora qualcosa da dire ai giovani».

Giovanna Branca

M ichal Kayamèuna famosa arti-sta israeliana, che si prepara al-la biennale di Venezia con

un’opera scioccante ed ancora segreta;Nadine invece è una ragazza palestine-se tutti i giorni costretta ad attraversareil check point per andare a lavorare daIkea, da cui verrà licenziata perché pro-prio Michal chiama l’azienda per la-mentare la mancanza di una vite dalnuovo letto che ha ordinato. Self Made,opera secondadi ShiraGeffen – già regi-sta con il marito Etgar Keret di Jellyfish,vincitore a Cannes della Camera D’Ornel 2007 – inizia con una sequenza incui Michal cade dal letto, che si è rotto,e dopo aver salutato ilmarito in parten-za per una missione di lavoro ordinaun nuovo letto dalla nota azienda sve-dese. Cadendo ha sbattuto la testa equesto evento le ha fatto perdere pro-gressivamente la memoria, pretestocon il quale il film scivola in unadimen-sione sempre più surreale nel seguirele vicendedelle due protagoniste, diver-sissime tra loromaugualmente sperdu-te, e destinate a scambiarsi le recipro-che identità quando si incontrerannoal check point. Nadine vive nel suomondo, desidera tantissimo un figlioma l’uomo che le piace vorrebbe faredi lei un’attentatrice suicida.Michal in-vece scopre che l’opera scioccante chevoleva esporre alla biennale era il suo

stesso utero, che in un gesto di rifiutodella maternità si era fatta rimuovere.Nel seguire queste due donne, ShiraGeffen si interroga in primo luogosull’identità femminile e sul paradossa-le intreccio di desiderio di maternità edi autodistruzione,ma ritrae una condi-zione profondamente politica, in cuiun confine separa due mondi vicinissi-mi e distanti allo stesso tempo, che siincontrano solo nell’anonimato dellesale sterminate di Ikea.

SelfMade, uscito l’anno scorso, è sta-toproposto ieri in anteprima italiana al-lo Sguardi altrove FilmFestival, nella se-zione dedicata alle prospettive femmi-nili sul Medio Oriente.Il film è incentrato su un surrealescambio di identità tra due persone,che da un lato ci mostra qualcosa dimolto privato – due tipi di femminilità– e dall’altro qualcosa di molto politi-co: i due lati del confine.Credo che il tema principale sia

l’identità, mentre l’aspetto politico ri-mane più sullo sfondo. Ma io sono unapersona che si occupa di politica, percui per me era molto importante direciò che penso, dal momento in cui hoscelto di vivere in un posto complessocome Israele. Una decina di anni fa holetto un’intervista a una giovane donnapalestinese di Betlemme; l’esercito isra-eliano aveva ucciso il suo fidanzato el’avevano convinta a fare un attentato

suicida. L’hanno mandata insieme adun ragazzo di sedici anni a farsi esplo-dere in un centro commerciale, in cuiha visto tutte le persone che facevanoshopping e mangiavano il gelato. Haraccontato che la cosa che avrebbe vo-luto fare istintivamente sarebbe statadi unirsi a loro, andare a fare shopping.Così ho pensato subito a lei con la cin-tura esplosiva, che probabilmente la fa-ceva sembrare una donna incinta, cheva in un negozio a comprarsi un abitopremaman.E continuavo apensarci co-stantemente: al momento in cui vuoimorire e a quello in cui vuoi vivere, equando esattamente scatta il cambia-mento. Per cui ho iniziato a fare ricer-che, e sono stata a Ramallah a casa del-la prima attentatrice suicida. Avevo pa-ura di quale sarebbe stata la reazionedella madre, ma poi nel momento incui questa anziana signora mi ha vistami ha abbracciata, mi sono sentita co-me sua figlia, e tutto si è confuso nellamia testa. Questo è il seme da cui è na-to Self Made.In questa indagine dell’identità fem-minile uno dei tratti principali è che ildesiderio di maternità è collegato an-che a un impulso di morte. Non solo acausa del possibile attentato ma an-che per via del rifiuto di Michal perl’idea di poter mai avere un figlio.La connessione è già inme stessa: ho

messo al mondo un figlio e mi chiedosempre in che genere di posto l’ho fat-to nascere, ma credo anche che quan-do si dà alla luce un’altra persona simuoia sempre un po’. È una questioneche hamolti aspetti: io stessa non vole-vo un figlio finché non ho incontratomio marito, e lui mi ha dato la sicurez-za necessaria per farlo.Le recenti elezioni in Israele hanno vi-sto nuovamente la vittoria della de-stra di Benjamin Netanyahu.È un argomento per me molto dolo-

roso. Credo che Bibi Netanyahu spa-venti le persone e per questo motivo lovotano. E la sinistra, di cui faccio parte,si ritrova impotente. Mio padre, Yeho-natan Geffen, è un giornalista e un co-

mico, anche lui fortemente di sinistra, eil giorno dopo le elezioni ha detto dalpalcoche tutte lepersone chehanno vo-tato per Bibi hanno votato anche per laprossima guerra, in cui di nuovo mori-ranno dei bambini. Più tardi un uomo èandato a casa sua, ha bussato alla suaporta e quando mio padre – un uomosolo di 67 anni – ha aperto, l’ha attacca-to e picchiato. Danoi non si puòparlaredella guerra: noi israeliani siamo comela protagonista del mio film, non abbia-mo memoria, abbiamo perso tanti figliin guerre stupide, abbiamo ucciso tantipalestinesi.Ma per cosa? Tra un anno cisarà la stessa identica guerra.Oltre alla perdita della memoria, an-che il tema dell’identità si può legge-re attraverso l’attualità di Israele, unpaese in cui ha prevalso la linea diuna destra che vorrebbe farne un pae-se solo ebraico...Il governo di estrema destra che ci

troviamo adesso cova l’idea di rendereIsraele il paese degli ebrei, ignorandoche metà della popolazione è araba eche abbiamoportato via la terra dei pa-lestinesi. Ecco credo - come artista -che sia giusto dire che ci sono altre opi-nioni nel paese di persone che voglio-no la pace. Se guardi la CNN sei porta-to a pensare che tutti gli israeliani sia-no comeBibi Netanyahu,mentre ci so-no tanti ebrei come me, che voglionoun futuro migliore per i loro figli.

Intervista • Shira Geffen ha presentato in anteprima a Sguardi Altrove «Self Made»,la sua opera seconda, nella sezione dedicata alle prospettive femminili in Medio Oriente

VISIONI

Memoria e identitàperdute in Israele

«Credo che Netanyahuspaventi le persone,per questo motivolo votano. E la sinistrasi ritrova impotente»

«Sono una personache si occupadi politica e quindiè importante direciò che penso»

Bifest/ NEI SUOI FILM LA STORIA DELLA POLONIA DAL DOPOGUERRA AD OGGI

Wajda: «La guerra ci ha condizionato, erail nostro tema sotto l’influenza del neorealismo»

F0T0 GRANDE UNA SCENA DA«SELFMADE.

SOTTO LA REGISTA SHIRAGEFFEN/FOTO ROBERTAGIALOTTI, SOTTO ANDREJWAJDA A BARI DURANTE

LA MASTER CLASS

GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 il manifesto pagina 13

FRENCH CONNECTION DI CÉDRICJIMENEZ, CON JEAN DUJARDIN E

GILLES LELLOUCHE, FRANCIA 2014

Giona A. Nazzaro

I nutile ricordare che The FrenchConnection è il titolo originaledi Il braccio violento della legge

diWilliamFriedkin visto che FrenchConnection era il nome del filoned’inchiesta che indagava sull’espor-tazione di eroina francese verso gliStati uniti. D’altronde il film diCédric Jimenez è il controcampodel capolavoro friedkiniano: dalle

strade di New York si passa a quelledi Marsiglia da dove l’eroina prendeil largo verso gliUsa. Come in unpo-liziesco di Damiano Damiani, Jime-nez pone al centro della vicenda ilgiudice Pierre Michel (Jean Dujar-din) chiamato a stroncare – ma nontroppo – il narcotraffico che ha resola città invivibile.

Chi tiene le fila del traffico è Gäe-tan Zampa (Gilles Lellouche), dettoTany, mafioso d’origine italiana cheintrattiene ottimi rapporti con il mi-lieu corso (sbirri corrotti compresi)evitando saggiamente di mostrarsitroppo avido nella ripartizione dei

profitti. Dujardin, però, come ilFranco Nero dei film di Damiani, èun testardo rompiscatole che nonmolla la presa. E presto i suoi supe-riori si pentono pentirsi di avergli af-fidato l’incarico.

Ispirato alla figura del giudicePierre Michel, assassinato il 21 otto-bre 1981 a cavallo della sua Hondasul boulevard Michelet a Marsigliacon tre proiettili 9mm sparati dauna Parabellum, La French (titolooriginale) è un corretto film d’azio-ne che se da un lato omaggia il cine-ma civile italiano, dall’altro sembraguardare dichiaratamente all’indie-

tro verso i classici polar diretti daHenryVerneuil, Yves Boisset oGeor-ges Lautner. Ovviamente Jimeneznon può ignorare nemmeno chenel frattempo di acqua sotto i pontidel cinema di genere ne è passatatantissima e che la lezione dei clonidi Luc Bessonormai è stata assimila-ta ed è diventata a suo modo partedel canone. Quindi ottima ricostru-zione ambientale e gangster chesembrano avere visto in una mesevent’anni di cinema noir tanto fan-no i… gangster. Dujardin e Lellolou-che, simboli del popolo hétéro-be-auf, di nuovo insieme dopo Piccole

bugie tra amici eGli infedeli, piutto-sto che sbarazzarsi della loro aura di-vistica, ci giocano, ma non semprefunziona. Se la cavano molto me-glio, Céline Sallette, nel ruolo deco-rativo del moglie lagnosa di Michele Bruno Todeschini in quello del

banchiere. Benoît Magimel, invece,interpreta ilMatto ossia Jacques Im-bert, noto anche come Jacky LeMat, cui Richard Berry ha dedicatoL’immortale (2010) affidando il ruo-lo del protagonista a Jean Reno.

La French risulta così poco più diun onesto esercizio di stile, prevedi-bile nella sua scansione narrativa,che riserva gli unicimomenti di inte-resse autentico quando entra in sce-na Gaston Deferre (Féodor Atkine),sindaco di Marsiglia che Mitterandnominerà ministro degli interni.Certo Jimenez non è Jean-Claude Iz-zo è la denuncia della corruzionepo-litica marsigliese, con i suoi intreccialtolocati, resta inerte come unano-tazionedi colore ambientale spreca-ta considerato che lo spettatore av-vertito intuisce i rapporti di forza incampo e comprende che i giorni delgiudice Michel sono contati.

Cristina Piccino

I n questi giorni è appena uscito inFrancia Mon occupationpréférée, un libro-intervista di

Avi Mograbi «guidato» nella conver-sazione da Eugenio Renzi. Quello diMograbi, lucido narratore critico delsuo Paese, Israele, è un cinema allaprima persona, e non solo perché ilcineasta ne è narratore e protagoni-sta ma soprattutto perché la sua pre-senza determina l’invenzione dellaforma cinematografica, quel muo-versi sul bordo di realtà e messinsce-na che è il segno forte di ogni suofilm. La scelta della prima persona,declinata in modi diversi, è ricorren-te nel cinema di realtà, pensiamo aRoss McElwee, o ai magnifici diaridi Jonas Mekas, e con il diffondersidell’uso degli archivi è divenuta ci-fra comune. Ma come si fa a creareil passaggio dalla dimensione inti-ma all’attenzione collettiva?

Prendiamo África 851 il film di Pi-lar Monsell, cineasta trentenne spa-gnola, in gara a Cinéma du Réel, il fe-stival parigino del documentario. Co-sa racconta la giovane regista spagno-la? Di fondo la relazione tra lei e suopadre, un dialogo frammentato, fattodi silenzi, domande dirette, storie disogni, dolori della vita che scivolanonei gesti quotidiani: il mare azzurro, ipanni stesi, le nuvole che tagliano ilcielo, il dettaglio di un volto, le arancespremute, i capelli scuri agitati dalvento. Le mani della regista sfoglianoun libro, la biografia paterna, la primaparte si chiama «La mia vita in rosa»,può sembrare eccentrico visto chenarra il suo addestramento militare

negli anni prima di diventare medico,e subito dopo, nel Sahara spagnolo.Ci sono fotografie in bianco e neroche somigliano alle stampe dei libriesotici, si vedono giovani uomini in di-visa, e poi nudi che si fanno il bagno.Intorno la sabbia, le palme, il senti-mento di solitudine che esplode lun-go la linea ineffabile dell’orizzonte.

L’omosessualità era nell’aria, dicela voce del padre anziano oggi. I sol-dati lo seducevano per avere dei favo-

ri, magari essere messi in stanza dasoli perché la diagnosi diceva che la lo-ro malattia era seria. Poi c’erano iSahrawi, loro, gli spagnoli, non pote-vano parlarci ma alcuni collaborava-no con imilitari, ed è stato così che haincontrato Mohammed.

Non è facile parlare al proprio pa-dre della sua omosessualità, che stri-de coi filmini familiari delle nozze, del-le vacanze al mare insieme ai figli pic-coli, delle estati in viaggio... «Perché tisei sposato» chiede la cineasta. «Vole-vo dei figli e non potevo averli diversa-mente allora». A loro dedica il librodella sua vita, di uno che ha moltoamato e vissuto, ma anche molto sof-ferto. Con gli anni sono arrivati gliYamel, gli Ahmed, riccetti e giovanissi-mi, le facce impertinenti. Quell’uomoera il loro passaporto dal Magreb

all’Europa, la via di fuga dalla miseria,verso la Spagna, la Francia, la Svizze-ra. Ogni incontro un nuovo dolore,ogni principe azzurro una marchetta.Negli anni Ottanta c’era quel ragazzi-no, bellissimo, giovanissimo, senza ti-more che pensassero stesse con unvecchio era andato a vivere insieme alui in Spagna per studiare. Non eragay e sapeva che io lo ero, dice l’uo-mo, per lui aveva perduto il cuore.

Un padre e una figlia, e questo loroparlarsi pacatamente, senza accusené recriminazioni sulla vita. E che inuna parabola quasi letteraria - somi-gliano ai protagonisti dei film di Té-chiné e ai ragazzi di vita pasoliniani igiovani delle sue fotografie - divieneuna riflessione su quanto i ruoli di po-tere determinano i sentimenti, sull’im-possibilità di essere liberi. E su unascelta che mantiene quella separatez-za originaria: i colonizzatori, militari,gli spagnoli, gli occidentali da una par-te, e i colonizzati dall’altra. Il Maroc-co, dice l’uomo alla fine non è distan-te ma da lì Gibilterra sembra un altromondo.

Erano opportunisti, alcuni mi han-no deluso,mostravano una finta inno-cenza e invece avevano dei piani inmente molto chiari. Eppure lui guar-dava solo loro, i proletari con lo sguar-do irriverente. Non era il primo a cer-carli sapendo ogni volta cosa questo«rapporto di forza» aveva in sé?

Mal d’Africa e male dell’Africa. Eso-tismo e dominio. E questa storia di unpadre e una figlia all’improvviso rac-conta il nostro mondo, il crinale chemette davanti ricchi e poveri, occiden-te e Africa, con la sua ambiguità vio-lenta e sempre attuale.

PRIMA VISIONE · Jean Dujardin è il giudice Pierre Michel che nei ’70 dichiarò guerra alla malavita

Quell’esercizio di stile nel clan deiMarsigliesi

VISIONI

CINÉMA DU RÉEL · «África 851» di Pilar Monsell in gara al festival parigino

Mal(e) d’Africa, l’ambiguitàviolenta dell’Occidente

«ÁFRICA 851» DI PILAR MONSELL, A DESTRA ORHAN PAMUK

Dialogo frammentatotra la regista eil padre omosessuale,fatto di silenzi edomande indirette

Tutto su Robert Capa: lo Spa-zio Oberdan di Milano dal 29marzo al 13 aprile presentadue documentari e un filminedito in Italia. «Robert Ca-pa: In Love and War» compren-de interviste a familiari comeil fratello Cornell, pure foto-giornalista, amici e colleghi,come Henri Cartier-Bresson;«L'homme qui voulait croire àsa légende» di Patrick Jeudy èbasato su immagini d'archiviodello stesso Capa e della com-pagna Gerda Taro, mentre«The Journey» è il film direttoda Capa in Israele nel 1951.Nelle stesse sale dello SpazioOberdan, fino al 26 aprile,anche una mostra fotograficaorganizzata dalla Città Metro-politana di Milano. La sua vi-ta viene ripercorsa proprio in«Robert Capa: In Love andWar», documentario con inter-viste a familiari (il fratello Cor-nell Capa, pure fotogiornali-sta), amici e colleghi, comeHenri Cartier-Bresson, con cuiCapa fondò l'agenzia fotografi-ca Magnum.

FOTOGRAFIA

Robert Capa, filme mostra a Milano

Ventidue anni dopo la prema-tura scomparsa, Roma dedi-ca a Massimo «Max» Urbaniuna rassegna, «Il Jazz di Mon-te Mario» (27-29 marzo, in-gresso libero, p.zza NostraSignora di Guadalupe, dalleore 18). La manifestazione èfinanziata dal XIV municipio enasce dall’impegno e dallavolontà del fratello Maurizio edella scuola di musica L’Esa-cordo, nonché di quanti datempo lavorano perché la me-moria storico-sonora del sas-sofonista non si appanni, nonsolo nelle strade di MonteMario. Tra le iniziative mostrefotografiche, incontri sullastoria del jazz, dibattiti suiproblemi dei jazzisti, una ta-vola rotonda dedicata al«messaggio» di «Max» Urba-ni. Sul palcoscenico gruppigiovanili e artisti internaziona-li tra cui Zebre a Pois, TonyFormichella, Antonello Salis,Maurizio Urbani Sextet. l.o.

ROMA JAZZ

Nel segnodi Max Urbani

Antonello Catacchio

A ppuntamento con gliEventi letterari alMonte Verità di Asco-

na (da oggi a domenica 29,informazioni su: www.even-tiletterari.ch), giunti alla ter-za edizione sotto la guida diJoachim Sartorius, Irene Bi-gnardi e Paolo Mauri. Dasempre luogo magnetico,territorio fertile per coltiva-re tè e utopie, lasciato in ere-dità e in gestione al CantonTicino con il vincolo di rea-lizzare iniziative di carattereculturale, dal 1990 è statotrasformato in unCentro se-minariale, gestito dalla Fon-dazione Monte Verità e dalCentro StefanoFranscini, le-gato al Politecnico di Zuri-go. Il primo anno il titolodellamanifestazione punta-va su Ossessioni e magnifi-che utopie, lo scorso anno èstata la volta del demonedell’utopia, questa volta l’ar-gomento è Utopia e memo-ria. E l’interrogativo posto ècosì spiegato «Quanti ricor-di servono per svilupparedelle nuove utopie? Quanteutopie mai realizzate – per-sonali, ma anche politiche –giacciono nella nostra me-moria? Che cosa significaelaborare i ricordi nella crea-zione letteraria?» e i curatoriaggiungono «Solo chi dispo-ne di una memoria può es-sere orientato verso il futu-ro».

A ragionare intorno al te-ma sono stati chiamati inmolti a partire daOrhan Pa-muk, lo scrittore turco pre-miato con il Nobel qualcheanno fa, che ha già avutomodo di dichiarare che«all’utopia preferisce la me-moria». Toccherà a lui ainaugurare la manifestazio-ne questa sera. Sarà poi lavolta degli italiani PaoloGiordano e Paolo DiStefa-

no, dello scrittore svizzeroThomasHürlimann, dall’au-trice Terézia Mora, dalloscrittore francese vincitoredel Goncourt Ferrari, non-ché dall’autore e regista bel-ga Jean-Philippe Toussaint.Con un punto di vista che sipone conun angolatura leg-germente differente ecco ilfilosofo e poeta franceseMi-chel Deguy e gli svizzeri Fa-bio Pusterla, Isabelle Sbris-sa e Raphael Urweider.

Anche la danza, che inquesti luoghi ha sempreavutouna tradizione impor-tante oltre a essere stata am-piamente praticata, trovaspazio con la coreografa eballerina Sasha Waltz cheandrà in scena insieme allabatterista RobynSchulkowsky presso il vici-no Teatro San Materno. Al-tri incontri cercheranno poidi inquadrare il temapropo-sto nel contesto storico, so-ciale e letterario grazie agliinterventi dello scrittore IsoCamartin, del filosofo Ge-org Kohler, del critico Mar-tinMeyer e della studiosa diletteratura Barbara Vinken.

Altromomento importan-te è la consegna del premioEnricoFilippini, vulcanica fi-gura di giornalista culturale,editor e traduttore, tra i co-fondatori del gruppo ’63, na-to qui, a due passi da Asco-na, a Locarno, e attivo so-prattutto in Italia, scompar-so precocemente. Figuraideale per unpremio che in-tende onorare le personeche lavorano dietro le quin-te delle case editrici e deigiornali. Attribuito quest’an-no a Renata Colorni, tradut-trice storica di SigmundFreud e di Thomas Mann eeditor dei Meridiani – Mon-dadori. La laudatiodella tra-duttrice e editor italiana sa-rà tenuta dallo scrittoreClaudio Magris.

EVENTI · Gli appuntamenti di Ascona

Un tè tra utopie,futuro e ossessioni

RADIOHEADLa band di Oxford entra a far parte definitivamente del pantheon delrock. Il loro album del 1997 «O.K. Computer» - quello dellaconsacrazione - è stato scelto dai responsabili della Libreria delCongresso statunitense per essere inserito nel National Recording

Registry, archivio gestito dal governo di Washington che annualmenteseleziona venticinque titoli da preservare in quanto patrimonioculturale. Insieme al disco della band di Thom Yorke, sono stati sceltianche Lauryn Bell (che vedremo a Roma a luglio) con «Themiseducation of Lauryn Hill», l'omonimo album dei Doors del 1967, il

singolo del 1964 dei Righteous Brothers «You’ve lost that lovin’feelin», «Stand!», album di Sly and the Family Stone del 1969, ilsingolo del blues man Blind Lemon Jefferson «Black snakemoan»/«Matchbox blues», «Stand by me»di Ben E. King e l'omonimoalbum del 1960 di Joan Baez.

pagina 14 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

CAMPANIASabato 28 marzoDONNE E FOLLIA A.S.L. Napoli 1 Centropresenta «Donne, follia e solitudine». Unevento che comprende l’inaugurazione dellamostra Outre la dance di Luigi Bilancio (ore10.30) e un azione teatrale «Specchi di so-le» per la regia Mauro Maurizio Palumbo(ore 16). Ingresso libero. Ex ospedale psichiatrico LeonardoBianchic, calata Capodichino 232,Napoli

LOMBARDIAGiovedì 26 marzo, ore 19CANTIERI MARXIANI Il Laboratorio diautoformazione Leggere Marx oggi organizzaun dibattito con Sandro Mezzadra, autoredel testo usato nell’approfondimento colletti-vo: «Nei Cantieri marxiani – il soggetto e lasua produzione» (Manifesto libri). Unipop - Spazio di Mutuo Soccor-so, piazza Stuparich, 18, Milano

PIEMONTEVenerdì 27 marzo, ore 20A CHE GENDER GIOCHIAMO? Il Centrodocumentazione GLBTQ Maurice presental’incontro/dibattito: «A che genere di giocogiochiamo? Il gender tra decostruzioni liber-tarie e ricostruzioni reazionarie. PartecipaFederico Zappino, curatore di «Fare e disfareil genere» di Judith Butler (Milano 2014).Intervengono anche: Christian Ballarin (attivi-sta trans, Maurice GLBTQ Torino), CarmenDell’Aversano (Università di Pisa). ModeraCristian Lo Iacono (Centro documentazioneGLBTQ Maurice Torino). Maurice GLBTQ, via Stampatori, 10,Torino

TOSCANAVenerdì 27 febbraio, ore 19SU LA TESTA, ARGENTINA Presentazionedel libro «Su la testa, Argentina!» con Orlan-do Baroncelli. Era il 24 marzo del 1976 ed imilitari con un golpe presero il potere inArgentina... Il numero di desaparecidos adoggi non è quantificabile, ma potrebbe arriva-re - solo per l'Argentina - a 30 mila. Intervie-ne Orlando Baroncelli, autore di «Su la testa,Argentina! Desaparecidos e recupero dellamemoria storica». Cpa Firenze sud, via di Villamagna27/a, Firenze

Sabato 28 marzo, ore 15.30PACE IX assemblea dell'Accademia Apuanadella Pace, rete di associazioni e singolepersone impegnata nella costruzione di unacultura di pace, di nonviolenza e di giustizia.È l'occasione per riflettere sul cammino fattoin tutti questi anni e sul ruolo che l'Accade-mia Apuana della Pace, pur nella consapevo-lezza di essere solo una piccola realtà diprovincia, può svolgere per offrire elementi diriflessione sulle tematiche della pace e dellanonviolenza, declinate a 360 gradi, partendoanche dalle comunità locali. Circolo Arci Agogo, p.zza Roma,Aul-la (Ms)

UMBRIASabato 28 marzo, ore 17EUTANASIA LEGALE L'Ass. Cult. CiviltàLaica in collaborazione con il circolo Uaar diTerni vi invita a partecipare al convegno«Eutanasia Legale: il diritto a una mortedignitosa». Giornata incentrata sulla propo-sta di legge popolare per cui sono stateraccolte oltre settantamila firme negli annipassati e che è ferma in parlamento nono-stante le promesse della politica. Sala Rossa di Palazzo Gazzoli, viadel teatro Romano, Terni

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– –Ricordate cosa abbiamo fatto venerdìmat-tina?

“Abbiamo visto il sole”. “No, la luna”.“Abbiamo guardato il cielo perché c’eral’elisse”. “Siamoandati dal vetro dove ci so-no le bidelle e abbiamo guardato con i ve-trini neri”. “Io mi ricordo che dei bambiniavevano paura di guardare e tremavanoperché pensavano che dopo diventavanociechi”. “Io ho portato il vertrino nero chemi ha dato mio padre”. “Anche io”.

Mi spiegate come erano i vetrini?“Noi avevamo solo due vetrini. Invece in

seconda ne avevano quattro o cinque. Celi siamo fatti prestare per guardare l’eclissiperché altrimenti non potevamo guarda-re, altrimenti ci facevano male gli occhi”.“Perché se tu guardi l’eclissi senza i vetrinipuoi diventare anche cieco”. “I vetrini ser-vono a non farsimale agli occhi”. “Noi ave-vamo attaccato il vetrino a un cartone on ilnastro adesivo”. “Noi mettevamo il carto-ne davanti alla faccia, poi guardavamo nelbuco dove c’era il vetrino nero e dopo ve-devamo tutto”.

Mi dite cosa avete visto?“Io ho visto che era tutto unpo’ nero, co-

me in un filmdi paura. Anche gli alberi ave-vano i rami neri”. “Si vedevano il sole e laluna che c’era andata sopra”. “Si vedevache il sole non era proprio rotondo,ma eraun po’…. Un po’ quadrato… Come se untopo ne avessemangiato un pezzo”. “Io hovisto che il sole, dietro il vetrino,m non eragiallo ma eracolor verde”.“Era molto bel-lo vederenel ve-trino. Era comese tu guardavicon gli occhialida sole. Però sivedeva più ne-ro”. “Dentro ilvetrino si vede-va tutto nero.Anche il soleera un po’ ne-ro”. “Io ho visto anche che c’erano degli uc-celli che volevano”. “Io non ho visto beneperché c’erano delle nuvole”. “Io ho vistoche c’era una luce verde chiara. Anche il so-le era verde. Però non ero tutto rotondo.Era un po’ come una luna, non come il so-le”. “Anche a me sembrava che il sole erala luna”.

Mi dite se avete capito cosa è allora uneclisse?

“Una eclisse è quando viene il buio digiorno. Perché c’è la luna che va davanti alsole!” “Però non è venuto molto buio. Io civedevo benissimo”. “Per me l’eclissi èquando la luna va davanti al sole. All’ora cifa ombra e tu non vedi bene”. “E’ quandoil sole e la luna stanno per scontrarsi, mapoi non si scontrano”. “La lunanon è bian-ca come il sole!” “Io ho visto che il sole èun po’ più grande della luna, ma forse misbaglio”. “Per me un’eclissi è quando nonpuoi guardare il sole come tutti i giorni macon i vetrini, altriomenti ti può fare maleagli occhi, se lo guardi troppo!” “L’eclisse èuna cosa un po’ di paura perché…. Perchédiventa tutto un po’ strano…”

Perché alcuni bambini hanno avuto pau-ra? Me lo volete dire?

“Io avevo paura perché pensavo che mipotevano fare male agli occhi”. “Io avevopaura che dopo non ci vedevamo più”.M”Io ho avuto paura solo all’inizio perchéio non avevo mai visto un’eclisse, non sa-pevo come era, se faceva molta paura ono, ma poi ho capito che è una cosa nor-male e non mi ha fatto più paura e alla ri-creazione sono andato fuori a giocare an-che io, però non ho mai guardato il solema giocavo e basta”.

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Che cosa significa "coalizione so-ciale"? Il susseguirsi delle preci-sazioni e dei distinguo indicache la risposta non è semplicené univoca. Di certo il nomenon è conseguenza delle cose.Le quali, nel nostro Paese, indi-cherebbero piuttosto una socie-tà poco incline alle coalizioni,tutt'ora pervasa da pulsioni cor-porative saldamente radicatenella sua storia, attraversata daconflitti che faticano a parlarsi ericonoscersi a vicenda. Se non sitratta di una formula genericada spendersi nelle dispute inter-ne ai contesti politici canonizza-ti per ridefinirne gli equilibri, tut-tavia, ha il valore di una presa dicoscienza, sia pure tardiva, delletrasformazioni che hanno inve-stito non solo il lavoro, ma l'in-sieme dei rapporti sociali, delleprospettive di vita individuali ecollettive. Il problema che l'ideastessa di "coalizione sociale"mette a fuoco altrononè, per far-la breve, che quello di una sog-gettività politica all'altezza deitempi. La quale precede, e spes-so contraddice, il tema, ampia-mente screditato dalle poco bril-lanti avventure elettorali, parla-mentari e convegnistichedell'agognato "nuovo soggettopolitico". Una "soggettività poli-tica" è, in primo luogo, unmododi guardare alle cose e di relazio-narsi ad esse sul piano dell'azio-ne e dell'organizzazione. Persi-no Susanna Camusso la rivendi-ca al suo sindacato, ma si tratta,appunto, di una "soggettività po-litica" prigioniera dell'ottica sin-dacale, che guarda anche a que-stioni generali, ma dal punto divista di specifiche condizioni diesistenza, parziali, semplificatee circoscritte, per giunta, ai loroaspetti "sindacalizzabili". Perscendere nel concreto tramiteun esempio, una siffatta "sogget-tività" difficilmente potrà venirea capo di una contraddizione, ti-pica del nostro tempo, comequella tra industrializzazione equestione ambientale.

Il fatto che mette in giocol'idea della "coalizione sociale",a prescindere dalle forme chepotrà assumere e dalle sue possi-bilità di successo, è l'indiscutibi-le indebolimento della prospetti-va sindacale. Insidiata su duefronti principali. Il più evidenteè quello del lavoro intermittentee precario, del lavoro autonomoimpoverito, e del "non lavoro"produttivo ma a reddito zeroche non solo lo statuto degli an-ni'70, ma l'intera cultura sinda-cale e la sua organizzazione percategorie non abbraccia, noncontempla e nemmeno capisce.Avendo lungamente coltivatol'idea, ingenua a voler essere cle-menti, che si trattasse di una"anomalia" provvisoria destina-ta ad essere riassorbita nel lavo-ro a tempo indeterminato.Un at-teggiamento, questo, che ha age-volato quanti giocavano il preca-riato, senza peraltro tutelarlo inalcun modo, contro l'"egoismo"degli occupati. Con un discretosuccesso di pubblico.

Il secondo fronte, quello me-no evidente, è la mutazione cheha investito la stessa figura del la-voratore stabilmente occupato(ma sempre più ricattabile e mi-nacciato). Questa figura è dive-nuta più complessa e sfaccettatadi un tempo, nonpiù interamen-

te centrata sull'identità conferitadal lavoro, ma arricchita da do-mande culturali, da desideri di li-bertà, da interessi molteplici easpirazioni di crescita individua-le chemal si conciliano con i "sa-crifici" sempre più pesanti,scambiati con il mantenimentodel posto di lavo-ro. La stessaespressione "mer-cato del lavoro"suona oggi, nellasua presunta au-tonomia "tecni-ca", come una in-gannevole astra-zione. Le percen-tuali vertiginosedella disoccupa-zione giovanile discendono, an-che se soloparzialmente, da que-sto genere di resistenze esisten-ziali, effettive o anche solo temu-te dalle imprese, decisamente re-stie ad assumere possibili pianta-grane. Sono soprattutto questielementi ad avere gravemente ri-dotto la forza contrattuale delsindacato e, soprattutto, la suacapacità di parlare all'insiemedella società. Senza contare l'in-sufficienza della dimensione na-zionale per qualsiasi ipotesi dicambiamento o anche di pura esemplice difesa dei diritti acqui-siti. La prospettiva sindacale, ar-roccata nella sua tradizione, è al-trettanto impotente quanto quel-la nazionale abbarbicata alle sueantiche prerogative.

È in questo contesto di radica-le mutamento e commistionedelle condizioni lavorative ed esi-stenziali che hanno cominciato

a svilupparsi, per approssimazio-ne, concetti come quello di "sin-dacalismo sociale" e strumentidi lotta, ancora piuttosto indi-stinti, come lo "sciopero socia-le". Alla ricerca di una soggettivi-tà politica che faccia dello "starein società", meglio del "produr-

re società" il teatro di un agire ef-ficace, che cancelli il confine,scomparso nei fatti, ma persi-stente nella dottrina, tra dimen-sione sindacale e dimensionepolitica. Questa divisione deicompiti tra partito e sindacato ri-sale a una impostazione antro-pologica fondata sulla distinzio-ne tra l'immediatezza dei biso-gni e la lungimiranza della "co-scienza" (per quanto riguarda latradizione socialista) o sulla ca-pacità "professionale" di tenerein equilibrio interessi contrastan-ti proteggendo adeguatamentel'ordine proprietario ( per quan-to riguarda il parlamentarismo li-berale). Su un'idea di soggettivi-tà, dunque, quella proletaria equella borghese, che dovevanoessere "completate" da una gui-da "specializzata", dagli strate-ghi della classe di appartenenza.Di quel mondo, e del rapporto

tra economia e politica che lo ca-ratterizzava, non v'è più traccia.Resta, invece, fluttuando nelvuoto di una storia conclusa, ladifesa, tipica di una antica tradi-zione corporativa, delle rispetti-ve sfere di "competenza", dei"segreti professionali" tramanda-

ti dai maestri agliapprendisti an-che quelli appa-rentementepiù ri-belli. Partiti che siautoriproduconoin vitro con pochielettori e ancormeno iscritti,comprese lefolkloristiche op-posizioni interne;

sindacati ben attenti a rimanere"parte sociale" senza immi-schiarsi in ciò che non li riguar-da, ma che riguarda, eccome, lavita di coloro che pretendono dirappresentare, nonché di moltialtri la cui esistenza, consuman-dosi fuori dalla sfera di azionesindacale, non è che un "dram-ma" imprevisto e ingombrante.Se "coalizione sociale" significache la politica non abita più nédalla prima, né dalla secondaparte è unaprospettiva benvenu-

ta. Se prende atto della crisi del-la rappresentanza, senza la pia il-lusione di poterla ripristinare,può essere un'occasione.

Su questa prospettiva incom-bono, tuttavia, due probabili de-rive. La prima è quella di unasommatoria di associazioni esoggetti collettivi gelosi delle ri-spettive identità, ma accomuna-ti dalla denuncia di una politicadivenuta "asociale" e ostile aisegmenti più deboli della socie-tà. Qualcosa di non molto dissi-mile dal mito della "società civi-le" in cui defluì il movimento al-termondialista dei primi anni2000 con l'esperienza, presto tra-sformatasi in "alterparlamenta-re", dei social forum. Ma senzalo slancio, l'azzardo e l'entusia-smo che caratterizzarono queglianni. Una "coalizione", insom-ma, nella quale obiettivi apprez-zabili e settori specifici di inter-vento sociale e politico si affian-chino senza però stabilire nessicogenti. Nella quale interessi co-muni e reciproche indifferenzeconvivano in una condizione fra-gile e sostanzialmente instabiletenuta insieme da occasionalimobilitazioni. La seconda derivapossibile, di segno contrario, èunapretesa di sintesi, l'aspirazio-ne a istituire una rappresentan-za dei movimenti intesi comesemplici portatori di "istanze"che altri dovrannopoi trasforma-re in programma politico. In po-che parole, una restaurazione,in altri termini, della divisione dicompiti e dei rapporti gerarchicitra la dimensione politica e quel-la sindacale.

Come sfuggire a queste alter-native fallimentari resta un pro-blema aperto. Ma quel che deveessere chiaro è che, comunquesi voglia chiamare la direzionein cui muovere, "coalizione so-ciale", "nuovo soggetto politico"o "sindacalismo sociale", nonba-sterà affiancarsi come una sortadi "terzo settore" alla sfera dellapolitica e a quella del sindacatolasciandone intatti poteri e di-spositivi di perpetuazione. Quan-do si tratta di reinventare la poli-tica bisognerà pure entrare inrotta di collisione con le forzeche si sono insediate al suo po-sto. La crisi della forma partitoha trovato una sua soluzione adestra: partiti-azienda, parti-ti-ditta, partiti della nazione,mo-nocratici, mediatici, oracolari,trasformisti, postparlamentari.C'è da dubitare che da qualchecostola, miracolosamente sana,di queste formazioni possa pren-der avvio una diversa direzionedi marcia. La crisi della for-ma-sindacato è, invece, ancoraaperta. E anche quella dei movi-menti lo è. Ma se non riusciran-no, in unmodoonell'altro, a en-trare in relazione con la dimen-sione politica (forza, efficacia,durata, organizzazione) non èfuori luogo profetizzare, anchein questo caso, una soluzione adestra: quella neocorporativa.

tiratura prevista 41.199

Renato solmi ci ha lasciatiDopo lunga malattia si è spentoil prof. Renato Solmi. E' stato im-pegnato nei movimenti nonviolen-ti e pacifisti torinesi e nazionalied ha collaborato con «il manife-sto». Ne danno l’annuncio a quan-ti lo conobbero e gli vollero benela figlia Matilde con la madre An-na Maria Marietti, la sorella Raffa-ella con i cugini Martinet, Bedetti,Siggia e Galliani.

L’Imu e l’iniquità fiscaleIn relazione all’introduzione an-che dell’Imu agricola e in generealla tassazione sugli immobili ri-tengo più corretto ed equo tassa-re eventualmente il reddito di unapersona ma non certo i suoi im-mobili dovunque localizzati e diqualsiasi tipo se improduttivi esoprattutto appartenenti a cittadi-ni con redditi bassi. I proprietaricon questa crisi devono accollarsispesso solo dei costi non sempresostenibili, pur di mantenere iloro immobili nei quali hanno in-vestito i loro risparmi in periodi diinflazione crescente o frutto dieredità. Basti considerare adesempio gli immobili di personecon pensioni basse o di personeche hanno perso il lavoro che avolte non riescono ad arrivare afine mese. Li si costringe a cerca-re di vendere le loro proprietà perpagare le tasse, non tenendo con-to che in questo periodo la do-manda di immobili è bassissima.Sono costretti pertanto spesso asvenderle e se non ci riesconorischiano pignoramenti e fallimen-ti. Non si tiene pertanto contodella Costituzione che prevedeche tutti sono tenuti a concorrerealle spese pubbliche in ragionedella loro capacità contributiva eche il sistema tributario è informa-

to a criteri di progressività. Esistedi fatto già una patrimoniale an-che su persone con redditi bassis-simi del tutto iniqua, che ha giàcontribuito ad aggravare la crisidell’intera filiera delle costruzionie ora colpirà anche il settore agri-colo, con enormi danni per singo-li cittadini e per l'intero sistemaeconomico.Vincenzo Gallo

Non si chiudono le poste!Ormai Renzi ci sta abituando anon rispettare più la Costituzione,difende i corrotti e i corruttori,difende sottosegretari indagati,vende l’Italia a pezzettini, mettele mani nella cassa depositi eprestiti come se i risparmi postalidei cittadini fossero suoi. Noncontento dei danni che sta provo-cando con la sua politica econo-mica, cerca di chiudere anche gliuffici postali dei piccoli centri,strafottendosene dei vecchietti edi quelle persone disagiate cheper cui l’ufficio postale è come lafarmacia o il medico, strafottendo-sene anche di quell’accordo uni-versale chiamato UPU dove l’Ita-lia ne è ancora membro. Un ac-cordo universale che tutti fannofinta di non conoscere per nonrispettarlo. Un accordo dove tuttii cittadini dell’universo hanno dirit-to di avere scambi postali anchein zone disagiate e piccolissimicentri. Almeno sig. Renzi, sig. mi-nistro delle comunicazioni, sig.amministratore delegato, abbiaterispetto della vita umana, abbiaterispetto di quel vecchietto chenon ha la possibilità economica epurtroppo non ha più la capacitàmentale di mettersi dietro ad unpc, o di avere il bancomat, datela possibilità di andare ancora alproprio ufficio postale a ritirare lapropria pensioncina e di ricevereuna cartolina. Per voi la vita nonha valore, fate morire le personelentamente di crepacuore.Giuliano Colaci

Il fascista Bellugi a MassaLa partecipazione di autorità digoverno alla celebrazione di unfascista è solo la punta dell’ice-berg della superficialità ormai dif-fusa verso l’antifascismo, il tra-guardo di quel famoso e ipocrita«bravi ragazzi» riferito ai soldati diSalò. A Massa, che è capoluogodi Provincia, decorata di meda-glia d’oro al VM per i suoi meritiresistenziali, vissuti soprattutto

dalla popolazione civile, si discu-te da tempo, con tanto di raccol-ta firme, della intitolazione di unastrada al podestà fascista Bellu-gi, che fu squadrista violento, giàcon Dumini a Sarzana nel 1921,tanto che si può chiosare che tragli squadristi qualcuno divenneassassino, e qualcun altro pode-stà. Lo si fa in ragione delle suequalità letterarie che sono innega-bili e non discusse, ma che co-munque non permettono di di-menticare il suo ruolo di rappre-sentante istituzionale di regime:governò la città per quasi unaventina di anni, e nemmeno be-ne, almeno secondo le autorità dipolizia! La sua azione violenta eilliberale, di cui si vantò, cancellòla vita democratica, e fece fuggi-re gli avversari politici, tra i qualiva ricordato Aladino Bibolotti, poiun Costituente. Con il clima chetira io ho timore che prima o poila strada gli sarà intitolata! Quan-ti come me esprimono questapreoccupazione sono spesso ac-cusati di essere ancorati a divisio-ni ideologiche superate, quindiretrogradi, e anacronistici. In effet-ti rifletto che ci basiamo su paro-le desuete e forse non più capibi-li come sussidiarietà, progressivi-tà fiscale, divisione dei poteri,autonomia democratica. Il recen-te decreto che ha inventato lanomina dei dirigenti scolastici, mifa purtroppo intravvedere un nonlontano ritorno dei podestà di no-mina governativa. Altro drammati-co traguardo sulla strada di unaormai più che possibile svoltaautoritaria. Ci diranno che comeper i presidi si individueranno imigliori. Certo è possibile! Ma noicontinueremo a rimarcare che è ilmetodo che non è sicuro, e sare-mo ancor più maltrattati comegarantisti, qualità che sarà sem-pre più pubblicamente disprezza-ta, forse messa alla gogna. I peg-giori di tutti sono i fascisti cheinvocano il pluralismo delle idee,quasi che la libertà, conquistatada chi li ha avversati, non com-porti dei principi e delle regole,e quindi dei limiti, senza i qualiessa stessa decade.Massimo Michelucci, IstitutoResistenza Apuana

La cattiva scuola di RenziCaro manifesto, pensavo di avervisto tutto il peggio con Berlusco-ni, ma questo governo sta supe-rando ogni limite, per cose fatte

e per stile, arrogante e protervo.Le dichiarazioni di Poletti sono leultime di una mediocre serie: que-sti mescola approssimazioni inac-cettabili per un ministro (i "tremesi di vacanza" degli/delle inse-gnanti) a puro teppismo ideologi-co (invitare i giovani a andare alavorare durante l’estate, comese non bastasse il lavoro gratui-to o sottopagato che spremeprofitto durante gli inverni,all’Expo, nei call center e altro-ve). Poletti non sa di cosa parla–o lo sa benissimo?-, come tan-ti ministri di questo governo.Hanno devastato la Costituzio-ne, il mercato del lavoro -perfavorire i padroni-, la democra-zia di base (la farsa meschinadelle primarie, il partito ’debole’ma potentissimo nel governaretessere e nel distribuire incari-chi). Ora attaccano la scuolacon trivialità di parole e azioni:spero in una reazione unitariadel mondo della scuola. Noi in-segnanti siamo ormai stretti trapresidi assenteisti (dirigonodue, tre o quattro istituti scola-stici, e spesso non sono in nes-suno), famiglie di clienti e alun-ni ingovernabili (classi anche di30 studenti, ingestibili per unminimo di lavoro che rispettigli/le individui/e) e un’opinionepubblica ostile. A cosa servonoi provvedimenti del governo,che tra l’altro dà potere ai presi-di –qualora li trovassero… - e acosa queste ultime parole diPoletti? A colpire noi insegnan-ti, a metterci in un angolo, asabotare la Costituzione in unodei suoi cardini: la scuola pub-blica. Rileggo i discorsi di Wal-ter Binni alla Costituente, e mi-suro la distanza tra quella forzapulita e lo squallore dell’oggi.Bivacco di manipoli incravattati,sono l’aula parlamentare e i ban-chi del governo. E spero ancheche «il manifesto» dia un po’ me-no spazio alla ’sinistra PD’, com-plice attiva di Renzi (come ne ècomplice la base di questo parti-to), per aprire ad altre figure e mo-vimenti, anche minoritari e «invisi-bili» che a volte vengono anchedileggiati, molto al di là degli in-dubbi limiti. Ve lo chiede uno cheda decenni sostiene il nostro «gior-nale comunista»; ve lo chiede unuomo di pace, oltraggiato dallaviolenza non solo verbale di Renzie della sua pattuglia.Gianluca Paciucci

Marco Bascetta

Coalizione sociale,conunaltrosindacatoAbbiamoaccettato queste con-

dizioni proibitive per avere incambio un contratto decenna-

le, sottoscritto all’inizio di questa nuo-va avventura. Non avevamo possibili-tà di scelta, anche se noi, come i nostriinterlocutori, sappiamo che si tratta diun affitto iperbolico, senza alcun ri-scontro di mercato. Come è iperbolicae fuori da ogni reale rapporto di valorela cifra di un milione e 757mila eurocome prezzo di vendita del bandod’asta.

Se non avessimo accettato la man-naia dei 26mila euro almese ilmanife-sto sarebbe uscito dalle edicole forseper sempre, il suo valore sarebbe crol-lato e la testata sarebbe stata preda de-gli affaristi del settore, merce low-costin quel traffico di testate in cui sonospecializzati finanzieri di ogni risma.

Qui occorre un chiarimento, dovero-so nei confronti di tutti e in particolaredelle lettrici e dei lettori: semmai sipresentassero all’asta una o più perso-ne con offerte milionarie per compra-re il nostro giornale, è bene sapere chegli eventuali futuri proprietari dovran-no convivere per lunghi anni con que-sta redazione e questo vivace colletti-vo di lavoro.

L’ultima volta che scrivevo per infor-marvi sullo stato delmanifesto era pro-prio l’ultimo giorno dell'anno, il 31 di-cembre 2014. Vi ringraziavo per la ge-nerosità con cui avevate aderito allacampagna di donazioni, mettendocioggi nelle condizioni di fare una con-grua offerta al momento della vendita.Ma al tempo stesso davo anche contodello stallo, delle procedureministeria-li che andavano a rilento, del bando divendita che non arrivava e dei liquida-tori che non avrebbero rispettato lascadenza di fine anno, come concor-dato proprio in una riunione di tuttele parti avvenuta addirittura nel lugliodel 2014 negli uffici del Ministero.

Questo incomprensibile ritardo ciha molto danneggiato per il pesodell’affitto, un macigno da trascinareogni giorno sulle nostre spalle per sca-lare una montagna senza mai poternevedere la vetta. Perché il tempo èdena-ro che esce dalle nostre casse per en-trare in quelle della Liquidazione. Esiccome passeranno altri mesi primadella conclusione delle procedured’asta, è bene sapere che se vogliamoarrivare all’atto finale dobbiamo af-frontare i «tempi» (gli affitti) supple-mentari.

Per corrispondere all’impegnativafase che ci attende e compensare lamensile emorragia di risorse che ci vie-ne richiesta, metteremo in campo ini-ziative speciali, lungo il percorso infor-mativo/culturale/storico avviato con inumeri speciali a venti euro. Che han-noottenutoun grande successo, nono-stante l’impegno economico fuori delcomune. Queste iniziative editoriali cipermetteranno di affrontare megliogli appuntamenti con il nostro futuro.E non solo da unpunto di vista econo-mico. Perché la vostra partecipazioneci dà anche una grande forza di «spiri-to». La percezione, anzi la certezza, disapere che siamo «circondati» da unacomunità di donne e di uomini, che cisegue, ci sostiene, ci critica, ci vuolebene, è il nostro pane quotidiano. Etutto questo nonpotràmai esseremes-so in discussione da un’asta al «mi-glior offerente».

DALLA PRIMANorma Rangeri

L’ultimomigliodella nostra impresa

chiuso in redazione ore 22.00

il manifestoDIR. RESPONSABILE Norma Rangeri

CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco

DESKMatteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi,

Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONEBenedetto Vecchi (presidente),Matteo Bartocci, Norma Rangeri,

Silvana Silvestri

COMMUNITY COMMUNITY

I BAMBINI CI PARLANO

Sull’eclisseGiuseppe Caliceti

HERI DOMO, "FERMENTATION OF MIND"

Per evitare il fallimento,non basterà affiancarsi

come una sorta di «terzo settore»alla sfera politica e a quella delle

rappresentanze lasciandone intattipoteri e dispositivi di perpetuazione

IL POSTINO DI MICHAEL RADFORD, NELLA FOTO, PHILIPPE NOIRET E MASSIMO TROISI

lelettere

GIOVEDÌ 26 MARZO 2015 il manifesto pagina 15

CAMPANIASabato 28 marzoDONNE E FOLLIA A.S.L. Napoli 1 Centropresenta «Donne, follia e solitudine». Unevento che comprende l’inaugurazione dellamostra Outre la dance di Luigi Bilancio (ore10.30) e un azione teatrale «Specchi di so-le» per la regia Mauro Maurizio Palumbo(ore 16). Ingresso libero. Ex ospedale psichiatrico LeonardoBianchic, calata Capodichino 232,Napoli

LOMBARDIAGiovedì 26 marzo, ore 19CANTIERI MARXIANI Il Laboratorio diautoformazione Leggere Marx oggi organizzaun dibattito con Sandro Mezzadra, autoredel testo usato nell’approfondimento colletti-vo: «Nei Cantieri marxiani – il soggetto e lasua produzione» (Manifesto libri). Unipop - Spazio di Mutuo Soccor-so, piazza Stuparich, 18, Milano

PIEMONTEVenerdì 27 marzo, ore 20A CHE GENDER GIOCHIAMO? Il Centrodocumentazione GLBTQ Maurice presental’incontro/dibattito: «A che genere di giocogiochiamo? Il gender tra decostruzioni liber-tarie e ricostruzioni reazionarie. PartecipaFederico Zappino, curatore di «Fare e disfareil genere» di Judith Butler (Milano 2014).Intervengono anche: Christian Ballarin (attivi-sta trans, Maurice GLBTQ Torino), CarmenDell’Aversano (Università di Pisa). ModeraCristian Lo Iacono (Centro documentazioneGLBTQ Maurice Torino). Maurice GLBTQ, via Stampatori, 10,Torino

TOSCANAVenerdì 27 febbraio, ore 19SU LA TESTA, ARGENTINA Presentazionedel libro «Su la testa, Argentina!» con Orlan-do Baroncelli. Era il 24 marzo del 1976 ed imilitari con un golpe presero il potere inArgentina... Il numero di desaparecidos adoggi non è quantificabile, ma potrebbe arriva-re - solo per l'Argentina - a 30 mila. Intervie-ne Orlando Baroncelli, autore di «Su la testa,Argentina! Desaparecidos e recupero dellamemoria storica». Cpa Firenze sud, via di Villamagna27/a, Firenze

Sabato 28 marzo, ore 15.30PACE IX assemblea dell'Accademia Apuanadella Pace, rete di associazioni e singolepersone impegnata nella costruzione di unacultura di pace, di nonviolenza e di giustizia.È l'occasione per riflettere sul cammino fattoin tutti questi anni e sul ruolo che l'Accade-mia Apuana della Pace, pur nella consapevo-lezza di essere solo una piccola realtà diprovincia, può svolgere per offrire elementi diriflessione sulle tematiche della pace e dellanonviolenza, declinate a 360 gradi, partendoanche dalle comunità locali. Circolo Arci Agogo, p.zza Roma,Aul-la (Ms)

UMBRIASabato 28 marzo, ore 17EUTANASIA LEGALE L'Ass. Cult. CiviltàLaica in collaborazione con il circolo Uaar diTerni vi invita a partecipare al convegno«Eutanasia Legale: il diritto a una mortedignitosa». Giornata incentrata sulla propo-sta di legge popolare per cui sono stateraccolte oltre settantamila firme negli annipassati e che è ferma in parlamento nono-stante le promesse della politica. Sala Rossa di Palazzo Gazzoli, viadel teatro Romano, Terni

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– –Ricordate cosa abbiamo fatto venerdìmat-tina?

“Abbiamo visto il sole”. “No, la luna”.“Abbiamo guardato il cielo perché c’eral’elisse”. “Siamoandati dal vetro dove ci so-no le bidelle e abbiamo guardato con i ve-trini neri”. “Io mi ricordo che dei bambiniavevano paura di guardare e tremavanoperché pensavano che dopo diventavanociechi”. “Io ho portato il vertrino nero chemi ha dato mio padre”. “Anche io”.

Mi spiegate come erano i vetrini?“Noi avevamo solo due vetrini. Invece in

seconda ne avevano quattro o cinque. Celi siamo fatti prestare per guardare l’eclissiperché altrimenti non potevamo guarda-re, altrimenti ci facevano male gli occhi”.“Perché se tu guardi l’eclissi senza i vetrinipuoi diventare anche cieco”. “I vetrini ser-vono a non farsimale agli occhi”. “Noi ave-vamo attaccato il vetrino a un cartone on ilnastro adesivo”. “Noi mettevamo il carto-ne davanti alla faccia, poi guardavamo nelbuco dove c’era il vetrino nero e dopo ve-devamo tutto”.

Mi dite cosa avete visto?“Io ho visto che era tutto unpo’ nero, co-

me in un filmdi paura. Anche gli alberi ave-vano i rami neri”. “Si vedevano il sole e laluna che c’era andata sopra”. “Si vedevache il sole non era proprio rotondo,ma eraun po’…. Un po’ quadrato… Come se untopo ne avessemangiato un pezzo”. “Io hovisto che il sole, dietro il vetrino,m non eragiallo ma eracolor verde”.“Era molto bel-lo vederenel ve-trino. Era comese tu guardavicon gli occhialida sole. Però sivedeva più ne-ro”. “Dentro ilvetrino si vede-va tutto nero.Anche il soleera un po’ ne-ro”. “Io ho visto anche che c’erano degli uc-celli che volevano”. “Io non ho visto beneperché c’erano delle nuvole”. “Io ho vistoche c’era una luce verde chiara. Anche il so-le era verde. Però non ero tutto rotondo.Era un po’ come una luna, non come il so-le”. “Anche a me sembrava che il sole erala luna”.

Mi dite se avete capito cosa è allora uneclisse?

“Una eclisse è quando viene il buio digiorno. Perché c’è la luna che va davanti alsole!” “Però non è venuto molto buio. Io civedevo benissimo”. “Per me l’eclissi èquando la luna va davanti al sole. All’ora cifa ombra e tu non vedi bene”. “E’ quandoil sole e la luna stanno per scontrarsi, mapoi non si scontrano”. “La lunanon è bian-ca come il sole!” “Io ho visto che il sole èun po’ più grande della luna, ma forse misbaglio”. “Per me un’eclissi è quando nonpuoi guardare il sole come tutti i giorni macon i vetrini, altriomenti ti può fare maleagli occhi, se lo guardi troppo!” “L’eclisse èuna cosa un po’ di paura perché…. Perchédiventa tutto un po’ strano…”

Perché alcuni bambini hanno avuto pau-ra? Me lo volete dire?

“Io avevo paura perché pensavo che mipotevano fare male agli occhi”. “Io avevopaura che dopo non ci vedevamo più”.M”Io ho avuto paura solo all’inizio perchéio non avevo mai visto un’eclisse, non sa-pevo come era, se faceva molta paura ono, ma poi ho capito che è una cosa nor-male e non mi ha fatto più paura e alla ri-creazione sono andato fuori a giocare an-che io, però non ho mai guardato il solema giocavo e basta”.

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Che cosa significa "coalizione so-ciale"? Il susseguirsi delle preci-sazioni e dei distinguo indicache la risposta non è semplicené univoca. Di certo il nomenon è conseguenza delle cose.Le quali, nel nostro Paese, indi-cherebbero piuttosto una socie-tà poco incline alle coalizioni,tutt'ora pervasa da pulsioni cor-porative saldamente radicatenella sua storia, attraversata daconflitti che faticano a parlarsi ericonoscersi a vicenda. Se non sitratta di una formula genericada spendersi nelle dispute inter-ne ai contesti politici canonizza-ti per ridefinirne gli equilibri, tut-tavia, ha il valore di una presa dicoscienza, sia pure tardiva, delletrasformazioni che hanno inve-stito non solo il lavoro, ma l'in-sieme dei rapporti sociali, delleprospettive di vita individuali ecollettive. Il problema che l'ideastessa di "coalizione sociale"mette a fuoco altrononè, per far-la breve, che quello di una sog-gettività politica all'altezza deitempi. La quale precede, e spes-so contraddice, il tema, ampia-mente screditato dalle poco bril-lanti avventure elettorali, parla-mentari e convegnistichedell'agognato "nuovo soggettopolitico". Una "soggettività poli-tica" è, in primo luogo, unmododi guardare alle cose e di relazio-narsi ad esse sul piano dell'azio-ne e dell'organizzazione. Persi-no Susanna Camusso la rivendi-ca al suo sindacato, ma si tratta,appunto, di una "soggettività po-litica" prigioniera dell'ottica sin-dacale, che guarda anche a que-stioni generali, ma dal punto divista di specifiche condizioni diesistenza, parziali, semplificatee circoscritte, per giunta, ai loroaspetti "sindacalizzabili". Perscendere nel concreto tramiteun esempio, una siffatta "sogget-tività" difficilmente potrà venirea capo di una contraddizione, ti-pica del nostro tempo, comequella tra industrializzazione equestione ambientale.

Il fatto che mette in giocol'idea della "coalizione sociale",a prescindere dalle forme chepotrà assumere e dalle sue possi-bilità di successo, è l'indiscutibi-le indebolimento della prospetti-va sindacale. Insidiata su duefronti principali. Il più evidenteè quello del lavoro intermittentee precario, del lavoro autonomoimpoverito, e del "non lavoro"produttivo ma a reddito zeroche non solo lo statuto degli an-ni'70, ma l'intera cultura sinda-cale e la sua organizzazione percategorie non abbraccia, noncontempla e nemmeno capisce.Avendo lungamente coltivatol'idea, ingenua a voler essere cle-menti, che si trattasse di una"anomalia" provvisoria destina-ta ad essere riassorbita nel lavo-ro a tempo indeterminato.Un at-teggiamento, questo, che ha age-volato quanti giocavano il preca-riato, senza peraltro tutelarlo inalcun modo, contro l'"egoismo"degli occupati. Con un discretosuccesso di pubblico.

Il secondo fronte, quello me-no evidente, è la mutazione cheha investito la stessa figura del la-voratore stabilmente occupato(ma sempre più ricattabile e mi-nacciato). Questa figura è dive-nuta più complessa e sfaccettatadi un tempo, nonpiù interamen-

te centrata sull'identità conferitadal lavoro, ma arricchita da do-mande culturali, da desideri di li-bertà, da interessi molteplici easpirazioni di crescita individua-le chemal si conciliano con i "sa-crifici" sempre più pesanti,scambiati con il mantenimentodel posto di lavo-ro. La stessaespressione "mer-cato del lavoro"suona oggi, nellasua presunta au-tonomia "tecni-ca", come una in-gannevole astra-zione. Le percen-tuali vertiginosedella disoccupa-zione giovanile discendono, an-che se soloparzialmente, da que-sto genere di resistenze esisten-ziali, effettive o anche solo temu-te dalle imprese, decisamente re-stie ad assumere possibili pianta-grane. Sono soprattutto questielementi ad avere gravemente ri-dotto la forza contrattuale delsindacato e, soprattutto, la suacapacità di parlare all'insiemedella società. Senza contare l'in-sufficienza della dimensione na-zionale per qualsiasi ipotesi dicambiamento o anche di pura esemplice difesa dei diritti acqui-siti. La prospettiva sindacale, ar-roccata nella sua tradizione, è al-trettanto impotente quanto quel-la nazionale abbarbicata alle sueantiche prerogative.

È in questo contesto di radica-le mutamento e commistionedelle condizioni lavorative ed esi-stenziali che hanno cominciato

a svilupparsi, per approssimazio-ne, concetti come quello di "sin-dacalismo sociale" e strumentidi lotta, ancora piuttosto indi-stinti, come lo "sciopero socia-le". Alla ricerca di una soggettivi-tà politica che faccia dello "starein società", meglio del "produr-

re società" il teatro di un agire ef-ficace, che cancelli il confine,scomparso nei fatti, ma persi-stente nella dottrina, tra dimen-sione sindacale e dimensionepolitica. Questa divisione deicompiti tra partito e sindacato ri-sale a una impostazione antro-pologica fondata sulla distinzio-ne tra l'immediatezza dei biso-gni e la lungimiranza della "co-scienza" (per quanto riguarda latradizione socialista) o sulla ca-pacità "professionale" di tenerein equilibrio interessi contrastan-ti proteggendo adeguatamentel'ordine proprietario ( per quan-to riguarda il parlamentarismo li-berale). Su un'idea di soggettivi-tà, dunque, quella proletaria equella borghese, che dovevanoessere "completate" da una gui-da "specializzata", dagli strate-ghi della classe di appartenenza.Di quel mondo, e del rapporto

tra economia e politica che lo ca-ratterizzava, non v'è più traccia.Resta, invece, fluttuando nelvuoto di una storia conclusa, ladifesa, tipica di una antica tradi-zione corporativa, delle rispetti-ve sfere di "competenza", dei"segreti professionali" tramanda-

ti dai maestri agliapprendisti an-che quelli appa-rentementepiù ri-belli. Partiti che siautoriproduconoin vitro con pochielettori e ancormeno iscritti,comprese lefolkloristiche op-posizioni interne;

sindacati ben attenti a rimanere"parte sociale" senza immi-schiarsi in ciò che non li riguar-da, ma che riguarda, eccome, lavita di coloro che pretendono dirappresentare, nonché di moltialtri la cui esistenza, consuman-dosi fuori dalla sfera di azionesindacale, non è che un "dram-ma" imprevisto e ingombrante.Se "coalizione sociale" significache la politica non abita più nédalla prima, né dalla secondaparte è unaprospettiva benvenu-

ta. Se prende atto della crisi del-la rappresentanza, senza la pia il-lusione di poterla ripristinare,può essere un'occasione.

Su questa prospettiva incom-bono, tuttavia, due probabili de-rive. La prima è quella di unasommatoria di associazioni esoggetti collettivi gelosi delle ri-spettive identità, ma accomuna-ti dalla denuncia di una politicadivenuta "asociale" e ostile aisegmenti più deboli della socie-tà. Qualcosa di non molto dissi-mile dal mito della "società civi-le" in cui defluì il movimento al-termondialista dei primi anni2000 con l'esperienza, presto tra-sformatasi in "alterparlamenta-re", dei social forum. Ma senzalo slancio, l'azzardo e l'entusia-smo che caratterizzarono queglianni. Una "coalizione", insom-ma, nella quale obiettivi apprez-zabili e settori specifici di inter-vento sociale e politico si affian-chino senza però stabilire nessicogenti. Nella quale interessi co-muni e reciproche indifferenzeconvivano in una condizione fra-gile e sostanzialmente instabiletenuta insieme da occasionalimobilitazioni. La seconda derivapossibile, di segno contrario, èunapretesa di sintesi, l'aspirazio-ne a istituire una rappresentan-za dei movimenti intesi comesemplici portatori di "istanze"che altri dovrannopoi trasforma-re in programma politico. In po-che parole, una restaurazione,in altri termini, della divisione dicompiti e dei rapporti gerarchicitra la dimensione politica e quel-la sindacale.

Come sfuggire a queste alter-native fallimentari resta un pro-blema aperto. Ma quel che deveessere chiaro è che, comunquesi voglia chiamare la direzionein cui muovere, "coalizione so-ciale", "nuovo soggetto politico"o "sindacalismo sociale", nonba-sterà affiancarsi come una sortadi "terzo settore" alla sfera dellapolitica e a quella del sindacatolasciandone intatti poteri e di-spositivi di perpetuazione. Quan-do si tratta di reinventare la poli-tica bisognerà pure entrare inrotta di collisione con le forzeche si sono insediate al suo po-sto. La crisi della forma partitoha trovato una sua soluzione adestra: partiti-azienda, parti-ti-ditta, partiti della nazione,mo-nocratici, mediatici, oracolari,trasformisti, postparlamentari.C'è da dubitare che da qualchecostola, miracolosamente sana,di queste formazioni possa pren-der avvio una diversa direzionedi marcia. La crisi della for-ma-sindacato è, invece, ancoraaperta. E anche quella dei movi-menti lo è. Ma se non riusciran-no, in unmodoonell'altro, a en-trare in relazione con la dimen-sione politica (forza, efficacia,durata, organizzazione) non èfuori luogo profetizzare, anchein questo caso, una soluzione adestra: quella neocorporativa.

tiratura prevista 41.199

Renato solmi ci ha lasciatiDopo lunga malattia si è spentoil prof. Renato Solmi. E' stato im-pegnato nei movimenti nonviolen-ti e pacifisti torinesi e nazionalied ha collaborato con «il manife-sto». Ne danno l’annuncio a quan-ti lo conobbero e gli vollero benela figlia Matilde con la madre An-na Maria Marietti, la sorella Raffa-ella con i cugini Martinet, Bedetti,Siggia e Galliani.

L’Imu e l’iniquità fiscaleIn relazione all’introduzione an-che dell’Imu agricola e in generealla tassazione sugli immobili ri-tengo più corretto ed equo tassa-re eventualmente il reddito di unapersona ma non certo i suoi im-mobili dovunque localizzati e diqualsiasi tipo se improduttivi esoprattutto appartenenti a cittadi-ni con redditi bassi. I proprietaricon questa crisi devono accollarsispesso solo dei costi non sempresostenibili, pur di mantenere iloro immobili nei quali hanno in-vestito i loro risparmi in periodi diinflazione crescente o frutto dieredità. Basti considerare adesempio gli immobili di personecon pensioni basse o di personeche hanno perso il lavoro che avolte non riescono ad arrivare afine mese. Li si costringe a cerca-re di vendere le loro proprietà perpagare le tasse, non tenendo con-to che in questo periodo la do-manda di immobili è bassissima.Sono costretti pertanto spesso asvenderle e se non ci riesconorischiano pignoramenti e fallimen-ti. Non si tiene pertanto contodella Costituzione che prevedeche tutti sono tenuti a concorrerealle spese pubbliche in ragionedella loro capacità contributiva eche il sistema tributario è informa-

to a criteri di progressività. Esistedi fatto già una patrimoniale an-che su persone con redditi bassis-simi del tutto iniqua, che ha giàcontribuito ad aggravare la crisidell’intera filiera delle costruzionie ora colpirà anche il settore agri-colo, con enormi danni per singo-li cittadini e per l'intero sistemaeconomico.Vincenzo Gallo

Non si chiudono le poste!Ormai Renzi ci sta abituando anon rispettare più la Costituzione,difende i corrotti e i corruttori,difende sottosegretari indagati,vende l’Italia a pezzettini, mettele mani nella cassa depositi eprestiti come se i risparmi postalidei cittadini fossero suoi. Noncontento dei danni che sta provo-cando con la sua politica econo-mica, cerca di chiudere anche gliuffici postali dei piccoli centri,strafottendosene dei vecchietti edi quelle persone disagiate cheper cui l’ufficio postale è come lafarmacia o il medico, strafottendo-sene anche di quell’accordo uni-versale chiamato UPU dove l’Ita-lia ne è ancora membro. Un ac-cordo universale che tutti fannofinta di non conoscere per nonrispettarlo. Un accordo dove tuttii cittadini dell’universo hanno dirit-to di avere scambi postali anchein zone disagiate e piccolissimicentri. Almeno sig. Renzi, sig. mi-nistro delle comunicazioni, sig.amministratore delegato, abbiaterispetto della vita umana, abbiaterispetto di quel vecchietto chenon ha la possibilità economica epurtroppo non ha più la capacitàmentale di mettersi dietro ad unpc, o di avere il bancomat, datela possibilità di andare ancora alproprio ufficio postale a ritirare lapropria pensioncina e di ricevereuna cartolina. Per voi la vita nonha valore, fate morire le personelentamente di crepacuore.Giuliano Colaci

Il fascista Bellugi a MassaLa partecipazione di autorità digoverno alla celebrazione di unfascista è solo la punta dell’ice-berg della superficialità ormai dif-fusa verso l’antifascismo, il tra-guardo di quel famoso e ipocrita«bravi ragazzi» riferito ai soldati diSalò. A Massa, che è capoluogodi Provincia, decorata di meda-glia d’oro al VM per i suoi meritiresistenziali, vissuti soprattutto

dalla popolazione civile, si discu-te da tempo, con tanto di raccol-ta firme, della intitolazione di unastrada al podestà fascista Bellu-gi, che fu squadrista violento, giàcon Dumini a Sarzana nel 1921,tanto che si può chiosare che tragli squadristi qualcuno divenneassassino, e qualcun altro pode-stà. Lo si fa in ragione delle suequalità letterarie che sono innega-bili e non discusse, ma che co-munque non permettono di di-menticare il suo ruolo di rappre-sentante istituzionale di regime:governò la città per quasi unaventina di anni, e nemmeno be-ne, almeno secondo le autorità dipolizia! La sua azione violenta eilliberale, di cui si vantò, cancellòla vita democratica, e fece fuggi-re gli avversari politici, tra i qualiva ricordato Aladino Bibolotti, poiun Costituente. Con il clima chetira io ho timore che prima o poila strada gli sarà intitolata! Quan-ti come me esprimono questapreoccupazione sono spesso ac-cusati di essere ancorati a divisio-ni ideologiche superate, quindiretrogradi, e anacronistici. In effet-ti rifletto che ci basiamo su paro-le desuete e forse non più capibi-li come sussidiarietà, progressivi-tà fiscale, divisione dei poteri,autonomia democratica. Il recen-te decreto che ha inventato lanomina dei dirigenti scolastici, mifa purtroppo intravvedere un nonlontano ritorno dei podestà di no-mina governativa. Altro drammati-co traguardo sulla strada di unaormai più che possibile svoltaautoritaria. Ci diranno che comeper i presidi si individueranno imigliori. Certo è possibile! Ma noicontinueremo a rimarcare che è ilmetodo che non è sicuro, e sare-mo ancor più maltrattati comegarantisti, qualità che sarà sem-pre più pubblicamente disprezza-ta, forse messa alla gogna. I peg-giori di tutti sono i fascisti cheinvocano il pluralismo delle idee,quasi che la libertà, conquistatada chi li ha avversati, non com-porti dei principi e delle regole,e quindi dei limiti, senza i qualiessa stessa decade.Massimo Michelucci, IstitutoResistenza Apuana

La cattiva scuola di RenziCaro manifesto, pensavo di avervisto tutto il peggio con Berlusco-ni, ma questo governo sta supe-rando ogni limite, per cose fatte

e per stile, arrogante e protervo.Le dichiarazioni di Poletti sono leultime di una mediocre serie: que-sti mescola approssimazioni inac-cettabili per un ministro (i "tremesi di vacanza" degli/delle inse-gnanti) a puro teppismo ideologi-co (invitare i giovani a andare alavorare durante l’estate, comese non bastasse il lavoro gratui-to o sottopagato che spremeprofitto durante gli inverni,all’Expo, nei call center e altro-ve). Poletti non sa di cosa parla–o lo sa benissimo?-, come tan-ti ministri di questo governo.Hanno devastato la Costituzio-ne, il mercato del lavoro -perfavorire i padroni-, la democra-zia di base (la farsa meschinadelle primarie, il partito ’debole’ma potentissimo nel governaretessere e nel distribuire incari-chi). Ora attaccano la scuolacon trivialità di parole e azioni:spero in una reazione unitariadel mondo della scuola. Noi in-segnanti siamo ormai stretti trapresidi assenteisti (dirigonodue, tre o quattro istituti scola-stici, e spesso non sono in nes-suno), famiglie di clienti e alun-ni ingovernabili (classi anche di30 studenti, ingestibili per unminimo di lavoro che rispettigli/le individui/e) e un’opinionepubblica ostile. A cosa servonoi provvedimenti del governo,che tra l’altro dà potere ai presi-di –qualora li trovassero… - e acosa queste ultime parole diPoletti? A colpire noi insegnan-ti, a metterci in un angolo, asabotare la Costituzione in unodei suoi cardini: la scuola pub-blica. Rileggo i discorsi di Wal-ter Binni alla Costituente, e mi-suro la distanza tra quella forzapulita e lo squallore dell’oggi.Bivacco di manipoli incravattati,sono l’aula parlamentare e i ban-chi del governo. E spero ancheche «il manifesto» dia un po’ me-no spazio alla ’sinistra PD’, com-plice attiva di Renzi (come ne ècomplice la base di questo parti-to), per aprire ad altre figure e mo-vimenti, anche minoritari e «invisi-bili» che a volte vengono anchedileggiati, molto al di là degli in-dubbi limiti. Ve lo chiede uno cheda decenni sostiene il nostro «gior-nale comunista»; ve lo chiede unuomo di pace, oltraggiato dallaviolenza non solo verbale di Renzie della sua pattuglia.Gianluca Paciucci

Marco Bascetta

Coalizione sociale,conunaltrosindacatoAbbiamoaccettato queste con-

dizioni proibitive per avere incambio un contratto decenna-

le, sottoscritto all’inizio di questa nuo-va avventura. Non avevamo possibili-tà di scelta, anche se noi, come i nostriinterlocutori, sappiamo che si tratta diun affitto iperbolico, senza alcun ri-scontro di mercato. Come è iperbolicae fuori da ogni reale rapporto di valorela cifra di un milione e 757mila eurocome prezzo di vendita del bandod’asta.

Se non avessimo accettato la man-naia dei 26mila euro almese ilmanife-sto sarebbe uscito dalle edicole forseper sempre, il suo valore sarebbe crol-lato e la testata sarebbe stata preda de-gli affaristi del settore, merce low-costin quel traffico di testate in cui sonospecializzati finanzieri di ogni risma.

Qui occorre un chiarimento, dovero-so nei confronti di tutti e in particolaredelle lettrici e dei lettori: semmai sipresentassero all’asta una o più perso-ne con offerte milionarie per compra-re il nostro giornale, è bene sapere chegli eventuali futuri proprietari dovran-no convivere per lunghi anni con que-sta redazione e questo vivace colletti-vo di lavoro.

L’ultima volta che scrivevo per infor-marvi sullo stato delmanifesto era pro-prio l’ultimo giorno dell'anno, il 31 di-cembre 2014. Vi ringraziavo per la ge-nerosità con cui avevate aderito allacampagna di donazioni, mettendocioggi nelle condizioni di fare una con-grua offerta al momento della vendita.Ma al tempo stesso davo anche contodello stallo, delle procedureministeria-li che andavano a rilento, del bando divendita che non arrivava e dei liquida-tori che non avrebbero rispettato lascadenza di fine anno, come concor-dato proprio in una riunione di tuttele parti avvenuta addirittura nel lugliodel 2014 negli uffici del Ministero.

Questo incomprensibile ritardo ciha molto danneggiato per il pesodell’affitto, un macigno da trascinareogni giorno sulle nostre spalle per sca-lare una montagna senza mai poternevedere la vetta. Perché il tempo èdena-ro che esce dalle nostre casse per en-trare in quelle della Liquidazione. Esiccome passeranno altri mesi primadella conclusione delle procedured’asta, è bene sapere che se vogliamoarrivare all’atto finale dobbiamo af-frontare i «tempi» (gli affitti) supple-mentari.

Per corrispondere all’impegnativafase che ci attende e compensare lamensile emorragia di risorse che ci vie-ne richiesta, metteremo in campo ini-ziative speciali, lungo il percorso infor-mativo/culturale/storico avviato con inumeri speciali a venti euro. Che han-noottenutoun grande successo, nono-stante l’impegno economico fuori delcomune. Queste iniziative editoriali cipermetteranno di affrontare megliogli appuntamenti con il nostro futuro.E non solo da unpunto di vista econo-mico. Perché la vostra partecipazioneci dà anche una grande forza di «spiri-to». La percezione, anzi la certezza, disapere che siamo «circondati» da unacomunità di donne e di uomini, che cisegue, ci sostiene, ci critica, ci vuolebene, è il nostro pane quotidiano. Etutto questo nonpotràmai esseremes-so in discussione da un’asta al «mi-glior offerente».

DALLA PRIMANorma Rangeri

L’ultimomigliodella nostra impresa

chiuso in redazione ore 22.00

il manifestoDIR. RESPONSABILE Norma Rangeri

CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco

DESKMatteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi,

Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONEBenedetto Vecchi (presidente),Matteo Bartocci, Norma Rangeri,

Silvana Silvestri

COMMUNITY COMMUNITY

I BAMBINI CI PARLANO

Sull’eclisseGiuseppe Caliceti

HERI DOMO, "FERMENTATION OF MIND"

Per evitare il fallimento,non basterà affiancarsi

come una sorta di «terzo settore»alla sfera politica e a quella delle

rappresentanze lasciandone intattipoteri e dispositivi di perpetuazione

IL POSTINO DI MICHAEL RADFORD, NELLA FOTO, PHILIPPE NOIRET E MASSIMO TROISI

lelettere

pagina 16 il manifesto GIOVEDÌ 26 MARZO 2015

NONABITAQUI

Apre oggi a Roma il centrocommerciale «Happio»,(improbabile via di mezzotra «happy» e Appio).A farne le spese stavoltaè un gioiello di archeologiaferroviaria nella cittàstorica. E i servizi sociali

Lafelicità

Sandro Medici

S ta per concludersi uno dei peggioricapitoli nella storia dell’urbanisticaromana.Una storia ormai secolare,

che pure può vantare una ragguardevolequantità di scelleratezze. Tra strombazziinaugurali e pacchianerie varie, propriooggiunodeigioiellidell’archeologia ferro-viaria di fine Ottocento diventa un gran-de centro commerciale: un altro centrocommerciale, l’ennesimo.Maquestavol-ta non annidato ai bordi della città, bensìincapsulato, incistato nella città storica:circondatodagrandi fabbricatid’iniziose-colo, affacciato su un’arteria stradale pe-

rennemente congestionata.Lo chiamavano affettuosa-

mente (e anacronisticamente)il deposito Stefer dell’Albero-ne, dall’acronimo dell’anticamunicipalizzata del trasportosu ferro. Si trova in Via AppiaNuova, al centro di un quartie-re ad alta densità abitativa, ap-poggiato sul margine dell’inten-sissimo flusso di traffico che at-traversa Roma dal sud al nord.Diecimilametri quadrati di unameravigliosa, quanto cadente eabbandonata, rimessa ferrovia-ria. Aggraziate travature in fer-

ro, grandi vetrate, arredi industriali, per-fino qualche polveroso macchinario.

Da lì partivano i trenini che andava-no a raggiungere i Castelli romani, Fra-scati, Grottaferrata, Velletri. Transitan-do lungo i popolosi quartieri della ViaTuscolana e facendo tappa nei sacraridella cinematografia italiana, l’IstitutoLuce, il Centro sperimentale, gli stabili-menti di Cinecittà. Fu proprio FedericoFellini, nel suopenultimo film,L’intervi-sta, a ripercorrere quel tragitto autobio-grafico, filmando alcune scene proprioinquel deposito e riesumandoquei vec-chi, stridenti vagoni.

Quel filmèdel 1987, lo stesso anno incui viene approvata la prima deliberasulla riconversione urbanistica. Che insostanza disponeva il trasferimento inquegli spazi del vicino mercato rionale,insediato malamente in mezzo a unastrada, poco igienico amolto scomodo.Edè stataproprioquesta lodevoleprevi-sione il grimaldello che ha permesso,annodopoanno,decenniodopodecen-nio, giunta dopo giunta, di consegnareagli interessi privati un preziosissimo

fabbricato pubblico: uno di quei rarimanufatti storici che avrebbero potutoospitareben altre funzioni, culturali, ar-tistiche, sociali. Come peraltro accadein altre metropoli europee, dove le am-ministrazioni pubbliche non sono cer-to così servili nei confronti di finanzierie immobiliaristi.

Altre delibere si sono avvicendate, al-tri progetti si sono susseguiti, altri sinda-ci si sono alternati, ma sempre finaliz-zando l’intervento intorno aquesta pre-sunta utilità pubblica. È finita come di-versamente sarebbe stato difficile finis-se: il mercato dell’Alberone non si tra-sferirà, resta dov’è. È dunque scompar-so anche quel minimo vantaggio pub-blico, quell’utile funzione di servizio,quellavaghissimae illusoria ipocrisia concui per trent’anni l’amministrazione co-

munale ha motivato (giustificato) il per-verso ingannochehaperpetratoai dannidella città.

Si chiama Happio questo nuovo mo-numento al mercato: un mediocre im-pastodi inglesismoe romanismocheal-lude a un’improbabile felicità ma che,al contrario, appare goffo e stucchevolecome la granpartedei tentativi dimisti-ficazione linguistica che ci hanno or-mai colonizzato. Sarà un concentratodi attività commerciali, di spazi d’intrat-tenimento, di uffici, di servizi privati edi tutti i consueti derivati al seguito. Ilperfetto modulo speculativo con cui sisviluppa l’odierna gestione urbanistica:un intreccio tra l’immediatezza dell’in-casso, cioè il frenetico gettito di scontri-ni d’acquisto, e il più rilassato ricavatodella rendita affittuaria, tanto costante

quanto progressivo.C’è chi impudicamente definisce «ri-

generazione urbana», queste colossalioperazioni affaristiche. E molte altre sene annunciano in città, nei vecchi Mer-cati generali, nell’antico Mattatoio, nelMercato dei fiori, nel Palazzo degli esa-mi, in altri depositi e magazzini svuota-ti, nelle aree ferroviarie e nelle Doganein disuso, nelle caserme.

Del resto, con la crisi dell’edilizia, conmilioni di metri cubi residenziali che re-stano invenduti, questo tipo di riconver-sioni commerciali diventa l’unico sboc-coperunsistema finanziario-immobilia-re impigrito e parassitario. In linea com-plementare, le amministrazioni locali,ormai dissanguate dai tagli ai bilanci eparalizzatedal patto di stabilità, non tro-vano di meglio che svendere il proprio

patrimonio per compensare i loro defi-cit. Ed è così che si creanoquelle sciagu-rate condizioni chepermettonoaipriva-ti di impossessarsi di immobili storici eperfino pregiati, per poi trasformarli inlucrose attività, che certo non appaionoparticolarmente utili e, anzi, ricadonopesantemente sul tessutourbano, appe-santendolo ulteriormente.

Insomma, sembra proprio un desti-no inesorabile vedersi sottrarre dai pri-vati quei beni pubblici che, in quantopubblici, appartengono a tutti noi. Ep-pure, un’altra possibilità ci sarebbe. Sesolo la politica riacquistasse il suo ruoloprogettuale, o più semplicemente acco-gliesse le esigenze cittadine, e non si li-mitasse a svolgere le funzioni di ente li-quidatore, di facilitatore degli interessidelmercato.Riconvertire e riusare il pa-trimonio dismesso è sicuramente utilee proficuo: il punto è per farci cosa. Epoi, perché privarsene per svenderlo?Nonsarebbemeglioutilizzarlo per offri-re alla cittàquel chemanca e che sareb-be invecenecessario? Servizi sociali, op-portunità di lavoro, attività culturali,luoghi di aggregazione e (perché no)quegli alloggi popolari che tanto servi-rebbero per contrastare l’emergenzaabitativa.

Aunpaiodi chilometri daHappio,unaltro fabbricato tramviario dismessosvolge un’altra attività. Non si compraniente né ci sono vetrine e plastiche co-lorate. C’è però una signora eritrea cheti offre il tè alla menta più buono di Ro-ma. È stato occupato qualche anno fada un gruppo di donne del quartiere edè diventato un centro d’accoglienza perdonneebambini indifficoltà o chehan-no subito violenze. C’è un bel giardinoper giocare e stare insieme. D’estate siproiettano film. In una stanza è stata al-lestita una biblioteca. Il fine-settimanac’è anche un mercatino e si può fare laspesa. C’è poi una sartoria che riciclavecchi indumenti e che qualcuno si az-zarda a definire vintage.Un servizio so-ciale, insomma. Una di quelle attivitàpubbliche che, in base a direttive euro-pee e anche per semplice buon senso,dovrebbe sorgere in tutti i quartieri e dicui invece non si vede l’ombra.

Nonper facili retorichenéper appari-re corrivi a tutti i costi, ma una doman-da affiora irresistibilmente. Cosa servedi più alla città: un centro commercialeo un centro anti-violenza?

L’ULTIMA

DUE IMMAGINIDELL’EXDEPOSITOSTEFER, OGGI«HAPPIO»/ FOTOROMA TODAY

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