Il Management dell'Internazionalizzazione - II Edizione

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IL MANAGEMENT DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE II EDIZIONE Antonio Di Meo Laura Carola Beretta Giorgio Gandellini

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IL MANAGEMENT DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

II EDIZIONE

Antonio Di MeoLaura Carola Beretta

Giorgio Gandellini

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A cura:Ufficio Sviluppo e ComunicazioneAssociazione Piccole e Medie Industrie della Provincia di RavennaSede: Piazza Bernini, 6 – 48100 Ravenna – Tel. 0544/280211 – Fax 0544/270210Delegazione: Via Fiumazzo, 46/4 – 48022 Lugo (Ravenna) – Tel.0545/288700 - Fax 0545/287745 e-mail: [email protected] – sito web: www.pmi-gate.orgVideo impaginazione: ABC Srl – http://www.abc.ra.itRealizzazione: novembre 2008

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Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione

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Indice i

Prefazione iv

Presentazioni introduttive alle diverse parti

1a Parte: Management e pianificazione strategica per l’internazionalizzazione vi

2a Parte: Opportunità e rischi dell’internazionalizzazione viii

3a Parte: Punti di criticità del management internazionale ix

4a Parte: Individuazione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio? xi

Profilo autori xii

1a parteManagement e pianificazione strategica per l’internazionalizzazione

Cap. 1 - I princîpi essenziali e le logiche della pianificazione 2

Cap. 2 - Perché è indispensabile pianificare per andare all’estero, e come farlo: business plan ed export plan 13

Cap. 3 - L’importanza di comprendere i contesti di mercato 20

Cap. 4 - Valutazione delle risorse e delle competenze interne 24

Cap. 5 - Sintetico profilo di un campione di aziende italiane operanti con l’estero: considerazioni e implicazioni 28

Cap. 6 - L’importanza e l’utilità dei modelli di supporto alle decisioni strategiche 34

Cap. 7 - Modellizzare la strategia: come valutare l’impatto delle caratteristiche del mercato e delle scelte strategiche sulla performance economico-finanziaria 37

Cap. 8 - Le ricerche di marketing e la scelta dei mercati di sbocco 50

Cap. 9 - Modalità di stima dei potenziali di mercato all’estero 60

Cap. 10 - Impatto del profilo dei Paesi sui fattori di successo 67

Cap. 11 - La scelta delle modalità di ingresso e di presenza 73

Cap. 12 - Strategie e politiche di prezzo 80

Cap. 13 - Strategie di canale 88

Cap. 14 - Scelte organizzative e alleanze 96

Cap. 15 - Impatto dei profili professionali sull’efficienza nell’impiego delle risorse 99

Cap. 16 - Cruscotto aziendale per la gestione strategica ed economico-finanziaria multicountry e multibusiness 102

Bibliografia e siti consigliati 106

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2a parteOpportunità e rischi dell’internazionalizzazione

Cap. 17 - Le opportunità dell’internazionalizzazione 109

Cap. 18 - I rischi dell’internazionalizzazione 111

Cap. 19 - Il rischio di credito 116

Cap. 20 - La gestione del rischio di credito per le PMI 121

Bibliografia consigliata 122

3a partePunti di criticità del management internazionale

Cap. 21 - La pianificazione delle vendite all’estero in un’ottica di Supply chain 124

Cap. 22 - Gli aspetti commerciali 125

Cap. 23 - Gli aspetti contrattuali 129

Cap. 24 - La compravendita internazionale e la Convenzione di Vienna 139

Cap. 25 - Le condizioni generali di vendita 146

Cap. 26 - Argomenti di un contratto di compravendita internazionale 148

Cap. 27 - La distribuzione internazionale 152

Cap. 28 - Il contratto di agenzia 153

Cap. 29 - ll contratto di concessione 154

Cap. 30 - Gli argomenti di un contratto internazionale di agenzia 155

Cap. 31 - Il contratto di joint venture 158

Cap. 32 - Aspetti finanziari e creditizi 167

Cap. 33 - La gestione interna 173

Cap. 34 - L’assicurazione dei crediti all’esportazione 175

Cap. 35 - I servizi offerti dalla compagnia di assicurazione 180

Cap. 36 - Le principali compagnie di assicurazione dei crediti 181

Cap. 37 - La SACE 183

Cap. 38 - Il credito documentario 187

Cap. 39 - La Stand by Letter of Credit 197

Cap. 40 - Le garanzie bancarie 199

Cap. 41 - Lo sconto di titoli con il forfaiting 201

Cap. 42 - Gli aspetti logistici 205

Cap. 43 - Il ruolo del trasporto nel commercio internazionale 208

Cap. 44 - I termini di consegna della merce (gli Incoterms) 212

Cap. 45 - Gli aspetti agevolativi (sostegno finanziario all’internazionalizzazione) 220

Cap. 46 - Il Business plan 224

Bibliografia consigliata 228

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4a parteIndividuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?

Cap. 47 - Alcune ragioni per un approccio strategico alle operazioni commerciali internazionali: considerazioni introduttive 231

Cap. 48 - I costi del commercio internazionale di beni: dazi e barriere non tariffarie 233

Cap. 49 - Dazi più bassi? 234

Cap. 50 - Le barriere non tariffarie 237

Cap. 51 - L’indicazione di origine “Made in…”: strumento di promozione dei prodottio nuova barriera non tariffaria? 241

Cap. 52 - Gli accordi commerciali preferenziali come opportunità di accesso a nuovi mercati 249

Cap. 53 - L’importanza dell’origine dei prodotti 253

Cap. 54 - Conclusioni 260

Bibliografia consigliata 261

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Prefazione

Siamo particolarmente lieti di presentare la nuova opera multimediale dell’API, Il management dell’internazionalizzazione – seconda edizione, a cura del Prof. Antonio Di Meo, un cd-rom dedicato al commercio con l’estero e alla fase della relativa pianificazione strategica.

La collana tematica, che la nostra Associazione dedica dal 2000 all’export, si arricchisce pertanto nel 2008 di un innovativo strumento: un supporto informatizzato efficace e pratico in un formato che garantisce facilità di accesso e rapidità di consultazione allo scopo di reperire agevolmente, e in modo estremamente chiaro, le informazioni sui temi di interesse.

Una rinnovata ed innovativa veste grafica completa questa opera multimediale, che consente altresì di effettuare ricerche su temi specifici grazie alla possibilità di utilizzare un motore di ricerca per selezionare rapidamente gli argomenti richiesti.

Alla luce di tutto ciò, riponiamo molta fiducia in questo nuovo strumento informativo, una soluzione versatile e adatta alle esigenze in costante evoluzione delle nostre imprese, che speriamo possa rappresentare un valido sostegno alle politiche di internazionalizzazione aziendale.

Renzo RighiniPresidente API Ravenna

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Presentazioni introduttive alle diverse parti

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1a Parte a cura di Giorgio Gandellini

“Management e pianificazione strategicaper l’internazionalizzazione”

Qualsiasi azienda, piccola o grande che sia, ha, almeno in teoria, un numero estremamente elevato di possibili alternative di sviluppo all’estero.

Basti immaginare quante combinazioni si possono creare fra i possibili paesi di sbocco (vogliamo contarne soltanto una trentina su 220?), le alternative di presenza (almeno due: esportazione diretta o indiretta), le principali linee di prodotto da proporre al mercato (variabili in funzione dei settori e delle aziende), i diversi target di clientela (ad esempio, ristoranti o famiglie, grandi o piccole imprese), le diverse combinazioni di canali distributivi, ecc.

Fra tutte queste possibilità teoriche, ce ne saranno almeno quattro o cinque ragionevolmente praticabili? (Per inciso, se non ci fossero neppure queste, tanto varrebbe lasciar perdere qualsiasi velleità di internazionalizzazione!).

D’altro canto, è risaputo che per ottenere risultati all’estero, soprattutto su mercati altamente competitivi (ormai, una larga maggioranza in molti settori di attività) occorrono tempo e investimenti: in pratica, deve essere superata la cosiddetta “massa critica” di risorse, al di sotto della quale si finirebbe per perdere tempo e denaro senza cavare il classico “ragno dal buco”.

Quante aziende possono permettersi il lusso di investire adeguatamente (ossia con successo) in più direzioni contemporaneamente? Neppure le grandi sono in grado di farlo (ovviamente, in rapporto agli obiettivi che si pongono), figuriamoci le piccole e medie!

Questa prima parte del volume, nei suoi sedici capitoli, è soprattutto orientata al concreto processo decisionale che può facilitare la scelta delle opzioni strategiche più promettenti, consentendo una migliore focalizzazione degli sforzi aziendali e, quindi, una maggiore efficacia e un minore spreco di risorse preziose.

In particolare, ha l’obiettivo di sensibilizzare il lettore all’importanza di un approccio sistematico alla strategia d’internazionalizzazione, fornendogli non soltanto gli strumenti concettuali, ma anche alcuni metodi concreti per rispondere (o almeno prepararsi a rispondere) efficacemente a domande critiche per il successo aziendale, che elenchiamo di seguito organizzate per capitolo.

Cap. 1: Quali sono i fattori che influenzano direttamente il successo aziendale in uno specifico mercato e settore di attività? Quali sono i passi necessari per identificarli e per valutarne le interrelazioni? Perché è indispensabile pianificare l’impiego delle risorse aziendali?

Cap. 2: Come e perché sviluppare un piano per l’internazionalizzazione? Quali fonti di informazione possono alimentarlo?

Cap. 3: Quali aspetti relativi al contesto ambientale e di mercato è importante considerare per lo sviluppo del piano?

Cap. 4: Di quali risorse e competenze è indispensabile disporre per realizzare con successo il piano?

Cap. 5: Quali sono i “veri” fattori di successo sui mercati esteri? Perché la qualità non basta, e perché è pericoloso pensare che basti (come purtroppo ritengono molte aziende italiane)?

Cap. 6: Perché è importante supportare i processi decisionali e la formulazione dei piani con stime ragionate e modelli operativi che consentano di ridurre il grado di complessità dell’analisi?

Cap. 7: In particolare, come tradurre in pratica il processo di formulazione della strategia, ossia la logica di destinazione delle risorse aziendali? Come valutare l’impatto delle caratteristiche del mercato e delle scelte strategiche sulla performance competitiva ed economico-finanziaria?

Cap. 8: Come valutare e scegliere i mercati di sbocco all’estero, almeno sulla base delle informazioni normalmente disponibili gratuitamente? Come stilare una graduatoria di appetibilità dei mercati?

Cap. 9: Come stimare, almeno a grandi linee e senza svenarsi in costose ricerche di mercato (comunque regolarmente “snobbate” dalle aziende), i potenziali di mercato nei Paesi di sbocco?

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Cap. 10: Come stimare l’impatto delle caratteristiche dei Paesi sull’importanza relativa dei fattori di successo competitivo rilevanti per il settore in cui opera l’azienda?

Cap. 11: Come identificare le principali alternative di presenza e sviluppo nel Paese prescelto, e come valutarne vantaggi e svantaggi?

Cap. 12: Come stabilire prezzi di vendita coerenti con le caratteristiche del mercato e del contesto competitivo, e con gli obiettivi dell’azienda?

Cap. 13: Quali alternative di canale distributivo scegliere, e come valutarne l’impatto sulla performance competitiva, le posizioni di mercato e la redditività aziendale?

Cap. 14: In base a quali criteri valutare le diverse opzioni organizzative e le eventuali opportunità di alleanze?

Cap. 15: Come valutare il possibile impatto dei profili delle risorse umane sul livello di efficienza nell’impiego delle risorse? Su quali aspetti intervenire per migliorare i profili professionali dei responsabili dell’attività all’estero?

Cap. 16: Come articolare il sistema informativo aziendale per tenere sotto controllo la performance competitiva ed economico-finanziaria nei diversi settori di attività e sui diversi mercati?

Al fine di una migliore comprensione dei diversi temi, è consigliabile leggere prima di tutto, e in sequenza, i capitoli 1-7: i capitoli successivi, anche se logicamente concatenati, potranno essere consultati in modo selettivo.

L’orientamento alle decisioni di questa prima parte del libro si concretizza, in particolare, nell’utilizzo di “modelli logici” di supporto al processo decisionale, tradotti, ove possibile, in schemi su foglio elettronico dettagliatamente descritti nel testo in modo che possano essere eventualmente riprodotti concretamente dal lettore interessato a utilizzarli.

Come si vedrà (soprattutto nei capitoli 7, 8, 9, 10, 12, 13 e 15), la logica di tali modelli si ispira soprattutto al “judgment”, ossia, in pratica, alla capacità di giudizio, al buon senso e, possibilmente, all’esperienzadi settore e di mercato degli imprenditori e dei manager.

Nella realtà aziendale, particolarmente in quella delle PMI, è infatti molto raro che si possa disporre di dati completi, affidabili e aggiornati sulle caratteristiche dei mercati di interesse, e che, per elaborarli, si possa far ricorso ai modelli quantitativi proposti dalla letteratura manageriale (v. bibliografia).

È quindi necessario ovviare all’assenza di tali dati, come minimo, con idee chiare sui fattori che condizionano il successo aziendale e con ipotesi e stime ragionevoli sul loro comportamentoattuale e futuro.

È proprio questo che intendiamo per “judgment”: i modelli logici servono proprio per rendere sistematici, espliciti e accessibili in qualsiasi momento il know-how e la capacità di giudizio del management, consentendo altresì di identificare i fabbisogni informativi “critici” e, possibilmente, di colmare le principali lacune informative con un minimo di ricerca di mercato!

In conclusione, con questa prima parte del libro ci auguriamo di contribuire a colmare, almeno in parte, il classico (e tristemente noto!), “gap” nella letteratura manageriale e accademica su strategia, marketing strategico e international business:

da una parte, migliaia di testi e riviste pieni di argomentazioni puramente discorsive e descrittive (= bla bla), spesso intelligenti e interessanti, ma raramente orientate al concreto processo decisionale

dall’altra, centinaia di testi e “journal” accademici completamente avulsi dalla pratica della grande maggioranza delle aziende e normalmente infarciti di astruse formule matematiche e statistiche:

o nella migliore delle ipotesi, utilizzabili per elaborare milioni di dati che soltanto le grandi aziende sono in grado di procurarsi, ma totalmente inaccessibili ai comuni mortali

o nella peggiore (e purtroppo più ricorrente), utilizzate per dimostrare allucinanti ovvietà, evidenti a qualsiasi manager con un minimo di buon senso.

Buona lettura!

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2a Parte a cura di Antonio Di Meo

“Opportunità e Rischio dell’internazionalizzazione”

Nell'era della "globalizzazione" e "dell'accesso" ad Internet, le imprese sono chiamate a pensare non più in termini nazionali, ma internazionali e a cercare di sfruttare le nuove allettanti opportunità di business che provengono dai mercati esteri.La realtà internazionale mostra che questo approccio coinvolge tutte le aree economiche del mondo, specie quelle industrializzate; si rendono necessarie, quindi, politiche di marketing e strategie sempre più adeguate per introdursi nei mercati individuati come i più ricettivi per i propri prodotti.

Per affrontare con successo questi limiti, le imprese e gli operatori economici hanno più che mai bisogno di supporti informativi e di servizi tecnici qualificati, orientati all’operatività internazionale tali da consentire il pieno sfruttamento delle opportunità offerte dai processi di integrazione economica.E' evidente, infatti, come l'attività produttiva (industriale, commerciale e di servizi), comporti inevitabilmente l'assunzione di una serie di "rischi" derivanti dalla negoziazione delle merci, che non sono esclusivi del commercio con l'estero, ma sono propri di ogni negoziazione di affari.

RISCHIO NELLA PRATICA AZIENDALE SIGNIFICA LA POSSIBILITÀ CHE SI VERIFICHI UN EVENTO DANNOSO PER L'AZIENDA. EVENTO CHE PUÒ PRECLUDERE IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI PER I QUALI IL SOGGETTO ECONOMICO OPERA SUL MERCATO.

Con questa 2° Parte del volume, il nostro intento è quello di analizzare i "rischi" cui l'operatore va incontro nei suoi rapporti con altri operatori residenti all'estero. Rapporti che nascono in un'area ben definita, identificata con il termine "Mercato", che è il luogo in cui i soggetti economici si incontrano per stringere accordi e concludere operazioni destinate ad originare quei flussi, sia di beni che di servizi o di mezzi finanziari, che ne alimentano l'attività e ne giustificano l'esistenza.

E' in quest'area operativa e di incontro degli operatori che ognuno di essi porta le proprie problematiche interne, che potrebbero essere rappresentate da situazioni aleatorie, cariche di "rischi" per i terzi che entrano in rapporto con loro, e che comportano impegni finanziari sia per chi vende che per chi compra.

Ulteriore obiettivo del capitolo 19 e 20 della 2° Parte è quello di favorire una valutazione attenta dell’impegno finanziario di chi vende, caratterizzato dalla decisione di concedere o meno credito ai propri clienti (se cioè è possibile esporsi, fino a quale importo massimo e per quanto tempo), comporta una serie di problemi che vanno affrontati in un'ottica complessiva e strategica.

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3a Parte a cura di Antonio Di Meo

“Punti di criticità del Management Internazionale”

Le grandi strategie, come le grandi opere d’arte o le grandi scoperte scientifiche, richiedono la padronanza degli aspetti tecnici per la loro realizzazione così come l’efficacia delle azioni commerciali e di marketing non possono prescindere dalla definizione degli aspetti essenziali di una qualsiasi transazione commerciale.

Considerando, invece, che la definizione di un accordo internazionale può rappresentare un elemento strategicamente importante per essere competitivi sui mercati esteri, con questa 3° Parte del volume cercheremo di fornire gli strumenti tecnici essenziali (l’ABC) per impostare e condurre positivamente un contratto con l’estero favorendone una conoscenza delle diverse componenti dello stesso soffermandosi ad esaminare, i termini di consegna della merce, le soluzioni per affrontare i rischi esaminati nel capitolo 18 della 2° parte del volume, gli strumenti di pagamento e gli aspetti connessi al trasporto delle merci convinti, come siamo, che le componenti giuridiche, di pagamento, logistiche, commerciali, la scelta del contratto, la sua struttura, i suoi contenuti, i soggetti da coinvolgere, le consuetudini esistenti, i risvolti commerciali e strategici, l’individuazione degli elementi economici del rapporto che si vuole instaurare, gli scopi che le parti si prefiggono, i paesi con i quali si intraprende una transazione commerciale incidono in maniera rilevante sulla corretta impostazione della clausola finanziaria nelle transazioni commerciali con un paese estero.

Gli aspetti contrattualistici e giuridici che saranno esaminati dal capitolo 23 al 31, rivestono, in tale ambito, un’importanza rilevante per il buon esito di un accordo commerciale e meritano, pertanto, di essere affrontati almeno fin dal nascere di una trattativa commerciale ponendo attenzione alle singole fasi del rapporto che si intende instaurare (dalla richiesta, ad esempio, di invio di una offerta fino all’incasso del prezzo).

Proprio per questo aspetto viene, invece, spesse volte sottovalutato dagli operatori economici al momento della conclusione di una trattativa, con la conseguenza che, il più delle volte, è la controparte straniera a disciplinare lo stesso nel modo a lei più favorevole, definendo elementi rilevanti della transazione ci proponiamo l’obiettivo di favorire delle “attenzioni” da adottare nella negoziazione di un accordo commerciale con l’estero.

Con i capitoli che vanno, invece, dal 32 al 41, riguardanti gli Aspetti finanziari e creditizi ci proponiamo, invece, di favorire la conoscenza delle tecniche, delle caratteristiche, dei meccanismi, dei vantaggi e degli svantaggi delle singole forme di pagamento in uso nel commercio internazionale, lasciando alle spalle la cultura tradizionale radicata nella pratica di tutti i giorni, per incontrare un modo dove acquisirai gli “attrezzi” del mestiere relativi agli strumenti di pagamento e alle soluzioni finanziarie per coprirsi dal rischio di credito, indispensabili per competere con successo sui mercati esteri.

Ci auguriamo che potrai scoprire un mondo affascinante di concetti e conoscenze applicative che consentono di dare efficacia agli accordi commerciali con controparti estere e che ti aiuterà a capire che l’efficacia delle azioni commerciali e di marketing non possono prescindere dalla definizione degli aspetti legati alla sicurezza del pagamento.

Considerando che il trasporto delle merci da sempre fotografa lo stato di salute di un paese e che lo sviluppo e l’incremento dei traffici da un paese all’altro, l’allargamento degli spazi geografici, l’abbattimento delle distanze, l’internazionalizzazione dei mercati non avrebbero potuto esserci senza l’evoluzione dello stesso, che ha mutato l’assetto e i connotati del commercio internazionale sia in termini quantitativi che qualitativi, cercheremo di sviluppare i capitoli 42 e 43 sugli Aspetti logistici e trasporto, offrendo le conoscenze di base e le tecniche per aumentare la capacità di condurre una trattativa commerciale, tenendo conto dei vari aspetti relativi al trasporto internazionale, alle sue interconnessioni con le diverse funzioni aziendali e alle implicazioni con le altre clausole del contratto di compravendita, in modo da favorirne una gestione ottimale e salvaguardare la redditività della transazione commerciale.

Con il capitolo 44, dedicato ai termini di consegna delle merci, si vuole favorire la conoscenza dei singoli termini, di Incoterms le interconnessioni che gli stessi hanno con la fissazione del prezzo e della condizione di pagamento e l’individuazione, in un’ottica pratico operativa, degli aspetti di criticità per una applicazione degli stessi senza errori.

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Non poteva mancare un aspetto di fondamentale importanza, connesso soprattutto al Capitolo 31 sui contratti di Joint Venture, che riguarda gli aspetti agevolativi di sostegno all’internazionalizzazione ed il Business Plan.

Obiettivo del capitolo 45 è quello di offrire un panorama degli strumenti di agevolazione finanziaria a disposizione delle imprese italiane fornendo una semplice “intelaiatura” per la preparazione di un “Business plan” (vedasi capitolo 46) non solo finalizzato all’ottenimento di un finanziamento, ma come strumento utile per sviluppare e governare qualsiasi processo di investimento all’estero.

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4a Parte a cura di Laura Carola Beretta

“Individuazione e Gestione dei Costi nelle Operazioni Doganali: Competitività a Rischio? ”

L’apertura dei mercati implica opportunità e costi. Un’impresa può utilizzare manodopera qualificata a costi più contenuti e può contare su nuovi mercati per vendere i propri prodotti. Deve però, allo stesso tempo, fare i conti con la pressione competitiva dei Paesi emergenti e con uno scenario politico – economico caratterizzato da relazioni internazionali in continua evoluzione. Le norme e procedure doganali sono, in gran parte, determinate a riflesso degli indirizzi della politica commerciale, determinata, a sua volta in relazione all’andamento dei rapporti economici internazionali. Pertanto, come conseguenza dell’apertura dei mercati, e dell’intensificarsi della corsa competitiva la disciplina doganale si caratterizza in termini di maggiore complessità e di continua evoluzione.

L’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’eliminazione delle quote all’importazione di prodotti tessili, il proliferare di accordi di libero scambio, l’imposizione di norme tecniche sempre più “esigenti” che condizionano l’importazione ed il commercio di prodotti sia industriali sia alimentari, il ricorso a misure di politica commerciale difensive quali dazi antidumping e salvaguardie commerciali implicano la necessità di un approccio strategicamente mirato ad applicare la disciplina doganale in chiave di supporto alla competitività aziendale. Il capitolo 47 stimola una riflessione sugli aspetti principali responsabili del cambiamento del contesto commerciale internazionale.

I capitoli da 48 a 50 illustrano i principali costi che si frappongono alle operazioni di import export, ponendo, in primo luogo, in evidenza come i dazi doganali all’importazione siano elevati costituendo un ostacolo importante all’accesso ai mercati della maggior parte dei Paesi. Viene in secondo luogo descritta l’ampia gamma di strumenti di difesa commerciale utilizzati in alternativa ai dazi doganali “classici”.

Il capitolo 51 definisce l’indicazione di origine “Made in…”, analizzando lo stato dell’arte della disciplina applicabile a livello italiano, europeo e multilaterale, senza perdere l’occasione di proporre i cambiamenti necessari ed urgenti che andrebbero apportati alla disciplina italiana.

I capitoli 52 e 53, anticipano le conclusioni, spiegando l’importanza degli accordi commerciali preferenziali e delle regole di origine, strumenti per eccellenza di accesso competitivo ai mercati.

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Profilo autoriLaura Carola Beretta E’ socio fondatore di Intrade Consultants, Milano, una società di consulenza che opera a livello italiano ed internazionale, annoverando tra i propri clienti associazioni di categoria, gruppi multinazionali, piccole e medie imprese. E’ professore a contratto di International Trade Law presso l’Università Bocconi di Milano. Presso la stessa università ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in diritto Internazionale dell’Economia. Svolge inoltre formazione post-graduate e aziendale in qualità di docente di diritto del commercio internazionale e management doganale della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi.E’ incaricata della consulenza tecnico-giuridica per il ministero peruviano del commercio internazionale (Ministerio de Comercio Exterior y Turismo – MINCETUR), per conto del quale fa formazione alle camere di commercio ed associazioni di categoria sparse nel territorio peruviano in materia di compliance doganale, regole di origine e indicazione di origine. Ha fatto formazione in materia di antidumping, sussidi, indicazioni geografiche e regole di origine ai negoziatori del Guatemala, Paese che, insieme agli altri Stati centroamericani, sta negoziando una zona di libero scambio con l’Unione europea. Tiene seminari di formazione e aggiornamento per le autorità doganali degli stati balcanici per conto della DG Allargamento della Commissione europea. E’ autrice di numerose pubblicazioni, anche di rilievo internazionale, di cui 15 relative alle regole di origine e all’indicazione di origine “Made in…”. Partecipa in qualità di relatore a diversi convegni sia in Italia che all’estero. Lavora e pubblica in inglese e in spagnolo, oltre che in italiano.

Antonio Di Meo Titolare dello Studio DI MEO, è consulente in regolamenti internazionali per imprese industriali ed istituti di credito, per Assoservizi - Azienda speciale di Assolombarda di Milano, Confindustria di Bergamo, Brescia, Rovigo e Treviso, del Centro estero delle CCIAA del Veneto e dell'Unioncamere dell'Emilia Romagna. Collabora con la sezione italiana della Camera di Commercio Internazionale di Parigi ed è socio di Credimpex Italia (Associazione che riunisce gli esperti sui crediti documentari).

Professore a contratto presso la Facoltà di Economia dell'Università di Macerata, ha già ricoperto lo stesso ruolo all’Università di Verona. Docente in master organizzati dai più prestigiosi centri di formazione manageriale italiani tra cui ICE - Istituto nazionale per il Commercio Estero, SDA Bocconi, Il Sole 24 Ore, IPSOA, CUOA, al MASCI dell’Università di Padova, al MIB di Trieste e al LogiMaster dell’Università di Verona. È referente scientifico dell’area “Tecniche del commercio internazionale” nel Master Cor.CE dell’ICE, già referente scientifico del corso Certificazione Specialisti Estero di UniCredit Corporate Banking. Svolge attività di formazione presso ABI - Associazione Bancaria Italiana, Camere di Commercio, Associazioni Industriali, Federazione delle Banche di Credito Cooperativo (BCC) Veneta e Lombarda e direttamente presso Imprese industriali ed Istituti di credito.

Laureatosi in Scienze Politiche ad indirizzo economico presso l'Università di Padova, ha conseguito il diploma in Marketing Internazionale "Made in Italy" presso SDA Bocconi di Milano, iniziando la sua esperienza professionale presso l'ufficio estero della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

Giornalista pubblicista e autore di pubblicazioni specialistiche in materia di pagamenti internazionali e crediti documentari edite da Ipsoa e Maggioli.

Giorgio Gandellini Professore a contratto di Strategia Aziendale all’Università di Roma Tre (dal 2006), docente di Marketing Internazionale nel Master “COR.C.E” dell’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (dal 1993) e nel Master in International Business della MIB School of Management di Trieste (dal 2002). È stato docente di Marketing Internazionale (8 anni) ed Economia Internazionale (2 anni) all’Università di Macerata e in altri programmi Master (Università di Padova e Macerata, ESCP, IFOA, IPSOA). È stato inoltre Visiting Professor di International Business e Marketing all’Institut de Formation Internationale di Rouen (8 anni) e nel programma Master del Monterey Institute of International Studies in California (4 anni). Ha una lunga esperienza di gestione accademica di programmi Master in modalità e-learning, e svolge attività di ricerca in questa area presso la Grenoble School of Management e la Newcastle University. Laureato in Legge a Milano, ha conseguito un Certificat en Économie de l’Entreprise alla Sorbona e un MBA alla Columbia University di New York. Senior Partner di Nestplan Europe e Senior Vice President di EMCG(Londra e New York), ha svolto e svolge attività di consulenza e formazione manageriale per importanti enti pubblici e aziende multinazionali, in Italia e all’estero, nelle aree della pianificazione e del marketing

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strategico e internazionale. Qualified Speaker su Blue Ocean Strategy (INSEAD, Fontainebleau), è autore o coautore di varie pubblicazioni, business game, modelli e strumenti software di supporto alle decisioni (indirizzati particolarmente a PMI esportatrici), pacchetti multimediali e testi di marketing, fra cui Il Nuovo Marketing Strategico (6a edizione), Franco Angeli, 2005, Marketing Internazionale (multimediale introduttivo al tema), IFOA, 1997 e 2001, Export Game (pacchetto informativo e promozionale sui servizi all’esportazione), ICE, 2002, ed “Ex4Ex” (Export for Experts, business game interattivo di strategie d’esportazione), ICE, 2002.

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1a Parte

MANAGEMENT E PIANIFICAZIONESTRATEGICA PER

L'INTERNAZIONALIZZAZIONE

Giorgio Gandellini

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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1. I princîpi essenziali e le logiche della pianificazione1

I princîpi essenziali cui si ispira questa parte del libro

È utile richiamare brevemente due fondamentali aspetti della vita aziendale, sia che l’azienda operi soltanto sul mercato domestico, sia che essa intenda espandersi o sia già presente all’estero.

Tali aspetti dovrebbero essere ben noti a tutti, ma spesso vengono grossolanamente sottovalutati nella pratica aziendale (ci riferiamo ovviamente a contesti orientati al profitto, ma molte delle conclusioni che trarremo possono facilmente essere estrapolate a settori non-profit):

dovrebbe essere chiaro a chiunque che l’unica vera fonte della prosperità aziendale è rappresentata dal mercato: se nessuno comprasse i nostri prodotti o servizi, i finanziatori (noi stessi come imprenditori e/o gli istituti di credito) se ne guarderebbero bene dal fornirci le risorse indispensabili per operare

i ricavi ottenuti vendendo sul mercato devono inoltre consentirci di coprire abbondantemente i costi sostenuti, creando profitto: senza profitti, prima o poi si chiude.

Tutto ciò sembra ovvio, ma forse non si è sufficientemente consapevoli delle implicazioni di tali concetti dal punto di vista degli atteggiamenti mentali che dovrebbero conseguirne e dei relativi comportamenti:

la chiave della strategia aziendale è l’orientamento al mercato: senza un’adeguata attività di marketing che consenta di acquisire posizioni di mercato significative e redditizie, ossia senza sfruttare adeguatamente la fonte di finanziamento sopra indicata, non saremo mai in grado di alimentare il funzionamento delle altre aree di attività aziendale (produzione, logistica, finanza, risorse umane)

il marketing, correttamente e sinteticamente inteso come “profitable customer satisfaction”(creazione di profitto attraverso la soddisfazione del mercato), dovrebbe quindi ispirare le principali decisioni strategiche aziendali ed essere al cuore di qualsiasi progetto di sviluppo (e non, quindi, essere considerato alla stregua di altre funzioni aziendali o, peggio ancora, limitato alla gestione di uno o più strumenti quali la pubblicità e le vendite)

è infine evidente lo stretto collegamento fra decisioni strategiche, posizioni di mercato e redditività, e quindi quanto sia importante che i responsabili della strategia aziendale (normalmente gli stessi imprenditori, ma anche coloro che contribuiscono alle principali scelte strategiche) dispongano degli strumenti conoscitivi necessari per prendere le decisioni, sia sul fronte del mercato che su quello del profilo economico dell’attività.

Se quindi è vero che il principale obiettivo da raggiungere è una posizione di mercato che ci consenta di generare profitto, qualsiasi persona di buon senso si dovrebbe porre, come minimo, il problema della misurazione del suo raggiungimento e, quindi, dell’individuazione di “indicatori” che consentano non soltanto di definire in modo concreto e operativo l’obiettivo, ma anche di verificare in quale misura l’organizzazione aziendale è in grado di raggiungerlo.

Gli indicatori sintetici che suggeriamo di utilizzare, almeno in questa parte introduttiva, sono i seguenti:

per quanto riguarda la redditività, il margine di contribuzione, semplicemente definito come differenza fra ricavi e costi direttamente e non equivocamente riferibili a una qualsiasi attività, entità o decisione aziendale (unità di prodotto, linee di prodotto, gruppi di clienti, mercati geografici, funzioni e responsabili di specifiche attività, specifici piani strategici, ecc.)2;

per quanto riguarda invece la soddisfazione del consumatore e la posizione di mercato, la quota di mercato, definita come porzione (generalmente espressa in percentuale) del fabbisogno del

1 Questo capitolo è in buona parte adattato e integrato da “Il Nuovo Marketing Strategico”, di G. Gandellini, S. Garroni e A. Pace (Franco Angeli, 1998–2005).2 Vi sono naturalmente altri indicatori di redditività particolarmente significativi (in quanto rapportati all’entità dellerisorse impiegate per produrre il reddito) quali il cosiddetto “ritorno sull’investimento”. Non solo: qui il margine di contribuzione andrebbe inteso in senso lato, comprendendone anche l’accezione finanziaria di flusso di cassa positivo (se infatti, entro un dato intervallo temporale, i ricavi non si materializzano ma si materializzano soltanto i costi, l’azienda rischia evidentemente di fallire). Per ora accontentiamoci comunque degli indicatori più semplici, tradizionalmente riferiti al solo conto economico aziendale.

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consumatore (e, per esteso, del mercato) soddisfatta dalla nostra azienda, con riferimento a un ben specifico settore di attività e a un dato intervallo temporale.

A proposito di redditività, noterete che non abbiamo parlato di “profitto”, ma di “margine di contribuzione”:

il profitto è il risultato di tutte le attività aziendali, e si materializza soltanto dopo aver coperto, grazie alla somma dei margini di contribuzione prodotti dalle singole attività, i costi di cui esse non sono direttamente responsabili (ad esempio, la remunerazione dell’imprenditore e del top management, le spese generali, ecc.)

se vogliamo capire veramente “da dove arrivano i soldi”, ossia da cosa viene generata la redditività, dobbiamo riferirci alle sue “cause prime” ed elementari, che non sono altro che le transazioni di mercato in specifici contesti, indirizzate a specifici clienti attraverso l’offerta di specifici prodotti e/o servizi: sono queste transazioni che producono ricavi e costi “direttamente” a esse imputabili e, quindi, i cosiddetti margini di contribuzione.

A proposito di quota di mercato, noteremo che:

questo indicatore della nostra capacità di competere è importante anche per le piccole e medie imprese (PMI), purché il mercato in cui esse competono sia correttamente definito e delimitato (il cosiddetto mercato “pertinente” o raggiungibile)

sarebbe infatti assurdo misurare la quota, ossia la capacità dell’azienda di competere, con riferimento a un mercato (definito, per esempio, in termini geografici, come spesso accade nel contesto dell’attività internazionale) che l’azienda, anche se eventualmente di notevoli dimensioni sul mercato domestico, non è “fisicamente” in grado di raggiungere 3.

Data quindi l’ovvia importanza di questi indicatori, cercheremo ora di descrivere sinteticamente il tipo di collegamento che li lega e, attraverso tale descrizione, di identificare le concrete fasi di lavoro che è importante mettere in atto per gestirne correttamente l’interrelazione.

Commentiamo brevemente, partendo dalla parte superiore della figura che segue, i collegamenti concettuali fra i principali fattori che condizionano la performance competitiva e la redditività dell’azienda.

Fig. 1.1 - Il “motore” del successo competitivo dell’azienda.

decisioni strategiche

relazioni diretterelazioni inverse

marginimargini ricavi=

mercato

volumi

x quota dimercatoquota dimercato

x prezzo

pcpV

Profilo CompetitivoPercepito in termini diValore(= performanceaziendale sui criteri discelta adottati dalmercato o “Fattori diSuccesso” in sensostretto - KSFs)

costicostiAREA DI

VISIBILITA’

Adattato da Gandellini, Garroni e Pace.

decisioni strategiche

relazioni diretterelazioni inverse

marginimargini ricavi=

mercato

volumi

x quota dimercatoquota dimercato

x prezzo

pcpV

Profilo CompetitivoPercepito in termini diValore(= performanceaziendale sui criteri discelta adottati dalmercato o “Fattori diSuccesso” in sensostretto - KSFs)

costicostiAREA DI

VISIBILITA’

Adattato da Gandellini, Garroni e Pace.

3 Un indicatore totalmente diverso è il rapporto fra il mercato che l’azienda è “in grado” di raggiungere (“mercato pertinente”) e il mercato che “potrebbe” raggiungere (il cosiddetto “mercato effettivo”, un sottoinsieme dei cosiddetti “mercato teorico” e “mercato disponibile”, normalmente definiti in base a criteri geografici) grazie a una struttura commerciale più consistente: questo indicatore, che è a maggior ragione significativo nell’attività internazionale, misura soltanto la dimensione relativa dell’azienda, non certo la sua capacità di soddisfare il mercato meglio dei concorrenti.

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Innanzitutto vediamo che, come da definizione, il margine di contribuzione è condizionato da ricavi e costi (come detto sopra, direttamente riferibili all’attività di cui vogliamo valutare il contributo). Sempre per definizione, i ricavi sono il prodotto del prezzo unitario di vendita per le quantità vendute. A loro volta, le quantità vendute, ancora per definizione, sono il prodotto della dimensione del mercato per la percentuale di quota di mercato dell’azienda.

Sin qui pare tutto ovvio: in particolare, sembra evidente il collegamento diretto fra quota di mercato e profitto, almeno a parità di altre condizioni. Se tuttavia desideriamo “chiudere il cerchio”, dobbiamo considerare, nella parte destra della figura, i fattori e le relazioni che condizionano lo sviluppo della quota di mercato.

A nostro parere, semplificando al massimo, il fattore principale è quello che potremmo sinteticamente chiamare “profilo competitivo percepito in termini di valore” (pcpV), ossia l’insieme delle caratteristiche che conferiscono valore alla nostra offerta agli occhi del cliente, in rapporto alle caratteristiche delle offerte concorrenti ossia, in pratica, il “valore relativo” della nostra offerta percepito dal mercato: il rapporto fra tale valore percepito e il prezzo da pagare4, confrontato a rapporti analoghi proposti dai concorrenti più significativi, determinerà la scelta in favore o meno della nostra azienda.

In particolare, il realizzarsi della scelta del consumatore a nostro favore è un vero e proprio fenomeno “fisico”, ossia la concretizzazione, in un modo o nell’altro, dell’atto di acquisto.

Infine, il cerchio si chiude collegando al profilo competitivo5 il fattore principale che lo condiziona, sinteticamente descritto in termini di costi. Ossia, tutti i costi e gli investimenti che l’azienda deve sostenere per migliorare il proprio profilo: dalla ricerca e sviluppo alle materie prime e agli impianti produttivi, dalla forza vendita alla pubblicità, dalla logistica ai canali distributivi e all’assistenza tecnica, ecc.

Inutile dire che questo “pcpV” e il suo collegamento con il prezzo e con la quota di mercato non sono altrettanto facilmente identificabili e misurabili o stimabili come lo sono tutte le altre variabili e relazioni descritte in fig. 1.1: se lo fossero, tutti sarebbero capaci di prendere ottime decisioni strategiche e non vi sarebbe bisogno di libri come questo.

D’altra parte, la fig. 1.1 suggerisce a nostro parere le seguenti considerazioni:

vi è una forte integrazione fra variabili di mercato e aspetti economico-finanziari: se da un lato questi sono sicuramente - e fortemente - influenzati da quelle, dall’altro la disponibilità di risorse finanziarie (in gran parte create, per l’appunto, dall’interazione con il mercato) è alla base della possibilità di continuare ad agire sul mercato stesso; c’è quindi da chiedersi come un vero “responsabile” aziendale possa esimersi dal comprendere a fondo e tenere sotto controllo le variabili economico-finanziarie, e c’è anche da chiedersi come mai la grande maggioranza dei libri di marketing e strategia dedichi a tale tema uno spazio estremamente marginale;

la produzione di ricchezza è un problema di equilibrio o, meglio, di compromesso fra obiettivi talvolta incompatibili: se è vero che la redditività è positivamente influenzata dalla quota di mercato (a parità di altre condizioni), è altrettanto vero che oltre un certo limite l’acquisizione di ulteriore quota potrebbe richiedere investimenti marginali (e/o riduzioni di prezzo) più che proporzionali e quindi deprimere la redditività; ciò è vero soprattutto in settori maturi e fortemente competitivi, in cui l’acquisizione di punti aggiuntivi di quota da parte di un’azienda comporta inevitabilmente una perdita di vendite per i concorrenti, con le conseguenti probabili reazioni in termini di guerre di prezzo e diminuzione di margini per tutti;

in sostanza, è impossibile massimizzare redditività e quota allo stesso tempo, né si vuol dire che si debbano perseguire per forza quote di mercato elevate: l’importante è che vi sia un buon equilibrio fra posizioni di mercato, investimenti necessari per ottenerle e mantenerle, e redditività che tali posizioni sono in grado di generare;

tutte le variabili identificate, eccettuato il famigerato “pcpV”, sono immediatamente traducibili e misurabili in termini numerici: a parte il fatto che anche il “pcpV” può essere tradotto in indici

4 Si noti anche il collegamento diretto e positivo fra prezzo e valore: in assenza di altre informazioni per il consumatore, spesso un prezzo elevato può condizionare positivamente il valore percepito e, quindi, non ridurre necessariamente la propensione all’acquisto.5 Per semplicità, non inseriamo in figura i fattori che condizionano l’evoluzione della domanda di mercato, in larga maggioranza esogeni e al di fuori del controllo dell’azienda.

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numerici6, è evidente che la prosperità dell’azienda dipende direttamente dal comportamento di fattori quantitativi; anche a questo proposito, c’è da chiedersi come mai la tradizionale letteratura strategica e di marketing concentri la propria attenzione quasi esclusivamente sugli aspetti qualitativi e discorsivi della materia, senza preoccuparsi di fornire strumenti concettuali e metodologici per interpretare e tradurre tali aspetti in termini di risultati concretamente misurabili o stimabili;

la retta tratteggiata che attraversa la figura separa nettamente quella che noi chiamiamo l’area di visibilità (la “punta dell’iceberg”, ossia le variabili normalmente contabilizzate nel sistema informativo aziendale) dall’area sottostante (l’iceberg vero e proprio, molto più grande e complesso) che è invece, normalmente e soprattutto nelle piccole e medie imprese, al di fuori del consapevole ed esplicito controllo aziendale: peccato che sia proprio quest’ultima area che condiziona il comportamento della prima e che, essendo in grado di vedere soltanto la punta dell’iceberg, l’azienda rischi di andare a sbattere contro la parte sommersa!

Un’ultima considerazione, non altrettanto evidente dall’esame della fig. 1.1, si richiama a quanto detto sopra riguardo alla variabile “costi”, che sintetizza l’entità delle risorse aziendali impiegate per migliorare il profilo competitivo e quindi la posizione di mercato: è chiaro che tali risorse, purché utili ai fini del raggiungimento dell’obiettivo, possono essere di qualsiasi tipo, anche al di fuori delle aree tradizionalmente riconosciute “di competenza” del marketing.

Se si è d’accordo sulla definizione di marketing da noi proposta, apparirà ovvia la necessità di forte integrazione e bilanciamento di tutte le risorse e di tutti gli strumenti aziendali ai fini del successo sul mercato, e apparirà quindi altrettanto ovvia la conclusione che il titolare dell’impresa, ossia chi ha l’ultima parola sull’impiego delle risorse, dovrebbe esserne anche il primo vero “responsabile di marketing”7.

6 Questa traduzione del “pcpV” in indici numerici sarà, come vedremo, alla base della nostra modellizzazione del comportamento strategico dell’azienda e del mercato (capitolo 7).7 V. anche quanto diremo nel capitolo 5.

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Le implicazioni pratiche dei principi sopra descritti: principali fasi del processo di pianificazione

In attesa di ritornare su alcune delle considerazioni di cui sopra nel seguito di questa parte, riteniamo per ora possa essere difficilmente contestata la sensatezza dell’estrema sintesi del funzionamento del “motore” del successo aziendale rappresentata nella fig. 1.1 e la sua rispondenza alla realtà (non dimentichiamo che il marketing e la strategia sono soprattutto buon senso!). E se questa è la realtà (sia pure estremamente semplificata), non ci resta che tentare di influenzarne il più possibile il comportamento a nostro favore, sforzandoci quindi di tenere il “motore” sotto controllo attraverso la nostra attività operativa.

Dall’analisi della fig. 1.1 e delle variabili che vi compaiono derivano le principali domande che dovremo porci per pianificarne correttamente la gestione. A ognuna di esse corrisponderà quindi un’importante fase del processo di pianificazione.

Le domande (e le relative fasi di lavoro) sono raggruppabili nelle tre principali categorie qui sotto elencate.

I. Di che cosa si sta parlando? (Fase di definizione del settore di attività, dell’analisi e della scelta degli eventuali segmenti prodotto/mercato, nonché della definizione del relativo sistema informativo).

Questa è la domanda fondamentale, anzi, potremmo dire che è “la” domanda per eccellenza, cui è spesso difficile rispondere in modo corretto e che viene spesso elusa dando implicitamente per scontato che si sappia come rispondervi (il che è normalmente falso!).

L’obiettivo della domanda è quello di definire nel modo più preciso possibile l’ambito di riferimento entro cui le relazioni descritte dalla Fig. 1.1 sopra vista possono aver senso, vale a dire il cosiddetto “contesto prodotto/mercato” o, ancora, il tipo di “domanda di mercato” cui ci si rivolge e i confini del “campo di battaglia” in cui ci si dovrà (o potrà, nel caso di business completamente nuovi) misurare con la concorrenza8.

Se l’ambito o il contesto prodotto/mercato di riferimento non sono abbastanza omogenei perché l’atto di acquisto a nostro favore si verifichi al confronto fra offerte più o meno comparabili da parte del consumatore e/o perché possa essere concepita una strategia d’attacco sufficientemente mirata, sarà probabilmente necessario identificare e distinguere contesti diversi e tentare di rispondere alle domande che seguono per ognuno di essi.

II. Come va gestito ogni singolo business? (Fase di gestione strategica mono-business).

Questa fase, che si occupa di far funzionare correttamente i diversi “motori” della prosperità aziendale e che va ovviamente ripetuta tante volte quanti sono i settori significativi in cui opera l’azienda, si articola in tre sotto-fasi rispettivamente corrispondenti, grosso modo, alle attività di analisi, presa di decisione (strategica e organizzativa) e stima/controllo dei risultati.

Come sopra anticipato, non dimentichiamo comunque, checché ne dicano gli esperti di pianificazione (che dedicano gran parte della loro attenzione all’analisi dei cosiddetti modelli di “portafoglio” di business), che la prosperità di qualsiasi azienda deriva dalla sua abilità di acquisire posizioni di mercato remunerative, e che le posizioni di mercato si acquisiscono a livello di singolo business (ossia, di singolo “motore”): al consumatore, quando è in procinto di scegliere fra noi e un fornitore alternativo, non potrebbe interessare di meno la nostra eventuale posizione competitiva in altri settori, a meno che tale posizione non contribuisca a condizionare il nostro profilo competitivo percepito nel settore specifico di suo interesse.

Per questo motivo, le sotto-fasi di lavoro qui sotto sintetizzate sono quelle cui vale comunque la pena di dedicare una particolare attenzione.

In breve, le sotto-fasi rispondono alle domande che seguono:

II.a Quanto è appetibile la torta? (Fase di valutazione del mercato – sia esso in Italia o all’estero – e di definizione del relativo marketing information system).

8 Nel caso di nuovi business che rispondono a bisogni precedentemente non soddisfatti, vi sarà comunque un confronto fra alternative da parte del consumatore: l’alternativa estrema, anche in assenza di offerte comparabili, sarà quella di non comprare affatto il nostro prodotto, di rimandarne l’acquisto o di ripiegare su offerte più tradizionali. In questo caso si avrebbe, di fatto, una concorrenza fra business (v., in particolare, il capitolo sulla gestione strategica multicountry e multibusiness), a livello di domanda primaria.

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Una volta circoscritto l’ambito di riferimento e scelti i segmenti di interesse, sarà importante capire quali sono, nei segmenti prescelti, le dimensioni e il prevedibile comportamento del mercato, ossia quanto è interessante la variabile in basso a sinistra della fig. 1.1: quanti sono i potenziali utilizzatori, quanto è probabile che consumino e per quali motivi, in base a quali criteri è probabile che scelgano - ove possibile - fra fornitori concorrenti?

Si vede subito quanto sia importante rispondere a tali quesiti, se si desidera conquistare una posizione di mercato non marginale. Si può anche immaginare quanto sia difficile rispondere se l’ambito (il contesto prodotto/mercato) di riferimento non è stato correttamente definito e/o è troppo disomogeneo: se questa ipotesi si rivelasse vera, sarebbe necessario rivedere la “risposta” alla domanda precedente.

Non solo: nel caso di prodotti che richiedono o che potrebbero richiedere l’intervento di intermediari commerciali sarà necessario cimentarsi in un esercizio analogo a quello visto sopra con riferimento al mercato finale: quali e quanti sono i potenziali distributori, quanto è probabile che acquistino e per quali motivi, in base a quali criteri è probabile che scelgano - ove possibile -fra fornitori concorrenti?

II.b Quale fetta di torta saremo in grado di acquisire? (Fase di definizione della strategia e dell’assetto organizzativo, conseguente stima della quota di mercato ottenibile).

Anche qui (oltre che più sopra, con riferimento alle domande precedenti), di solito, casca l’asino, nel senso che le aziende normalmente fissano degli obiettivi (se e quando li fissano) esclusivamente in termini di vendite, trascurando il piccolo particolare che le vendite dipendono dall’esistenza di una domanda di mercato e che tale domanda potrebbe essere soddisfatta anche da altri fornitori in concorrenza.

La stima dell’evoluzione del settore (vedi il punto precedente) e/o la stima dell’evoluzione della propria quota ove esistano fornitori concorrenti, richiedono una precisa definizione delle proprie strategie e delle scelte organizzative che ne derivano (quali risorse impiegare, in quale misura, con quale grado di bilanciamento, su quale orizzonte temporale, ecc.) e una valutazione approfondita del quadro competitivo presente e futuro (quali e quanti concorrenti, quali strategie e quali comportamenti adottano, quali risultati possono attendersi, ecc.).

In sostanza, qui si tratta di stimare e sforzarsi di controllare la relazione fra le variabili “profilo competitivo percepito”, “prezzo”, “costi” e “quota di mercato” descritta nella fig. 1.1.

II.c Quanto ci costerà la fetta di torta e, d’altro canto, quanta ricchezza sarà in grado di produrre? (Fase delle proiezioni economico-finanziarie).

In funzione delle scelte e delle valutazioni di cui sopra, potranno essere definite stime più precise di costi e ricavi (e quindi di margini di contribuzione), effettuate le proiezioni dei flussi di cassa eidentificate le necessità di finanziamento.

Questa è la parte dell’attività di pianificazione concettualmente più facile, anche perché dipende direttamente dalle altre. Inoltre, dato il suo carattere tipicamente quantitativo e contabile, è la parte che meglio si presta alla automatizzazione via computer.

Proprio per le sue caratteristiche di relativa banalità concettuale e di facilità di automatizzazione (per non parlare del fatto che la cultura contabile è molto più diffusa di quanto non lo sia quella strategico-organizzativa), il capitolo sulle proiezioni economico-finanziarie è spesso, di fatto, l’unica vera componente del piano aziendale o di marketing, quando esiste un cosiddetto “piano”: peccato che, in tal caso, non vengano esplicitate le ipotesi strategiche e organizzative alla base delle proiezioni, e che quindi non si tratti di un vero e proprio piano con le logiche e i vantaggi di cui parleremo più oltre.

III. Come vanno gestite le (eventuali) diverse torte (e fette)? (Fase di gestione del portafoglio di business).

Se il “business” (o “area d’affari”, o settore di riferimento, o segmento prodotto-mercato) in cui opera l’azienda è sufficientemente omogeneo e può essere trattato come un’unica entità ai fini della comprensione delle relazioni descritte in fig. 1.1, questa domanda non avrà ragione di essere.

Altrimenti – il che è una situazione molto più frequente – sarà necessario replicare il “motore” della figura tante volte quanti sono i settori o segmenti particolarmente significativi di riferimento (e quindi,

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come detto, ripetere altrettante volte la fase di lavoro descritta al punto precedente) indicando, in questa terza fase, in base a quali criteri i vari tipi di risorse (finanziarie, tecnologiche, umane, organizzative) verranno assegnati ai diversi business: in base alla dimensione degli stessi business, agli obiettivi complessivi dell’azienda, ai tassi di crescita dei mercati, ai fattori di successo competitivo nei diversi mercati e all’efficacia relativa degli strumenti strategici, al profilo competitivo dell’azienda e ai suoi punti di forza e debolezza o a tutti questi aspetti insieme?

Due concetti “chiave”

Prima di discutere i principali motivi per cui si dovrebbe pianificare... e quelli per cui, di fatto, non si pianifica, è importante integrare quanto detto sopra a proposito della necessità di bilanciare adeguatamente la posizione di mercato (quota) con l’entità degli investimenti necessari per mantenerla e migliorarla, nonché con la redditività generata da tale posizione.

La tipica relazione fra investimenti (nel nostro caso, soprattutto investimenti di marketing) e risultati di mercato (quota) è rappresentabile dalla seguente figura:

Fig. 1.2 – La “curva a S”

risultatispecifici

(ad es., quotadi mercato)

massa critica(o “soglia”)

investimentispecifici

(ad es., investimenti dimarketing)

tetto

Questa curva, chiamata anche “curva logistica”, descrive la relazione funzionale fra investimenti in specifiche risorse e specifici risultati ottenibili con tali investimenti, un concetto essenziale nella pianificazione strategica, che può essere applicato a qualsiasi tipo di risorsa in grado di produrre risultati (ad esempio: “esposizione” ai messaggi aziendali prodotta dagli investimenti pubblicitari, ordini generati dalla forza vendita, incrementi di qualità consentiti dalla ricerca e sviluppo, ecc.):

fino a un determinato “livello minimo” di investimento (normalmente chiamato “soglia” o “massa critica”), l’effetto dell’investimento non mostra incrementi significativi e, quindi, l’azienda non ottiene risultati “visibili” e accettabili

oltre questo livello, i risultati crescono a un tasso esponenziale, fino a un certo punto (un livello diinvestimento ragionevolmente ritenuto “massimo”), chiamato “tetto”

oltre questo tetto, i risultati possono continuare a migliorare, ma a un tasso decrescente, e quindi investimenti aggiuntivi non sono particolarmente redditizi.

Ovviamente, la “massa critica” necessaria per competere, e le corrispondenti ampiezza e forma della curva a S, variano notevolmente in funzione del settore specifico considerato e del contesto competitivo e di mercato.

Un altro concetto importante, spesso grandemente sottovalutato nella pratica aziendale, è quello di “costo opportunità”.

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Il modello descritto nella figura 1.1, che sintetizza una determinata strategia in un dato contesto di business (investimenti e livello di prezzo), può prendere in esplicita considerazione i cosiddetti “costi vivi” (fissi, variabili, diretti e indiretti): tuttavia, nella vita reale è importante confrontare diverse strategie alternative, al fine di stimare i costi opportunità, ossia i benefici potenziali cui si rinuncia perseguendone una a scapito delle altre.

Raramente i manager confrontano in modo consapevole ed esplicito strategie alternative, sottovalutando totalmente il rischio di utilizzare risorse scarse (per definizione) in una data direzione, senza considerare usi alternativi, e potenzialmente più promettenti, delle stesse risorse.

Come vedremo, il confronto esplicito fra strategie alternative è uno dei potenziali e significativi vantaggi di una corretta pianificazione.

Perché è importante pianificare… e perché non si pianifica…

Si sarà già intuita, da quanto detto sopra, l’importanza di una sistematizzazione del processo di gestione dei fattori che condizionano il successo aziendale, nonché della formalizzazione esplicita (ossia, nero su bianco) del piano di lavoro che si intende realizzare.

Il piano aziendale o business plan, il cui “cuore” è rappresentato dal piano di marketing9, non è altro che un documento scritto, possibilmente supportato da strumenti software (come esemplificato nei capitoli di questa prima parte che descrivono modelli di supporto alle decisioni), in cui viene analizzato il contesto di mercato e competitivo, vengono indicati gli obiettivi, spiegate le logiche strategiche e operative delle diverse fasi di lavoro e stimati esplicitamente, quantificandoli, i risultati di mercato ed economico-finanziari previsti in un lasso di tempo di almeno qualche anno.

Non si tratta quindi, soltanto, di un insieme di proiezioni e/o di obiettivi economico-finanziari, ma soprattutto di un’organica presentazione della situazione di contesto (ambiente, mercato, concorrenza, caratteristiche e risorse aziendali) nell’ambito di uno o più settori o segmenti di attività specifici, di una serie di scelte strategiche (relative, quindi, alla destinazione delle risorse disponibili) in funzione del raggiungimento di determinati ed espliciti obiettivi e, infine, della organizzazione (strutture, sistemi e risorse umane) e delle azioni necessarie per la realizzazione di tali strategie.

Le proiezioni economico-finanziarie, che rappresentano solitamente l’ultima parte del piano e che non devono necessariamente essere dettagliate come in un vero e proprio budget (che è sostanzialmente un programma di costi e ricavi articolato analiticamente su brevi periodi, normalmente l’anno), non sono altro che la conseguenza stimata delle scelte strategiche e delle azioni ipotizzate.

L’utilità di un piano e di una programmazione esplicita e formalizzata delle proprie attività per un periodo il più possibile protratto nel tempo sembra ovvia se soltanto si facciano le seguenti considerazioni:

gli investimenti aziendali (di qualsiasi tipo essi siano) hanno normalmente un effetto diluito nel tempo: i risultati che tali investimenti determinano non si verificano istantaneamente ed è quindi importante prevederne l’evoluzione per poi poterla tenere sotto controllo

una volta deciso l’impiego di una risorsa, non è sempre agevole tornare sui propri passi: meglio quindi valutare a priori e in modo il più possibile esplicito gli effetti di tale impiego a fronte di utilizzazioni alternative, anche e soprattutto tenendo presenti gli elevati “costi opportunità” (ossia il mancato sfruttamento di opportunità di guadagno alternative dovuto al fatto che le risorse disponibili non possono contemporaneamente essere utilizzate in più direzioni) presenti in qualsiasi decisione aziendale e sistematicamente ignorati nella pratica

il sistema ambiente/mercato (compresa l’azienda inserita in tale sistema) evolve nel tempo, ed è quindi opportuno non farsi prendere in contropiede da cambiamenti inattesi: è chiaro che non tutto può essere previsto, anzi, ma un serio sforzo di previsione può grandemente ridurre il livello di incertezza e le sorprese

il comportamento del consumatore è in gran parte condizionato da esperienze pregresse e le posizioni già eventualmente acquisite dai concorrenti diretti o indiretti (e, sperabilmente, acquisibili in futuro anche dalla nostra azienda) possono rappresentare importanti punti di forza: è quindi essenziale

9 Il vero e proprio “business plan” si differenzia dal piano di marketing (che comunque ne rappresenta la struttura portante) soltanto per un’enfasi relativamente maggiore sugli aspetti finanziari, patrimoniali, societari e organizzativi.

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“leggere” la situazione di mercato in prospettiva dinamica e con l’ottica lungimirante che soltanto l’abitudine all’impostazione di piani organici e formalizzati può sviluppare.

A maggior ragione il piano è essenziale quando si tratta di intraprendere nuove iniziative e non c’è una “storia” che possa dare qualche indicazione sulla probabile evoluzione futura del settore, del mercato e dell’azienda.

I vantaggi del piano sono numerosi ed evidenti, ma vale la pena elencarli esplicitamente, non fosse altro per confortare il lettore di questo libro che, a quanto pare, si è preso la briga di affrontare il tema della pianificazione in modo serio e relativamente sofisticato:

innanzitutto, il piano costringe a identificare e definire obiettivi specifici, quantificati e misurabili. Se così non fosse, non avrebbe infatti senso parlare di piano: si tratterebbe, più che altro, di una dichiarazione di intenti che difficilmente potrebbe tradursi in linee guida meno che generiche

secondariamente, costringe a identificare e descrivere in modo esplicito le caratteristiche del settore di attività (tipo di infrastrutture, caratteristiche, tendenze e comportamento della domanda, comportamento dei fornitori, dei concorrenti e dei canali distributivi), ossia le principali opportunità da sfruttare e le eventuali minacce cui far fronte

consente quindi di valutare sistematicamente i punti di forza su cui far leva e i punti di debolezza che l’azienda deve sforzarsi di ridurre o eliminare, proprio in funzione di tali opportunità e minacce

la formalizzazione del piano consente, fra l’altro, di meglio identificare i fabbisogni informativi e verificare il grado di completezza dell’analisi: sono stati considerati tutti gli aspetti importanti sopra elencati?

con un piano scritto è inoltre molto più facile valutare la sistematicità e coerenza delle decisioni ipotizzate e la sensatezza delle stime (ove, come spesso accade, manchino dati oggettivi su fenomeni rilevanti), rettificando eventualmente il tiro (cosa che altrimenti è spesso lasciata all’intuizione e al caso)

a proposito di stime, l’elaborazione del piano facilita la formulazione di previsioni a medio e lungo termine, grazie soprattutto all’esplicita presa di coscienza del fatto che le decisioni di investimento avranno un impatto diluito nel tempo

e ancora, soprattutto se per l’elaborazione del piano si utilizzano strumenti software anche molto semplici, quali un foglio elettronico da predisporre ad hoc (secondo la logica che esemplificheremo più oltre), è facile effettuare analisi di sensitività (ossia valutare come e quanto possano cambiare, o quanto siano sensibili, i risultati attesi al variare di ipotesi sull’andamento di alcuni importanti fattori che li condizionano) e confrontare con poco sforzo e molto velocemente l’appetibilità di diverse alternative decisionali: ciò è ancora più rilevante in ottica internazionale, se si tiene conto dell’elevata probabilità di significativi “costi opportunità” se le risorse aziendali vengono utilizzate in determinate direzioni (ad esempio, specifici paesi) a scapito di alternative potenzialmente più promettenti

in pratica, il piano rappresenta un’esplicita guida all’azione, ossia una specie di bussola che consente di identificare meglio la rotta da seguire per raggiungere gli obiettivi, e che altrimenti sarebbe difficilmente visibile se restasse nascosta nella testa dell’imprenditore o del responsabile di marketing (spesso confusa, la testa, da una serie di problemi, preoccupazioni e urgenze)

grazie a tale bussola, sarà quindi più agevole focalizzare meglio gli sforzi e aumentare quindi l’efficaciadella propria azione sul mercato

in particolare, sono state identificate (in qualità e quantità) tutte le risorse necessarie, finanziarie, tecnologiche e umane, per il raggiungimento degli obiettivi?

grazie ovviamente anche ai vantaggi sopra indicati, il piano consente di ridurre il livello di incertezza delle stime e quindi i rischi inerenti alle decisioni di investimento...

...e inutile dire che una maggior focalizzazione degli sforzi e una maggiore coerenza aiutano anche a ridurre gli sprechi di risorse aumentando non soltanto l’efficienza del loro impiego..

…ma anche rinforzando l’efficacia di cui si parlava sopra: il risparmio di risorse è quindi convogliabile in direzioni più promettenti facilitando il raggiungimento della massa critica necessaria nei vari contesti di mercato

grazie al piano, è inoltre più agevole disporre di una visione integrata e bilanciata del portafoglio di attività dell’azienda…

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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…agevolando quindi l’identificazione di responsabilità e l’assegnazione di obiettivi specifici ai vari livelli della struttura manageriale…

…e permettendo di conciliare il più possibile obiettivi ed esigenze spesso contrastanti: ad esempio, le richieste di standardizzazione da parte della produzione sono spesso conflittuali con quelle di personalizzazione da parte della forza vendita, che a sua volta tende ad applicare lunghe dilazioni di pagamento, in contrasto con i vincoli posti dalla finanza, ecc.

il piano rappresenta anche un’indispensabile traccia per la formulazione di programmi operativi che identifichino specifiche attività da svolgere, ruoli, responsabilità e scadenze …

… e un importante termine di riferimento per verificare e controllare (non necessariamente in modo fiscale) se, in quale misura e perché quanto era stato previsto, pianificato e programmato si è verificato, al fine di introdurre eventuali misure correttive

per non parlare del fatto, spesso sottovalutato, che il piano aiuta a pianificare (!), ad accumulare e capitalizzare nel tempo le esperienze e a guardare lontano, sviluppando gradualmente la capacità diformulare previsioni sensate, realistiche e quantificate in funzione di scelte esplicite, ragionate e organiche

le esperienze maturate nel processo di pianificazione, anziché rischiare di andare perdute o di essere “depositate” nella testa di una o poche persone, con tutti i rischi che ne conseguono, vengono consolidate e rappresentano un’insostituibile base di conoscenze e un know-how accessibile in qualsiasi momento e da chiunque possa avere interesse a informarsi e/o a contribuire

strettamente legata all’accessibilità del know-how cristallizzato nel piano è la possibilità di comunicazione dei suoi contenuti e delle sue logiche fra tutti coloro che, all’interno dell’azienda o in contatto diretto con la stessa (si pensi agli agenti di vendita), possono o debbono contribuire a svilupparlo e realizzarlo, il che ne facilita grandemente la comprensione, contribuendo al miglioramento della qualità del lavoro svolto da ognuno...

....ma comunicare e comprendere sono la premessa di una maggiore e più diffusa condivisione, non soltanto delle informazioni ma anche e soprattutto degli obiettivi e dei vincoli aziendali, il che favorisce e rinforza ulteriormente la loro conciliazione con gli obiettivi e le esigenze individuali di cui si parlava sopra ...

...ed è inutile dire che comunicazione e condivisione non possono che facilitare una miglioremotivazione, dando a tutti gli interessati un senso esplicito di missione, appartenenza e “ragion d’essere” (il che non è poco) ...

...ma anche aiutando a sviluppare una migliore consapevolezza, da parte di tutti, dell’esigenza dell’integrazione degli sforzi e del lavoro di team, consapevolezza solitamente assente o poco diffusa nella grande maggioranza delle aziende

naturalmente, l’esistenza di un piano esplicito rende possibile anche una migliore comunicazione fra l’azienda e il contesto esterno10, facilitando ad esempio la realizzazione di alleanze con altre imprese e potenziali partner (sotto forma di accordi industriali o commerciali, joint-venture, fusioni e acquisizioni).....

...per non parlare della possibilità di creare o migliorare i rapporti con la stampa (generica, finanziaria o di settore) e lo sviluppo di azioni di pubbliche relazioni, sicuramente alla portata anche di piccole e medie imprese che abbiano qualcosa di nuovo e interessante da dire

a quest’ultimo punto è anche direttamente o indirettamente collegata la possibilità di attirare, grazie a una migliore immagine aziendale, risorse professionali “chiave”, che si lasciano più facilmente sedurre da un piano specifico e promettente, ma che sono soprattutto sensibili a sistemi di pianificazione e gestione avanzati

infine, last but not least (e siamo al ventottesimo punto!), la disponibilità di un piano credibile e ben articolato consente di accedere più facilmente, a parità di altre condizioni, a finanziamenti esterni (e/o

10 Ovviamente, questa possibilità verrà gestita dall’azienda con le dovute cautele, per evidenti motivi di riservatezza, ma la riservatezza esasperata, anche su aspetti essenziali che la controparte deve conoscere per poter collaborare efficacemente, si trasforma spesso in un boomerang. Per non parlare del fatto che un buon 80% delle informazioni che le aziende vorrebbero tenere segrete (ad esempio, i costi variabili di produzione) è normalmente alla portata di chiunque sia seriamente intenzionato a informarsi e abbia un minimo di esperienza del settore di interesse.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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di ottenere migliori condizioni, a parità di finanziamento), sia sotto la forma dei tradizionali prestiti bancari (mutui e affidamenti) che, eventualmente, anche sotto quella di partecipazioni in venture capital da parte di società finanziarie o banche d’affari: non è da escludere che questo tipo di partecipazioni, consistenti nell’acquisizione di quote di minoranza da parte del finanziatore a fronte del conferimento, da parte dello stesso, della maggioranza del capitale necessario e in previsione di una forte crescita del valore di mercato della partecipazione medesima, si possa prima o poi sviluppare anche in Italia, come è avvenuto in tutti i Paesi avanzati11.

A fronte di tutti gli indubbi vantaggi di una corretta pianificazione sopra visti (che, oltre a essere numerosi, sembrano anche di notevole importanza), è quasi incredibile notare come la grandissima maggioranza delle piccole e medie imprese, non soltanto in Italia, se ne guardi bene dall’adottare sistemi di pianificazione formali e organici, e che piani aziendali o piani di marketing degni di questo nome si vedano molto raramente anche nell’ambito di nuove iniziative imprenditoriali e di progetti di espansione all’estero che presentano, quasi per definizione, livelli di rischio elevati.

L’unica spiegazione plausibile di tale fenomeno (oltre, ovviamente, alla scarsa propensione alla riflessione e alla raccolta sistematica di informazioni da parte degli imprenditori, molto più portati a decidere e ad agire senza preoccuparsi troppo di stimarne in modo articolato le conseguenze12) è che pianificare non è facile, affatica le meningi, costa un sacco di tempo e spesso anche di denaro.

D’altra parte, paradossalmente, sono proprio le nuove imprese (di solito piccole per definizione) e, più in generale, le piccole e medie imprese (ossia quelle che, a parità o quasi di settore d’attività, dispongono di risorse relativamente più scarse rispetto alle grandi, che non sono protette da nessuno e si trovano in balìa del mercato e di concorrenti spesso agguerriti, e che raramente dispongono di qualcuno con la professionalità e il tempo necessari per sviluppare un piano), che non potrebbero e non dovrebbero permettersi, per l’appunto, di non avere un piano.

È infatti facile che, senza un piano, si sprechino risorse per eccessiva dispersione, scarsa focalizzazione, scarsa comunicazione interna e unità di intenti, e che quindi si innestino circoli viziosi che possono mettere l’azienda in gravi difficoltà.

Non vi sono molte soluzioni a questo paradosso. In attesa che si sviluppi anche in Italia una maggiore e migliore cultura manageriale anche a livello dei titolari di impresa (proprio quelli che dovrebbero incarnare meglio di tutti i principi strategici e di marketing sopra descritti), l’unica via percorribile è quella della semplificazione, automatizzazione e facilitazione (sia pure con qualche investimento iniziale, soprattutto di tempo) del processo di pianificazione: si tratta, insomma, di mettere il titolare dell’impresa o chiunque lo assista da vicino nella conduzione aziendale in grado di sviluppare almeno uno schema di piano utilizzabile e “presentabile” (all’interno e all’esterno dell’azienda) senza troppa fatica e senza eccessivi investimenti in consulenza o in risorse dedicate.

È proprio in quest’ottica che, dopo aver approfondito alcuni aspetti della pianificazione più specificamente connessi all’internazionalizzazione, proporremo alcuni esempi di come possano essere modellizzati (in pratica, semplificati e automatizzati) importanti processi di analisi e decisionali sui seguenti temi:

concreta valutazione dei collegamenti fra valore percepito dal mercato, prezzi e posizioni di mercato (v. il “motore della redditività aziendale” sopra descritto)

ottimizzazione dell’impiego delle risorse aziendali in vista di specifici obiettivi di mercato e/o di redditività (vedi, ancora, il “motore della redditività aziendale”)

individuazione dei mercati esteri di sbocco maggiormente appetibili, in funzione di diversi parametri

stima dei potenziali di mercato all’estero

valutazione dell’impatto delle caratteristiche dei Paesi sull’importanza relativa dei fattori di successo

definizione dei prezzi di vendita

valutazione dell’impatto delle scelte di canale distributivo sulla competitività e sui margini

valutazione dell’impatto dei profili professionali sull’efficienza nell’impiego delle risorse aziendali.

11 In proiezione futura, l’accesso a finanziamenti in venture capital in altri Paesi dovrebbe comunque diventare sempre più facile.12 Inutile dire che queste caratteristiche imprenditoriali rappresentano talvolta un punto di forza; ma quanto spesso rappresentano una debolezza?

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2. Perché è indispensabile pianificare per andare all’estero, e come farlo: business plan ed export plan13

Le difficoltà aggiuntive create dal contesto internazionale

Portare la propria azienda su uno o più mercati esteri è un processo di complessità paragonabile all’inizio di una nuova attività d’impresa.Ammettiamo pure che la vostra azienda abbia raggiunto una posizione soddisfacente sul mercato domestico:

siete conosciuti dal mercato e ormai conoscete tutti i segreti del mercato e della concorrenza

i vostri prodotti quindi rispondono in modo soddisfacente alle esigenze dei vostri clienti e avete una posizione consolidata nell’ambito della catena distributiva

la struttura organizzativa è perfettamente adeguata e la vostra capacità produttiva è dimensionata sulle esigenze del vostro mercato.

Nessuna di queste considerazioni sarà più necessariamente vera quando andrete su un mercato estero, soprattutto per la prima volta:

nessuno vi conosce: siete nuovi, gli ultimi arrivati, i clienti non vi conoscono e neppure i distributori; quanto avete impiegato a “farvi un nome” in Italia?

non sapete nulla dei clienti: chi sono, quali sono le loro abitudini, i loro bisogni, le loro preferenze? Nulla garantisce che siano uguali e neppure vagamente simili a quelle dei clienti italiani

i vostri prodotti sono adeguati? Se non sapete nulla dei clienti, non potete sapere se i vostri prodotti siano adatti a soddisfarne le esigenze

non conoscete i concorrenti: non sapete chi siano, non sapete quanto siano forti, non sapete cosa aspettarvi da loro

non avete distributori: non sapete a chi affidarvi, le modalità, i rapporti, le abitudini dei vostri futuri interlocutori potrebbero essere completamente diverse.

ecc. ecc.

Proprio per la sua complessità e per l’impatto che ha sull’intera struttura aziendale, senza un’attenta e adeguata attività di pianificazione vi sono molte probabilità che il progetto di internazionalizzazione rischi di fallire. In ottica di internazionalizzazione, e a integrazione di quanto già detto riguardo ai motivi per cui è importante pianificare, aggiungeremo le seguenti considerazioni:

i risultati degli investimenti all’estero si realizzano ancor più lentamente rispetto a quanto avviene sul mercato domestico: occorre raccogliere informazioni, attivare contatti, prevedere spese di viaggio nei paesi esteri, eventualmente adattare i prodotti e i servizi offerti alle esigenze dei mercati locali, ecc. Conquistare quote di mercato dove non siamo mai stati presenti è difficile, richiede costanza, tenacia e investimenti costanti: è quindi a maggiore ragione importante prevedere l’evoluzione dei fattori più rilevanti per poterla tenere almeno parzialmente sotto controllo

è chiaro che non tutto può essere previsto, anzi, ma un serio sforzo di previsione può grandemente ridurre il livello di incertezza, i rischi e le sorprese, specialmente nell’ambito di mercati di cui non abbiamo esperienza diretta e per i quali risulta ancora più importante e delicato cercare di interpretare i segnali di cambiamento e di evoluzione

soprattutto le aziende che entrano in un mercato per la prima volta, partono da una situazione di svantaggio nei confronti dei concorrenti già presenti su tale mercato: è quindi di fondamentale importanza individuare i possibili punti di forza su cui far leva in relazione a particolari condizioni di mercato, caratteristiche dei clienti potenziali e punti di debolezza dei concorrenti, fattori che devono essere analizzati prima di impegnare risorse finanziarie e umane. Tali punti di forza costituiranno gli elementi fondanti della strategia d’ingresso, massimizzando le probabilità di successo del progetto.

13 Questo capitolo e i due successivi sono tratti, con leggeri adattamenti, da D. Possati, Percorso Tematico “Prepararsi a Esportare”, sviluppato per il Portale Italia Internazionale, Aree Sviluppo Servizi e Informazioni Telematiche, ICE, 2005.

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Non si potrebbe cogliere soltanto qualche occasione qua e là?

Moltissime PMI realizzano una frazione irrisoria del proprio fatturato all’estero con vendite più o meno occasionali generate da partecipazioni a fiere, contatti personali e altri canali sporadici e informali. È ragionevole chiedersi perché l’apertura dell’azienda ai mercati esteri non possa essere condotta attraverso lo sviluppo di questi contatti seguendo le occasioni che mano a mano si presentano.Sebbene vi siano indiscutibilmente casi di successo tra le aziende che hanno seguito questa strada, ci sono almeno due tipologie di ragioni serie che sconsigliano di perseguirla come regola:

la prima è che può essere estremamente rischiosa. Vendere all’estero richiede tutta una serie di competenze e di cautele la cui importanza tende a emergere prepotentemente soltanto nel momento in cui ci si accorge – troppo tardi – di esserne privi. Mezzi di pagamento inadeguati espongono al rischio di insoluti, clausole contrattuali possono rivelarsi impugnabili per la legge del paese straniero, la sceltaincauta dei mezzi di spedizione può esporci a richieste di risarcimento da parte dei clienti. I rischi aumentano poi esponenzialmente nei rapporti commerciali con i paesi in via di sviluppo (dove peraltro tende a concentrarsi la maggioranza delle opportunità). Sull’onda dell’entusiasmo, le aziende che sviluppano la propria attività di esportazione in maniera opportunistica e non sistematica, tendono a sottovalutare tali rischi e a non sviluppare un’organizzazione e delle competenze adeguate per affrontarli

la seconda è che può essere estremamente inefficiente. Anche nel caso in cui l’azienda si dotasse delle risorse e dell’organizzazione necessarie per proteggersi dai rischi legati alle attività di esportazione, non c’è nulla che garantisca che le occasioni e le opportunità che si presentano in modo sporadico siano le più adatte a sfruttare i punti di forza dell’azienda, ovvero che risultati migliori non possano essere ottenuti su altri mercati, con altre strategie, a parità di impiego di risorse. Inoltre, sembra illogico che –una volta sviluppate le competenze interne – queste non debbano essere sfruttate in modo sistematico rivolgendosi ai mercati più promettenti attraverso la definizione di un progetto di internazionalizzazione supportato da un piano.

Sfruttare i vantaggi dell’internazionalizzazione

Intraprendere un’attività di internazionalizzazione consente di cogliere una serie importante di opportunità di sviluppo e prosperità per l’impresa. Alcune sono facilmente individuabili e riguardano i risultati ottenibili nel breve e medio periodo in termini di volume d’affari e contribuzione. Altre sono meno immediate, ma altrettanto importanti: si riferiscono allo sviluppo dell’azienda sul medio–lungo periodo, all’aumento della sua competitività e della possibilità di costruire barriere nei confronti della concorrenza. Ecco una lista parziale dei vantaggi dell’internazionalizzazione, che possono essere sfruttati al meglio con un adeguato piano:

aumento del giro d’affari: è il vantaggio più ovvio e immediato; le vendite della vostra azienda dipendono sia dalla competitività dell’azienda stessa, sia dalla dimensione del mercato a cui essa si rivolge, intraprendere un’attività di internazionalizzazione consente quindi all’impresa di allargare la propria base di mercato

aumento dei profitti: se l’entità delle vendite aggiuntive ottenibili sui mercati esteri è tale da non incidere significativamente sui costi fissi, tali vendite incrementeranno la redditività complessiva dell’impresa

economie di scala ed esperienza produttiva: quando l’attività all’estero cessa di essere una parte marginale dell’attività complessiva dell’impresa, questa intraprende un processo di crescita in termini di dimensioni, supportato dalla crescita della base di mercato, che le consente di accedere a nuove risorse finanziare e di sfruttare i vantaggi di costo legati alla dimensione e all’esperienza (economie di scala e di gamma, maggiore visibilità e forza contrattuale nei confronti del mercato e dei fornitori, ecc.)

diversificazione del rischio: l’attività internazionale riduce la dipendenza dell’azienda da un unico o da pochi mercati, consentendole di superare eventuali periodi di recessione che dovessero colpire singole aree di mercato

possibilità di accedere a nuove idee e nuove esperienze: operare su mercati diversi consente di venire a contatto con nuove realtà, nuovi modi di operare, nuove idee di successo che possono essere recepite e utilizzate sia sul mercato italiano, sia sugli altri mercati di riferimento

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risposta alla globalizzazione: la crescente globalizzazione dei mercati fa sì che nessuna azienda possa permettersi di rimanere chiusa nel proprio mercato; se non siamo noi a competere sui mercati esteri, prima o poi saranno le imprese straniere a venire a farci concorrenza sul mercato italiano. L’esperienza della competizione sul mercato internazionale, accuratamente progettata e gestita nelle migliori condizioni, consente alle aziende di costruirsi i mezzi finanziari e le competenze manageriali, per competere con i concorrenti stranieri anche sul mercato domestico.

aumento della competitività sul mercato interno: come già detto, le vendite dipendono sia dalla dimensione del mercato di riferimento, sia dalla competitività dell’azienda nei confronti dei concorrenti; le caratteristiche necessarie alle aziende per competere sui mercati internazionali, l’esperienza, le competenze e le risorse acquisite, andranno a costituire un vantaggio competitivo importante nei confronti di quelle aziende che limitano la loro area di attività al mercato italiano.

I rischi

A fronte delle opportunità e dei vantaggi citati, l’impresa internazionalizzata deve tenere presente e affrontare una serie di rischi aggiuntivi.

rischio d’impresa: è la tipologia di rischio che caratterizza ogni attività d’impresa; come già detto, sui mercati esteri tale rischio è aggravato dalla minore conoscenza del mercato, dei concorrenti, della distribuzione, ecc., oltre che dalla posizione di sostanziale svantaggio che l’azienda si trova a dover affrontare nella fase iniziale

rischio economico: è il rischio legato all’andamento della domanda sui mercati internazionali, alcuni dei quali – specialmente quelli caratterizzati dai maggiori tassi di crescita e, come tali, più appetibili – sono caratterizzati da un alto grado di incertezza e di volatilità, che possono portare a improvvisi e importanti eventi di contrazione della domanda

rischio monetario: dato che il prezzo e la moneta in cui dovranno essere effettuati i pagamenti sono stabiliti al momento del contratto, in presenza di dilazioni di pagamento significative, l’azienda si troverà esposta al rischio di riduzione del valore della transazione dovuto alla svalutazione della moneta estera rispetto all’euro

rischio politico: operando all’estero, l’impresa italiana è sottoposta alle leggi del paese straniero; se nei paesi occidentali la possibilità di intervento dei governi nell’economia è ormai relativamente limitata, almeno per quanto riguarda le transazioni internazionali, non altrettanto si può dire per la maggioranza dei paesi emergenti (Est europeo, America latina, Cina, ecc.), nei quali manovre protezionistiche improvvise, innalzamento dei dazi, svalutazione della moneta, sono tutt’altro che infrequenti.

Il piano per l’internazionalizzazione deve considerare tutti questi rischi e delineare strategie di difesa sia preventivamente che in risposta al verificarsi degli eventi. Nelle parti successive di questo testo troverete molte informazioni su come proteggere l’azienda da questi rischi, in funzione dei paesi nei quali essa opera o desidera operare.

Cos’è il piano per l’internazionalizzazione

Ribadendo quanto in buona parte anticipato nel primo capitolo, il piano per l’internazionalizzazione è undocumento scritto in cui vengono riepilogate le caratteristiche salienti dell’azienda (inclusi gli aspetti rilevanti della sua storia), indicati gli obiettivi, spiegate le logiche strategiche e operative delle diverse fasi del progetto di internazionalizzazione e stimati esplicitamente, quantificandoli, i risultati di mercato ed economico-finanziari previsti in un lasso di tempo di almeno qualche anno.

Vale la pena ripetere che non si tratta quindi, soltanto, di un insieme di proiezioni e/o di obiettivi economico-finanziari, ma soprattutto di un’organica presentazione di un’analisi della situazione di contesto(ambiente, mercato, concorrenza, intermediari, caratteristiche e risorse aziendali) nell’ambito di uno o più settori o segmenti di attività specifici, di una serie di scelte strategiche (relative, quindi, alla destinazione delle risorse disponibili o procurabili) in funzione del raggiungimento di determinati ed espliciti obiettivi e, infine, della organizzazione (strutture, sistemi e risorse umane) e delle azioni necessarie per la realizzazione di tali strategie.

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Gli stessi obiettivi e la medesima struttura logica del piano sono ovviamente applicabili anche a tutte le altre tipologie di strategia di ingresso che verranno sinteticamente discusse più oltre: varieranno soprattutto i contenuti dei diversi capitoli.

Per semplicità, e per non appesantire eccessivamente la trattazione, nei paragrafi seguenti ci limiteremo a illustrare in dettaglio gli elementi di un piano export.

La struttura del piano

Di seguito proponiamo una possibile struttura per il piano export. Abbiamo preferito articolare lo schema con il maggior dettaglio possibile, affinché potesse davvero rappresentare una guida alla definizione di un piano aziendale concreto. Ovviamente tale struttura dovrà essere in parte adattata alle esigenze e alle caratteristiche specifiche delle singole aziende.

Background

La parte introduttiva del piano riassume i fatti dell’azienda evidenziando come questi siano alla base della decisione di internazionalizzazione e del suo successo.

1. Introduzione

a. Breve storia dell’azienda

b. Mission e Vision

c. Le ragioni dell’internazionalizzazione

2. Obiettivi

a. Obiettivi strategici aziendali

b. Obiettivi di mercato dell’internazionalizzazione

c. Obiettivi strategici di breve e medio termine dell’internazionalizzazione

3. Prodotti e servizi

a. Descrizione dei prodotti e dei servizi dell’azienda

b. Analisi dei punti di forza in ottica export

c. Analisi dei punti di debolezza in ottica export

Analisi dei mercati esteri14

Come sono stati selezionati i paesi obiettivo? Quali sono le caratteristiche principali dei paesi prescelti in relazione al settore di attività dell’impresa? E – soprattutto – quali sono le caratteristiche fondamentali della competizione sui mercati scelti? Questa sezione del piano è di fondamentale importanza per la raccolta, l’analisi e la condivisione delle informazioni necessarie per la definizione della strategia competitiva.

4. Selezione dei paesi

a. Criteri utilizzati per la valutazione dell’attrattività dei mercati esteri

b. Selezione del paese o dei paesi obiettivo

5. Analisi dei paesi

a. Fattori infrastrutturali legati al settore di attività dell’impresa

b. Contesto politico, economico e culturale

c. Percentuale di mercato occupata dalle importazioni

14 V. approfondimenti su questo tema nei capitoli 7-11.

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d. Barriere tariffarie e non tariffarie

e. Tendenze e prospettive di sviluppo

6. Analisi dei mercati

a. Segmentazione del mercato

b. Criteri di scelta del mercato e fattori di successo competitivo

c. Valutazione dei potenziali di mercato

d. Principali concorrenti

Definizione della strategia competitiva e dell’assetto organizzativo

Il cuore del piano è la definizione della strategia competitiva dell’impresa sui mercati esteri. Particolare attenzione dovrà essere posta nella definizione delle leve di marketing in relazione alle caratteristiche dei segmenti di mercato individuate nella sezione precedente.

7. Strategie e modalità di ingresso sul mercato

a. Identificazione dei segmenti obiettivo

b. Analisi competitiva sui segmenti scelti

c. Individuazione della modalità di presenza

d. Individuazione di possibili partner locali

e. Posizionamento dei prodotti e dei servizi ed eventuale adattamento alle esigenze dei mercati esteri

f. Strategie di prezzo

g. Definizione delle condizioni di vendita e di pagamento

h. Strategia di comunicazione

i. Strategia di distribuzione

j. Strategie di sviluppo della forza vendita

k. Descrizione degli intermediari

8. Articolazione dell’assetto organizzativo

a. Determinazione e coinvolgimento della proprietà e del management

b. Esperienze e conoscenza aziendali in tema di esportazione

c. Rapporti tra l’esportazione e le altre attività dell’impresa

d. Definizione dello staff export

e. Questioni riguardanti il mercato del lavoro

9. Pianificazione temporale

a. Definizione dei tempi di accesso per ogni mercato

b. Redazione di un piano d’azione trimestrale per le aree geografiche prioritarie

c. Redazione di un Master plan che comprenda tutte le attività del piano

10. Strategie di difesa dai rischi

a. Rischi legati al mercato

b. Rischi di credito e di cambio

c. Rischi politici

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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Pianificazione economico-finanziaria

Dopo avere analizzato i mercati e definiti gli obiettivi e la strategia di ingresso e di presenza sui mercati, occorre valutare l’iniziativa dal punto di vista economico e finanziario. È importante considerare un orizzonte temporale che permetta di valutare l’evoluzione e il consolidamento dell’iniziativa al di là delle difficoltà che inevitabilmente l’azienda incontrerà durante le prime fasi di inserimento sui nuovi mercati.

11. Pianificazione economico-finanziaria

a. Previsione dei ricavi a 3 – 5 anni

b. Determinazione dei costi di avvio dell’iniziativa

c. Determinazione dei costi a 3 – 5 anni

d. Individuazione delle fonti di finanziamento

e. Prospetti economici a 3 – 5 anni

f. Prospetti finanziari a 3 – 5 anni

g. Budget dettagliato dei ricavi e dei costi per il primo anno

Valutazione di percorsi alternativi

Non è affatto detto che tutto vada come nelle previsioni. Occorre individuare gli elementi che, con maggiore probabilità, possono provocare situazioni inaspettate e impreviste che possono compromettere il perseguimento degli obiettivi stabiliti e individuare piani alternativi che consentano di far fronte a tali eventualità.

12. Contingency plan

a. Esame dei punti sensibili del piano (trigger points)

b. Definizione di contromisure e piani alternativi

c. Definizione di prospetti economico finanziari alternativi alla soluzione standard

13. Conclusioni

a. Riassunto dei punti principali del piano

b. Analisi dell’impatto dell’iniziativa sulla situazione attuale dell’impresa

c. Suggerimenti e raccomandazioni

d. Ringraziamenti al personale che ha contribuito alla stesura del piano

Il controllo dei risultati

Una volta redatto, il piano costituisce il principale punto di riferimento per la gestione dell’iniziativa di internazionalizzazione. Rilegato con una bella copertina di pelle gialla e dimenticato in bella mostra nella libreria dell’ufficio del presidente, sarà ben poco utile se i contenuti non verranno condivisi con tutti coloro che dovranno essere coinvolti nel progetto.

In particolare è fondamentale che l’andamento del progetto sia monitorato in modo continuo e costante, così da evidenziare tempestivamente gli scostamenti che dovessero emergere rispetto agli obiettivi e alle previsioni e orientare adeguatamente le decisioni. È appena il caso di notare che tale controllo sarebbe impossibile senza la “rotta” tracciata nel piano in termini di obiettivi – sia economici che strategici –risorse, strategie, metodologie, ecc.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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Dove cercare aiuto

La difficoltà di redigere un piano così articolato può apparire scoraggiante. Non è obbligatorio tuttavia che facciate tutto da soli! Anzi, è assolutamente sconsigliabile. Sono molti i servizi cui potete accedere per essere supportati nella vostra iniziativa, alcuni dei quali gratuiti, tutti – comunque – con un costo assolutamente non paragonabile ai costi che vi potreste trovare a sostenere affidandovi all’improvvisazione. Ricordiamo soltanto alcune delle fonti a cui rivolgersi15:

L’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (ICE)

Le associazioni di categoria

Le aziende speciali delle Camere di Commercio

Unioncamere

Risorse on line.

In alcuni casi, poi, vale la pena di valutare la possibilità di collaborare con professionisti e consulenti esterni, che possono rappresentare un valido supporto per tematiche e attività specifiche, purché vengano adeguatamente selezionati (ad esempio, valutando più alternative, verificando le referenze, ecc.) onde evitare gli indubbi rischi di brutte sorprese.

Le piccole e medie imprese sono in genere molto preoccupate dei costi che questo approccio può comportare, tuttavia l’investimento necessario dovrebbe essere valutato in base ai benefici conseguibili. In particolare: quanto costerebbe all’azienda sviluppare internamente le competenze necessarie? I consulenti, purché professionalmente preparati e deontologicamente corretti (aspetti ovviamente da verificare con cura) mettono a disposizione delle aziende un livello di esperienza e di competenza a cui queste non potrebbero altrimenti avere accesso in alcun modo. Inoltre, trasferiscono le loro conoscenze alle risorse interne all’azienda, incrementando sensibilmente la velocità d’apprendimento del personale aziendale e consentendo all’azienda stessa di ridurre gradualmente proprio la necessità di ricorrere alla consulenza!16

15 Peraltro molto poco utilizzate dalle aziende, come vedremo nel capitolo 5.16 Soprattutto se i consulenti assistono l’azienda nello sviluppo di strumenti in parte automatizzati di supporto al processo di pianificazione, sul tipo di quelli che discuteremo nei capitoli 7-10.

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3. L’importanza di comprendere i contesti di mercato

Nel commercio con l’estero, vi sono alcuni aspetti particolarmente critici e rilevanti. Dalla struttura del piano sopra descritta si è visto quanto sia importante la raccolta di informazioni sugli specifici contesti di mercato.

Qui desideriamo soltanto fornire un breve elenco dei temi a cui è indispensabile porre la massima attenzione, dal momento che costituiscono una possibile fonte di rischio (e – per converso – di successo, quando siano affrontati correttamente ed efficacemente) e caratterizzano in modo particolare il commercio internazionale rispetto all’attività commerciale sul mercato interno. Ad alcuni di questi aspetti verranno dedicati ulteriori approfondimenti nelle parti successive di questo libro.

L’attenzione alle differenze culturali

Alla base di ogni rapporto commerciale vi sono la costruzione e il mantenimento di una rete di relazioni personali. Sottolineare l’importanza dell’attenzione agli aspetti culturali potrebbe sembrare banale, poco rilevante e non particolarmente urgente, tuttavia è un punto assolutamente fondamentale proprio perché – come abbiamo appena detto – i rapporti commerciali si concretizzano praticamente sempreattraverso relazioni tra persone. E le persone provano simpatia, rispetto e antipatia; possono offendersi ed essere insomma condizionate nelle loro scelte da tutta una serie di elementi di carattere prettamente emotivo.

Se non siete convinti di questo aspetto, pensate: andreste mai a un appuntamento con un cliente in tuta da ginnastica? Raccogliereste il sugo dal piatto con il pane a una cena di lavoro? Vi rivolgereste immediatamente con il tu al vostro interlocutore? Vi presentereste a casa di qualcuno che vi ha invitato a cena con un mazzo di crisantemi?

Partite dal presupposto che le vostre abitudini e i vostri comportamenti potrebbero essere inadeguati – se non addirittura offensivi – nel paese estero in cui vi trovate. Non pensate che la cultura e gli usi di un paese siano assurdi o antiquati: le persone in genere sono orgogliose della proprie radici culturali e ritengono le critiche a tali aspetti e le inosservanze relative una grave mancanza di rispetto e un’inaccettabile forma di arroganza. Ovviamente nessuno pretenderà che sappiate tutto e vi conformiate completamente, ma il rispetto, il desiderio di conoscere e un’attitudine di apertura verso le diversità, sono atteggiamenti sempre molto apprezzati che possono fare la differenza tra la chiusura o meno di una trattativa (oltre che costituire una fonte innegabile di arricchimento personale).

La conoscenza degli aspetti legali

La conoscenza del quadro normativo di riferimento per le vostre attività nel paese in cui operate è un aspetto di importanza fondamentale. Trascurare una differenza culturale e assumere un comportamento sbagliato può essere molto imbarazzante, trascurare un aspetto normativo può generare conseguenze che vanno dalla perdita irrimediabile di denaro alla galera. Ponete attenzione agli aspetti seguenti:

quando vi trovate in un paese estero adeguatevi alle leggi di quel paese

norme presenti nella legge italiana potrebbero non esserlo nella legislazione straniera e viceversa

contratti e titoli di credito con lo stesso nome in Italia e nel paese estero potrebbero far riferimento a quadri normativi completamente diversi

potrebbe essere molto difficile far valere i propri diritti in una controversia con un soggetto locale davanti a un tribunale estero

atti legali in Italia potrebbero non esserlo nel paese estero

reati di rilevanza soltanto civile in Italia potrebbero avere rilevanza penale all’estero

ecc.

Per tutte queste ragioni risulta evidente che dovrete fare in modo di essere assolutamente tranquilli e protetti per quanto riguarda gli aspetti legali e contrattuali. Il consiglio è quindi di farvi assistere da un professionista.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

21

La scelta dei mezzi e delle condizioni di pagamento

In alcuni paesi il rischio di insoluto è molto elevato. Inoltre può risultare estremamente difficoltoso (e costoso) recuperare un credito detenuto nei confronti di un’azienda straniera.

Tuttavia le condizioni di pagamento, in particolare i tempi di dilazione dello stesso rispetto al momento della fornitura, costituiscono una leva di marketing che può risultare fondamentale per il successo dell’iniziativa di esportazione.

Alcune aziende rinunciano alla possibilità di utilizzare questa leva accettando dai clienti esteri soltanto pagamenti anticipati. Altre – accampando discutibili ragioni di mercato – si piegano completamente alle richieste dei clienti e concedono pagamenti dilazionati e posticipati senza alcuna forma di protezione del credito.

Entrambi questi estremi paiono ingiustificati, dal momento che esiste la possibilità di proteggere il credito attraverso l’utilizzo di mezzi di pagamento e clausole assicurative adeguati. L’azienda dovrà quindi definire i mezzi di pagamento che intende adottare e utilizzarli sistematicamente e senza eccezioni.

La criticità dei trasporti

Come è facilmente intuibile, il trasporto è un elemento determinante per il successo delle attività di esportazione. Ci preme qui soltanto sottolineare gli elementi di criticità che determinano l’importanza del trasporto nel commercio internazionale:

il trasporto è percepito dal cliente come un servizio: come tale può costituire un vantaggio competitivo o trasformarsi in un punto di debolezza per l’impresa; l’importanza di tale servizio – e dunque la sensibilità del cliente a questo aspetto – è amplificata dalla distanza fisica tra venditore e acquirente, dalle difficoltà di comunicazione, dai rischi di danneggiamento della merce, ecc.; occorre inoltre considerare che l’azienda potrebbe essere in una situazione di svantaggio nei confronti di concorrenti locali e di altri concorrenti esteri in situazione più favorevole quanto a distanza dal mercato di riferimento

il trasporto rappresenta un costo: trasportare le merci ha un costo che va a incidere sui margini del venditore o sul prezzo di vendita (o su entrambi, naturalmente); è ovvio che le maggiori distanze che occorre coprire nel commercio internazionale e le maggiori difficoltà dovute a fattori politici, geografici e infrastrutturali, tendono ad aumentare tali costi e a incidere quindi sulla competitività dell’offerta

il trasporto espone le merci a rischi di vario genere: dalla perdita – totale o parziale – al danneggiamento, al deterioramento, si noti che la fase di trasporto ha come peculiarità di essere il solo momento in cui la merce non è in possesso né del venditore, né dell’acquirente17: sorge quindi anche un problema di determinazione della responsabilità contrattuale, cioè del soggetto che si deve accollare i rischi derivanti dal trasporto.

Gli elementi citati non sono diversi da quanto si dovrebbe tenere in conto per il trasporto sul territorio nazionale. La differenza sta nella difficoltà – molto maggiore per il trasporto internazionale – di conciliare opportunamente le esigenze di efficacia, economicità e sicurezza del trasporto. Occorrerà quindi che l’impresa consideri le scelte riguardanti i trasporti in ottica strategica:

dovrà innanzitutto valutare il trasporto dal punto di vista dell’impatto che esso può avere sulla competitività della propria offerta, valutando in particolar modo l’importanza che questo può avere nelle scelte del cliente e il confronto con i concorrenti in relazione alle altre componenti del valore dell’offerta

dovrà poi informarsi adeguatamente sulle alternative esistenti, sui costi e sui servizi, esaminando in modo approfondito anche le possibilità meno immediate e scontate

dovrà infine affidarsi a professionisti e a imprese di provata capacità ed esperienza, con i quali creare un rapporto di fiducia reciproca e collaborazione continuativa.

17 Esclusi ovviamente i casi – piuttosto rari nel commercio internazionale – in cui la merce sia trasportata direttamente dal venditore o dall’acquirente.

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Il problema della documentazione

È un aspetto incautamente sottovalutato specialmente dalle piccole imprese abituate a operareprevalentemente attraverso contatti diretti e in modo informale: il commercio con l’estero tende a generare una mole di documentazione che finisce per avere un impatto negativo sull’organizzazione e sull’efficienza dell’ufficio commerciale estero. Possiamo classificare per chiarezza tutta la carta che si produce in tre gruppi principali:

a) corrispondenza commerciale: tutti i contatti con il cliente prima, durante e dopo l’acquisizione dell’ordine (richieste d’offerta, offerte, conferme, contratti, cataloghi, listini, ecc.); questi documenti non sono dissimili da quelli che dovrebbero essere utilizzati per l’attività commerciale in Italia, tuttavia tendono ad aumentare di numero per ragioni facilmente intuibili: necessità di traduzioni, conversioni monetarie, maggiore difficoltà di contatti diretti, ecc.

b) documentazione legale e commerciale: tutta la documentazione richiesta dai diversi soggetti che intervengono nella transazione (dogane, spedizionieri, banche, assicuratori, ecc.); a differenza di quella precedente, tale documentazione deve essere obbligatoriamente prodotta in modo ineccepibile, pena l’interruzione della transazione e/o eventuali sanzioni

c) rapporti e comunicazioni interne, intendendo con questo tutte le relazioni tra l’ufficio estero e le altre funzioni aziendali.

A titolo esemplificativo, citiamo un elenco – parziale e incompleto – di documenti che devono essere prodotti e gestiti nel corso di una singola transazione, raggruppati per utilizzatore:

Documentazione richiesta dal cliente estero

Offerta o fattura proforma

Conferma d’ordine

Bill of lading (via aerea o mare)

Polizza o certificato d’assicurazione

Packing list/bolla accompagnamento

Documentazione richiesta dal fornitore o fabbricante che esporta

Corrispondenza commerciale primo contatto

Ordine d’acquisto

Lettera di credito, rimessa o ricevuta di pagamento bancario accettati

Documentazione richiesta dallo spedizioniere o trasportatore

Lettera d‘istruzioni della spedizione

Bill of lading (inland)

Packing list

Bolla d’accompagnamento

Copia originale lettera di credito

Documentazione richiesta dai governi

Certificato d’origine

Bolla/fattura doganale

Certificato consolare

Dichiarazione conformità prezzi

Documenti speciali (sanitari, sicurezza ecc.)

Documentazione richiesta dalla banca dell’esportatore

Bolla export/Export draft

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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Fattura commerciale

Dichiarazione consolare

Polizza o certificato assicurazione

Bill of lading

Tutti questi documenti costituiscono gli strumenti amministrativi indispensabili per completare le transazioni commerciali di merci: l’azienda deve quindi essere in grado di gestirli in modo efficiente e sistematico.

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24

4. Valutare le risorse e le competenze interne

La vostra azienda è pronta per l’internazionalizzazione? I rischi e le difficoltà insiti nel processo di internazionalizzazione possono precludere il raggiungimento degli obiettivi che l’azienda si è prefissata. Per questo è essenziale che l’imprenditore o i manager effettuino un’analisi approfondita delle condizioni interne ed esterne all’azienda, in modo da valutare criticamente il grado di preparazione dell’azienda stessa al commercio internazionale, le possibilità di successo e le prospettive di sviluppo, al fine di migliorare gli aspetti in cui questa dovesse risultare inadeguata o impreparata. Per ognuno dei principali criteri di valutazione che seguono forniamo anche una breve griglia per facilitare l’analisi.

Analisi delle risorse umane

In questo capitolo abbiamo cercato di enfatizzare il più possibile l’importanza delle risorse umane comefattore determinante per il successo del progetto di internazionalizzazione. Specialmente per le imprese più piccole, tale successo dipende, più che da ogni altra cosa, dalla preparazione, dalla convinzione, dall’impegno e dalla perseveranza dei responsabili aziendali18.

Commitment

Convinzione, tenacia, perseveranza. Poche sono le scelte o decisioni veramente cruciali che un’azienda effettua nel tempo e l’internazionalizzazione è senza dubbio una di queste. Tali scelte determinano un “impegno irreversibile” e l’obbligo di persistere con coerenza in una linea strategica. Ora, un aspetto importante della questione è che tale commitment interviene anche in una fase di gran lunga precedente alle eventuali difficoltà in cui si incorre inevitabilmente nel corso delle singole transazioni commerciali con l’estero: le fasi di preparazione all’internazionalizzazione di cui si è trattato finora (dalla definizione degli obiettivi, alla selezione dei mercati, degli intermediari e dei partner, alla definizione delle condizioni di vendita, ecc.) richiedono investimenti che difficilmente una proprietà o un management che non siano profondamente convinti dell’importanza strategica del progetto di internazionalizzazione saranno disposti a sostenere, dal momento che tenderanno a essere visti come evitabili.

Competenze tecniche ed esperienza

Oltre all’impegno e alla convinzione, è importante che l’impresa possa contare su risorse dotate delle competenze tecniche e dell’esperienza necessarie. È estremamente importante che l’impresa riconosca l’eventuale mancanza di tali caratteristiche (situazione che sarà ovviamente più frequente nelle imprese che si stanno affacciando per la prima volta sui mercati internazionali).

Tale mancanza può essere ovviata attraverso il ricorso a risorse di diverso tipo, come eventi di formazione, utilizzo dei servizi messi a disposizione dai diversi enti (ICE, associazioni di categoria, aziende speciali delle Camere di Commercio, ecc.), ricorso a consulenti e professionisti esterni, fino all’assunzione di personale esperto.

Questa può essere anche l’occasione per assumere giovani che – pur privi di esperienza – abbiano una preparazione specifica sulle tematiche di marketing e commercio estero (neolaureati che abbiano frequentato un corso di specializzazione sul tema, ad esempio): affiancati a professionisti e consulenti, ne facilitano e alleggeriscono il lavoro, potendo svolgere gran parte del lavoro operativo, riducendo i costi per l’azienda dell’intervento di consulenza, e sviluppando nel contempo competenze e capacità professionali che diventano parte del patrimonio aziendale.

Brevissimo check-up delle risorse umane

La proprietà e il management sono convinti dell’importanza strategica del progetto di internazionalizzazione?

Sono disposti a effettuare gli investimenti necessari per preparare l’azienda al commercio internazionale?

Sono coscienti della necessità di avvalersi di risorse esterne per lo sviluppo delle competenze necessarie alla gestione dei mercati esteri?

18 V. anche quanto diremo alla fine del capitolo che segue e nel capitolo 15.

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L’azienda dispone di persone dotate delle necessarie doti di professionalità, flessibilità, capacità di adattamento, apertura mentale, capacità di osservazione ed entusiasmo?

L’organizzazione aziendale è tale da essere in grado di rispondere tempestivamente alle richieste dei clienti?

... e di approntare tutta la documentazione tecnico–amministrativa necessaria?

Il personale è in grado di trattare correttamente in inglese con i diversi soggetti che intervengono nella transazione?

...è in grado di utilizzare senza problemi almeno le più comuni tecnologie elettroniche?

Analisi delle capacità di marketing

Avere capacità di marketing, significa riuscire a conciliare i bisogni e i desideri dei clienti con le esigenze di economicità dell’impresa. Le capacità di marketing di un’azienda si estrinsecano in un processo articolato in quattro fasi principali:1. La comprensione delle aspettative e delle esigenze del mercato

2. La definizione delle specifiche dell’offerta

3. La realizzazione e la gestione del progetto, comprendente ovviamente la gestione di tutte le risorse aziendali, incluse quelle umane e di comunicazione con il mercato

4. Il controllo delle attività intraprese e dei risultati relativi.

Come è facile intuire, tali fasi sono le stesse sia per affrontare un mercato interno, sia per affrontare un mercato estero; tuttavia, in anni di attività, sul mercato interno tendono a essere date per scontate o considerate implicite da molte aziende.

Come già detto nella parte dedicata alla definizione della strategia, l’azienda non conosce a priori le caratteristiche del mercato estero – né può dare per scontato che siano analoghe a quelle dei clienti italiani –e non è conosciuta dal mercato.

Per affrontare l’ingresso in un mercato estero, è dunque fondamentale che sia in grado di conoscere le caratteristiche del mercato, di definire un’offerta prodotto–servizio adeguata, di gestirla in maniera efficace ed economicamente conveniente ed efficiente, nonché di comunicare al mercato stesso il valore dell’offerta stessa.

In questo processo sono ovviamente avvantaggiate le imprese che utilizzano sistematicamente tale approccio anche per la gestione e lo sviluppo del mercato interno e non devono quindi svilupparlo ex novoper l’ingresso nei mercati stranieri.Di nuovo, ecco un breve check–up per l’analisi delle capacità di marketing attuali della vostra azienda:

avete un’idea precisa degli elementi e delle condizioni che hanno decretato il successo della vostra azienda sul mercato italiano?

Breve pausa di riflessione: spesso risulta difficile per le aziende rispondere a questa domanda (come vedremo nel capitolo che segue, tendono infatti spesso a liquidare la questione con un generico “Un buon prodotto a un prezzo concorrenziale” – che non spiega assolutamente nulla). Eppure, essere coscienti delle ragioni del successo della propria attività è fondamentale per valutare se tali ragioni e condizioni sono ripetibili su altri mercati e su altri paesi.

Vediamo come “siete messi” su questi altri aspetti:

conoscete le caratteristiche e le esigenze dei vostri clienti sul mercato interno?

in particolare, conoscete i criteri di scelta che i clienti utilizzano per la scelta dei prodotti e l’importanza che attribuiscono a ciascuno di essi?

disponete di un sistema di raccolta delle informazioni sui clienti che possa essere applicato anche all’estero?

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in particolare, avete l’abitudine di raccogliere informazioni sul potenziale, la solidità, la solvibilità e la redditività dei clienti?

sapete chi sono i vostri concorrenti sul mercato locale? Disponete di qualche informazione su di essi, e in particolare del rapporto valore/prezzo delle loro offerte?

potete stimare la quota della vostra azienda sul mercato con cui essa è in grado di entrare in contatto, almeno con riferimento ai settori di attività più importanti?

siete abituati a definire obiettivi di vendita specifici e ragionevoli, in funzione del rapporto valore/prezzo della vostra offerta, delle caratteristiche del mercato e della concorrenza, e a valutare i risultati in base al raggiungimento di tali obiettivi?

nella definizione degli obiettivi, considerate anche il mix e la redditività delle vendite oppure vi basate esclusivamente sui volumi e/o sul fatturato?

siete abituati a selezionare la forza vendita in modo professionale, a guidarla con obiettivi precisi, a incentivarla in funzione del raggiungimento degli obiettivi e del contributo da essa dato alla raccolta delle informazioni sul mercato?

predisponete abitualmente un minimo di pianificazione, comprendente i budget di ricavi e di costi? Utilizzate tali strumenti come supporto alla gestione?

definite i prezzi di vendita in base alle caratteristiche del mercato, del comportamento dei concorrenti e di specifici obiettivi a breve e a medio-lungo termine (immagine aziendale, quota di mercato, fatturato, redditività), oppure applicate senza correttivi il metodo del cost-plus?

avete una politica di sconti ben definita?

avete una politica di personalizzazione dell’offerta ben definita, in base alle esigenze del cliente? O siete completamente rigidi? O vi piegate a qualunque richiesta del cliente?

considerate la selezione degli intermediari e dei distributori un elemento chiave di rilevanza strategica o avete piuttosto un atteggiamento opportunista o addirittura passivo?

utilizzate le dilazioni di pagamento come leva di marketing o vi adattate passivamente alle abitudini del settore?

vi preoccupate di mantenere un livello di servizio alla clientela che risponda alle sue aspettative e possibilmente superi gli standard di settore?

disponete di una brochure aziendale aggiornata, almeno in inglese e realizzata professionalmente?

disponete di materiale illustrativo sui prodotti e sui servizi dell’azienda, almeno in inglese e realizzati professionalmente?

la vostra azienda ha un sito internet aggiornato, almeno in inglese e realizzato professionalmente?

Analisi delle risorse finanziarie

Per quanto i risultati possano in un tempo non eccessivamente lungo superare abbondantemente e far dimenticare i sacrifici e gli sforzi finanziari e organizzativi profusi, è indubbio che lo sviluppo di un progetto di internazionalizzazione richiede investimenti e impieghi di risorse che incidono significativamente sul fabbisogno finanziario normale dell’azienda. È impensabile e rischioso “ritagliare” le risorse necessarie dalla gestione ordinaria. Molto meglio – anzi: indispensabile – effettuare un’accurata pianificazione del fabbisogno finanziario del progetto di internazionalizzazione, individuando con precisione l’entità delle risorse necessarie e le relative fonti, sia che tali fonti siano interne all’azienda (utilizzo di riserve, apporti di capitale, ecc.), sia che siano esterne (indebitamento).

A questo punto, dovrebbe risultare sempre più evidente la necessità di un piano completo, sistematico e dettagliato, che risulta uno strumento di comunicazione (e di persuasione) indispensabile per tutti i possibili soggetti finanziatori dell’iniziativa, sia interni che esterni all’impresa.

Potete inizialmente fare riferimento a questo mini check-up:

avete stimato dettagliatamente e approfonditamente le risorse necessarie per la realizzazione del progetto di internazionalizzazione?

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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avete formalizzato le stime in un piano?

la vostra azienda dispone di riserve finanziarie commisurate all’entità del progetto?

avete un rapporto di collaborazione e di fiducia con la vostra banca?

potete reperire le risorse finanziarie necessarie all’iniziativa presso istituti di credito o altri soggetti finanziatori?

avete definito le politiche di copertura dei rischi finanziari legati ai mercati esteri?

avete individuato i soggetti che possono supportarvi nella gestione degli aspetti giuridici e fiscali?

avete definito condizioni generali di vendita che vi mettano al riparo dai rischi di insoluto?

siete in grado, se necessario, di gestire le transazioni in valute diverse dall’euro?

avete preso le misure necessarie per proteggere la proprietà intellettuale dei vostri prodotti anche all’estero?

Analisi delle risorse tecniche

La vostra azienda deve essere materialmente in grado di mettere in atto le strategie e le politiche che ha definito, di progettare e realizzare gli eventuali adattamenti di prodotto, di imballare le merci adeguatamente, ecc. Deve insomma possedere tutte quelle caratteristiche di carattere tecnico, tecnologico e organizzativo che occorrono per far fronte alle diverse esigenze dei nuovi mercati di sbocco, in termini sia di caratteristiche dell’offerta, che di domanda aggiuntiva.

Come nei casi precedenti, suggeriamo una lista parziale di elementi di analisi:

occorre apportare delle modifiche ai prodotti della vostra azienda per renderli conformi alle esigenze dei clienti esteri o alle normative vigenti nei paesi di sbocco?

siete in grado di apportare tali modifiche, se necessario?

potete soddisfare eventuali richieste di personalizzazione dei prodotti e dei servizi, se opportuno?

qual è la durata di conservazione del vostro prodotto? Il tempo di trasporto potrebbe incidere negativamente su tale durata?

l’imballaggio è adeguato ai mezzi di trasporto scelti? Potete modificarlo agevolmente, se necessario?

il vostro prodotto è accompagnato da una documentazione particolare? Tale documentazione è conforme alle normative dei paesi in cui intendete esportare?

avete tradotto il materiale d’accompagnamento nella lingua dei paesi nei quali esporterete?

il vostro prodotto deve essere assemblato in loco da personale qualificato? Se sì, come pensate di reclutarlo?

i vostri servizi necessitano di un’assistenza post-vendita? Eventualmente, come intendete fornire tale assistenza?

siete in grado di far fronte alla domanda aggiuntiva generata dai mercati esteri?

in caso di aumento della domanda sul mercato interno, sareste ancora in grado di far fronte alla domanda sui mercati esteri (e viceversa)?

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5. Sintetico profilo di un campione di aziende italiane operanti con l’estero: considerazioni e implicazioni

Alla luce di quanto detto nel capitolo precedente, è interessante dare un’occhiata al profilo di un campione di aziende italiane operanti con l’estero, per capire in particolare il loro orientamento nei confronti di aspetti importanti dell’attività di internazionalizzazione.

La ricerca non è recentissima19, ma una buona parte delle sue conclusioni (soprattutto riguardo alle opinioni sui fattori di successo competitivo) è stata ampiamente confermata da nostre rilevazioni successive condotte su svariati gruppi di aziende.

Il campione, riferito all’Italia del Nord e a svariati settori di attività, dovrebbe rappresentare, almeno in teoria, una “popolazione” di aziende abbastanza “evolute”, ma vedremo che alcuni risultati dell’indagine deludono tale aspettativa.

Fig. 5.1 – Entità della presenza all’estero e paesi di sbocco

% di esportazione su vendite totali

4%9%

11%

5%

24%

47%

<=5% 6-10% 11-20% 21-30% 31-50% >50%

Paesi di sbocco

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

EUUSA

Asia

Europ

a de

ll’Est

resto

d’E

urop

a

Amer

ica d

el Sud

Africa

Amer

ica C

entra

le

Austra

lasia

Med

io O

rient

e0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

frequenze

concentrazione

% di esportazione su vendite totali

4%9%

11%

5%

24%

47%

<=5% 6-10% 11-20% 21-30% 31-50% >50%

Paesi di sbocco

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

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10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

frequenze

concentrazione

Come si nota dalla figura, più del 70% delle aziende genera all’estero almeno il 30% del proprio fatturato, e la gamma dei paesi di sbocco è abbastanza variegata, anche se vi è una discreta concentrazione dell’attività nei paesi più avanzati (Europa Unita e Stati Uniti rappresentano da soli il 50% dei fatturati complessivi).

Ovviamente, il tipo di presenza all’estero20 di gran lunga preferito è l’esportazione diretta (90% delle aziende) e indiretta (ossia, attraverso trading companies: quasi il 20%)21, mentre le altre modalità sono decisamente marginali (v. Fig. 5.2).

In ogni caso, nonostante la propensione all’attività all’estero (sia pure quasi esclusivamente attraverso l’esportazione) sia abbastanza elevata, vediamo subito dalla figura successiva che le idee in merito alle opportunità offerte dall’internazionalizzazione non sono del tutto chiare.

La “espansione della quota di mercato” è addirittura citata come principale ragione della decisione di andare all’estero dal 60% delle aziende, mentre è ovvio che, aggiungendo i mercati esteri al mercato domestico, il mercato di sbocco diventa inevitabilmente molto più ampio, ed è praticamente impossibile (per definizione) non soltanto aumentare, ma addirittura mantenere la propria quota di mercato complessiva, almeno sul breve e medio termine.

19 Sintesi adattata da C. Guerini, Export Marketing, Egea 2002. Trattasi di un campione di 109 PMI con meno di 250 dipendenti e vendite inferiori a 40 milioni di euro, su 1.900 contattate via posta, su una popolazione di 17.500 aziende in 43 province di 6 regioni.20 Affronteremo più in dettaglio il tema delle strategie di presenza nel capitolo 11.21 La somma delle percentuali è superiore a 100, dato che più aziende adottano contemporaneamente diverse modalità.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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Fig. 5.2 – Strategie di presenza preferite

0% 20% 40% 60% 80% 100%

1

esportazione diretta

esportazione indiretta

joint-ventures commerciali

joint-ventures produttive

acquisizioni

consorzi export

licensing produttivo

piggyback

nuovi stabilimenti

esportazioni temporanee

0% 20% 40% 60% 80% 100%

1

esportazione diretta

esportazione indiretta

joint-ventures commerciali

joint-ventures produttive

acquisizioni

consorzi export

licensing produttivo

piggyback

nuovi stabilimenti

esportazioni temporanee

Non solo: è ampiamente risaputo (e confermato da nostre numerose rilevazioni su centinaia di aziende) che la grande maggioranza delle PMI (almeno il 95%) non ha la più pallida idea di quale sia la propria quota di mercato neppure sul mercato domestico, e con riferimento ai settori di attività più importanti per l’azienda, né sa come stimarne l’entità.

Fig. 5.3 – Perché le aziende vanno all’estero

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

1

espansione quota di mercato (?)

crescita dei mercati esteri

limitatezza mercato nazionale

bassa crescita mercato nazionale

caduta di barriere agli scambi

diversificazione dei rischi

svalutazione monetaria

omogeneità clientela

basso costo mano d'opera

sinergie nei costi trasporto

stagionalità vendite

basso costo materie prime

ordini inattesi

incentivi finanziari invest.

emulazione concorrenti

eccedenze di magazzino

incentivi finanziari all'export0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

1

espansione quota di mercato (?)

crescita dei mercati esteri

limitatezza mercato nazionale

bassa crescita mercato nazionale

caduta di barriere agli scambi

diversificazione dei rischi

svalutazione monetaria

omogeneità clientela

basso costo mano d'opera

sinergie nei costi trasporto

stagionalità vendite

basso costo materie prime

ordini inattesi

incentivi finanziari invest.

emulazione concorrenti

eccedenze di magazzino

incentivi finanziari all'export

Questa rilevazione22 rappresenta sicuramente un’ulteriore conferma della scarsa abitudine a pianificare e a prendere decisioni sulla base di considerazioni realistiche sulle caratteristiche dei mercati.

22 Probabilmente influenzata anche dal modo inappropriato con cui è stata posta la domanda relativa agli intervistati: se all’intervistato si chiede di scegliere fra una lista di possibili risposte, anziché lasciargli libertà di espressione, può accadere che la risposta sia condizionata dall’inconscio desiderio di “fare bella figura” con l’intervistatore, scegliendo quindi le opzioni “apparentemente più intelligenti”!

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Le conclusioni che emergono dalla figura che segue sono ancor più preoccupanti, riguardo alla capacità di identificare i fattori rilevanti per il successo aziendale (v. anche quanto detto nel capitolo precedente).

È infatti evidente che il fattore ritenuto di gran lunga più importante, se non addirittura l’unico importante, per il successo competitivo, è la qualità, mentre altri fattori essenziali quali il servizio e l’immagine (tramite la comunicazione) vengono praticamente ignorati.

Ora, è dimostrato che la qualità (intesa come insieme delle caratteristiche di un prodotto o servizio che ne condizionano la capacità di soddisfare esigenze specifiche), a lungo andare, paga. Forse non c’era bisogno di dimostrarlo, visto che è abbastanza ovvio che sia più facile soddisfare il consumatore dandogli maggiore qualità e, quindi, valore, e chiedere un prezzo più elevato per un valore maggiore. Non è tuttavia così banale capire il rapporto fra qualità intrinseca (che esprime qualcosa di abbastanza “oggettivo”) e qualità percepita, che è l’unica che conti se si è veramente orientati al mercato.

Fig. 5.4 – Percezione delle principali ragioni del successo all’estero, in funzione della strategia di presenza

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

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90%

qualità

ampia gamma prodotti

prezzo

serviziodesign

immagine italiana

comunicazione

esportatori di prodottistandardizzati (24%)

esp. di prodotti parzialmenteadattati (68%)

esp. di prod. adattati in modosensibile (8%)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

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qualità

ampia gamma prodotti

prezzo

serviziodesign

immagine italiana

comunicazione

esportatori di prodottistandardizzati (24%)

esp. di prodotti parzialmenteadattati (68%)

esp. di prod. adattati in modosensibile (8%)

esportatori di prodottistandardizzati (24%)

esp. di prodotti parzialmenteadattati (68%)

esp. di prod. adattati in modosensibile (8%)

Il consumatore potrebbe anche non “vedere” che un dato tipo e livello di qualità può essere in grado di soddisfare le sue esigenze, e quindi potrebbe non attribuire a tale qualità alcun valore, oppure potrebbe perfettamente apprezzare la qualità intrinseca del prodotto, ma non esserne interessato, avendo altre esigenze.

La qualità va quindi vista, ricercata e misurata in rapporto a esigenze specifiche, e non va dimenticato che ciò che interessa veramente al consumatore è il rapporto fra valore e prezzo: soprattutto se si è abituati (sbagliando) a fissare i prezzi basandosi sui costi23, è facile che un incremento di qualità, comportando costi maggiori, alteri sfavorevolmente, e inutilmente, l’equilibrio di tale rapporto.

Non solo: è necessario valutare il complesso delle esigenze del consumatore per valutare la capacità del prodotto o servizio di soddisfarle. Qualità non significa quindi necessariamente o soltanto eccellenza tecnica e funzionale, ma anche capacità di soddisfare bisogni di altra natura (ad esempio, psicologici o logistico-organizzativi, ove questi siano rilevanti per il consumatore nel caso specifico).

Per non parlare del fatto che la qualità, di per sé e rafforzando quanto detto sopra, non è detto che sia decisiva a fini competitivi: senza qualità non si va da nessuna parte (almeno nella grande maggioranza dei settori e dei mercati mondiali), ma avere un prodotto o un servizio “di qualità” non è che il “biglietto di ingresso” nell’arena competitiva (quindi, una condizione necessaria, ma non sufficiente), per almeno due motivi:

23 Come vedremo nel capitolo 12.

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31

i principali concorrenti mondiali sono abbastanza allineati in termini qualitativi (basti pensare alle certificazioni richieste in gran parte dei settori di attività), per cui la qualità non è un vero elemento di differenziazione dell’offerta

il cliente finale e gli intermediari distributivi spesso non sono in grado di valutare differenze qualitative non macroscopiche, per cui una migliore qualità non viene necessariamente percepita.

Per vincere sui mercati mondiali ci vuole quindi ben altro, “in aggiunta” alla qualità: un’immaginequanto meno credibile, capacità di personalizzare e articolare (ove necessario) l’offerta, ma, soprattutto, elevati livelli di servizio, sia nei confronti dei mercati finali che in quelli dei mercati intermedi (evidentemente spesso indispensabili per soddisfare i primi).

Peccato che la maggior parte degli imprenditori e dei manager sia ancora convinta che un “buon” prodotto sia sufficiente per avere successo (nulla di più falso!), e che quindi eviti di investire negli strumenti indispensabili per gestire altre importanti componenti del valore.

D’altra parte, è anche interessante notare che gli intervistati del campione sono consapevoli dell’esistenza di numerosi ostacoli all’internazionalizzazione, che non possono certo essere superati soltanto con una buona qualità del prodotto.

Fig. 5.5 – Percezione degli ostacoli al successo delle aziende sui mercati esteri

0% 10% 20% 30%

1

scarsa protezione credito

tasse all'importazione

scarsa conoscenza mercato

scarsa con. regolamenti

barriere distributive

difficoltà reperimento personale

alti costi di trasporto

distanze psicologiche

mancanza competenze

scarsa con. serv. all'export

scarsa con. servizi supp. produzione

rischi di cambio

risorse finanziarie insufficienti

avversione al rischio

0% 10% 20% 30%

1

scarsa protezione credito

tasse all'importazione

scarsa conoscenza mercato

scarsa con. regolamenti

barriere distributive

difficoltà reperimento personale

alti costi di trasporto

distanze psicologiche

mancanza competenze

scarsa con. serv. all'export

scarsa con. servizi supp. produzione

rischi di cambio

risorse finanziarie insufficienti

avversione al rischio

Si nota che i principali ostacoli “percepiti” sono soprattutto di carattere esogeno, ossia non dipendenti dalle caratteristiche aziendali: a parte il fatto che il problema ritenuto più importante (“scarsa protezione del credito”) può essere affrontato in modo sistematico e praticamente annullato da adeguate precauzioni assicurative e contrattuali (come abbiamo parzialmente anticipato e come vedremo nelle parti successive di questo libro), vediamo che ben poche aziende riconoscono di avere scarse conoscenze (poco più del 10%) e competenze (neppure il 10%).

Infine, vediamo in quale misura le aziende, a fronte della consapevolezza dei problemi sopra descritta (peraltro non molto diffusa!), siano a conoscenza dell’esistenza di servizi per l’internazionalizzazioneche possono aiutarle a farvi fronte, e quanto se ne avvalgano (v. Fig. 5.6).

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32

È subito evidente che:

il grado di utilizzazione dei servizi è decisamente più basso rispetto alla consapevolezza della loro disponibilità: tale fenomeno è ancora più netto per i servizi di consulenza e promozione

l’ICE e, in qualche misura, le Camere di Commercio in Italia, sono “relativamente” meglio posizionati di altri enti più o meno pubblici (il cui ruolo sembra abbastanza irrilevante) su entrambi gli aspetti24.

Fig. 5.6 – Conoscenza e utilizzazione dei servizi per l’internazionalizzazione

servizi informativi

SIMEST

CCIAA estera

CCIAA locale

ICE

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

conoscenza

us

o e

ffet

tivo

servizi di consulenza e promozione

ICE

CCIAA locale

CCIAA estera0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

conoscenza

uso

eff

etti

vo

servizi informativi

SIMEST

CCIAA estera

CCIAA locale

ICE

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

conoscenza

us

o e

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tivo

servizi di consulenza e promozione

ICE

CCIAA locale

CCIAA estera0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

conoscenza

uso

eff

etti

vo

Sicuramente, una migliore qualità dei servizi offerti (spesso gratuiti o quasi, ma non sempre efficaci) potrebbe stimolare un loro maggiore utilizzo, ma d’altra parte sarebbero importanti anche attività di sensibilizzazione delle aziende sull’importanza di pianificare e di rendersi conto di quali servizi potrebbero essere meglio utilizzati, nonché della loro potenzialità.

Purtroppo, la grande maggioranza degli enti che potrebbero contribuire in modo significativo allo sviluppo dell’internazionalizzazione e della competitività delle aziende italiane sui mercati mondiali sottovaluta in modo clamoroso l’importanza di investimenti in sensibilizzazione, finalizzati a modificare e migliorare gli atteggiamenti mentali dei titolari delle aziende sull’improrogabile esigenza di una maggiore managerialità di approccio alla strategia e alla gestione.

Senza un adeguato atteggiamento mentale che predisponga favorevolmente nei confronti delle indispensabili iniziative di formazione, queste iniziative (peraltro abbastanza diffuse) otterranno ben pochi risultati significativi.

Raramente infatti i titolari delle aziende, che, accentrando gran parte delle decisioni di investimento importanti, dovrebbero essere i veri “responsabili di marketing internazionale” delle proprie organizzazioni (come già detto nel primo capitolo), partecipano a corsi di formazione, preferendo delegare tale partecipazione ai propri collaboratori, con il risultato che il know-how da questi acquisito difficilmente viene incorporato nella cultura aziendale.

In pratica, chi decide veramente in azienda:

continua imperterrito a non possedere il know-how manageriale necessario per migliorare il processo decisionale e gli strumenti metodologici per utilizzarlo

non solo: ciò che è ancora più preoccupante è che, a quanto pare, non si rende conto di non possedere tale know-how e di averne un grande bisogno!

24 Non abbiamo neppure riportato i nomi di alcuni degli enti menzionati dagli intervistati, dato il loro posizionamento irrilevante in figura. La ricerca non faceva tuttavia riferimento ai servizi forniti da Associazioni industriali e di categoria, con cui spesso le aziende intrattengono rapporti abbastanza stretti.

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Ecco perché, sulla base di trentennali esperienze con centinaia di PMI e con gli enti preposti ad assisterle, siamo assolutamente convinti che i maggiori investimenti pubblici per il miglioramento della competitività del paese sui mercati mondiali dovrebbero soprattutto essere indirizzati, attraverso massicce iniziative di sensibilizzazione (pubblicità, pubbliche relazioni, convegni, concorsi a premi, e chi più ne ha più ne metta...), allo sviluppo dell’indispensabile consapevolezza dell’importanza di una cultura manageriale all’altezza di quella dei nostri concorrenti, prima ancora che a quello della cultura stessa.

Per apprendere veramente qualcosa e incorporarlo nel nostro modo di pensare e agire, occorre infatti, prima di tutto, che siamo convinti della sua utilità: in caso contrario, possiamo partecipare a decine di corsi di formazione (ma chi ce lo farebbe fare?) senza veramente rinnovarci e migliorare.

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34

6. L’importanza e l’utilità dei modelli di supporto alle decisioni strategiche

Prima di affrontare più in dettaglio il contenuto delle analisi e delle decisioni strategiche relative all’internazionalizzazione, e in particolare, le scelte dei paesi di sbocco, le metodologie di stima dei potenziali di mercato e le modalità di presenza all’estero, riteniamo utile introdurre, con questo capitolo, il tema della modellizzazione del processo decisionale.

Nel capitolo successivo forniremo esempi di come possa essere tradotto in modelli concreti, in particolare, lo schema concettuale e le relative problematiche decisionali descritte più sopra nella figura 1.1.

Perché è importante supportare il processo decisionale con dei modelli

Ribadendo in parte quanto già detto riguardo alla complessità del contesto in cui devono essere prese le decisioni strategiche, soprattutto in ottica internazionale, osserviamo che proprio i fenomeni di mercatoche devono essere presi in considerazione per poter formulare stime sensate e attendibili a supporto della pianificazione, presentano – rispetto, ad esempio, a quelli tipici della produzione – una serie di caratteristiche, fra loro in gran parte connesse, che rendono tale esercizio particolarmente arduo, se non affrontato in modo approfondito e sistematico:

non linearità: il rapporto fra investimenti (ad esempio, spese pubblicitarie o numero di venditori) e risultati (ad esempio, percentuale di consumatori esposti al messaggio o numero di ordini) non segue un andamento costante e lineare, ma è soggetto a fluttuazioni e “virate” difficilmente prevedibili (risultati meno che proporzionali rispetto agli investimenti al di sotto di una certa “soglia” e al di sopra di un certo “tetto” di investimento, oppure più che proporzionali all’interno di tali limiti – v. la “curva a S” nella figura 1.2 del primo capitolo)

accumuli e ritardi: i risultati dell’anno in corso sono spesso dovuti all’accumulo dei risultati di investimenti passati, e i risultati attesi dagli investimenti correnti si materializzeranno soltanto a distanza di tempo

degrado: le reazioni del mercato alle proposte dei fornitori tendono a perdere, nel tempo, dinamismo e intensità, se non continuamente sollecitate

molteplicità di fattori causali: le vendite, sia a livello di settore nel suo complesso che di singola azienda, dipendono da un complesso di fattori di diversa natura ed efficacia (ad esempio, l’investimento pubblicitario, da solo, non può produrre vendite, ma deve essere “mirato” al giusto target attraverso messaggi e mezzi appropriati, e integrato da un’adeguata presenza del prodotto sui canali distributivi)

interattività di tali fattori: ad esempio, l’immagine di marca è fortemente condizionata dalla performance aziendale sugli altri cosiddetti “fattori di successo competitivo” (qualità, prezzo, servizio, ecc.), ma a sua volta condiziona la percezione di tale performance (ad esempio, un’immagine forte e prestigiosa “anestetizza” la sensibilità della domanda di mercato al prezzo)

variabilità, instabilità e difficoltà di misurazione delle reazioni del mercato: le motivazioni e il comportamento dei consumatori sono spesso mutevoli e difficilmente prevedibili, soprattutto in presenza di mutate condizioni di contesto

molteplicità di fattori casuali: proprio le condizioni di contesto possono mutare sensibilmente a causa del verificarsi di eventi puramente casuali e difficilmente prevedibili

variabilità, instabilità e difficoltà di stima del comportamento dei concorrenti, le cui strategie e reazioni non sempre sono basate su considerazioni di carattere razionale e oggettivo: qualsiasi strategia competitiva, per quanto intelligente e ponderata, potrebbe quindi produrre scarsi risultati a fronte di reazioni della concorrenza particolarmente aggressive e altrettanto intelligenti, o addirittura incongrue e totalmente imprevedibili

specificità e diversità delle situazioni di contesto, che rendono difficili, se non spesso impossibili, generalizzazioni sufficientemente semplici di metodi e strumenti manageriali

cultura prevalentemente qualitativa dei management: soprattutto in Italia, i manager provengono spesso da studi umanistici e sono orientati e avvezzi ad analisi e valutazioni qualitative, “verbali” e inevitabilmente opinabili, piuttosto che ad approcci rigorosi e sistematici basati su dati di fatto relativamente oggettivi e quantificabili.

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A tutto ciò si aggiunga la difficoltà di elaborare stime sui mercati internazionali, ossia con riferimento a contesti geografici normalmente molto meno noti rispetto a quello “domestico”.

Utilità dei modelli e delle stime

A fronte di tale complessità delle problematiche interpretative del contesto in cui vanno prese le decisioni, i modelli logici, intesi come rappresentazioni sintetiche, semplificate e astratte della realtà (nel nostro caso, realtà di mercato e aziendale) hanno proprio l’obiettivo di identificare e descrivere le principali variabili rilevanti ai fini della previsione, il loro comportamento e le loro interrelazioni, al fine di rendere il processo decisionale relativamente più esplicito e comprensibile.

I principali vantaggi dei modelli sono sintetizzabili come segue:

costringono a chiarirsi le idee sul comportamento della realtà e la natura dei problemi, obbligando a ragionare in modo sistematico e strutturato, indipendentemente dall’esistenza o meno di dati esaustivi e affidabili

sono espliciti e “trasparenti”, soprattutto se sviluppati su foglio elettronico25, e possono essere condivisi, discussi e negoziati, al fine di un loro continuo miglioramento

rappresentano una base di conoscenze permanente, accessibile da qualsiasi interessato e trasferibile nel tempo e nello spazio, anziché essere “nascosti” e non formalizzati nella mente di pochi esperti

non si “ammalano” e non soffrono interferenze psicologico-emotive

consentono di identificare e tenere sotto controllo aspetti che richiedono analisi più approfondite: ad esempio, segnalando la necessità di raccogliere dati più attendibili e “critici” ai fini decisionali

forniscono una base logica per quantificare e misurare i fenomeni aziendali e di mercato

sono uno strumento insostituibile per il controllo dei risultati delle decisioni e per il loro aggiornamento

un loro utilizzo sistematico e formalizzato consente di arricchire nel tempo la base di conoscenze, di identificare benchmarks e best practices, di effettuare analisi statistiche, costruire casi di studio, facilitare diagnosi e rilevare tendenze.

È intuitivo che, quanto più i modelli sono articolati e complessi, tanto più necessitano (o necessiterebbero) di essere alimentati da informazioni e dati completi, aggiornati e affidabili.

Tuttavia, anche in assenza di una corretta “alimentazione”, gran parte dei vantaggi sopra elencati non viene meno: nella peggiore delle ipotesi, si avranno modelli esclusivamente alimentati da stime, che avranno comunque il pregio di essere formulate in modo organico e sistematico, nel contesto dischemi di riferimento trasparenti, leggibili e interpretabili.

Come vedremo, la necessità di formulare stime e di ricercare dati più completi e attendibili emergerà, nel caso degli esempi presentati più oltre, in continuazione (proprio a causa dell’estrema variabilità e complessità dei contesti di riferimento, nonché della normale incompletezza e genericità di gran parte dei dati disponibili per analisi a tavolino), e rischierà di dare l’errata impressione di una scarsa utilità e affidabilità dei modelli.

D’altra parte, se riflettiamo un istante, qual è l’alternativa all’uso dei modelli e delle stime che li possono alimentare, in assenza di dati oggettivi?

Dovremmo forse rinunciare a fare delle previsioni, a formulare piani e prendere delle decisioni, in attesa della manna dal cielo o di qualcuno che venga in nostro soccorso? Non prendiamo forse decisioni, più o meno importanti, tutti i santi giorni, e non intraprendiamo le azioni che ne derivano, spesso senza il supporto di valutazioni oggettive?

L’uso dei modelli e delle stime non fa altro che rendere il nostro processo di previsione e decisionale più sistematico ed esplicito e, soprattutto, meno basato su intuizioni e sensazioni del momento.

25 Come già anticipato, ne vedremo alcune esemplificazioni più oltre.

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I destinatari del nostro business plan o del nostro piano di marketing internazionale (il consiglio d’amministrazione, i potenziali finanziatori, i nostri collaboratori e venditori, noi stessi, ….) non potranno che apprezzare il fatto di poter entrare nel merito del processo decisionale da noi adottato e delle stime da noi formulate: possiamo stare certi che, a fronte di proiezioni articolate, argomentate e supportate da un approccio sistematico e coerente, sarà in ogni caso molto più difficile per chiunque azzardarsi a mettere in dubbio le nostre valutazioni e conclusioni, cosa che invece sarebbe relativamente facile se ci limitassimo, come abbiamo sempre fatto in passato, a “sparare” semplicemente un 10 o 15% in più di ricavi per l’anno a venire, non si sa bene se giustificati da una crescita del mercato, dalla sparizione di un concorrente, da un’accresciuta capacità competitiva della nostra azienda, da una crescita generalizzata dei prezzi, o da due o più di questi fattori messi insieme…

Ciò non vuol dire, ovviamente, che potremo “sparare”, anziché un’unica previsione, una serie di stime non suffragate da un minimo di approfondimento, soprattutto per quanto riguarda la valutazione dei modelli che, nel caso degli esempi che discuteremo, e tenuto conto della disponibilità (o non disponibilità) di dati oggettivi, meglio si prestano a supportare le nostre stime e a produrre conclusioni relativamente ragionevoli.

È vero che, come dicevano nel lontano 1971 due dei massimi esperti mondiali di teoria delle decisioni26, “… the effort required to build models for increasingly complex cases frequently goes up faster than the advantages to be gained vis-à-vis intuition.” … ma noi, soprattutto in Italia, non corriamo certamente il pericolo di costruire modelli troppo complessi e di sottovalutare l’intuizione, soprattutto per i seguenti motivi:

gli imprenditori e i manager hanno poca familiarità con tecniche quantitative sofisticate

alimentare modelli complessi richiede un’elevata completezza e attendibilità dei dati (quand’anche si fosse in grado di guidare una Ferrari di Formula 1, non si andrebbe lontano se al posto della benzina ci mettessimo del vino!).

In assenza di tali condizioni (elevate capacità di analisi quantitativa e dati adeguati) è quindi molto meglio:

semplificare le ipotesi sulle relazioni fra le variabili rilevanti

accontentarsi di stime sul comportamento di tali variabili, piuttosto di sforzarsi di usare dati precisi su variabili irrilevanti.

È esattamente ciò che suggeriremo di fare, usando quindi il buon senso, l’intuizione, l’esperienza e le capacità di giudizio, con i modelli più oltre descritti.

26 David Miller & Robert Starr, Operations Research, Prentice-Hall, 1971.

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7. Modellizzare la strategia: come valutare l’impatto delle caratteristiche del mercato e delle scelte strategiche sulla performance economico-finanziaria27

Come “alimentare” i modelli

Le decisioni manageriali (ovviamente includendo le decisioni strategiche) sono prese da individui (non dalle aziende!), e gli individui spesso basano le loro scelte sull’esperienza, opportunità contingenti, intuizioni e sensazioni, anziché ricercare le informazioni appropriate e/o integrare la scarsa qualità delle informazioni disponibili (in termini di rilevanza, specificità, affidabilità, precisione, completezza e tempestività) con adeguate ipotesi e stime.

Ciò che è peggio, normalmente non esplicitano il proprio processo decisionale: è quindi difficile, se non impossibile, capitalizzare le esperienze decisionali precedenti, né è possibile condividere, discutere e migliorare le loro logiche sottostanti.

I modelli su foglio elettronico discussi in questo e in altri capitoli non hanno un fondamento “scientifico”: hanno soltanto l’obiettivo di supportare, e rendere esplicito e sistematico, il processo logico adottato dal decision maker nell’analizzare un determinato contesto di business e nel prendere le decisioni che ne conseguono.

Come in parte anticipato nel capitolo precedente, indipendentemente dalla probabile cattiva qualità dei dati disponibili nella vita reale, rimane intatta l’importanza di un approccio sistematico nell’affrontare i problemi manageriali: la mancanza di dati appropriati che possano alimentare il processo decisionale dovrà essere compensata da ragionevoli ipotesi e stime, che potranno essere successivamente verificate e migliorate sulla base dei risultati effettivamente ottenuti grazie alle decisioni prese28.

Soprattutto per questa ragione, la maggioranza degli input proposti nei modelli su foglio elettronico che commenteremo più oltre rappresenta stime o ipotesi ragionevoli, che potrebbero essere sostituite da dati appropriati e specifici basati su adeguate ricerche di mercato (cosa che peraltro succede molto raramente nella vita reale!).

Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, le stime sarebbero rimpiazzabili dai risultati delle ricerche soltanto se l’obiettivo dell’analisi fosse quello di interpretare il comportamento passato o attuale del settore o del mercato. Altrimenti, se le conclusioni delle ricerche descrivessero un probabile comportamento futuro, in vista di decisioni tattiche o strategiche, si tratterebbe pur sempre di stime: le decisioni sono prese per il futuro, e dati precisi e attendibili sul futuro non esistono per definizione, specialmente nel management! 29

Nei modelli su foglio elettronico più oltre descritti, le celle evidenziate su fondo retinato chiaro identificano gli input numerici (stime, o, ove applicabile, dati reali) inseriti dal decision maker che effettua l’analisi, mentre le celle su fondo bianco o con tonalità più scure di grigio contengono le formule che sintetizzano le relazioni fra le variabili rilevanti.

Relazioni fra valore percepito, prezzo e quota di mercato

La prima parte del modello che commenteremo è più “descrittiva” che “prescrittiva”, dato che propone una specie di “istantanea” di una situazione di mercato attuale o passata: tuttavia, può essere utilizzata per prevedere una situazione futura, assumendo cambiamenti significativi nelle variabili di input.

Facciamo riferimento, in particolare, alla parte in basso a destra della figura 1.1 vista nel primo capitolo: vediamo che la quota di mercato è direttamente e positivamente condizionata dal cosiddetto pcpV,

27 Questo capitolo è tradotto e adattato da G. Gandellini, “Translation of the most relevant parts of the ‘engine of an organization’s wealth’ graphical model into simple mathematical functions entered in a spreadsheet”, dispense di supporto al corso di Strategia d’Impresa all’Università degli Studi di Roma Tre, 2006.28 Come ribadiremo anche nel capitolo 10, esistono comunque tecniche di ricerca (peraltro non utilizzate dalle aziende!) che consentono di supportare le stime con dati relativamente oggettivi e “scientifici”.29 Persino nell’ambito di discipline relativamente “scientifiche” quali la meccanica e l’elettronica, il comportamento futuro di un qualsiasi oggetto o strumento (ad esempio, la potenza generata da un motore di Formula 1) non può essere previsto con assoluta certezza e precisione.

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mentre è direttamente ma negativamente condizionata dal prezzo, che peraltro può condizionare positivamente (almeno in determinate situazioni) la percezione di valore.

Sappiamo anche che il pcpV, ossia il profilo competitivo dei fornitori (in termini di valore) percepito dal mercato, è il risultato complessivo della loro performance sui cosiddetti “fattori chiave di successo competitivo” (in breve, KSFs, o “key success factors”) che, in pratica, rappresentano i criteri adottati dai clienti nel scegliere fra fornitori alternativi e decidere l’acquisto: tali criteri ovviamente variano, in termini sia di contenuto che di importanza relativa, in funzione dei settori di attività considerati.

Nel modello su foglio elettronico estremamente semplificato rappresentato nella figura che segue traduciamo tali concetti e relazioni (con l’unica aggiunta della variabile “elasticità della domanda”) in concrete e “operative” funzioni matematiche, ipotizzando di fare riferimento al segmento di mercato “ruote industriali di piccola dimensione per applicazioni speciali nel settore dell’arredamento d’ufficio”.

Il modello si propone di mostrare come la performance di tre ipotetici concorrenti (A, B e C) in questo segmento, con riferimento ai criteri adottati dal mercato nella decisione d’acquisto, possa influenzare la “probabilità” che ogni concorrente acquisisca quota di mercato (notiamo che questo è un modello “statico”, nel senso che non prende in considerazione l’impatto potenziale sulla futura quota di posizioni di mercato pregresse, né di eventuali reazioni competitive30):

Fig. 7.1 – Relazioni fra quota di mercato, valore percepito e prezzo (=1)

A B Cprezzo ($) 10% 4,0 2,0 8,0qualità 11% 6 8 5immagine di marca 20% 5 4 8gamma prodotti 10% 7 6 7personalizzazione 24% 8 7 8servizio di consegna 25% 6 3 8valore percepito 100% 6,2 4,9 7,6prezzo ($) 13 12 15complement 0,0

48 41 50 13934,2% 29,5% 36,3% 100%

min 11max 16

fattori di successo e loro importanza per il mercato

performance di 3 concorrenti

intervallo prezzi nel settore

indicatore di "elasticità" 1,0

rapporto valore/prezzo (x 100)quote di mercato

nella parte in alto a sinistra della figura vediamo l’elenco dei KSFs e la loro importanza relativa stimata per il mercato (un’altra ipotesi semplificatrice è che tutti questi KSFs siano indipendenti l’uno dall’altro31): il “prezzo” è incluso in questo elenco in qualità di “contributore” positivo al valore percepito dal mercato (vedi ulteriori commenti più oltre)

la matrice nella parte in alto a destra della figura contiene una valutazione quantitativa, su una scala da 0 a 10, della performance dei concorrenti in relazione a tali fattori: come si può notare, le valutazioni numeriche sono inserite come input, con l’eccezione della performance sul prezzo (come contributore positivo al valore percepito), che è il risultato di una standardizzazione, sempre su una scala da 0 a 10, dei prezzi effettivi ($) praticati dai concorrenti e riportati nella seconda riga sotto la matrice32

30 Tuttavia, questa limitazione può essere facilmente rimossa includendo le “quote di mercato” o il “profilo competitivo precedente” come componenti del valore, e collegando insieme modelli multipli, ognuno rappresentando i risultati ottenuti alla fine di un determinato periodo di pianificazione (normalmente, l’anno).31 Ciò significa che non vi sono sinergie potenziali fra i vari fattori, e che la performance di un concorrente su uno di essi non influenza la sua performance su un altro fattore. Ciò non è necessariamente vero nella vita reale (per esempio, un buon livello di servizio può influenzare positivamente l’immagine di marca dell’azienda), ma questa restrizione può essere rimossa con un modello relativamente più sofisticato.32 La standardizzazione è necessaria, al fine di calcolare un “valore percepito” medio ponderato che includa il prezzo come componente: a questo fine, i livelli di prezzo effettivi devono essere espressi con la medesima unità di misura adottata per le altre componenti del valore. Il “trucco” è confrontare i livelli di prezzo effettivi dei concorrenti all’intervallo

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sulla base di tali valutazioni (peso relativo dei KSFs e performance dei concorrenti), possiamo calcolare il valore percepito complessivo (pcpV), ossia la competitività di ogni concorrente in termini di valore (vedi la seconda riga sotto la matrice), che non è altro che la media ponderata della sua performance sui diversi fattori:

pcpV= [(f1 * w1) + (f2 * w2) + … + (fn * wn)]/(w1 + w2 + … +wn)

ove i simboli f1, f2,…, fn rappresentano i “voti” meritati dai concorrenti in relazione ai diversi fattori, e w1, w2,…, wn il peso relativo dei medesimi fattori33

sulla base della (ragionevole) ipotesi che il mercato scelga un fornitore in funzione di un confronto fra i rapporti valore/prezzo proposti dai fornitori disponibili e raggiungibili, possiamo quindi calcolare tali rapporti per i tre concorrenti (vedi la prima riga nella parte inferiore della figura: il rapporto è moltiplicato per 100 al fine di eliminare i decimali): in pratica, il significato di tali rapporti può essere interpretato come “la quantità di valore offerta da ogni fornitore per un dollaro”

può quindi essere ragionevole ipotizzare che la proporzione fra il rapporto valore/prezzo proposto da un qualsiasi fornitore e la somma dei rapporti valore/prezzo proposti da tutti i fornitori nel settore di interesse rappresenti la probabilità, per un qualsiasi fornitore, di acquisire una quota corrispondente della domanda di mercato (seconda riga nella parte inferiore della figura)34.

Tuttavia, questo ragionamento presuppone implicitamente che il mercato sia ugualmente sensibile al valore e al prezzo (un incremento di prezzo può essere compensato da un aumento “proporzionale” del valore, e viceversa), ma ciò non è detto avvenga in molte situazioni di mercato:

in settori di attività relativamente più sensibili al costo, il mercato potrebbe non essere disposto a pagare un prezzo elevato, anche se il valore offerto fosse proporzionalmente elevato

in settori sensibili allo “status symbol”, il mercato potrebbe non essere disposto ad accettare un valore modesto, anche se il prezzo d’acquisto fosse particolarmente basso.

Per prendere in considerazione tale problema, includiamo quindi, nel rapporto valore/prezzo, la considerazione della “elasticità della domanda al prezzo”, aggiungendo una specie di “indicatore di elasticità” (), per semplificare, come esponente del denominatore della frazione (in questo modo, un’elasticità maggiore di 1 incrementerà più che proporzionalmente il valore del denominatore riducendo quindi il rapporto V/P): V/P

Nella figura 7.1, è uguale a 1 (elasticità neutra), e ipotizziamo quindi che il mercato sia sensibile in uguale misura al valore e al prezzo35.

Tuttavia, nel nostro settore “ruote industriali di piccola dimensione per applicazioni speciali nel settore dell’arredamento d’ufficio”, potrebbe darsi il caso che il mercato fosse relativamente più sensibile al valore percepito (domanda inelastica: <1), e quindi, a parità di altre condizioni, i rapporti valore/prezzo proposti dai concorrenti potrebbero cambiare leggermente a favore del concorrente C (figura 7.2).

di prezzi riscontrato nel settore (righe in basso a destra della figura), ponendo il prezzo minimo uguale a 0 e il prezzo massimo uguale a 10. Una spiegazione più dettagliata della procedura di standardizzazione è riportata nella parte successiva di questo capitolo.33 In questo caso specifico, dividere per la somma dei pesi sarebbe ridondante, dato che tali pesi sono espressi in percentuale, ma potrebbe essere necessario se la somma dei pesi fosse diversa da 1.34 Se il mercato disponesse di “informazione perfetta” riguardo alle offerte disponibili, la sua scelta razionale sarebbe evidentemente quella di privilegiare soltanto il fornitore migliore (il concorrente C, nel nostro caso), ipotizzando anche “costi di transazione” comparabili per raggiungere i vari fornitori: tuttavia, tali condizioni (informazione perfetta, razionalità ed equivalenza o assenza di costi di transazione) è difficile che si verifichino tutte insieme nella vita reale.35 È noto che un vero indicatore di “elasticità” può variare fra concorrente e concorrente e in funzione dei livelli di prezzo iniziale considerati. Tuttavia, al fine di mostrare che il prezzo può essere più o meno importante del valore in contesti di mercato specifici, e che alcuni concorrenti potrebbero essere avvantaggiati o penalizzati da questo aspetto, pensiamo che l’uso di questo semplice indicatore possa facilmente “rendere l’idea”, senza troppe sofisticazioni analitiche.

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40

Fig. 7.2 – Relazioni fra quota di mercato, valore percepito e prezzo (<1)

A B Cprezzo ($) 10% 4,0 2,0 8,0qualità 11% 6 8 5immagine di marca 20% 5 4 8gamma prodotti 10% 7 6 7personalizzazione 24% 8 7 8servizio di consegna 25% 6 3 8valore percepito 100% 6,2 4,9 7,6prezzo ($) 13 12 15complement 0,0

79 67 87 23334,0% 28,8% 37,2% 100%

min 11max 16

fattori di successo e loro importanza per il mercato

performance di 3 concorrenti

intervallo prezzi nel settore

indicatore di "elasticità" 0,8

rapporto valore/prezzo (x 100)quote di mercato

Otterremmo un risultato diverso con un’elasticità maggiore di 1 (ad esempio, 1,2): gli incrementi di quota di mercato andrebbero a favore dei concorrenti A e B.

Esistono modelli più sofisticati che descrivono in modo più realistico lo sviluppo delle quote di mercato in un dato settore di attività (ossia, riproducendo le interazioni uno-a-uno fra acquirenti e fornitori, anziché ripartendo una data domanda di mercato fra i concorrenti, e calcolando le preferenze del mercato in termini di “distanze euclidee” in uno spazio multidimensionale – rappresentato dai KFSs – fra le aspettative individuali e i profili delle diverse offerte), o che formalizzano in modo più preciso la relazione contraddittoria fra il prezzo come denominatore del rapporto valore/prezzo (più elevato è il prezzo, minore è la domanda) e il suo contributo positivo alla percezione di valore (più è elevato il prezzo, maggiore è il valore percepito).

Tuttavia, ai nostri fini (mostrare in pratica le relazioni logiche fra alcune variabili rilevanti), riteniamo che anche un modello “semplicistico” come quello appena descritto possa essere sufficiente.

Quale potrebbe essere l’utilizzazione pratica di questo modello per un qualsiasi concorrente (ad esempio, il concorrente A)?

Potrebbe, in particolare:

identificare debolezze competitive in aree che sono relativamente più importanti per il mercato (nel caso del concorrente A, immagine di marca e servizio), al fine di focalizzare l’impiego delle risorse disponibili su tali aree

valutare la misura in cui un miglioramento dei “voti” dell’azienda in tali aree potrebbe migliorare la performance competitiva complessiva.

Questo tema sarà l’oggetto delle considerazioni che seguono.

Relazioni fra investimenti (“costi”) e valore percepito (“pcpV”)

Nelle pagine precedenti abbiamo descritto le relazioni fra pcpV, prezzo e quota di mercato, inserendo i “voti” di tre ipotetici concorrenti con riferimento ai KSFs, insieme ai prezzi da essi praticati, come input del modello (essendo l’output intermedio rappresentato dal pcpV, e l’output finale rappresentato dalla quota di mercato).

Vediamo ora una possibile modalità di descrizione di come i “voti” e, quindi, il pcpV di un dato concorrente “A” possa essere influenzato dalle sue decisioni strategiche in termini di investimenti (identificati come “costi” nella figura 1.1): in questo caso, gli input saranno rappresentati da stime e decisioni di investimento, e l’output sarà rappresentato dai “voti” dei concorrenti con riferimento ai vari KSFs e dal loro profilo competitivo complessivo (il pcpV).

L’obiettivo di questa parte del modello è quindi più “prescrittivo” che “descrittivo”, dato che si propone di identificare e valutare scelte di investimento alternative, al fine di supportare la scelta dell’alternativa migliore.

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Da un punto di vista logico, le decisioni di investimento (entità delle risorse da impiegare e loro distribuzione) dovrebbero essere effettuate al fine di raggiungere un determinato obiettivo (nel nostro caso, un dato livello di pcpV): tuttavia, la nostra finalità in questa sede è quella di affrontare in modo particolare il tema della “allocazione” (distribuzione) delle risorse, vale a dire il problema di come destinare un determinato livello di risorse limitate a diversi strumenti aziendali, al fine di massimizzare l’obiettivo di pcpV.

Una volta compresi la logica e i criteri sottostanti la decisione, nulla ci impedirà di affrontare il problema al contrario, ossia di definire un obiettivo complessivo (un dato livello di pcpV) e decidere sia l’entità che la ripartizione delle risorse che consentono di raggiungerlo.

1° step

Ipotizziamo, per semplicità, che:

le uniche componenti del pcpV, contrariamente a quanto prospettato nelle figure precedenti, siano la qualità, l’immagine aziendale e il servizio, e che la loro importanza relativa per il mercato sia rispettivamente del 20, 35 e 45%: questi “pesi” rappresentano un input del modello (stime), già considerati (anche se in relazione a un diverso insieme di KSFs) nei modelli sopra visti

gli unici strumenti disponibili per migliorare la performance competitiva dell’azienda con riferimento a tali KSFs siano quelli elencati nella figura che segue: ricerca e sviluppo, pubblicità, forza vendita, materie prime e componenti, logistica e margini concessi ai canali distributivi

sia i KSFs e gli strumenti rappresentino variabili “indipendenti”, ossia non si influenzino a vicenda, e non vi siano effetti sinergici fra loro.

Le prime due restrizioni possono agevolmente essere rimosse aggiungendo semplicemente altri KSFs e strumenti, la terza può essere rimossa con un’integrazione relativamente semplice del modello, ma i criteri base e la metodologia per affrontare il problema della allocazione delle risorse non cambierebbero.

Altre restrizioni semplificatrici saranno introdotte più oltre.

Fig. 7.3 – Impatto stimato degli strumenti disponibili sui KSFs e importanza relativa di questi ultimi per il mercato

qualità immagine servizio totale20% 35% 45% 100%

ricerca & sviluppo K $ 60%pubblicità K $ 70% 15%forza vendita % 30% 30%materie prime/componenti $/kg. 40%logistica K $ 30%margini ai canali % 25%

100% 100% 100%

unità di misura

KSFs

impatto stimato degli strumenti sui KSFs

strumenti (risorse disponibili)

importanza relativa dei KSFs per il mercato --------------------------->

Riteniamo che, ancora in assenza di dati oggettivi, sia ragionevole attendersi che un manager possa (e debba) formulare una valutazione esplicita dell’impatto relativo dei diversi strumenti elencati in figura su ognuno dei KSFs: i pesi percentuali inseriti nelle colonne nella parte destra della figura rappresentano quindi dei nuovi input del modello (stime) e, per ogni colonna, la loro somma è pari al 100%, dato che, per definizione, non disponiamo di altri strumenti (vedi sopra).

Possiamo facilmente vedere che, come nella vita reale, un singolo strumento può avere un impatto su più KFSs, e anche che un singolo KSF può essere gestito con (o influenzato da) più strumenti. Èaltrettanto ovvio che, per un determinato strumento, il medesimo livello di investimento può avere un impatto, contemporaneamente, su più KFSs (vale a dire, non è necessario “moltiplicare” l’investimento per il numero di KFSs che si desidera gestire).

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Nel semplice esempio qui proposto, vediamo che la qualità e l’immagine sono entrambe influenzate da due diversi strumenti, mentre il livello di servizio è gestito da quattro diversi strumenti (due di questi influenzano anche l’immagine).

Ancora una volta, enfatizziamo il fatto che questo tipo di modelli non ha un fondamento “scientifico”: ha soltanto l’obiettivo di supportare, rendendolo esplicito e sistematico, il processo logico adottato dal decisore nell’analizzare un determinato contesto di mercato e nel prendere le decisioni che ne conseguono.

2° step

Prima di decidere l’entità delle risorse che “dovrebbero” essere destinate ai diversi strumenti al fine di massimizzare il profilo competitivo dell’azienda su qualità, immagine e servizio, dati certi vincoli in termini di disponibilità di budget, dobbiamo stimare, almeno approssimativamente, quante risorse “potrebbero” essere destinate a ogni strumento.

Il nostro suggerimento è quello di identificare, per ogni strumento (ad esempio, ricerca e sviluppo – R&D), la “massa critica” o “soglia” di investimento al di sotto della quale non otterremmo alcun risultato significativo o “visibile”, nonché il “tetto” di investimento oltre il quale i risultati potrebbero ulteriormente migliorare, ma a un tasso decrescente (sprecheremmo quindi risorse: vedi quanto detto sopra a proposito della “curva a S” – figura 1.2).

Anche a questo proposito, riteniamo che manager professionalmente preparati dovrebbero essere in grado di formulare tali valutazioni sulla base dell’esperienza nel gestire gli strumenti di propria competenza, la conoscenza del settore e dei concorrenti, nonché il semplice buon senso.

Le valutazioni formulate sul minimo e massimo livello “ragionevole” di investimento36 nel settore dei “componenti industriali” sopra descritto, da parte di un ipotetico manager, sono sintetizzate nella parte a destra della figura che segue: questi sono gli ultimi input di questa parte del modello, e rappresentano le stime formulate dal decision maker.

Possiamo vedere che questi “investimenti” sono raggruppabili nelle seguenti categorie:

Fig. 7.4 – Stima dei livelli di investimento min-max considerati “ragionevoli”

aualità immagine servizio totale20% 35% 45% 100%

ricerca & sviluppo K $ 60% 500 3000pubblicità K $ 70% 15% 50 500forza vendita % 30% 30% 5 12materie prime/comp. $/kg. 40% 2 5logistica K $ 30% 50 100margini ai canali % 25% 20 45

100% 100% 100% tot. 600 3600(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.

livelli di investimento tipici nel settore

min maxstrumenti (risorse disponibili)

importanza relativa dei KSFs per il mercato ------------>

unità di misura

KSFs

impatto stimato degli strumenti sui KSFs

costi variabili, che ovviamente saranno pagati dalle vendite: le provvigioni pagate alla forza vendita, le materie prime e i componenti ($ per chilogrammo37) e i margini percentuali sul prezzo finale di vendita concessi ai canali distributivi (questi sono, di fatto, costi opportunità o “virtuali”, dato che non vengono sottratti ai ricavi, ma riducono soltanto l’ammontare dei ricavi che si sarebbe potuto realizzare vendendo direttamente all’utilizzatore finale)

36 Da un punto di vista strategico, chiamiamo l’ammontare di risorse assegnate a questi strumenti “investimenti”, anche se di fatto rappresentano dei costi di periodo (vedi note successive).37 Per semplicità, assumiamo che i costi variabili di produzione siano limitati alle materie prime e ai componenti, ma ovviamente ciò non è vero nella vita reale.

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costi fissi (migliaia di dollari: K$), che verranno pagati all’inizio dell’anno o durante l’anno, indipendentemente dall’entità delle vendite, da un determinato budget38: ricerca e sviluppo (ossia, manutenzione e aggiornamento di impianti e attrezzature, stipendi), pubblicità (fiere e convegni, riviste di settore, cataloghi e letteratura tecnica), e logistica ( affitto di magazzini, stipendi, manutenzione dei mezzi di trasporto).

3° step

Ora dobbiamo decidere quanto “spendere” nei diversi strumenti al fine di massimizzare il profilo competitivo dell’azienda su qualità, immagine e servizio (e, quindi, il suo pcpV complessivo), sulla base dell’analisi di cui sopra e tenendo conto di uno specifico vincolo di budget.

È più facile affrontare questo problema se focalizziamo l’attenzione sui costi fissi pagati dal budget, assumendo di poter spendere il massimo nei costi variabili (pagati dalle vendite). Questa restrizione sarà facilmente rimossa più oltre.

Inoltre, per rendere il ragionamento che stiamo per fare più chiaro (?!), assumiamo, per ora, che l’unica componente del valore percepito per il mercato sia la qualità: dalla figura di cui sopra sappiamo che gli unici strumenti disponibili per migliorare la qualità sono la ricerca e sviluppo (importanza relativa del 60%) e le materie prime e i componenti (importanza relativa del 40%).

Avendo ipotizzato di poter spendere il massimo ragionevole in materie prime e componenti (i costi variabili),dobbiamo quindi stabilire soltanto quanto spendere in ricerca e sviluppo.

Quale sarà l’impatto della nostra decisione sulla qualità?

Ovviamente, se potessimo spendere il massimo ragionevole anche in ricerca e sviluppo, la nostra performance in termini di qualità sarebbe la migliore possibile, sulla base delle ipotesi sull’efficacia degli strumenti considerati e dell’assunto che, per migliorare la qualità, siano disponibili soltanto questi strumenti.

Tuttavia, come stimare l’impatto congiunto sulla qualità delle materie prime e componenti, e della ricerca e sviluppo, se, per vincoli di budget, non possiamo spendere il massimo in ricerca e sviluppo (vedremo facilmente che questo problema è significativo quando considereremo anche gli altri KSFs e gli altri strumenti)?

Dato che l’investimento in ricerca e sviluppo è espresso in K$ e che il costo delle materie prime è espresso in $ per chilogrammo39, al fine di valutare l’impatto “congiunto” di questi “investimenti”, tenuto conto della loro importanza relativa per la qualità, dobbiamo utilizzare unità di misura omogenee.

La soluzione è quella di tradurre e standardizzare tutti i livelli di investimento in una scala o in un indicatore omogenei: per esempio, assegnando convenzionalmente il valore 1 (che consentirebbe di ottenere il risultato minimo possibile sul KSF di interesse) al minimo livello di investimento in ogni strumento, e il valore 10 (che consentirebbe di ottenere la migliore performance sul KSF di interesse) al massimo livello di investimento in ogni strumento40.

Se quindi consideriamo, come esempio, l’investimento in ricerca e sviluppo, la semplice formula che standardizza tale investimento su una scala da 1 a 10 è graficamente rappresentata nella figura alla pagina seguente.

38 Sempre per semplicità, assumiamo che anche questi costi saranno pagati, dal budget, durante il periodo di pianificazione (l’anno), in modo da evitare la complicazione dell’ammortamento dell’attivo: tuttavia, la logica sottostante le decisioni di destinazione delle risorse non cambia.39 Anche se i valori fossero espressi con le stesse unità di misura (ad esempio, K$), l’intervallo di variazione di tali valori e le relative scale potrebbero essere significativamente diversi: nel nostro esempio, $ 100.000 spesi in logistica (il “massimo” livello ragionevole nel settore di interesse) non avrebbero lo stesso peso di $ 100.000 spesi in pubblicità (importo vicino al livello “minimo”).40 Potrebbe essere utilizzato qualsiasi tipo di scala numerica: da 1 a 5, da 10 a 100, ecc. In ogni caso, e almeno nella situazione qui descritta, dovremmo assegnare un valore positivo anche all’investimento minimo, altrimenti non avrebbe senso spendere neppure tale ammontare di risorse: tuttavia, anche questa restrizione potrebbe essere rimossa in una versione relativamente più complessa del modello, in cui il manager potrebbe decidere addirittura di non investire in determinati strumenti, focalizzandosi soltanto su strumenti selezionati.

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Come possiamo vedere dal grafico, la curva che va dall’angolo in basso a sinistra (intersezione degli assi) all’angolo in alto a destra ricorda una curva a S (in questo caso, le “code” a sinistra e a destra non sono così evidenti, ma potrebbero essere molto più lunghe e pronunciate nella realtà) che descrive la relazione fra gli investimenti effettivi in ricerca e sviluppo e il loro livello relativo sulla scala standardizzata. Data la difficoltà di stimare i parametri di una “vera” curva a S, il nostro (legittimo) suggerimento è quello di approssimare qualsiasi curva che possa essere stimata nella vita reale con una linea retta (la retta con maggiore spessore nel grafico) fra i due punti di flesso (nei quali la curva a S cambia direzione).

Le coordinate di questi due punti (A e B) corrispondono, rispettivamente, al minimo e massimo ammontare dell’investimento (asse delle X) e ai livelli relativi sulla scala standardizzata (asse delle Y): A (500;1) e B (3.000;10).

In tal modo, otterremo una funzione lineare, e sarà molto più facile standardizzare su una scala omogenea tutti gli importi investiti nei vari strumenti.

Fig. 7.5 – Standardizzazione su scala 1-10 dei livelli di investimento in R&D

1730500 3000

10

1

5.4

1230

2500

investmentsin R&D (k$)

00

standardizedinvestmentlevel (index)

9

4.4

A

B

In pratica, nell’esempio della ricerca e sviluppo descritto in figura, l’ampiezza dell’intervallo di variazione dell’investimento fra i “ragionevoli” limiti minimo e massimo è di K$ 2.500 (3.000 – 500), mentre il livello di spesa aggiuntiva in ricerca e sviluppo rispetto al minimo, avendo deciso di investire K$ 1.730, è pari a K$ 1.230 (1.730 – 500): dato che K$ 500 corrispondono a un livello pari a 1 sulla scala standardizzata, il corrispondente livello di investimento in ricerca e sviluppo sulla stessa scala è di 5,4. Infatti:

il rapporto fra l’importo aggiuntivo rispetto al minimo e l’intervallo fra massimo e minimo (1.230/2.500) è di circa il 49%

moltiplicando questa percentuale per 9 (l’intervallo corrispondente fra 1 e 10 sulla scala standardizzata), otteniamo circa 4,4

a questo 4,4 dobbiamo aggiungere 1, che rappresenta il livello, sulla scala standardizzata, ottenibile con il minimo investimento di $ 500: 4,4 + 1 = 5,4.

Se chiamiamo “X” l’ammontare di denaro speso in un determinato strumento (o qualsiasi altro livello di risorse investite in un dato strumento, come ad esempio la provvigione per i venditori), il suo valore standardizzato sarà calcolato con la seguente formula elementare:

xstd = (x – xmin)/(xmax – xmin)*9+1

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Tornando alla stima dell’impatto congiunto sulla qualità dei nostri investimenti in materie prime e componenti, e R&D, avendo speso il massimo nel primo strumento (sulla base della convenzione adottata, un indice di 10 sulla scala standardizzata), ma soltanto K$ 1.730 nel secondo (un indice di 5,4 – vedi sopra), potremo ponderare tali indici in funzione dell’importanza relativa degli strumenti relativi (rispettivamente, 40 e 60%) per il miglioramento della qualità.

L’indice ponderato di efficacia dei nostri investimenti in qualità (Qi) e, quindi, la nostra performance su questo KSF, potrà essere calcolato come segue (valori arrotondati):

Qi = 10*0.4 + 5.4*0.6 = 7.3

A questo punto, il medesimo approccio può essere adottato per tutti gli altri strumenti e KSFs (vedi la figura che segue), assumendo che il massimo budget complessivo spendibile in costi fissi sia soltanto pari a K$ 2.160 (manteniamo l’ipotesi di spendere il massimo in tutti i costi variabili).

Fig. 7.6 – Impatto stimato sul pcpV degli investimenti nei diversi strumenti

qualità immag. servizio totale20% 35% 45% 100%

ricerca & sviluppo K $ 60% 500 3000 1730 5,4pubblicità K $ 70% 15% 50 500 350 7,0forza vendita % 30% 30% 5 12 12 10,0materie prime/comp. $/kg. 40% 2 5 5 10,0logistica K $ 30% 50 100 80 6,4margini ai canali % 25% 20 45 45 10,0

100% 100% 100% tot. 600 3600 2160(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.

7,3 7,9 8,5

effettiveindice (1-

10)unità di misura

KSFs

impatto stimato degli strumenti sui KSFs

2160pcpV (scala 1-10) (dipende dalle decisioni di investimento) 8,0

livelli di investimento tipici nel settore (1)

min maxstrumenti (risorse disponibili)

importanza relativa dei KSFs per il mercato ------------>

max budget disponibile per i costi

fissi ---->

decisioni di "investimento" (1)

Come possiamo vedere, nella prima colonna a destra della figura, tutte le decisioni (“investimenti effettivi”) elencate nella colonna adiacente sono tradotte in indici sulla scala 1-10: queste decisioni (non più “stime”) rappresentano l’ultimo input del modello, insieme alla decisione sul vincolo di budget (cella in basso a destra della figura).

È facile identificare gli indici di 5,4 e 10,0, che corrispondono alle decisioni su R&D e materie prime e componenti e producono un indice di performance (“voto”) di 7,3 in fondo alla colonna della qualità (riga alla base della figura): per inciso, il foglio elettronico moltiplica tutti gli indici relativi al livello di investimento per tutti i pesi percentuali della colonna sotto “qualità”, ma ovviamente soltanto i pesi degli strumenti appena menzionati vengono presi in considerazione, dato che gli altri strumenti non hanno un’influenza significativa (almeno in questo esempio elementare) sulla qualità percepita.

Esattamente gli stessi calcoli vengono effettuati per gli altri KSFs (immagine e servizio): la colonna degli indici di investimento viene moltiplicata per i “pesi” nelle colonne corrispondenti, producendo un “voto” medio ponderato per ogni KSF (rispettivamente, 7,9 e 8,5 per immagine e servizio).

Avendo così ottenuto una stima della performance competitiva con riferimento alle tre componenti rilevanti del valore percepito dal mercato, possiamo calcolare il pcpV complessivo dell’azienda, in funzione dell’importanza relativa delle tre componenti per il mercato di interesse (riga in alto nella figura): in questo caso, il pcpV medio ponderato è quindi pari a 8,0.

Possiamo ottenere un risultato migliore, con il medesimo budget?

Sempre ipotizzando di spendere il massimo su tutti i costi variabili (ma tale ipotesi potrebbe ovviamente essere incompatibile con l’obiettivo di redditività, come vedremo ben presto), possiamo tentare di identificare altre combinazioni di investimento nei costi fissi (dato il vincolo di budget) che possano migliorare il pcpV.

Qui abbiamo due alternative:

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o adottiamo un approccio per tentativi (cosiddetto “trial & error”, talvolta scherzosamente chiamato “error & error”!), che consiste nel provare molte combinazioni differenti fino a trovare la migliore, dato che, apparentemente, non può essere superata con ulteriori tentativi: ciò è fattibile quando il numero di combinazioni possibili è relativamente ridotto, come nel caso sopra discusso, ma può rivelarsi praticamente impossibile in casi più complessi

oppure ricorriamo alla “programmazione lineare”, uno strumento della ricerca operativa (ben noto agli ingegneri) che affronta in modo specifico problemi di ottimizzazione in presenza di obiettivi e vincoli ben definiti, ove l’uso alternativo di risorse limitate sia collegabile al raggiungimento dell’obiettivo tramite funzioni lineari (come nel nostro caso). Il foglio elettronico Excel calcola facilmente la routine di programmazione lineare con il cosiddetto “risolutore”:

si specifica la cella che dovrà contenere il valore dell’obiettivo da massimizzare (nel nostro caso, l’indice pcpV): ovviamente, tale cella conterrà la formula che calcola il valore dell’obiettivo stesso

si specifica la cella (o l’intervallo di celle) che conterrà (o conterranno) gli input (nel nostro caso, le decisioni su quanto investire nei diversi strumenti)

infine si specificano i vincoli che devono essere rispettati (nel nostro caso, i minimi e massimi livelli di investimento per ogni strumento, nonché il budget disponibile), e il “risolutore” immediatamente calcola la migliore combinazione di investimenti che massimizza l’obiettivo.

In altri casi, la routine di programmazione lineare può essere utilizzata per minimizzare un obiettivo (ad esempio, i costi) o per ottenere un determinato valore come obiettivo: ad esempio, nel nostro caso, invece di massimizzare l’obiettivo di pcpV rispettando un determinato vincolo di budget, potremmo valutare quanto dovremmo spendere in ogni strumento per ottenere un dato valore di pcpV, in funzione delle nostre stime sui ragionevoli intervalli di variabilità degli investimenti.

In linea di principio, quest’ultimo approccio sarebbe il modo più appropriato per affrontare il problema del raggiungimento degli obiettivi (v. quanto detto all’inizio di questo capitolo), ma potremmo scoprire che l’investimento complessivo necessario è eccessivo rispetto alle risorse disponibili.

In ogni caso, data la disponibilità del “risolutore”, vediamo se è possibile migliorare il pcpV con il medesimo budget sopra indicato (K$ 2.160). Il risultato abbastanza sorprendente di questo approccio è sintetizzato nella figura che segue (ma attenzione: talvolta càpita che, in modo assolutamente inatteso e inesplicabile, la routine di Excel non funzioni41).

Fig. 7.7 – Miglioramento dell’impatto sul pcpV grazie a una diversa distribuzione degli investimenti

qualità immag. servizio totale20% 35% 45% 100%

ricerca & sviluppo K $ 60% 500 3000 1560 4,8pubblicità K $ 70% 15% 50 500 500 10,0forza vendita % 30% 30% 5 12 12 10,0materie prime/comp. $/kg. 40% 2 5 5 10,0logistica K $ 30% 50 100 100 10,0margini ai canali % 25% 20 45 45 10,0

100% 100% 100% tot. 600 3600 2160(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.

6,9 10,0 10,0 2160pcpV (scala 1-10) (dipende dalle decisioni di investimento) 9,4

livelli di investimento tipici nel settore (1)

min maxstrumenti (risorse disponibili)

importanza relativa dei KSFs per il mercato ---->

max budget disponibile per i costi

fissi ---->

decisioni di "investimento" (1)

effettiveindice (1-

10)unità di misura

KSFs

impatto stimato degli strumenti sui KSFs

41 Al fine di ridurre il rischio di sgradevoli sorprese, è consigliabile esprimere anche i valori percentuali con il formato “numero”: ad esempio, 15%=15 (vedi la parte destra della figura che contiene l’indicazione dei livelli di investimento).

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Possiamo facilmente vedere che il nuovo pcpV è molto vicino al massimo teorico di 10, e che, al fine di ottenere questo risultato rispetto al precedente, è stato sufficiente incrementare l’investimento in pubblicità e logistica (che hanno un impatto significativo su componenti importanti del valore) e ridurre di conseguenza (ma in modo minore, relativamente parlando) l’investimento in R&D (che ha un impatto significativo su una componente del valore che, tuttavia, è relativamente meno importante per il mercato).

In effetti, vediamo che, con gli stessi soldi, l’azienda ottiene il massimo risultato su immagine e servizio (10,0 in rapporto a 7,9 e 8,5, rispettivamente, con la soluzione precedente), e un risultato leggermente inferiore sulla qualità (6,9 rispetto a 7,3): data la chiara preferenza del mercato per immagine e servizio (peso complessivo dell’80%), questa performance si traduce in un pcpV stimato molto migliore del precedente (+18%).

Chiudiamo il cerchio fra investimenti, pcpV, rapporti Valore/Prezzo, quota di mercato, domanda di mercato, e contribuzione

Finora abbiamo supposto di poter spendere il massimo in tutte le risorse esprimibili in termini di costi variabili, usando nel modo migliore il budget disponibile per i costi fissi, con l’obiettivo di massimizzare il pcpV e quindi, a parità di altre condizioni (in particolare, a parità di prezzo), la quota di mercato.

Tuttavia, siamo sicuri che questo sia il modo migliore per guadagnare?

Se l’obiettivo è la redditività, piuttosto che la quota di mercato, dovremmo probabilmente riconsiderare, almeno in una certa misura, le decisioni di investimento sopra descritte.

Torniamo alla situazione in cui operano tre concorrenti (vedi le figure 7.1 e 7.2 più sopra) e assumiamo per ora, ancora per semplicità, che:

il concorrente A, investendo come descritto nella figura 7.7, abbia ottenuto un pcpV di 9,4

anche i concorrenti B e C abbiano migliorato il loro pcpV, ottenendo rispettivamente 7,5 e 8,0

i prezzi praticati dai concorrenti siano costanti (sempre per semplificare, non approfondiamo in questa sede il tema della relazione fra prezzo, quota e contribuzione, a un dato livello di pcpV)

la dimensione del mercato sia di 8.000.000 di unità, e non venga influenzata significativamente dagli investimenti dei concorrenti (freccia pcpV --> mercato nella figura 1.1).

Sulla base di queste ipotesi, e dei dati sopra visti, saremo quindi in grado di considerare l’impatto finale delle decisioni del concorrente A sul suo conto economico (in particolare, la contribuzione).

Questa situazione è descritta nella figura seguente, in cui possiamo facilmente vedere che, con un pcpV di 9,4, la quota di mercato è del 38,3% e la contribuzione è circa $ 1.795.000 (angolo in basso a destra della figura).

Tuttavia, se l’obiettivo del concorrente fosse quello di massimizzare la contribuzione, con il “risolutore” (o anche con poche simulazioni manuali what-if) potrebbe scoprire che, a parità di altre condizioni, la riduzione del pcpV a 7,2 e la diminuzione corrispondente della quota di mercato a 32,2% produrrebbe una contribuzione stimata di $ 17.326.000 (vedi la figura 7.9 in fondo a questo capitolo), circa dieci volte tanto quella ottenibile con la massimizzazione della quota di mercato (grazie a una drastica riduzione degli investimenti in ricerca e sviluppo – un risparmio di $ 1.060.000 – margini ai canali e materie prime, ma mantenendo il massimo investimento in forza vendita)!

In pratica, e osservando nuovamente la figura 7.8, il possibile obiettivo di massimizzare la quota di mercato (da 32,2 a 38,3%) “costerebbe” all’azienda più di $ 2.500.000 per ogni punto di quota: (17.326–1.795)/(38,3–32,2).

Ovviamente, come sopra anticipato, questo modello soffre di alcune serie limitazioni, dato che non prende in considerazione:

le potenziali sinergie e interazioni fra strumenti42: per esempio, elevati margini ai canali potrebbero facilitare il lavoro (e, quindi, l’efficacia) della forza vendita, e viceversa nel caso opposto

42 Tuttavia, questa limitazione potrebbe facilmente essere eliminata con un algoritmo che considerasse l’interazione fra strumenti: nel nostro caso, vedremmo subito che un investimento minimo in alcuni di essi non sarebbe molto sensato.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

48

Fig. 7.8 – Quota di mercato e contribuzione associate a un pcpV di 9,4

qualità immag. servizio totale20% 35% 45% 100%

ricerca & sviluppo K $ 60% 500 3000 1560 4,8pubblicità K $ 70% 15% 50 500 500 10,0forza vendita % 30% 30% 5 12 12 10,0materie prime/comp. $/kg. 40% 2 5 5 10,0logistica K $ 30% 50 100 100 10,0margini ai canali % 25% 20 45 45 10,0

100% 100% 100% tot. 600 3600 2160(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.

6,9 10,0 10,0

elasticità della domanda al prezzo 0,8 conto economico concorrente A (K$)

profili competitivi pcpV prezzo V/P e quote vendite (milioni di unità) 3,1 - concorrente A 9,4 13 120 38,3% fatturato virtuale 39.794 - concorrente B 7,5 12 103 32,6% - margini ai canali 17.908 - concorrente C 8,0 15 92 29,1% fatturato effettivo 21.887dimensione mercato (vendite totali - milioni di unità) 8,0 - costi variabili 17.932

1° margine di contribuzione 3.955 - costi fissi 2.1602° margine di contribuzione 1.795

effettiveindice (1-

10)unità di misura

KSFs

impatto stimato degli strumenti sui KSFs

2160pcpV (scala 1-10) (dipende dalle decisioni di investimento)

9,4

livelli di investimento tipici nel settore (1)

min maxstrumenti (risorse disponibili)

importanza relativa dei KSFs per il mercato ---->

max budget disponibile per i costi

fissi ---->

decisioni di "investimento" (1)

gli effetti “cumulati” degli investimenti nel tempo, né la potenziale accelerazione dei risultati di mercato grazie alle quote di mercato acquisite in periodi precedenti (si tratta infatti di un modello statico)

la dinamica dei cambiamenti di prezzo

il comportamento non lineare delle relazioni di interesse, ….

Fig. 7.9 – Quota di mercato e contribuzione associate a un pcpV di 7,2

qualità immag. servizio totale20% 35% 45% 100%

ricerca & sviluppo K $ 60% 500 3000 500 1,0pubblicità K $ 70% 15% 50 500 500 10,0forza vendita % 30% 30% 5 12 12 10,0materie prime/comp. $/kg. 40% 2 5 2 1,0logistica K $ 30% 50 100 100 10,0margini ai canali % 25% 20 45 20 1,0

100% 100% 100% tot. 600 3600 1100(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.

1,0 10,0 7,8

elasticità della domanda al prezzo 0,8 conto economico concorrente A (K$)profili competitivi pcpV prezzo V/P e quote vendite (milioni di unità) 2,6 - concorrente A 7,2 13 92 32,2% fatturato virtuale 33.493 - concorrente B 7,5 12 103 35,8% - margini ai canali 6.699 - concorrente C 8,0 15 92 32,0% fatturato effettivo 26.794dimensione mercato (vendite totali - milioni di unità) 8,0 - costi variabili 8.368

1° margine di contribuzione 18.426 - costi fissi 1.1002° margine di contribuzione 17.326

2160pcpV (scala 1-10) (dipende dalle decisioni di investimento) 7,2

typical investment levels in the business

(1)

min maxstrumenti (risorse disponibili)

importanza relativa dei KSFs per il mercato ---->

max budget disponibile per i costi fissi ---->

"investment" decisions (1)

effettiveindice (sc.

1-10)unità di misura

KSFs

impatto stimato degli strumenti sui KSFs

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

49

Tuttavia, il nostro obiettivo in questo capitolo era quello di supportare, in concreto, le seguenti conclusioni:

vi sono forti interrelazioni fra la performance economico-finanziaria di un’azienda e la sua posizione di mercato: entrambe devono essere prese in considerazione, e tali interrelazioni vanno comprese a fondo

non possiamo massimizzare, allo stesso tempo, redditività e quota di mercato: tuttavia, pur essendo ovvio che, sul breve periodo, l’acquisto di quote di mercato può essere costoso (v. sopra, nel nostro modello “statico”), sul medio-lungo periodo è risaputo che la redditività è positivamente associata alla quota (maggiori dimensioni ed economie di scala, maggiore forza contrattuale nei confronti del mercato e dei fornitori, ecc.)

in conclusione, i risultati aziendali dipendono da un’adeguata definizione degli obiettivi, e da un’allocazione di risorse selettiva e coerente con tali obiettivi.

Queste considerazioni sono ancor più valide in ottica internazionale, data la maggiore complessità del contesto in cui si muove l’azienda, rispetto a quella – pur sempre elevata – che contraddistingue le attività sul mercato domestico.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

50

8. Le ricerche di marketing in ambito internazionale: un modello per la scelta dei mercati di sbocco43

L’oggetto dell’analisi

Nel capitolo precedente abbiamo proposto un modello che consentisse di collegare in modo logico i principali fattori di impatto sui risultati aziendali.

Tale modello può evidentemente essere adattato a specifiche caratteristiche di settore e aziendali, ma le logiche su cui si basa sono sostanzialmente applicabili a qualsiasi contesto, sia sul mercato domestico che su quelli internazionali, anche se su questi ultimi il tipo e il numero di variabili descrittive del contesto renderanno l’analisi un po’ più complessa: ad esempio, dovranno essere presi in considerazione eventuali tassi di cambio, eventuali tasse di importazione, ecc.

In ogni caso, si è visto che, per alimentare il modello, è stato necessario introdurre una serie di input relativi al valore delle variabili rilevanti: alcuni di questi input possono essere rilevati in modo relativamente oggettivo (ad esempio, i costi di produzione), mentre altri devono essere stimati (ad esempio, il peso relativo attribuito dal mercato alle componenti del valore).

L’utilità del modello, da questo punto di vista (e a parte gli altri vantaggi di cui si è parlato), sta proprio nel fatto che consente di identificare in modo sistematico quali sono le variabili rilevanti sui cui, anche in assenza di dati oggettivi e facilmente rilevabili, sarebbe utile informarsi al fine, come minimo, di formulare stime a ragion veduta.

Le ricerche di marketing hanno proprio l’obiettivo di costruire il supporto informativo necessario per alimentare il processo di pianificazione, attraverso la raccolta e l’interpretazione delle informazioni relative alle caratteristiche, al comportamento e alla probabile evoluzione dei fattori che possono avere impatto sulle strategie aziendali e quindi sul tipo e sull’entità della presenza dell’azienda sui mercati, nonché sui costi che sarà necessario sostenere per mantenere e sviluppare tale presenza.

Fra l’altro, il modello visto al capitolo precedente, estremamente semplificato, presupponeva che la dimensione del mercato fosse una costante, mentre evidentemente tale variabile è influenzata da una serie di fattori esogeni (fenomeni ambientali che possono avere un impatto su qualsiasi settore) ed endogeni (andamento dei consumi e comportamento dei concorrenti nel settore di interesse).

Se operando all’interno del paese di origine alcuni di questi fattori possono essere dati per scontati, dal momento che tutti riteniamo (spesso a torto) di avere una comprensione sufficiente del contesto in cui ci troviamo ad agire, quando ragioniamo in termini internazionali queste sicurezze dovrebbero essere messe in discussione. Non farlo può essere il primo errore della vostra strategia di internazionalizzazione.

In questo capitolo cercheremo di delineare gli elementi da prendere in considerazione per valutare lo scenario internazionale e il suo impatto sul business dell’azienda e sulle sue prospettive.

Più in particolare, tenteremo di sviluppare un metodo che vi consenta di seguire, almeno in una certa misura, l’evoluzione dei mercati esteri e degli scenari internazionali per poter cogliere tempestivamente eventuali modifiche del contesto ambientale, della domanda e delle concorrenza e riconoscere:

eventuali opportunità di espansione o consolidamento dell’attività aziendale

potenziali minacce dalle quali difendersi predisponendo, se necessario, adeguate misure di reazione.

Prima ancora di prendere in considerazione l’importante tema della scelta dei paesi target, varrà la pena valutare se le condizioni esterne sono tali da poter dire che il vostro progetto di internazionalizzazione nasce sotto una buona stella oppure no.

Come per tutte le cose, infatti, anche per portare la vostra azienda all’estero possono esistere momenti più o meno favorevoli, a prescindere da altre considerazioni, come ad esempio le caratteristiche dell’azienda stessa o il successo che sta ottenendo sul mercato nazionale.

43 Questo capitolo è in buona parte adattato da A. Pace, Percorso Tematico “Selezionare il Mercato”, sviluppato per il Portale Italia Internazionale, Aree Sviluppo Servizi e Informazioni Telematiche, ICE, 2005, e da G. Gandellini, Country Attractiveness Assessment, capitolo del testo in preparazione su “International Marketing: a Knowledge Management Approach”.

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51

Esistono molte metodologie per l’analisi dell’influenza dei fattori di contesto sullo sviluppo di un business, ma si può dire che tutte derivino più o meno dalla cosiddetta “analisi PEST” (acronimo per Political Economic Social & Technological) e che ne costituiscano delle varianti più o meno articolate.

L’analisi PEST

L’analisi PEST, che consiste in una semplice check-list di fattori da prendere in considerazione, ha il merito di fornire al manager che si trova di fronte al problema di sintetizzare le caratteristiche di un determinato contesto uno schema di riferimento molto semplice e diretto.

Evidentemente, trattandosi di una check-list, non si potrà avere la pretesa che sostituisca l’attività di diagnosi: starà al manager interpretare correttamente il significato delle informazioni relative ai temi identificati da questo acronimo e valutarne le possibili implicazioni per il settore e l’azienda di interesse.

In pratica, si prenderà in considerazione il contesto da analizzare sotto i seguenti principali punti di vista.

ambiente politico (e legale) – tipo di governo, maturità del sistema, stabilità e/o litigiosità politica, livello di burocratizzazione e di corruzione, ... ma anche sistema e legislazione fiscale, grado di protezione dei consumatori e dei lavoratori, leggi a tutela della concorrenza, protezione dell’ambiente, livello di apertura al commercio internazionale, ….

ambiente economico (e infrastrutturale) – PIL, sua composizione e tasso di crescita, tassi di interesse e politica monetaria, tassi di cambio e inflazione, livello di spesa del governo e relative priorità, sistema di tassazione e “ammortizzatori sociali”, livello di fiducia delle imprese e dei consumatori, infrastrutture rilevanti (sistema dei trasporti, sistema finanziario, sistemi di comunicazione, sistema distributivo, sistemi sanitario e scolastico, ecc.)

ambiente sociale – distribuzione del reddito e sue variazioni, variabili di tipo demografico, mobilità sociale, stili di vita prevalenti e relativi cambiamenti, atteggiamenti nei confronti del lavoro e del tempo libero, educazione, salute, condizioni di vita in genere …

ambiente tecnologico – spese in ricerca e sviluppo, politica industriale, numero di innovazioni e scoperte, velocità del trasferimento di tecnologia, tasso di obsolescenza tecnologica, utilizzo e costo dell’energia, sviluppi nella scienza dei materiali, livello di penetrazione di Internet e delle tecnologie dell’informazione, ecc.

Queste sono le macro categorie nelle quali sono raggruppati gli elementi che contribuiscono a definire il quadro generale entro cui i diversi attori economici si devono muovere, e cioè le “regole del gioco”.

Di solito le aziende non possono influenzare direttamente tali elementi, ma non possono nemmeno trascurarli, dal momento che essi hanno un’influenza spesso decisiva sulle variabili di interesse strategico (settore e/o segmenti, opportunità e minacce, punti di forza e di debolezza, ecc.) e quindi sulle strategie e sui risultati di mercato ed economico-finanziari.

Prendendo in considerazione queste quattro categorie si è ragionevolmente sicuri di poter svolgere un’analisi sufficientemente completa. Nel seguito del capitolo vedremo dove possiamo procurarci queste informazioni.

Le fonti di informazione

Le informazioni necessarie per svolgere l’analisi di cui sopra e altre importanti attività che vedremo in seguito, possono essere ottenute in modo molto semplice e, di solito, poco costoso (v. anche quanto detto nei capitoli 3 e 5, che qui in buona parte ribadiamo per completezza di esposizione e comodità di consultazione).

Esiste, infatti, una serie di istituzioni, nazionali e internazionali, che pubblicano periodicamente dati economici e statistici su paesi e gruppi di paesi e basta abituarsi a consultare con una certa regolarità i siti web o le pubblicazioni di tali istituzioni per costruire un sistema di indicatori costantemente aggiornati e praticamente a costo zero.

Le principali fonti sono raggruppabili come segue:

prima di tutto le Organizzazioni Internazionali

(Nazioni Unite, Banca Mondiale, IMF, FAO, WTO, ILO, OECD, Unione Europea) che pubblicano una serie di interessanti rapporti sulle materie di loro competenza ma anche, e soprattutto, mettono a

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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disposizione (gratuitamente) sui rispettivi siti Internet molte informazioni di carattere generale (soprattutto dati macroeconomici e sociodemografici).

in secondo luogo, le istituzioni nazionali

come le banche centrali, i ministeri economici, gli istituti centrali di statistica, l’ICE (che ha uffici in diversi paesi e che, ad esempio, mette a disposizione sul proprio sito schede Paese per un buon numero di Paesi), le camere di commercio italiane all’estero, le varie associazioni industriali,..., che tuttavia spesso erogano i loro servizi a pagamento, e a volte soltanto per gli operatori nazionali.

in terzo luogo, alcune società private che si occupano della redazione di rapporti sia sui paesi che sui mercati esteri:

ad esempio, l’Economist Intelligence Unit pubblica, a prezzi abbastanza accessibili, approfonditi rapporti su tutti i paesi del mondo

per approfondire invece la conoscenza dei vari business esistono delle società come la Dun & Bradstreet e Databank che realizzano rapporti su moltissimi settori industriali44.

infine, le banche dati su Internet o su CD-Rom in cui, oltre alle informazioni di carattere macroeconomico, vengono spesso riportati, organizzati per area geografica, settore di business, classe dimensionale, ecc., i nomi e i dati principali relativi ad aziende che potrebbero essere o diventare clienti, concorrenti o partner commerciali della vostra azienda. Per quanto riguarda i dati di carattere prevalentemente macroeconomico e sociodemografico, la tabella che segue riporta l’elenco di alcuni siti web di particolare interesse (di alcuni viene dato un sintetico profilo in fondo a questa parte).

http://www.ice.gov.it/

http://www.cia.gov/

http://www.fao.org/

http://www.stat.fi/

http://www.exporthotline.com

http://globaledge.msu.edu

http://exportsource.ca

http://www.tradecompass.com

http://www.countrydata.com

http://www.imf.org

http://www.worldbank.org

http://www.eiu.com

Perché un modello per la selezione dei mercati

Selezionare i mercati di sbocco, insieme alle decisioni sulle modalità di ingresso e di presenza sui mercati stessi è una delle prime e più importanti decisioni della vostra strategia di internazionalizzazione.

Non soltanto le aziende che per la prima volta si affacciano sui mercati internazionali, ma anche quelle che già hanno una presenza all’estero, possono essere trovarsi a dover risolvere i seguenti problemi:

come espandere la presenza internazionale: in quali mercati entrare

come valutare la presenza attuale, con l’obiettivo di rilanciare l’attività internazionale e di destinare le risorse aziendali ai mercati più promettenti: su quali mercati focalizzare gli sforzi, da quali mercati eventualmente ritirarsi al fine di liberare risorse da investire sui target selezionati (v. anche quanto detto nel primo capitolo a proposito dell’importanza di valutare i “costi opportunità”).

Nel seguito del capitolo proponiamo un approccio sistematico per affrontare tali problemi in modo esplicito e coerente, avvalendosi delle informazioni e delle fonti sopra descritte, anche al fine di evitare i seguenti rischi:

ignorare paesi (o gruppi di paesi) che offrono un buon potenziale per i nostri prodotti

44 Da valutare con una certa cautela, in quanto non tutti i rapporti presentano uno stesso grado di aggiornamento, attendibilità, accuratezza ed esaustività.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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perdere troppo tempo nell’analisi di paesi (o gruppi di paesi) che, invece, non presentano buone prospettive.

Ovviamente, anche la scelta dei business con cui affrontare i paesi esteri (ossia, gli specifici target di utilizzatori e la gamma di prodotti o servizi da proporre)45, nonché quella delle modalità di ingresso e presenza, sono di importanza critica e strettamente collegate a quella dei paesi in cui operare, ma affronteremo questi temi più oltre, nel capitolo sulle modalità di ingresso e in quello sulla gestione multibusiness & multicountry.

Tutte queste decisioni (scelta dei business, dei paesi e delle modalità di ingresso e di presenza) presentano le caratteristiche tipiche di gran parte delle problematiche di internazionalizzazione:

numero significativo di alternative rilevanti

necessità di massa critica con riferimento a ogni alternativa

risorse limitate per perseguire più alternative contemporaneamente

costi opportunità significativi, se le risorse sono utilizzate in modo sub-ottimale.

È quindi essenziale, soprattutto per le PMI, essere molto selettivi e focalizzare le risorse limitate sui target più promettenti: scelte corrette da questi punti di vista rappresentano un requisito critico per il successo.

La figura alla pagina seguente propone una sequenza logica semplificata di fasi di lavoro che dovrebbero essere condotte per identificare e valutare alternative strategiche fattibili in termini di combinazioni business-country-entry-partner, ed è chiaro che tali decisioni sono strettamente collegate.

Focalizzando l’attenzione sulla selezione preliminare a tavolino (desk) dei paesi target (la decisione finale potrà essere presa soltanto a seguito di un’indagine approfondita, sul campo, delle caratteristiche della domanda e della concorrenza nel paese o nei paesi più promettenti dopo questa preselezione), queste sono le tematiche che affronteremo in questo capitolo:

quali metodi sono più appropriati per identificare una rosa ridotta di paesi candidati?

quali criteri si dovrebbero preferibilmente adottare per utilizzare tali metodi e pervenire a una decisione?

quale approccio dovrebbe essere logicamente e tecnicamente adottato per elaborare le informazioniraccolte?

L’output finale di questo processo, grazie all’uso di un apposito modello, sarà l’identificazione di una rosa ristretta di paesi (ad esempio, da uno a tre) in cui condurre indagini più approfondite (v., ad esempio, il capitolo che segue, sulla stima dei potenziali di mercato).

Le principali fasi della nostra attività di ricerca desk sono identificate dai riquadri su fondo scuro nella figura alla pagina seguente.

Step 1: prima scrematura dei mercati

Ipotizziamo, per semplicità, che abbiate già selezionato il business di interesse per l’internazionalizzazione e che l’esportazione sia la vostra strategia di ingresso preferita. Entrambe le scelte sono ovviamente soggette a ulteriori valutazioni approfondite, basate anche sui risultati delle vostre analisi preliminari: ad esempio, le caratteristiche di un paese appartenente alla rosa ristretta che avrete identificato potrebbero suggerirvi di prendere in considerazione anche strategie alternative.

Almeno in linea di principio, ci sono più di 200 paesi verso cui potreste esportare: è quindi ovvio che l’obiettivo di questa prima fase di lavoro sarà quello di ridurre drasticamente il numero delle possibili alternative da prendere in considerazione nelle fasi successive.

Il buon senso suggerisce quindi di essere molto selettivi, eliminando gran parte dei paesi che, sulla base dell’esperienza e di conoscenze pregresse, non sembrano essere particolarmente interessanti. L’importante è essere espliciti riguardo ai criteri adottati, e consapevoli delle loro implicazioni: per esempio, rinuncia a specifiche opportunità per aver escluso gruppi di “candidati” potenzialmente promettenti.

45 In questa sede, per semplicità, presupporremo che la decisione relativa ai business in cui operare sui mercati esteri sia già stata presa.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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Fig. 8.1 – Sequenza delle fasi di ricerca di marketing per la selezione dei Paesi

business sector

companyprofile

entry strategyassumptions

pre-screening (desk)

data collection (desk)

analysis, and screeningof short-listed

candidates (desk)

confirmassumptions?

need a partner?

partnerevaluation

market &competitiveanalysis (desk + field)

assessment of alternatives:business/country/entry/(partner)

yes

no

yes no

no

yes

confirmassumptions?

business sector

companyprofile

entry strategyassumptions

pre-screening (desk)

data collection (desk)

analysis, and screeningof short-listed

candidates (desk)

confirmassumptions?

need a partner?

partnerevaluation

market &competitiveanalysis (desk + field)

assessment of alternatives:business/country/entry/(partner)

yes

no

yes no

no

yes

confirmassumptions?

business sector

companyprofile

entry strategyassumptions

pre-screening (desk)

data collection (desk)

analysis, and screeningof short-listed

candidates (desk)

confirmassumptions?

need a partner?

partnerevaluation

market &competitiveanalysis (desk + field)

assessment of alternatives:business/country/entry/(partner)

yes

no

yes no

no

yes

confirmassumptions?

A tal fine si possono utilizzare metodi diversi, più o meno sofisticati:

impostare un sistema di livelli soglia, scegliendo un numero limitato (3 o 4) di variabili e definendo, per ciascuna di esse, un livello minimo, al di sotto del quale un determinato paese viene escluso dalle fasi di analisi successive (ovviamente si dovranno scegliere variabili opportune in funzione delle caratteristiche del business in cui opera l’azienda)46; questo è sicuramente il metodo più sistematico, se non “scientifico”, in quanto è basato su un approccio matematico e consente di non escludere a priori dei target potenzialmente interessanti: se i paesi candidati devono soddisfare, contemporaneamente, più di una condizione, e se il livello delle soglie è relativamente elevato (in rapporto al valore medio delle variabili considerate), sarà facile verificare che il numero di “sopravvissuti” scenderà drasticamente a non più del 10% del totale dei paesi

sfruttare le esperienze precedenti che l’azienda può aver maturato su certi mercati, o perché vi ha venduto altri prodotti, o perché tali esperienze possono essere state maturate dagli attuali dirigenti in occasione di precedenti attività, o perché possono essere estese a un mercato sconosciuto le conclusioni cui si è pervenuti tramite l’esperienza diretta su mercati ritenuti simili

imitare il comportamento di altre aziende, che possono essere concorrenti dirette o vendere prodotti simili, dando per scontato il fatto che queste aziende abbiano condotto analisi per conto proprio e che le scelte fatte siano corrette; d’altra parte, è evidente che la presenza di una forte concorrenza può ridurre le vostre probabilità di successo, tanto più che la vostra azienda non potrebbe godere del vantaggio di essere entrata per prima nel mercato di interesse: in ogni caso, nella fase di approfondimento sarà molto importante raccogliere informazioni appropriate sui concorrenti, analizzandone le strategie di internazionalizzazione e identificando i motivi dei loro successi o insuccessi

circoscrivere l’attenzione su “gruppi di paesi” che hanno realizzato o stanno perfezionando dei percorsi di integrazione, come ad esempio l’Unione Europea, il Nafta47 o il Mercosur48. Questa scelta può essere sensata dal momento che:

46 Per adottare questo metodo potrà essere utile anticipare la costruzione del database prevista per lo step successivo.47 North American Free Trade Association, un’area di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico48 Mercato Comune del Cono Sud, un mercato comune che unisce Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, costruito sul modello dell’Unione Europea

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una volta entrati in uno dei paesi che fanno parte del gruppo è generalmente più semplice vendere i propri prodotti anche negli altri (spesso c’è anche una zona di libero scambio)

si realizzano economie di scala su importanti attività come le ricerche di marketing, l’adattamento dei prodotti e la logistica.

Sebbene privi di solide basi scientifiche, questi metodi vengono largamente utilizzati e possono portare ottimi risultati se impiegati con intelligenza e buon senso.

Il risultato di questa analisi sarà un elenco di 10-20 paesi che hanno superato la fase di prima scrematura e che rappresenteranno i mercati esteri potenzialmente più interessanti per l’azienda.

Step 2: raccolta di dati analitici su più variabili

Come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, le fonti di dati sui diversi paesi sono molto numerose: sarà quindi possibile costruire un database che includa dati abbastanza aggiornati, relativi ai paesi precedentemente identificati, su un numero elevato di variabili.

A parte casi eccezionali, è evidente che queste variabili saranno abbastanza generiche, ossia non “business specific” (relative allo specifico settore o segmento di interesse), come ad esempio il numero e la forza dei concorrenti diretti.

Tuttavia, si potranno comunque identificare variabili ragionevolmente correlate ai potenziali di mercato nei settori di interesse: ad esempio, è certo che la “popolazione” e il “reddito pro-capite” possono essere indicatori relativamente utili per molti prodotti di consumo, mentre la “produzione industriale” è normalmente correlata in modo significativo alla dimensione di molti settori industriali in molti paesi.

Step 3: analisi dei dati e costruzione di un indice di attrattività

La terza fase del processo che proponiamo prevede la costruzione di un indice di attrattività il cui valore sia tanto più alto quanto più il paese rappresenta una promettente alternativa di internazionalizzazione, al fine di ridurre ulteriormente il numero di paesi selezionati nella prima fase a una short-list (da 1 a 3 o 4 paesi, in funzione delle risorse aziendali disponibili e dei vincoli di tempo) che consenta di approfondire l’analisi con indagini sul campo.

Le sotto-fasi di lavoro che proponiamo a tal fine sono le seguenti:

definire, il più precisamente possibile, il settore di interesse, in termini sia di clientela finale (utilizzatori)49 che di prodotti o servizi

identificare le variabili che, in base all’esperienza, alla conoscenza del settore e al buon senso,possono ritenersi maggiormente correlate (in senso positivo o negativo) alla dimensione del mercato nel settore di interesse: ad esempio, un’azienda che vende capi di abbigliamento di elevata qualità e indirizzati a un pubblico giovane può essere interessata a fattori come la struttura per età della popolazione, il reddito pro-capite, la spesa per consumi pro-capite, ecc.

La nostra esperienza suggerisce che un massimo di 10 variabili (e anche meno) può essere largamente sufficiente50: tali variabili possono rappresentare sia dati oggettivi (v. quelli appena citati) che dati relativamente soggettivi (come la distanza culturale e/o fisica fra il paese di origine dell’azienda e i diversi paesi di sbocco), ma è comunque necessario che tali dati siano misurabili (espressi in valori assoluti, percentuali o indici)

valutare, per ciascuna delle variabili scelte, il “verso” della correlazione: vi sono infatti variabili al crescere delle quali cresce l’attrattività del mercato preso in considerazione (pensate ad esempio alla popolazione o al reddito pro-capite) e variabili che si comportano esattamente nel modo opposto (pensate al numero dei concorrenti o ai dazi)

49 Errori molto frequenti sono quello di definire il business soltanto in termini di prodotto o servizio, senza precisare il target cui ci si riferisce e il relativo posizionamento agli occhi del mercato, e quello di fare riferimento, più o meno esplicito, a distributori o dettaglianti in quanto rappresentativi del target. 50 Si potrebbe obiettare che la scelta delle variabili è inevitabilmente soggettiva. Ciò è vero, ma non influenza assolutamente l’utilità di questo approccio: le decisioni sono sempre soggettive per definizione, e l’alternativa sarebbe quella di decidere comunque, con un approccio tutt’altro che sistematico. Fra l’altro, nel caso qui considerato sarebbe praticamente impossibile contare su dati di correlazione effettivi, data la frequente (ossia, quasi sempre!) assenza di dati sulla dimensione effettiva della domanda nello specifico settore di interesse (ossia, la variabile “dipendente” cui correlare le altre), che è proprio il dato da stimare tramite l’approccio proposto.

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fra queste variabili, preferire quelle per cui sono disponibili dati relativamente aggiornati e attendibili per tutti i paesi considerati: in pratica, verrà creato un piccolo database (ad esempio, 20 paesi per 6/8 variabili), pronto per le successive elaborazioni e analisi

evitare di prendere in considerazione variabili che sembrano fra loro molto correlate (ossia, il cui comportamento è simile, nel senso che variano in proporzione diretta l’una con l’altra), dato che in tal caso verrebbero praticamente considerati più volte i medesimi fattori51: ad esempio, il reddito pro-capite è evidentemente correlato con il cosiddetto “Indice di Sviluppo Umano”, dato che quest’ultimo è costituito da un “paniere” di indicatori che include proprio il reddito pro-capite

valutare il “peso” delle variabili, ovvero la loro importanza relativa all’interno del vostro progetto di internazionalizzazione: in pratica, a ciascuna delle variabili individuate dovrà essere attribuito un valore crescente (ad esempio, in percentuale) al crescere della sua importanza nel sistema di valutazione che state costruendo52

standardizzare i valori assunti dalle variabili considerate per trasformarli in numeri “puri” e omogenei, svincolandoli dalle rispettive unità di misura: in caso contrario, sarebbe praticamente impossibile il confronto fra i diversi valori e una loro elaborazione congiunta;

per ricollegarci all’esempio precedente, la struttura per età della popolazione è espressa con un valore percentuale, mentre il reddito e la spesa per consumi pro-capite sono espressi in unità monetarie. Uno dei metodi di standardizzazione più utili in questo caso è quello rispetto al campo di variazione della variabile. Per applicarlo basta prendere il valore che vogliamo standardizzare, sottrargli il valore più basso che la variabile assume e dividere il risultato ottenuto per il campo di variazione (valore massimo – valore minimo) della variabile stessa:

xstd = (x – xmin)/(xmax – xmin)

qui occorre fare attenzione alle considerazioni fatte in merito al verso della correlazione con il livello di attrattività del mercato citato in precedenza. Qualora la variabile in questione fosse correlata inversamente all’attrattività, la formula appena vista diventa la seguente:

xstd = 1-[(x – xmin)/(xmax – xmin)]

In questo modo trasformeremo tutti i valori in numeri compresi tra 0 e 1 (o fra 0 e 100, se preferiamo liberarci dei decimali moltiplicando i diversi valori per 100)

calcolare, sulla base delle considerazioni precedenti, un numero indice ponderato che fornisca un giudizio sintetico sull’attrattività di ognuno dei 10-20 paesi considerati con riferimento al vostro specifico progetto di internazionalizzazione. Il numero indice ponderato si ottiene applicando, per ogni paese considerato, la seguente formula

Ia = [(x1 * p1) + (x2 * p2) + … + (xn * pn)]/(p1 + p2 + … +pn)

dove Ia rappresenta l’indice di attrattività, i simboli x1, x2, …, xn rappresentano le n variabili considerate e p1, p2, …, pn i pesi percentuali delle variabili stesse.

Tutte queste operazioni possono essere impostate in modo molto semplice tramite un foglio elettronico.

Alla fine avrete attributo a ogni paese un indice di attrattività, costruendo così una graduatoria, nella quale troverete ai primi posti i paesi relativamente più attraenti: basterà selezionare i primi 3-5 che quindi passeranno alla fase di analisi approfondita sul campo.

È peraltro importante notare che il medesimo approccio può essere facilmente applicato anche a casi più complessi, e anche per questo motivo riteniamo particolarmente utile descriverlo a fondo con un’esemplificazione concreta nelle pagine che seguono.

Si pensi, ad esempio, alle seguenti problematiche, molto ricorrenti nella pratica aziendale:

51 Ciò è ancor più evidente se si pensa che non tutte le variabili hanno la stessa importanza, e che quindi è utile attribuire loro pesi distinti (v. punto successivo). Se, ad esempio, la variabile A è fortemente correlata all’attrattività del mercato per il settore di interesse, e la variabile B è fortemente correlata ad A, il risultato dell’analisi sarà praticamente il medesimo se si utilizza soltanto la variabile A o soltanto la variabile B, evitando di “pesare” due volte il medesimo aspetto.52 Anche qui, sarà preferibile formulare delle stime, possibilmente basate sul buon senso e la conoscenza del mercato, piuttosto che tentare (invano!) una misurazione dei “pesi” effettivi attraverso analisi di regressione multipla (v. note precedenti).

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analisi e classificazione della gamma prodotti (anche le PMI hanno infatti spesso un elevato numero di prodotti a catalogo, a livello di qualche centinaio), sulla base di variabili quali fatturato, margine di contribuzione unitario, lotto minimo, capacità di trascinamento di altri prodotti, contributo all’immagine aziendale, ecc.

analisi e classificazione dei clienti (spesso dell’ordine di qualche centinaio), sulla base di variabili quali fatturato, potenziale complessivo, redditività, tempi di pagamento medi, ecc.

Un modello esemplificativo

A fini esemplificativi, proponiamo un modello molto semplice, che produrrà una classificazione di 5 paesisulla base di 4 variabili.

L’obiettivo sarà quello di identificare il paese o i paesi più interessanti, su cui concentrare le risorse aziendali al fine di approfondirne la conoscenza con ricerche sul campo: soprattutto per le PMI, non è infatti proponibile condurre indagini approfondite in diversi paesi contemporaneamente.

Ipotizziamo il seguente caso:

il settore di interesse è “pellicce sintetiche di moda per giovani donne di reddito medio-alto”

i 5 paesi “superstiti” dopo aver condotto la fase di preselezione (v. sopra), le 4 variabili (l’ultima, “temperatura media”, è negativamente correlata all’attrattività di mercato), i corrispondenti valori effettivi di ogni variabile su ogni paese, e i dati statistici che utilizzeremo per standardizzare tali valori (v. oltre), sono quelli descritti nella figura che segue53

l’importanza relativa stimata delle variabili è descritta, in termini percentuali, nella parte in alto della figura.

Fig. 8.2 – Database di origine (ipotetici valori effettivi 54)

$ 000 % millions C°40% 25% 15% 20%

Brazil 5 25% 170 25Slovakia 4 22% 5 5Japan 30 13% 120 10Germany 22 18% 80 8Turkey 3 15% 70 15

max 30 25% 170 25min 3 13% 5 5

range 27 12% 165 20

cou

ntr

ies

stat

s

variables

units of measurementvariables' weight

average temperature

per capita GDP

young women population

Al fine di calcolare l’attrattività complessiva di questi paesi, dobbiamo prima di tutto tradurre i valori effettivi delle variabili che li caratterizzano in una scala omogenea, svincolata dalle unità di misurazione originali.

Il nostro obiettivo è evidentemente quello di discriminare il più possibile fra i paesi, al fine di evitare il rischio di considerare ugualmente attrattivi paesi che sono, di fatto, diversi.

Utilizzando il metodo sopra descritto, sarà quindi sufficiente sottrarre, per ogni variabile, dal valore effettivo riscontrato per ogni paese (ad esempio, 80 milioni di abitanti per la Germania), il minimo valore rilevato nel database per questa variabile (5 milioni in Slovacchia) e dividere il risultato (80 – 5 = 75) per l’intervallo fra il massimo e il minimo valore della stessa variabile (170 in Brasile, meno 5 in Slovacchia = 165), ottenendo

53 Come consuetudine, vengono evidenziate le celle di input, mentre le altre contengono i valori calcolati dal modello con le formule appropriate.54 I valori sono forniti come esempio, ma non sono necessariamente reali.

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il valore standardizzato di 0,45 (che, per comodità di visualizzazione, viene moltiplicato per 100, ottenendo45)55.

Per le variabili inversamente correlate all’attrattività (in questo caso, “temperatura media”: più alta la temperatura, meno attrattivo il mercato), considereremo il complemento a 1 del calcolo sopra descritto, e moltiplicheremo il risultato per 10056.

I risultati di queste elaborazioni del database originario, facilmente prodotti da un qualsiasi foglio elettronico, sono sintetizzati nella figura 8.3: si nota facilmente che, grazie al metodo di standardizzazione adottato, avremo sempre, per ogni variabile, almeno uno “0” (il paese meno interessante) e almeno un “100” (quello più appetibile).

Infine, sulla base dei dati standardizzati e dell’importanza relativa delle variabili, possiamo calcolare, nella figura successiva (8.4), un indice medio ponderato, che fornisce una valutazione sintetica dell’attrattività (A) di ogni singolo paese.

Per esempio, per calcolare l’appetibilità complessiva della Germania, moltiplichiamo il suo “voto” di 70 sul reddito pro-capite per 40% (l’importanza relativa di questa variabile), ottenendo 28, il suo voto di 42 su “giovani donne” per 25% (ottenendo circa 10), quello di 45 sulla “popolazione” per 15% (ottenendo circa 7) e quello di 85 su “temperatura media” per 20% (ottenendo circa 17): sommando questi quattro prodotti (28+10+7+17), otteniamo l’indice medio ponderato di 62, che rappresenta l’indice di attrattività di questo paese. Mantenendo (ovviamente) costante il peso delle diverse variabili, calcoliamo nello stesso modo l’indice degli altri paesi.

Fig. 8.3 – Dati standardizzati

Brazil 7 100 100 0Slovakia 4 75 0 100Japan 100 0 70 75Germany 70 42 45 85Turkey 0 17 39 50

young womenper capita

GDP

cou

ntr

ies

variables populationaverage

temperature

Fig. 8.4 – Indici di attrattività (A) e graduatoria dei paesi

40% 25% 15% 20%Brazil 7 100 100 0 43 3Slovakia 4 75 0 100 40 4Japan 100 0 70 75 65 1Germany 70 42 45 85 62 2Turkey 0 17 39 50 20 5

A index

rankpopulation

average temperature

cou

ntr

ies

variables

variables' weight

young womenper capita

GDP

Come si vede nella colonna a destra della figura 8.4, il foglio elettronico calcola anche la graduatoria dei cinque paesi, sulla base del loro indice di attrattività: nel nostro esempio semplificato, il Giappone e la Germania sono di gran lunga i paesi più interessanti per ulteriori approfondimenti di indagine.

Se dovessimo prendere una decisione, unicamente basata su questi dati, sul paese che merita di essere ulteriormente esplorato con ricerche ad hoc e più “business specific”, probabilmente sceglieremmo il Giappone. Tuttavia, come in molti altri problemi decisionali affrontati con l’ausilio di modelli, sappiamo che l’obiettivo dei modelli stessi è soprattutto quello di aiutarci a chiarire in modo esplicito i ragionamenti alla base delle nostre decisioni, identificando anche aree o aspetti che meritino maggiori approfondimenti.

55 V. i valori in grassetto in figura. Sempre per facilitare la visualizzazione, tutti i valori sono arrotondati.56 Per esempio, sottraendo i 5 gradi centigradi della Slovacchia (il valore minimo) dai 10 gradi del Giappone (= 5) e dividendo il risultato per 20 (la differenza fra i 25 gradi del Brasile e il valore minimo), otteniamo 0,25: il complemento a 1 è 0,75 (o 75). Questo è il valore standardizzato del Giappone per la temperatura media, relativamente alto dato che, in questo settore, un mercato con una temperatura media bassa (10 C°) è preferibile.

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Per esempio, nel caso appena descritto è evidente che i due paesi più interessanti (Giappone e Germania) hanno ottenuto un indice di attrattività molto simile, ma sappiamo benissimo che sono molto diversi da altri punti di vista: l’aggiunta di ulteriori variabili all’analisi (per esempio, la distanza fisica e/o culturale rispetto al paese esportatore, che comporta elevati costi operativi e di marketing) potrebbe facilmente modificare le nostre conclusioni.

Passi successivi

Una volta scelto il paese, o scelti i paesi che meritano approfondimenti di indagine, le analisi cominceranno a richiedere molte risorse (almeno in linea di principio57): tuttavia, grazie al lavoro sopra descritto, dovremmo essere ragionevolmente sicuri del fatto che ne valga la pena.

Per l’analisi in profondità si “dovrebbero” infatti raccogliere due tipi di informazioni:

informazioni aggiuntive di carattere secondario, chiamate in questo modo perché sono state già raccolte da altri enti e per altri scopi. Tali informazioni riguarderanno soprattutto la situazione del mercato e la congiuntura economica in generale, il settore specifico dell’azienda e le sue dinamiche, barriere o supporti all’ingresso sul mercato, caratteristiche culturali del mercato stesso, ecc.

informazioni di carattere primario, chiamate in questo modo perché vengono raccolte ad hoc direttamente dall’azienda (o da qualcuno da essa incaricato), dal momento che sono molto specifiche. Si tratta, in pratica, di vere e proprie ricerche di mercato che prenderanno in considerazione il livello della domanda, le aspettative dei clienti, la presenza e la forza relativa dei concorrenti, le caratteristiche e la struttura dei canali distributivi, ecc.

Queste informazioni rappresenteranno in pratica la base per lo sviluppo del piano di internazionalizzazione dell’azienda, la cui struttura è stata discussa precedentemente.

Monitoraggio continuo dei mercati

È sotto gli occhi di tutti il fatto che il mercato mondiale è in continua evoluzione: è quindi ragionevole supporre che paesi ritenuti non interessanti o attraenti in seguito a una prima analisi possano trasformarsi in alternative praticabili in breve tempo.

Il consiglio è quindi quello di non “dimenticarsi” dei paesi che sono stati scartati a seguito delle fasi di lavoro sopra descritte: il tipo di analisi che abbiamo proposto andrebbe dunque ripetuto a intervalli regolari di tempo per confermare ed eventualmente aggiornare i risultati e le conclusioni relative.

Soltanto in questo modo si potranno gettare le basi per far sì che le scelte relative al processo di internazionalizzazione acquisiscano un respiro strategico e non si risolvano unicamente nella concretizzazione occasionale di particolari opportunità.

57 Diciamo “in linea di principio”, dato che molto raramente le aziende si prendono il disturbo di investire in ricerche di marketing serie: il risultato è evidentemente, come minimo, un’elevata incertezza sui potenziali risultati, nonché un rischio elevato di insuccesso.

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9. Modalità di stima dei potenziali di mercato all’estero

L’importanza della stima dei potenziali di mercato e le difficoltà intrinseche a tale esercizio

La stima dei potenziali di mercato è una delle attività di pianificazione più importanti, difficili e complesse: da tale stima dipende infatti la capacità dell’azienda di formulare obiettivi di quota di mercato ragionevoli e raggiungibili e, quindi, obiettivi e previsioni di vendita affidabili.

Dagli obiettivi di vendita, data una certa strategia di marketing (livelli qualitativi, prezzi e sconti, canali distributivi e di vendita, comunicazione, livelli di servizio), dipende inoltre una serie di importanti decisioni strategiche e operative:

dimensionamento della capacità produttiva e dei volumi di produzione

approvvigionamento di materiali e componenti

dimensionamento della forza lavoro, sia nell’area produttiva che in quella commerciale

definizione dei fabbisogni di cassa per mettere in atto tali decisioni.

In pratica, è evidente che un’adeguata stima dei potenziali di mercato è la conditio sine qua non e il principale punto di partenza per la formulazione delle proiezioni di ricavo, che sono alla base di qualsiasi business plan e, in particolare, del piano di marketing che rappresenta il “cuore” di ogni business plan che si rispetti.

A tutte le difficoltà di valutazione dei fenomeni di mercato descritte nel capitolo 5, si aggiunge nel nostro caso la difficoltà di elaborare stime sui mercati internazionali, ossia con riferimento a contesti geografici normalmente molto meno noti rispetto a quello “domestico”.

Non c’è quindi da stupirsi se la parte più delicata e attaccabile di qualsiasi business plan e piano di marketing, soprattutto in ottica internazionale, sia spesso quella relativa alla stima dei ricavi, da cui dipende la grande maggioranza delle previsioni di redditività e di flussi di cassa, e che dipende a sua volta da una stima della dimensione del mercato (tema affrontato in questa sede) e da quella della posizione competitiva dell’azienda (cui accenniamo soltanto brevemente qui sotto).

A proposito di posizione competitiva, molte aziende (soprattutto PMI) non prendono in esplicita considerazione, né tengono sotto controllo, la propria quota di mercato58: pensano che il mercato sia troppo grande perché tale indicatore sia significativo, e/o che sia troppo difficile e costoso stimarne le dimensioni.

Si tratta, in entrambi i casi, di ipotesi in buona parte errate:

nel primo caso, è evidente che dovrebbe essere preso in considerazione soltanto il mercato cosiddetto pertinente o “raggiungibile” (e non il mercato totale delimitato dai confini geografici del Paese), e quindi non è affatto detto che la quota acquisibile o acquisita sia necessariamente marginale

nel secondo caso, senza bisogno di effettuare costose ricerche di mercato, è spesso sufficiente investire risorse relativamente modeste nella raccolta di stime sistematiche del potenziale complessivo di consumo o di utilizzo (o di acquisto, nel caso dei distributori) di ogni singolo cliente con cui l’azienda entra in contatto, con riferimento al segmento prodotto/mercato di interesse.

Quest’ultimo metodo, che presuppone ovviamente un buon sistema informativo di marketing e adeguati sistemi di guida, coordinamento, incentivazione e controllo della forza vendita che siano in grado di alimentarlo, offre sicuramente il migliore rapporto risultati/costi (rispetto, ad esempio, a periodiche ricerche di mercato quantitative), ma può essere messo in atto, sul campo e non semplicemente a tavolino, soltanto da aziende che operino già sul mercato di interesse.

Nel nostro caso, ipotizzando di stimare la dimensione della domanda in mercati su cui l’azienda non è ancora presente, e non essendo spesso praticabile l’opzione di intraprendere costose ricerche quantitative ad hoc (a meno che, per pura combinazione, non siano già state effettuate su settori e Paesi specifici, e siano anche disponibili e aggiornate, a costi contenuti)59, non possiamo che ricorrere a uno o più dei metodi desk proposti

58 V. anche quanto detto nei primi capitoli di questa parte.59 È ampiamente risaputo che la percentuale di aziende italiane abituate a condurre ricerche di mercato è assolutamente irrisoria, e non soltanto nell’ambito delle PMI.

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più oltre, meno precisi della stima cliente-per-cliente e meno esaustivi rispetto a indagini estensive sul campo, ma sicuramente molto a buon mercato e, comunque, in grado di fornire – purché adeguatamente utilizzati – stime di ordini di grandezza sufficientemente realistici.

Obiettivi e limiti dei modelli proposti

Data l’estrema complessità e diversità delle possibili situazioni di mercato (tipo di prodotti, tipo di utilizzatori o di acquirenti, tipo di intermediari, ecc.), i modelli più oltre sinteticamente descritti non hanno la pretesa di fornire risposte precise, ma hanno soprattutto l’obiettivo di far riflettere sui principali fattori che possono condizionare la dimensione della domanda nei vari Paesi, nonché – come già detto in più occasioni – quello di abituare alla formulazione di stime, anche in assenza di dati attendibili ed esaustivi sui contesti di riferimento.

Dal punto di vista tecnico, tali modelli dovrebbero facilitare, almeno in qualche misura, la stima di “ordini di grandezza” dei potenziali di mercato, con riferimento a specifici settori di attività e a determinati contesti geografici (paesi esteri), prendendo in considerazione alcune delle principali configurazioni (evidentemente, non tutte) che possono assumere i seguenti fattori:

natura/contenuto delle variabili da considerare: esterne (ambientali o di mercato) o interne (aziendali)

tipo di variabili da considerare: generiche (ad esempio, variabili socioeconomiche e demografiche) o specifiche di settore (ad esempio, consumi di determinati beni)

tipo di business e di utente finale

tipo di intermediari distributivi, ove applicabile e appropriato

tipo di dati relativi a tali variabili: di carattere primario (dati raccolti ad hoc in funzione degli obiettivi specifici dell’analisi in corso) o secondario (dati già disponibili, inizialmente prodotti per i motivi più diversi e dalle fonti più disparate, non necessariamente legati all’analisi in corso)

tipo di fonti che forniscono i dati (enti pubblici italiani e stranieri, associazioni di categoria, forza vendita aziendale)

livelli di potenziale: teorico, disponibile, effettivo, pertinente (v. seguito)

livelli di domanda: intermedia (distributori) o finale

tipo di unità di misura: quantità (in numero di pezzi o a peso o a volume) o valori monetari, valori assoluti o percentuali o indici

livelli di aggregazione delle unità di misura: valori unitari o totali

componenti elementari dei volumi o dei valori totali: numero di consumatori o utilizzatori (o di intermediari) e consumi o utilizzi (o acquisti) pro-capite

unità temporale di riferimento per la stima dei consumi: giorno, settimana, mese, anno

periodo di riferimento, soprattutto qualora i dati eventualmente disponibili come base di partenza per le stime risalgano a un anno precedente rispetto a quello di riferimento.

Per gran parte di tali fattori, dovrà essere presa in considerazione la disponibilità o non disponibilità di dati più o meno specifici in funzione dei settori di interesse, che dovranno comunque essere integrati dalla formulazione di stime.

In sostanza, quanto qui proposto non può avere la pretesa di risolvere esaurientemente e definitivamente il problema della stima dei potenziali per qualsiasi settore di attività e in qualsiasi contesto di mercato, ma si propone soprattutto di fornire, attraverso modelli esemplificativi, un metodo di lavoro per affrontare tale problema in modo consapevole e sistematico, consentendo anche agli utilizzatori (imprenditori, manager, consulenti) di evidenziare le principali aree di debolezza dell’analisi e le eventuali necessità di raccolta di informazioni integrative.

Prima di addentrarci nell’esame delle principali tipologie di modelli disponibili per una stima desk dei potenziali di mercato, cercheremo però di limitare almeno in parte la complessità del tema mettendo alcuni necessari “paletti”.

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62

È infatti incontestabile che sarebbe impossibile prevedere a priori tutte le particolarità dei diversi settori di attività economica, con le relative innumerevoli eccezioni dovute alle specificità dei contesti aziendali e di mercato.

Si pensi, ad esempio, che il famoso “guru” Philip Kotler (2002), facendo soltanto riferimento a tre dimensioni base (“product, space, and time”), ossia prima ancora di considerare i diversi livelli di potenziale (da lui classificati nelle quattro categorie “potential, available, served, penetrated” – quelle da noi proposte saranno concettualmente simili, anche se non esattamente le stesse), identifica 90 (novanta!) possibili combinazioni di “demand estimates”.

Ipotesi semplificatrici

A fini operativi e di (relativa) semplicità di approccio al problema, quanto sopra detto impone di delimitare l’ampiezza delle possibili opzioni e del campo di indagine con alcune ipotesi semplificatrici:

i modelli proposti suggeriscono di utilizzare, in ottica desk (ossia, a tavolino), prevalentemente o esclusivamente, dati di carattere secondario (ossia, già disponibili e provenienti da fonti di diverso tipo quali, soprattutto, banche dati sui Paesi, accessibili da web) e stime (eventualmente formulate sulla base di rilevazioni ad hoc a cura degli utilizzatori), ma non supportano la progettazione di ricerche, la raccolta, l’elaborazione e l’analisi di dati attraverso indagini specifiche (quantitative, a campione o addirittura “a tappeto” ove possibile, o qualitative tipo Delphi), che presuppongono il ricorso a specialisti di ricerche di marketing e, per lo più, investimenti significativi, né possono surrogare l’auspicabile attività sistematica di raccolta di informazioni sui clienti che le aziende interessate potranno svolgere una volta entrate nei mercati target

le previsioni riguardano soltanto l’ambito manifatturiero, e non viene quindi considerato il settore dei servizi, che presenta caratteristiche di variabilità e di bassa standardizzazione ancora più spinte rispetto a quelle che contraddistinguono il settore dei prodotti

entro tale ambito, i modelli proposti a titolo esemplificativo riguardano prevalentemente il settore dei beni non durevoli (ad esempio, alimentari, cosmetici, ecc.), forniti dalle aziende interessate, direttamente o indirettamente (attraverso distributori), ai consumatori finali (individui o famiglie); con i dovuti “distinguo”, i modelli sono tuttavia applicabili, almeno in parte, anche ad altri settori (beni durevoli, B2B)

le previsioni riguardano la “domanda finale”, sia pure eventualmente “filtrata” da distributori, e non i livelli di domanda a monte di tale stadio nella filiera produttiva60

si suppone che la dimensione stimata del mercato, con riferimento al periodo prescelto, sia unacostante, non influenzata o influenzabile dall’attività e dagli investimenti di marketing dell’azienda interessata che, quindi, potrà realizzare le proprie vendite soltanto “ritagliandosi una fetta” di tale “torta”, a scapito dei concorrenti61.

i modelli proposti non considereranno l’ipotesi delle vendite dirette al consumatore finale in contesto B2C e, in particolare, quella dell’e-commerce, dato che soprattutto in quest’ultimo caso la dimensione del mercato raggiungibile da parte delle aziende è eccessivamente variabile in funzione degli investimenti previsti (tipo ed entità) e della loro ripartizione fra vari mezzi62; è invece possibile, con uno dei modelli, stimare almeno in parte il potenziale di vendite dirette a utilizzatori finali in contesto B2B.

60 Nei settori “business to business” (produzione e/o vendita di materie prime, semilavorati, componenti, prodotti finiti, servizi, attrezzature, macchinari o impianti ad aziende o operatori), potrebbero evidentemente essere considerati livelli di domanda sia a monte che a valle di quello direttamente o indirettamente servito dalle aziende interessate: nel primo caso (domanda a monte) la stima del potenziale di mercato potrebbe essere effettuata con riferimento al valore aggiunto del prodotto di interesse rispetto ai materiali necessari per produrlo (ove sia nota la domanda di questi ultimi), mentre nel secondo (domanda a valle) si potrebbe adottare l’approccio inverso (sempre che sia nota la domanda dei prodotti cui contribuisce quello di interesse). 61 Questa limitazione potrà evidentemente essere rimossa in fase di pianificazione, quando si tratterà di prevedere le vendite aziendali, eventualmente realizzabili, almeno parzialmente, grazie all’acquisizione di clientela attualmente non facente parte del mercato di riferimento.62 In teoria, potrebbe essere utilizzato il metodo “bottom-up” (v. oltre), ma riteniamo che in questo caso il livello di aleatorietà delle stime sarebbe eccessivo. Fra l’altro, si andrebbe contro l’ipotesi semplificatrice appena formulata del mercato “costante”. Tale metodo prende tuttavia in considerazione la possibilità di vendite dirette a clientela finale rappresentata da operatori (ad esempio, nel caso dei prodotti alimentari, ristoranti, mense, comunità, ecc.).

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Infine, diamo ovviamente per scontato che gli approcci qui proposti possano essere di qualche utilità soltanto nel caso, peraltro estremamente probabile, in cui non esistano già dati pertinenti, attendibili, aggiornati ed esaustivi sulla dimensione dei mercati di interesse.

I principali metodi di stima dei potenziali di mercato e le caratteristiche dei modelli proposti

La letteratura sui metodi di stima dei potenziali è estremamente vasta: nella figura alla pagina seguente abbiamo classificato i principali metodi proposti, integrando lo schema con un maggiore dettaglio relativamente alla tipologia di metodi desk (“judgmental”) che ispira i modelli più oltre descritti63.

Come sopra in parte anticipato, ai nostri fini non sono scarsamente praticabili i metodi “field” (costi elevati, tempi lunghi e/o necessità di presenza operativa sul mercato), mentre per quanto riguarda quelli “desk” dobbiamo escludere quelli che presuppongono la disponibilità di un numero elevato di dati specifici (relativamente al settore di interesse), attendibili ed esaustivi:

il metodo basato sull’estrapolazione di tendenze passate (extrapolation) richiede la disponibilità di serie storiche relative ai parametri di interesse (ad esempio, consumi effettivi nel segmento e nel Paese target) per diversi anni a ritroso e, normalmente, per frazioni di anno (in genere, il trimestre)

quello basato sulla probabile relazione causa-effetto (causative) fra una o più variabili indipendenti e una variabile dipendente, presuppone, evidentemente, che si disponga di dati relativi all’andamento di tali variabili, cosa piuttosto difficile, almeno per quanto riguarda i consumi effettivi nel segmento target (variabile dipendente).

Restano quindi disponibili per una modellizzazione, e soprattutto per prevedere a tavolino i potenziali di mercato in Paesi nuovi per le aziende, i metodi sostanzialmente basati sulle stime e sulle “valutazioni” (judgment) dell’utilizzatore, possibilmente applicati a un certo numero di dati – per lo più relativamente generici (ossia, non specifici per il segmento target) – raccolti da fonti di carattere secondario.

Fra questi metodi, non consideriamo tuttavia quelli che non richiedono una particolare modellizzazione, e che sono quindi estremamente banali, come ad esempio quello che parte dai dati di consumo (eventualmente disponibili per il Paese target), relativi a macro categorie merceologiche che comprendono i prodotti di interesse, e stima l'incidenza relativa di questi ultimi sul totale: in questo caso, si tratterebbe infatti soltanto di stimare la percentuale di incidenza e moltiplicarla per i consumi della macrocategoria di interesse.

Qui di seguito sintetizziamo le caratteristiche principali dei metodi “judgmental” che riteniamo valga la pena considerare64:

A. Bottom-up

Parte dalla stima del numero di distributori e/o utenti (operatori) nel mercato o nell’area di interesse, ripartiti nelle categorie target (ad esempio, supermercati, dettaglio tradizionale, ristoranti, ecc.) e del loro consumo/utilizzo/acquisto pro-capite (mercato effettivo, sia pure in buona parte a livello di intermediario).

Sulla base di tali stime, vengono poi indicati i target di clientela da contattare (mercato pertinente),compatibilmente con la struttura dell’organizzazione commerciale prevista dall’azienda (numero di: clienti da visitare su base anno, visite medie per cliente, visite/venditore/giorno, giornate medie/anno di lavoro sul campo per venditore, venditori da assegnare al mercato). A questo proposito, è quindi comunque utile per una verifica della coerenza delle stime sull’articolazione della struttura commerciale.

Eventualmente integrabile da altre stime sul tasso di copertura e penetrazione della clientela, si presta agevolmente a proiezioni di quota di mercato.

63 I nomi assegnati a tali metodi sono nostri, in quanto la letteratura non entra normalmente in dettagli metodologici, almeno per quanto riguarda l’utilizzo di stime.64 Questi tre metodi sono stati concretamente tradotti in modelli su foglio elettronico come supporto alle attività di assistenza fornite alle PMI dai consulenti dell’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (ICE).

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Fig. 9.1 – Principali metodi di stima dei potenziali di mercato

metodi di previsione

desk (a tavolino)

field (sul campo)

quantitative (es. indagini

campione, mkt tests)

qualitative surveys (es.

Delphi, scenari)

extrapolation (es. serie temporali)

causative (es. regressione

multipla)

judgmental (basati

prevalentemente su stime)

bottom-up

top-down

benchmark

mixed (es. schede clienti)

B. Benchmark (analogico)

Parte dal potenziale eventualmente noto di un’area di mercato benchmark (ad esempio, paese, regione o provincia) e stima il potenziale del mercato target attraverso un confronto fra i profili dei due mercati con riferimento a un certo numero di variabili socio-economico-demografiche considerate rilevanti (ad esempio, popolazione, consumi pro-capite di determinati beni, incidenza percentuale della produzione industriale sul prodotto lordo, ecc.):

i dati dell’area target, per le variabili prescelte, vengono rapportati ai dati corrispondenti per l’area benchmark, ricavando dei moltiplicatori o demoltiplicatori (a seconda che il dato target sia rispettivamente superiore o inferiore a quello benchmark)

se la variabile considerata è inversamente correlata al potenziale di mercato (ad esempio, tasso di disoccupazione), il rapporto fra i dati viene invertito (ossia, il numeratore diventa denominatore, e viceversa)

i moltiplicatori o demoltiplicatori così ricavati vengono ponderati in funzione dell’importanza relativa assegnata alle variabili cui si riferiscono: l’indice medio ponderato così calcolato viene moltiplicato per la dimensione del mercato benchmark, ottenendo una stima dell’ordine di grandezza del mercato target.

Questo metodo richiede un numero di stime inferiore rispetto ai metodi A e C, ma si presta meno di questi a essere integrato con proiezioni di quota di mercato.

C. Top-down

Parte dalla stima del numero teorico di consumatori/utenti che appartengono presumibilmente al segmento prodotto/mercato di interesse e arriva, attraverso filtri successivi basati su stime percentuali, al numero di consumatori/utenti “disponibili”, “effettivi” e “pertinenti” per l'azienda; presuppone anche, per questi tre ultimi livelli, la stima dei consumi pro-capite.

Anche questo metodo può prestarsi a essere integrato con proiezioni di quota di mercato, soprattutto in contesto B2B.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

65

Un’indicazione di massima65 dell’applicabilità dei modelli in funzione, soprattutto, della disponibilità di dati da parte dell’utilizzatore, è fornita dalla seguente figura:

Fig. 9.2 – Indicazioni di massima sulla scelta del modello da utilizzare

Start

bottom-up benchmark top-down

si si

sei in unsettore di beni non

durevoli di consumo,prevedi di servire

direttamente grossisti e/o puntivendita e/o Ho.Re.Ca. e

puoi stimare in modoanalitico n. di operatori

e acquistimedi?

disponi di datisulla dimensione del

mercato in Italia (a quantità)per il settore e segmento

specif ico di tuo interesse e puoi avvalerti di parametri

socio-economici e demo-graf ici per i mercati

esteri?

nono, dovròavvalermiesclusivamentedi stime macrosull'end-user

Volendo tuttavia “tirare le somme” sul probabile livello qualitativo delle proiezioni che i tre modelli sono in grado di consentire, al fine di individuare possibili direzioni di miglioramento, riteniamo utile collocarli, insieme a un’ipotetica “situazione ottimale”, nello spazio a due dimensioni descritto nella figura che segue.

Fig. 9.3 – Probabile livello qualitativo delle proiezioni consentite dai modelli

65 Diciamo “di massima”, dato che, con gli opportuni distinguo ed eventuali adattamenti, i tre metodi (in particolare, “benchmark” e “top-down”, più generalizzabili di “bottom-up”) sono sostanzialmente applicabili alla grande maggioranza dei settori di attività.

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66

Come si può notare, la curva immaginaria su cui si trovano i modelli (rappresentativa, in un certo senso, di uno dei possibili livelli qualitativi delle proiezioni, in questo caso piuttosto basso), è alquanto lontana dalla situazione ottimale, anche se i modelli ai due estremi della curva non sono “messi male” su entrambe le dimensioni (mentre lo è “top-down”): “benchmark” è in grado di utilizzare dati molto probabilmente disponibili, anche se non sufficientemente specifici, mentre “bottom-up” è sufficientemente analitico e specifico, ma è improbabile che siano facilmente disponibili dati attendibili che lo alimentano.

A nostro parere, il management dovrebbe preferibilmente sforzarsi di migliorare il proprio bagaglio informativo (ossia, la disponibilità di dati attendibili) con riferimento a dati il più possibile specifici, e l’approccio suggerito da “bottom-up” è quello che ci sembra più vicino a questa logica (la lunghezza delle frecce punteggiate sta a indicare, sempre a nostro parere, il grado relativo di fattibilità di un avvicinamento alla situazione ottimale).

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67

10. Impatto del profilo dei Paesi sui fattori di successo

Una volta stimato il potenziale di mercato per i segmenti prodotto/mercato di interesse nel Paese target, è ovviamente importante valutare in quale misura l’azienda sarà in grado di ritagliarsene una fetta.

Come abbiamo ampiamente visto nel capitolo 7, la capacità dell’azienda di acquisire una quota della porzione del mercato che sarà materialmente in grado di raggiungere dipende direttamente dalla sua capacità di soddisfare i criteri di scelta adottati dal mercato (fattori di successo competitivo in senso stretto) almeno un po’ meglio di alcuni concorrenti, proponendo quindi un rapporto valore/prezzo relativamente più competitivo.

È quindi abbastanza essenziale cercare di capire quali siano i criteri di scelta adottati dal mercato di sbocco e quale sia la loro importanza relativa per i consumatori target. Anche su questo tema, l’ideale sarebbe poter condurre adeguate ricerche di mercato (possibilmente di carattere quali-quantitativo), ma sappiamo benissimo quanto le aziende siano poco abituate a investire in tali attività66.

Mettendoci quindi nei panni dei responsabili di un’azienda media o medio-piccola che desidera chiarirsi le idee sulle caratteristiche della domanda e sui criteri di scelta da essa adottata, sulla base soprattutto di un po’ di esperienza (meglio se in mercati simili a quello target), di intuizione e di buon senso, cercheremo di proporre uno schema di valutazione relativamente coerente, finalizzato a stimare in quale misura alcune caratteristiche socio-demografiche ed economico-industriali del paese target possano alterare l’importanza relativa dei criteri di scelta riscontrata, ad esempio, nel paese di origine (o in qualsiasi altro mercato noto).

Si presuppone quindi che il responsabile aziendale conosca, come minimo e in modo abbastanza approfondito, il proprio mercato, e sia in grado di valutare in modo sensato i parametri esterni che possono condizionare la sensibilità della domanda alle componenti del valore (vale a dire, ai criteri di scelta adottati dalla clientela).

La logica del modello proposto è sintetizzata nella figura che segue: prenderemo in esame, passo per passo, le varie parti dello schema, con il supporto di semplici elaborazioni su foglio elettronico, il cui risultato verrà presentato nelle pagine che seguono.

Fig. 10.1 – Logica del modello di valutazione

A. Valore dei parametririlevanti per i Paesibenchmark e target

B. Peso relativo deiKSFs nel Paese

noto (benchmark)

C. Impatto relativodei parametri sulla

sensibilità del mercatoai KSFs

D. Tipo (direzione)delle relazioni fraparametri e KSFs

E. Rapporti fra ivalori dei Paesi

target e quello delPaese benchmark

Fc. Peso diogni KSF

nei Paesi target

calcoli/output

dati reali

stime inp

ut

Fa. Media ponderatadei rapporti per tutti i

parametri e per ogni KSFin ogni Paese

Fb. Media ponderata deirapporti per tutti i KSFs

in ogni Paese target

A. Valore dei parametririlevanti per i Paesibenchmark e target

B. Peso relativo deiKSFs nel Paese

noto (benchmark)

C. Impatto relativodei parametri sulla

sensibilità del mercatoai KSFs

D. Tipo (direzione)delle relazioni fraparametri e KSFs

E. Rapporti fra ivalori dei Paesi

target e quello delPaese benchmark

Fc. Peso diogni KSF

nei Paesi target

calcoli/output

dati reali

stime inp

ut

Fa. Media ponderatadei rapporti per tutti i

parametri e per ogni KSFin ogni Paese

Fb. Media ponderata deirapporti per tutti i KSFs

in ogni Paese target

66 Esistono tecniche di ricerca abbastanza recenti e molto potenti, quali la “conjoint analysis”, che consentono proprio di stimare con buona approssimazione l’importanza relativa dei criteri di scelta adottati dal mercato e la sensibilità al prezzo dei potenziali clienti (v. anche il capitolo 12 sul pricing).

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

68

Come si è detto in altri capitoli di questa parte del libro, l’obiettivo principale del modello è soprattutto quello di far riflettere sul tipo e l’importanza delle variabili che possono condizionare i risultati aziendali e le loro relazioni: nel caso specifico, vogliamo valutare la sensibilità del mercato alle offerte dei fornitori nel mercato target.

Il riquadro in alto a destra della figura indica il tipo di operazione previsto in ogni fase di sviluppo concreto del modello logico:

il rettangolo centrale in alto identifica la prima fase del lavoro, consistente nella raccolta di dati di input relativi al paese noto e al paese di sbocco, con riferimento a parametri socio-demografico-economici ritenuti rilevanti per il settore di interesse

gli altri tre rettangoli identificano invece le stime formulate dal decisore (input), sulla base della propria esperienza e sensibilità, in merito all’impatto di tali parametri e alle caratteristiche del mercato noto

i riquadri ad angoli smussati descrivono l’output dei calcoli effettuati dal modello sulla base degli input di cui sopra.

Dati e stime di input

Nella figura che segue sono presentati, a titolo puramente esemplificativo, alcuni dati di input iniziali:

nella parte a sinistra (tabella A), i valori oggettivi delle variabili esogene ritenute rilevanti dal decisore per lo sviluppo del business di interesse: anche qui, quindi, c’è la componente soggettiva della scelta delle variabili (come del resto abbiamo visto nel capitolo 8)

nella parte a destra (tabella B), la stima dell’importanza relativa dei criteri di scelta adottati dalla clientela nel mercato “noto”, preso come benchmark.

Anche a questo proposito, ribadiamo che, almeno in teoria, la scelta delle variabili potrebbe essere effettuata sulla base di dati specifici di settore (utilizzando, ad esempio, la tecnica della regressione multipla), purché esistessero dati attendibili ed esaustivi sul valore delle variabili indipendenti (i parametri descrittivi dei paesi) e la variabile dipendente (ossia, ad esempio, la dimensione del mercato nel settore di interesse): peccato che, nella realtà, tali dati siano molto raramente disponibili! 67

Fig. 10.2 – Dati oggettivi relativi ai paesi di interesse e stima dell’importanza dei criteri di scelta nel paese noto, utilizzato come benchmark (esempio)68

A. parametri rilevanti X Y bench (1)1 population 200 80 1202 gdp/head 10000 18000 12000 price brand qual serv3 quality of life 60 80 50 20% 10% 25% 45%4 econ freedom (2) 4 2 35 area 5000 1500 60006 literacy rate 65 50 557 % serv/gdp 10 35 158 % mass distrib. 10 45 15

(1) Valori del Paese preso come riferimento (benchmark).(2) Indice inversamente correlato alla libertà economica.

B. stima dei pesi dei KSFs per il Paese benchmark

Ovviamente, nella realtà, i parametri prescelti per descrivere i Paesi potranno (e dovranno) variare in funzione degli specifici settori di interesse.

La figura che segue presenta invece le ipotetiche stime effettuate dal decisore su:

impatto relativo dei parametri descrittivi dei paesi sulla sensibilità del mercato alle diverse componenti del valore (tabella C a sinistra della figura): ad esempio, si ritiene che la dimensione della popolazione abbia un possibile effetto (anche se marginale) soltanto sulla sensibilità al servizio, e nessun effetto sul resto

67 V. anche quanto detto nella nota precedente riguardo alla valutazione dell’importanza relativa dei criteri di scelta.68 Per semplicità, in questo caso il prezzo viene implicitamente considerato come componente negativa del valore.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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direzione dell’impatto (tabella D a destra della figura), vale a dire: il parametro di interesse (ad esempio, il reddito pro-capite) ha un impatto inversamente proporzionale sulla sensibilità al prezzo e un impatto direttamente proporzionale sulla sensibilità alla marca (v. i due valori evidenziati).

Fig. 10.3 – Stime dell’impatto relativo dei parametri descrittivi dei paesi sulle componenti del valore, nonché sulla direzione dell’impatto (esempio)

price brand qual serv price brand qual serv0% 0% 0% 10% 1 population 1

20% 10% 30% 15% 2 gdp/head -1 1 1 115% 20% 20% 10% 3 quality of life -1 1 1 120% 20% 15% 15% 4 econ freedom 1 -1 -1 -10% 5% 0% 20% 5 area -1 1

20% 20% 20% 10% 6 literacy rate -1 1 1 115% 15% 10% 10% 7 % serv/gdp -1 1 1 110% 10% 5% 10% 8 % mass distrib. -1 1 1 1

100% 100% 100% 100% * 1= diretta -1= inversa 0= neutrale

C. Importanza relativa parametri D. Direzione dell'impatto *

Output intermedi e finali calcolati dal modello

Ora che abbiamo esaminato gli input necessari, non ci resta che vedere come il modello li trasformerà in output intermedi e finali.

Innanzitutto, i valori delle singole variabili sopra viste per il Paese target (presentati più sopra nella tabella A della figura 10.2), del quale si vuole stimare la sensibilità relativa alle componenti del valore, vengono rapportati a quelli corrispondenti per il Paese noto, ottenendo dei moltiplicatori o demoltiplicatori, a seconda che i numeratori del rapporto siano superiori o inferiori ai denominatori (v. figura che segue).

Se la variabile di interesse è ritenuta inversamente correlata a una specifica componente del valore (v. tabella D nella figura precedente) il rapporto fra i valori dei Paesi verrà invertito, dividendo il valore relativo al Paese benchmark per quello del Paese target.

Fig. 10.4 – Rapporti fra i valori di due paesi target e il paese benchmark, con riferimento ai parametri di interesse e in funzione della direzione dell’impatto

price brand qual serv price brand qual serv1 1,67 0,672 1,20 0,83 0,83 0,83 0,67 1,50 1,50 1,503 0,83 1,20 1,20 1,20 0,63 1,60 1,60 1,604 1,33 0,75 0,75 0,75 0,67 1,50 1,50 1,505 1,20 0,83 4,00 0,256 0,85 1,18 1,18 1,18 1,10 0,91 0,91 0,917 1,50 0,67 0,67 0,67 0,43 2,33 2,33 2,338 1,50 0,67 0,67 0,67 0,33 3,00 3,00 3,00

EPaese X Paese Y

Se prendiamo come esempio il Paese X e il parametro n. 2 (reddito pro-capite), notiamo quindi che (valori evidenziati in figura):

essendo la sensibilità al prezzo inversamente correlata al reddito (v. tabella D nella figura precedente), rapportiamo il valore del reddito del Paese benchmark ($ 12,000) a quello del Paese target ($ 10.000), ottenendo 1,20

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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d’altra parte, essendo la sensibilità al “brand” direttamente correlata al reddito, rapportiamo il valore del reddito del Paese target ($ 10,000) a quello del Paese benchmark ( $ 12,000), ottenendo 0,83.

In sostanza, possiamo per ora dire che, considerando soltanto il reddito pro-capite, il Paese target ha una maggiore sensibilità al prezzo (+20%) e una minore sensibilità al brand (-17%) rispetto al Paese benchmark.

Ma “quanto contano” (ossia, quanto sono importanti) queste proporzioni, se vogliamo valutare complessivamente la sensibilità del Paese target al prezzo e al brand (la medesima valutazione verrà evidentemente fatta per la qualità e il servizio) relativamente al Paese benchmark?

Nella figura che segue vediamo che, per ognuna delle componenti del valore, i diversi moltiplicatori o demoltiplicatori calcolati nel modo di cui sopra per tutti i parametri di interesse (tabella E) vengono ponderati in funzione della loro importanza relativa precedentemente stimata (tabella C).

Fig. 10.5 – Ponderazione dei rapporti precedentemente calcolati, in funzione dell’importanza relativa stimata dei parametri cui si riferiscono (Paese X vs. Paese benchmark)

price brand qual serv price brand qual serv1 1,67 population 0% 0% 0% 10%2 1,20 0,83 0,83 0,83 gdp/head 20% 10% 30% 15%3 0,83 1,20 1,20 1,20 quality of life 15% 20% 20% 10%4 1,33 0,75 0,75 0,75 econ freedom 20% 20% 15% 15%5 1,20 0,83 area 0% 5% 0% 20%6 0,85 1,18 1,18 1,18 literacy rate 20% 20% 20% 10%7 1,50 0,67 0,67 0,67 % serv/gdp 15% 15% 10% 10%8 1,50 0,67 0,67 0,67 % mass distrib. 10% 10% 5% 10%

100% 100% 100% 100%

1,18 0,94 0,94 0,94medie ponderate

F (X)

C. Importanza relativa parametriE

Paese X

Prendendo come esempio il brand, vediamo quindi che il Paese X è mediamente meno sensibile rispetto al Paese benchmark, e così via per le altre componenti del valore e l’altro Paese target.

Possiamo allora calcolare un moltiplicatore medio complessivo per i due Paesi target, ponderando i moltiplicatori appena trovati in funzione dell’importanza relativa delle componenti del valore nel Paese benchmark (v. figura che segue).

Fig. 10.6 – Moltiplicatori o demoltiplicatori medi per i due Paesi target

1,18 0,94 0,94 0,94 0,99 0,68 1,80 1,56 1,35 1,31

price brand qual serv20% 10% 25% 45%

B. stima dei pesi dei KSFs per il Paese benchmark

F (x) F (y)Paese X Paese Y

Si può notare che, rispetto al profilo del Paese benchmark, il Paese X è mediamente allineato (la media ponderata dei moltiplicatori si discosta di pochissimo da 1), mentre il Paese Y se ne distanzia mediamente in modo significativo.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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Tuttavia, questi risultati derivano, per l’appunto, da una media ponderata di moltiplicatori abbastanza diversi, soprattutto per il Paese Y. Se vogliamo stimare il peso relativo di tali moltiplicatori sulla media e, quindi, in quale misura l’importanza relativa delle singole componenti del valore si modifica nei Paesi target rispetto alla situazione riscontrata nel Paese benchmark (v. figura che segue), possiamo:

rapportare il moltiplicatore relativo a una singola componente del valore alla media dei moltiplicatori perun dato Paese target: prendendo questa volta come esempio il Paese Y e la sensibilità al brand, avremo quindi 1,80/1,31=1,37

moltiplicare tale risultato per il peso della componente di interesse nel Paese benchmark: 1,37*10%=14% (arrotondando).

Altrettanto verrà fatto per le altre componenti del valore nei due Paesi target.

In pratica, la proporzione fra il singolo moltiplicatore e il moltiplicatore medio enfatizza (come nel caso appena visto) o de-enfatizza l’importanza relativa della componente del valore considerata nel Paese target rispetto a quella del Paese benchmark.

Possiamo quindi interpretare i pesi stimati delle componenti del valore per i Paesi target, rispetto a quelli del Paese benchmark, nel modo seguente (parte destra della figura 10.7):

il Paese X è probabilmente più sensibile al prezzo e relativamente meno alle altre componenti

il Paese Y è probabilmente molto meno sensibile al prezzo e relativamente molto più sensibile a brand e qualità.

Fig. 10.7 – Calcolo dei pesi delle componenti del valore per i Paesi target

1,18 0,94 0,94 0,94 0,99 1,18 0,94 0,94 0,94 0,9924% 9% 24% 43% 100%

0,68 1,80 1,56 1,35 1,31 0,68 1,80 1,56 1,35 1,3110% 14% 30% 46% 100%

price brand qual serv20% 10% 25% 45%

B. stima dei pesi dei KSFs per il Paese benchmark

1° step 2° step

Paese X

Paese Y

Paese X

Paese Y

1,37 *

In conclusione

Il modello qui proposto potrà sicuramente sembrare un po’ artificioso e teorico69. D’altra parte, in assenza di dati più attendibili raccolti attraverso ricerche di mercato approfondite e inevitabilmente costose (situazione molto diffusa, soprattutto nell’ambito delle PMI), l’approccio appena descritto presenta, come minimo, i seguenti vantaggi:

costringe a fare mente locale sui fattori di successo competitivo nel settore di interesse e sulla loro importanza relativa, quanto meno sul mercato domestico

69 Non ci dilunghiamo quindi su possibili sofisticazioni del modello (standardizzazione dei valori dei parametri socio-economico-demografici sulla base di “range” modificabili) che consentirebbero di renderlo più flessibile e adattabile in funzione dell’eventuale disponibilità di informazioni più attendibili raccolte di volta in volta sui mercati di interesse, migliorando così le sue capacità “predittive”.

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fa riflettere sui parametri socio-economico-demografici che possono condizionare e alterare il profilo di tali fattori in un qualsiasi mercato estero

fa riflettere sull’importanza relativa di tali parametri per il settore di interesse

costringe a raccogliere dati aggiornati e attendibili sui valori di tali parametri nei mercati oggetto di analisi

come tutti i modelli di questo tipo (basati sostanzialmente su stime), è sistematico ed esplicito, e si presta a essere discusso, rettificato e aggiornato.

consente di alimentare in modo altrettanto sistematico il modello di supporto alle decisioni di destinazione delle risorse visto nel capitolo 7

richiede soltanto un po’ di lavoro e di fatica mentale.

Per contro, è ovviamente impreciso, e il livello di sensatezza delle sue conclusioni dipende direttamente dalla professionalità, esperienza e sensibilità di chi lo utilizza.

D’altra parte, quali sono le possibili alternative a questo approccio?

o si fanno ricerche di mercato serie sul profilo e il comportamento della clientela potenziale (ordine di grandezza degli investimenti nel 2008: da 20 a 80.000 euro, in funzione dei settori e dei mercati geografici), ottenendo comunque indicazioni con inevitabili margini di errore

oppure si decide in ogni caso la destinazione delle risorse (come del resto si è sempre fatto!) senza esplicitare la logica delle proprie decisioni e senza poter alimentare nel tempo, grazie a continui confronti fra previsioni, decisioni e risultati effettivi, una base di conoscenze accessibile e condivisibile, utile a migliorare il processo decisionale e le capacità di pianificazione.

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11. La scelta delle modalità di ingresso e di presenza

Nei capitoli precedenti abbiamo affrontato i temi della scelta dei paesi di sbocco, della stima dei potenziali di mercato nell’ambito dei Paesi prescelti e della stima dell’importanza relativa dei criteri di scelta adottati nella decisione di acquisto in funzione delle caratteristiche dei settori e dei Paesi.

Inutile dire che, al fine di prendere la decisione strategica fondamentale sulle modalità di ingresso e di presenza sul mercato, tali valutazioni dovrebbero essere integrate, come minimo, da ulteriori approfondimenti sui seguenti aspetti:

caratteristiche e comportamento dei principali concorrenti, tendenze previste

ove applicabile, caratteristiche e comportamento dei potenziali fornitori e dei canali distributivi

caratteristiche, obiettivi, strategie di fondo e risorse dell’azienda.

Abbiamo già trattato una parte di questi temi, sia pure superficialmente, tenuto conto delle finalità di questa prima parte del testo, orientata a una panoramica complessiva sulle problematiche strategiche in ottica di internazionalizzazione, e tratteremo il tema dei canali nel capitolo 13.

Per ulteriori approfondimenti, rinviamo soprattutto a testi di strategia e marketing, marketing internazionale e ricerche di mercato, assumendo in questa sede che, in vista della decisione sulle modalità di ingresso in un Paese, le problematiche sopra elencate siano già state tutte adeguatamente affrontate.

Le principali alternative

Le principali strategie di presenza all’estero sono classificabili in base alle dimensioni descritte nella figura che segue:

luogo della produzione: nel paese di origine (con esportazione all’estero), nei mercati di sbocco o in altri mercati (dai quali si esporterà poi nei paesi di sbocco o addirittura nel paese di origine)

grado di coinvolgimento societario e/o contrattuale all’estero.

Dall’angolo in alto a sinistra della figura (esportazione semplice) a quello in basso a destra (produzione diretta e integrata all’estero) aumentano, almeno tendenzialmente, il grado di commitmentda parte dell’impresa (con i conseguenti impegni finanziari e organizzativi) e le probabilità di rispondere efficacemente alle esigenze del mercato.

Nelle pagine che seguono ci riferiremo in particolare, più o meno esplicitamente, al caso di aziende manifatturiere (e non di servizi), alle produzioni di serie (e non su commessa), nonché alle ipotesi di presenza autonoma, rinviando alcuni cenni al tema delle alleanze al capitolo successivo.

Al fine di meglio esplicitare concretamente un possibile approccio alla scelta fra le varie alternative, concentreremo l’attenzione su alcune di queste opzioni, con riferimento a un ipotetico settore di attività, mentre non considereremo fra queste il “private labeling” (produzione per conto di un’azienda cliente – ad esempio, una catena di supermercati – che commercializza il prodotto sotto il proprio marchio), il franchising commerciale (la formula di franchising più diffusa e ben nota a chiunque) e il “piggybacking” (sfruttamento dell’organizzazione commerciale di un’azienda già presente sul mercato, che aggiunge il prodotto dell’azienda interessata alla propria gamma di offerte e lo commercializza insieme ai propri prodotti).

Le principali alternative nell’ambito della strategia di esportazione

Come già osservato nel capitolo 5, la strategia di esportazione è sicuramente quella più diffusa,anche se in alcuni settori sta diventando sempre più inadeguata a fronteggiare efficacemente le minacce concorrenziali, che ormai provengono da tutte le parti del mondo, da aziende sempre più sensibili alle esigenze di “massa critica”, più facilmente ottenibile attraverso investimenti diretti.

I testi di marketing internazionale si limitano, molto semplicisticamente, a identificare due ipotesi estreme di strategia export: quella diretta (gestita dall’azienda) e quella cosiddetta “indiretta” (gestita da un’organizzazione indipendente, come la trading company, nel Paese di origine dell’azienda stessa).

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74

Fig. 11.1 – Principali alternative di presenza all’estero

ubicazione attività produttiva

Gra

do d

i coi

nvol

gim

ento

all’

este

ro (

prop

rietà

O a

ltri a

ccor

di d

i col

labo

razi

one)

nessuno

franchising

joint-ventures

alleanzee accordi

acquisizioni

“greenfield”

Paesed’origine

Paesedi sbocco

AltriPaesi

export

altremodalità

piggybacking

franchisingproduttivofranchising

commerciale

privatelabeling

licensing *contract manufacturing

assemblaggio

produzione integrata

* Da non confondersi con il licensing di nomi, marchi, disegni.

A nostro parere le alternative significativamente diverse sono molto più numerose, sia dal punto di vista della loro efficacia sul mercato, sia da quello del loro profilo economico (in particolare, rapporto fra costi fissi e costi variabili), sia infine da quello della gestione amministrativa e fiscale.

Ciò è soprattutto dovuto al fatto che l’attività di esportazione può assumere configurazioni molto diverse a seconda della combinazione fra scelte di canale distributivo e scelte di tipologia di organizzazione di vendita, temi per i quali rinviamo a testi di marketing e marketing internazionale.

Limitiamoci quindi a identificare le principali combinazioni elementari, sulla base di due criteri di analisi:

chi fattura dal paese d’origine ed è responsabile della vendita?

a chi è intestata la fattura nel paese di sbocco, e da chi compra?

Grazie all’incrocio di tali criteri possono essere identificate almeno sedici alternative elementari di modalità di esportazione (v. figura alla pagina seguente), senza contare le diverse tipologie di distributori indipendenti che possono effettuare il primo acquisto (importatori in senso stretto, dealer/concessionari, grossisti, grande distribuzione, dettaglianti indipendenti), né l’esame delle possibili diverse strutture distributive nel paese di sbocco (a valle della prima fatturazione Italia-estero).

È sicuramente una situazione po’ più complessa di quella descritta dalla letteratura tradizionale in materia, che si limita a identificare due o tre alternative generiche!

Da quanto vedremo ben presto sarà evidente che, in funzione dell’alternativa prescelta, potrà cambiare in modo molto significativo il profilo di performance di mercato ed economico-finanziaria dell’azienda.

Comunque, sarà meglio che, a tal fine, cerchiamo di semplificare l’analisi selezionando al massimo due o tre incroci particolarmente significativi e diversi l’uno dall’altro, ad esempio:

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75

Fig. 11.2 – Possibili configurazioni base della strategia di esportazione

la n

ostr

aaz

iend

a

conforza

venditadiretta

conagenti

tradingcompany

Paese di sbocco: chi compra per

primo eda chi?

Paesed’origine: chigestisce lavendita e lafatturazione?

utente finale

organizzazione esterna

franchisee(distributore)

distributoreindipendente

filia

le lo

cale

*

con

escl

usio

ne d

el p

yggi

back

ing

dire

ttam

ente

dall’

orig

ine

da v

endi

tori

dire

tti

da a

gent

ilo

cali

almeno unintermediario

nessunintermediariodistributivo

almeno dueintermediari

non applicabileo irrilevante

dire

ttam

ente

dall’

orig

ine

da v

endi

tori

dire

tti

da a

gent

ilo

cali

dire

ttam

ente

dall’

orig

ine

da v

endi

tori

dire

tti

da a

gent

ilo

cali

1

2

3

4 5 6

7

8

9 10 11

12

13

14 15 16

alternativa 1: esportazione con forza vendita diretta italiana (ad esempio, l’export manager o il direttore vendite) direttamente all’utilizzatore, senza intermediari distributivi70

alternativa 13: esportazione tramite una trading company in Italia a un distributore indipendente all’estero (ad esempio, un dealer), quindi con almeno due intermediari distributivi

alternativa 14: esportazione a un dealer all’estero tramite forza vendita diretta in loco, che risponde in Italia all’export manager o al direttore vendite di cui sopra, quindi con almeno un intermediariodistributivo.

Le principali alternative nell’ambito della strategia di produzione all’estero

Ma, prima di affrontare il tema della valutazione delle diverse alternative, vediamone alcune altre, nell’ambito non più dell’esportazione, ma della scelta di produrre nel mercato di sbocco. Le alternative elementari sono quelle elencate qui sotto in ordine più o meno crescente dal punto di vista dell’entità dell’impegno diretto da parte dell’azienda interessata:

licensing di produzione

franchising di produzione

contract manufacturing

assemblaggio

produzione completamente integrata all’estero (greenfield).

70 Per “intermediario distributivo” intendiamo “chi compra per rivendere” (con il passaggio del titolo di proprietà): evitiamo quindi di considerare la forza vendita come “intermediaria”, anche qualora si trattasse di agenti indipendenti (la cui attività esclude normalmente l’acquisto, a meno che non svolgano “anche” il ruolo di distributori). La grande maggioranza dei testi di marketing e marketing internazionale parla di “intermediari” accomunando e confondendo sotto tale concetto sia i distributori che gli agenti, come se si trattasse di scelte di canale alternative, anziché, come spesso accade, complementari (e, comunque, con profili strategico-economico-contrattuali totalmente diversi).

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76

Si va infatti dalla semplice cessione della licenza di produzione a un’azienda straniera (che commercializzerà i prodotti in nome proprio) al coinvolgimento totale dell’azienda interessata con uno o più stabilimenti di produzione integrata.

Inutile dire che queste alternative comportano gradi di complessità molto variabili, anche e soprattutto dai punti di vista organizzativo e contrattuale.

Inoltre, a valle delle scelte di produzione, restano evidentemente percorribili diverse scelte in termini di canali distributivi e di vendita, temi già in parte visti precedentemente.

In ogni caso, anche qui semplificheremo e valuteremo in particolare licensing, contract manufacturing(attività di produzione effettuata da un’azienda sul mercato estero per conto dell’azienda italiana interessata, che poi gestirà direttamente la commercializzazione in nome proprio71) e assemblaggio, che sono fra l’altro le modalità relativamente più diffuse, a parte il franchising di produzione72.

Aggiungendo ora a queste alternative le tre precedentemente selezionate nell’ambito delle possibili modalità di esportazione, abbiamo la lista delle sei alternative che potremmo ritenere teoricamente plausibili in un caso specifico, ad esempio se operassimo nel settore delle attrezzature e macchine per il giardinaggio:

esportazione diretta all’utilizzatore

esportazione indiretta, tramite trading company, che rivende a dei dealer

esportazione diretta ai dealer

licensing di produzione

contract manufacturing

assemblaggio

Approfondimenti sull’international licensing di marchi, nomi, personaggi

Prima di procedere è opportuna una precisazione. Il licensing è una delle alternative di presenza produttiva all’estero appena viste: solitamente viene descritto con riferimento a prodotti e tecnologie e, come tale, è motivato essenzialmente da considerazioni strategiche “difensive” e di ripiego (è infatti appetibile, in particolare, per aziende che non dispongono di risorse sufficienti per intraprendere iniziative più aggressive quali l’investimento diretto all’estero).

Vi sono però altre forme di licensing molto più innovative e propositive, che non riguardano l’attività manifatturiera o di servizio delle aziende, ma altre entità quali marchi, nomi, immagini o personaggi che, grazie alla popolarità acquisita sul mercato nel proprio settore di appartenenza (ad esempio, il marchio Ferrari nell’automobilismo, quelli dell’Inter o del Manchester United nel calcio), diventano occasioni di business, sia in Italia che all’estero, in un’ampia gamma di settori alternativi (ad esempio, utilizzo dei marchi appena citati per la produzione di magliette, berretti, accendini, orologi, occhiali, ecc. ecc.).

È chiaro che, per assumere il ruolo di licensor (l’azienda che cede l’utilizzo del marchio, del nome, ecc.) bisogna che l’oggetto della cessione abbia una notorietà molto elevata, cosa evidentemente non proponibile per la grande maggioranza delle PMI.

Invece può essere molto più fattibile assumere il ruolo di licensee, “attaccando” ai propri prodotti qualche nome o marchio di risonanza globale, oppure addirittura creando nuove linee di prodotto o servizio che sfruttino tale opportunità.

È tuttavia abbastanza evidente che quest’ultima alternativa è perseguibile soltanto a determinate condizioni:

innanzitutto, è proponibile soprattutto per aziende operanti nel settore consumer, anche se vi possono essere possibilità di utilizzo di marchi nel settore business-to-business, particolarmente al fine di

71 Evidentemente, questa formula di “outsourcing” della produzione è applicata anche sul mercato domestico.72 Il franchising di produzione è tipico del settore dei servizi, in cui ovviamente il servizio (ad esempio, quello di ristorazione) non può essere “commercializzato” attraverso la distribuzione, ma deve essere prodotto contestualmente alla sua erogazione (vi sono rari esempi di franchising di produzione di beni, ad esempio quello adottato da Coca Cola).

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sviluppare la notorietà di marca presso, ad esempio, responsabili di uffici acquisti (si pensi ad agende o ad altro materiale personalizzato73)

inoltre, se gestita in modo serio e con obiettivi ambiziosi, va comunque abbinata a strategie di presenza di tipo tradizionale, finalizzate ad affermare i prodotti che sfruttano il nome, il marchio o l’immagine di cui si è ottenuta la licenza.

La valutazione delle alternative

L’approccio metodologico che proponiamo per valutare, in generale, alternative decisionali e, in particolare, le sei “finaliste” sopra descritte per il settore delle attrezzature e macchine per il giardinaggio, è quello sinteticamente descritto nella figura che segue.

Fig. 11.3 – Modello logico per la scelta fra alternative di presenza all’estero sulla base di più criteri

alternative

“pes

o” d

ei c

rite

ri

crit

eri d

i val

utaz

ione

performance stimata delle alternative

“voto”delle

alternativein rapportoai criteri

funzionale,tecnica,

organizzativa,societaria

conf

igur

azio

neal

tern

ativ

e

profilo delPaese e

dell’ambiente

profilo delsettore

profilodell’azienda

Da un punto di vista logico, il modello proposto è praticamente identico a quello che avevamo discusso nel capitolo 8, a proposito della scelta fra i paesi di sbocco:

al posto dei paesi ora abbiamo delle alternative di ingresso su un dato paese

al posto delle variabili descrittive dei paesi ora abbiamo dei criteri di scelta fra le alternative

al posto del “peso” assegnato alle variabili ora avremo un “peso” assegnato ai diversi criteri

al posto dei valori delle variabili descrittive di ogni paese ora abbiamo i “voti” da assegnare alle diverse alternative con riferimento ai criteri adottati.

La principale differenza rispetto al caso della scelta fra i paesi, in cui le caratteristiche dei medesimi erano descritte da dati oggettivi, nel caso della scelta fra strategie di ingresso tutto è molto più soggettivo e ancor più influenzato dai profili del settore e dell’azienda di interesse, oltre che da quello del paese prescelto.

Tuttavia, ciò che soprattutto conta, come in tutti i casi in cui si debbono prendere decisioni fra diverse alternative sulla base di molteplici criteri, è infatti l’esplicitazione sistematica del nostro modo di ragionare e delle ipotesi sottostanti la scelta finale.

73 In questo caso, è evidente che si sconfina nel campo della promozione vendite e dei supporti pubblicitari, ma nulla impedirebbe di commercializzare prodotti di questo tipo (qualora fossero particolarmente innovativi e utili all’acquirente), al di là dell’utilizzo puramente promozionale (basti pensare alla vita autonoma e al valore di mercato che ha ormai acquisito il calendario Pirelli).

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L’alternativa sarebbe quella di scegliere comunque, in modo più o meno intuitivo e quasi mai esplicito e formalizzato, come infatti finiscono per fare le aziende quando, come nel caso in esame, decidono le proprie modalità di presenza all’estero.

Vediamo ora, a titolo esemplificativo, come applicare concretamente questo modello logico allo specifico caso delle sei “finaliste” (modalità di ingresso) sopra viste per il settore delle attrezzature e macchine per il giardinaggio.

Presupponiamo quindi che un’ipotetica azienda operante in questo settore abbia identificato tali modalità come plausibili: ovviamente, per poterle valutare, dovrà averle precisate in modo concreto da uno o più dei seguenti punti di vista, ove applicabili: funzionale, tecnico, organizzativo, societario.

Ad esempio, quale profilo di dealer o di trading company per le alternative di esportazione? È evidente che le caratteristiche specifiche di tali interlocutori possono essere molto diverse e consentire risultati di penetrazione sul mercato drasticamente diversi (dal successo all’insuccesso): si vede quindi come anche questa scelta preliminare (l’identificazione delle alternative) possa essere estremamente soggettiva. Qui ipotizzeremo una buona conoscenza delle alternative disponibili e della situazione di contesto in cui ogni alternativa potrebbe calarsi.

Per quanto riguarda i criteri di valutazione, proponiamo i seguenti:

entità degli investimenti produttivi e/o commerciali (di struttura e discrezionali)

rischio di perdita totale degli investimenti

possibilità di conoscenza del mercato

possibilità di controllo delle risorse aziendali e, in particolare, degli strumenti di marketing

rapidità di ingresso sul mercato

posizione di mercato raggiungibile a medio termine

economie di scala e sinergie ottenibili

redditività ottenibile a medio termine

certezza degli incassi

rischio di concorrenza.

I criteri sono autoesplicativi, salvo forse l’ultimo, che si riferisce alla possibilità di crearsi, proprio a causa della strategia di presenza prescelta, un concorrente in più. Tale rischio è tipico del licensing: il licenziatario, una volta acquisito il know-how dalla nostra azienda, potrebbe diventare un nostro concorrente su mercati diversi da quello di interesse (o addirittura sul nostro mercato nazionale).

Ovviamente, chi decide dovrà assegnare ai diversi criteri un “peso” relativo (ad esempio, come consuetudine, in percentuale), in funzione degli obiettivi aziendali, dei propri valori e del proprio modo di pensare e di “sentire” (ad esempio, propensione ad assumere rischi): non dimentichiamo, infatti, che le decisioni vengono prese dalle persone, non dalle aziende!

Infine, ognuna delle alternative (nel nostro caso le sei diverse modalità identificate) dovrà essere “votata” in funzione dei diversi criteri.

Nel caso specifico, possiamo ipotizzare, per semplicità, che a ogni alternativa venga assegnato un “voto” da 0 a 10 su ogni criterio. Nella realtà, ci si dovrebbe sforzare di arrivare a un voto basato il più possibile su analisi approfondite e su dati un po’ più oggettivi rispetto alle semplici “sensazioni”: ad esempio, sviluppando una bozza, sia pure abbastanza approssimativa, di piano strategico ed economico-finanziario per ognuna delle alternative considerate, che consenta di quantificare almeno le stime di quote, ricavi, costi, tempi e probabilità di successo o insuccesso (alcuni parametri, quali “conoscenza del mercato” e “grado di controllo”, saranno comunque difficili da quantificare).

La figura che segue sintetizza una possibile ipotesi di confronto fra le alternative identificate, sulla base delle considerazioni di cui sopra.

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Fig. 11.4 – Valutazione esemplificativa di sei alternative di ingresso all’estero per un’azienda del settore “attrezzature e macchine per il giardinaggio”

n. descrizione peso

1 investimenti (1) 5% 7 4 9 10 8 22 rischio (1) 5% 7 5 8 8 8 43 conoscenza mercato 12% 8 6 1 0 4 74 controllo risorse 12% 9 5 1 0 6 85 rapidità 4% 6 5 7 4 5 36 quota di mercato 23% 6 6 7 5 7 87 economie di scala 4% 7 7 7 0 3 68 redditività 18% 6 5 4 3 6 79 certezza incassi (2) 10% 5 7 8 6 8 8

10 concorrenza (1) 7% 9 7 6 3 5 10100% 6,9 5,7 5,2 3,6 6,2 7,1complement

(1) Voto inversamente proporzionale al livello stimato di investimenti, rischio e concorrenza.(2) Le alternative "contract" e "assembly" presuppongono una successiva vendita ai dealer.

export produzione

licensing contract assembly

voto medio ponderato

diretta a user

diretta a dealer

tradingcriteri

Da questa ipotetica analisi sembra che abbia una certa prevalenza l’ipotesi della produzione locale con assemblaggio, sicuramente perché è stato dato un peso maggiore, ad esempio, alla quota di mercato (su questo criterio l’assemblaggio in loco ha il voto più alto) e un peso relativamente inferiore agli investimenti e al rischio (in cui l’assemblaggio è svantaggiato rispetto a tutte le altre alternative).

Quale alternativa sceglieremo? La prima e l’ultima sono molto vicine come punteggio, per cui dovremo come minimo porci tre o quattro domande:

abbiamo correttamente identificato e definito le alternative più interessanti?

abbiamo considerato tutti i criteri più importanti per valutarle?

abbiamo attribuito i voti alle diverse alternative considerando correttamente le caratteristiche di ognuna e del contesto di paese e di mercato in cui si calerebbe se venisse prescelta?

siamo sicuri che l’importanza relativa dei criteri per la nostra azienda sia quella espressa dalle percentuali della tabella?

Se l’analisi verrà condotta in modo accurato e se queste domande otterranno risposte approfondite, qualsiasi decisione venga presa sarà, quanto meno, una decisione ponderata, basata su una logica e su criteri espliciti e sistematici. Chi prenderà la decisione potrà sicuramente sbagliarsi, e probabilmente sbaglierà, ma ciò non sarà certo dovuto a superficialità e improvvisazione.

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12. Strategie e politiche di prezzo

Il tema della definizione dei prezzi, presupponendo di aver preliminarmente individuato i segmenti prodotto/mercato più appetibili nel Paese di sbocco e aver definito la configurazione dell’offerta di valore da proporre alla clientela potenziale (per questi temi rinviamo ai migliori testi di strategia e marketing strategico), anche in funzione delle modalità di ingresso e di presenza trattate più sopra, è particolarmente critico in una prospettiva internazionale.

È infatti elevato il rischio che l’inevitabile incremento di alcuni costi operativi (fissi e variabili: strutture di vendita, comunicazione, viaggi, trasporti, assicurazioni, tasse di importazione, ecc.) condizioni la formazione dei prezzi e, spesso anche a causa dell’allungamento dei percorsi distributivi (v. oltre), finisca per mettere l’offerta aziendale fuori mercato.

Riteniamo quindi utile, prima di affrontare il tema specifico dell’international pricing, cercare di chiarire quanto sia errata la diffusa abitudine di far dipendere la determinazione dei prezzi dal calcolo dei costi, richiamando poi brevemente le logiche cui le aziende dovrebbero invece ispirarsi in qualsiasi mercato, compresi ovviamente quelli internazionali.

Come sbagliare i prezzi basandosi sui costi

I risultati di una ricerca condotta in Italia74 mostrano che almeno il 70% delle aziende intervistate decide i prezzi, almeno in prima battuta, sulla base dei costi del prodotto (costi “pieni”, comprendenti il costo variabile e una quota dei costi fissi ripartiti in base alle unità prodotte).

Riteniamo sia a tutti ovvio che l’acquirente di qualsiasi bene o servizio effettua le sue scelte (fra le alternative eventualmente disponibili, e nel contesto di specifiche esigenze) sulla base di un confronto (più o meno consapevole) dei rapporti fra il valore percepito delle diverse offerte e le contropartite economico-finanziarie richieste dai fornitori (i prezzi e le condizioni di pagamento).

Visto dalla parte del fornitore che vuole produrre ricchezza per la propria azienda attraverso il soddisfacimento delle esigenze del mercato (e se non riuscisse a soddisfare tali esigenze non venderebbe nulla, ma venderebbero i suoi concorrenti!), il meccanismo può essere sintetizzato come si è visto nella figura 1.1 proposta all’inizio di questa parte del libro.

Crediamo sia evidente che il modello concettuale rappresentato in figura identifica relazioni causa-effetto reali e “fisiologiche”, e non elucubrazioni puramente teoriche o semplici convenzioni. A parte l’ovvia relazione fra margini, ricavi e costi e quella altrettanto ovvia fra quantità, prezzo e ricavi:

le quantità vendute presuppongono l’esistenza di una qualsiasi domanda di mercato (comunque generata) e la capacità dell’azienda di acquisirne una quota

l’acquisizione di una quota della domanda presuppone che il rapporto fra valore percepito dal mercato e prezzo da questi pagato sia soddisfacente e “competitivo” rispetto alle alternative disponibili

il livello di prezzo è inversamente proporzionale, a parità di altre condizioni, alla propensione all’acquisto, ma è spesso direttamente proporzionale – contemporaneamente – al valore percepito

il valore che il mercato percepisce dipende in larga misura dagli investimenti (in senso lato), e quindi dai costi, che l’azienda sostiene per produrlo

gli stessi investimenti aziendali possono contribuire all’espansione del mercato (ad esempio, acquisendo nuovi consumatori per il settore attraverso campagne di comunicazione), ma resta sempre valida la logica dell’acquisizione di una “fetta” della “torta” disponibile, a scapito dei concorrenti (comunque si sia sviluppata la torta).

C’è forse una qualsiasi relazione “fisiologica” e automatica di causa-effetto, nella realtà di mercato, fra costi (o investimenti) e prezzo? No di certo: se i costi influenzano il prezzo è soltanto perché qualcuno decide – come vedremo, scorrettamente – in tal senso.

Abbiamo mai deciso un acquisto valutando preventivamente i costi (in particolare quelli fissi!) sostenuti dal fornitore? … e allora, perché dovrebbe farlo il nostro cliente con riferimento alla nostra offerta?

74 La ricerca non è molto recente (V. Valdani, Pricing, Etas Libri, 2000), ma riteniamo che i suoi risultati siano, nella sostanza, ancora attuali.

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A parità di altre condizioni, dato uno specifico incrocio prodotto-mercato, una specifica situazione competitiva (ossia, un nostro profilo competitivo in termini di valore offerto) e all’interno di un intervallo di variazione del prezzo ben definito, la propensione del mercato ad acquistare dalla nostra azienda (ossia, a riconoscerci una “fetta” della “torta” dei consumi complessivi) è direttamente collegata al livello di prezzo.

Questo tipo di relazione viene solitamente descritto dalla famosa “curva di domanda” (relativa, in questo caso, alla nostra azienda) descritta nella figura che segue (lasciamo perdere per semplicità la considerazione del potenziale effetto positivo di livelli di prezzo crescenti sul valore percepito, che di fatto muterebbe di volta in volta il contesto analizzato).

Come si noterà dalla figura, abbiamo evitato di adottare l’approccio degli economisti (prezzo sulle ordinate e quantità sulle ascisse), per una serie di buoni motivi:

non stiamo parlando di commodities, ma delle vendite della nostra azienda in un determinato contesto competitivo

è evidente che, dato tale contesto, l’entità della “fetta di torta” da noi acquisita dipende, ovviamente a parità di altre condizioni, dal prezzo, e non viceversa (freccia punteggiata ad angolo retto nella figura)!

le quantità vendute dipendono, a loro volta, dalla nostra capacità di acquisire una “fetta”, data una certa dimensione della “torta”: queste ultime (la torta e la fetta) sono le vere variabili che, nella realtà di mercato, condizionano direttamente le quantità, mentre il prezzo ha soltanto un impatto indiretto (per l’appunto, attraverso la “fetta”).

Fig. 12.1 – La “curva di domanda” della nostra azienda

prezzi

fettedi torta

0

prezzo X

quot

a di

mer

cato

Y

curva di domandadell’azienda,

dato un livellospecifico di

profilo competitivopercepito dal

mercato

prezzi

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0

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Y

curva di domandadell’azienda,

dato un livellospecifico di

profilo competitivopercepito dal

mercato

prezzi

fettedi torta

0

prezzo X

quot

a di

mer

cato

Y

curva di domandadell’azienda,

dato un livellospecifico di

profilo competitivopercepito dal

mercato

Si sarà anche notato il muretto che abbiamo tentato di disegnare sopra la curva. Indica che la curva di domanda è un dato oggettivo e quanto mai reale e concreto, contro il quale si rischia di scontrarsi se non si è in grado di percepirlo o quanto meno di stimarlo:

il mercato “vede” il nostro prezzo (a parità di valore relativo percepito): se lo alziamo la nostra “fetta” si riduce, se lo abbassiamo si incrementa

il mercato non è minimamente interessato ai nostri costi!

Il cosiddetto metodo del cost-plus pricing (sintetizzato dalla tristemente nota frase: “Il prezzo del mio prodotto deve coprire tutti i costi e consentirmi un margine di profitto”) è quindi intrinsecamente illogico e incongruente, e cercheremo di dimostrarlo con un semplice modellino.

Nella figura che segue sono evidenziati in grassetto corsivo i valori oggettivi, e su fondo retinato i valori stimati o fissati come obiettivo, mentre il resto è calcolato dal modello):

il costo variabile unitario (cella C4) è ovviamente un dato di fatto

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per attribuire (in modo, peraltro, totalmente arbitrario) all’unità di prodotto una “responsabilità” di costo fisso (cella C5) dobbiamo invece prendere i costi fissi totali (altra variabile oggettiva, cella F3) e dividerli per le quantità che riteniamo di poter vendere (cella F4) o, peggio ancora, per le quantità che decidiamo di produrre!

Fig. 12.2 – Come (non) funziona il cost-plus pricing

B C D E F3 costi fissi tot. 600,000

4 costo variabile unitario 40 vendite stimate 30,000

5 costo fisso unitario 20

6 costo "pieno" unitario 60

7 margine desiderato sul prezzo 140 70%

8 prezzo fissato 200

sommiamo quindi questi due costi unitari e otteniamo il cosiddetto “costo pieno” unitario (cella C6)

se vogliamo un margine del 70% sul prezzo (cella D7), calcoliamo il prezzo (cella C8) dividendo il costo pieno unitario per [1 meno il margine].

Se si riproduce questo modellino su foglio elettronico, ci si posiziona sulla cella C8 cliccando tre volte di seguito sull’icona “individua precedenti” della barra “verifica formule” (o analogo strumento in altre versioni del foglio elettronico), appariranno le frecce evidenziate in figura, dalle quali si vede benissimo che, in ultima analisi, si è fatto dipendere il prezzo dalle quantità, ossia esattamente il contrario di ciò che succede nella realtà di mercato!

Ma vediamo perché questo approccio, oltre che “contro natura” da un punto di vista concettuale, rischia di farci prendere decisioni sbagliate:

cosa faremmo se, nel corso dell’anno, ci accorgessimo che la nostra previsione di vendite (30.000 unità) era pessimistica e che, al prezzo di 200, potremmo vendere praticamente il doppio?

evidentemente, dovremmo come minimo mantenere il prezzo, ammesso di essere in grado di produrre 60.000 pezzi, o possibilmente aumentarlo in caso contrario

questo comportamento, perfettamente ragionevole (che infatti viene adottato anche da chi abbia usato inizialmente il metodo del cost-plus), smentisce evidentemente in modo clamoroso l’utilità del metodo descritto in figura: se infatti inserissimo nella cella F4 del modellino la nuova previsione (60.000), il prezzo “suggerito” crollerebbe addirittura a 167!

Viceversa, ovviamente, se ci accorgessimo di non riuscire a vendere, a un prezzo di 200, più della metà delle quantità stimate: il modellino vi “suggerirebbe” di alzare il prezzo addirittura del 33%! Vi immaginate dove andrebbero a finire le vendite? Non è, quindi, inserendo i costi fissi nella composizione del prezzo(esercizio inevitabilmente artificioso e senza alcun riscontro reale), che si risolve il problema, anzi: possiamo star certi che, a meno di colpi di fortuna, con questo metodo perderemo vendite o margini, e sarebbe difficile ritoccare successivamente i prezzi (soprattutto verso l’alto) in tempi ragionevolmente brevi e senza scontentare il mercato.

Ricordiamoci, infatti, che il costo fisso unitario non esiste in natura, ma è il risultato di una pura elaborazione contabile: non si vede quindi che senso abbia usare tale parametro per prendere decisioni che hanno, invece, un impatto reale sul comportamento del mercato.

In conclusione, è evidente che i costi fissi dovranno essere coperti. Ma questa incombenza dovrà essere assolta dalla contribuzione totale [ossia, (prezzo – costo variabile unitario) x quantità vendute], non dal prezzo, che è proprio il fattore che condiziona le quantità vendute attraverso la variabile “fetta di torta”, data una certa dimensione della “torta”.

Se l’azienda non è in grado di elaborare (e mettere in atto!) scelte strategiche (che si traducono concretamente in costi variabili, costi fissi e prezzi) in grado di produrre una contribuzione totale che copra abbondantemente i costi fissi, c’è qualcosa che non va (scelta del segmento? posizionamento

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competitivo? costi variabili sproporzionati rispetto al valore presumibilmente percepito dal mercato? prezzo incoerente? costi fissi esagerati e non adeguatamente mirati o addirittura insufficienti e sotto massa critica? ecc.), e non è certo una modifica del prezzo attraverso una ripartizione dei costi che risolverà il problema, anzi è quasi certo che lo peggiorerà75.

L’approccio corretto alla determinazione dei prezzi

Ammesso, almeno per ora, che il principale obiettivo dell’azienda sia quello di massimizzare la contribuzione, il problema, riformulato, sarà quindi soprattutto quello di valutare quanto segue:

quale sarà l’impatto di cambiamenti di prezzo sulle quantità richieste dal consumatore?

quale sarà la differenza, in termini di contribuzione netta (in più o in meno) di tali cambiamenti?

Ricordando che il termine “contribuzione”, in generale, si riferisce alla differenza fra benefici e costi direttamente imputabili a una determinata entità o decisione aziendale e limitandoci a considerare in questo caso i costi pertinenti, ossia quelli variabili76, sintetizziamo due possibili alternative, in termini di strategia di prezzo, nella figura che segue.

Fig. 12.3 – Relazione fra prezzi, quantità e contribuzione

P’

P

P

Q’Q

Q

b

b’

0

Costo var.unitario

A

B

Le aree dei due rettangoli principali (PbQ0 e P’b’Q’0) rappresentano i fatturati nelle due ipotesi di prezzo, ossia il prodotto fra i prezzi (questa volta, sull’asse delle ordinate per meglio evidenziarne i diversi livelli) e le quantità (sull’asse delle ascisse), mentre la linea tratteggiata delimita verso il basso la porzione dei due rettangoli corrispondente al costo variabile (la linea incontra infatti il livello del costo variabile unitario sulle ordinate).

L’area tratteggiata in scuro rappresenta la parte di contribuzione (ricavi meno costi variabili) comune alle due ipotesi, mentre i due rettangoli A e B rappresentano rispettivamente la parte di contribuzione aggiuntiva riferibile alla prima (prezzo P, più elevato) e alla seconda ipotesi (prezzo P’, più ridotto).

75 Nel caso in cui il prezzo che si prevede massimizzi la contribuzione totale presupponga la vendita di quantità molto superiori alle attuali, con la necessità di incrementare i costi fissi di produzione, la valutazione delle alternative di contribuzione dovrà evidentemente essere effettuata al netto dell’eventuale incremento dei costi fissi, ma senza per questo ripartire tali costi in proporzione ai volumi.76 Evidentemente, vi potrebbero essere anche diversi costi “fissi” (il cui ammontare totale non varia proporzionalmente ai volumi) direttamente associati a diverse strategie di prezzo (forza vendita, pubblicità, ecc.): tali costi fissi dovrebbero quindi essere presi in considerazione nel valutare l’impatto delle strategie stesse, ma non certo per fissare il prezzo.

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Nel caso specifico, la riduzione di prezzo da P a P’ comporta quindi la perdita della contribuzione “A”, compensata tuttavia dal guadagno della contribuzione “B”. In termini strettamente economici, le due ipotesi sono equivalenti, dato che le aree “A” e “B” sono più o meno uguali; se invece l’incremento di quantità dovuto alla diminuzione di prezzo qui descritta fosse superiore, la seconda ipotesi sarebbe vincente, e viceversa in caso contrario.

In particolare, se si misurassero le grandezze descritte in figura, si vedrebbe che, sempre nel caso specifico, una riduzione di prezzo di circa il 27% dovrebbe essere compensata da un aumento di vendite del 50%: si dovrebbe quindi contare su un’elevata elasticità della domanda per il prodotto dell’azienda (attorno a “-2”) 77.

Si vede quindi subito quanto sia importante valutare in modo il più possibile corretto gli effetti di modifiche di prezzo sulle quantità richieste dal mercato.

È utile ribadire che, per semplicità, si è per ora ipotizzato che il principale parametro di confronto fra strategie di prezzo alternative fosse quello economico. In realtà, il criterio economico va evidentemente integrato da altri criteri più “strategici” quali, ad esempio, quello della quota di mercato: un aumento di quantità vendute, a parità di mercato di riferimento, comporta ovviamente un miglioramento della quota di mercato, e tale miglioramento può essere eventualmente, e consapevolmente, ottenuto – almeno a breve-medio termine – al prezzo di sacrifici dal punto di vista strettamente economico (v. anche quanto detto nel capitolo 7).

Più in generale, e indipendentemente dalla gerarchia di obiettivi specifici definiti dall’azienda (massimizzazione di quota, fatturato/cash-flow, contribuzione, immagine), l’obiettivo dell’analisi alla base della definizione del prezzo sarà innanzitutto quello di identificare una fascia di variabilità del prezzo “ragionevole” e relativamente contenuta, entro cui scegliere il livello più coerente con gli obiettivi aziendali.

A tal fine, le fasi del lavoro di analisi, diagnosi e decisione che riteniamo più appropriate sono quelle descritte nella figura che segue.

Fig. 12.4 – Fasi di lavoro per la determinazione del prezzo

identificareobiettivie vincoli

identificare lecomponentidel valore

stimare il pesorelativo dellecomponenti

valutare ilposizionamento

competitivo

valutare irapporti

valore/prezzo

definire unrange di prezzo

appropriato

stimare lapropria curvadi domanda

decidere illivello di prezzo

vs. obiettivi

(ri)definirela propostadi valore

(ri)definire ilposizionamento

prodotto/mercato

identificareobiettivie vincoli

identificare lecomponentidel valore

stimare il pesorelativo dellecomponenti

valutare ilposizionamento

competitivo

valutare irapporti

valore/prezzo

definire unrange di prezzo

appropriato

stimare lapropria curvadi domanda

decidere illivello di prezzo

vs. obiettivi

(ri)definirela propostadi valore

(ri)definire ilposizionamento

prodotto/mercato

Come si può notare dalla figura, si tratta di un processo iterativo e circolare, anche perché le condizioni di mercato e competitive possono variare nel tempo e richiedere correzioni e aggiustamenti.

La principale “chiave”, presupponendo di aver correttamente definito il proprio posizionamento nei confronti della concorrenza attraverso una valutazione dei rispettivi rapporti valore/prezzo, è proprio l’identificazione di una fascia di prezzi entro cui stimare la propria curva di domanda, ad esempio identificando quanto

77 Cambiamento % di vendite = - (cambiamento % di prezzo)/(margine di contribuzione % + cambiamento % di prezzo) x 100. Si noti il segno negativo che precede il rapporto fra le variabili.

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meno i livelli di quantità realizzabili al prezzo massimo e al prezzo minimo della fascia e interpolando poi i due punti estremi sulla base dell’esperienza e del buon senso.

Sarebbe ovviamente opportuno, soprattutto su mercati poco noti come quelli esteri, condurre un minimo di ricerca di mercato, almeno di carattere qualitativo (senza svenarsi con costose ricerche quantitative), ma è risaputo quanto tale pratica sia poco diffusa soprattutto fra le piccole e medie imprese.

La figura che segue mostra, nella parte a sinistra, un esempio di stima delle quote di mercato ottenibili a diversi livelli di prezzo in tre diversi segmenti di mercato, presupponendo che il prodotto, e quindi il relativo prezzo, non siano differenziabili per segmento e che vi sia trasparenza fra i segmenti (l’esempio si riferisce a un contenitore di prodotti alimentari freschi con particolari caratteristiche innovative dai punti di vista di: stabilità, riutilizzabilità, leggerezza, impermeabilità e peso): in questo caso, si presume che la percezione del valore dell’offerta aziendale in rapporto al prezzo e alle offerte della concorrenza sia diversa fra segmento e segmento e che, ad esempio, le caratteristiche del prodotto siano più vantaggiose per il segmento del pesce piuttosto che per quelli del pollame e della frutta e verdura.

Fig. 12.5 – Quote di mercato stimate per segmento (prodotto indifferenziato) e relativi risultati economici a diversi livelli di prezzo (esempio)

estimated shares in the three segments

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

0,00 0,25 0,50 0,75 1,00

prices

shar

es

chickenfishfruits

estimated results

-

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

1.600

1.800

0,00 0,25 0,50 0,75 1,00

prices

tho

usa

nd

eu

ros

revenues

contribution

Nella parte destra della figura si vede invece la proiezione dei risultati ai diversi livelli di prezzo, in funzione delle quote e della dimensione stimata dei mercati nei tre segmenti: si può facilmente notare che, se l’azienda avesse come obiettivo la massimizzazione della quota e/o del fatturato (o del cash-flow, assumendo pagamenti rapidi da parte della clientela), dovrebbe fissare il prezzo al livello più basso, mentre se desiderasse massimizzare la contribuzione sarebbe più consigliabile il livello intermedio fra i due estremi78.

Alcune particolarità del pricing in ottica internazionale

Anche la definizione dei prezzi sui mercati esteri dovrebbe evidentemente ispirarsi alle logiche viste sopra, evitando di farsi condizionare dai probabili maggiori costi operativi.

Tuttavia, proprio a causa dei maggiori costi, potrebbe essere a maggior ragione utile, prima di stabilire i prezzi, riconsiderare la configurazione dell’offerta e altre scelte strategiche che possono condizionarne l’entità, soprattutto per quanto riguarda i costi variabili.

78 Con il foglio elettronico Excel è facile tradurre le stime della curva di domanda in funzioni matematiche e quindi calcolare con precisione i livelli di prezzo che, date tali premesse, massimizzano gli obiettivi di volta in volta stabiliti.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

86

Fig. 12.6 – Valutazione dell’impatto sui prezzi finali di diverse combinazioni di tasse di importazione e scelte di canale distributivo

livel

li di

pre

zzo

stim

ati

tasse di importazione(in funzione delle strategie adottate e della configurazione dell’offerta)

ricarichi complessivi,in funzione dellescelte di canale

ipotetica areadi fattibilità

livel

li di

pre

zzo

stim

ati

tasse di importazione(in funzione delle strategie adottate e della configurazione dell’offerta)

ricarichi complessivi,in funzione dellescelte di canale

ipotetica areadi fattibilità

La figura qui sopra esemplifica concettualmente le alternative perseguibili in funzione di diverse modalità di presenza all’estero:

i segmenti verticali del rettangolo che delimita quella che abbiamo chiamato “area di fattibilità” indicano due livelli estremi di tasse di importazione, in funzione del fatto che il prodotto (in questo caso, biancheria intima femminile in fibra naturale di fascia qualitativa alta, venduta sul mercato USA) venga proposto come finito e branded (e destinato direttamente alla consumatrice) oppure come semilavorato destinato a trasformatori

i segmenti orizzontali delimitano i livelli di prezzo massimo e minimo considerati ragionevoli in funzione delle caratteristiche del mercato (il range di variabilità è molto ampio, proprio perché le diverse configurazioni dell’offerta potrebbero giustificare un’escursione molto significativa)

la fascia di rette indica invece la stima degli incrementi di prezzo al variare delle tasse di importazione in tre diverse ipotesi di scelte di canale (di cui parleremo anche nel capitolo successivo): come si vede, la retta superiore (canale lungo, con almeno due ricarichi intermedi) precluderebbe la possibilità di vendere il prodotto finito e branded (tasse di importazione alte) con qualche probabilità di successo.

In base a un’analisi di questo tipo, l’azienda dovrebbe essere in grado di effettuare una scelta ragionata delle alternative perseguibili (considerando eventualmente anche l’ipotesi di approvvigionarsi o addirittura produrre all’estero), integrando lo schema di valutazione delle alternative presentato nel capitolo precedente79.

Un altro tema di qualche interesse, soprattutto per aziende che vendono prodotti noti su mercati relativamente vicini e a utilizzatori abituati a confrontare i prezzi sui diversi mercati (ad esempio, in settori B2B quali la componentistica industriale, ma anche in settori B2C quale quelli dell’auto e di alcuni prodotti farmaceutici) è quello dell’eccessiva differenziazione dei prezzi fra mercato a mercato (dovuta, ad esempio, a diverse politiche di canale), che potrebbe creare turbative e stimolare il fenomeno delle importazioni parallele.

79 Nel caso specifico qui presentato, l’azienda aveva preso in considerazione addirittura otto possibili modalità di ingresso e di presenza sul mercato.

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87

Fig. 12.7 – Differenziazione dei prezzi e importazioni parallele

% della domandaestera sul mercato X

servita da importazioniparallele

10

10

0

20

30

40

50

20 30 40 50 600

importazioni parallele

differenze di prezzo fra i mercati X e Y (in % del prezzo sul mercato X)

% della domandaestera sul mercato X

servita da importazioniparallele

10

10

0

20

30

40

50

20 30 40 50 600

importazioni parallele

differenze di prezzo fra i mercati X e Y (in % del prezzo sul mercato X)

Dalla figura, si nota facilmente che l’incidenza delle importazioni parallele può crescere in modo molto significativo al crescere delle differenze di prezzo. Le aziende dovranno quindi trovare un accettabile equilibrio fra differenziazione o personalizzazione e armonizzazione dei prezzi praticati:

la personalizzazione dei prezzi in funzione dei vari mercati e delle specifiche scelte di canale può migliorare vendite e profitti (in quanto i prezzi sono maggiormente “mirati” agli specifici diversi contesti), ma crea le condizioni per le importazioni parallele e può generare caos nei canali

l’armonizzazione dei prezzi fra i vari mercati consente di evitare il fenomeno delle importazioni parallele, ma può ridurre significativamente l’efficacia dell’azienda sul mercato e la redditività.

Come suggeriscono Dolan & Simon80, si tratterà di trovare un ragionevole compromesso fra questi due possibili obiettivi, cercando di contenere il grado di differenziazione dei prezzi entro un “corridoio” relativamente stretto (esemplificato nella parte destra della figura che segue, riferita a un caso reale di prodotti farmaceutici da banco).

Fig. 12.8 – Compromesso fra differenziazione e armonizzazione dei prezzi fra mercato e mercato

80 Robert J. Dolan & Hermann Simon, Power Pricing, The Free Press, 1996.

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88

13. Strategie di canale

La logica di gestione dei canali distributivi all’estero non è diversa da quella che dovrebbe ispirare le scelte di canale sul mercato domestico. Tuttavia, la maggiore complessità della gestione dei canali all’estero impone un breve “ripasso” di alcuni concetti base, applicabili, mutatis mutandis, al contesto internazionale.

È tipico che le aziende esportatrici scelgano i canali distributivi prima di aver definito i necessari aggiustamenti dei prezzi di vendita, o addirittura decidano questi ultimi indipendentemente dalle scelte di canale. È invece ovvio che sia prioritario definire il pacchetto di offerta valore/prezzo (v. i capitoli precedenti) e che, in funzione di tale decisione, si valutino scelte di canale compatibili, salvo rivedere la configurazione dell’intera offerta qualora l’azienda si rendesse conto dell’impossibilità di conciliarla con le alternative di canale disponibili in un dato contesto di mercato.

A loro volta, le scelte di canale (ossia, di come far arrivare i prodotti al cliente finale, sia dal punto di vista fisico e logistico che da quello dei passaggi intermedi di proprietà) condizioneranno le decisioni relative all’organizzazione di vendita che dovrà “attivare” i canali stessi (anche a questo proposito, le aziende spesso invertono la sequenza logica delle decisioni!).

Le decisioni da prendere e i criteri di scelta

Abbiamo visto nel capitolo 11 che le possibili combinazioni canale/forza vendita nell’attività di esportazione sono molto numerose. Qui approfondiremo il tema dei canali distributivi, rinviando a testi specialistici quello della gestione della rete di vendita81.

Le principali decisioni da prendere sono riconducibili al seguente elenco:

• tipo (ruoli e caratteristiche strutturali) di distributori: quali (anche in termini di livello qualitativo e di importanza relativa di ogni distributore nell’ambito di ogni tipologia: importatori, grossisti, grande distribuzione, catene di dettaglianti, dettaglio indipendente e specializzato, ecc.82) e quanti

• mix di canale: importanza relativa dei diversi canali, soprattutto in termini di quantità e qualità dei prodotti da gestire

• grado di copertura e presenza geografica

• obiettivi, criteri e modalità di gestione della presenza: in particolare, politiche di prodotto, strategie e politiche di prezzo, sconti e termini di pagamento, politiche di co-marketing

• logistica, sistemi di trasporto e deposito, in funzione dei livelli di servizio desiderati.

Queste decisioni dovranno essere prese in funzione di un certo numero di criteri, ricordando che, a maggiore ragione in contesto internazionale, sarà importante considerare, oltre alla prospettiva aziendale, anche quella del cliente finale e del distributore stesso:

• prospettiva di mercato:

• quali sono i livelli di prezzo accettabili (v. capitolo precedente)?

• quale scelta consente la maggiore facilità di accesso al prodotto dell’azienda e la migliore rapidità di consegna?

• a quale gamma di offerta è interessato il cliente finale?

• quale scelta consente il miglior servizio pre e post-vendita?

• prospettiva del distributore:

• qual è il profilo dei fornitori cui è maggiormente interessato?

81 A questo proposito, è utile ribadire quanto detto nel capitolo 11: “distribuzione” e “vendita” sono aspetti strettamente connessi che vanno gestiti in modo coerente, ma le logiche manageriali che li ispirano sono abbastanza diverse, dato che con il distributore (che, a sua volta, svolge anche funzioni di vendita) vi è un passaggio di proprietà dei beni, cosa che non accade con gli agenti o con i venditori diretti. 82 Per “distributore” intendiamo, in generale, chiunque acquisti dei prodotti per rivenderli, contrariamente alla prassi anglosassone che identifica con il termine “distributor” soprattutto gli importatori e i grossisti (ossia, chi a sua volta vende ad altri operatori della distribuzione).

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89

• quali sono le sue opportunità di vendita e di guadagno con i prodotti dell’azienda?

• qual è il livello di servizio (consulenza, consegne, ecc.) cui è abituato?

• cosa si aspetta in termini di iniziative di marketing congiunte?

• prospettiva aziendale: quali scelte consentono …

• un’adeguata copertura del mercato?

• prezzi competitivi per il cliente finale?

• adeguati volumi di vendita e quote sul mercato servito dal distributore?

• margini unitari confortevoli?

• livelli di investimento ragionevoli?

• l’acquisizione di informazioni sul mercato?

• un adeguato controllo del marketing-mix?

• un impatto positivo sull’immagine aziendale?

• un’elevata coerenza strategica e operativa con le altre decisioni di marketing?

La figura che segue riassume la logica che dovrebbe ispirare la scelta fra possibili alternative di canale, in funzione della configurazione delle alternative ritenute ragionevoli e dell’importanza relativa assegnata ai criteri appena visti.

Fig. 13.1 – Schema logico per la valutazione delle alternative distributive

criterio 1

criterio n

pro

spet

tiva

di

mer

cato

/canale

pro

spet

tiva

azie

ndal

e

criteridi valutazione

pesodei

criteri

Media ponderata 100%

alternative decisionali

A B C ....................................

fattoririlevanti

componentidelle sceltedistributive

potenzialiconfigurazioni

dei canali

a b

c de

f

performance(“voti”)

delle alternative

g

h

criterio 1

criterio n

pro

spet

tiva

di

mer

cato

/canale

pro

spet

tiva

azie

ndal

e

criteridi valutazione

pesodei

criteri

Media ponderata 100%

alternative decisionali

A B C ....................................

fattoririlevanti

componentidelle sceltedistributive

potenzialiconfigurazioni

dei canali

a b

c de

f

performance(“voti”)

delle alternative

g

h

Nell’ambito della (o delle) alternativa/e base prescelta/e, sarà importante, ove possibile, valutare i potenziali candidati sulla base di ulteriori criteri più specifici, anziché limitarsi, come spesso si fa, a tentare di concludere accordi di distribuzione con i “primi venuti”:

tipo di clientela del distributore: ad esempio, serve soprattutto grossisti, dettaglianti o clientela finale?

qual è la sua copertura del mercato in rapporto alle potenzialità del Paese, della regione o della città in cui opera?

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90

quali marche e prodotti gestisce, quali possono rappresentare una concorrenza diretta?

quali sono i suoi ricarichi tipici?

qual è la sua immagine e reputazione sul mercato?

ha sufficienti capacità manageriali e supporti gestionali?

ha sufficienti capacità di marketing e vendita, come gestisce le attività di comunicazione?

quali sono – ove applicabile – l’ubicazione, il layout e l’apparenza esterna del punto vendita?

è disponibile a destinare risorse a nuovi prodotti e marche?

è disponibile a collaborare, condividendo informazioni sul mercato e attività di co-marketing, ecc.?

di quali risorse dispone (spazio, attrezzature, personale, finanza)?

quali sono le sue politiche di acquisto e di pagamento?

Soprattutto nei mercati internazionali più evoluti, è inoltre essenziale cercare di mettersi il più possibile nei suoi panni, sapendo che, a sua volta, il distributore adotta, più o meno consapevolmente, la maggior parte dei criteri sotto elencati per scegliere i fornitori. Sarà quindi opportuno, nel dossier di presentazione dell’azienda destinato al distributore, enfatizzare una buona parte delle caratteristiche dell’offerta che questi probabilmente apprezza (ovviamente, se corrispondenti alla realtà e alle politiche aziendali):

politiche di vendita snelle e veloci

favorevoli condizioni di vendita (sconti, premi, termini di pagamento)

esclusiva territoriale

consegne complete e tempestive, possibilmente anche di piccole quantità

ampia scelta di prodotti

buona reputazione e referenze

forza vendita professionale e amichevole, basso turnover

capacità di rispondere tempestivamente a richieste di assistenza pre e post-vendita

buona conoscenza del mercato e della concorrenza, capacità di pianificazione e programmazione

disponibilità a condividere informazioni sul mercato

assistenza e consulenza sulle migliori modalità di gestione del prodotto offerto

fornitura di materiale pubblicitario e promozionale

disponibilità a ritirare l’invenduto

disponibilità a contribuire a iniziative pubblicitarie e promozionali, dimostrazioni, ecc.

Gli aspetti su cui, di solito, “casca l’asino”, sono quelli relativi alla conoscenza del mercato e della concorrenza, alla capacità di pianificazione e programmazione (inclusa la regolarità delle consegne) e all’assistenza sulle modalità di gestione del prodotto. Soprattutto i distributori più evoluti (ad esempio, importanti catene di supermercati e grandi magazzini) richiedono all’azienda fornitrice garanzie almeno sui primi due punti, e apprezzano chi è in grado di fornire informazioni e linee guida sulla gestione ottimale del prodotto.

Non dimentichiamo, infatti, che anche il distributore è particolarmente sensibile alla redditività della gestione: informazioni relative alla prevista performance dei prodotti con riferimento ad alcuni indicatori tipici dell’attività di distribuzione (v. figura alla pagina che segue) possono influenzare molto positivamente la scelta del fornitore.

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91

Fig. 13.2 – Principali indicatori di performance dell’attività di distribuzione

GMROI

grossmargin (GM)

netsales

net salesfeet2 (S)X

=

X

inventory (I)feet2 (S)

feet2 (S)labor (L)

= net saleslabor (L)

=

net salesinventory (I)

X

X

X gross margininventory (I)

gross marginfeet2 (S)

gross marginlabor (L)

=

=

GMROL

GMROS

GMROI

grossmargin (GM)

netsales

net salesfeet2 (S)X

=

X

inventory (I)feet2 (S)

feet2 (S)labor (L)

= net saleslabor (L)

=

net salesinventory (I)

X

X

X gross margininventory (I)

gross marginfeet2 (S)

gross marginlabor (L)

=

=

GMROL

GMROS

GMROI

grossmargin (GM)

netsales

net salesfeet2 (S)X

=

X

inventory (I)feet2 (S)

feet2 (S)labor (L)

= net saleslabor (L)

=

net salesinventory (I)

X

X

X gross margininventory (I)

gross marginfeet2 (S)

gross marginlabor (L)

=

=

GMROL

GMROS

L’azienda fornitrice potrà soprattutto contribuire a un buon rapporto fra margine lordo e magazzino (GMROI: gross margin return on inventory investment) e fra margine lordo e spazio (GMROS: gross margin return on square foot), mettendo il distributore in condizione di vendere il prodotto velocemente e con una buona redditività.

Un modello di supporto alle decisioni sui canali all’estero

Come abbiamo visto, uno dei principali criteri adottati sia dagli operatori che dal consumatore è quello economico:

l’azienda e il distributore vogliono guadagnare e prosperare

il consumatore vuole pagare prezzi ragionevoli in rapporto al valore ricevuto.

È quindi ovvia l’importanza di stimare in quale misura le scelte aziendali consentiranno di ottenere un buon compromesso fra queste esigenze, normalmente contrapposte.

Assumendo che l’azienda abbia svolto i necessari “compiti a casa” prima di contattare distributori potenziali, ossia abbia analizzato il mercato di sbocco e la struttura dei canali, potremmo ipotizzare che il risultato delle sue analisi sia, ad esempio, quello sintetizzato nella figura alla pagina seguente.

Come si può notare, le percentuali all’interno dei riquadri indicano i ricarichi praticati dai diversi operatori sul proprio prezzo d’acquisto (il costo variabile unitario di produzione per i produttori), mentre quelle all’esterno indicano la proporzione di flussi quantitativi che transita attraverso i vari percorsi: dal percorso più breve (vendite dirette dai produttori ai consumatori, ad esempio attraverso l’e-commerce) a quello più lungo (dal produttore al consumatore attraverso importatori, grossisti e dettaglianti).

Nell’esempio, partendo da un costo variabile unitario di 200, si arriva a un prezzo medio pagato dai consumatori di 938, ponderato in funzione del mix di flussi quantitativi ai diversi livelli di prezzo intermedi.

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92

Fig. 13.3 – Esempio di struttura dei canali in un dato mercato

10 manufacturers (u.v.m.c. * = 200)

20 importers

100 wholesalers

300.000 consumers(unit weighted average price paid = 938)

50%

15%25%10%

30% 15%

30%15%

70%

2.000 retailers

100%

100%

5%

200% 100% 130% 150%

55% 33% 25%

60% 40%

80%

% =volume flows

% = markups

* Unit variable manufacturing cost for the manufacturers.

10 manufacturers (u.v.m.c. * = 200)

20 importers

100 wholesalers

300.000 consumers(unit weighted average price paid = 938)

50%

15%25%10%

30% 15%

30%15%

70%

2.000 retailers

100%

100%

5%

200% 100% 130% 150%

55% 33% 25%

60% 40%

80%

% =volume flows

% = markups

10 manufacturers (u.v.m.c. * = 200)

20 importers

100 wholesalers

300.000 consumers(unit weighted average price paid = 938)

50%

15%25%10%

30% 15%

30%15%

70%

2.000 retailers

100%

100%

5%

200% 100% 130% 150%

55% 33% 25%

60% 40%

80%

% =volume flows

% = markups

% =volume flows

% = markups

* Unit variable manufacturing cost for the manufacturers.

La figura rappresenta il profilo complessivo del mercato (ricavabile, ad esempio, da valutazioni incrociate da diverse fonti: studi di settore, articoli su riviste specializzate e su web, indagini ad hoc nel corso di fiere, rilevazioni effettuate da responsabili estero, ecc.), ma la struttura distributiva decisa dell’azienda dovrà ovviamente essere più mirata e selettiva.

Per poter meglio stimare in quale misura possibili decisioni aziendali potranno avere un impatto sui parametri economici precedentemente descritti, nel contesto di questa struttura distributiva, è utile innanzitutto trasferire i dati riportati in figura su foglio elettronico: in questo modo potranno essere calcolati i passaggi intermedi, con i diversi prezzi di vendita fra un operatore e l’altro e i relativi margini unitari (v. figure alla pagina seguente).

Osservando la figura 13.4, si può notare che le prime due tabelle contengono gli input provenienti dalla figura precedente, mentre nella terza tabella vengono calcolati, sulla base di tali input, i prezzi medi praticati e pagati dai diversi operatori e i relativi margini di contribuzione unitari (in assoluto e in percentuale).

Nell’ultima riga viene infine calcolata la quota del prezzo medio pagato dai consumatori che resta “in tasca” dei distributori83: è sicuramente un indicatore utile di “lunghezza media” dei canali (e del ruolo dei canali) nel Paese, soprattutto se confrontato a quello di altri Paesi.

Per un’analisi più completa (dei volumi complessivi, dei ricavi e dei margini totali e unitari per operatore) basterebbe aggiungere al modello pochi input aggiuntivi (numero di operatori per tipologia e dimensione stimata del mercato), ma riteniamo sia sufficiente, al fine della comprensione dell’impatto delle scelte distributive su alcuni parametri economici, limitarci a considerare l’ipotetica (e tipica) decisione aziendale di appoggiarsi esclusivamente a un importatore nel mercato appena descritto (v. figura 13.5).

83 Facendo la differenza fra il prezzo medio ponderato (in funzione dei flussi quantitativi) pagato dagli utilizzatori e il prezzo medio ponderato incassato dai produttori, e rapportandola al prezzo pagato dagli utilizzatori.

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93

Fig. 13.4 – Impatto della struttura dei canali su prezzi e margini unitari nel mercato di sbocco (esempio)

200quantitative flows

to ---->from:manufacturers 50% 30% 15% 5% 100%importers 15% 25% 10% 50%wholesalers 30% 15% 45%retailers 70% 70%Total 50% 45% 70% 100%

markupsto ---->

from:manufacturers 100% 130% 150% 200% 122%importers 25% 33% 55% 35%wholesalers 40% 60% 47%retailers 80% 80%

pricesto ---->

from: absolute %manufacturers 400 460 500 600 443 243 55%importers 500 532 620 540 140 26%wholesalers 663 757 694 221 32%retailers 1046 1046 465 44%Avg price paid 400 473 581 938

Average proportion of channels' margins on the end-user price 53%

unit variable manufacturing cost

averageusers

importers wholesalers retailers users avg price charged

contribution

importers wholesalers retailers users total

importers wholesalers retailers

Fig. 13.5 – Impatto della scelta aziendale di appoggiarsi all’importatore A nel mercato sopra descritto

220quantitative flows

to ---->from:manufacturer 100% 0% 0% 0% 100%importer 20% 80% 0% 100%wholesalers 20% 0% 20%retailers 100% 100%Total 100% 20% 100% 100%

markupsto ---->

from:manufacturer 100% 100%importer 25% 33% 31%wholesalers 40% 40%retailers 80% 80%

pricesto ---->

from: absolute %manufacturer 440 440 220 50%importer 550 585 578 138 24%wholesalers 770 770 220 29%retailers 1120 1120 498 44%Avg price paid 440 550 622 1120

Average proportion of channels' margins on the end-user price 61%

End-user price difference vs. average market price 19%

unit variable manufacturing cost

averageusers

importer wholesalers retailers users avg price charged

contribution

importer wholesalers retailers users total

importer wholesalers retailers

Page 109: Il Management dell'Internazionalizzazione - II Edizione

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94

Come si può notare dalla figura:

il costo variabile unitario di partenza dell’azienda è superiore del 10% rispetto a quello medio dei produttori sul mercato (il che può essere ampiamente giustificato, ad esempio, da una migliore qualità, da un packaging migliore e da un imballaggio più accurato);

l’importatore A, che è l’unico cliente dell’azienda (il 100% delle vendite aziendali transita attraverso A), vende 4/5 dei suoi acquisti a dettaglianti e 1/5 a grossisti;

ipotizzando che i ricarichi dei vari operatori siano uguali a quelli medi di mercato, il prezzo medio stimato di vendita all’utilizzatore finale dei prodotti dell’azienda è di circa il 20% superiore a quello medio di mercato (è evidente che la lunghezza media del percorso seguito dai prodotti è maggiore rispetto a quella media di mercato: il 61% del prezzo medio finale va ai canali).

È quindi probabile che, per mettere l’importatore in condizione di vendere quantità ragionevoli del prodotto di interesse, sia necessario un aggiustamento dei ricarichi, magari facendo uno sconto all’importatore e negoziando con lui una piccola riduzione, a sua volta, dei ricarichi usuali (fatta salva, ovviamente, una verifica del rapporto valore/prezzo offerto al mercato ai livelli di prezzo ipotizzati).

Ma vediamo cosa succederebbe se l’azienda, anziché rivolgersi ad A, cercasse di concludere una vendita all’importatore B che, come si vede dalla figura che segue, ha un mix di vendite opposto rispetto ad A (4/5 venduti a grossisti).

Fig. 13.6 – Impatto della scelta aziendale di appoggiarsi all’importatore B nel mercato sopra descritto

220quantitative flows

to ---->from:manufacturer 100% 0% 0% 0% 100%importer 80% 20% 0% 100%wholesalers 80% 0% 80%retailers 100% 100%Total 100% 80% 100% 100%

markupsto ---->

from:manufacturer 100% 100%importer 25% 33% 27%wholesalers 40% 40%retailers 80% 80%

pricesto ---->

from: absolute %manufacturer 440 440 220 50%importer 550 585 557 117 21%wholesalers 770 770 220 29%retailers 1319 1319 586 44%Avg price paid 440 550 733 1319

Average proportion of channels' margins on the end-user price 67%

End-user price difference vs. average market price 41%

contribution

importer wholesalers retailers users total

importer wholesalers retailers

unit variable manufacturing cost

averageusers

importer wholesalers retailers users avg price charged

Come si vede, il prezzo medio stimato che dovrebbe essere pagato dall’utilizzatore finale, è addirittura del 41% più caro rispetto a quello medio di mercato (l’incidenza dei margini ai canali sul prezzo finale è addirittura di 2/3!).

Inutile dire che, in questa situazione, sarebbe ben difficile trovare un accettabile compromesso che consentisse all’importatore di vendere quantità ragionevoli dei prodotti dell’azienda: ammesso che l’azienda riuscisse a concludere una vendita iniziale senza abbassare eccessivamente il proprio margine

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(ma comunque guadagnando meno), l’importatore finirebbe per rendersi conto di dover svendere il prodotto per liberarsene, guadagnando quindi un margine di contribuzione ancora più basso rispetto a quello stimato in figura (già inferiore a quello stimato per l’importatore A nella figura precedente) e se ne guarderebbe bene dal riacquistare i prodotti dell’azienda.

In conclusione, dovrebbe essere evidente da questo esempio (anche se molto parziale e limitato all’analisi di prezzi e margini unitari) quanto sia importante ponderare adeguatamente la scelta dei partner distributivi: una scelta sbagliata può addirittura “bruciare” l’azienda nel mercato di sbocco per periodi significativi, considerando anche il fatto che spesso i distributori richiedono un’esclusiva di zona o addirittura nazionale per almeno un anno.

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14. Scelte organizzative e alleanze

La scelta delle modalità di ingresso sui mercati esteri, trattata precedentemente, è normalmente propedeutica alla definizione delle strategie di gestione delle diverse risorse aziendali, con particolare riferimento a quelle di marketing: definizione della gamma e delle caratteristiche dei prodotti (valutando in quale misura siano o meno opportuni adattamenti specifici), definizione delle scelte di canale distributivo e di vendita, dei livelli di prezzo e di sconto, delle condizioni di pagamento, delle politiche di comunicazione e promozione, ecc.

Rinviando ai testi di marketing per una trattazione delle politiche di gestione del prodotto, della vendita e della comunicazione, le cui logiche sono esattamente le stesse in qualsiasi contesto (in ottica internazionale cambieranno ovviamente i parametri di mercato, ma non i criteri decisionali), qui accenneremo ad alcune delle problematiche organizzative che si devono affrontare in ottica internazionale, a integrazione di quanto detto nel capitolo 4 sulla valutazione delle risorse e delle competenze interne.

Discuteremo inoltre brevemente l’ipotesi di alleanze e joint-ventures fra aziende (assetto organizzativo “allargato”, in vista di specifici obiettivi non perseguibili – o difficilmente perseguibili – da una singola azienda, mentre dedicheremo l'ultimo capitolo al tema del controllo strategico in contesto internazionale.

Le strutture organizzative in contesto internazionale: alternative e criteri di scelta

L’analisi delle più recenti evoluzioni degli assetti organizzativi, consentite (anche alle PMI) dall’incessante sviluppo delle tecnologie dell’informazione, richiederebbe approfondimenti che vanno al di là degli obiettivi di questo testo.

Ci limiteremo quindi a discutere alcune delle forme organizzative “classiche” adottate dalle aziende che operano sui mercati internazionali, evitando peraltro di dilungarci sull’ipotesi di struttura “non dedicata”, cui ricorrono molte PMI che gestiscono l’attività di esportazione in modo marginale e residuale: il titolare, o il Direttore Commerciale, o il Direttore Vendite si occupa un po’ di tutto, esportazione compresa.

L’evoluzione più naturale di tale scelta, nel senso di una maggiore attenzione ai mercati esteri, consiste nell’assegnare responsabilità specifiche a specialisti export o addirittura a entità organizzative relativamente autonome (divisione export o simili), senza alterare tuttavia l’assetto complessivo dell’organizzazione aziendale.

Se invece l’attività internazionale è parte integrante della strategia aziendale, anche la struttura organizzativa deve rispecchiare tale orientamento. In tale caso, i principali criteri per l’individuazione di livelli gerarchici e l’assegnazione di responsabilità sono riconducibili alle seguenti alternative:

per funzione

per prodotto, linea di prodotto, marchio, area d’affari o tipologia di clientela

per mercato geografico

una o più combinazioni di tali criteri (strutture miste, a matrice, ibride).

Nel primo caso, normalmente “comandano”, nelle rispettive aree di competenza (commerciale, produzione, finanza), i diversi responsabili funzionali: ad esempio, le eventuali dilazioni di pagamento offerte alla clientela vengono definite dal responsabile finanziario (quando ce n’è uno) o addirittura dal titolare, indipendentemente da chi abbia, in azienda, la responsabilità del paese di sbocco e della vendita di prodotti specifici.

Nel secondo caso, l’eventuale responsabile di linee o gruppi di linee (o, meglio ancora, di business) decide le strategie da adottare nei diversi paesi, indipendentemente da chi possa essere, ad esempio, responsabile dei mercati di sbocco.

Nel terzo caso, “comanda” il responsabile del paese, indipendentemente da chi possa essere, ad esempio, responsabile di funzione o di business.

Infine, soprattutto nell’ambito di aziende di una certa dimensione, presenti con molte linee di business su più mercati, sono di solito prescelte soluzioni composite o ibride, tipo quella descritta nella figura che segue in cui, ad esempio, i brand manager o responsabili di marchio rispondono sia ai responsabili di business che al direttore marketing dell’area geografica di riferimento.

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Nell’ottica di questo capitolo, riteniamo sia soprattutto importante fare mente locale sui criteri di scelta fra le varie alternative ragionevolmente ipotizzabili. Criteri significativi potrebbero essere, ad esempio, i seguenti:

coerenza con gli obiettivi e le strategie aziendali

caratteristiche specifiche dei mercati di sbocco e dei concorrenti da affrontare

flessibilità e velocità di reazione

massa critica

profilo economico (costi fissi e variabili)

efficienza

grado di complessità (per la gestione e il controllo).

È praticamente impossibile definire a priori quali siano le soluzioni organizzative più adeguatead affrontare i diversi possibili contesti di business e di mercato geografico. Si può soltanto dire, in generale, che quanto più il centro decisionale sarà lontano dal contatto con il mercato (ad esempio, con strutture funzionali molto centralizzate), tanto meno sarà possibile reagire con prontezza all’evoluzione della domanda e del contesto competitivo: d’altra parte, tale soluzione richiederà normalmente investimenti inferiori rispetto a quella, ad esempio, della struttura per mercato geografico, con un responsabile residente in ogni mercato.

Tutto dipenderà anche dai sistemi e dai meccanismi operativi adottati per far funzionare la struttura: in particolare, dal sistema informativo di marketing (che potrebbe consentire, se ben strutturato, un soddisfacente livello di controllo anche a distanza) e da quello premiante (che potrebbe facilitare un buon coordinamento delle attività anche fra funzioni e ruoli con obiettivi in parte conflittuali).

In ogni caso, anche a questo proposito potrà essere utile adottare un approccio decisionale analogo a quello visto per la scelta delle modalità di ingresso sul mercato.

Fig. 14.1 – Esempio di struttura a matrice

general manager

Europa Ovest

Europa dell’Est

altre regioni oaltri Paesi altre funzioni

produzione

marketing

marchio A

marchio B

altrimarchi

settore A

settore B

altrisettori

Paesi/regioni funzioniprodottie segmentimarchi

In questa ipotesi, sarà particolarmente cruciale (e anche relativamente complesso) identificare in modo sufficientemente preciso quali alternative organizzative valga la pena prendere in considerazione, valutandole poi in base ai criteri sopra indicati.

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Alleanze e partnership

Abbiamo già accennato all’importanza di alleanze e accordi e ne abbiamo già velocemente descritte alcune forme: ad esempio, parlando di franchising produttivo e distributivo, di piggybacking, di licensing e di contract manufacturing che, di fatto, rappresentano accordi di collaborazione con partner esterni.

A dire il vero, gli accordi di collaborazione di questo tipo e le alleanze in genere non rappresentano soltanto modalità organizzative per operare sui mercati, ma sono soprattutto il risultato di importanti scelte strategiche, che dipendono a loro volta da una serie di buoni motivi, tutti peraltro riconducibili al puro buon senso, per cui sarebbe estremamente opportuno, praticamente per qualsiasi azienda, cercare di ricorrere ad alleanze.

Gran parte di tali motivi può essere riassunta, in generale, nell’esigenza di migliorare la propria performance competitiva nei confronti di clienti attuali o potenziali, soprattutto tenendo conto del fatto che il livello di massa critica per operare su mercati sempre più globali si sta alzando pericolosamente, e che le risorse disponibili all’interno sono quindi sempre più inadeguate.

È sotto gli occhi di tutti che il numero di accordi fra imprese di grandi dimensioni è in continua crescita: figuriamoci se non è a maggior ragione importante che le piccole e medie imprese si attrezzino per aumentare la loro capacità di fuoco.

Al di là delle specifiche forme di collaborazione sopra citate, con il termine “alleanze” ci si riferisce, più in generale, ad accordi fra aziende relativamente paritetici, con esclusione delle semplici acquisizioni (in cui chi comanda è l’azienda acquirente).

Nella figura che segue sintetizziamo le principali modalità formali che possono assumere gli accordi fra imprese. È chiaro che, se tali accordi prevedono partecipazioni azionarie di vario tipo, le decisioni relative non possono che essere prese dai titolari delle imprese, ma è altrettanto certo che anche i suoi stretti collaboratori dovrebbero essere in grado di individuare e proporre opportunità di partnership.

Fig. 14.2 – Tipi di alleanze: aspetti formali e societari

conpartecipazioni

societarie?

organizzazioniindipendenti?

nuoveentità?

partecipazionidi

minoranzajoint-venture

formali

joint-venturesinformali

accordioperativi su

basecontrattuale

si

si

sino

no

no

Fra l’altro, gran parte delle alleanze o accordi che funzionano veramente non presuppongono interscambi societari (v. il riquadro in alto a sinistra nella figura), ma si limitano a formalizzare modalità di collegamento e collaborazione di tipo operativo, che anche i responsabili commerciali sono perfettamente in grado di mettere a punto e realizzare: si pensi, ad esempio, ad accordi di esclusiva con distributori, basati su contratti che prevedono determinate prestazioni da parte del fornitore, a fronte di obiettivi e di impegni a medio e lungo termine assunti dalla controparte.

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15. Impatto dei profili professionali sull’efficienza nell’impiego delle risorse

Approfondendo il tema dell’organizzazione, e ricollegandoci anche a quanto detto nel capitolo 4 riguardo alla valutazione delle risorse e delle competenze interne, riteniamo utile evidenziare, con un semplice modello, quanto sia importante disporre di risorse professionali all’altezza del compito di gestire la presenza aziendale sui mercati esteri: la medesima logica vale evidentemente anche sul mercato domestico, ma il livello di complessità del contesto internazionale rende ancor più significative le considerazioni che seguono.

Ricorderete senz’altro il modello di supporto alle decisioni di investimento presentato nel capitolo 7: per comodità di consultazione, riportiamo nella figura che segue l’ipotesi già vista in quella sede (figura 7.7), in cui si stimava che le decisioni di “investimento” (in costi fissi e variabili) consentissero di ottenere una performance molto elevata in termini di valore percepito dal mercato (9,4/10) e, quindi, di capacità competitiva.

Fig. 15.1 – Impatto delle decisioni di “investimento” sul profilo competitivo

qualità immagine servizio totale20% 35% 45% 100%

ricerca e sviluppo K $ 60% 500 3000 1560 4,8pubblicità K $ 70% 15% 50 500 500 10,0forza vendita % 30% 30% 5 12 12 10,0materie prime/comp. $/kg. 40% 2 5 5 10,0logistica K $ 30% 50 100 100 10,0margini ai canali % 25% 20 45 45 10,0

100% 100% 100% tot. 600 3600 2160(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.

6,9 10,0 10,0

effettiveindice (sc.

1-10)units of

KSFs

impatto stimato degli strumenti sui KSFs

2160pcpV (scala 1-10), (dipende dalle decisioni di investimento)

9,4

livelli di investimento tipici

nel settore (1)

min maxstrumenti (risorse disponibili)

importanza relativa dei KSFs per il mercato --->

max budget disponibile per i costi fissi ---->

decisioni di "investimento" (1)

Tuttavia, tale stima presupponeva implicitamente che le risorse oggetto dell’investimento venissero gestite al meglio dai rispettivi responsabili: vale a dire, si prescindeva dalle eventuali inefficienze gestionalidovute a differenze fra il profilo ideale dei manager e il loro profilo professionale effettivo (in termini di conoscenze, capacità e atteggiamenti).

Se invece si introduce la considerazione delle possibili inefficienze, è facile rendersi conto dell’esistenza di un possibile “gap” fra entità delle risorse impiegate ed efficacia reale di tale impiego sul mercato.

Ad esempio, si può ipotizzare, per semplicità, che le risorse sopra descritte vengano gestite esclusivamente da tre manager (General, Export e Resident Manager) e che i loro profili professionali possano essere complessivamente valutati sulla base di un indice su scala 0-10 (risultante da valutazioni più specifiche dai punti di vista delle conoscenze, delle capacità e degli atteggiamenti).

Nella misura in cui ogni manager è responsabile della gestione delle diverse risorse, si può notare dalla figura alla pagina seguente che c’è uno scostamento fra il livello di efficienza “ideale” (del 100%, corrispondente ai profili ottimali: 10/10) e il livello di efficienza “effettivo” (variabile a seconda dello strumento gestito, corrispondente ai profili reali dei tre manager: rispettivamente, 8.1, 9.7 e 7.8)84.

84 Le percentuali nelle colonne a destra della figura, per ogni strumento, vengono calcolate come media ponderata dei profili (ideale ed effettivo) in funzione del “peso” relativo dei tre manager nella gestione dello strumento.

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Fig. 15.2 – Efficienza stimata nell’impiego delle risorse da parte di tre manager

ricerca e sviluppo 95% 5% 100% 100% 81%pubblicità 30% 55% 15% 100% 100% 89%forza vendita 5% 40% 55% 100% 100% 86%materie prime/comp. 90% 10% 100% 100% 82%logistica 30% 50% 20% 100% 100% 88%margini ai canali 10% 45% 45% 100% 100% 87%

10,0 10,0 10,0 ideale8,1 9,7 7,8 effettivo

profili professionali dei 3 manager (scala 0-10)

idealestrumenti (risorse disponibili)

effettivo

livelli di efficienza, sulla base dei profili

misura in cui ogni strumento è gestito dalle diverse posizioni manageriali

General Mngr

Export Mngr

Resident Mngr

Combinando quindi queste nuove valutazioni con il modello precedente (figura 15.1), possiamo ritenere cheil “gap” in termini di efficienza riduca proporzionalmente l’impatto delle decisioni di investimento in ogni strumento: in sintesi, come si nota dalla figura che segue, gli indici di investimento “reale” (ottenuti moltiplicando gli indici teorici per le percentuali di efficienza effettiva) riducono la performance stimata sulle componenti del valore (5.6, 8.8 e 8.7 anziché 6.9, 10 e 10, rispettivamente per qualità, immagine e servizio), riducendo quindi di conseguenza il profilo competitivo complessivo (8.1 anziché 9.4).

Fig. 15.3 – Impatto delle inefficienze sul profilo competitivo

teorico reale (2)1560 4,8 3,9 1310 R&D 95% 5% 100% 100% 81%500 10,0 8,9 445 pubb. 30% 55% 15% 100% 100% 89%12,0 10,0 8,6 10,9 vendita 5% 40% 55% 100% 100% 86%5,0 10,0 8,2 4,4 mat. prime 90% 10% 100% 100% 82%

100 10,0 8,8 93 losgistica 30% 50% 20% 100% 100% 88%45,0 10,0 8,7 41 canali 10% 45% 45% 100% 100% 87%

2160 1849(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.(2) Aggiustato, considerando l'efficienza effettivaqualità immagine servizio20% 35% 45% 10,0 10,0 10,0 ideale5,6 8,8 8,7 8,1 9,7 7,8 effettivo

profili professionali dei 3 manager (scala 0-10)

ideale effettivo

livelli di efficienza, sulla base dei profili

misura in cui ogni strumento è gestito dalle diverse posizioni manageriali

General Mngr

Export Mngr

Resident Mngr

corrispondenti livelli di

investimento effettivo,

considerando l'efficienza

effettive

8,1

decisioni di "investimento" (1)

indice (scala 1-10)

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In pratica, si può ritenere che vi sia, a causa dei profili professionali non ottimali dei tre manager, una “dispersione” complessiva di risorse pari a circa il 13% (differenza fra 8.1 e 9.4): è come se l’azienda, anziché investire 2.160 in costi fissi, avesse di fatto investito 1.849 (- 14%)85.

Ovviamente, anche questo modello, come altri proposti in questa parte del libro, può sembrare piuttosto teorico e difficilmente applicabile nella pratica aziendale (a meno che non si disponga di un sistema analitico di valutazione dei profili professionali e di controllo strategico dei risultati degli investimenti), ma il suo obiettivo è soprattutto quello di far “toccare con mano” quanto sia critica l’importanza delle risorse umane nella gestione degli investimenti e, quindi, di adeguate politiche di selezione, formazione e incentivazione del personale per lo sviluppo di conoscenze, capacità e atteggiamenti all’altezza della complessità dei mercati.

Ciò è ancor più vero sui mercati esteri, se si tiene conto dei seguenti fattori:

difficoltà di superamento della “massa critica” necessaria per competere e, quindi, necessità di non disperdere neppure una “goccia” delle risorse investite;

frequente autonomia operativa dei manager, spesso lasciati a se stessi nella gestione di tali risorse.

85 Si può calcolare la corrispondente dispersione di risorse sui costi variabili (circa 12%), tenendo conto dell’incidenza degli strumenti relativi, rispetto a quelli contraddistinti da costi fissi, sulla gestione delle componenti del valore (v. figura 15.1).

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16. Cruscotto aziendale per la gestione strategica ed economico-finanziaria multicountry e multibusiness

Obiettivi, tipo di decisioni e chiavi di lettura

Abbiamo più volte ribadito che il principale obiettivo aziendale è pur sempre quello di creare ricchezza attraverso la soddisfazione del consumatore e, quindi, attraverso posizioni di mercato il più possibile significative.

Il problema è perseguire tale obiettivo nel contesto di un’elevata complessità di situazioni, sia dal punto di vista dei business che da quello dei mercati geografici in cui l’azienda opera, e tenendo presente le necessità di “massa critica” per ottenere risultati soddisfacenti a fronte di una concorrenza sempre più agguerrita.

Le risorse aziendali, per definizione limitate, vanno quindi focalizzate e gestite con la massima selettività, sia in termini di allocazione ai diversi business e mercati che in termini di distribuzione fra i diversi strumenti di marketing disponibili nell’ambito dei business e dei mercati.

Alcune importanti chiavi di lettura, con riferimento ai principali parametri quantitativi di controllo strategico, possono essere le seguenti:

quote di mercato ed evoluzione dei mercati nei vari contesti;

rendimento delle risorse: da una parte, margini di contribuzione ai vari livelli del conto economico (costi variabili di prodotto, altri costi variabili, costi fissi diretti), dall’altra entità degli investimenti direttamente finalizzati ad acquisire posizioni di mercato, che dovrebbero essere sotto il controllo del responsabile commerciale (crediti e scorte);

ripartizione degli investimenti, soprattutto di marketing (intesi in senso lato86 , e comprendendo anche le risorse “accaparrate” dai canali distributivi, che sono un buon indicatore del ruolo relativo giocato dai canali stessi per arrivare ai mercati di interesse).

Le due figure alla pagina seguente esemplificano possibili modalità di controllo con riferimento ai primi due punti.

Come si può notare dalla figura 16.1, si ipotizza che l’azienda di interesse riesca a mantenere le medesime quote di mercato in due settori di attività e in due diversi paesi nel corso di tre anni di attività.

Eppure, si può anche notare che, se si considera congiuntamente la posizione complessiva dell’azienda nei due paesi (riquadro in basso a sinistra della figura) oppure nei due settori (riquadro in basso a destra), l’azienda perde, mediamente, posizioni di mercato dal secondo al terzo anno, cedendo quindi opportunità di sviluppo e di guadagno ai propri concorrenti.

A cosa può essere dovuto tale fenomeno, apparentemente in contrasto con il fatto che l’azienda ha mantenuto le proprie quote nelle singole combinazioni settore/Paese? Evidentemente, alla diversa evoluzione relativa dei rispettivi mercati nel tempo: in pratica, e nel caso specifico, è segno che l’azienda ha mantenuto quote di mercato più significative su mercati in relativo declino rispetto ad altri in cui l’azienda stessa ha quote inferiori (la quota di mercato media ponderata dell’azienda ne ha quindi sofferto).

La figura successiva (16.2) mostra invece un possibile quadro di controllo del rendimento delle risorseimpiegate nei due paesi e nei due settori con riferimento a un qualsiasi periodo di attività.

Il rendimento viene misurato con il rapporto fra i margini di contribuzione lordi generati dall’attività aziendale nei quattro diversi contesti di mercato e l’ammontare dell’attivo gestito dai responsabili commerciali (crediti e scorte, al lordo dei debiti verso fornitori, normalmente non di competenza di tali responsabili).

Fermo restando il denominatore del rapporto (attivo gestito), il numeratore (margini lordi) viene calcolato a tre livelli di contribuzione:

al primo livello vengono sottratti al fatturato dei singoli settori e paesi soltanto i costi variabili di prodotto;

86 Da un punto di vista strettamente contabile si tratta infatti, soprattutto, di costi spesati nel periodo di riferimento.

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Fig. 16.1 – Quadro di controllo della performance di mercato

Fig. 16.2 – Quadro di controllo del rendimento delle risorse

al secondo livello vengono sottratti anche i costi variabili di marketing (ad esempio, trasporti e provvigioni) e finanziari (oneri figurativi imputabili a scorte e crediti);

al terzo livello vengono infine sottratti al fatturato anche i costi fissi direttamente imputabili alle combinazioni settore/paese (ad esempio, pubblicità a una specifica linea di prodotto in un dato paese).

Come si può facilmente notare, la presenza nel paese “b” sembra decisamente più redditizia rispetto a quella nel Paese “a”, mentre il rendimento del settore 1 appare senz’altro inferiore a quello del settore 2 in entrambi i Paesi: in particolare, mentre il “ritorno sull’attivo lordo” dei due settori è (relativamente parlando) il medesimo fino al secondo livello di margine di contribuzione, quello del settore 1 peggiora decisamente al terzo livello (ciò significa che tale settore richiede maggiori attenzioni dell’altro in termini di costi fissi diretti, discrezionali o di struttura).

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Si può quindi concludere che l’azienda dovrebbe lasciar perdere il primo settore e ritirarsi dal Paese “a”? Evidentemente, per prendere simili decisioni occorrerà valutare una serie di altri fattori, quali gli obiettivi aziendali a medio-lungo termine, la tendenza passata degli indicatori qui considerati, lo sviluppo previsto dei mercati e della concorrenza, ecc.

Come si vede, “pilotare” un’azienda sui mercati internazionali non è affatto banale, soprattutto tenendo conto del fatto che, normalmente, il numero di combinazioni settore/Paese in cui le aziende operano è molto superiore a quello qui sopra considerato a titolo esemplificativo.

Uno schema quali-quantitativo integrato

I parametri quantitativi e relativamente oggettivi sono una gran bella cosa ma, per capire meglio il “perché” di certi risultati è spesso utile individuare le componenti qualitative dei fenomeni, anche se poi, al fine di facilitare l’analisi e il controllo, si finisce per tradurre tali componenti con indicatori numerici.

Il “cruscotto” di controllo integrato proposto più oltre si sforza di considerare in modo sufficientementecompatto e sintetico una serie di fattori abbastanza articolati e riconducibili alle seguenti classi:

fattori di attrattività dei settori in cui opera l’azienda;

fattori di attrattività dei paesi di interesse;

importanza relativa per l’azienda di ogni combinazione settore/Paese;

posizionamento competitivo dell’azienda con riferimento a tale combinazione (comprendente, ovviamente, anche i parametri di quota e di redditività visti sopra).

La logica è quella di:

esplicitare in modo formale i criteri di valutazione adottati dal decisore e le sue valutazioni specifiche sui vari aspetti di interesse;

tenere sotto controllo la dinamica, nel tempo, del portafoglio multicountry e multibusinessaziendale al fine di individuare eventuali aree di possibile miglioramento e, quindi, di intervento.

Nella figura alla pagina seguente abbiamo quindi cercato di considerare congiuntamente le quattro dimensioni sopra indicate, posizionando l’azienda in rapporto a tali dimensioni e nel tempo.

La posizione aziendale con riferimento all’attrattività dei settori e dei paesi in cui opera è sintetizzata dalla lunghezza, su scala 0-10, dei lati del quadrato al centro della legenda (che quindi può assumere forma rettangolare): da un anno con l’altro, l’attrattività dei settori e dei paesi potrebbe infatti cambiare.

La definizione dei rispettivi indici di attrattività potrebbe derivare, ad esempio, dalla ponderazione di indicatori elementari, sempre su scala 0-10, con riferimento ai seguenti parametri:

per i settori: numero di clienti potenziali, consumi pro-capite, tassi di sviluppo, numero e forza dei concorrenti, importanza del servizio e/o di altre componenti del valore (in cui l’azienda ha dei punti di forza), margini di contribuzione tipici, ecc.

per i paesi: popolazione entro determinate fasce d’età, tassi di sviluppo, stabilità politica, incentivi, potenziali sinergie con altri paesi, ecc.

A seconda dell’importanza relativa attribuita dall’azienda ai singoli indicatori, potranno quindi variare la forma e la dimensione del piccolo riquadro all’interno del cruscotto.

A sua volta, il riquadro interno si posizionerà con riferimento ad altre due dimensioni che delimitano la griglia principale del cruscotto: il posizionamento competitivo aziendale e l’importanza relativa, per l’azienda, della combinazione settore/paese.

In questo caso, la collocazione dell’azienda potrà derivare dalla ponderazione di indicatori elementari, sempre su scala 0-10, con riferimento a parametri quali:

per la posizione competitiva: copertura della clientela finale e/o intermedia, penetrazione relativa, performance nel servizio e/o in altre componenti del valore rilevanti per il mercato, margini unitari, flussi di cassa, competenze e abilità specifiche, ecc.

per la rilevanza nel “portafoglio” di business aziendale: percentuale dei ricavi, dei volumi e dei margini di contribuzione, ritorno sull’attivo gestito, potenziali sinergie, contributo all’immagine, ecc.

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Fig. 16.3 – Il “cruscotto” per il controllo strategico multicountry & multibusiness

attrattivitàsettore

attr

atti

vità

Paes

e

00

10

10

anno 0

anno n

C,D,E: Paesi3,4: settori

LEGENDAin

dice

di i

mpo

rtan

za n

el p

orta

fogl

io d

i bus

ines

s

0

10

0 10indice di posizione competitiva

E4

D3 C4

C3

Nulla impedirà, evidentemente, di eliminare alcuni indicatori o di aggiungerne altri, di eliminare o sostituire una dimensione, di modificare la posizione relativa delle dimensioni stesse: ad esempio, ispirandoci a una classica matrice proposta dalla letteratura manageriale, potremmo utilizzare l’asse delle X per indicare il posizionamento competitivo aziendale e quella delle Y per sintetizzare l’attrattività dei settori e/o dei paesi, descrivendo ad esempio con delle “bolle” di diversa dimensione all’interno della matrice l’importanza relativa dei diversi business.

Il cruscotto non è altro che un’esplicitazione formale delle logiche adottate dai responsabili dell’azienda per prendere, nel tempo, decisioni correttive o migliorative in modo sistematico ed esplicito. Il fatto che la scelta degli indicatori e la loro ponderazione siano attività di carattere soggettivo è assolutamente irrilevante: l’alternativa, purtroppo molto frequente nella pratica aziendale, è quella di non utilizzare alcun indicatore esplicito e di prendere comunque decisioni importanti e rischiose sulla base di un po’ di esperienza (talvolta insufficiente e poco significativa) e dell’intuizione del momento.

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Bibliografia consigliata

Robert J. Dolan & Hermann Simon, Power Pricing, The Free Press, 1997

Uno dei più completi e analitici testi sul pricing in ottica aziendale.

Economist, The World in Figures, The Economist Books, 2008

Un’utile raccolta, pubblicata ogni anno, di dati socio-economico-demografici relativi a 220 paesi.

Financial Times, Mastering Global Business, Pearson Education, 1999

Raccolta di articoli di vari autori sui principali temi di international business.

Giorgio Gandellini, Marketing Internazionale, IFOA e Wales University, 1996-2002

Workbook e introduzione multimediale al marketing internazionale, adottati nel Master a Distanza in Marketing, Vendite e Commercio Internazionale.

Giorgio Gandellini, Massimo Manzoni, Davide Possati e Alfonso Pace, Perfectum: la formula del successo aziendale in 99 concetti … e altre storie, Franco Angeli, 2007

Raccolta di spunti di riflessione sulle principali tematiche manageriali, con particolare enfasi sugli atteggiamenti mentali utili per affrontarle.

Giorgio Gandellini, Simone Garroni e Alfonso Pace, Il Nuovo Marketing Strategico, Franco Angeli, 1992-2005

Testo di marketing strategico, corredato di un pacchetto integrato su foglio elettronico, di supporto alla pianificazione di marketing.

Jean-Pierre Jeannet & H. David Hennessey, Global Marketing Strategies, Houghton Mifflin, 2004

Uno dei più completi testi anglosassoni sul tema (con i pregi e i difetti tipici dell’approccio qualitativo-descrittivo), utilizzato nei programmi MBA di molte business school internazionali, corredato di interessanti case histories.

Thomas T. Nagle & John Hogan, The Strategy and Tactics of Pricing: a Guide to Growing More Profitably, Pearson Prentice Hall, 2005

Probabilmente il migliore testo sul tema: tratta il pricing in un’ottica concreta e applicativa, nel contesto dell’intera strategia di marketing.

Anne Coughlan, Erin Anderson, Louis W. Stern & Adel I. El-Ansary, Marketing Channels, Prentice-Hall International Series in Marketing, 2006

Panoramica molto completa delle caratteristiche delle principali tipologie di canale distributivo e delle strategie più appropriate per sfruttarne la potenzialità.

John Tennent & Graham Friend, Guide to Business Modelling, The Economist Books, 2005

Introduzione, chiara e accessibile, allo sviluppo e all’uso di modelli quantitativi di supporto alle previsioni e alle decisioni aziendali: presuppone tuttavia, contrariamente all’approccio basato sul “judgment” adottato nella prima parte di questo libro, la completa disponibilità di dati che possano alimentare i modelli stessi.

Wayne L. Winston, Microsoft Excel: Analisi dei Dati e Modelli di Business, Mondadori Informatica, 2004

Testo fondamentale, di taglio non tecnico e molto concreto, utile a chi voglia sviluppare la capacità di tradurre in modelli interpretativi e di supporto alle decisioni, su foglio elettronico (simili a quelli trattati nella prima parte di questo libro), i problemi manageriali di proprio interesse, in qualsiasi area funzionale.

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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

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Siti consigliati

http://www.worldbank.org

Sito della Banca Mondiale, ricco di pubblicazioni, ricerche e statistiche sui diversi Paesi

https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook

Pubblicazioni statistiche della Central Intelligence Agency, altrettanto ricco di dati e informazioni

http://www.ice.it

Sito dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero, ricco di informazioni, link e servizi perl’esportatore italiano

http://canadabusiness.ca/gol/cbec/site.nsf

Sito del Governo canadese, con ampi servizi informativi per gli imprenditori

http://www.eiu.com

Sito dell’Economist Intelligence Unit, “the world leader in global business intelligence” (molti servizi informativi sono a pagamento)

http://www.prsgroup.com

Political Risk Group: fornisce informazioni, dati e servizi sul rischio politico nei principali Paesi

http://www.imf.org

Sito del Fondo Monetario Internazionale: fornisce, oltre ad assistenza finanziaria e tecnica ai Paesi in crisi, un’ampia gamma di ricerche e dati statistici

http://globaledge.msu.edu

Sito della Michigan State University, fornisce, oltre a numerosi servizi informativi, alcuni interessanti strumenti diagnostici per l’elaborazione delle informazioni

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2a Parte

OPPORTUNITA’ E RISCHI DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Antonio Di Meo

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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17. Le opportunità dell’internazionalizzazione

L’internazionalizzazione rappresenta, per ogni impresa di qualsiasi dimensione e settore, un aspetto a cui non è possibile sottrarsi e che può riservare grandi opportunità per mantenere o sviluppare livelli di competitività e di presenza sui diversi mercati.Prima, però, di illustrare i vantaggi che derivano dalle opportunità offerte dall’internazionalizzazione, è importante sottolineare due condizioni fondamentali (errori da evitare) che l’imprenditore non dovrebbe mai sottovalutare ai fini del successo:

1. non considerare le esportazioni come un’attività episodica, senza destinare le necessarie risorse per il suo successo o, ancora, considerarla come occasione per superare difficoltà sul mercato domestico;

2. non affrontare i mercati esteri allo stesso modo con cui si affronta il mercato domestico senza considerare le diversità esistenti.

Intraprendere un’attività di internazionalizzazione permette, infatti, di cogliere importanti opportunità di sviluppo alcune delle quali riguardano i risultati ottenibili nel breve e medio periodo e che si concretizzano nell’aumento dei volumi di vendita, altre, invece, sono meno immediate ed evidenti ma possono permettere all’impresa un posizionamento sul mercato duraturo nel tempo.

Lo scenario in cui viviamo è, infatti, caratterizzato da una crescente interdipendenza di tutti gli attori del mercato globale: lo spazio si restringe, il tempo si contrae i confini scompaiono legando tutti i diversi soggetti in maniera più profonda, più intensa e più immediata di quanto sia mai successo prima.

I collegamenti tra i vari Paesi e i vari attori pubblici e privati sono sempre più stretti e sempre più influenzati dagli eventi che si verificano in ogni angolo del mondo sotto diversi aspetti, dall’economia alla cultura, dalla tecnologia alla governance. Tutto ciò può offrire grandi opportunità per l’impresa se si opera all’insegna di una pianificazione strategica e di un controllo globale e razionale.

VANTAGGI DELL’EXPORT

Esaminiamo alcuni dei più rilevanti vantaggi che possono favorire la scelta dell’internazionalizzazione:

• allargamento del mercato che da regionale o nazionale, diventa internazionale favorendo, così, l’aumento del giro d’affari ed il relativo fatturato;

• diminuzione del rischio d’impresa dovuto alla ripartizione geografica delle vendite e all’aumento di mercati di sbocco che permette di sopportare meglio eventuali situazioni di crisi che si manifestano sui mercati. L’esportazione infatti, permette di ridurre la dipendenza dell’azienda da un unico mercato, consentendole di superare periodi di recessione che dovessero colpire i singoli mercati;

• superamento dei problemi legati alla stagionalità di alcuni prodotti grazie alla diversificazione dei mercati, che assicura una maggiore stabilità produttiva;

• allungamento del ciclo di vita di un prodotto che, diventato obsoleto sul mercato domestico può, invece, essere considerato ancora innovativo e rispondente alle necessità di un mercato meno sviluppato industrialmente;

• riduzione dei costi fissi e, grazie alle esportazioni, produzione su vasta scala;• aumento della produttività come conseguenza di quanto sopra e dell’ampliamento di impieghi del

prodotto;• possibilità di realizzare economie di scala non solo produttive ma anche sui costi di marketing

(pubblicità, distribuzione, ecc.);• sviluppo di un processo di crescita in termini di dimensioni, supportato dalla crescita della base di

mercato, che consente di accedere a nuove risorse finanziarie e di sfruttare i vantaggi di costo legati alla dimensione (economie di scala). Tutto questo quando l’attività all’estero cessa di essere una parte marginale dell’attività complessiva dell’impresa;

• aumento dei profitti nel caso in cui l’entità delle vendite aggiuntive ottenibili sul mercato estero è tale da non incidere significativamente sui costi fissi, tali vendite incrementeranno la redditività complessiva dell’impresa;

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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• accesso a nuove idee e a nuove esperienze dovute al contatto con nuove realtà, nuovi modi di operare, nuove idee di successo che possono essere recepite, utilizzate o adattate sia sul mercato domestico che sugli altri mercati in cui si è presenti;

• miglioramento dell’immagine presso i fornitori, i clienti, le banche, il sistema socio-politico grazie alla possibilità di sfruttare la visibilità internazionale derivante dall’attività di esportazione;

• aumento della competitività sul mercato interno nei confronti di quelle aziende che circoscrivono la propria area di mercato soltanto in ambito domestico. L’esperienza, le competenze e le risorse acquisite sui mercati internazionali costituiranno un vantaggio competitivo sul mercato interno;

• possibilità per le aziende di costruirsi competenze manageriali e mezzi finanziari in misura altamente maggiore rispetto a chi opera solo sul mercato domestico. L’esperienza della competizione sul mercato internazionale, impone alle aziende la massima efficienza sotto qualsiasi aspetto dell’attività aziendale e, se ben pianificata e gestita, permette alle aziende evidenti benefici anche sul mercato interno in quanto, dovendosi organizzare al meglio, riduce il rischio che imprese straniere possano farci concorrenza sul mercato italiano;

• nuovi e continui stimoli generati dal contatto con la concorrenza internazionale, permettono di migliorare le tecniche di produzione, di marketing e di commercializzazione del prodotto;

• raggiungimento di livelli di flessibilità più elevata dovuti alla numerosità delle “aree mercato”;• fonti alternative di approvigionamento di beni (materie prime, semi lavorati, componentistica, ecc.),

grazie alla presenza di nuovi mercati diversi fra di loro che ne favorisce la ricerca con possibilità di verificare condizioni di acquisto più favorevoli.

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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18. I rischi dell’internazionalizzazione

Negli scambi internazionali i molteplici rischi derivanti dalla negoziazione delle merci e dei servizi acquistano un maggior rilievo rispetto a quelli presenti sul mercato interno, per effetto delle diversità economico-sociali legate a fattori di diversa natura che l’impresa si trova ad affrontare e che vanno dalla gestione delle risorse umane, finanziarie e tecniche, agli aspetti commerciali e di marketing, agli aspetti produttivi, organizzativi e logistici, a quelli di natura contrattualistica, finanziaria e creditizia, alla pianificazione dei costi e alla delocalizzazione produttiva, commerciale o di processo. Tutto questo in un contesto più grande di quello a cui si era abituati fino a qualche anno addietro, inserito in una logica di mercato che spazia oltre i confini nazionali.

Nel linguaggio corrente il termine “rischio” indica una situazione di incertezza, o la possibilità che possa verificarsi un evento indesiderato, il cui accadimento può procurare un danno per l’azienda che lo subisce e precludere, così, il raggiungimento degli obiettivi per i quali il soggetto economico opera sul mercato. Se ci riferiamo, ad esempio, al rischio di credito, osserviamo che il danno in questione è rappresentato dalla possibilità di subire un “pregiudizio” patrimoniale conseguente all’inadempimento della controparte: la mancata riscossione del credito a causa dell’insolvenza del debitore acquirente.

L’impegno finanziario di chi vende, ad esempio, che è caratterizzato dalla concessione di credito ai propri clienti (se cioè è possibile esporsi, fino a quale importo massimo e per quanto tempo), comporta, infatti, una serie di problemi che vanno affrontati in un’ottica complessiva e strategica che andremo a sviluppare nel presente capitolo quando parleremo del rischio di credito.

SE L’ELEMENTO “RISCHIO” È CERTAMENTE UNA CARATTERISTICA DELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO, SI PUÒ RIDURRE, SE NON ADDIRITTURA, IN TALUNI CASI, ELIMINARLO, UTILIZZANDO GLI STRUMENTI ESISTENTI

È opportuno, al riguardo, considerare che, quando un operatore economico si rivolge ad un mercato estero (per esportare, importare o per un investimento produttivo o commerciale), entra in relazione di affari con un soggetto residente in una realtà geopolitica diversa dalla propria, dove i rapporti economici assumono una ben diversa portata nei loro contenuti a rischio, in quanto si sviluppano in un ambiente caratterizzato dalla “diversità” e dalla “mancanza” di un quadro di riferimento certo ed uniforme.

A fronte delle opportunità e dei vantaggi citati nel capitolo 17, l’impresa internazionalizzata dovrà, pertanto, affrontare una serie di rischi aggiuntivi, per affrontare i quali è necessario conoscere gli aspetti che caratterizzano i mercati esteri che proviamo ad elencare per punti nel riquadro che segue.

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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Aspetti che caratterizzano i mercati esteri

• Diversità di cultura, di lingua e di costumi• Diversità di usi e di consuetudini• Diversità nelle tecniche di negoziazione delle trattative commerciali e nelle business practices• Diversità di risorse economiche e finanziarie (indicatori economici, prodotto interno lordo, reddito pro-

capite, ecc.)• Diversità di forme e di politiche governative (politiche economiche e sociali, piani di sviluppo, politiche

di investimento)• Diversità di regime valutario e di regime doganale all’importazione• Diversità di moneta con possibilità di incorrere in rischi aggiuntivi (rischio cambio)• Diversità nei sistemi di trasporto e di comunicazione• Diversità del sistema bancario e delle modalità di pagamenti internazionali• Diversità della legislazione e delle normative che regolano i contratti e le relazioni commerciali• Possibile diverso significato attribuito ai termini commerciali in uso• Diversità di sistema giudiziario• Mancato pagamento dovuto a motivi legati al sistema Paese (rischio politico), piuttosto che al

compratore (rischio commerciale)• Maggiore difficoltà nel reperire tutte le informazioni necessarie ad una buona conoscenza del mercato

in cui si entra• Necessità di adattare il prodotto, la sua presentazione e l’imballaggio a standard di qualità e norme

specifiche del paese d’importazione• Difficoltà a far valere le proprie ragioni nel caso di controparti non corrette• Diversità delle norme che regolano i contenuti tecnici e di sicurezza dei prodotti• Difficoltà nella gestione della documentazione più articolata e complessa rispetto a quanto si è soliti

produrre e gestire sul mercato interno• Costi addizionali nel breve termine e necessità di un impegno elevato e non occasionale per sviluppare

relazioni efficaci e durevoli con i clienti e con i partners esteri• Presenza di tipologie di rischio non riscontrabili nelle relazioni d’affari con controparti italiane e

comunitarie come il rischio paese (politico) che si aggiunge al rischio commerciale• Necessità di trovare soluzioni adatte al contesto internazionale circa la definizione di strategie di

marketing, di prodotto, di distribuzione, di promozione di prezzo, contrattuali, di pagamento, finanziarie, creditizie e logistiche

Se la “conoscenza” degli aspetti caratterizzanti l’internazionalizzazione diventa elemento strategicamente importante, al fine di prevedere il possibile verificarsi dei rischi connessi ad una presenza internazionale, al fine di ricercare soluzioni, approcci, strumenti adeguati ad un contesto che non è il contesto “Domestico”, l’imprenditore che decide di internazionalizzarsi dovrà definire quali e quante risorse (finanziarie, tecniche, umane) destinare al progetto di sviluppo sui mercati esteri.Per poter cogliere le opportunità di business dell’internazionalizzazione, l’impresa dovrà essere competitiva, attraverso la qualità del prodotto e/o del servizio offerto, attraverso una adeguata organizzazione distributiva e di vendita, con politiche promozionali e strumenti contrattuali adeguati ad un mercato più vasto e diverso da quello domestico, che, se da un lato presenta notevoli vantaggi, dall’altro comporta il sorgere di “rischi” maggiori rispetto a quelli che si presentano con clienti “nazionali”.

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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Rischi nelle vendite verso l’estero

• Revoca delle commesse o mancato ritiro delle merci• Mancato pagamento dovuto a motivi legati al sistema paese (rischio politico), piuttosto che al

compratore (rischio commerciale)• Oscillazione sfavorevole del cambio• Divieti all’importazione e/o all’esportazione, contingentamenti, regole anti dumping• Identificazione dell’origine delle merci ai fini dell’applicazione dei dazi e della pianificazione dei costi• Interpretazioni diverse del significato attribuito ai termini d’uso commerciale• Legislazione e normative diverse dalle nostre ed impossibilità ad applicare le clausole nei contratti

italiani• Continui cambiamenti di normative, procedure e, soprattutto, del quadro politico e socio economico• Incomprensioni dei termini utilizzati dovuti alla diversità della lingua• Costi aggiuntivi e variazione dei prezzi• Impossibilità al trasferimento valutario• Escussione arbitraria delle garanzie/fideiussioni;• Impossibilità nell’intraprendere una qualsiasi azione atta a recuperare il proprio credito• Modalità di trasporto e di aspetti logistici inseriti in un contesto globale e non locale;• Onerosità dei costi processuali in caso di controversie• Atti di pirateria nel trasporto marittimo delle merci;• Corruzione• Attendibilità delle informazioni• Gestione delle problematiche tributarie e di fiscalità internazionale• Adempimenti doganali e relativa documentazione

Per ridurre, se non addirittura eliminare i “rischi” connessi ad una transazione commerciale con l’estero, è importante che l’operatore economico sia in grado di conoscere le situazioni che potrebbero influenzare negativamente il buon esito di una operazione commerciale, per essere così in grado di operare in anticipo scelte alternative oppure attivare meccanismi che lo pongano al riparo da eventi dannosi.

A tal fine diventa importante la messa a punto di un “Piano di internazionalizzazione” caratterizzato dalla definizione dei prezzi, da una pianificazione dei costi e dei processi di investimento, dei processi logistici che tengano conto di tutte le variabili sopra citate, e che siano in grado di gestire in modo snello ed efficace tutti i flussi in entrata ed in uscita sia di merci che di servizi, di sviluppare una strategia finanziaria e commerciale capace di rendere redditizio il processo di sviluppo e di presenza sui diversi mercati, attraverso l’affronto ed una “governance” dei principali rischi, tra i quali merita una sottolineatura il rischio di credito.

È evidente, quindi, che la presenza nei mercati esteri, comporta il sorgere di rischi aggiuntivi e di difficoltà (vedi tabella “Rischi nelle vendite verso l’estero), ulteriori rispetto a quelli che si presentano sui mercati “Domestici”.

Rischi che gli operatori incontrano nell’intraprendere una qualsiasi attività nei confronti dell’estero e di cui ne elenchiamo alcuni, che riteniamo rilevanti, e che più sotto illustreremo brevemente:

rischio d’impresa; rischio economico; rischio di sospensione o di revoca della commessa e rischio di mancato ritiro della merce; rischio di escussione arbitraria delle garanzie; rischio di variazione dei costi di produzione; rischio monetario e rischio di cambio; rischio finanziario e rischio di tasso; rischio di credito.

L’ultimo punto dell’elenco di cui sopra, il rischio di credito, sarà trattato con particolare attenzione in quanto è importante non considerare la clausola finanziaria e di pagamento dal punto di vista esclusivamente

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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amministrativo ma, al contrario, determinante strategicamente, per valutare la convenienza economica di una transazione commerciale con l’estero.

RISCHIO D’IMPRESA

È la tipologia di rischio che caratterizza ogni attività d'impresa. Sui mercati esteri è aggravato dalla minore conoscenza del mercato, dei concorrenti, della distribuzione, delle normative, delle consuetudini, delle tecniche, ecc. oltre che dalla posizione di sostanziale svantaggio che l'azienda si trova a dover affrontare nella fase iniziale.

RISCHIO ECONOMICO

È il rischio legato all'andamento della domanda sui mercati internazionali, alcuni dei quali - specialmente quelli caratterizzati dai maggiori tassi di crescita e, come tali, più appetibili - sono caratterizzati da un alto grado di incertezza e di volatilità, che possono portare a improvvisi e importanti eventi di contrazione della domanda stessa.

RISCHIO DI SOSPENSIONE O DI REVOCA DELLA COMMESSA E RISCHIO DI MANCATO RITIRO DELLA MERCE

Tale rischio riguarda la possibilità che il compratore estero possa revocare un ordine di acquisto di un bene già in lavorazione, oppure, addirittura, possa non ritirare la merce spedita, che rimane in giacenza nei magazzini, in attesa di essere sdoganata (nel caso di transazioni extra Cee). L’esportatore dovrà, in tal caso, sostenere i costi per riportare la merce nel proprio paese in aggiunta a quelli relativi al periodo di sosta della merce stessa, al trasporto, all’assicurazione e, ovviamente, a quelli sostenuti per produrla oppure, in alternativa, a seconda dei casi, tentare di svenderla in loco affidandosi ad un intermediario. Questi rischi potrebbero verificarsi nel momento compreso tra la firma del contratto e la consegna della merce. Per evitarlo occorre prendere sempre informazioni sulla serietà della propria controparte commerciale, sulla situazione generale del paese estero, del sistema giudiziario e sul livello di corruzione esistente definendo nel contratto tutti gli elementi essenziali della transazione, nonché il tribunale (statale o privato) a cui è sottoposto il contratto. Infine, è opportuno, concordare come forma di pagamento, una tecnica che sleghi il pagamento della merce dalla possibilità che il compratore possa non pagare in quanto non ritiri la merce stessa (come ad esempio il credito documentario), oppure ricorrere ad una copertura assicurativa.

RISCHIO DI ESCUSSIONE ARBITRARIA DELLE GARANZIE

Si tratta del rischio dovuto alla possibilità che l’importatore richieda pretestuosamente alla propria banca di escutere, cioè di farsi pagare, l’importo della garanzia bancaria che l’esportatore aveva disposto, tramite la propria banca, a favore dell’importatore per partecipare, ad esempio, ad una gara di appalto (bid bond), oppure per la buona esecuzione di una fornitura o il buon funzionamento di un impianto (performance bond) o, infine, a garanzia della restituzione di un importo rappresentante il pagamento anticipato (in tutto o in parte) di una fornitura (advance payment bond).

RISCHIO DI VARIAZIONE DEI COSTI DI PRODUZIONE

È il rischio che può verificarsi successivamente alla fissazione contrattuale del prezzo, a seguito di aumenti nei costi di produzione dovuti, ad esempio, all’aumento dei costi delle materie prime. È possibile salvaguardarsi da questo rischio solo inserendo nel contratto appropriate clausole di revisione del prezzo, oppure coprendosi con contratti che, generalmente, coprono la differenza tra il prezzo contrattuale e il prezzo effettivo. La possibilità di instaurare tali coperture è praticabile solo a certe condizioni rivolgendosi agli Istituti di credito disposti a mettere in piedi tali operazioni.

RISCHIO MONETARIO E RISCHIO DI CAMBIO

Dal momento che il prezzo e la moneta in cui dovrà avvenire il pagamento sono stabiliti al momento del contratto, in presenza di dilazioni di pagamento significative, l'azienda si troverà esposta al rischio di riduzione di valore della transazione dovuto alla svalutazione della moneta estera rispetto all'euro.Il rischio di cambio, in particolare, si presenta quando una transazione commerciale viene regolata in una moneta diversa dalla unità di conto (euro) e deriva dall’incertezza circa la quantità di unità di conto (euro) che si

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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dovranno utilizzare per effettuare un pagamento in valuta estera (dollaro usa, franco svizzero, yen, ecc.) o la quantità di unità di conto (euro) che si incasserà quando si riceve un pagamento a proprio favore espresso in moneta estera. Il rischio di cambio rappresenta, quindi, una situazione di aleatorietà sia per il venditore, che fattura in una moneta diversa dall’unità di conto, sia per il compratore che dovrà pagare una fattura emessa a suo carico espressa in valuta estera. Rispetto agli altri “rischi”, comunque, il rischio di cambio non implica necessariamente un evento sfavorevole, ma piuttosto una situazione d’incertezza che potrebbe trasformarsi sia in un evento dannoso per l’operatore che in uno favorevole. L’introduzione della “monetaunica europea” ha eliminato il rischio di cambio nei crediti e debiti che le imprese sopportavano nei confronti dei loro clienti o fornitori residenti in paesi UEM.

RISCHIO FINANZIARIO E RISCHIO DI TASSO

Il rischio finanziario si aggiunge al rischio di cambio che abbiamo esaminato più sopra e al rischio di tasso, cioè, al rischio generato dal differenziale di tassi di interesse praticati dal mercato e i tassi concessi alla clientela estera per finanziare i loro acquisti. Tassi, questi ultimi, che sono fissi e agevolati e che vengono denominati tassi CIRR (Commercial Interest Rates of Reference), mentre quelli praticati dalle banche, soggetti all’andamento di mercato, vengono denominati tassi Euribor o Libor. La differenza di tassi genera un aumento del rischio finanziario che necessita di una particolare attenzione nella gestione interna della tesoreria dell’impresa.

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19. Il rischio di credito

Una transazione commerciale il cui pagamento è successivo alla esecuzione di una fornitura di beni o di servizi, genera sempre un rischio di credito, indipendentemente dal paese di residenza della controparte acquirente e dalla dilazione di pagamento concessa.Il rischio di credito è rappresentato dall’eventualità che il venditore di beni e/o di servizi, non venga pagato del suo credito, vantato nei confronti di un debitore, a causa di un mancato adempimento dell’obbligo a pagare da parte dello stesso o a causa di un inadempimento del sistema paese in cui risiede il compratore o, anche, a causa di un evento generatore di un sinistro che impedisca l’assolvimento del debito da parte del compratore o del paese.

La valutazione del rischio di credito nei confronti di controparti estere è sicuramente più difficile rispetto a quella compiuta nei confronti di compratori italiani o comunitari per la presenza di variabili e fattori di rischio maggiori, o non presenti, in ambito domestico a cui deve aggiungersi la difficoltà ad avere accesso a fonti di informazione attendibili.

L’eventuale verificarsi, inoltre, del mancato pagamento della fornitura di beni o di servizi rende difficile in moltissimi casi qualsiasi azione di recupero del credito a causa di una difficoltà ad intraprendere qualsiasi azione legale o di ottenere il riconoscimento, da parte delle autorità locali, di qualsiasi sentenza disposta da un tribunale pubblico o privato.

Ecco, quindi, in aggiunta alle tipologie di rischio esaminate nel precedente capitolo e al di là delle difficoltà e degli aspetti caratterizzanti lo sviluppo di una presenza sui mercati esteri, che l’esportatore si trova a rispondere alla domanda se è possibile esporsi nei confronti della propria clientela senza correre alcun rischio di mancato pagamento e, se la risposta è affermativa, fino a quale importo e per quanto tempo. Questa tipologia di rischio (il rischio di credito appunto), che si presenta in ogni trattativa commerciale che preveda un pagamento successivo alla data di spedizione, implica innanzitutto l’identificazione della sua natura se, cioè, trattasi di un rischio solo di natura commerciale o anche di natura politica, dopodiché occorre affrontarlo e governarlo con soluzioni adeguate ai diversi casi specifici. Possiamo, pertanto, affermare che il rischio di credito si caratterizza in:

un rischio di natura commerciale; un rischio di natura politica.

Indipendentemente dalla tipologia del rischio di credito individuata se, cioè, trattasi di rischio solo commerciale o anche politico, occorre ricordare come l’impegno finanziario di chi vende, caratterizzato dalla decisione di concedere o meno credito ai propri clienti, comporta una serie di problemi che vanno affrontati in un’ottica complessiva e strategica.

In quest’ottica, è opportuno che l’esportatore, prima ancora di concordare la forma tecnica di pagamento effettui sempre, tre fondamentali verifiche:

la valutazione del livello di rischio del paese del compratore; la verifica di solvibilità del compratore; l’efficienza del sistema giudiziario del paese del compratore.

Soltanto alla luce delle verifiche sopra indicate, si potrà decidere a quali condizioni stipulare il contratto con la controparte estera e quale il mezzo di pagamento più adatto a quella transazione commerciale, tenendo conto che la scelta di una particolare forma di pagamento rispetto ad altre può influire positivamente o negativamente sul livello di rischio di credito.

RISCHIO COMMERCIALE

Il rischio commerciale consiste nel rischio che il compratore (debitore) di un bene o di un servizio non assolva, anche solo in parte, il debito assunto nei confronti del venditore (creditore).Quando il debitore non è in grado (o non vuole) far fronte ai propri debiti nei confronti del creditore siamo, pertanto, in presenza di un rischio commerciale.L’ inadempienza (insolvenza) della controparte può essere causata da:

- insolvenza di diritto quando, procedure concorsuali analoghe a quelle esistenti nel nostro paese, quali ad esempio, la bancarotta, il fallimento, il concordato giudiziale o stragiudiziale,

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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l’amministrazione controllata e/o straordinaria, la liquidazione coatta amministrativa; accertano giudizialmente e definitivamente, l’insolvenza del debitore;

- insolvenza di fatto, quando l’insolvenza del debitore (avente sempre carattere definitivo) viene accertata senza che siano intervenute le procedure accertate giudizialmente di cui sopra.

La scelta di concedere una dilazione di pagamento ad un cliente estero non può essere casuale ma, conseguente, ad una attenta valutazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria (sia attuale che prospettica) dell’azienda stessa.La scelta del mezzo di pagamento più adeguato, sarà condizionata dall’esame che l’esportatore dovrà fare sul potenziale cliente circa: gli obiettivi che quest’ultimo si pone, la coerenza tra gli stessi, la strategia impostata dall’ azienda, e la capacità di perseguire gli obiettivi prefissati.Affinché l’impresa che si accinge ad aprire una trattativa commerciale con la controparte estera, possa delinearne un profilo attendibile, può richiedere informazioni sul potenziale cliente, a organismi istituzionali come l’ICE-Istituto nazionale per il Commercio con l’Estero oppure a organismi privati come “Dun & Brandstreet”, “Kompass”, “Lince” ed altri.Si tratta di società presenti nei principali paesi del mondo che censiscono rischi paese e una miriade di rischi su operatori privati in tutto il mondo. La più famosa e capillarmente presente è Dun & Brandstreet (D&B).

RISCHIO PAESE

Il rischio paese, anche detto “rischio politico”, si verifica quando una serie di eventi, non imputabili direttamente al comportamento della controparte, producono il mancato pagamento di un debito da parte di un debitore privato o di un debitore pubblico. È connesso alla probabilità che le autorità del paese estero non siano in grado di controllare le condizioni politiche, economiche e sociali del paese stesso al punto da pregiudicare la capacità o la volontà del debitore (sia esso sovrano o non) di far fronte agli obblighi contratti verso il creditore italiano, oppure all’impossibilità di un determinato paese di far fronte agli impegni di pagamento assunti dai propri residenti nei confronti dei non residenti per mancanza di mezzi finanziari o per altre cause.

Il rischio politico si caratterizza come un rischio originato essenzialmente da fattori di natura socio-politica, originati da eventi quali guerre, conflitti interni ed esterni, rivoluzioni popolari, colpi di stato o atti di terrorismo, o anche, da tensioni sociali dettate da motivi etnici, religiosi, ideologici o di classe.

Rientrano in questa categoria anche decisioni unilaterali del governo come espropri e nazionalizzazioni. A ciò si possono aggiungere gli atti di ostilità nei confronti degli operatori stranieri, come i sabotaggi, i danneggiamenti agli impianti e ai processi produttivi e le minacce al personale. La presenza di questi rischi è da valutare opportunamente nelle decisioni riguardanti gli investimenti diretti all’estero.È il caso di tutti i paesi non industrializzati dove la possibilità che si verifichi un’insolvenza, causata dal mancato rimborso dei crediti, dipende dai vari fattori di natura politica, economica, bancaria o catastrofica che vengono denominati con il nome di Eventi Generatori di Sinistro (EGS), che possono avere natura commerciale o politica.

Il concetto di Rischio paese è piuttosto ampio e non presenta una definizione univoca. I suoi contorni, infatti, sono definiti in modo diverso a seconda della prospettiva di chi esegue l’analisi, che potrà definire un indice di rischiosità del paese che differisce da quello attribuito da altri analisti a seconda che l’analisi sia effettuata, ad esempio, da una Banca internazionale, interessata ad un’emissione di titoli di debito del paese, o una Export Credit Agency (ECA) che deve valutare la rischiosità di una operazione di esportazione.

Possiamo suddividere il rischio paese in due diverse tipologie:

1. Il rischio sovrano che riguarda l’incapacità o la non volontà di un debitore sovrano (lo stato, un ente statale, un’impresa pubblica ecc.) di soddisfare i propri impegni di pagamento verso controparti estere. In questo caso il rischio sovrano può, a sua volta, essere determinato da una delle seguenti cause:- il prenditore di fondi non paga il debito perché non vuole pagare o perché non ha la possibilità di

farlo (default);- il debitore non riconosce il debito (repudation);- il debitore chiede condizioni più favorevoli, quali tassi inferiori, rinuncia alla restituzione di una

parte del capitale o dilazioni di pagamento più lunghe, anche attraverso minaccia di un ripudio del debito. In tali casi il creditore riceve pagamenti inferiori a quanto era stato originariamente pattuito (rinegoziazione del debito);

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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- nel caso in cui il creditore sia una banca, l’insolvenza può manifestarsi come ristrutturazione del debito, nelle forme di rifinanziamento a copertura del debito precedente (refinancing). La banca erogherà un prestito d’importo pari al debito in scadenza, di solito a condizioni più onerose di quelle originarie per compensare il suo maggiore impegno;

- il debitore ottiene un riscadenzamento del debito (rescheduling), qualora ci sia unprolungamento delle scadenze connesso alla diminuzione delle rate di ammortamento o ad un periodo di sospensione dei rimborsi.

2. Il rischio di trasferimento e convertibilità si riferisce ai rischi legati alle decisioni del governo che impone restrizioni o limiti tali da rendere impossibile il trasferimento del denaro al creditore o alla sua convertibilità (transfer risk). Si ritiene opportuno far presente che, quanto detto, si riferisce solo a quei casi che riguardano enti ed imprese private, poiché la mancanza di valuta sufficiente per il trasferimento o la convertibilità, da parte dello Stato, rientra nel punto precedente.

MISURAZIONE DEL RISCHIO PAESE

Questi istituti utilizzano diversi metodi per determinare il rischio paese, combinando analisi quantitative e qualitative che tengono conto di fattori politici, economici e finanziari. Come risultato, ai paesi vengono attribuiti diversi punteggi, da cui dipende la loro inclusione in differenti classi di rischio.È bene ricordare che da questo giudizio sono esclusi i paesi più industrializzati e i paesi di prima categoria OCSE, che vengono assunti a rischio zero.Per descrivere il processo di attribuzione del rating prendiamo a riferimento il procedimento seguito dall’OCSE, su cui si basano le valutazioni delle agenzie nazionali di assicurazione all’esportazione. Il metodo di classificazione del rischio paese, in ambito OCSE, si prefigge di misurare il rischio di credito del paese, cioè la probabilità che il debitore sovrano non onori il servizio del debito estero.

I paesi sono suddivisi in 8 categorie che vanno dalla categoria 0 alla categoria 7, assumendo un rischio crescente da 0 (rischio nullo) a 7 (rischio massimo).

Ad esclusione dei paesi a più alto reddito, che rientrano in automatico in categoria zero, le analisi sono ripetute almeno una volta all’anno per ogni paese. Questa classificazione è ottenuta attraverso una metodologia basata su due fasi principali, una quantitativa e una qualitativa.

La fase di analisi quantitativa prevede l’applicazione di un modello statico, il Country Risk Assessment Model (CRAM). A differenza di altri modelli usati per stabilire il rating, il CRAM, oltre ai classici indicatori economico-finanziari, considera anche variabili che stimano l’esperienza di pagamento pregressa, il track record.

Gli indicatori economici includono variabili come il tasso di crescita del PIL (assoluto e pro-capite), i tassi di risparmio e investimento, il tasso di inflazione, il saldo del bilancio pubblico, la condizione della bilancia dei pagamenti, oltre al grado di dipendenza dalle materie prime, dal fabbisogno energetico e dalla dipendenza degli aiuti internazionali per coprire il proprio fabbisogno finanziario. Gli indicatori finanziari tengono conto della posizione debitoria (debito estero in rapporto al PIL e alle esportazioni, rapporto tra servizio del debito e debito estero) e delle riserve valutarie (in valore assoluto e in rapporto alle importazioni).

Ad ogni indicatore viene assegnato un punteggio, che può variare all’interno di intervalli predeterminati; in seguito gli indicatori sono combinati in modo da determinare due punteggi, economico e finanziario, in un intervallo da 0 a 100. Questi punteggi vengono ulteriormente ponderati in modo da ottenere un unico score, che può essere visto come una prima stima dell’ability to pay del paese.

L’analisi seguente riguarda l’esperienza di pagamento del paese. Si considera l’esposizione verso le ECA, data da impegni in essere, arretrati e indennizzi, nonché la posizione debitoria e il rispetto degli impegni assunti nei confronti di altre istituzioni finanziarie come il FMI e la Banca Mondiale; si tiene conto, tra l’altro, di episodi di ristrutturazione, della puntualità dei pagamenti e degli eventuali scostamenti tra importi pagati e dovuti.Una volta determinato anche il punteggio relativo all’esperienza di pagamento, questo score viene confrontato con quello economico-finanziario e il risultato finale viene determinato in base al peggiore dei due punteggi. L’ultimo step dell’analisi quantitativa sarà la conversione del punteggio ottenuto in categorie di rischio da 0 a 7.

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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Questo risultato viene poi corretto in base ad un aggiustamento qualitativo, che serve a tenere conto di tutti i fattori non inclusi nel precedente modello, perché difficilmente misurabili. Tra questi vengono considerati fattori di natura politica, come il tasso di democrazia, la struttura istituzionale, la presenza di conflitti all’interno del paese o nelle aree circostanti; sono poi presi in esame fattori relativi al quadro legale e amministrativo, alla situazione sociale e al sistema bancario e finanziario. L’aggiustamento può determinare un miglioramento del rating, limitato solitamente a una sola categoria; in caso di downgrading questo può essere potenzialmente illimitato.

Il risultato finale ha una valenza pratica immediata: sulla base di esso è valutato il tasso premio minimo cui le ECA sono soggette per assicurare i crediti all’esportazione dei propri clienti nazionali.L’operatore italiano, oltre ai rischi di cui sopra, deve valutare con prudenza, anche i rischi di natura catastrofica, collegati a “circostanze di forza maggiore”, oltreché, visti i tempi, il rischio di attentati terroristici.

Eventi Generatori di Sinistro (EGS)

I rischi di natura commerciale (EGS commerciali) riguardano:- insolvenza di diritto o di fatto del debitore privato e, se del caso, del suo garante;- inadempimento del debitore privato e, se del caso, del suo garante.

I rischi di natura politica (EGS politici), riguardano, invece:

- la decisione di un Paese estero intendendosi con tale locuzione ogni atto, comportamento o decisione del governo di un Paese diverso dal Paese dell’assicuratore, compresi atti, comportamenti o decisioni di enti pubblici equiparati ad interventi del governo, che ostacolino l’esecuzione del contratto commerciale;

- la moratoria generale disposta dal governo del Paese del debitore;- il mancato trasferimento valutario causato da eventi politici o problemi economici sopraggiunti fuori

dell’Italia, oppure da disposizioni legislative o amministrative adottate all’estero che impediscano o ritardino il trasferimento delle somme versate a titolo del contratto commerciale ad altro titolo discendente dall’esecuzione dell’operazione assicurata;

- le disposizioni legali adottate nel Paese del debitore che conferiscano efficacia liberatoria ai versamenti effettuati dai debitori del Paese stesso anche se tali versamenti, convertiti nella valuta del contratto commerciale, non raggiungono più, a causa delle fluttuazioni dei tassi di cambio, l’importo del debito al momento del trasferimento;

- le decisioni dell’Italia o di organismi internazionali (Unione Europea, Organizzazione delle Nazioni Unite, ecc.), concernenti gli scambi commerciali tra uno Stato membro e Paesi terzi, ad esempio, un divieto di esportazione sempre che il Governo italiano non si faccia carico dei relativi effetti;

- le circostanze di forza maggiore che si verifichino fuori dall’Italia, quali guerra, guerra civile, rivoluzione, sommossa, tumulti civili, terrorismo, sabotaggio, ciclone, inondazione, terremoto, eruzione vulcanica, maremoto o incidente nucleare, purché i relativi effetti non siano altrimenti assicurati.

Il rischio paese è sempre presente, seppure a livelli diversi, tutte le volte che un esportatore entri in rapporti commerciali con soggetti residenti in paesi diversi dai paesi industrializzati, classificati nei paesi originari dell’UE e nei paesi di prima categoria OCSE: Australia, Austria, Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Norvegia, Olanda, Spagna, Stati Uniti e Svizzera.

VALUTAZIONE DEL RISCHIO PAESE: IL RATING

Se la valutazione del rischio di credito, generato dai singoli nominativi, si presenta complessa e difficile, è pur sempre possibile, attraverso la raccolta di informazioni ed un attento esame di tutte le componenti dell’impresa (bilanci, conti economici, età dell’azienda e sua operatività, eventuali protesti, profilo della proprietà, ecc.), delineare un profilo quanto più attendibile possibile.L’impresa internazionalizzata non può, invece, valutare il rischio paese in modo autonomo, ma dovrà avvalersi di supporti informativi altamente qualificati, in grado di “fotografare” la realtà politica – economica del paese con cui si sta per relazionarsi.

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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Un sistema di reporting, contenente la valutazione del paese da un punto di vista politico, economico, finanziario e assicurativo, è offerto dalle Agenzie di analisi del rischio paese, dalle società internazionali di rating, dalle agenzie di rating commerciale, dalle società di assicurazione dei crediti, dalle grandi banche internazionali.È facile, pertanto, intuire come sia importante per chi tiene delle relazioni economiche con paesi stranieri comprendere e poter valutare il rischio aggiuntivo che deriva dallo sviluppo di una presenza sui mercati internazionali. A questo fine esistono diversi soggetti, pubblici e privati, che svolgono attività di analisi e monitoraggio e predispongono dei report in cui è definita una misura di sintesi della rischiosità di ogni paese e una descrizione della situazione attuale, storica e revisionale. Da questi giudizi deriva anche una definizione del prezzo di mercato del rischio (come il costo del debito o l’entità dei premi assicurativi).

Si possono annoverare tra le principali Agenzie di rating le seguenti:

- Moody’s: Moody’s Corporation, New York, London- S & P: Standard and Poor’s, New York, London- Fitch: Fitch Ratings, London, New York- JCR: Japan Credit Rating Agency Ltd, Tokyo

Oltre alle Agenzie di reporting sopra indicate dobbiamo ricordare i seguenti organismi istituzionalinazionali ed internazionali che, tra le altre cose, forniscono un sistema di reporting dei diversi paesi. Tra questi segnaliamo:

o l’OCSE sulle cui classificazioni si basano le valutazioni delle ECA come l’italiana SACE (vedasi parte …, capitolo a cui si rimanda);

o il FMI, Fondo Monetario Internazionale;o l’ICRG, International Country Risk Guide;o il Political Risk Service;o alcune tra le principali banche internazionali.

I report delle principali agenzie di rating, costituiscono un valido riferimento per i principali protagonisti del mercato, essendo basati su uno standard internazionale che permette di dare dei “voti” o “pagelle” espresse con delle lettere dell’alfabeto dalla A alla D.

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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20. La gestione del rischio di credito per le PMI

La gestione del rischio di credito, sia nelle grandi imprese sia nelle PMI, si estrinseca in una attenta valutazione del rischio stesso, che si può decidere di tenere oppure eliminare/trasferire, perché lo si considera troppo elevato, attraverso operazioni assicurative e finanziarie.

La prima tappa, nella gestione del rischio di credito, è il trasferimento dello stesso, da una controparte generalmente ritenuta troppo rischiosa ad una il cui rischio sia “accettabile” da un punto di vista assicurativo,o “vendibile” ad una banca, in un’operazione di smobilizzo del rischio.

Il rischio di credito, tuttavia, non può essere eliminato completamente e l’esportatore si trova a trasferire il rischio ad un altro soggetto che lo garantisce.

In un credito documentario confermato, vi è trasferimento del rischio dall’acquirente, (l’ordinante del credito documentario) alla banca garante (l’emittente del credito), alla banca dell’esportatore (la banca confermante). In base al credito documentario, il solo rischio dell’esportatore, è che la propria banca di fiducia non onori i suoi obblighi, eventualità remota.

L’impresa, che intende tutelarsi dal rischio di mancato pagamento, può attivare una strategia di tipo finanziario o assicurativo.

Una banca può acquistare il credito con un’operazione di forfaiting o lo concede direttamente con la conferma di un credito documentario nel breve periodo, o con un credito acquirente nel medio termine.Se il debitore, o il suo garante, sono ritenuti troppo rischiosi per un’operazione di finanziamento bancario, si deve tentare di coprire il rischio sull’acquirente o sul garante con una polizza assicurativa, cercando di smobilizzare in seguito il credito, che migliora dopo la copertura assicurativa.

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Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione

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Bibliografia consigliata

AA. VV., Manuale del Commercio Internazionale, 3ª ed., Ipsoa, Milano, 2008.

Di Meo A., Manuale Pratico del Commercio Internazionale, Maggioli Editore, Rimini, 2007.

Di Meo A., Garioni G., Soluzioni Finanziarie per l’Export, Banca e Impresa, Banco Popolare di Verona Novara, Verona, 2006.

Lombardi L., Guida Pratica per l’Esportatore, 14ª ed., Franco Angeli, Milano, 2006.

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3a Parte

PUNTI DI CRITICITA’ DEL MANAGEMENT INTERNAZIONALE

Antonio Di Meo

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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21. La pianificazione delle vendite all’estero in un’ottica di Supply chain

Le politiche commerciali di marketing e le strategie di penetrazione nei mercati internazionali richiedono all’impresa l’adozione di politiche aziendali mirate e coerenti, che coinvolgano contemporaneamente le varie aree organizzative, come quella commerciale, finanziaria, amministrativa e logistica.Se questo è vero dobbiamo considerare che le grandi strategie, come le grandi opere d’arte o le grandi scoperte scientifiche, richiedono la padronanza degli aspetti tecnici per la loro realizzazione, così come l’efficacia delle azioni commerciali e di marketing non possono prescindere dalla definizione degli aspetti essenziali di una qualsiasi transazione commerciale.

In tale ambito, una importanza rilevante per il buon esito di un accordo commerciale e, soprattutto, per l’ottimizzazione dei risultati aziendali, non può prescindere da un’attenta valutazione degli aspetti commerciali, contrattualistici, creditizi, finanziari e logistici di una qualsiasi azione di internazionalizzazione.

Diverse sono le funzioni aziendali coinvolte per il raggiungimento degli obiettivi di “posizionamento” sul mercato internazionale che ogni azienda non può non identificare e definire, sviluppando processi snelli e lineari capaci di ottimizzare la propria logistica, di affrontare il rischio di credito con soluzioni e strumenti strategicamente efficaci, di definire i punti essenziali ed accessori di qualsiasi accordo commerciale, favorendo l’incontro tre le diverse esigenze delle controparti.

Pianificare quanto sopra in un’ottica di Supply chain, rende necessaria la focalizzazione di alcuni punti di criticità che rappresentano degli “snodi” importanti per ottimizzare e valorizzare lo sforzo dell’impresa di internazionalizzarsi fin dal momento dell’avvio della negoziazione di qualsiasi accordo commerciale.

PRINCIPALI PUNTI DI CRITICITÀ

Tra i punti di maggiore criticità (snodi), ci soffermeremo su quelli che di seguito elenchiamo, andando ad analizzarli singolarmente, coscienti, però, che tutti hanno un’importanza strategica che necessita di affrontarli, gestirli e governarli in un’ottica d’insieme in quanto si influenzano a vicenda potendo, a seconda di come sono affrontati e assemblati, portare a situazioni positive o negative, aumentando o riducendo i livelli di rischio che qualsiasi impresa incontra nel suo processo di sviluppo sui mercati esteri.

I punti di criticità che analizzeremo riguardano i seguenti aspetti: Gli aspetti commerciali Gli aspetti contrattualistici Gli aspetti creditizi e finanziari Gli aspetti logistici e trasportistici

Supponiamo il caso di un'azienda vicentina che produca beni per i quali l'imprenditore abbia valutato l'opportunità o la possibilità concreta per sviluppare le vendite fuori dal territorio nazionale. Quali sono le considerazioni che dovrà fare prima di prendere una decisione così importante: quella cioè di internazionalizzarsi? E come affrontare con successo la vendita verso i mercati esteri?

Riteniamo che la cosa più importante da fare sia quella di non sottrarsi ad alcune regole fondamentali:

1. Sviluppare una precisa politica di marketing.2. Mettere a punto strategie adeguate per introdursi stabilmente nei mercati individuati come i più

ricettivi per i propri prodotti.3. Possedere informazioni.4. Conoscere le principali tecniche riferite alle vendite all'estero.

Nella realtà sono poche le imprese che non seguono queste regole ma sono molte quelle che fanno fatica a mantenere nel tempo determinati flussi commerciali, a mantenere i margini di profitto e quindi un vantaggio competitivo.

Ogni imprenditore è ben consapevole che per puntare veramente sui mercati esteri occorra possedere alcune doti necessarie:

COSTANZA, SACRIFICIO, IMPEGNO, PREPARAZIONE, COMPETENZE, COMPRENSIONE DELLA DIVERSITÀ DELLE REGOLE DEL GIOCO,CREATIVITÀ, NONCHÉ CAPACITÀ DI ATTENDERE I RISULTATI.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Iniziamo, ora, ad analizzare gli aspetti di criticità richiamati più sopra iniziando con gli Aspetti Commerciali:

22. Gli aspetti commerciali

L’imprenditore che abbia deciso di internazionalizzare la propria impresa dovrà, sulla base delle analisi effettuate circa le risorse umane, finanziarie e tecniche, porsi alcune domande:

quali i mercati su cui esportare; quali i criteri di scelta per entrare sui mercati esteri; come esportare, cioè quali sono i canali di entrata nei mercati esteri.

Per vendere all’estero è importante, infatti analizzare attentamente se concentrarsi su pochi mercati piuttosto che su tanti mercati, individuando quale/i il/i mercato/i ritenuto/i più interessante/i. La selezione dei nuovi mercati avverrà per fasi successive che permetteranno di identificare quali sono quelli che presentano un maggior potenziale, per poi effettuare un’analisi accurata sui mercati individuati più interessanti, rispetto ai tanti selezionati. Solo successivamente si potrà procedere con una ricerca più approfondita sui mercati che si ritengono i più convenienti e i più suscettibili di successo.

Vendere all’estero comporta, inoltre, per ogni impresa la definizione, in base alle proprie risorse (sia quelle tecniche, che finanziarie, che umane), degli obiettivi fattibili e raggiungibili in un arco di tempo fissato, secondo una strategia di marketing che possiamo tradurre e sintetizzare come segue.

il mercato estero rappresenta una parte marginale del proprio fatturato e quindi l’impresa non ritiene di investire in modo significativo;

il mercato estero può e deve rappresentare una parte significativa del proprio fatturato e quindi l’impresa ritiene di investire in tal senso.

La scelta di una delle due strategie ha delle conseguenze sull’organizzazione della rete di vendita che deve essere adeguata per un ingresso vincente/soddisfacente sui mercati esteri. Si rende quindi necessaria la definizione di schemi organizzativi che, essendo diversi in base alle esigenze, implicano un maggior o minore grado di coinvolgimento dell’esportatore:

1. una presenza all’estero senza una propria organizzazione, quindi in modo occasionale in base agli ordini che si ricevono a seguito, ad esempio, di una partecipazione ad una Fiera internazionale o all’invio di un mailing, cioè l’offerta dei propri prodotti ad un determinato numero di nominativi esteri (canale indiretto);

2. una presenza all’estero attraverso una organizzazione altrui che collabori con l’esportatore, al fine disviluppare le vendite di un prodotto su di un determinato territorio (canale diretto);

3. una presenza all’estero con una propria struttura (canale diretto o concertato).

La scelta di uno degli schemi organizzativi descritti, che riportiamo nella tabella “Canali di entrata sui mercati esteri”, implica la instaurazione, con la controparte e/o il partner estero, di rapporti commerciali diversi che, comunque, spingeranno l’imprenditore ad elaborare un “piano di internazionalizzazione” adeguato agli obiettivi da perseguire e alle risorse a disposizione.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Canali di entrata sui mercati esteri

CANALE INDIRETTO

L’impresa lascia ad altre organizzazioni l’iniziativa di vendere all’estero affidandosi a grandi importatori (intermediari). Si tratta di imprese che non dispongono di una propria organizzazione di vendita all’estero.

Vantaggi: Bassi costi Impiego di limitate risorse umane e finanziarie Espansione quote di mercato nel breve periodo

Svantaggi: L’impresa non ha contatti diretti e pertanto non

controlla il mercato L’impresa fornitrice può essere sostituita Obiettivi degli intermediari in contrasto con quelli

dell’impresa

CANALE DIRETTO

L’impresa prende direttamente contatti con il sistema della distribuzione dei mercati esteri attraverso la propria forza di vendita o con altre forme (ad esempio, reti di distributori). Svantaggi:

Alti costi di investimento iniziale Ricerca di personale qualificato

Vantaggi: Contatti diretti con la clientela e con gli

intermediari Formulazione di politiche a medio e lungo termine Controllo di mercato Sviluppo di competenze professionali Si creano le condizioni per passare dalla fase di

esportazione a quella di internazionalizzazione

CANALE CONCERTATO

L’entrata è fatta attraverso altre imprese non intermediarie, con particolari accordi. Le forme più diffuse sono il franchising, i consorzi tra imprese, le joint-ventures, la cessione di know how.

Svantaggi: Si legano le sorti del prodotto a quelle dell’impresa

con la quale si fa l’accordo Cambiano gli interessi del partner

Vantaggi: Velocità di penetrazione e riduzione costi di

vendita Utilizzo capacità organizzative e finanziarie di altre

imprese Maggior assistenza post-vendita Risparmi nelle spese di marketing

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Il piano di internazionalizzazione dovrà prendere in considerazione, elementi di natura: commerciale, di marketing, organizzativi, logistici, produttivi e finanziari. In particolare gli aspetti commerciali e di marketing dovranno essere definiti tenendo conto di quanto di seguito indichiamo:

Valutazione del mercato di riferimento in cui si svilupperà il progetto Analisi del contesto economico, sociale, politico e normativo Individuazione del target di clienti e loro analisi Analisi del sistema competitivo Descrizione del prodotto o del servizio Definizione dell’offerta Individuazione del prezzo e del canale promozionale Definizione della rete distributiva Formulazione della strategia aziendale Individuazione di eventuali alleanze Verifica delle competenze necessarie e delle risorse umane da coinvolgere nel progetto Individuazione del project manager e dello staff di progetto Definizione delle strutture necessarie e delle loro caratteristiche Individuazione di dove localizzare le diverse attività (uffici, produzione, ecc.) Suddivisione dei compiti e dei tempi per realizzare il progetto

Tenendo conto di quanto appena descritto, se consideriamo, ad esempio, la negoziazione di una compravendita, osserviamo che da sempre ed ovunque le parti (compratore e venditore) hanno convenienza a che sia la controparte a dare esecuzione per prima, all’obbligazione contrattuale principale che le compete, riservandosi di dare esecuzione alla propria solo a seguito dell’adempimento della controparte.

Il compratore, pertanto, cercherà sempre di posticipare il più possibile il pagamento del prezzo rispetto alla consegna della merce; a ciò egli è spinto soprattutto da ragioni di carattere finanziario (miglioramento della situazione di liquidità generata dalla gestione corrente) oltre che dalla necessità di porre rimedio al rischio di ricevimento di merce non rispondente, non conforme o difettosa. Per il venditore, per contro, la situazione ottimale si ha quando il pagamento della fornitura è anticipato rispetto alla sua spedizione; in tale situazione il rischio di mancato pagamento si annulla e migliora la liquidità aziendale.

Accade normalmente che quando il venditore italiano instaura un rapporto commerciale con un acquirente estero, per le prime forniture di merce, a causa della mancata conoscenza della controparte estera, egli riesca ad ottenere una forma di pagamento contestuale (COD) o assai sicura, come l’apertura di un Credito documentario, oppure, indipendentemente dal mezzo di pagamento, il rilascio di una garanzia bancaria a prima domanda, anche nella forma di una Stand by Letter of credit.

Successivamente, con il consolidarsi del rapporto commerciale, soprattutto se le forniture avvengono nell’ambito di un contratto di distribuzione commerciale, è prassi che l’acquirente richieda una forma di pagamento per lui meno onerosa, oppure meno impegnativa sul piano finanziario in termini di affidamenti bancari utilizzati, oppure ancora non contestuale ma posticipata al fine di ottenere, così, un finanziamento a costo zero, quale, ad esempio, una “rimessa diretta” a mezzo bonifico bancario con pagamento a 60 o 90 giorni dalla data della fattura o della spedizione della merce.

Il pagamento del prezzo delle forniture mediante bonifico bancario con scadenza nel breve termine rappresenta, infatti, il mezzo di pagamento più utilizzato dai nostri esportatori nelle vendite ai Paesi europei ad “economia matura” (Paesi dell’UE dei quindici e altri Paesi europei e non dell’area OCSE di prima categoria, quali Svizzera, Islanda, Norvegia, Australia, Giappone, Stati Uniti).Nelle esportazioni italiane verso gli altri Paesi dell’area OCSE invece, la forma di pagamento più utilizzata è il Credito documentario, così come nei Paesi dell’Est Europa (anche in quelli recentemente entrati nell’UE) e, soprattutto, nei Paesi ad economia non industrializzata.

Ma che fare, ad esempio, se a richiedere il regolamento posticipato nella più semplice forma tecnica del bonifico bancario è un’impresa cliente residente, ad esempio negli Stati Uniti o nella Repubblica Ceca o in Polonia? In questi casi, l’esportatore italiano che intenda mantenersi competitivo nei mercati esteri deve disporre di tutti gli strumenti che gli consentano:

di valutare con professionalità e non a semplice “intuito” il grado di affidabilità e solvibilità del cliente, nonché del Paese in cui questi risiede;

di analizzare la sostenibilità finanziaria delle proprie politiche commerciali di concessione di credito alla clientela estera, in termini di impatto sulla propria liquidità aziendale;

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di conoscere e saper utilizzare strumenti quali (almeno per i crediti export di breve termine), il ricorso a forme di copertura assicurativa

Utilizzando tali strumenti in modo professionale l’esportatore italiano è in grado di valutare con cognizione di causa, se e fino a dove egli può spingersi per andare incontro alle esigenze, sia di finanziamento che di utilizzo di mezzi di pagamento snelli ed economici, dei propri clienti esteri, senza tuttavia “azzardare”, pregiudicando la propria redditività e stabilità finanziaria.

La necessità di sviluppare tali strumenti e capacità aziendali valgono non solo per la clientela già acquisita e, quindi, per il mantenimento delle proprie quote di mercato ma diventano fondamentali anche come strumenti di marketing commerciale per acquisire nuovi clienti e sviluppare la propria attività sui mercati esteri

La competitività delle imprese sui mercati esteri, in modo particolare nei cosiddetti “mercati maturi”, tende sempre più a basarsi non solo su elementi tradizionali di qualità e prezzo della merce compravenduta, servizi di post-vendita, azioni promozionali ma anche sulla capacità di definire, proporre, e saper gestire aspetti inerenti alle condizioni contrattuali che possono costituire un quid pluris, un ulteriore vantaggio per le imprese importatrici acquirenti. Elementi di vantaggio possono riguardare molteplici aspetti commerciali: dalle condizioni di resa della merce, alle condizioni di pagamento.

Soprattutto in realtà come quella italiana in cui per moltissime imprese la leva del prezzo difficilmente può essere utilizzata come strumento di aggressività commerciale sui mercati esteri, in considerazione dei bassi margini operativi e dell’attuale posizione di forza dell’euro, ecco che allora conoscere il mercato dell’assicurazione dei crediti all’esportazione e utilizzare strumenti di copertura assicurativa dei propri crediti export può dare un forte slancio alla competitività delle imprese italiane esportatrici.

Queste, infatti, forti della garanzia assicurativa possono concedere condizioni di pagamento che più si confanno alle esigenze della controparte acquirente, accordando maggiori dilazioni di pagamento e/o accettando mezzi di pagamento più snelli dal punto di vista operativo.

È pertanto, importante sottolineare che l’assicurazione dei crediti all’esportazione, oltre ad offrire gli specifici servizi assicurativi ed accessori inerenti alla polizza assicurativa, può fornire all’esportatore, per le considerazioni sopra fatte, notevoli vantaggi competitivi, consentendogli di adottare strategie commerciali altrimenti difficili o eccessivamente rischiose.

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23. Gli aspetti contrattuali

Se è di fondamentale importanza adottare una strategia commerciale e finanziaria adeguata alla realtà dei mercati in cui si è presenti o si intende essere presenti, lo stesso vale per la definizione della strategia contrattuale, che l’esportatore dovrà attentamente pianificare per potersi posizionare sui mercati individuati come i più interessanti.Gli aspetti contrattuali rappresentano, infatti, uno dei punti di maggiore criticità di una qualsiasi negoziazione di un accordo commerciale con l’estero, sia che trattasi di una compravendita di merci o di servizi, sia che trattasi di un accordo commerciale di cessione di Know how o di creazione di una società mista (Joint venture) o la costituzione di una società di diritto estero con capitale proprio. In questo capitolo proveremo ad analizzare gli aspetti più salienti che caratterizzano la negoziazione di un contratto internazionale per poi soffermarci sul contratto di compravendita internazionale, su quello di distribuzione e, infine, sul contratto di Joint venture, con la consapevolezza che tutti gli aspetti contrattuali possono, essere utilizzati come una leva di marketing e, se correttamente gestiti, consentono all’esportatore di presentarsi sui mercati esteri in modo più efficace.

Soltanto con la formulazione di un contratto che tenga conto di tutti gli aspetti che regolano il rapporto commerciale, è possibile, se non eliminare, almeno ridurre in modo significativo i rischi di mancato o ritardato pagamento (come nel caso ad esempio, di una compravendita o in un accordo di distribuzione) che possono riservare danni economici per l’impresa tali da impedire, in alcuni casi, la competitività o la presenza su certi mercati.Per questo è di fondamentale importanza dare forma scritta all’intero accordo negoziale, utilizzando, ove possibile, testi standard di contratto che potranno essere adattati, di volta in volta, alle singole operazioni, tenendo conto di tutti gli aspetti riguardanti l’accordo commerciale specifico.

DIVERSITÀ DI SISTEMI GIURIDICI

La stipula di un contratto (sia esso di compravendita o di altro tipo) nel commercio internazionale presenta aspetti multiformi tanto da essere sottoposto a numerose variabilità di natura giuridica, valutaria, finanziaria, logistica e commerciale, che incidono in misura rilevante sulla corretta impostazione del rapporto con la controparte estera.

La scelta del “tipo” di contratto, la sua struttura, i suoi contenuti, la valutazione del rischio di credito e/o di cambio, i risvolti commerciali e strategici e le precauzioni da adottare derivano dalla individuazione degli elementi economici del rapporto che si instaura con la controparte estera, dagli scopi che ci si prefigge, dai paesi con i quali si intraprende la trattativa commerciale, dal settore merceologico di appartenenza, dalla forza contrattuale.

Aspetti che non possono prescindere dal contesto in cui si sviluppa una transazione commerciale con l’estero caratterizzata dalla diversità di sistemi giuridici, dalla diversità di norme, di consuetudini, di significato attribuito a termini di uso comune.

Proprio in considerazione di quanto sopra illustrato, quando si definisce un accordo commerciale con una controparte estera, è importante regolare nel modo più chiaro e completo tutti i punti essenziali dello stesso non lasciando alla controparte l’iniziativa totale di redigere il contratto. Se questo non è possibile, quanto meno, è fondamentale comprendere la portata e le implicazioni delle proposte fatte dalla controparte.

SISTEMA DI COMMON LAW E DI CIVIL LAW

Occorre sottolineare, inoltre, che in ambito internazionale, esistono due grandi famiglie di diritto che hanno un approccio diverso in materia di contrattualistica e la cui non conoscenza può produrre spiacevoli sorprese tali da compromettere la redditività di un affare con l’estero:

- il sistema giuridico di “Common Law” (tipico dei paesi anglosassoni), dove, contrariamente a quanto accade in Italia, non esistono codici scritti a cui riferirsi per disciplinare la materia che si basa su precedenti casi analoghi e dove, di conseguenza, è necessario prevedere il più possibile nel contratto sottostante divenendo lo stesso “legge” per le parti contraenti;

- il sistema giuridico di “Civil Law” (adottato dai paesi europei), dove i contratti, sottostanno, invece, alla legge codificata (codice civile) e non possono esserci deroghe a clausole o disposizioni imperative.

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LA STIPULA DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE RICHIEDE, PERTANTO, PARTICOLARE ATTENZIONE E NON DEVE ESSERE TRASCURATA, MA È DI FONDAMENTALE IMPORTANZA, DEFINIRE IL QUADRO GIURIDICO IN CUI SI SVILUPPA E A CUI È

ASSOGGETTATO IL RAPPORTO COMMERCIALE.

NEGOZIAZIONE DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE

Quale legge regolerà il rapporto commerciale? Quella italiana o quella della controparte straniera? Esistono delle Convenzioni internazionali? E, se esistono, cosa dispongono? Possono rispondere alle esigenze delle imprese? In caso di controversie cosa succede? A chi ci si può rivolgere per risolverle?

Queste sono soltanto alcune domande che l’operatore economico deve porsi quando inizia una trattativa commerciale con una controparte estera.

È necessario, allora, avere alcune linee-guida che riteniamo utili per la corretta negoziazione di un contratto internazionale e che, nel contempo, aiutino a comprendere il significato degli elementi base e a facilitare la negoziazione di qualsiasi rapporto commerciale sia che trattasi di semplici contratti di vendita o di agenzia, sia che trattasi di contratti più complessi, come, ad esempio, la costituzione di una joint-venture, un contratto di licenza o la fornitura di opere chiavi in mano.

Occorre sottolineare, inoltre, che un “buon contratto” non dipende dal numero delle pagine (tante o poche) che lo compongono ma, al contrario, dipende da come vengono definiti tutti gli argomenti dello stesso che dovranno tener presente il significato attribuito ad alcuni termini che potrebbe essere diverso da quanto viene attribuito dalla controparte estera così come la diversità della lingua, degli aspetti culturali, sociali e consuetudinari esige che il testo sia il più semplice possibile.

Criteri per redigere un buon contratto

Chiarezza con la quale si individua, preventivamente, tutto ciò che potrebbe creare problemi o conflitti non lasciando spazio a equivoci e interpretazioni diverse da quanto effettivamente voluto dalle parti.

Semplicità dell’linguaggio affinché sia comprensibile a tutti quelli che nel futuro saranno chiamati ad utilizzare lo strumento contrattuale. Talvolta è opportuno sottolineare il significato di termini che possono prestarsi a molteplici interpretazioni.

Coerenza in quanto non basta che le clausole siano esposte in modo chiaro, ma è necessario che facciano parte di uno schema ordinato e coerente. Non devono esserci contraddizioni tra una clausola e l’altra.

Completezza con la quale si regolano, nei limiti del possibile, tutti i punti oggetto del contratto stesso (legge applicabile, foro competente, arbitrato, lingua, sono soltanto alcuni degli aspetti fondamentali di qualsiasi rapporto contrattuale che vanno sempre concordati e previsti esplicitamente nei contratti internazionali).

Armonia e giusto equilibrio tra le clausole che tutelano le parti contraenti: venditore e compratore (nella compravendita), fabbricante e agente e/o concessionario (nella distribuzione).

Corretta formulazione delle clausole contrattuali.

QUADRO GIURIDICO

Innanzitutto è fondamentale, come già evidenziato sopra, informarsi sul quadro giuridico in cui il contratto si inserirà, individuando l’esistenza o meno di eventuali vincoli imposti dalle leggi vigenti nel paese della controparte, che potrebbero rendere inefficace la scelta della legge italiana (nel caso si optasse per questa) nel Paese della controparte.Occorre, pertanto, valutare sempre in anticipo quale sia la legge da applicare all’accordo commerciale con una controparte estera. In assenza di una legge in tal senso sarà il giudice chiamato a dirimere una controversia che si baserà sulle norme di diritto internazionale privato del proprio Paese.

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131

FORMA DEL CONTRATTO

Pur non essendo necessaria la forma scritta, affinché un contratto possa considerarsi garante della volontà delle parti, è opportuno, comunque, che l’accordo con controparte straniera sia sempre regolato in forma scritta.È errata l’opinione, peraltro diffusa presso molti operatori economici, secondo la quale, non regolando in forma scritta il rapporto commerciale, si evita di assumere un vincolo giuridico. È esattamente il contrario con la differenza che, così facendo, non si conoscono i vincoli a cui il contratto è assoggettato.

LINGUA DEL CONTRATTO

Per quanto riguarda la lingua da usare è importante specificare nel testo del contratto quale sia la lingua alla quale attribuire il valore ufficiale del contratto, evitando che in presenza di traduzioni in più lingue, i cui termini sono simili, ma possono dare adito a molteplici interpretazioni, sorgano contenziosi relativi alle disposizioni del contratto. Al riguardo val la pena adottare una lingua “neutra” come potrebbe essere l’inglese, vista la diffusione e la conoscenza della stessa in campo internazionale, per mettere le parti sullo stesso piano.

FUNZIONE DEL CONTRATTO

La forma scritta di un contratto è, peraltro, importante perché permette all’operatore economico di: impostare le principali clausole in modo chiaro al fine di lasciare il minimo spazio a possibili

controversie e/o discussioni circa l’interpretazione di alcuni punti; tradurre la volontà delle parti; affrontare un’eventuale controversia da una posizione di forza in quanto, l’assenza di un contratto

scritto, potrebbe comportare delle spiacevoli sorprese con il rischio di affrontare le difficoltà di un processo in un paese lontano con risultati diversi da quanto ci si attendeva;

ridurre i rischi di non adempimento da parte della controparte estera, rispetto a quanto concordato;

offrire un’immagine positiva e trasparente di sé, attraverso la definizione dei punti essenziali che regoleranno il rapporto commerciale.

L’ASSENZA DI UN CONTRATTO SCRITTO O LA SUA FORMULAZIONE IN MODO NON COMPLETA E/O IMPRECISA NON DIMINUISCE I RISCHI MA, ANZI, LI AUMENTA. IL COMPORTAMENTO DELLE PARTI, INFATTI (SCAMBIO DI CORRISPONDENZA, SPEDIZIONE DELLE

MERCI, RITIRO DELLA MERCE, ECC.), DIMOSTRA E COMPROVA, L’ESISTENZA DI UN CONTRATTO, INDIPENDENTEMENTE DALLA SUA FORMA.

SCELTA DELLA LEGGE APPLICABILE

La scelta della legge applicabile per l’operatore economico non è semplice.. E’ più opportuno assoggettare il contratto alla legge italiana o alla legge del paese della controparte oppure a quella di un paese terzo o, addirittura, ricorrere alla cosiddetta Lex mercatoria, cioè ai principi generali ed agli usi diffusi nel commercio internazionale ed accolti dalla maggior parte dei sistemi giuridici.

In tale contesto la scelta di una legge piuttosto che di un’altra può incidere notevolmente sui diversi effetti che il rapporto contrattuale produrrà sulle parti e sui contenuti del contratto stesso, sia che gli stessi non siano stati espressamente regolati, sia, al contrario che lo siano stati.

Per l’operatore economico italiano la legge italiana costituisce la scelta maggiormente seguita, tuttavia, potrebbe incontrare dei vincoli, quali ad esempio clausole inderogabili previste dall’ordinamento giuridico della controparte estera, che impediscono la possibilità di optare per la legge italiana.

In certi casi l’esportatore potrebbe anche scoprire che alcuni istituti giuridici del paese estero risultano a lui più favorevoli rispetto a quanto regolato dalla legge italiana.

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E’ importante sottolineare che non esistono norme “sovranazionali” applicabili alle transazioni commerciali tra soggetti residenti in paesi diversi, il riferimento rimane sempre la norma nazionale del singolo paese.

La libertà delle parti di scegliere la legge applicabile al contratto incontra due soli limiti:

1. il primo limite è costituito dalle c.d. “norme imperative o di applicazione necessaria” (es. norme di ordine pubblico, leggi tributarie, regolamentazioni amministrative non opponibili dalle parti, ecc.), che per legge di un determinato paese devono trovare applicazione anche se il contratto è sottoposto ad una legge straniera;

2. il secondo limite alla libera scelta delle parti è rappresentato dalle norme inderogabili proprie della legge di quel paese al quale si riferiscano tutti gli “altri” dati del contratto (es. luogo dell’adempimento dell’obbligazione, della consegna del bene, dove viene effettuato il pagamento dei corrispettivi, ecc.).

Scelta della legge applicabile

Legge scelta Vantaggi Svantaggi

Italiana Legge conosciuta o comunque facilmente accertabile che

permette una standardizzazione dei contratti con controparti di

Paesi diversi.

Potrebbe non essere gradita alla controparte; in alcuni casi

potrebbe risultare eccessivamente onerosa.

Paese della controparte Normalmente gradita alla controparte che tende ad imporla laddove la sua forza contrattuale

sia maggiore.

Normativa non conosciuta: più difficile da gestire. Possibilmente

da evitare.

Paese terzo Mette ambedue le parti sullo stesso piano. Appare opportuna solo qualora le parti non riescano

ad accordarsi.

Normativa non conosciuta: più difficile gestire.

Lex mercatoria Evita l’applicazione di leggi nazionali che potrebbero contenere

principi incompatibili con le esigenze del commercio

internazionale.

Contenuti scarsamente prevedibili. Funziona solo con arbitrato.

CONVENZIONE DI ROMA

Quanto sopra detto è stato supertao in ambito comunitario grazie alla Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, anche conosciuta come “trattato di Roma”.

L’art. 4 della Convenzione prevede che, in assenza di scelta della legge applicabile, sarà applicata la legge del Paese con cui il contratto ha il collegamento più stretto e che si presume essere quella del Paese in cui risiede la parte che deve fornire la cosiddetta prestazione caratteristica.

Le norme contenute nella Convenzione di Roma trovano applicazione non soltanto nei contratti di compravendita, ma anche nei contratti di agenzia.

Nel contratto di agenzia, ad esempio, la prestazione caratteristica non avente carattere “monetario o pecuniario” è quella che deve essere contrattualmente eseguita dall’agente (attività di promozione delle vendite dei prodotti del fabbricante) e da ciò deriva che, in caso di mancata indicazione nel contratto della legge applicabile, dovrà trovare applicazione la legge del paese dove l’agente/persona fisica ha la sua sede, mentre nella compravendita la prestazione caratteristica considerata prevalente è quella del venditore.

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133

È necessario, quindi, scegliere la legge da applicare al contratto, dopo aver valutato i vari aspetti e le varie implicazioni che questo comporta con l’aiuto (magari) di un esperto di comprovata e riconosciuta esperienza in materia, non dimenticando mai che non esistono norme “sovranazionali” applicabili alle transazioni commerciali tra soggetti residenti in paesi diversi. il riferimento rimane sempre la norma nazionale del singolo paese.

MODI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE

L’esportatore, oltre a definire quale sarà la legge applicabile ad un contratto commerciale internazionale, dovrà anche precisare se, in caso di controversia, ci si presenterà davanti ai giudici del paese della controparte oppure davanti ai propri giudici (rimettendo, così, la soluzione della controversia ad un Tribunale statale) oppure ad arbitri privati.

Giurisdizione ordinaria (Foro competente)

La via più semplice per la risoluzione di eventuali controversie, soprattutto quando il valore del contratto è modesto, è sicuramente la scelta del tribunale statale - quindi il ricorso alla giurisdizione ordinaria -stabilendo il foro competente (quello cioè del proprio paese o del paese della controparte).

La scelta del Foro competente del proprio paese è quella che l’operatore italiano preferisce, anche se non sempre questa scelta è la più opportuna, in quanto è necessario sapere quali sono le possibilità di ottenere il riconoscimento di una eventuale sentenza nel paese della controparte estera.

Tale riconoscimento è facile ottenerlo nel caso di contratti con parti residenti nei paesi UE, che hanno sottoscritto delle convenzioni sul reciproco riconoscimento di tali sentenze. Non bisogna, però, dimenticare quanto segue :

le Convenzioni stesse prevedono alcuni vincoli circa l’organo giurisdizionale (il tribunale) competente a risolvere le eventuali controversie, che possono essere superati attribuendo ad un giudice quelle competenze che, altrimenti, non si potrebbero avere ed escludendo, nel contempo, la competenza di altri giudici;

i giudici di paesi diversi da quelli comunitari difficilmente riconoscono sentenze emesse da giudici di altri paesi come nel caso, ad esempio, degli Stati Uniti d’America dove i giudici dei singoli Stati tendono a non considerare le sentenze emesse da giudici di qualsiasi Paese diverso dagli Stati Uniti.

LA SCELTA DEL FORO COMPETENTE COME MODO DI RISOLUZIONE DI EVENTUALI CONTROVERSIE È UNA SOLUZIONE ECONOMICA VALIDA SOPRATTUTTO QUANDO IL VALORE DEL CONTRATTO È DI VALORE MODESTO

Arbitrato internazionale

Si può scegliere, in alternativa al tribunale statale, l’arbitrato internazionale soprattutto se il contratto è di una certa importanza e valore, per cui è preferibile affidare la soluzione di controversie a legali competenti che svolgono la funzione di “arbitri” per risolvere con “equità” una lite sorta tra le parti contraenti.

La scelta della clausola arbitrale implica, però, che il Paese della controparte abbia aderito alla Convenzione di New York del 1958 - di cui fanno parte circa 100 paesi - nella quale si è stabilito di:

accettare le risoluzioni arbitrali emesse dall’arbitro; riconoscere e dare esecuzione alle sentenze arbitrali.

Tuttavia, se questa è una condizione necessaria, non sempre è una condizione sufficiente, in quanto occorre che l’ordinamento giuridico del paese della controparte non ponga limiti all’applicazione dell’arbitrato che renderebbero prive di effetto le sentenze arbitrali.

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Pertanto, prima di scegliere l’arbitrato internazionale per la risoluzione di eventuali controversie, è necessario verificare:

a) l’adesione alla Convenzione di New York da parte della controparte e/o del partner;b) l’esistenza di eventuali limitazioni all’applicazione dell’arbitrato.

Esistono due forme di arbitrato: “l’arbitrato ad hoc”, che regola dettagliatamente tutti i punti dell’eventuale arbitrato; “l’arbitrato amministrato” che si affida al regolamento di un organismo specializzato in tal senso

come, ad esempio, la Camera di commercio internazionale (CCI).

Le parti dovranno prevedere espressamente in forma scritta la clausola arbitrale, formulandola in modo appropriato secondo formulazioni di clausole compromissorie suggerite (ad esempio) dalla CCI, indicando, inoltre, qual’è la Camera arbitrale a cui rivolgersi. Tra le Camere arbitrali di più lunga tradizione si segnalano: Francoforte, Ginevra, Londra, Lugano, Milano, New York, Parigi, Stoccolma, Vienna, Zurigo.

Ricorrere all’arbitrato internazionale, se da una parte costa di più, assicura rapidità, informalità del procedimento e una sentenza definitiva. Di contro tale istituto non è opportuno per singole operazioni di valore modesto, pertanto non è consigliabile inserirlo nel contesto di condizioni generali di vendita per l’estero in quanto, nel caso si rendesse necessario, avrebbe un costo sproporzionato rispetto al valore della singola operazione. Ricorrere all’arbitrato internazionale vuol dire che, in caso di controversia, il contratto sarà sottoposto al giudizio di un organismo privato e non ad un tribunale statale.

ELENCO DEI PAESI SOTTOSCRITTORIDELLA CONVENZIONE DI NEW YORK 1958

Stato Data di ratifica del trattato

Stato Data di ratifica del trattato

Afghanistan 30 novembre 2005 Albania 27 giugno 2001

Algeria 7 febbraio 1989 Antigua e Barbuda 2 febbraio 1989

Argentina 14 marzo 1989 Armenia 29 dicembre 1997

Australia 26 marzo 1975 Austria 2 maggio 1961

Azerbaigian 29 febbraio 2000 Bahamas 20 dicembre 2006

Bahrain 6 aprile 1988 Bangladesh 6 maggio 1992

Barbados 16 marzo 1993 Bielorussia 15 novembre 1960

Belgio 18 agosto 1975 Benin 16 maggio 1974

Bolivia 28 aprile 1995 Bosnia-Erzegovina 1 settembre 1993

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Botswana 20 dicembre 1971 Brasile 7 giugno 2002

Brunei 25 luglio 1996 Bulgaria 10 ottobre 1961

Burkina Faso 23 marzo 1987 Cambogia 5 gennaio 1960

Camerun 19 febbraio 1988 Canada 12 maggio 1986

Repubblica Centrafricana 15 ottobre 1962 Cile 4 settembre 1975

Cina 22 gennaio 1987 Colombia 25 settembre 1979

Costa Rica 26 ottobre 1987 Costa d'Avorio 1 febbraio 1991

Croazia 26 luglio 1993 Cuba 30 dicembre 1974

Cipro 29 dicembre 1980 Repubblica Ceca 30 settembre 1993

Danimarca 22 dicembre 1972 Gibuti 14 giugno 1983

Dominica 28 ottobre 1988 Repubblica Dominicana

11 aprile 2002

Ecuador 3 gennaio 1962 Egitto 9 marzo 1959

El Salvador 26 febbraio 1998 Estonia 30 agosto 1993

Finlandia 19 gennaio 1962 Francia 26 giugno 1959

Gabon 15 dicembre 2006 Georgia 2 giugno 1994

Germania 30 giugno 1961 Ghana 9 aprile 1968

Grecia 16 luglio 1962 Guatemala 21 marzo 1984

Guinea 23 gennaio 1991 Haiti 5 dicembre 1983

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136

Città del Vaticano 14 maggio 1975 Honduras 3 ottobre 2000

Ungheria 5 marzo 1962 Islanda 24 gennaio 2002

India 13 luglio 1960 Indonesia 7 ottobre 1981

Iran 15 ottobre 2001 Irlanda 12 maggio 1981

Israele 5 gennaio 1959 Italia 31 gennaio 1969

Giamaica 10 luglio 2002 Giappone 20 giugno 1961

Giordania 15 novembre 1979 Kazakistan 20 novembre 1995

Kenya 10 febbraio 1989 Corea del Sud 8 febbraio 1973

Kuwait 28 aprile 1978 Kirghizistan 18 dicembre 1996

Laos 17 giugno 1998 Lettonia 14 aprile 1992

Libano 11 agosto 1998 Lesotho 13 giugno 1989

Liberia 16 settembre 2005 Lituania 14 marzo 1995

Lussemburgo 9 settembre 1983 Macedonia 10 marzo 1994

Madagascar 16 luglio 1962 Malesia 5 novembre 1985

Mali 8 settembre 1994 Malta 22 giugno 2000

Isole Marshall 21 dicembre 2006 Mauritania 30 gennaio 1997

Mauritius 19 giugno 1996 Messico 14 aprile 1971

Moldavia 18 settembre 1998 Monaco 2 giugno 1982

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137

Mongolia 24 ottobre 1994 Montenegro 23 ottobre 2006

Marocco 12 febbraio 1959 Mozambico 11 giugno 1998

Nepal 4 marzo 1998 Paesi Bassi 24 aprile 1964

Nuova Zelanda 6 gennaio 1983 Nicaragua 24 settembre 2003

Niger 14 ottobre 1964 Nigeria 17 marzo 1970

Norvegia 14 marzo 1961 Oman 25 febbraio 1999

Pakistan 14 luglio 2005 Panamá 10 ottobre 1984

Paraguay 8 ottobre 1997 Perù 7 luglio 1988

Filippine 6 luglio 1967 Polonia 3 ottobre 1961

Portogallo 18 ottobre 1994 Qatar 30 dicembre 2002

Romania 13 settembre 1961 Russia 24 agosto 1960

Saint Vincent e Grenadine

12 settembre 2000 San Marino 17 maggio 1979

Arabia Saudita 19 aprile 1994 Senegal 17 ottobre 1994

Serbia 12 marzo 2001 Singapore 21 agosto 1986

Slovacchia 28 maggio 1993 Slovenia 6 luglio 1992

Sudafrica 3 maggio 1976 Spagna 12 maggio 1977

Sri Lanka 9 aprile 1962 Svezia 28 gennaio 1972

Svizzera 1 giugno 1965 Siria 9 marzo 1959

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Tanzania 13 ottobre 1964 Thailandia 21 dicembre 1959

Trinidad e Tobago 14 febbraio 1966 Tunisia 17 luglio 1967

Turchia 2 luglio 1992 Uganda 12 febbraio 1992

Ucraina 10 ottobre 1960 Emirati Arabi Uniti 21 agosto 2006

Regno Unito 24 settembre 1975 Stati Uniti d'America 30 settembre 1970

Uruguay 30 marzo 1983 Uzbekistan 7 febbraio 1996

Venezuela 8 febbraio 1995 Vietnam 12 settembre 1995

Zambia 14 marzo 2002 Zimbabwe 26 settembre 1994

Fonte: Ministero degli Affari Esteri, archivio Trattati internazionali.Sito: http://itra.esteri.it/visualizza.asp?id=47279 aggiornato a giugno 2008

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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24. La compravendita internazionale e la Convenzione di Vienna

La compravendita internazionale rappresenta la tipologia di rapporto contrattuale più diffusa negli scambi internazionali tanto da richiedere un quadro di riferimento uniforme per le parti, capace di superare le differenze di legislazione e favorire una maggiore certezza.

La soluzione è stata trovata attraverso l’UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law), che ha predisposto una normativa sulla vendita internazionale di beni mobili (beni di largo consumo, beni strumentali, macchinari, ecc.), adottati dai Paesi che hanno aderito alla Convenzione di Vienna del 1980, in vigore dal 1° gennaio 1988.La Convenzione di Vienna, che ha visto la sottoscrizione di Paesi appartenenti ad aree geografiche diverse e con diverso grado di sviluppo, presenta una caratteristica importante che la contraddistingue rispetto ad altre convenzioni.

LA CONVENZIONE DI VIENNA COSTITUISCE LA LEGGE NAZIONALE APPLICATA ALLA VENDITA INTERNAZIONALE DI BENI MOBILI PER GLI STATI CHE VI HANNO ADERITO

CARATTERISTICHE DELLA CONVENZIONE DI VIENNA

Al fine di offrire un quadro giuridico universalmente riconosciuto e applicabile alla compravendita internazionale, la Convenzione di Vienna ha cercato di raggiungere un compromesso tra sistemi giuridici diversi (quelli di Civil law e quelli di Common law).

Questo comporta per le imprese alcune attenzioni da non trascurare:

1. la valutazione delle differenze rispetto alle soluzioni a cui si è abituati in ambito interno evitando di dare per scontata l’applicazione di principi generalmente accettati nelle vendite tra operatori italiani;

2. il ricorso a termini che il nostro codice civile determina con precisione (ad esempio gli otto giorni per contestare vizi sulla merce), ma che la Convenzione, dovendo considerare diversi sistemi giuridici, rimanda a criteri di ragionevolezza più flessibili ed elastici (ad esempio gli otto giorni potranno risultare troppo pochi o, anche, troppi);

3. il fatto che, pur trattandosi di una legge nazionale, in quanto ratificata ed inserita nell’ordinamento giuridico degli Stati che vi hanno aderito, si deve tener conto del suo carattere internazionale;

4. il tener ben presente che la Convenzione non disciplina tutti i problemi che possono presentarsi nel contesto di un accordo commerciale, lasciando alcune materie alla disciplina delle legge nazionale. Di conseguenza, occorre sottolineare che la Convenzione di Vienna non può essere considerato un testo normativo autosufficiente a disciplinare tutti gli aspetti di un contratto di vendita. È importante, pertanto, prevedere da quale legge saranno regolati gli Istituti non disciplinati dalla Convenzione.

È OPPORTUNO, DEFINIRE SEMPRE CON PRECISIONE I TERMINI E LE DEFINIZIONI CHE POTREBBERO DARE ORIGINE A MALINTESI E/O INTERPRETAZIONI DIVERSE DA QUELLE CHE SI VOLEVA ATTRIBUIRE

AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE

La Convenzione di Vienna si applica alle vendite internazionali quando, cioè, le due parti contraenti una compravendita di beni mobili risiedono in paesi diversi. I contratti di compravendita tra parti contraenti dello stesso paese, saranno, pertanto, disciplinate dalle norme nazionali. Nel caso dell’Italia dalle norme del codice civile.

Per favorire l’individuazione dell’ambito di applicazione della Convenzione presentiamo due casi con cui l’esportatore può identificarsi:

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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a) se l’esportatore italiano conclude un contratto con un’acquirente estero residente in un paese che ha aderito alla Convenzione di Vienna, non è necessario che nel contratto di compravendita le parti stabiliscano quale sarà la legge a cui è sottoposto il contratto in quanto, in caso di controversie, sarà applicato quanto sancito nella Convenzione. L’applicazione è, pertanto, automatica;

b) se, invece, l’importatore estero risiede in uno Stato che non ha aderito alla Convenzione, quest’ultima si applicherà solo se le norme di diritto internazionale privato consentono l‘applicazione della legge di un paese contraente.

Istituti non disciplinati dalla Convenzione

Gli istituti non disciplinati dalla Convenzione e che rimangono regolati dalle norme nazionali dei singoli Stati sono i seguenti:

la vendita per uso personale, familiare e domestico; la vendita di beni all’asta, di valori mobiliari, di titoli di credito e di denaro; la vendita di navi, imbarcazioni, veicoli a cuscino d’aria e aeromobili; la validità del contratto e delle singole clausole; gli effetti prodotti dal contratto sul trasferimento della proprietà delle merci; la responsabilità del fabbricante per danni arrecati a causa della merce venduta; le garanzie in caso di mancato pagamento.

Non disciplinando tutti i problemi che possono sorgere in una compravendita internazionale (salvo quelli relativi alla formazione del contratto e agli obblighi del venditore e del compratore) è opportuno, anche nei casi di contratti tra contraenti di Stati aderenti alla Convenzione, provvedere sempre alla scelta della legge applicabile al contratto di vendita al fine di concordare la normativa di riferimento per le materie non coperte dalla Convenzione.

OBBLIGHI DEL VENDITORE NELLA CONVENZIONE DI VIENNA

Con la stipula del contratto di compravendita, i principali obblighi del venditore sono:

a. consegnare la merce nel luogo concordato, secondo i termini di consegna definiti in base agli Incoterms 2000 della Camera di commercio internazionale di Parigi;

b. consegnare la merce alla data di consegna pattuita nel contratto e/o determinabile in base al contratto oppure entro un periodo di tempo ragionevole o determinato;

c. consegnare la merce secondo le modalità di trasporto definite nel contratto (via mare, via aerea, via terra o con trasporto intermodale), con mezzi di trasporto adeguati stipulando, se tenuto, un’assicurazione sulla merce trasportata, fornendo tutte le informazioni necessarie al cliente per il ritiro della merce;

d. consegnare la merce conforme alle caratteristiche (quantità, qualità, tipo) previste nel contratto;e. consegnare la merce libera da diritti e/o pretese di terzi, a meno che il compratore non abbia

acconsentito a ricevere la merce gravata da tali diritti o pretese altrui;f. consegnare la merce libera da diritti sulla proprietà industriale e/o intellettuali secondo la legge del

paese del compratore o del paese di destinazione;g. consegnare i documenti relativi alla merce nel momento concordato, nel luogo e nella forma prevista

dal contratto;h. trasferire la proprietà della merce alle condizioni previste dal contratto in base alla legge nazionale

applicabile al contratto non essendo l’Istituto della proprietà disciplinato dalla convenzione di Vienna.

OBBLIGHI DEL COMPRATORE NELLA CONVENZIONE DI VIENNA

I principali obblighi del compratore sono, invece, quelli di:

a. pagare il prezzo fissato nel contratto nella moneta contrattuale pattuita, secondo le modalità concordate e, cioè, a mezzo bonifico bancario, assegno bancario, incasso documentario o semplice o a mezzo credito documentario nel luogo e nei tempi previsti (in via posticipata e/o anticipata), rispetto alla spedizione della merce e/o contestualmente al ricevimento della stessa;

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b. pagare il prezzo fissato contrattualmente nel luogo definito che può essere, a seconda dei casi, presso una banca nel Paese del venditore e/o nel Paese dello stesso compratore e/o in un Paese terzo, oppure nel luogo di rimessa dei documenti presentati per l’incasso o per l’utilizzo;

c. prendere in consegna la merce mettendo il venditore nelle condizioni di effettuare la consegna e adempiere alle formalità necessarie per il ritiro della merce.

RIMEDI A FAVORE DEL COMPRATORE IN CASO DI INADEMPIMENTO DEL VENDITORE

In caso di inadempimento del venditore la Convenzione di Vienna prevede i seguenti rimedi a tutela del compratore:

la sostituzione della merce non conforme se trattasi di un adempimento essenziale;

la riparazione della merce sempre ché ciò sia economicamente ragionevole, tenuto conto delle circostanze;

l’adempimento da parte del venditore delle obbligazioni non completamente realizzate;

la riduzione del prezzo in proporzione al minor valore della merce consegnata;

la risoluzione del contratto in caso di inadempimento essenziale o di mancata consegna della merce entro un termine prorogato rispetto a quello originariamente pattuito;

il risarcimento del danno subito in seguito all’inadempimento del venditore comprensivo anche del mancato guadagno.

Clausole contrattuali a tutela dei diritti del compratore

Clausole penali predefinite per entità volte a sanzionare il venditore in caso di mancato adempimento di alcune obbligazioni (mancata consegna, vizi sulla merce, ecc.)

Clausole di eccessiva onerosità che prevedono una revisione del prezzo a causa, ad esempio, di un apprezzamento della valuta di pagamento rispetto alla valuta del Paese del compratore.

Il rilascio di una garanzia di buona esecuzione del contratto (performance bond) da parte del venditore a favore del compratore al fine di permettere a quest’ultimo di escutere l’importo della garanzia nel caso in cui il venditore non rimedi ad una fornitura non conforme a quanto previsto contrattualmente.

Il rilascio di una garanzia di restituzione del pagamento anticipato (advance payment bond) nel caso di non spedizione della merce da parte del venditore.

RIMEDI A FAVORE DEL VENDITORE IN CASO DI INADEMPIMENTO DEL COMPRATORE

In caso di inadempimento del compratore che, generalmente, riguarda il mancato pagamento del corrispettivo, la Convenzione di Vienna prevede i seguenti rimedi a salvaguardia del venditore:

la messa in mora del compratore fissando un termine ulteriore (proroga) del pagamento per adempiere, all’obbligazione di pagare, fermo restando il diritto del venditore di richiedere il risarcimento del danno subito per il ritardato pagamento;

la risoluzione del contratto per inadempimento del compratore se considerato essenziale; il risarcimento del danno per inadempimento di qualsiasi obbligazione contrattuale comprensivo del

mancato guadagno.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Clausole contrattuali a tutela dei diritti del venditore

L’eccessiva onerosità sopravvenuta che mira a prevedere una revisione del prezzo della merce in caso di significativi aumenti del costo (ad esempio), di materie prime impiegate per la produzione.

Le condizioni sospensive che subordinano l’entrata in vigore del contratto al verificarsi di determinate condizioni come, ad esempio, l’emissione del credito documentario alle condizioni concordate con il compratore, oppure il ricevimento di una garanzia bancaria (payment guarantee) o di una Stand by Letter of credit con cui la banca emittente si impegna al pagamento nel caso in cui l’ordinante/compratore risulti inadempiente o, ancora, al ricevimento di un bonifico bancario per un importo calcolato in percentuale del prezzo di vendita quale acconto.

La riserva di proprietà che permette al venditore di rimanere il legittimo proprietario della merce fino al suo pagamento integrale.

La clausola di forza maggiore che specifica eventi (catastrofi naturali, scioperi, ecc.) non prevedibili e non imputabili al venditore al momento della conclusione del contratto, che impediscano allo stesso di adempiere ai suoi obblighi assunti nei confronti del compratore.

Gli interessi di mora per ritardato pagamento.

Con il prossimo capitolo (il capitolo 25) parleremo della Condizioni generali di vendita illustrando poi al capitolo 26 quali sono gli argomenti che è opportuno definire in un contratto di compravendita internazionale.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Obblighi delle parti nella compravendita internazionale secondo la Convenzione di Vienna

Venditore CompratoreConsegnare la merce

Quando- Alla data fissata- Entro un periodo di tempo determinato- Entro un termine ragionevole

Dove- Nel luogo definito secondo gli Incoterms

2000 della Camera di Commercio Internazionale

Come- Secondo le modalità di trasporto definite nel

contratto- Con mezzi di trasporto adeguati- Fornendo le informazioni al cliente- Stipulando, se tenuto, un’assicurazione sulle

merci

Conforme- Senza difetti- Conforme alle caratteristiche (qualità,

quantità, tipo, imballaggio) definite- Idonea all’uso a cui è destinata (normale o

particolare)- Imballata e/o confezionata adeguatamente - Corrispondente al campione

modello/prototipo visionato

Libera da diritti di terzi- Libera da pretese altrui- Libera da diritti su proprietà industriale e/o

intellettuale

Consegnare i documentiFattura, documento di trasporto, packing list certificati vari ecc.: - Nel luogo e alla data concordata- Nella forma prevista dal contratto

Trasferire la proprietà- Alle condizioni previste dal contratto- In base alla legge nazionale applicabile

Pagare l'imortoPrezzo

- Nella misura determinata nel contratto- Comprensivo o meno dei costi relativi al

trasporto, all’assicurazione merci e della dogana

- Nella moneta contrattuale pattuita (EUR, USD, YEN …)

Dove- Nel paese del compratore- Presso la sede d’affari del venditore- Nel luogo della rimessa della merce o dei

documenti- Presso la banca indicata

Come- A mezzo bonifico bancario- A mezzo assegno di conto corrente bancario

o circolare- A mezzo incasso documentario o semplice- A mezzo incasso elettronico- A mezzo credito documentario

Modalità- Via Swift- Contro ritiro dei documenti commerciali

Quando- In base a quanto determinato nel contratto- In via anticipata rispetto alla spedizione della

merce- In via posticipata rispetto alla spedizione

della merce- Contestualmente al ricevimento della merce

Prendere in consegna la merce- Mettere il venditore nelle condizioni di

effettuare la consegna- Ritirare la merce- Adempiere alle formalità necessarie per il

ritiro della merce

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Rimedi in caso di inadempimento secondo la Convenzione di Vienna

A favore del venditore A favore del compratore

• Messa in mora del compratore• Risoluzione del contratto se l’inadempimento

è essenziale

• Risarcimento del danno• Richiesta di pagamento degli interessi

• Sostituzione della merce non conforme• Riparazione della merce

• Riduzione del prezzo

• Risoluzione del contratto se l’inadempimento è essenziale

• Risarcimento del danno subito

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ELENCO DEI PAESI SOTTOSCRITTORIDELLA CONVENZIONE DI VIENNA

Stati Entrata in vigore Stati Entrata in vigoreArgentina 1 gennaio 1988 Italia 1 gennaio 1988Australia 1 aprile 1989 Kyrgyzstan 1 giugno 2000Austria 1 gennaio 1989 Lesotho 1 gennaio 1988Belarus 1 novembre 1990 Lettonia 1 agosto 1998Belgio 1 novembre 1997 Lituania 1 febbraio 1996Bosnia Erzegovina 6 marzo1992 Lussemburgo 1 febbraio 1998Bulgaria 1 agosto 1991 Mauritania 1 settembre 2000Burundi 1 ottobre 1999 Messico 1 gennaio 1989Canada 1 maggio1992 Mongolia 1 gennaio 1999Cile 1 marzo 1991 Norvegia 1 agosto 1989Cina 1 gennaio 1988 Nuova Zelanda 1 ottobre 1995Cipro 1 aprile 2006 Paesi Bassi 1 gennaio 1992Colombia 1 agosto 2002 Perù 1 aprile 2000Croazia 8 ottobre 1991 Polonia 1 giugno 1996Cuba 1 dicembre 1995 Rep. Araba di Siria 1 gennaio 1988Danimarca 1 marzo 1990 Repubblica Ceca 1 gennaio 1993Equador 1 febbraio 1993 Repubblica di Corea 1 marzo 2005Egitto 1 gennaio 1988 Repubblica di Moldavia 1 novembre 1995Estonia 1 ottobre 1994 Romania 1 giugno 1992

Federazione Russa 1 settembre 1991 Saint Vincent e Grenadines

1 ottobre 2001

Finlandia 1 gennaio 1989 Serbia e Montenegro 27 aprile 1992Francia 1 gennaio 1988 Singapore 1 marzo 1996Gabon 1 gennaio 2006 Slovacchia 1 gennaio 1993Georgia 1 settembre 1995 Slovenia 25 giugno 1991Germania 1 gennaio 1991 Spagna 1 agosto 1991Ghana firmato l’11 aprile 1980

ma non ratificatoStati Uniti 1 gennaio 1988

Grecia 1 febbraio 1999 Svezia 1 gennaio 1989Guinea 1 febbraio 1992 Svizzera 1 marzo 1991Honduras 1 novembre 2003 Ucraina 1 febbraio 1991Iraq 1 aprile 1991 Uganda 1 marzo 1993Islanda 1 giugno 2002 Uruguay 1 febbraio 2000Israele 1 febbraio 2003 Uzbekistan 1 dicembre 1997

Fonte: sito web: http://www.uncitral.org

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25. Le condizioni generali di vendita

Il buon esito di una trattativa commerciale in ambito internazionale, richiede molta attenzione da parte dell’operatore economico, non soltanto sugli aspetti produttivi o commerciali ma anche su tutti gli altri aspetti che concernono l’accordo commerciale con l’estero.L’esportatore, pertanto, dovrà affrontare tutti gli aspetti essenziali del contratto, cercando di regolare i diversi punti che determineranno obblighi e diritti delle parti, con clausole che tengano conto delle esigenze reciproche e che riducano al massimo difformi interpretazioni o malintesi.

La risposta a tale esigenza si trova impostando proprie Condizioni Generali di Vendita per l’estero da utilizzare come “base” per la trattativa commerciale per poi integrarle, di volta in volta, con le condizioni particolari contenute nella Conferma d’ordine o nella Fattura proforma.

Le condizioni generali di vendita possono essere considerate come un contratto c.d. “normativo”, attraverso cui si pongono le “regole generali” che verranno applicate ad una serie di ulteriori, autonomi rapporti (le varie forniture) che saranno, quindi, disciplinati in conformità con quanto stabilito dal suddetto contratto “normativo”.

Attraverso le condizioni generali si può costruire un rapporto continuativo di fornitura di beni, impostando “l’intelaiatura contrattuale minima” ossia il “cuore” del rapporto contrattuale voluto dalle parti.Gli aspetti “accessori”, spesso a torto tralasciati, sono invece, di fondamentale importanza in una compravendita, ragion per cui si consiglia di adottare le condizioni generali di vendita in quanto regolamentano anche questi aspetti.

L’utilizzo (o il divieto di utilizzo) del marchio del fabbricante, la legge applicabile ai rapporti tra le parti, la scelta di un Foro competente, l’eventuale riserva di proprietà dei prodotti venduti, sono alcuni degli aspetti accessori regolamentati dalle condizioni generali.

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Vantaggi per l’esportatore che adotti le condizioni generali di vendita

Impostare il “sistema operativo” di riferimento per tutte le transazioni commerciali che perfezionerà con i singoli clienti

Tradurre in formulazioni chiare e comprensibili i principali elementi che potrebbero dare luogo a discussioni lasciando il minimo spazio a possibili “controversie” e/o “appigli” su cui si basano le osservazioni della controparte

Regolamentare aspetti “accessori” di fondamentale importanza che spesso vengono tralasciati quando ci si limita a perfezionare una singola compravendita

Ridurre il rischio di “pretesti” che i propri clienti potrebbero sollevare al fine di lucrare dei vantaggi dal sottostante rapporto instaurato

Consentire di gestire in modo pratico ed uniforme il rapporto nella sua fase fisiologica cautelandosi da “sorprese” sgradite

Permettere di affrontare un’eventuale controversia da una posizione di forza Offrire un’immagine positiva e trasparente di sé favorendo il rapporto commerciale che si

instaura con la parte compratrice

Nel predisporre le condizioni generali di vendita l’esportatore dovrà considerare:

a) l’importanza di comprendere il significato e le conseguenze operative delle varie soluzioni e la necessità di rispettare gli accordi definiti con la controparte;

b) la necessità di liberarsi da falsi pregiudizi e/o credenze in base alle quali proporre le proprie condizioni di vendita potrebbe rappresentare un ostacolo alla conclusione positiva di un accordo commerciale;

c) il fatto che la stipula delle “condizioni generali”, di per sé, non produce gli obblighi di vendere i prodotti e pagarne il prezzo: detti obblighi, infatti, insorgeranno, soltanto in seguito ad un successivo, specifico accordo tra le parti;

d) gli obblighi di vendere i prodotti e pagarne il prezzo sorgeranno, con l’accettazione da parte del fabbricante di un ordine trasmesso dal cliente. Accettazione che, di solito, si perfeziona con l’invio di una conferma d’ordine e/o di una fattura proforma;

e) la conferma d’ordine o la fattura proforma, rappresentano, così, le “condizioni particolari divendita”, aventi la funzione di definire la volontà delle parti sugli aspetti specifici dell’accordo commerciale descrivendone i punti essenziali che vanno, così, a completare e ad integrare quanto regolato nelle condizioni generali di vendita;

f) la redazione corretta dell’accordo commerciale con una controparte estera implica per l’esportatore la definizione di alcuni argomenti “minimi” che si ritengono essenziali per la preparazione del testo di “condizioni generali di vendita” impostato con l’ausilio dei modelli esistenti predisposti dalla Comunità internazionale al fine di superare le differenze di Istituti legislativi, favorire una maggiore certezza e uniformare la prassi contrattuale.

MODELLI DI CONDIZIONI GENERALI DI VENDITA

A livello internazionale sono stati elaborati diversi modelli contrattuali che possono essere utilizzati dagli esportatori per predisporre le proprie condizioni generali di vendita facendo presente, però, che gli stessi vanno considerati come “guida” che permette di impostare i principali problemi dell’accordo commerciale. Essi rappresentano, infatti, condizioni standard che devono essere “personalizzate” caso per caso e non potranno mai essere considerate “il contratto” pronto per tutte le situazioni, ma, al contrario, vanno adattati alle specifiche esigenze delle parti.

Tra i Modelli di Condizioni generali di vendita ricordiamo i seguenti:

il Modello CCI di contratto di vendita internazionale della Camera di Commercio Internazionale; il Modello ECE/ONU di condizioni generali di vendita per la fornitura all’esportazione di impianti e

macchinari elaborato sotto gli auspici della Commissione economica per l’Europa dell’ONU; il Modello ORGALIME (Organisme de Liaison des Industries Mettaliques Europeennes) integrativo

delle condizioni generali ECE/ONU; il Modello UCIMU di condizioni generali di contratto di macchine utensili per l’export.

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26. Argomenti di un contratto di compravendita internazionale

In un contratto di compravendita internazionale, sia nel caso di disposizioni particolari, che nel caso di disposizioni standard, è importante che l’esportatore conosca i punti essenziali che dovrebbero essere espressamente regolati nello stesso.

Parti contraenti

Indicare esattamente le parti e i rispettivi legali rappresentanti.

Premesse e allegati

Specificare l’attività esercitata dalle parti, le ragioni che hanno indotto le stesse a sottoscrivere l’accordo e indicare il significato che verrà attribuito ai termini commerciali usati nella transazione commerciale sottostante.

Obblighi del compratore e del venditore

Precisare la ripartizione delle obbligazioni delle parti.

ProdottiSpecificare la merce oggetto del contratto con indicazione della natura, delle caratteristiche, delle specifiche tecniche, dell’uso a cui è destinata, di eventuali tolleranze, ecc..

Prezzo contrattualeDefinire la moneta e l’importo in cifre ed in lettere.

Termini di consegna

Indicare il termine di consegna della merce al fine di identificare chi deve sopportare i costi del trasporto della merce, dell’assicurazione della stessa, dello sdoganamento (ove dovuto) in uscita ed in entrata e quando avviene il passaggio dei rischi e delle responsabilità tra venditore e compratore. Si raccomanda di rifarsi agli Incoterms 2000 della Camera di commercio internazionale.

Tempi di consegnaIndicare la data o il periodo (ad esempio settimana o mese) in cui, o entro cui, il venditore è tenuto ad adempiere all’obbligo di consegna della merce con riferimento all’Incoterm pattuito.

Imballaggio

Evitare indicazioni generiche del tipo: imballaggio standard, come al solito, ecc. precisando, invece, le caratteristiche dell’imballaggio.

Documenti

Stabilire quali documenti occorre produrre per permettere al compratore di ritirare la merce considerando gli eventuali vincoli e/o limiti all’importazione (ad esempio divieti all’importazione, contingentamenti, analisi effettuate su particolari prodotti, visti e/o dichiarazioni varie, ecc.), oppure la possibilità di usufruire di agevolazioni daziarie all’import di beni originari da Paesi UE.

Condizioni di pagamento

Specificare il mezzo di pagamento, usando una terminologia appropriata in uso negli scambi con l’estero, indicare la data di pagamento e la banca presso cui lo stesso dovrà essere eseguito, specificando gli eventuali vincoli alla spedizione, la ripartizione delle spese e commissioni bancarie e le coordinate bancarie.

Riserva di proprietà

Inserire tale istituto, chiamato anche “patto di riservato dominio”, nei casi in cui lo si ritenga opportuno e necessario, in quanto, così facendo, consente all’esportatore di beni non di largo consumo, di restare il legittimo proprietario degli stessi fino a quando la merce non sia stata pagata totalmente.

Garanzie sulla merceIndicare le garanzie offerte sulla qualità della merce e/o sul buon funzionamento della stessa, la durata della garanzia offerta, che cosa è escluso dalla garanzia, le modalità e i tempi per avanzare eventuali reclami, limitando la responsabilità del venditore per i danni indiretti subiti dal compratore (ad esempio, danni causati da arresto della produzione).

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Forza maggiore

Indicare tutte quelle circostanze non previste o, comunque, non imputabili alle parti (es. sciopero, incendio, serrata, guerra, ecc.), che comportano l’impossibilità di onorare le obbligazioni contrattuali, con conseguente esonero di responsabilità della parte che non possa dare esecuzione al contratto a causa di tali eventi.

Responsabilità per ritardata consegna

Precisare che la responsabilità del venditore per danni conseguenti a ritardata consegna è limitata ad un importo, calcolato in percentuale, rispetto al prezzo dei prodotti consegnati in ritardo, oppure calcolato con importo fisso.

Limitazione di responsabilità per non conformità

Indicare come verrà accertata la legittimità di eventuali reclami ed i rimedi a favore del compratore nel caso di danni provati, specificando il limite massimo (in percentuale) di risarcimento dovuto dal venditore al compratore in caso di danni accertati derivanti da non conformità della merce, limitando, altresì, la responsabilità del venditore per i danni indiretti (es. derivanti da perdita di produzione, ecc.).

Risoluzione contrattualeIndicare i casi di risoluzione contrattuale, in caso di inadempimento della controparte o al verificarsi di eventi (es. fallimento del compratore, mancato pagamento della fornitura, ecc) che pregiudicano la capacità di adempiere alle future obbligazioni.

Durata

Prevedere una proroga tacita delle relazioni contrattuali dopo la scadenza originariamente pattuita, a meno che una delle parti decida di recedere nel rispetto di un termine minimo di preavviso (es. tre-sei mesi).

LinguaPrecisare, nel caso il testo sia redatto in più lingue, quale sarà considerato l’unico testo autentico ai fini della loro interpretazione.

Legge applicabileSpecificare che il contratto di vendita è regolato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sulla vendita internazionale di merci (Convenzione di Vienna) indicando, inoltre, qual’è la legge applicabile con riferimento alle materie non disciplinate da tale Convenzione.

Risoluzione delle controversie

Indicare l’autorità giudiziaria competente a dirimere eventuali controversie che dovessero insorgere tra le parti con riferimento alla validità, all’interpretazione e all’esecuzione del contratto.

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Check List di una compravendita internazionale

• Parti contraenti

• Premesse (attività svolta dalle parti)

• Definizione dei termini ed eventuali allegati

• Prodotti e oggetto del contratto

• Obblighi del compratore e del venditore

• Prezzo contrattuale• Termini di consegna della merce (Incoterms)

• Tempi di consegna della merce

• Imballaggio

• Documenti

• Condizioni di pagamento• Riserva di proprietà

• Garanzie sulla merce• Forza maggiore

• Responsabilità per ritardata consegna

• Limitazione di responsabilità per non conformità

• Risoluzione contrattuale

• Durata

• Lingua

• Legge applicabile

• Risoluzione delle controversie

Altri punti importanti che possono essere inseriti in un contratto di compravendita internazionale, soprattutto nel caso in cui l’oggetto della fornitura riguardi beni strumentali e/o impianti, sono:

la responsabilità del fabbricante rispetto ai danni arrecati a beni e/o persone in conseguenza dei difetti del prodotto venduto (problema questo di particolare rilievo nei contratti di sub-fornitura, quando, cioè, il prodotto fornito viene incorporato nel prodotto finito);

la previsione di garanzie sulla merce rilasciate dalle banche a favore dell’importatore. Facciamo riferimento ai performance bond con l’accorgimento di concordare con l’intermediario, soprattutto nel caso in cui il contraente sia un importatore dei paesi dell’area araba, di adoperarsi al termine del periodo di garanzia, presso l’importatore/beneficiario della medesima, per la consegna alla banca garante di lettera di manleva autorizzante a considerare chiusa ed estinta la garanzia medesima

Fra gli aspetti di maggiore rilevanza nella negoziazione di una vendita verso l’estero indicati precedentemente, un’attenzione particolare va rivolta alla determinazione:

della condizione di resa della merce che assume risvolti di carattere giuridico, commerciale, di rischio e di pagamento che, a volte, vengono trascurati dagli operatori economici e che, invece, se ben valutati, possono determinare un miglior controllo della merce e una riduzione del rischio di problemi nella gestione delle operazioni di movimentazione credito documentario scelte come pagamento della fornitura;

della condizione di pagamento che rappresenta un aspetto importante per definire la clausola finanziaria che assicuri il pagamento della fornitura e, almeno nei casi di forniture rilevanti destinate a Paesi terzi, offra alla parte acquirente la possibilità di adempiere all’obbligo di pagamento finanziando tale pagamento a costi estremamente vantaggiosi rispetto a quelli che sosterrebbe nel proprio Paese.

Si suggerisce, pertanto, all’operatore economico di predisporre le condizioni generali di vendita, al fine di esprimere la “filosofia” della propria azienda, definendo successivamente le condizioni particolari di vendita che, si esplicano nella conferma d’ordine o nella fattura proforma.

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Nel caso, invece, di contratti che si esauriscono con una singola fornitura (ad esempio, la fornitura di una macchina, di un impianto o la fornitura di un bene con relativa posa in opera, le condizioni “standard” possono rappresentare l’intelaiatura di base da completare con le indicazioni specifiche (condizioni particolari) riferite a quel contratto di compravendita.

Suggerimenti operativi e punti di attenzione

È opportuno che l’accordo tra venditore e compratore e/o la controparte straniera sia sempre regolato in forma scritta, al fine di evitare interpretazioni difformi su quelli che erano gli accordi originariamente pattuiti o il subentro di nuove circostanze non previste dalle parti e in grado di compromettere l’originario equilibrio delle prestazioni contrattuali

È importante specificare nel testo del contratto quale sia la lingua alla quale attribuire il valore ufficiale del contratto (preferibilmente l’inglese, vista la sua diffusione), evitando così che in presenza di traduzioni in altre lingue, sussistano rischi di equivoci e di malintesi nell’interpretazione dei due testi quando la corrispondenza tra gli stessi non sia perfetta

Scegliere la legge applicabile (legge italiana, legge del paese della controparte, legge di un paese terzo o ricorso alla lex mercatoria), attraverso la previsione di un’espressa clausola contrattuale

Definire la condizione di resa della merce secondo quanto indicato dagli Incoterms 2000 della CCI, determinando, quindi, chi dovrà sostenere i costi di trasporto della merce, di assicurazione e di sdoganamento

Concordare la condizione di pagamento tenendo conto del rischio di credito (rischio “commerciale” e/o rischio “paese”) e, nel caso di pagamento a mezzo lettera di credito, predisporre un formulario “ad hoc” per il compratore, contenente gli elementi essenziali dell’articolazione della lettera di credito

Non trascurare di scegliere il modo di risoluzione di una eventuale controversia, rimandando, cioè, ad un tribunale statale (del proprio paese o del paese della controparte) oppure ad un lodo arbitrale

Ricordarsi che ogni offerta richiede, per arrivare alla formalizzazione di un contratto, un’accettazione incondizionata, pena il configurarsi quest’ultima come controproposta, alla quale l’originario offerente può decidere di aderire oppure no. In mancanza, ci si baserà solo sui fatti “concludenti” come, ad esempio, la presa in consegna della merce

Nel caso di rapporto ripetitivo, vale la pena concordare alcuni punti essenziali del contratto (ad esempio prezzo, quantità, qualità e termini di consegna) e rinviare per il resto a dellecondizioni generali, richiamate in tale sede. In tal caso occorrerà prestare la massima attenzione per ottenere l’espressa approvazione delle stesse dalla controparte

Poiché le condizioni generali di contratto sono per definizione strumenti non flessibili, eventuali modifiche, aggiunte o integrazioni da apportare dovranno essere concordate nelle condizioni particolari del contratto

È opportuno, inoltre, verificare se vi siano, nel paese la cui legge regola il contratto, che può essere il paese della controparte, norme che richiedano particolari adempimenti per l’efficacia delle condizioni generali: ad es. in Italia esiste l’obbligo della cd. “doppia firma” delle clausole vessatorie, inefficaci se non espressamente approvate

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27. La distribuzione internazionale

L’esportatore che stia avviando una presenza sui mercati esteri o che voglia ampliare il mercato su scala internazionale e non abbia ancora una propria organizzazione di vendita (filiale) può vendere i propri prodotti attraverso intermediari di commercio (agenti o concessionari) che organizzeranno stabilmente la distribuzione dei prodotti attraverso una propria struttura in conformità alle disposizioni dell’esportatore.

Quest’attività di intermediazione può svilupparsi in due modi:

attraverso agenti, rappresentanti, procacciatori d’affari, ecc. i quali promuovono la conclusione di contratti in cambio di un compenso provvisionale;

attraverso concessionari, importatori, ecc che, invece, acquistano i prodotti per poi rivenderli. Il loro compenso è dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di rivendita.

In questo contesto ci limitiamo a parlare brevemente del contratto di agenzia (Capitolo 28) e del contratto di concessione (Capitolo 29), elencando, successivamente, al Capitolo 30 gli argomenti di un contratto di agenzia.

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28. Il contratto di agenzia

L’attività dell’agente di commercio consiste nel promuovere per conto dell’azienda mandante, (il Fabbricante o il Preponente), ma in nome proprio, la conclusione di contratti in modo continuativo con la potenziale clientela ubicata in un determinato territorio. L’agente, quindi, si preoccupa di sollecitare ordini da clienti in un dato territorio, dietro pagamento di un corrispettivo (provvigione) che, normalmente, matura con la conclusione o l’esecuzione (c.d. “buon fine”) dell’affare procurato dallo stesso.

L’attività dell’agente che viene svolta, come sopra accennato, in maniera stabile, non va confusa con l’attività di intermediazione svolta dai cosiddetti procacciatori d’affari ed altri intermediari occasionali e/o con quella del rappresentante che promuove le vendite in un dato territorio ma in nome e per conto del Fabbricante e non, quindi, in nome proprio.

LA DIRETTIVA DELLA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA

In ambito europeo la Comunità Economica Europea ha emanato una direttiva (n. 86/653 del 18 dicembre 1986) relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, ratificata dall’Italia con decreto legislativo n. 303 del 10 novembre 1991. Tale direttiva ha definito l’agente come intermediario indipendente, al quale deve essere riconosciuta un’autonomia operativa, senza che sussista alcun vincolo di sottoposizione gerarchica alle direttive del preponente; qualora non fosse così, il rapporto tra preponente ed agente assumerebbe i tratti distintivi tipici del lavoro subordinato.

Proprio per queste ragioni, tenendo conto del fatto che non sempre l’agente straniero possiede lo statusgiuridico di lavoratore autonomo, in considerazione, inoltre, che in alcuni paesi europei, ci sono tradizioni giuridiche secondo cui l’agente/persona fisica è equiparato ad un lavoratore dipendente (con tutti gli oneri e le conseguenze che questo comporta), se da un lato l’agente è obbligato ad attenersi alle istruzioni del preponente, dall’altro il contenuto di quest’ultime dovrà essere tale da non privare l’agente di un qualche ambito di autonomia. L’esportatore/preponente deve tener conto, infatti, che la direttiva comunitaria non affronta alcune problematiche lasciando ai singoli Stati ampia libertà di introdurre normative più favorevoli all’agente come, ad esempio, l’indennità di fine rapporto e il risarcimento danni.

L’esportatore, quindi, non deve assolutamente lasciare al caso la definizione dei punti essenziali del contratto d’agenzia, né formularli pensando che la legge italiana sarà la fonte regolatrice del contratto in quanto, pur assoggettando il contratto alla legge italiana, ciò non esclude l’applicazione delle norme inderogabili della legge del Paese dell’agente.

È necessario, pertanto, che l’esportatore si informi circa il trattamento di fine rapporto e/o del risarcimento danni spettante all’agente straniero che, essendo considerato come la parte più debole del contratto, può essere protetto dalle singole norme nazionali in misura diversa da quanto accade in Italia. La normativa belga o francese o tedesca, sui contratti di agenzia, ad esempio, protegge maggiormente l’agente riconoscendogli indennità di fine rapporto maggiori a quanto previsto da quella italiana.

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29. Il contratto di concessione

Il contratto di concessione è caratterizzato dalla presenza di un concessionario/importatore responsabile di un territorio stabilito, che acquista per poi rivendere in nome e per conto proprio i prodotti del fabbricante normalmente con un diritto di esclusiva.

Il concessionario/importatore, quindi, promuove ed organizza le vendite dei prodotti di un fabbricante in un determinato territorio, distinguendosi dall’agente in quanto, mentre l’agente promuove la conclusione di contratti, il concessionario/importatore acquista e rivende.

Da un punto di vista commerciale, con l’agente l’esportatore invia la merce direttamente agli effettivi utilizzatori, mentre con la concessione l’esportatore vende la merce e la invia al concessionario il quale, a sua volta, la venderà agli effettivi utilizzatori.

È importante quindi, per concludere, che il rapporto di agenzia e/o di concessione sia sempre definito per iscritto, concordando la legge applicabile al contratto e affrontando con chiarezza tutti gli elementi che potrebbero generare dei malintesi e, in particolare, nei contratti di agenzia, verificare sempre lo status giuridico dell’agente/persona fisica e la possibilità reale di sottoporre il contratto alla legge italiana. Cosa, questa, non sempre possibile.

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30. Gli argomenti di un contratto internazionale di agenzia

Si elencano gli argomenti che dovrebbero essere espressamente disciplinati dai contraenti nella predisposizione di un contratto di agenzia.

Parti

Indicare esattamente le parti e i loro legali rappresentanti specificando che le stesse saranno in seguito denominate rispettivamente “il Preponente” o “il Fabbricante” e “L’Agente”.

Premesse e allegati

Specificare l’attività economica esercitata dalle parti e le eventuali circostanze che possano fornire elementi utili in sede di interpretazione del contratto.

Prodotti e territorio

Specificare la nomina dell’Agente a promuovere la vendita dei “Prodotti” nel “Territorio” contrattuale, indicando la “zona” (Territorio) di esercizio dell’attività promozionale e quali sono i “Prodotti” oggetto dell’attività promozionale dell’Agente.

Esclusiva

Prevedere espressamente la clausola di esclusiva specificando se la stessa si intende a carico del Preponente e/o dell’Agente:

- nel caso sia a carico del Preponente, questo comporta il divieto di concedere a terzi il diritto di promuovere le vendite o di distribuire i prodotti contrattuali nel territorio assegnato all’agente; sono possibili eventuali deroghe per clienti speciali (da identificare precisamente in apposito allegato) con espressa esclusione o riduzione della provvigione dell’agente;

- nel caso sia a carico dell’agente, questo comporta il divieto di svolgere attività commerciali che abbiano ad oggetto la commercializzazione di prodotti suscettibili di entrare in concorrenza con quelli contrattuali, così come di intrattenere relazioni d’affari con concorrenti del Preponente.

Compiti dell’agente

Specificare chiaramente l’obbligo dell’agente di seguire le istruzioni del preponente comprese le modalità di raccolta e di trasmissione degli ordini acquisiti presso la clientela e di informare periodicamente lo stesso sull’andamento dell’attività di promozione delle vendite e sulle condizioni di mercato. Infine l’obbligo di riservatezza e di non concorrenza.

Compiti del preponente

Specificare chiaramente l’obbligo del preponente di fornire all’agente informazioni sui prodotti e sulle condizioni di pagamento dei prodotti stessi e di informare l’agente sull’accettazione o sul rifiuto degli ordini mettendolo nelle condizioni di svolgere al meglio la propria attività.

Solvibilità dei clienti

Prevedere l’obbligo dell’agente di informare il preponente sulla solvibilità dei clienti. In casi eccezionali solo se espressamente previsto, nel rispetto delle condizioni stabilite all’art. 1746, comma 3° del codice civile, l’agente può assumere anche l’obbligo di garanzia per il mancato pagamento dei prodotti da parte del cliente. In tal caso, però, l’agente ha diritto al riconoscimento di un “apposito corrispettivo”. La garanzia assunta non deve, però, prevedere un esborso più elevato della provvigione cui l’agente avrebbe avuto diritto.

Sub-agenti

Indicare se l’Agente possa avvalersi o meno di sub-agenti e, nel caso sia ammesso, se è necessaria la preventiva accettazione del preponente per la nomina di ogni sub-agente designato dall’agente. Và, inoltre, precisato che l’agente rimane l’esclusivo responsabile nei confronti del preponente in merito all’operato dei sub-agenti.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Incasso delle vendite ai clienti

Specificare se l’agente ha il potere di ricevere i pagamenti dei clienti e l’eventuale obbligo di darne tempestiva informazione al preponente.

Provvigioni

Prevedere l’ammontare, (calcolato in percentuale sul prezzo di vendita effettivo), delle provvigioni dovute per le vendite andate a buon fine, i termini di pagamento e il momento in cui matura il diritto all'incasso delle stesse da parte dell’agente. Occorre, inoltre, prevedere l’importo delle provvigioni eventualmente dovute per gli affari conclusi dall’agente al di fuori del territorio contrattuale e per gli affari conclusi dopo la risoluzione del contratto ma promossi dall’agente in pendenza del contratto.

Risoluzione anticipata del contratto

Specificare i casi in cui è consentito risolvere anticipatamente il rapporto, come, per esempio, nei seguenti casi:

fallimento o assoggettamento di una delle parti a una procedura concorsuale o di liquidazione; trasferimento dell’azienda e/o della maggioranza delle partecipazioni sociali rappresentative il

patrimonio o il capitale sociale di una delle parti, se queste ultime sono costituite in forma societaria; violazione da parte dell’agente dell’obbligo di non concorrenza; uso illecito da parte dell’agente dei

marchi, dei segni distintivi, dei brevetti e degli altri diritti di proprietà industriale del preponente; condanne penali per reati particolarmente gravi di cui si sia resa autrice una delle parti, tale da

pregiudicare il buon nome e l’immagine commerciale dell’altra parte.

Forza maggiore

Indicare le circostanze, indipendenti dalla volontà delle parti, al verificarsi delle quali l’inadempimento di una delle parti risulta giustificabile.

Minimi garantiti

Stabilire le conseguenze del mancato rispetto da parte dell’agente dei minimi garantiti (esempio: risoluzione del contratto o riduzione del territorio in esclusiva); definendone l’entità in modo ragionevole.

Relazione tra le parti

Specificare che l’agente non è un lavoratore subordinato e che tra agente e preponente non sussiste un vincolo di natura societaria, associativa o di cointeressenza. Và, inoltre, specificato se l’agente è “con rappresentanza” o “senza rappresentanza”.

Marchio

Precisare le modalità di utilizzo da parte dell’agente dei marchi e degli altri segni distintivi del preponente e le modalità che deve seguire nell’assistere il preponente e/o la clientela in caso di atti di contraffazione a danno del marchio del preponente.

Effetti della risoluzione del contratto

Non trascurare di precisare che l’agente non può più qualificarsi come tale sul mercato e che non può più avvalersi dei segni distintivi e del materiale pubblicitario del preponente.

Indennità di fine rapporto

Specificare l’ammontare dell’indennità di fine rapporto spettante all’agente in caso di scioglimento del contratto. Tale indennità (indennità contrattuale) potrà, così, sostituire qualsiasi indennità cui l’Agente abbia diritto in base alla legge applicabile al contratto, sempre che questo sia, però, reso possibile dalla legge applicabile. Se, tuttavia, la legge applicabile non consente ciò, l’agente avrà diritto all’indennità calcolata secondo i criteri fissati dalla legge applicabile.

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Durata del contratto

Scelta tra un contratto a tempo determinato o uno a tempo indeterminato; con eventuale previsione di un periodo di prova.

Testo autentico

Indicare la lingua cui fare riferimento, come testo autentico, per l’interpretazione del contratto.

Clausola compromissoria (se applicabile) o foro competente

Prevedere eventualmente una procedura di conciliazione informale da esperire prima di iniziare la causa o di adire il giudizio arbitrale; qualora venga localizzato in Italia il foro competente, è bene lasciare alla parte italiana la facoltà di adire le vie legali davanti al giudice dove ha sede la parte straniera.

Legge applicabile

Deve essere individuata espressamente e per iscritto tenendo conto della reale applicabilità, ad esempio, della legge italiana in materia di agenzia, ai contratti stipulati con agenti residenti in alcuni Paesi europei e in molti Paesi extra europei dove sono presenti norme inderogabili.

Suggerimenti operativi e punti di attenzione

È opportuno che l’accordo sia sempre regolato per iscritto, predisponendo delle clausole contrattuali chiare, affinché non vi sia spazio a possibili malintesi e interpretazioni difformi

Occorre scegliere la legge applicabile, tenendo conto della normativa locale e dell’atteggiamento della giurisprudenza in merito alla modalità di applicazione pratica di tale normativa

Occorre, altresì, definire il foro competente Tener presente che, ove si optasse per la legge italiana, prevedendolo espressamente nel testo

con richiamo in esso del riferimento al trattamento di fine rapporto, questo non esclude l’applicazione di eventuali norme inderogabili nel paese dell’agente

Non trascurare di definire i compiti dell’agente in modo non generico, identificando con precisione quelle attività che possono rivelarsi essenziali, fissando degli obiettivi minimi di vendita all’agente

Determinare le provvigioni tenendo conto dei prevedibili costi connessi con la risoluzione del rapporto e valutando l’opportunità di prevedere delle provvigioni differenziate a seconda dei volumi di vendita effettivamente promossi dall’agente

Non dimenticare di fissare l’indennità di fine rapporto e le clausole che possono determinare una interruzione del rapporto

Prevedere i possibili casi di “interferenze” da parte del preponente o di altri agenti nell’attività, nel territorio riservato all’agente

Verificare, sempre e comunque, con le eventuali norme di legge che disciplinano la fattispecie del contratto di agenzia nella nazione dove risiede l’agente

Valutare in via preliminare, eventuali implicazioni a livello antitrust, in particolare per quegli accordi che presentano implicazioni comunitarie

La definizione degli obiettivi minimi di acquisto e/o di vendita, precisando se un’obbligazione di mezzi, per cui il concessionario si attivi per il raggiungimento di meri obiettivi di vendita prefissati e concordati con il concedente sulla base di un’analisi del mercato

Prevedere le modalità di ripartizione del rischio dell’invenduto dei prodotti col tempo diventati obsoleti

Nel definire il contratto di concessione di vendita si consiglia di utilizzare il modello CCI destinato ad essere utilizzato per la redazione di contratti internazionali non a uso domestico, nei quali il concessionario agisca come acquirente/rivenditore

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31. Il contratto di joint venture

Il contratto di joint-venture riguarda una collaborazione strategica tra due o più imprese, attivata con l’obiettivo di costituire una nuova società in un settore di interesse comune o per lo svolgimento in comune di una qualche attività di carattere imprenditoriale.

La sua funzione è quella di permettere a soggetti appartenenti a Paesi diversi di avviare una collaborazione strutturata, al fine di trarre reciproci benefici derivanti dalla collaborazione stessa, con il compito di realizzare un’attività comune. Con la joint-venture, il partner occidentale può far fronte in misura più efficace alla elevata concorrenza internazionale aumentando la propria redditività, diminuendo i costi ed i rischi connessi all’espletamento della propria attività commerciale sui mercati esteri, potendo “reclutare” come partner degli operatori con conoscenza specifica del mercato locale.

CARATTERISTICHE DELLA JOINT VENTURE

Una nozione giuridica di joint venture non è reperibile in nessun ordinamento giuridico nazionale, nemmeno nei Paesi anglosassoni. L’espressione joint venture è stata ed è frequentemente utilizzata, soprattutto in Italia, per indicare un numero molto vasto di forme di collaborazione tra imprese estremamente eterogenee per contenuti economici e per disciplina giuridica: il consorzio di diritto italiano, il consorzio internazionale per l’esecuzione di un appalto, l’associazione temporanea di imprese, il Gruppo Europeo di Interesse Economico (GEIE), i contratti di ricerca e sviluppo, le società miste nei Paesi in via di sviluppo, le società tra soci di Paesi diversi. È, tuttavia, difficile individuare quale siano i tratti comuni, nella disciplina legale, nel trattamento fiscale e nella prassi contrattuale, delle forme di collaborazione sopra indicate. Dal punto di vista pratico tale confusione è accresciuta dall’uso indifferenziato del termine.

La globalizzazione dei mercati e la pressione concorrenziale spingono le imprese ad espandere e potenziare le proprie strutture ovvero a ricercare sinergie per mantenere ed ampliare la propria quota di mercato. Gli accordi di collaborazione sono strumenti di crescita molto vantaggiosi per le imprese che permettono loro di sviluppare delle relazioni economiche durature, che superano la tradizionale impostazione dei rapporti basati sui contratti di distribuzione e di vendita.

Caratteristiche della joint venture

Gli obiettivi comuni e la ripartizione dei compiti tra i singoli ventures, finalizzati al raggiungimento di tali obiettivi

La gestione comune della joint-venture durante lo svolgimento della sua attività La ripartizione tra i ventures dei rischi e dei benefici Le cause di scioglimento della joint-venture

FINALITA DELLE JOINT VENTURES

Tale tipologia d’accordo, allorché sia attivato nel mercato domestico, normalmente ha il fine di associare più individui o imprese che abbiano interesse a gestire in comune uno specifico affare di breve durata. In un contesto internazionale, invece, esso connota una relazione d’affari più sostanziale e di lungo termine. Nella joint-venture si ha la presenza di due o più entità economiche che si uniscono per sfruttare un nuovo mercato, sviluppare un nuovo prodotto, offrire un nuovo servizio, commercializzare le proprie merci o servizi, produrre beni o eseguire appalti. Si instaura, dunque, una collaborazione tra imprese che mettono in comune le proprie esperienze per uno scopo unitario ma che può scaturire da esigenze differenti.

Questa scelta è tanto più giusta quanto più l’imprenditore è in possesso di un adeguato know-how, condizione senza la quale diventa improponibile affrontare tappe significative di sviluppo e di presenza su nuovi mercati competitivi.

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Quali sono, allora, i reali interessi che spingono ad optare per questa decisione? Di certo sono tanti, solitamente di carattere commerciale, finanziario o operativo.L’operatore economico che sottoscrive un contratto di joint-venture intende:

raggiungere nuovi mercati di riferimento; realizzare economie di scala e conseguente contenimento dei costi; sviluppare maggiore flessibilità; prolungare il ciclo di vita di impianti e macchinari; avviare nuovi progetti, quali ad esempio: appalti, trasferimenti di tecnologia, distribuzione in

mercati non serviti in precedenza, costituzione di una società commerciale che consenta di gestire meglio la presenza sui mercati esteri dell'azienda produttrice o una società finanziaria che controlli altre società di produzione situate in Paesi diversi, permettendo, nel contempo e nel rispetto della normativa vigente, una migliore e più efficace pianificazione fiscale;

relazionarsi con il governo locale; avere accesso a nuovi mercati di sbocco; usufruire di agevolazioni consentite solo “associandosi” con determinati partner; creare una società locale per superare restrizioni governative, fiscali, doganali, ecc.; disporre di un buon network di relazioni commerciali e dimestichezza con la macchina burocratica

e giuridica del paese in cui si costituirà la joint venture, mettendo a disposizione del co-venturerlocale, tecnologie avanzate e/o moderne tecniche di marketing e di vendita.

Il contratto di joint-venture, tra un’azienda situata in un paese in via di sviluppo ed un’impresa straniera di un paese industrializzato, consente ad entrambe di trarre benefici. Il partner locale, infatti contribuisce con la conoscenza del proprio mercato, dei meccanismi del proprio sistema amministrativo e burocratico, del mercato del lavoro locale e dei sostegni economici e fiscali, se esistenti, alle iniziative produttive impiantate nel territorio. Il partner estero, dal canto suo, offre conoscenze tecnologiche e produttive avanzate, esperienze manageriali ed accesso a mercati di sbocco dei prodotti più ricchi ed esigenti.

Gli interessi che i venturers intendono perseguire possono, anche essere diversi, ma certamente si tratterà di intenti complementari, ovverosia di propositi che possono attuarsi proprio attraverso la sinergia messa in atto con tale collaborazione.

In sostanza, le motivazioni che spingono i soggetti della partnership ad unirsi possono essere differenti ma dovranno essere chiare ai partner della potenziale joint enture, affinché la struttura di quest’ultima rappresenti una risposta di equilibrio tra i diversi interessi ed esigenze dei suoi co-venturers.

Le imprese possono decidere di dar vita a rapporti di collaborazione con altre imprese straniere gestendo in comune una parte di attività, per esempio la ricerca e lo sviluppo o certe fasi di produzione, al fine di ridurre i costi che entrambe, in ogni caso, avrebbero dovuto separatamente sostenere, permanendo l’autonomia economica e giuridica dei co-venturers.

Come già affermato, questi rapporti di collaborazione di solito avvengono tra imprenditori d’aree economicamente sviluppate e controparti che hanno sede in paesi in via di sviluppo. Molte economie emergenti hanno regolamentato queste joint-venture, ma non con il fine di dettarne la disciplina giuridica (si tratta infatti di fattispecie atipiche), quanto piuttosto con lo scopo di regolare gli aspetti della collaborazione tra i due partner per proteggere gli interessi del socio locale, nonché per assicurare un controllo sugli investimenti stranieri, subordinandone l’operatività alla preventiva autorizzazione delle autorità governative del posto.

L’impresa che intende dare vita ad una joint-venture deve aver chiaro il progetto che intende implementare e/o incrementare, avendo anche ben definito quale sarà il suo apporto a tale progetto e quali sono le aspettative che ripone nei partner dell’ iniziativa. La creazione di un business plan concreto e dettagliato, quindi, è la via migliore e consigliabile per redigere un buon accordo di joint-venture.

FASI DELLA NEGOZIAZIONE IN UN RAPPORTO DI JOINT VENTURE

L’operazione di joint venture è composita in quanto si realizza attraverso una serie di accordi collegati tra di loro delineandosi una transazione complessa che si attua normalmente in più fasi. Non esiste un contratto predefinito di joint venture , la sua struttura dipende dalla volontà delle parti che ne definiscono condizioni ed elementi.

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La negoziazione di un contratto di joint venture si può suddividere in tre fasi principali:

1. Verifica delle condizioni del mercato in cui la joint venture opereràIn questa fase si verificheranno le condizioni del mercato, considerando gli aspetti relativi alla normativa applicabile agli investimenti stranieri, alle normative fiscale e doganale, alla normativa del lavoro, al sistema bancario, ai principi contabili, alla normativa “industriale”, agli indicatori economici.

2. Fattibilità economica (Feasibility study) dell’operazioneIndividuazione dei concorrenti, dei prodotti da essi commercializzati, delle condizioni di vendita e del sistema distributivo adottato.

3. Trattativa con la controparteQuest’ultima fase prevede la predisposizione di documenti pre-contrattuali, finalizzata alla formazione progressiva del consenso tra i partner. Si tratta nello specifico di:- Accordi di segretezza. Garantiscono la segretezza delle informazioni scambiate, tutelandole da un

utilizzo diverso da quello per cui vengono scambiate, ossia l’accordo di joint venture. - Lettere di intenti. Hanno lo scopo di organizzare la trattativa, fissando le linee della successiva

negoziazione. Identificano, inoltre, i principi sulla base dei quali le parti potranno giungere ad un accordo e definiscono la tempistica della negoziazione.

Aspetti da valutare in sede di accordo preliminare e di accordo generale di joint venture

La struttura organizzativa che dovrà gestire la realizzazione del progetto. L’individuazione delle persone che dovranno assumere le responsabilità tecniche e di

sviluppo e i conseguenti poteri che dovranno essere attribuiti a ciascuna delle parti. Le modalità di controllo nell’assolvimento reciproco degli impegni e degli obblighi

preordinati allo sviluppo delle intese e alla realizzazione del progetto. L’apporto-contributo di ciascun partner al patrimonio o al fondo sociale comune. Le modalità e gli obblighi per la identificazione del personale e del management da inserire

nel progetto. I modelli giuridici dei contratti da stipulare con il personale e il management. Gli accordi in materia di accesso al mercato interno e internazionale. Le delimitazioni territoriali e i limiti alla concorrenza tra partner. La contabilità e le scritture contabili, previsione dell’obbligo di predisporre una contabilità

parallela in lingua italiana e/o elaborabile dal partner italiano. Le condizioni sospensive per la realizzazione dell’investimento: autorizzazioni di organi

locali, concessione di finanziamenti ecc.. Le clausole di forza maggiore, le clausole di hardship, le modalità e conseguenze per la

risoluzione anticipata del rapporto, la legge applicabile e la risoluzione delle controversie tra co-venturer.

La procedura di conciliazione e procedura arbitrale. La strutturazione e lingua del contratto.

Riportiamo di seguito alcuni degli accordi più caratteristici:

Accordo quadro per la realizzazione della joint venture. Le parti definiscono i termini generali e fissano gli adempimenti necessari da porre in essere entro la c.d. closing date.

Shareholders’ agreement – Business agreement , Entrambi dettano le regole che i partner dovranno seguire per la gestione della joint venture. In particolare, il primo conterrà le pattuizioni riguardanti i profili societari, il secondo le disposizioni sulla gestione economica della joint venture. I due accordi possono confluire nell’unico contratto joint venture agreement.

Statuto della società comune, Contiene le norme relative all’organizzazione interna della società, le quali si differenziano da quelle applicabili per legge.

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Accordi collaterali. Variano notevolmente da un caso all’altro a seconda degli obiettivi economici perseguiti dai partner con la joint venture

La costituzione di una joint venture, affinché possa essere gestita in modo ottimale: prevede che si abbia la conoscenza:

della legislazione in materia societaria; delle norme e delle procedure circa la costituzione, l’attività, i rapporti tra i soci e gli adempimenti

della costituenda società; della legislazione locale sugli investimenti esteri ed il loro trattamento; della normativa di natura fiscale, valutaria, doganale, proprietaria, di trasferimento degli utili e di

investimento; degli aspetti di tipo organizzativo, di assistenza tecnica, di formazione del personale, contributiva.

Aspetti da valutare in sede di costituzione e regolamentazione societaria

La durata della Società Mista: è importante stabilire una durata iniziale limitata, successivamente rinnovabile.

I conferimenti in natura dei partner: impianti, materie prime tecnologie, formazione, assistenza tecnica, marchi, brevetti, know-how, ecc..

Le previsioni in materia di futuri aumenti di capitale. La disciplina del trasferimento di quote e azioni. I patti di prelazione e clausole di gradimento. Le ipotesi che richiedono l’approvazione a maggioranze rinforzate: modifiche allo studio,

costituzione di riserve, emissione di obbligazioni, alienazione di beni sociali, costituzione di garanzie reali, aumenti di capitale, nuovi investimenti, ecc..

La previsione di organi e meccanismi di controllo (Auditors Committee.Ispettori) e sanzioni relative alle inadempienze

Altro momento fondamentale nella negoziazione di una joint venture è la definizione dei requisiti e delle caratteristiche del partner, dei reciproci interessi e degli obiettivi comuni e condivisibili; dei compiti all’interno della società.È indispensabile, inoltre, l’attenta valutazione degli obiettivi economici e di mercato, e del rischio dell’investimento.

Come successiva tappa nella costituzione di una joint venture è necessario verificare l’esistenza di eventuali accordi sulle doppie imposizioni, l’esistenza di agevolazioni fiscali o la possibilità di accedere a finanziamenti e contributi previsti da programmi nazionali e/o comunitari.

Tappe per la costituzione della joint-venture

Definizione Valutazione Verifica

dei requisiti e delle caratteristiche del partner

dei reciproci interessi e degli obiettivi comuni e condivisibili

dei compiti all’interno della società

degli obiettivi economici e di mercato

del rischio dell’investimento

del partner locale dei rispettivi apporti

dell’esistenza di eventuali accordi sulle doppie imposizioni

dell’esistenza di agevolazioni fiscali

della possibilità di accedere a finanziamenti e contributi previsti da programmi nazionali e/o comunitari

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CLASSIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI JOINT VENTURES

La joint-venture è un istituto non regolato dal nostro legislatore. Riflette realtà operative e formali spesso molto variegate tra loro e alcuni autorevoli autori esprimono forti perplessità circa la possibilità di una loro concreta regolamentazione nel nostro Paese, considerando che la fattispecie in questione si avvicina a fenomeni economici previsti e disciplinati nel nostro ordinamento

Nell’ordinamento italiano l’istituto di joint venture non è regolato ma sono disciplinate alcune ipotesi di collaborazione tra imprese come ad esempio i consorzi che nascono tra più imprese operanti nello stesso settore, le quali decidono di coordinarsi e di non farsi concorrenza. L’organizzazione consortile regola la produzione e/o gli scambi fissando il prezzo dei prodotti o il contingente di produzione spettante a ciascuna impresa consorziata. Un’altra ipotesi disciplinata dal legislatore italiano è quella prevista nel caso di più imprese che singolarmente non avrebbero i mezzi tecnici e finanziari per partecipare all’appalto di grandi opere pubbliche e per questo si accordano tra loro al fine di presentare un’offerta comune e portare a termine il lavoro congiuntamente in caso di aggiudicazione dell’appalto.

Si tratta quindi di un accordo limitato ad un solo affare tramite cui si regolano solamente i diritti e gli obblighi reciproci con riguardo alla collaborazione riferita a quel singolo affare.

MODALITÀ DI COSTITUZIONE DELLE JOINT-VENTURES

Più in particolare e guardando alle diverse modalità di costituzione, si distinguono:

le joint-venture corporation (o societarie) contractual joint-venture (o uncorporated)

Le joint venture corporation o societarie prevedono la nascita di una nuova impresa (impresa congiunta), solitamente sotto la veste giuridica di società di capitali, costituita mediante contributi in termini di capitale di due o più imprese, le quali assumono nella stessa, quote partecipative, che possono essere partitetiche o meno a seconda ovviamente degli obiettivi, della forza contrattuale dei soci e di altre variabili. La responsabilità, pertanto, è limitata.

Le imprese che danno luogo al nuovo complesso aziendale non rinunciano, però, alla conservazione della loro autonomia giuridica ed economica, continuando ad operare in maniera distinta rispetto alla costituenda società. La società viene costituita seguendo le procedure del Paese in cui la società legale viene istituita. Più raramente la joint-venture corporation prende corpo, non già con la costituzione di un’impresa ex-novo, ma mediante l’incremento delle quote partecipative in società già esistenti. Tale formula costitutiva tende a perseguire politiche di alleanze stabili e durature miranti allo sviluppo e all’attuazione di progetti complessi e sofisticati che richiedono l’impiego di risorse specializzate da sfruttare congiuntamente. All’interno della joint-venture societaria esiste il Consiglio di Amministrazione che opera tutte le scelte di coordinamento e controllo.

La contractual joint-venture, invece, non prevede un intervento diretto di capitali, ma la presenza di un contratto di tipo associativo che detta le condizioni e le modalità di realizzazione dell’attività comune, senza creare una nuova struttura giuridica. La sua natura contrattuale la rende uno strumento flessibile, che si presta ad attività temporanee. Si caratterizza per il regime di responsabilità non limitata, comportando di conseguenza maggiori rischi.

Ciò che distingue una joint-venture corporation da una contractual joint-venture è solo lo strumento utilizzato per il perseguimento dell’obiettivo unitario, essendo, la costituzione di una società, lo strumento utilizzato nel primo caso e la stipulazione di un negozio contrattuale nel secondo.

TIPOLOGIE DI JOINT- VENTURES

La prassi economica statunitense distingue le joint-ventures in:

joint-ventures operative joint-ventures strumentali

Le joint ventures operative si propongono come unico scopo lo svolgimento di un’attività in comune, svincolata da qualsiasi forma di committenza esterna. In quelle strumentali, invece, l’aggregazione rappresenta solo il veicolo, lo strumento appunto, per l’esecuzione di un’opera definita nei suoi tratti caratteristici secondo le richieste formulate dal committente. In questo caso la joint-venture è commissionata

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da un preciso interlocutore che manifesta un altrettanto preciso “bisogno”, di realizzazione del progetto specifico.E’ tendenza consolidata procedere ad un’ulteriore classificazione delle joint-ventures in:

joint-ventures produttive, che costituiscono un fondamentale strumento nell’ambito del processo di internazionalizzazione delle imprese, allo scopo di sfruttare le convenienti condizioni esistenti nei mercati esteri (basso costo della manodopera e delle fonti di approvvigionamento, abbondanza di risorse ecc.);

joint-ventures commerciali, che presentano l’indubbio vantaggio di favorire la penetrazione diretta in nuovi mercati, nazionali e non, frazionando e contenendo il rischio dell’investimento;

joint-ventures di ricerca, con le quali si realizza lo sviluppo dell’attività di ricerca di base ed applicata, posta in essere a supporto delle unità associate. Le imprese aderenti alla joint-venture possono decidere di cedere a terzi il risultato della ricerca cedendone la proprietà o il diritto di utilizzazione. La ricerca di base è volta ad agevolare l’attività produttiva o la ricerca applicata stessa, al fine di trarne vantaggio economico.

La modalità seguita nel procedimento costitutivo si riflette sull’esercizio del potere di controllo e sulla gestione operativa dell’impresa congiunta, dando vita alle seguenti tipologie di joint-venture:

indipendente joint-venture a gestione comune joint-venture dominata

La joint-venture indipendente è quella che gode di autonomia decisionale ad ampio raggio, non essendo prevista alcuna possibilità di interferenza delle imprese partners nella definizione e attuazione delle linee strategiche dell’impresa congiunta.

Nella joint-venture a gestione comune, invece, il livello delle decisioni strategico-operative risulta condiviso tra gli amministratori delle imprese partners e quelli dell’impresa congiunta, secondo forme ed indirizzi definiti il più delle volte in accordi contrattuali.

Nella joint venture dominata, infine, le imprese partners si riservano il diritto di impartire direttive, orientamenti strategici, svolgendo il ruolo di guida e di centro propulsore delle iniziative che coinvolgono la gestione operativa dell’impresa congiunta.Le joint-venture perseguono generalmente anche una strategia di differenziazione e a tal fine è bene definire anche la distinzione tra joint-ventures orizzontali e joint-ventures verticali. Le prime si differenziano nella stessa attività produttiva e negli stessi mercati. Il prodotto differenziato consente di ampliare il proprio raggio di mercato. Le joint-ventures verticali coinvolgono le imprese in settori diversi, spesso per aggirare le barriere all’ingresso di un nuovo mercato.

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Elementi essenziali di una joint venture contrattuale

Identificazione delle parti e del progetto

Il ruolo di ciascuna delle parti nella realizzazione del progetto

Le tempistiche del progetto

L’individuazione degli obiettivi comuni e la ripartizione dei compiti per il perseguimento di tali obiettivi

Il progetto comune durante lo svolgimento della sua attività

La ripartizione dei costi/investimenti richiesti per la realizzazione del progetto La ripartizione di profitti e perdite

La ripartizione dei rischi e dei benefici tra i venturers, nonché dei diritti di eventuale proprietà intellettuale e loro sfruttamento

Le garanzie a terzi

L’esclusività e non concorrenza

La durata, le cause di scioglimento dell’accordo di joint-venture, la risoluzione anticipata e quella per inadempimento e forza maggiore

La modalità di risoluzione delle controversie e la legge applicabile

ATTENZIONI NELLA COSTITUZIONE DI UNA JOINT-VENTURE

L’imprenditore che si appresta a costituire una joint-venture deve essere consapevole che non potrà adottare decisioni in via autonoma ma dovrà condividerle con gli altri partners. Inoltre, per la buona riuscita della collaborazione, le imprese partecipanti devono obbligarsi a non competere con l’attività della joint-venture e con l’attività degli altri associati, con la conseguente preclusione ad operare su certi mercati o l’impossibilità di avviare future possibili collaborazioni con altri partner potenziali. Per questi motivi la chiarezza dei propri obiettivi e la successiva fase di negoziazione della joint-venture sono molto importanti per la riuscita dell’operazione.

Il rischio che questa forma di collaborazione fallisca è elevato, in quanto diversi sono gli elementi di instabilità che possono verificarsi per le seguenti ragioni:

ciascuna organizzazione coinvolta nell’accordo potrebbe pretendere di far prevalere il suo punto di vista, in termini di definizione degli obiettivi, formulazione delle strategie, progettazione della struttura organizzativa, ecc.;

sono troppo ampie le differenze nella cultura, nei metodi e negli stili manageriali fra le imprese partecipanti di diversa nazionalità.

Affinché un’operazione di joint-venture abbia successo è necessario che si realizzino le seguenti condizioni di base:

necessità di definire precisi e comuni obiettivi; ricerca di competenze che si integrino vicendevolmente; necessità di stabilire in anticipo i ruoli di ciascun partner e le modalità di risoluzione delle

controversie; esistenza di una sincera volontà dei partner di collaborare; condivisione di una cultura d’impresa, favorevole al reciproco scambio di conoscenze e di risorse; reciproca fiducia nei comportamenti del partner.

Si verifica una situazione di stallo, che viene spesso indicata con l’espressione di origine anglosassone: deadlock situation, quando vi è una situazione in cui non si raggiunge un accordo su alcuni aspetti focali della partnership che si è creata.

La mancata approvazione del budget o le difficoltà nella nomina del soggetto/dei soggetti che dovranno effettivamente gestire l’attività nella joint-venture o, ancora, l’impossibilità del consiglio di amministrazione di approvare all’unanimità il piano aziendale, costituiscono alcuni casi di deadlock situation.

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Per essere in grado di risolvere una situazione di deadlock il modo migliore è quello di prevedere, al momento della negoziazione e costituzione della joint-venture tutti i possibili scenari che si potrebbero delineare tra i soci, inserendo così nel contratto, clausole specificamente dedicate alla soluzione interna di eventuali situazioni di stallo.

Sono tre le possibili soluzioni da adottare nel caso in cui si verifichi una situazione di deadlock:

- Coinvolgimento di un terzo (arbitro o esperto) nella decisione della vicenda- Uscita di uno dei soci dalla joint-venture, mediante vendita delle relative azioni all’altro socio- Scioglimento della joint-venture company, attraverso la sua liquidazione

Test preliminare alla costituzione di una società estera

Forma giuridica più conveniente Esame del diritto societario applicabile Luogo di insediamento della sede della società Ammontare del capitale sociale Capitali in denaro o con conferimenti in natura

- possibilità di costituire una società di capitali con socio unico e sue conseguenze

- termini per il versamento del capitale sociale

- termini massimi di legge per la durata della società

- organi sociali previsti dalla legge: assemblea dei soci, consiglio di amministrazione, direttore generale, sindaci e rispettive competenze

- modalità di nomina degli organi sociali

- lingua di lavoro degli organi societari

Autorizzazioni necessarie per:

- l’attività della impresa in sé (es. autorizzazioni sanitarie, ecologiche, licenze di produzione ecc.)

- la creazione della società

- la partecipazione e il controllo della società da parte di soggetti stranieri

- la cessione di tecnologie

- il soggiorno e i permessi di lavoro del personale straniero eventualmente trasferito

- l’importazione di prodotti (esistono contingentamenti o altre restrizioni alle importazioni? Sono previste eccezioni per macchinari e materie prime importate da imprese locali?)

- il rimpatrio del capitale investito

- il rimpatrio degli utili ricavati

- l’ottenimento di finanziamenti e prestiti in favore della società

- l’esportazione dei salari del personale estero

- il trasferimento all’estero delle royalties Costi delle autorizzazioni in parola e altre condizioni per ottenerle

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Suggerimenti operativi e punti di attenzione

La valutazione degli obiettivi sia di mercato che economici della costituenda società mista L’impostazione in modo corretto della struttura della ipotizzata joint-venture e la successiva

collaborazione tra le imprese partecipanti, tenendo conto dell’evolversi dei mercati internazionali e considerando fin dall’inizio i problemi e le limitazioni che sono implicati in questa strategia commerciale

La valutazione attenta della tipologia contrattuale da adottare, in relazione al business che si intende realizzare, ai partners con i quali si intende sviluppare un accordo e al paese con cui si desidera operare

La verifica circa l’esistenza di agevolazioni di natura fiscale e la possibilità di poter accedere ad agevolazioni di natura finanziaria previste da programmi comunitari e nazionali

La scelta del partner (requisiti e caratteristiche), il quale deve essere in grado non solo di apportare alla joint-venture un contributo specifico, ma anche una cultura imprenditoriale compatibile con quella della società che si andrà a formare

La definizione attenta e precisa dei compiti e dei ruoli di ognuno dei partners La valutazione degli aspetti di tipo organizzativo, di assistenza tecnica, di formazione del personale,

contributiva, ecc. L’individuazione dei potenziali rischi cui si può incorrere nella prospettata collaborazione e la verifica che

gli stessi siano correttamente ripartiti tra tutti i partecipanti La verifica, prima di iniziare la negoziazione, delle eventuali limitazioni che vengono imposte

all’autonomia negoziale delle parti dall’esistenza di norme locali che disciplinano la fase di costituzione e di gestione della joint-venture. E’ importante, dunque, conoscere la legislazione locale in tema di investimenti esteri e loro trattamento, la legislazione in materia societaria, la normativa di natura fiscale, valutaria, doganale, proprietaria, di trasferimento degli utili e di investimento

La valutazione, dell’impatto fiscale della joint-venture, modificandone l’impostazione, qualora necessario, specie in ordine alla detenzione di quote sociali di maggioranza da parte di soci stranieri

La conoscenza delle norme e delle procedure circa la costituzione, l’attività, i rapporti tra i soci e gli adempimenti della società costituenda o partecipata

La verifica circa l’esistenza di eventuali vincoli sulle quote, sul loro valore e sulla disponibilità delle stesse

La gestione della formalità burocratiche e amministrative, la burocrazia esistente (e/o talvolta la corruzione) e la quantificazione dei costi

La verifica, in corso di negoziazione, della profittabilità economica del progetto La valutazione circa la stabilità della normativa vigente e del Rischio paese al fine di non compromettere

la profittabilità economica dell’intervento La definizione di un piano operativo

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32. Aspetti finanziari e creditizi

La capacità dell’esportatore di offrire condizioni di pagamento particolarmente convenienti alla controparte acquirente costituisce un elemento di vantaggio competitivo, rilevante soprattutto quando si opera in mercati occidentali ad economia matura, dove la competitività internazionale è particolarmente alta.Su tali mercati, di norma, l’impresa esportatrice italiana non ha la forza contrattuale per imporre condizioni di pagamento a sé più favorevoli (quali il pagamento anticipato della fornitura oppure il Credito documentario, ecc.) ma deve uniformare la forma di regolamento delle forniture a quelle praticate dai concorrenti e, anzi, deve essere in grado di spingersi oltre, cercando mezzi e termini di pagamento più vantaggiosi per gli acquirenti rispetto a quanto normalmente praticato.

Proprio per questo la valutazione degli aspetti finanziari gioca un ruolo rilevante che induce ad effettuare tutta una serie di considerazioni e a valutare problematiche che vanno affrontate in un’ottica complessiva e strategica.

Occorre, innanzitutto, determinare quale, fra le diverse forme di pagamento in uso nel commercio internazionale, possa rappresentare la soluzione più adeguata in base a diversi fattori quali il grado di conoscenza della controparte, la valutazione della sua affidabilità e solvibilità, il rapporto instaurato, la tipologia dell’accordo commerciale, la forza contrattuale, il settore di appartenenza, la distanza, gli usi, le consuetudini e le normative all’import dei singoli Paesi, il regime valutario del Paese del compratore, la situazione di “rischio” del Paese della controparte, la possibilità di essere sostituiti con altri fornitori, il volume delle singole forniture e la possibilità, poi, di attivare una copertura assicurativa del rischio commerciale e/o politico.

Forme di pagamento nel commercio internazionale

Il bonifico bancario (Swift transfer o transmission) L’assegno bancario (check o cheque) L’assegno circolare emesso, cioè, da banche (international money order) L’incasso documentario (documents against payment o cash against documents, anche conosciuti

con le sigle D/P o CAD) L’incasso semplice di cambiali pagherò, di cambiali tratte e/o di ricevute bancarie (clean collection)

scadenti nel breve/medio/lungo termine L’apertura di credito documentario (documentary credit)

Non è infrequente, il caso di operatori che spediscono la merce in Paesi extra Europa, concordando un pagamento mediante incasso documentario. L’operatore crede di avere motivo di essere tranquillo circa il pagamento della propria fornitura in quanto ritiene che l’acquirente, per ritirare la merce, abbia bisogno del documento rappresentativo della stessa (polizza di carico marittima) che potrà avere soltanto pagandone il relativo importo. Ma nei Paesi del centro-sud America, del bacino del Mediterraneo o in Asia il compratore spesso riesce ad entrare in possesso della merce senza aver ritirato il documento rappresentativo e, quindi, senza averne pagato il prezzo.Ma anche quando viene concordata la forma di pagamento che offre all’esportatore le maggiori garanzie di incasso del credito commerciale, quale il Credito documentario, che soprattutto nei Paesi del Medio Oriente, del Centro-sud America, dell’Africa e dell’Asia costituisce la forma di pagamento più utilizzata, molte volte si lascia piena discrezionalità alla controparte circa il suo contenuto limitandosi spesso a chiedere che l’apertura del Credito sia irrevocabile, magari con conferma, lasciando, poi, alla stessa controparte la determinazione di tutte le condizioni da fornire alla banca per la successiva emissione.

LA CONOSCENZA DELLE DIVERSE FORME TECNICHE DI PAGAMENTO È FONDAMENTALE PER POTER ASSUMERE IN SEDE NEGOZIALE UN ATTEGGIAMENTO PROPOSITIVO, AL FINE DI PRESENTARE ALLA CONTROPARTE UN VENTAGLIO DI SOLUZIONI POSSIBILI, UN QUADRO DI ALTERNATIVE IN CUI SI POSSANO MEDIARE LE CONTRAPPOSTE ESIGENZE.

Spesse volte, invece, viene lasciata l’iniziativa di definire la condizione di pagamento totalmente all’acquirente estero con il risultato che, a volte, l’impresa si vede costretta a rinunciare alla fornitura non

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trovando la proposta sufficientemente cautelativa senza, peraltro, riuscire a proporre soluzioni a sé più soddisfacenti che, però, in pari tempo non penalizzino la parte acquirente.

In sede negoziale la forma tecnica deve essere definita in modo coerente insieme a tutti gli altri elementi che determinano la condizione di pagamento e che hanno un impatto rilevante sulla liquidità e sulla redditività aziendale, quali, innanzitutto, il tempo di regolamento del prezzo.La dilazione di pagamento, i termini dei rimborsi, il tasso di interesse implicito o esplicito applicato sulle dilazioni concesse devono essere definite in considerazione della forma di pagamento adottata ed in perfetta coerenza con le strategie finanziarie aziendali, in modo da non pregiudicare l’equilibrio finanziario dell’impresa.

La scelta, poi, della moneta (valuta) in cui il prezzo di vendita sarà espresso sarà importante anche in considerazione delle strategie aziendali in materia di tecniche di copertura del rischio di cambio.

La clausola di pagamento deve, inoltre, definire quali saranno le banche coinvolte nell’operazione di regolamento, decisione, questa, di rilevanza fondamentale, quando le banche sono chiamate a svolgere un ruolo attivo di garanzia del pagamento, sia nel caso in cui il regolamento della fornitura avvenga mediante Credito documentario, sia qualora venga pattuito il rilascio di una garanzia bancaria a prima domanda, anche nella forma di una “Stand by letter of credit”, da parte dell’acquirente. Deve inoltre essere indicato il modo utilizzato dalla banca per il trasferimento valutario o per il rilascio della garanzia (ad esempio Swift) e dovrà essere indicato come le parti intendono regolare la ripartizione dei costi bancari per spese e commissioni relative al regolamento dell’operazione.

Occorre, infine, prestare attenzione alla individuazione del luogo di pagamento, definendo con precisione dove il pagamento dovrà essere effettuato (nel Paese del venditore, nel Paese dell’acquirente o in un Paese terzo).

Tutti questi elementi che compongono la clausola di pagamento (forma tecnica, dilazione di pagamento, moneta di regolamento della fornitura, banche coinvolte e ripartizione dei relativi oneri, modalità di trasferimento valutario, emissione di garanzie bancarie, luogo di pagamento) devono essere formulati in modo preciso, indicati per iscritto usando una terminologia appropriata ed evitando l’uso di termini generici,

Definizione della condizione di pagamento

la forma tecnica di pagamento

la data di pagamento

le banche che interverranno nel

pagamentola moneta di pagamento (Eur,

Usd, ecc.)

il luogo di pagamento

il modo in cui sarà trasferito l’importo

(swift)

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in modo da evitare che possano crearsi malintesi e/o divergenze interpretative nel corso dell’esecuzione del contratto.

Una gestione dei pagamenti che tenga conto di quanto sopra esposto e che ricerchi una pianificazione degli stessi a date certe, utilizzando, (ove possibile), i conti accentrati presso banche estere intestati alle banche italiane, oppure veicolando i pagamenti attraverso sistemi elettronici di incasso come, ad esempio, l’LCR (in Francia) o il IEF (in Spagna) o, ancora, il Lastschriften (in Germania) e/o gestendo correttamente pagamenti a mezzo crediti documentari o assistiti da garanzie bancarie può favorire l’ottimizzazione dei risultati economici, migliorando il rapporto con le banche circa la concessione di linee di credito, soprattutto in considerazione di quanto stabilito con “Basilea 2” e, nel contempo, favorendo l’eventuale assicurabilità dei propri crediti verso clienti esteri.

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Regole per definire la condizione di pagamento

Informarsi circa l’affidabilità e la solvibilità della controparte estera e/o del proprio partner

Non lasciare alla controparte estera piena discrezionalità di scegliere e definire la condizione dipagamento

Andare alla trattativa con la controparte estera già preparato circa le possibili soluzioni di pagamento

Definire in modo preciso la forma tecnica di pagamento, usando una terminologia appropriata, ed evitando, in particolare, l’uso di espressioni e termini generici quali, ad esempio, pagamento a mezzo “rimessa diretta” o, anche, nella terminologia consuetudinariamente adottata “RD” o, ancora, “RD a 30/60 DFFM”

Concordare, nel caso di credito documentario, il contenuto/articolazione dello stesso e la data entro cui dovrà essere notificato

Concordare la data entro cui dovrà pervenire l’eventuale garanzia bancaria e/o la Stand by Letter of credit ed il loro contenuto

Fissare il tempo (la scadenza) in cui il pagamento dovrà essere effettuato e la modalità del relativo trasferimento valutario

Indicare la banca presso cui dovrà pervenire il pagamento dall’estero precisandone le coordinate bancarie (IBAN, BIC Code, ecc.)

Informarsi circa la banca che l’acquirente estero utilizzerà per il trasferimento Precisare chi dovrà pagare le spese e le commissioni bancarie (banca italiana e banca estera)

relative all’operazione oggetto della trattativa

Valutare la moneta contrattuale per gestire, poi, l’eventuale rischio di cambio

Ricordarsi che, nel caso in cui la transazione sia espressa in valuta estera, la stessa sarà negoziata dalla banca al cambio del giorno di negoziazione

Dare forma scritta agli accordi presi utilizzando testi standard da adottare di volta in volta alle singole operazioni

Nella definizione della clausola di pagamento, occorre tenere in debito conto l’interrelazione che esiste tra le diverse clausole contrattuali, l’influenza che ogni elemento negoziale determina su altri elementi dell’accordo, i quali dovranno trovare una disciplina coerente nel contratto stipulato. Ad esempio la condizione di pagamento presenta strette implicazioni nella determinazione delle condizioni di resa della merce (EXW, FOB, CIF, ecc.) e dei documenti richiesti nei regolamenti documentari (Crediti e incassi documentari).

Se l’esportatore intende, inoltre, avvalersi della copertura assicurativa sui crediti all’esportazione dovrà prestare attenzione al rispetto di tutte le condizioni contrattuali che la polizza assicurativa considera quali, ad esempio, i tempi di pagamento del credito, l’eventuale previsione e il contenuto della clausola compromissoria (lodo arbitrale), la produzione della documentazione per la liquidazione dell’indennizzo assicurativo, ecc.

Le soluzioni che l’impresa esportatrice può adottare al fine di tutelarsi dal rischio di credito (rischio di mancato pagamento totale o parziale o di pagamento tardivo) nelle vendite internazionali dovranno tenere conto di quanto illustrato al cap. 19, Parte 2° dove abbiamo sottolineato l’importanza per l’impresa diidentificare con precisione la tipologia di Rischio di credito.

Se, cioè, trattasi di un rischio circoscritto esclusivamente al proprio cliente (Rischio commerciale) o se, piuttosto il rischio è anche di natura politica.

Questo è importante per valutare la strategia da affrontare nel caso di clientela residente in mercati dove non è presente il Rischio Paese, rispetto a quella da seguire, con clienti residenti, invece, in Paesi dove il Rischio Paese è presente.

Le soluzioni finanziarie che l’impresa può adottare sono diverse e dovranno tenere conto di tutti gli aspetti di diversità che caratterizzano l’internazionalizzazione, oltre che della tipologia dell’accordo commerciale, sottostante, del settore merceologico e del posizionamento dell’azienda sul mercato.

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Diverse, comunque, possono essere le soluzioni che possono essere adottate dall’impresa e che elenchiamo nella tabella “Soluzioni per tutelarsi dal rischio di mancato pagamento nelle vendite internazionali”.

Soluzioni che possono essere adottate anche in modo diversificato. Ad esempio, chiedendo un pagamento anticipato ai clienti di nuova acquisizione, concedendo un pagamento posticipato a clienti consolidati, accompagnato da un’attenta gestione interna della situazione “rischio”, decidendo di mettere in copertura assicurativa i propri crediti vantati verso clienti italiani o verso clienti esteri. Facendosi pagare, invece, da clientela di determinati paesi con crediti documentari o con bonifici bancari assistiti da garanzia bancaria o da Stand by Letter of Credit e, nei casi di forniture con pagamento dilazionato nel medio/lungo termine, concordando pagamenti rateizzati a mezzo cambiali da presentare poi ad un Forfaiter (vedasi cap. 38) per lo sconto pro soluto.

Il rilascio di garanzie bancarie a prima domanda, anche nella forma di una Stand by Letter of Credit, trova normalmente applicazione, stante l’onerosità per l’acquirente soprattutto in termini di fido impegnato, solo quando le condizioni di effettiva maggiore rischiosità del mercato di riferimento e/o la rilevanza del credito le richiedono e giustificano.

Considerazioni simili valgono riguardo alla soluzione costituita dalla definizione dell’apertura di un Credito documentario quale mezzo di pagamento che offre le maggiori garanzie di sicurezza quanto all’incasso del corrispettivo; tuttavia tale soluzione difficilmente può trovare applicazione nelle vendite internazionali nei Paesi dell’Europa occidentale, dove la prassi commerciale è ormai consolidata su forme tecniche più semplici ed economiche per l’acquirente e la competitività tra imprese è assai elevata.

Quando la soluzione rappresentata dall'apertura di un Credito documentario, quale forma tecnica di pagamento, non è possibile, così come non è possibile ottenere il rilascio di garanzie bancarie a prima domanda, l’assicurazione dei crediti all’esportazione può rappresentare sicuramente la soluzione più valida per garantire l’impresa dal rischio di credito nelle vendite internazionali a breve termine.

Una ulteriore soluzione, esistente in alcuni Paesi, è quella di inserire, previo accordo con il cliente, i propri crediti in circuiti elettronici di incasso che riducono notevolmente il rischio di mancato o tardivo pagamento: la Lettre de change relevé (LCR) in Francia, l’Incaso Electronico de Efecto in Spagna e la Lastschriften in Germania e Austria.

Soluzioni per tutelarsi dal rischio di mancato pagamentonelle vendite internazionali

Un pagamento anticipato, in tutto o in parte, del valore della fornitura Una gestione interna accurata del credito, basata sulla raccolta di informazioni, sul controllo ed

aggiornamento continuativo dei dati in possesso, sul monitoraggio dell’andamento del rapporto instaurato, nonché sull’accantonamento di congrue quote di svalutazione crediti in bilancio

Una copertura assicurativa dei propri crediti presso una compagnia di assicurazione dei crediti all’esportazione

La richiesta al cliente del rilascio di una garanzia bancaria a prima domanda (payment guarantee) da parte dell’acquirente a tutela del mancato pagamento oppure l’emissione di una Stand by Letter of Credit

L’apertura di un Credito documentario irrevocabile con o senza conferma quale mezzo di pagamento concordato

Lo smobilizzo dei propri crediti con la cessione “pro soluto” ad un factor Lo sconto “pro-soluto” dei titoli rappresentativi di un proprio credito con la tecnica del forfaiting La possibilità di accedere a operazioni di buyer’s credit (credito acquirente) o di supply credit

Esaminiamo ora alcune soluzioni riportate nella tabella e, in particolare, le seguenti:

La gestione interna l’assicurazione dei crediti

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il credito documentario la Stand by Letter of credit le garanzie bancarie lo sconto di titoli con il forfaiting

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33. La gestione interna

Lo strumento fondamentale di cui l’impresa deve dotarsi al fine di tutelarsi dal rischio di mancato o tardivo pagamento dei propri crediti commerciali derivanti da vendite sui mercati internazionali è costituito da un sistema di procedure interne di gestione del credito. Tale sistema deve fornire un supporto sistematico nel processo decisionale dell’imprenditore relativo alla concessione credito all’operatore estero: vale a dire, fino a quale limite è possibile esporsi nella concessione di credito al potenziale acquirente, cioè fino a quale importo massimo e per quanto tempo, quale il mezzo di pagamento, al fine di non incorrere nel rischio di mancato incasso del credito stesso?

Per poter svolgere questo ruolo di valido ausilio nel processo decisionale relativo alla concessione del credito, il sistema di supporto interno deve essere in grado di raccogliere quante più informazioni possibili sul Paese della controparte, in particolar modo sulle condizioni di solvibilità del Paese (informazioni inerenti il rischio politico), nonché le informazioni necessarie a tracciare un profilo attendibile della controparte con la quale si intende iniziare un rapporto commerciale, al fine di valutarne la serietà, la correttezza, il grado di affidabilità e solvibilità (informazioni inerenti il rischio commerciale).

INFORMAZIONI SULLE CONDIZIONI DI SOLVIBILITÀ DEL PAESE DEL COMPRATORE

Fonte di informazioni circa le condizioni di solvibilità del Paese di residenza del potenziale acquirente estero possono essere la stampa internazionale, le schede Paese (reperibili su Internet, presso qualunque Camera di Commercio, presso l’Istituto nazionale per il Commercio con l’Estero) ma, soprattutto, informazioni importanti sono reperibili sui siti web di SACE e di SIMEST.In particolare, esplorando il sito di SACE (www.sace.it) è possibile accedere ad una pagina (dalla “Homepage”, si entra in “Rischi e Politica Assicurativa” e da qui si clicca su “Analisi Paese” da qui, scegliendo “Condizioni di Assicurabilità” si apre una pagina web da cui è possibile dalla, “Tabella Paesi”, cliccare la lettera del Paese che interessa) in cui per tutti i Paesi del mondo viene fornita una classificazione sulla situazione di rischio Paese.

INFORMAZIONI SULLE CONDIZIONI DI SOLVIBILITÀ DEL COMPRATORE

Per quanto riguarda la verifica da effettuare circa lo stato di solvibilità del compratore, la raccolta di informazioni sul compratore deve riguardare in modo particolare:

gli obiettivi di crescita che il potenziale cliente si pone e per il cui raggiungimento esso opera; la possibilità che lo stesso possa rivolgersi ad altri fornitori; la coerenza tra gli obiettivi e la strategia impostata ed attuata per raggiungerli; la capacità dell’azienda acquirente di perseguire nel tempo quanto stabilito; la strategia globale al fine di considerare l’insieme delle politiche poste in essere nei vari aspetti

gestionali; le sue condizioni di liquidità e la sua affidabilità commerciale; il posizionamento sul mercato e la tipologia della sua clientela; il suo patrimonio ed il suo giro di affari; come è propenso a pagare i creditori; le cause, i sequestri, le procedure fallimentari eventualmente in corso nei suoi confronti.

I dati informativi sopra indicati riguardano il fatturato o il volume d’affari del soggetto con cui si entra in contatto, la situazione patrimoniale e finanziaria (sia attuale che prospettica), le banche con cui intrattiene rapporti, i bilanci degli ultimi esercizi, la quota di mercato detenuta, i nominativi degli amministratori e dei legali rappresentanti e le informazioni sul loro conto, l’ammontare e il numero di eventuali insoluti e/o protesti. È importante, inoltre, non prescindere da una valutazione delle risorse aziendali di natura tecnica (attrezzature ed impianti) e personale (numero degli addetti e loro requisiti) e della “storia” dell’azienda stessa.Tali dati possono essere richiesti ad organismi istituzionali come l’ICE-Istituto nazionale Commercio con l’Estero, oppure ad organismi privati di comprovata serietà tra i quali, a titolo puramente esemplificativo, possiamo ricordare la Dun & Brandstreet, la Kompass, Lince ed altri.

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INFORMAZIONI ULTERIORI SUL PAESE DEL COMPRATORE

Una verifica importante da effettuare riguarda l’efficienza del sistema giudiziario del Paese del compratore o, in ogni caso, la possibilità, per il venditore, di ottenere un riconoscimento, in quel Paese, di una sentenza o di un lodo arbitrale emesso in un altro Paese (ad esempio il nostro). L’efficienza riguarda:

la cultura giuridica dei giudici, il loro livello di specializzazione, i loro pregiudizi nei confronti dello straniero;

i tempi medi di durata della causa; il costo della causa; la possibilità di ottenere dal giudice provvedimenti che anticipino la sentenza definitiva, quale, ad

esempio, il sequestro (a titolo cautelativo e conservativo) dei beni del debitore; la sottoscrizione della Convenzione di New York del 1958 sull’arbitrato internazionale; l’eseguibilità effettiva della sentenza o del lodo arbitrale.

Le informazioni relative al Paese del compratore dovranno essere finalizzate a valutare anche una molteplicità di aspetti relativi a quel particolare Paese non meno importanti nella ponderazione del livello di rischio di mancato pagamento e, dunque, rilevanti nel processo decisionale relativo alla concessione del credito. In particolare occorre valutare anche i seguenti aspetti:

la cultura, la lingua, gli usi e i costumi; le risorse economiche e finanziarie (indicatori economici, PIL, reddito pro capite, ecc.); la forma di governo; le politiche governative (politiche economiche e sociali, piani di sviluppo, politiche di

investimento); la moneta avente corso legale; i sistemi di trasporto e di comunicazione; il livello di sviluppo del sistema bancario; il sistema legislativo e normativo che regolamenta i rapporti commerciali; il significato attribuito ai termini commerciali in uso.

Soltanto alla luce di tutte le informazioni raccolte, di cui quelle sopra indicate costituiscono le principali, il venditore potrà decidere se stipulare il contratto definitivo, pattuire con il compratore il mezzo di pagamento più adatto a quella transazione commerciale (tenendo conto dello stretto rapporto tra scelta della forma di pagamento e il livello di rischio di mancato pagamento) e decidere riguardo all’affidamento e alla dilazione di pagamento che può essere tranquillamente accordata alla controparte.

Il sistema di gestione interna del credito deve, poi, nel prosieguo del rapporto commerciale, assicurare l’aggiornamento continuo dei dati originari raccolti nonché monitorare l’andamento del rapporto commerciale instaurato in modo che l’imprenditore possa modificare in modo tempestivo e coerente le proprie decisioni in materia di concessione credito all’operatore estero, al variare del livello di rischio del credito stesso.Il sistema di gestione interna è deputato, inoltre, della corretta valutazione dei crediti commerciali in esportazione in bilancio. Pertanto, a fronte di perdite per inesigibilità totale o parziale dei crediti stessi che possono essere ragionevolmente previste, conformemente alle norme civilistiche in materia, dovranno essere stanziate congrue quote di accantonamento al Fondo svalutazione crediti.

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34. L’assicurazione dei crediti all’esportazione

Quando nelle vendite internazionali non è possibile ottenere un pagamento a mezzo Credito documentario o altra forma di pagamento comunque garantita, l’unica soluzione che permette al venditore di tutelarsi in modo efficace dal rischio di credito è costituita dall’assicurazione dei propri crediti verso l’estero.Il rischio di credito, infatti, al pari di altri rischi che caratterizzano l’attività d’impresa, può essere oggetto di assicurazione, ai sensi degli articoli 1882 e seguenti del Codice civile.Il ricorso all’assicurazione dei propri crediti verso l’estero non ha avuto un grande sviluppo nel nostro Paese, contrariamente a quanto accade negli altri Paesi comunitari, ma in questi ultimi anni le cose stanno cambiando ed il ricorso a questo strumento è sempre più diffuso presso gli operatori economici italiani.

Maggiore flessibilità, nuove polizze assicurative sempre più rispondenti alle esigenze degli operatori, costi più ridotti rispetto al passato, accordi tra le compagnie di assicurazione, le banche e le associazioni di categoria, rendono tale soluzione assai più interessante per gli esportatori italiani.A ciò si deve aggiungere la presa di coscienza, da parte degli operatori del settore, degli indubbi vantaggi che l’assicurazione dei crediti all’export è in grado di offrire agli esportatori italiani; in termini di maggiore aggressività competitiva sui mercati esteri.A tale riguardo l’assicurazione crediti assume un ruolo strategico, consentendo all’esportatore, grazie alla garanzia assicurativa, di spingersi ben oltre a quanto altrimenti potrebbe fare nel concedere alla controparte estera forme di pagamento alternative, meno impegnative e, quindi, più gradite. Forte, infatti, della copertura assicurativa, l’esportatore può accettare tali forme di pagamento senza vedere aumentare il rischio di mancato pagamento con conseguente difficile recupero del credito e, quindi, senza pregiudicare la propria redditività.

Ulteriori vantaggi dell’assicurazione crediti sono riconducibili agli effetti positivi sulla situazione di liquidità dell’azienda. La copertura assicurativa favorisce, infatti, il ricorso al finanziamento bancario mediante anticipo su fatture con la formula pro solvendo, e ciò a condizioni finanziarie più favorevoli, in termini di tassi di interesse applicati e/o di importo del fido utilizzabile. Questo è possibile in quanto l’esportatore può, in relazione ai crediti all’esportazione anticipati salvo buon fine, cedere alla banca i diritti di polizza.

Tale vantaggio di carattere finanziario determina, di riflesso, un miglioramento della competitività dell’esportatore. Questi, infatti, può a sua volta concedere una maggiore dilazione di pagamento all’acquirente estero, ovviamente nei limiti di durata dei crediti assicurabili previsti dalla polizza assicurativa, senza effetti negativi sulla propria liquidità, grazie appunto alla possibilità di ottenere più agevolmente il finanziamento del corrispondente credito export.

Possiamo, pertanto, affermare che l’assicurazione dei crediti all’esportazione consente un più ampio margine di manovra all’esportatore nella concertazione degli elementi che determinano la condizione di pagamento, permettendogli di concedere alla controparte estera soluzioni a questa più favorevoli, soprattutto per quanto attiene la forma tecnica e i tempi di pagamento.

La copertura assicurativa permette, infatti, all’esportatore (come già esaminato nei capitoli precedenti) di definire mezzi di pagamento meno garantisti e più flessibili, senza incorrere in rischi di mancato pagamento con grave pregiudizio per la propria redditività consentendo, così, di concedere migliori condizioni di pagamento alla clientela estera senza che ciò si traduca in un corrispondente aumento del proprio fabbisogno di liquidità, grazie alla possibilità di accedere più agevolmente (come visto sopra) al finanziamento bancario mediante anticipazione salvo buon fine dei crediti export.

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Vantaggi dell’assicurazione crediti

Ampliamento del proprio mercato, in Italia e all’estero, vendendo ad acquirenti anche sconosciuti sapendo che il rischio di mancato pagamento è coperto.

Vendite ai propri clienti in “open account”, concedendo, così, forme di pagamento alternative meno impegnative e, quindi, più gradite.

Maggiore aggressività commerciale consentendo all’esportatore, grazie alla copertura assicurativa, di spingersi ben oltre quanto potrebbe fare nel concedere alla controparte dilazioni di pagamento.

Utilizzo di risorse aziendali esclusivamente sul fronte dello sviluppo commerciale, dell’innovazione e della gestione finanziaria;

Ottenimento dalla banca del finanziamento dei propri crediti commerciali in modo più agevole.

Selezione preventiva, attraverso il servizio di informativa, della solidità e della solvibilità della clientela.

Prevenzione del rischio di insolvenza attraverso la selezione della clientela. Beneficio di un monitoraggio costante sulla solvibilità della clientela affidata dalla

Compagnia di assicurazione. Attuazione di un’efficace programmazione commerciale che consenta importanti vantaggi

gestionali; Detrazione fiscale del pagamento dei premi assicurativi; Riduzione notevole dell’onere amministrativo dovuto alla gestione dei crediti non pagati; Copertura della perdita, totale o parziale, dei crediti derivanti dall’insolvenza del debitore

(rischio commerciale) e/o della perdita derivante da eventi di natura politica, assicurativa, ottenendo così il recupero dei crediti, nella misura pattuita contrattualmente, in caso di insolvenza del debitore.

Indennizzo della perdita subita; Miglioramento della competitività grazie all’offerta di condizioni contrattuali più favorevoli

per l’importatore. Eliminazione della posta attiva “creditizia verso clienti” in tempi ridotti dovuti all’indennizzo

della quota percentuale del credito assicurato in caso di insolvenza.

Per cogliere meglio le possibilità offerte dalle polizze assicurative riguardanti il rischio di credito è importantedefinire il significato di “assicurazione” e analizzare alcuni concetti e termini propri dell’assicurazione crediti, fondamentali per conoscere il “linguaggio” e favorirne la comprensione.

ASSICURAZIONE DEI CREDITI

E’ un contratto di assicurazione, che trova disciplina legislativa agli articoli 1882 e seguenti del Codice civile. In base al contratto di assicurazione dei crediti, l’Assicuratore e, quindi, la compagnia assicurativa specializzata nel ramo crediti, a fronte del pagamento di un premio, si obbliga a rivalere mediante indennizzo l’Assicurato, cioè l’impresa esportatrice, nei limiti e alle condizioni convenute nella polizza assicurativa, del danno derivante dal prodursi di un sinistro, nel caso rappresentato dal mancato pagamento in via definitiva, in tutto o in parte, del credito derivante dalla vendita di beni e/o servizi da parte del debitore. Per soggetto debitore deve intendersi normalmente l’acquirente importatore; in caso di pagamento assistito da garanzia bancaria oppure da effettuarsi a mezzo di Credito documentario, per debitore si intende la banca obbligata al pagamento.Di conseguenza il contratto di assicurazione crediti è sempre stipulato dal creditore (Assicurato) nel proprio interesse (e non dal debitore nell’interesse e per conto del creditore).Il contratto di assicurazione deve essere stipulato per iscritto, a fini semplicemente probatori (art. 1888 Cod. Civ.) ed è attestato dalla polizza assicurativa.

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TERMINE COSTITUTIVO DI SINISTRO

Conosciuto con la sigla TCS, è il momento in cui il sinistro si intende realizzato, cioè il momento in cui si può dire che il mancato pagamento del credito si è verificato e, quindi, la perdita del credito può considerarsi avvenuta in maniera definitiva. È da tale momento che, considerandosi convenzionalmente conseguita la perdita del credito, l’Assicurato ha diritto all’ottenimento dell’indennizzo da parte della compagnia di assicurazione.

FIDO O LIMITE DI CREDITO O MASSIMALE

È l’importo limite di credito, il massimo importo entro cui la compagnia di assicurazione accorda la propria garanzia per ciascun debitore dell’Assicurato, dopo aver preso, per ogni debitore, le informazioni commerciali attraverso quella che viene chiamata, in gergo tecnico, l’informativa.

FUNZIONE INFORMATIVA

Il limite di fido accordato potrà essere pari al massimale richiesto dall’esportatore, potrà essere inferiore, o, al limite, pari a zero. La copertura assicurativa varrà, pertanto, entro tale limite. A seguito della presentazione del modulo di proposta, la compagnia di assicurazione effettua un’analisi approfondita, in base alle informazioni fornite dall’assicurando e soprattutto in base alle informazioni che la compagnia stessa è in grado di reperire attraverso propri canali, volta alla valutazione del/i nominativo/i segnalato/i dall’assicurando (debitore/i, garante/i), al fine di accertarne il grado di affidabilità e di solvibilità.

Tale valutazione è finalizzata a determinare il limite di fido concedibile per ciascun debitore

RISCHIO GARANTITO O ASSICURABILE

È garantito o assicurabile soltanto il rischio di mancato pagamento causato direttamente ed esclusivamente dal verificarsi di uno o più Eventi Generatori di Sinistro. Nel caso di coperture riferite a pagamenti con scadenza nel breve termine (con pagamenti entro 6 mesi o entro un massimo di 12 mesi), la garanzia assicurativa è operativa per la vendita di beni di consumo, di beni strumentali, di macchine e per le vendite rateali.Sono escluse di fatto dalla copertura assicurativa e, quindi, non soggette al pagamento del premio le seguenti operazioni:

Vendite a clienti a cui la Compagnia di Assicurazione non abbia concesso fido o dopo la cancellazione dello stesso.

Vendite contro documenti con pagamento a vista o con Lettera di credito irrevocabile. Vendita a Paesi non assicurabili. Vendite con pagamento anticipato o alla consegna (in contanti o assegno circolare). Vendite con pagamento posticipato assistito da garanzia bancaria o da Stand by Letter of credit. Vendite ad aziende controllate o controllanti l’Assicurato.

COPERTURE E PERCENTUALI ASSUNTI IN GARANZIA

È assunto in garanzia il mancato pagamento per:

Insolvenza di diritto: fallimento, concordato, atti di sequestro conservativo, ecc.; Insolvenza di fatto: situazioni che dimostrano, di fatto, l’impossibilità del debitore di far fronte ai

propri impegni, ovvero il non ancora avvenuto pagamento decorsi indicativamente 80 giorni dalla data dell’ultima scadenza originaria o prorogata del credito.

FUNZIONAMENTO

L’assicurato fornisce i nominativi dei propri clienti, indicando per ognuno l’esposizione prevista. La copertura assicurativa deve essere applicata a tutte le vendite effettuate in Italia e/o all’estero (per queste ultime polizze è possibile una globalità limitata ad uno o più Paesi).

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La Compagnia effettua le verifiche necessarie e assegna a ogni nominativo un “limite massimo assicurabile” (LMA), che costituisce l’importo massimo per ciascun nominativo assicurato.

La Compagnia può se così previsto in appendice di polizza concedere, caso per caso, uno scoperto di polizza previo pagamento di un sovrappremio.

PERCENTUALE DI COPERTURA ASSICURATIVA O VALORE ASSICURABILE/INDENNIZZO LIQUIDABILE

È la misura, calcolata in percentuale, applicata alla perdita indennizzabile a norma di polizza per determinare l’importo del risarcimento.Tale valore non rappresenta mai il 100% del valore nominale del Credito non incassato, cioè della perdita realizzata, in quanto qualsiasi compagnia di assicurazione non può coprire il mancato guadagno derivante da un’insolvenza. L’assicurato deve partecipare sempre al rischio nella sua veste di imprenditore, ai sensi di quanto previsto dalle disposizioni di legge. La percentuale di copertura assicurativa varia, in genere, a seconda del tipo di polizza e/o del Paese interessato e si aggira, a puro titolo esemplificativo, intorno all’80-85%, se il compratore risiede in Paesi di 1ª Categoria, e intorno al 70-75% nel caso di Paesi di 2ª categoria.

MASSIMO INDENNIZZO

Rappresenta l’importo massimo degli indennizzi che la compagnia di assicurazione è disposta a liquidare all’Assicurato nell’arco di ogni annualità assicurativa.

PREMIO ASSICURATIVO

È il corrispettivo della prestazione assicurativa. Il tasso di premio da applicare è determinato da una serie di variabili che tengono conto delle dimensioni dell’azienda proponente (fatturato), del numero e della tipologia dei suoi clienti, delle dilazioni accordate e delle esposizioni medie e massime, del settore merceologico, della storicità di perdite e contenziosi, del sistema interno di gestione dei crediti e altro ancora. A titolo indicativo si va da un minimo dello 0,35 per cento ad un massimo dell’1,20 per cento sul valore del volume delle forniture assicurate.

MINIMO DI PREMIO

È il corrispettivo minimo dovuto dall’Assicurato per ogni annualità assicurativa. Normalmente ammonta a circa 5 mila euro, salvo accordi e/o convenzioni particolari da definire caso per caso.

GLOBALITÀ

È il principio su cui si basa l’assicurazione dei crediti. In linea generale, in base a tale principio l’assicurato deve dichiarare alla compagnia di assicurazione la globalità dei propri crediti commerciali, derivanti dall’intero suo volume d’affari. Tale principio è suscettibile di deroghe.Sono esclusi i crediti il cui pagamento è garantito da Stand by Letter of credit, da garanzia bancaria a prima domanda oppure regolati da credito documentario o da incassi documentari. In altri casi è possibile derogare al principio di globalità prevedendo di assicurare solo i crediti derivanti dalla vendita di uno specifico prodotto, o di una data linea di prodotti, di uno specifico settore di attività. La deroga che ricorre più frequentemente si ha quando oggetto dell’assicurazione sono solo i crediti derivanti da vendite effettuate solo in uno o in più Paesi esteri individuati specificamente.

TIPOLOGIE DI POLIZZA

La polizza è Globale quando vengono assicurati tutti i crediti commerciali all’export oppure solo i crediti, ma tutti quelli ivi compresi, derivanti dalla vendita di un prodotto specifico, o di una linea di prodotti, da uno specifico settore di attività o dalle vendite realizzate in determinati Paesi. In questo caso l’assicurato specifica i Paesi per i quali intende assicurare i crediti.

La polizza è Singola quando l’assicurato indica quali sono i crediti esteri per cui si vuole assicurare.

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GESTIONE DELLA POLIZZA

Affinché la compagnia di assicurazione possa formulare un’offerta, è necessario che il potenziale assicurato compili un “modulo di proposta” sottopostogli dalla compagnia di assicurazione. Trattasi di un questionario nel quale sono richiesti, oltre ai dati anagrafici ed al settore in cui opera l’azienda, indicazioni sia sulla clientela (quali Paesi del cliente, dilazioni e modalità di pagamento concesse, elenco dei principali clienti, ecc.), sia sul fatturato realizzato negli ultimi anni e previsto per quello in corso.

SVILUPPO DEL RAPPORTO ASSICURATIVO

Il rapporto assicurativo si sviluppa in una molteplicità di fasi di cui alcune precedono la conclusione del contratto di assicurazione e si realizzano in fase di trattativa al fine di addivenire alla stipula della polizza più confacente all’Assicurato, altre, invece, attengono lo sviluppo del rapporto assicurativo a seguito della stipula della polizza. Tali punti sono suscettibili di modifiche in base alla specifica polizza assicurativa stipulata. In linea generale, comunque, le fasi che caratterizzano un’operazione di assicurazione sono riassumibili nella Tabella “Iter di un’operazione di assicurazione del rischio commerciale”.

CONTRATTO DI ASSICURAZIONE

Sulla base del questionario, l’assicuratore avanza una proposta di assicurazione che, se accettata per iscritto, porta alla conclusione del contratto di assicurazione e al rilascio della polizza di assicurazione (art. 1888 c.c.).La polizza di assicurazione ha durata annuale e si rinnova tacitamente alla scadenza, salvo disdetta nei termini contrattuali stabiliti.Per ogni anno devono essere indicate la percentuale effettuata a dilazione, le perdite e gli importi in sofferenza e le principali aziende debitrici.

Iter di un’operazione di assicurazione del rischio commerciale

Scelta, da parte del potenziale assicurato, della tipologia di polizza più confacente alle sue esigenze: se polizza globale o polizza singola

Segnalazione da parte del potenziale assicurato dei nominativi dei debitori alla compagnia di assicurazione

Valutazione dei nominativi da parte della compagnia di assicurazione per accertare il grado di affidabilità e di solvibilità dei singoli debitori, al fine di determinare il limite di credito (fido) concedibile ai singoli nominativi segnalati (cosiddetta funzione informativa)

Concessione del fido per ciascun nominativo da parte della compagnia di assicurazione Determinazione del tasso di premio da parte della compagnia di assicurazione Conclusioni del contratto di polizza assicurativa tra Compagnia di assicurazione e Assicurato con

rilascio della polizza assicurativa Pagamento del sevizio di informativa da parte del potenziale assicurato Pagamento del premio assicurativo da parte dell’assicurato Notifica a fine mese da parte dell’assicurato di tutte le operazioni a credito con inoltro della distinta

delle fatture di vendita emesse Esame del caso da parte della compagnia di assicurazione e verifica dell’esistenza o meno della

situazione di insolvenza Monitoraggio su ciascun nominativo assicurato effettuato dalla compagnia di assicurazione Comunicazioni di eventuali situazioni di sofferenza del nominativo da parte dell’assicurato Comunicazione del mancato pagamento alla scadenza del credito da parte dell’assicurato Sollecito di pagamento attraverso azioni monitorie Inizio di azione legale nei confronti del debitore Rimborso della perdita nella percentuale definita (liquidazione dell’indennizzo) Cessione del credito da parte dell’assicurato Procedura di recupero del credito

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35. I servizi offerti dalla compagnia di assicurazione

L’attività delle principali compagnie di assicurazione dei crediti, pur essendo caratterizzata da polizze che possono differire tra loro, si sviluppa attraverso l’erogazione dei seguenti servizi:

Servizio assicurativo in senso stretto. In caso di mancato pagamento del credito in via definitiva, totale o parziale, la compagnia di assicurazione eroga la somma prevista a titolo di indennizzo. Tale servizio presenta riflessi positivi anche dal punto di vista delle politiche commerciali adottabili dall’azienda, la quale può, concedere ai propri clienti dilazioni di pagamento (al massimo quelle consentite dalla polizza sottoscritta), grazie alla possibilità per l’esportatore di ottenere più agevolmente il finanziamento dei crediti commerciali.

Servizio di assistenza legale per il recupero crediti in sofferenza (azioni bonarie e legali). In base a tale servizio la compagnia di assicurazione gestisce l’eventuale tentativo di recupero delcredito.

Servizio di informativa. Attraverso la valutazione commerciale dei nominativi al fine di determinare il limite di fido concedibile per il singolo debitore, l’assicurato riceve importanti informazioni circa la solvibilità e affidabilità dei propri clienti, ottenendo così un servizio di prevenzione delle insolvenze degli acquirenti. Si tratta di un servizio importantissimo che può rappresentare un utile strumento commerciale in quanto attribuisce all’impresa una maggiore aggressività commerciale sui mercati esteri che si realizza attraverso:

- l’ampliamento della propria quota di mercato, grazie alla possibilità di vendere ad acquirenti anche sconosciuti, senza incorrere in rischi di mancato pagamento;

- la possibilità di vendere ai propri clienti in “open account”, cioè concedendo forme di pagamento alternative, meno impegnative (e quindi più gradite) rispetto al Credito documentario.

Servizi offerti dalla compagnia di assicurazione

1. Servizio assicurativo in senso stretto. In caso di mancato pagamento del credito in via definitiva, totale o parziale, la compagnia di assicurazione eroga la somma prevista a titolo di indennizzo.

2. Servizio di informativa. Attraverso la valutazione commerciale dei nominativi al fine di determinare il limite di fido concedibile per il singolo debitore, l’assicurato riceve importanti informazioni circa la solvibilità e l’affidabilità dei propri clienti, ottenendo così un servizio di prevenzione delle insolvenze degli acquirenti.

3. Servizio di assistenza legale per il recupero crediti in sofferenza (azioni bonarie e legali). In base a tale servizio la compagnia di assicurazione gestisce l’eventuale tentativo di recupero del credito.

CONVENZIONI CON LE BANCHE

Le compagnie di assicurazione hanno attivato una serie di collaborazioni con alcuni Istituti di credito, sottoscrivendo con gli stessi, a seconda dei casi:

- una polizza contraente, che consiste in una polizza sottoscritta dalla banca per conto dei clienti che sono assicurati. Tale polizza prevede la totale gestione dei contratti attraverso gli uffici della banca;

- una polizza diretta, che prevede, invece, la sottoscrizione della stessa direttamente dalla compagnia di assicurazione e il cliente, venendosi così a creare un rapporto diretto tra l’assicurato e la compagnia stessa.

Agli Istituti di credito, in forza di tali accordi, viene generalmente assegnato il compito di promuovere il prodotto, segnalando all’agenzia assicurativa territorialmente più vicina e alla quale rimane, comunque, demandata la cura di tutta la successiva fase gestionale (trattativa, stipula e gestione del contratto assicurativo), i nominativi di coloro che, in possesso dei requisiti per l’assicurabilità, manifestino interesse ad una copertura dei propri crediti verso l’estero.Tale operatività si è dimostrata efficace, poiché la complessità del servizio, sia in fase di proposizione che di gestione quotidiana, richiede la presenza di professionisti specializzati.Oltre che con alcuni Istituti di credito, tali accordi/convenzioni sono state attivate anche con altre compagnie di assicurazione e con Associazioni o Organismi industriali territoriali e di categoria.

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36. Le principali compagnie di assicurazione dei crediti

Esistono due tipologie di compagnie che operano nel mercato dell’assicurazione del credito commerciale, in quasi tutti i Paesi industrializzati:

le compagnie di estrazione pubblica; le compagnie di estrazione privata.

In Italia, è presente un solo assicuratore pubblico: SACE, mentre diverse sono le compagnie di estrazione privata.

L’offerta di polizze assicurative per la copertura del rischio commerciale è variegata ed è in grado di soddisfare la maggior parte delle esigenze di tutela da tale rischio, da parte dell’azienda.

Le polizze assicurative offerte dalle compagnie private hanno ad oggetto:

la copertura del rischio commerciale (la copertura del rischio politico è meno frequente); la copertura del rischio commerciale con dilazione nel breve termine (la maggior parte delle

polizze offre copertura per dilazioni di pagamento entro i 6 mesi, massimo 12 mesi); la copertura sull’intero fatturato.

A differenza di SACE che contempla la possibilità di copertura del rischio singolo (o singola fornitura), le compagnie private solitamente, basano le proprie polizze sul principio della globalità (ossia riferito a tutti i debitori dell’Assicurato o almeno a gruppi omogenei di essi) salvo ipotesi eccezionali.

Tre sono comunque le società leader di questo mercato:

Euler Hermes: è il primo gruppo mondiale dell’assicurazione crediti ed uno dei maggiori operatori nel mercato delle cauzioni, presente in Italia con una rete di vendita e assistenza alle imprese distribuita su tutto il territorio nazionale. La sede è in Via Raffaello Matarazzo, 19 – 00139 Roma (indirizzo web: http://www.eulerhermes.com/).

Atradius nata dalla ristrutturazione azionaria del gruppo Gerling NCM, avvenuta nel 2003, con sede centrale a Colonia (Germania). In Italia la sede è a Roma presso SIC, Società Italiana Cauzioni, in Via Crescenzio, 12 (indirizzo web: http://www.atradius.com/it/) presente, anch’essa su tutto il territorio nazionale con una rete periferica di Agenzie.

Coface, Assicurazioni, Compagnia francese nata nel 1949, parte del network mondiale CreditAlliance, è leader mondiale nella gestione crediti. Presente in Italia dalla fine degli anni ottanta con il nome di Viscontea, ha la propria sede centrale a Milano in Via Giovanni Spadolini, 4 - 20141 Milano (indirizzo web: http://www.viscontea.it/) ed una rete di sedi e filiali su tutto il territorio nazionali.

Le compagnie di estrazione pubblica, altrimenti denominate ECA’s (acronimo di Export Credit Agencies), sono presenti in tutti i Paesi industrializzati con lo scopo di assolvere principalmente ad una funzione di sostegno all’internazionalizzazione delle aziende residenti nello Stato. In particolare favoriscono principalmente:

lo sviluppo dell’economia del Paese di appartenenza; l’esportazione di beni e servizi verso acquirenti posti in Paesi generalmente ad elevato rischio

politico e/o commerciale. Rischi, spesso, non sopportabili altrimenti da parte dell’azienda esportatrice.

I rischi che le ECA’s (vedi sito internet: http://www.eca-watch.org/eca/index.html) assumono, per conto dell’azienda, sono garantiti dallo Stato e spesso, per entità, tali rischi non sarebbero sopportabili oppure sarebbero economicamente non redditizi, se assunti da compagnie assicurative private o, se contrari ad alcuni principi assicurativi, quali la globalità.

L’attività pubblica di sostegno alle esportazioni, regolata da norme interne, di cui riportiamo in tabella il quadro normativo esistente in Italia, è armonizzata da regole stabilite a livello europeo per garantire una sorta di trattamento paritetico da parte delle varie ECA’s dei Paesi membri nei confronti delle aziende ivi residenti ed evitare una concorrenza basata non sulla capacità imprenditoriale ma, bensì, sul diverso sostegno statale. Tutto questo è stato regolamentato da norme in sede Ocse (Organizzazione per la

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cooperazione economica e lo sviluppo)87 denominate Consensus, le cui disposizioni, previste da tale accordo si applicano solo se la dilazione massima di pagamento è uguale o superiore a 2 anni. Esse succintamente riguardano:

- un acconto minimo di pagamento. L’acquirente deve pagare in acconto non meno del 15% del valore della fornitura pagabili al più tardi alla data del punto di partenza del credito;

- la dilazione massima di pagamento. Dipende dal Paese di residenza dell’acquirente. Al riguardo i vari Paesi sono divisi in due Categorie: la categoria 1, con dilazione massima concedibile fino a 5 anni (eccezionalmente 8,5) e la categoria 2, con dilazione massima concedibile fino a 10 anni.

- il tasso di interesse minimo. Alle dilazioni di pagamento non si può applicare un tasso di interesse inferiore al cosiddetto CIRR (tassi definiti mensilmente dall’OCSE);

- i rimborsi del credito. Il rimborso deve avvenire a rate con scadenza massima semestrale, con quota capitale costante e quota interessi decrescente.

Consensus

Il Consensus è un accordo siglato il 4 aprile 1978 tra tutti i paesi dell’OCSE che stabilisce precise regole riferite alla concessione di dilazioni di pagamento, alle modalità e ai tempi di rimborso, nonché il tasso minimo di interesse da applicare in esecuzione di contratti il cui rimborso va oltre i 24 mesi. Questo accordo è stato stipulato per evitare distorsioni di concorrenza tra imprese dei Paesi aderenti, che esportano in determinati stati che beneficiano del soggetto pubblico e prevede la fissazione di tassi di interesse minimi per le diverse monete (Dollaro USA, Euro, Sterlina inglese, Yen e Franco svizzero) a seconda dei Paesi classificati in diverse categorie, con decorrenza il 15 di ogni mese fino al 14 del mese successivi.

La nostra compagnia di Assicurazioni Pubblica è SACE costituita nel 1977 come Sezione speciale dell’INA, in rispetto ai dettami della legge n. 227 del 24 maggio 1977 altrimenti conosciuta come “Legge Ossola”, dal nome del ministro che allora firmò il decreto istitutivo della Sace.

Quadro normativo del sostegno pubblico all’internazionalizzazione

• Decreto Legislativo n. 143 del 31/03/1998 che ha sostituito, innovandola, la legge n. 227 del 24maggio 1977. Accanto al menzionato decreto legislativo esistono altre due leggi: la legge n. 394 del 29 luglio 1981 e la legge n. 304 del 20 ottobre 1990;

• Decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003 (convertito con modificazioni nella legge n. 326 del 24 novembre 2003) con il quale è stata disposta la trasformazione, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dell’“Istituto per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero – SACE”, in Società per Azioni con la denominazione di “SACE S.p.A. – Servizi Assicurativi del Commercio Estero”.

87 L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo) è un organismo sopranazionale composto dai seguenti 30 Paesi industrializzati:Australia, Austria, Belgio, Canada, Corea del Sud, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Olanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria.

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37. La SACE

SACE, costituita nel 1977, è la nostra compagnia di Assicurazioni Pubblica. I prodotti e servizi assicurativo-finanziari offerti dal gruppo SACE rendono più sicura ogni transazione commerciale con l’estero attraverso garanzie contrattuali e coperture del credito e degli investimenti.Per guidare le imprese all’estero SACE inoltre, fornisce consulenza e assistenza durante tutte le fasi dell’internazionalizzazione dell’impresa. E’ attiva in oltre 150 Paesi.

Dal 2004 SACE è Società per Azioni ed è partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. SACE BT opera al fianco di SACE per la copertura dei rischi di credito a Breve Termine (fino a 24 mesi) sia in Italia che all’estero.La trasformazione in società per azioni si è resa necessaria in seguito ai mutamenti nel sistema finanziario e assicurativo internazionale.SACE assume in assicurazione e riassicurazione le garanzie sui rischi di carattere politico, catastrofico, commerciale, di cambio, ai quali sono esposti gli operatori nazionali verso l’estero.Essa assume quindi, oltre il rischio di natura politica anche il rischio commerciale, sia isolatamente, sia congiuntamente con il rischio politico.SACE riporta sul proprio sito internet (www.sace.it), le condizioni di assicurabilità di quasi tutti i paesi del mondo, per molti dei quali viene riportata anche una Scheda Paese.

CLASSI DI ASSICURAZIONE

Essa classifica i paesi del mondo in quattro classi, dalla A alla D, (classi di assicurazione), a ciascuna viene assegnato un punteggio decrescente da cui dipende la concessione delle coperture assicurative, la percentuale di copertura e il tasso di premio. Esaminiamo nel dettaglio le quattro classi:

- classe A: in questa classe sono compresi tutti i paesi industrializzati e i paesi emergenti che non presentano particolari aspetti di rischiosità, per i quali non esistono problemi di copertura assicurativa;

- classe B: nella classe B sono inseriti la gran parte dei paesi che troviamo riportati nelle categorie di rischio che vanno dalla 2 alla 6 per i quali si adatta un atteggiamento prudente di copertura con restrizioni. Ovviamente, mentre per alcuni paesi (2° e 3° categoria) non esistono particolari problemi di copertura, per quelli appartenenti alle categorie 4, 5, 6 potrebbero esserci restrizioni che riguardano le controparti, a seconda che siano sovrane, private, bancarie o enti pubblici. Gli importi, possono essere complessivi, riguardando così, il plafond concesso al paese oppure individuali con riferimento al massimale concesso per singola operazione;

- classe C: riguarda i paesi per i quali è prevista o è stata realizzata la cancellazione del debito (legge 209/2000) e per i quali SACE adotta un atteggiamento prudente nella concessione delle coperture assicurative limitandole soltanto ad alcune operazioni;

- classe D: comprende i paesi in sospensiva o per i quali non è possibile alcuna copertura assicurativa se non in casi del tutto particolari.

CATEGORIE DI RISCHIO

Dal 1° gennaio 2006, le categorie di rischio sono otto, dalla n. 0 alla 7 con rischio crescente dalla categoria 0 alla settima. Nella categoria 0 troviamo tutti i paesi a rischio zero e, cioè, Australia, Austria, Belgio, Canada, Corea del Sud, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Olanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. Man mano che si sale di categoria troviamo paesi con tipologie di rischio crescenti, cosa questa che determina un pagamento di premi più elevati, percentuali di copertura minore e, soprattutto, maggiore difficoltà nell’ottenimento della copertura assicurativa, fino ad arrivare ad una chiusura totale o ad una sospensiva per i paesi di categoria settima. Le categorie SACE sono, di fatto, salvo qualche rara divergenza, le medesime di tutte le Compagnie di assicurazione di estrazione pubblica (le ECA’s), in quanto approvate in sede OCSE.

In base alla categoria di Consensus tutti i paesi del mondo vengono suddivisi in due categorie (paesi di 1° e di 2° categoria) sulla base del reddito lordo pro capite annuo. Rientrano nei paesi di 1° categoria quelli il cui reddito lordo pro capite supera una determinata soglia fissata in sede OCSE, mentre i paesi al di sotto

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della soglia rientrano nella 2° categoria. I paesi di 2° categoria potranno beneficiare di dilazioni di pagamento superiori rispetto ai paesi di 1° categoria. Solitamente fino ad otto anni e mezzo aumentabili anche a dieci in determinati casi.

PRODOTTI ASSICURATIVI SACE

SACE è chiamata oggi a competere sul mercato globale spostando sempre più l’attenzione sul rischio commerciale e dando priorità alle Piccole e Medie Imprese attraverso una maggiore diversificazione del portafoglio.Prevalgono, tra le tipologie di prodotto, le operazioni di credito fornitore e di finanza strutturata, le polizze multiexport per dilazioni di pagamento a breve, il credit insurance concesso a favore delle banche per i crediti alle imprese.La SACE offre alle aziende la possibilità di competere sui mercati internazionali consentendo una gestione “senza rischi” delle transazioni commerciali di carattere internazionale, attraverso la garanzia parziale o totale delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate (es. esecuzione lavori).I prodotti assicurativi variano in base:

- alla dilazione concessa al cliente/debitore (fino a 24 mesi oppure oltre i 24 mesi);

- al destinatario della copertura, se cioè l’assicurato è lo stesso esportatore contraente la polizza assicurativa oppure una banca;

- alla tipologia dello strumento che può essere solo di tipo assicurativo, oppure abbinato ad un finanziamento.

TIPOLOGIE DI POLIZZE SACE E SACE BT

L’impresa internazionalizzata deve concepire l’assicurazione dei crediti export come una strategia aziendale capace di rendere l’impresa stessa più competitiva sul mercato estero. L’impresa potrà scegliere la polizza più confacente alla propria attività che le consentirà di proporre pagamenti dilazionati più vantaggiosi per la controparte estera ed una maggiore liquidità oltrechè certezza del credito.

Presentiamo di seguito alcuni prodotti assicurativi offerti da SACE:

- la Polizza Credito Fornitore

- la Polizza Lavori

- la Polizza Investimenti

- la Polizza Fideiussioni

- la Polizza Credito Acquirente

Polizza credito fornitore

La “Polizza Credito Fornitore” è lo strumento con cui le imprese esportatrici italiane possono garantirsi contro uno o più rischi derivanti dall’esecuzione di un singolo contratto (esportazione di merci, prestazione di servizi, studi e progettazioni all’estero).Le imprese produttrici ed esportatrici di impianti e macchinari spesso si avvalgono di questo prodotto assicurativo.La Polizza Credito Fornitore assicura le vendite all’estero dal rischio di mancato incasso e revoca del contratto. Copre, inoltre, l’assicurato, dal rischio di indebita escussione delle fideiussioni rilasciate nell’ambito delle attività di esportazione nonché dal rischio di distruzione e confisca dei beni esportati. Tra i vantaggi, che la sottoscrizione della Polizza Credito Fornitore offre all’operatore economico, vi è senza dubbio una maggiore competitività conseguente alla concessione di migliori condizioni di pagamento alla controparte estera; una migliore liquidità attraverso lo smobilizzo anticipato del credito con lo sconto pro-soluto dei titoli di credito presso una banca - voltura della polizza; la sicurezza derivante dalla certezza dell’incasso anche in caso di insolvenza del debitore.

L’esportatore, contraente la Polizza credito fornitore, può cedere i benefici della polizza a favore di una banca a cui trasferire tutti i diritti derivanti dalla stessa, in questo modo si ha la Voltura della polizza credito fornitore.

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La polizza di assicurazione con “voltura” SACE nasce nell’aprile del 2002 per soddisfare l’esigenza, sempre più frequente, di offrire, ai produttori di beni strumentali e agli acquirenti esteri, dilazioni di pagamento nel medio/lungo periodo, senza che gli stessi debbano ricorrere al sistema bancario per il rilascio di garanzie di pagamento e/o l’emissione di lettere di credito documentarie.La polizza di assicurazione “volturabile” SACE consente, infatti, agli esportatori (soprattutto di beni strumentali) di disporre di uno strumento che permette di scontare pro soluto (ovvero senza la possibilità di rivalsa), almeno per la parte coperta dall’assicurazione, i crediti vantati nei confronti delle imprese importatrici. Tali crediti dovranno essere rappresentati da cambiali pagherò (promissory notes), senza che le stesse siano avallate e/o garantite da primarie banche.

Polizza Lavori

La Polizza Lavori assicura l’impresa, impegnata in lavori civili, o nella realizzazione di forniture con posa in opera, contro i rischi che potrebbero verificarsi nel corso di esecuzione della commessa o nel periodo di pagamento a seguito di eventi politici e/o commerciali. Si rivolge ad imprese italiane di costruzioni o di impiantistica o loro controllate/collegate estere, che eseguono lavori o fornisco impianti chiavi in mano.La Polizza Lavori offre i seguenti vantaggi:- minimizzazione dei rischi connessi alla realizzazione di lavori/impianti all’estero;- copertura di cash-flow negativo che potrebbe verificarsi durante l’esecuzione del progetto;- copertura del rischio di produzione, tramite indennizzo dei costi sostenuti, a seguito di un’eventuale

revoca del contratto;- copertura del credito.

Polizza Investimenti

La polizza investimenti è una polizza che permette di assicurare gli investimenti compiuti all’estero dalle imprese italiane, realizzati direttamente ma anche indirettamente mediante società costituite all’estero purché controllate dall’impresa nazionale. Si rivolge ad imprese italiane che costituiscono o partecipano al capitale di società estere. La Polizza Investimenti si applica anche all’investimento realizzato da una controllata estera di una impresa o banca italiana.L’impresa italiana che sottoscrive una Polizza Investimenti può sentirsi sicura poiché l’investimento sarà protetto dal rischio politico, inoltre, attraverso la cessione dei diritti di polizza ad una controparte bancaria avrà migliori condizioni di finanziamento e sarà più competitiva sui mercati ad alto potenziale.

Polizza Fideiussioni

SACE con la Polizza Fideiussioni controgarantisce le garanzie (Bonds) emesse per conto dell’esportatore a favore di importatori esteri senza che vengano intaccate le linee di credito e di affidamento dell’assicurato/ordinante la garanzia.Le garanzie oggetto della richiesta di copertura sono le seguenti:- garanzie di partecipazione a gare d’appalto (bid bonds);- garanzie di restituzione di anticipi (advance payment bonds);- garanzie di buona esecuzione della commessa (performance bonds);- garanzie di svincolo delle ritenute (money retention bonds).Questo tipo di polizza si rivolge a Banche e a Compagnie di assicurazione che emettono fideiussioni per conto di aziende italiane che effettuano forniture, lavori, servizi ed investimenti all’estero.L’esportatore che sottoscrive una Polizza Fideiussioni potrà disporre di risorse finanziarie non venendo intaccate le linee di credito dell’ordinante.

Polizza Credito Acquirente

La polizza credito acquirente consente all’esportatore di limitare i rischi legati ad una controparte di un paese poco affidabile. Una singola banca o un pool di banche erogano un finanziamento all’importatore di un paese estero per il pagamento a vista di esportazioni, prestazioni di servizi, studi e lavori effettuati da imprese italiane all’estero. Questa operazione conosciuta anche con il termine inglese buyer’s credit., viene costruita “su misura” per finanziare importanti forniture italiane di beni durevoli o impianti a committenti, di norma pubblici, di paesi

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terzi che, per vari motivi, non possono o non vogliono regolare in contanti.Si rivolge a Banche italiane o estere che finanziano direttamente una controparte estera (Stato, banche, imprese private o enti pubblici).La polizza credito acquirente consente all’importatore di dilazionare il pagamento con rate costanti e semestrali, a tassi fissi o variabili e di contro, permette all’esportatore italiano di ricevere il corrispettivo, della fornitura che, generalmente, prevede dilazioni dai 5 ai 10 anni nell’arco di pochi mesi.

Tra i prodotti offerti da SACE BT vi sono:

Polizza Multiexport

La polizza Multiexport, gestita da SACE BT S.p.A., è uno strumento assicurativo la cui caratteristica è la rotatività del fido concesso, particolarmente indicata per gli esportatori che effettuano forniture a clienti esteri, residenti in uno o più Paesi, con carattere di ripetitività.Per rotatività del fido concesso si intende che, il massimale di credito che SACE BT attribuisce a ciascun cliente dell’assicurato, si reintegra sulla base dei pagamenti effettuati dal debitore alle scadenze dovute, rendendosi automaticamente disponibile per i crediti relativi alle forniture successive.La polizza Multiexport , per le sue peculiarità, risponde alle esigenze di piccole e medie imprese (PMI), oltre che di imprese di grandi dimensioni (GI) che effettuano forniture sui mercati esteri a uno o più clienti abituali con dilazioni di pagamento non superiori ai 12 mesi.

Polizza Multimarket

SACE BT oltre alla polizza Multiexport, offre come prodotto assicurativo anche la polizza Multimarket Globale.La Multimarket permette di assicurare il fatturato dilazionato (massimo 12 mesi) concesso sia a compratori esteri che a compratori italiani (Polizza Multimarket Globale). Copre il rischio di mancato rimborso dei crediti causato direttamente ed esclusivamente dal verificarsi di uno o più degli Eventi Generatori di Sinistro di natura politica e commerciale. Ha carattere di globalità non permettendo una selezione dei rischi da coprire anche se è ammesso il principio della globalità limitata per classi omogenee di rischio.

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38. Il credito documentario

Il credito documentario è senza dubbio la forma di pagamento più sicura per l’impresa che vende all’estero, poiché l’impegno ad eseguire il pagamento a favore del venditore (beneficiario) è assunto da una banca che, su ordine del proprio cliente (ordinante) e contro presentazione di documenti conformi, promette al beneficiario del credito di onorare lo stesso, pagando, cioè, a vista o ad una certa data differita, nel caso di credito utilizzabile per pagamento a vista o differito o accettando una tratta scadente a vista o ad una certa data impegnandosi poi a pagarla alla scadenza, nel caso di crediti di accettazione.

Con il credito documentario è la banca che diviene debitrice nei confronti del venditore/beneficiario del credito stesso, sostituendosi al compratore (ordinante del credito) nell’impegno alla prestazione.In questo modo il venditore si sente rassicurato circa l’incasso del proprio credito, in quanto ha la certezza di ricevere, da parte della banca, il pagamento della fornitura oggetto del contratto stipulato con il compratore qualora (spedita la merce), presenti i documenti richiesti nel credito rispettando i termini e le condizioni prescritte nello stesso.

Il compratore/ordinante il credito, di contro, in virtù del mandato conferito alla banca, si aspetta di essere addebitato solo quando i documenti relativi alla spedizione giungeranno alla banca emittente e risulteranno conformi alle condizioni e ai termini pattuiti con il venditore e prescritti nel testo del credito.

La banca in modo diretto ed autonomo assume l’impegno di effettuare la prestazione (pagamento a vista o differito, o accettazione di tratte scadenti a vista o ad una certa data o negoziazione) a favore del beneficiario, senza alcuna restrizione imputabile dall’ordinante, eseguendo, così, il mandato conferitole dallo stesso di verificare la correttezza dei documenti prima di qualsiasi prestazione.

IL CREDITO DOCUMENTARIO SI BASA ESCLUSIVAMENTE SUI DOCUMENTI E NON SULLE MERCI, SERVIZI O ALTRE PRESTAZIONI OGGETTO DEL RAPPORTO CONTRATTUALE.

Questo strumento di pagamento rappresenta, quindi, una soluzione di sicuro vantaggio per il venditore che, con l’emissione del credito documentario a suo favore, vede superato il “rischio commerciale” essendo la banca emittente ad impegnarsi irrevocabilmente ad onorare la prestazione promessa alle scadenze prescritte nel testo del credito. Per non vanificare tale sicurezza circa il pagamento, è indispensabile che il venditore abbia molta cura nella redazione dei documenti da presentare.

NORME ED USI UNIFORMI RELATIVI AI CREDITI DOCUMENTARI (NUU)

Questa forma di pagamento che, come abbiamo visto, si basa su presentazione di documenti dei quali solo la banca ne deciderà la conformità e, quindi, in ultima analisi, se eseguire o meno la prestazione promessa, è diventata - negli ultimi decenni - la più usata nelle transazioni commerciali internazionali, soprattutto con quei Paesi dove il “rischio paese” è elevato.

Proprio per la diffusione e l’importanza che da sempre ha rappresentato e per favorire uniformità nella pratica, si è sentita, a livello internazionale, la necessità di avere delle norme che regolamentassero questa operazione.

Si arrivò, così, ad opera della Camera di Commercio Internazionale (CCI), ad elaborare le Norme ed Usi Uniformi relative ai crediti documentari, conosciute con la sigla NUU (in inglese UCP), che entrarono in vigore per la prima volta nel lontano 1933 con il nome di “regole di Vienna” essendo state, approvate, per l’appunto a Vienna. Seguirono, nel corso degli anni varie revisioni, la cui ultima versione è stata approvata a Parigi nel mese di ottobre del 2006 con la pubblicazione n. 600, in vigore dal 1° luglio 2007. Scopo delle NUU relative ai crediti documentari, adottate dalla stragrande maggioranza dei paesi nel mondo è, dunque, quello di favorire uniformità nella pratica di questa forma di pagamento e di garantire una interpretazione uniforme nella valutazione dei documenti presentati ad utilizzo dello stesso.

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CARATTERISTICHE DEL CREDITO DOCUMENTARIO

Per una efficace gestione del credito documentario è importante conoscere la natura giuridica di tale operazione, caratterizzata dai principi di Autonomia – Astrattezza – Formalismo.

Autonomia

L’operazione è per sua natura totalmente indipendente (autonoma) dal contratto di vendita (o da altri contratti), da cui trae origine. Quando la banca si impegna nei confronti del beneficiario, sia essa la banca emittente o la banca confermante, assumendo la veste di obbligato principale, dà vita ad una obbligazione diretta ed autonoma in favore del medesimo indipendentemente dallo status giuridico del compratore e, se il credito è confermato, della banca emittente.

Astrattezza

Il carattere dell’astrattezza deriva dalla mancanza di qualsiasi connessione del credito documentario con ilcontratto sottostante, tanto da esserne totalmente svincolato e di avere vita propria, motivo per cui le banche non possono sollevare eccezioni e/o eccepire obiezioni se non derivanti dai documenti. Eventuali divergenze devono essere regolate al di fuori del credito documentario, direttamente tra il compratore e il venditore. L’art. 1530 del codice civile stabilisce che sono soltanto tre le eccezioni opponibili da parte delle banche:

l’incompletezza dei documenti; l’irregolarità dei documenti; l’inosservanza, da parte del beneficiario, delle condizioni, dei modi e dei termini stabiliti dalla

banca per l’esecuzione del proprio impegno.

Formalismo

Le banche chiamate ad esaminare i documenti del credito documentario, si baseranno esclusivamente sull’aspetto formale degli stessi e non sul loro valore sostanziale o sulle merci e/o servizi che questi rappresentano.

FORMA DEL CREDITO DOCUMENTARIO

Con la pubblicazione n. 600, in vigore dal 1° gennaio 2007, il credito documentario sarà emesso soltanto in forma irrevocabile con assunzione dell’impegno assunto nei confronti del beneficiario che non potrà essere disatteso, salvo nei casi in cui la presentazione dei documenti richiesti ad utilizzo del credito, dovesse risultare non conforme.Quando la fornitura del bene e/o del servizio è destinata ad un importatore residente in un paese industrializzato, classificato da SACE in categoria 0 oppure 1, vuol dire che si è in presenza di un rischio di credito di natura solo commerciale e, di conseguenza, è sufficiente per l’esportatore concordare un pagamento a mezzo credito documentario emesso in forma irrevocabile non confermato.

Se, invece, le forniture sono destinate in Paesi che presentano livelli di rischio di credito più o meno accentuati (Paesi classificati da SACE in classe B e C ed in categoria dalla 2 in poi, che non sono di natura solo commerciale ma soprattutto politica), non basta l’emissione di un credito irrevocabile non confermato che permette di chiudere il solo rischio commerciale ma è necessario prevedere la conferma del credito stesso.Con la conferma del credito, all’impegno della banca emittente a favore del beneficiario/esportatore, va ad aggiungersene uno autonomo ed irrevocabile da parte di un’altra banca, detta “banca confermante”.

La conferma del credito da parte di altra banca permette, quindi, al venditore/beneficiario di coprire il “rischio paese” ed il rischio “banca emittente” in quanto è la banca confermante che, generalmente, è la banca indicata dallo stesso venditore o, se non possibile, un’altra banca italiana oppure, comunque, una banca primaria di un paese occidentale che si assume l’impegno ad eseguire la prestazione indipendentemente ed autonomamente rispetto all’impegno assunto dalla banca emittente, sempre che, ovviamente, i documenti presentati entro i termini di validità del credito risultino perfettamente conformi ai

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termini e condizioni del credito stesso secondo quanto sancito dalle Norme ed usi uniformi relative ai credito documentari.

PROTAGONISTI DEL CREDITO DOCUMENTARIO

Le parti che intervengono in una operazione di credito documentario sono:

l’ordinante (applicant) è l’acquirente che, concluso il contratto con il venditore, darà istruzioni alla propria banca circa l’emissione del credito documentario;

la banca emittente (issuing bank) è la banca che, su incarico dell’ordinante, emette il credito documentario a favore del venditore/beneficiario impegnandosi ad eseguire una prestazione che riguarderà il pagamento, l’accettazione o la negoziazione;

la banca avvisante (advising bank) è la banca su cui viene appoggiata l’apertura del credito documentario e che, a sua volta, avvisa il beneficiario dell’emissione del credito, allegando copia dello stesso;

la banca designata (nominated bank) è la banca autorizzata dal credito ad effettuare la prestazione secondo le modalità indicate dalla banca emittente. Di solito è la stessa banca avvisante che, pur non avendo alcun obbligo ad effettuare la prestazione, salvo il caso in cui se richiesto, confermi il credito, può, al momento dell’utilizzo, o in un momento successivo eseguire la prestazione prevista dal credito stesso a favore del beneficiario;

la banca confermante (confirming bank) è la banca che, su richiesta o autorizzazione della banca emittente, aggiunge il proprio impegno ad effettuare la prestazione;

il beneficiario (beneficiary) è il venditore a favore del quale viene emesso il credito e che riceverà la prestazione solo quando consegnerà alla banca, nel luogo prescritto e conformemente a quanto indicato, i documenti richiesti dal credito;

la banca rimborsante (reimbursement bank) è la banca che provvederà, su istruzioni della banca emittente, a rimborsare la banca che ha effettuato la prestazione;

la banca trasferente (transferring bank), è la banca designata, la stessa banca emittente o una banca espressamente autorizzata dalla banca emittente che, su richiesta del primo beneficiario del credito documentario, emesso in forma trasferibile, trasferisce il credito originariamente emesso a favore di uno o più secondi beneficiari.

ARTICOLAZIONE DEL CREDITO DOCUMENTARIO

L’operazione del credito documentario presenta un’articolazione piuttosto complessa e si caratterizza per una forte interattività tra le parti interessate che sono chiamate ad operare sinergicamente, affinché l’intero

FORMA DEL CREDITO DOCUMENTARIO

Senza designazione

Con designazione

Senza conferma

Con confermaSenza

conferma

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processo giunga correttamente a conclusione.In dettaglio, l’operazione si sviluppa come segue:

il compratore e il venditore, concluso il contratto di vendita, dovranno concordare tutti gli elementi che saranno oggetto dell’emissione del credito documentario ed entro quando lo stesso dovrà essere notificato al venditore;

il compratore (ordinante), in conformità agli accordi stipulati nel contratto di vendita, darà istruzioni alla propria banca di emettere il relativo credito documentario a favore del venditore (beneficiario);

la banca che riceve la richiesta, prima di dar seguito al mandato ricevuto, esaminerà l’operazione sotto l’aspetto fiduciario. Soltanto in presenza di apposite garanzie (precostituzione dei fondi) sarà disposta ad aprire il credito. L’accettazione di questo impegno da parte della banca è l’assunzione di una obbligazione autonoma rispetto a quella del compratore nei confronti del venditore;

la banca dell’ordinante/compratore (banca emittente) apre il credito documentario a favore del venditore/beneficiario inviandolo via swift alla banca indicatagli dall’ordinante e che, normalmente, si trova nella località in cui risiede il venditore;

tale banca corrispondente (banca avvisante), ricevuto il testo dell’apertura di credito documentario, provvede a trasmetterlo al venditore dopo averne, comunque, esaminata l’autenticità (controllo firme e/o chiavi);

nel caso il credito lo richieda e sempre che sia disposta a farlo, la banca avvisante potrà confermare il credito documentario assumendosi anch’essa l’impegno irrevocabile ad eseguire la prestazione a favore del beneficiario;

al ricevimento del testo del credito il venditore/beneficiario controllerà che il credito sia stato emesso secondo gli accordi presi con il compratore e se è in grado di rispettare tutti i termini e le condizioni fissate nel credito;

se da tale controllo risulta che non è in grado di rispettare anche una sola condizione o che la stessa non corrisponde a quanto pattuito, dovrà contattare immediatamente il compratore e chiedere di apportare una modifica al credito documentario;

se, invece, il credito documentario è stato emesso conforme al contratto di compravendita e se le condizioni in esso contenute possono essere rispettate, il venditore preparerà la merce e la spedirà al compratore;

a spedizione avvenuta, il venditore provvederà a riunire i documenti richiesti e a consegnarli alla banca indicata nel credito entro la data di validità del credito per il relativo utilizzo;

la banca che riceve i documenti, se ha aggiunto la “conferma” al credito, avrà tempo CINQUE giorni lavorativi, successivi al giorno di ricevimento, per esaminarli ed accertare la loro conformità;

nel caso accetti i documenti, in quanto conformi ai termini e alle condizioni previste nel credito, potrà eseguire e/o impegnarsi ad eseguire (a seconda dei casi) la prestazione a favore del venditore/beneficiario;

la banca, dopo aver eseguito – se del caso – la prestazione a favore del beneficiario, a seconda dei casi, invierà i documenti alla banca emittente;

la banca emittente avrà tempo anch’essa CINQUE giorni lavorativi successivi alla data di ricezione dei documenti per esaminarli e controllarne la conformità. Li consegnerà, quindi, all’ordinante addebitandogli l’importo a vista o a scadenza (a seconda dei casi);

il compratore con i documenti si recherà in dogana e potrà, così, sdoganare e ritirare la merce; nel caso in cui i documenti esibiti dal beneficiario presentino delle irregolarità significative rispetto

a quanto prescritto dal credito, la banca è tenuta a comunicare al beneficiario le irregolarità riscontrate e a chiedere autorizzazione all’invio dei documenti sotto riserva, venendo così meno all’impegno assunto, causa la non conformità dei documenti.

FASI DEL CREDITO DOCUMENTARIO

L’operazione di credito documentario si sviluppa attraverso fasi successive conseguenti alla transazione commerciale instaurata tra venditore e compratore e che esaminiamo una ad una al fine di comprendere meglio il loro significato ed il linguaggio delle banche.

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L’accordo fra le parti

Quando il pagamento è un credito documentario, risulta essenziale concordare con la controparte ogni aspetto dell’accordo commerciale ed in particolare occorre definire tutti i punti in cui si articolerà il credito stesso. Non è consigliabile, infatti, lasciare alla controparte piena libertà circa le istruzioni che dovrà fornire alla propria banca per l’emissione del credito stesso.È importante, quindi, magari con l’aiuto di formulari appositamente predisposti, indicare:

a) gli elementi essenziali oggetto dell’apertura del credito documentario;

b) entro quando il credito documentario dovrà essere notificato al beneficiario affinché lo stesso possa dare esecuzione all’ordine ricevuto (ad esempio, produrre e spedire la merce) entro i tempi accordati oppure vincolare la consegna della merce a decorrere dalla data di ricevimento della notifica del credito documentario.

Fasi del credito documentario

L’accordo fra le parti L’incarico del compratore alla propria banca per l’emissione L’emissione del credito documentario La notifica del credito documentario L’eventuale conferma del credito documentario Le eventuali modifiche L’utilizzo del credito documentario L’esame dei documenti Il regolamento del credito documentario

L’incarico del compratore alla propria banca per l’emissioneIl compratore, in conformità agli accordi presi con il venditore, darà istruzioni alla propria banca per l’emissione del credito documentario a favore del beneficiario.Soltanto se il compratore/ordinante sarà in grado di offrire adeguate garanzie per la costituzione dei “fondi”, la banca sarà disposta ad emettere il credito documentario.

L’emissione del credito documentarioL’emissione del credito documentario corrisponde al momento in cui una banca, su istruzione del compratore (ordinante), emette il credito a favore del venditore (beneficiario), dandone avviso ad una banca nella piazza del venditore.Anche se il credito documentario viene a volte ancora emesso per posta, ormai le banche di tutto il mondo utilizzano il sistema swift ed, in particolare, il formato Swift MT 700 che riguarda la fase di emissione.Ricordiamo che, con l’emissione del credito documentario, la banca emittente si assume un impegno inderogabile ad onorare il credito a condizione, però, che i documenti presentati ad utilizzo dello stesso siano conformi ai termini e alle condizioni del credito, secondo quanto stabilito dalle NUU.

La notifica (avviso) di un credito documentarioLa notifica di un credito documentario corrisponde al momento in cui la banca, che riceve il messaggio di apertura del credito, informa il beneficiario dell’avvenuta emissione del credito documentario a suo favore, inviandogli una copia. La notifica del credito può avvenire:

senza alcun impegno e responsabilità da parte della banca; in tal caso la banca notificante ha il solo obbligo di dare avviso, senza ritardo, al beneficiario dell’avvenuta emissione, dopo aver accertato l’autenticità del messaggio ricevuto; se, però, la banca emittente designa detta banca ad operare per conto suo e quest’ultima accetta la designazione, potrà, su autorizzazione ricevuta, verificare la conformità dei documenti e, se del caso, eseguire la prestazione per conto della banca emittente;

con impegno irrevocabile ed autonomo a pagare, ad accettare o a negoziare nel caso in cui, su richiesta della banca emittente, aggiunga la conferma del credito.

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Emissione del credito documentario

La conferma di un credito documentarioCome già visto, la conferma di un credito corrisponde al momento in cui una banca, diversa dalla banca emittente, su richiesta ed autorizzazione della stessa, si impegna direttamente nei confronti del beneficiario ed autonomamente rispetto all’impegno assunto dalla banca emittente, ad eseguire la prestazione (il pagamento, l’accettazione o la negoziazione), sempre che i documenti presentati siano conformi ai termini e alle condizioni del credito.

Le condizioni che devono verificarsi per avere la conferma sono quattro:

1. che la stessa sia espressamente richiesta dalla banca emittente, con frasi del tipo «confirm» o semplicemente «with» oppure con “may add”;

2. che la banca, a cui la conferma è richiesta, sia disposta a farlo; sarà disposta a farlo se il Paese della banca emittente risulta “assicurabile”, se cioè SACE, altre compagnie di assicurazione o gruppi bancari internazionali hanno concesso linee di credito aperte su quel Paese e, quindi, sono disposte a fornire la copertura assicurativa, oppure se la stessa banca a cui è richiesta la conferma abbia concesso linee di credito alla banca emittente;

3. che la banca emittente, che richiede la conferma, risulti essere “gradita”, cioè affidabile e solvibile;4. che il credito risulti essere “utilizzabile” sulle casse della banca cui è richiesta la conferma.

Un credito documentario confermato è consigliabile nel caso di Paesi a “rischio”, che non offrono adeguate garanzie circa il mantenimento della promessa alla prestazione contenuta nel testo del credito.Nel caso in cui non sia possibile la conferma del credito perché, ad esempio, il Paese in cui risiede la banca emittente è un Paese considerato non assicurabile, le soluzioni alternative che si possono adottare potrebbero consistere:

1. nell’apertura del credito documentario da parte di una banca appartenente ad un paese diverso da quello in cui risiede il cliente: questa possibilità sussiste nel caso in cui il cliente stesso intrattenga rapporti di conto con banche di paesi non ritenuti “a rischio” e possa disporre di linee di credito attive presso le stesse;

2. nella possibilità di canalizzare l’emissione del credito documentario su di una banca in un paese diverso dall’Italia disposta ad assumersi l’impegno alla prestazione. Ad esempio, per una fornitura in Sudan, difficilmente un esportatore troverà una banca italiana disposta a confermare il credito emesso da una banca sudanese mentre, al contrario, potrà trovare, ad esempio, una banca tedesca o svizzera disposta a farlo che provvederà, poi, a comunicare l’emissione e la conferma attraverso una banca italiana;

VENDITOREESPORTATORE

(Beneficiary)

ACQUIRENTE IMPORTATORE

(Applicant)

BANCA EMITTENTE(Issuing bank)

BANCAAVVISANTE

(Advising/nominated and/or confirming

bank)

1

conclusione di contratto di fornitura

4

2

3

emissione del credito

avviso dell’avvenuta emissione del credito con

eventuale conferma

incarico di aprire il credito documentario

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3. nell’esistenza di “linee di credito”, chiamate open concesse dallo Stato italiano a favore dello Stato in cui risiede il compratore e nella possibilità che le stesse possano essere utilizzate. Il credito documentario potrà, in tal caso, essere emesso a valere su tale linea di credito, offrendo al venditore la sicurezza circa l’incasso;

4. nella possibilità di scontare “pro soluto”, con la tecnica del forfaiting, la lettera di credito che dovrà, comunque, prevedere un utilizzo per accettazione di tratta a scadenza;

5. nell’opportunità da parte della propria banca, di rilasciare a favore del beneficiario una Silent Confirmation un impegno, cioè, al di fuori della Lettera di credito, a pagare il credito documentario in caso di insolvenza della banca emittente o del paese in cui risiede la banca emittente oltre il rischio tecnico dei documenti.

La modifica di un credito documentarioModificare un credito documentario vuol dire cambiare uno o più termini del credito stesso a causa, ad esempio, dell’impossibilità del compratore e/o del venditore di rispettare una o più condizioni fissate nel credito originario.Perché la modifica produca gli effetti voluti, occorre che ci sia l’accordo di tutte le parti che intervengono nell’operazione (beneficiario - ordinante - banca emittente - banca designata e/o confermante - banca avvisante - eventuali altre parti che dovessero intervenire nell’operazione) e che venga notificata per iscritto dalla banca avvisante, direttamente al beneficiario.

L’utilizzo di un credito documentarioUtilizzare un credito vuol dire presentare i documenti richiesti al fine di ottenere la prestazione prevista dal credito e, cioè, il pagamento o l’accettazione o la negoziazione.I documenti richiesti devono essere presentati dal venditore/beneficiario entro la “data di scadenza” del credito nel “luogo” indicato nel testo del credito che può essere:

- presso la banca avvisante, designata o confermante, oppure; - presso qualsiasi banca nella piazza del venditore, oppure;- presso la banca emittente.

Qualora il luogo di consegna corrisponda ai primi due casi, il venditore si troverà in una situazione preferenziale, perché potrà adempiere alla prestazione presentando i documenti entro i termini prescritti dal credito alla propria banca o ad una banca qualsiasi sulla piazza del venditore (solo per i crediti di negoziazione) che potrà eseguire, se così previsto e se riterrà di poterlo fare, la prestazione prescritta. In questo caso è la banca designata e/o confermante che è chiamata a pagare (a vista o a scadenza), ad accettare tratte (a vista o a scadenza), emesse su sé stessa o a negoziare i documenti presentati ad utilizzo del credito. Il rischio “viaggio” (smarrimento) dei documenti è a carico dell’ordinante.

Se, invece, è la banca emittente che deve ricevere i documenti entro la data di scadenza del credito (utilizzo presso le casse della banca emittente), questi dovranno essere consegnati alla banca avvisante con notevole anticipo, per poter dar modo a quest’ultima di farli pervenire alla banca emittente entro la scadenza del credito. I documenti, in quest’ultima ipotesi, viaggiano a rischio del beneficiario. È assolutamente da evitare un accordo che preveda questa modalità di utilizzo, in quanto ciò comporta che i documenti debbano arrivare, entro la data di scadenza, presso le casse della banca del compratore, con rischio di ritardi e di smarrimenti.Se un credito documentario deve sempre indicare una “data” ed un “luogo” di scadenza, esso deve anche precisare la “modalità” di utilizzo che può essere, a seconda dei casi:

a) per pagamento (by payment): quando impegna la banca emittente, la banca confermante o la banca incaricata ad effettuare un pagamento (designata) che può essere: a vista (at sight), se da effettuarsi all’atto stesso del ritiro dei documenti in regola, o differito (by deferred), se da effettuarsi posteriormente al ritiro dei documenti in regola ad una certa data prefissata;

b) per accettazione (by acceptance): quando la banca emittente o confermante e/o designata appone la sua firma d’accettazione sulla tratta (scadente a vista o ad una certa data) che il beneficiario presenta unitariamente ai documenti prescritti dal credito. Le banche italiane, tuttavia, sono solite rilasciare una lettera con la quale si impegnano ad effettuare la prestazione alla scadenza prevista senza che sia necessario presentare la tratta

c) per negoziazione (by negotiation): quando prescrive, per l’utilizzo, la presentazione di documenti accompagnati o meno da tratte scadenti a vista emesse dal beneficiario sulla banca emittente o su una terza banca, con possibilità, per il beneficiario, di negoziarle presso qualsiasi

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banca di suo gradimento disponibile a negoziare (credito di libera negoziazione) oppure presso una banca espressamente determinata (credito a negoziazione ristretta).

L’esame dei documenti nel credito documentarioLa fase relativa alla presentazione dei documenti è molto importante perché dal controllo che le banche effettueranno, per accertarne la conformità formale alle prescrizioni del credito, dipende l’accettazione o il rifiuto degli stessi e, quindi, di conseguenza, l’effettuazione della prestazione promessa. Pertanto, per evitare di perdere gli effetti che derivano da questo mezzo di pagamento, occorrerà prestare particolare attenzione alla redazione dei documenti stessi.

È importante, inoltre, ricordare che tale operazione è soggetta alle NUU che sanciscono, tra le altre cose, il principio che la conformità formale dei documenti sarà accertata secondo quella che viene denominata «la prassi bancaria internazionale», in sigla PBIU. A tal riguardo è opportuno ricordare che:

gli adempimenti richiesti dal credito sono sempre prioritari rispetto a quanto sancito dalle NUU e dalle Regole di cui sopra;

non è possibile prevedere le situazioni che si possono incontrare ma, seguendo i principi fissati nelle NUU, rifacendosi alla prassi bancaria, “International Standard Banking Practice” (ISBP), contenente i criteri uniformi per il controllo dei documenti, tenendo conto delle procedure interne di ogni banca e delle eventuali norme statali, è possibile per l’impresa presentare i documenti in forma corretta e per l’esaminatore trattare gli stessi con successo.

Le eccezioni che le banche sollevano circa la non conformità dei documenti alle condizioni e ai termini del credito sono frequenti e rappresentano, in molti casi, la regola. Questo dà origine alle:

riserve interne, se trattasi di irregolarità di lieve entità che non andranno segnalate alla banca emittente ma soltanto al beneficiario;

riserve esterne, se trattasi di irregolarità gravi che andranno, invece, segnalate alla banca emittente e che impediscono la prestazione alla banca di adempiere all’impegno di onorare il credito.

Il beneficiario di un credito, per evitare che questo accada, deve, come già sottolineato:

esaminare con molta cura ogni singolo documento nel contesto delle altre attestazioni documentali al fine di non pregiudicare l’esito di tutta l’operazione mercantile;

presentare tutti i documenti privi di possibili irregolarità e/o contraddizioni tra di loro riguardo al contenuto.

Il rimborso del credito documentarioTutti i crediti documentari contengono le istruzioni impartite dalla banca emittente alla banca confermante e/o alla banca designata circa le modalità in cui avverrà il rimborso dell’importo da riconoscere al beneficiario.Al fine di porre delle regole uniformi circa i rimborsi che avvengono tra banche a valere sulle Lettere di credito, la CCI ha elaborato delle norme applicabili a tutti i Paesi: la pubblicazione n. 525 relativa alle «Uniform rules for bank-to-bank reimbursement under documentary credits», in sigla URR in vigore dal 1º luglio 1996.Gli aspetti innovativi ed importanti per gli operatori riguardano quanto segue:

1. il fatto che la banca rimborsante che, su richiesta della banca emittente, accetta l’incarico di rimborso, si assume un impegno irrevocabile ad onorare la richiesta di rimborso nei confronti della banca indicata nell’autorizzazione al rimborso, cioè la banca del beneficiario;

2. la banca rimborsante avrà un ragionevole periodo di tempo che non dovrà eccedere i tre giorni lavorativi successivi al giorno di ricezione del reclamo per effettuare il rimborso

CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI

Da quanto esaminato, il credito documentario se da una parte risulta essere senza dubbio la forma di pagamento più articolata fra quelle esistenti, nel contempo però, è quella che offre al venditore le maggiori garanzie circa la sicurezza dell’incasso e al compratore la certezza di pagare solo a presentazione dei documenti conformi a quanto ordinato.Per sintetizzare i vantaggi che derivano da questa operazione, possiamo dire che le parti godranno di:

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certezza di pagamento nei termini: il venditore ha la certezza di essere pagato nei termini convenuti, qualora presenti tutti i documenti richiesti secondo le modalità stabilite; il debitore non potrà ostacolare o bloccare il pagamento, poiché è la banca il soggetto deputato al pagamento;

programmazione della produzione: il venditore ha il vantaggio di poter predisporre la merce solo dopo che gli sia stata notificata l’apertura del credito; ciò gli consente di programmare la produzione in anticipo e di non stravolgere i piani aziendali;

sicurezza per il compratore: il compratore ha la certezza che la banca pagherà solo dopo la spedizione della merce e solo se i documenti sono conformi a quanto pattuito.

Affinché l’esportatore/beneficiario di un credito documentario goda dei benefici sopra elencati è di fondamentale importanza che non trascuri alcuni aspetti dell’operazione che elenchiamo nella Tabella “Check list per una gestione pratico operativa” e di cui elenchiamo alcuni suggerimenti da seguire:

1. Definizione degli accordi in fase contrattuale: tutte le condizioni devono essere formulate in modo chiaro. L’origine dei problemi relativi ad un credito documentario è normalmente legata ad accordi poco chiari o difficili da rispettare. È il venditore che deve dare istruzioni precise - prima che il credito sia aperto - circa l’articolazione del credito, circa le condizioni ed i tempi che dovranno essere rispettati e circa i documenti da presentare in fase di utilizzo.Dovrà, inoltre, indicare al proprio cliente/compratore entro quale data il credito dovrà essergli notificato al fine di poter eseguire l’ordine ricevuto nei tempi e nelle modalità concordate.

2. Gestione del trasporto offrendo al compratore una quotazione CFR/CIF oppure CPT/CIP, a seconda dei casi, come da Incoterms 2000, in modo da poter incaricare uno spedizioniere di fiducia che si occuperà di tutte le fasi del trasporto e ottenere più facilmente la documentazione relativa al trasporto da consegnare in banca ad utilizzo del credito.

3. Conferma: se il venditore vuole che la sua banca confermi il credito, prima di accordarsi con il compratore, deve verificare la disponibilità della propria banca a confermare crediti emessi da banche del Paese del compratore. In particolare, dovrà farsi dire quali sono le banche di cui la propria banca è disposta a confermare un credito e a quali condizioni economiche. Nel caso non fosse disposta, è opportuno valutare soluzioni alternative.

4. Spedizione e scadenza del credito: la data di scadenza del credito indica il momento entro cui devono essere presentati i documenti. Il venditore deve tener conto, nell’indicare la data di scadenza, del tempo che occorrerà per preparare la merce, per spedirla, per entrare in possesso di tutti i documenti e per presentarli alla banca incaricata. È importante, perciò, che tale data decorra dal momento della notifica dell’emissione del credito e non dall’ordine o dalla firma del contratto. In questo modo si evita il rischio di ricevere la notifica dell’apertura di credito e di non poter rispettare i tempi pattuiti per la spedizione e per la presentazione dei documenti.

5. Luogo di utilizzo del credito: deve essere specificato quale è il luogo (quale, cioè, la banca) presso il quale il beneficiario, presentando i documenti, ha diritto ad ottenere la prestazione prevista dal credito (pagamento, accettazione o negoziazione). Nel caso di credito “confermato” il luogo di utilizzo sarà, sempre e comunque, la banca confermante, ma, indipendentemente dal fatto che il credito sia emesso “con conferma” o “senza conferma”, è sempre opportuno che il luogo di utilizzo sia, possibilmente, presso le casse della banca avvisante al fine di evitare il “rischio viaggio” dei documenti che, in caso contrario, sarebbe a carico del beneficiario.

6. Documenti: il venditore deve avere l’assoluta certezza di poter entrare in possesso di tutti i documenti richiesti nella forma prescritta e di poterli presentare in tempo utile. Ciò assume un significato particolarmente importante soprattutto con riferimento al documento di trasporto. Il venditore, inoltre, per essere sicuro di poter entrare in possesso dei documenti, dovrà far sì che l’ottenimento degli stessi dipenda esclusivamente da se stesso, evitando che siano necessarie azioni o comportamenti del compratore (per esempio, il rilascio di un Final Acceptance Test - FAT o di certificato di collaudo, ecc.) o di altri soggetti nominati dallo stesso (agenti, rappresentanti, ecc.).La fase relativa alla presentazione dei documenti è molto importante, perché dal controllo che le banche effettueranno per accertarne la regolarità formale alle prescrizioni del credito, dipende l’accettazione o il rifiuto degli stessi e, quindi, l’effettuazione della prestazione, che consiste nel pagamento a vista, nell’assunzione di un impegno al pagamento differito, nell’accettazione e successivo pagamento (a vista e/o a scadenza) o nella negoziazione.

7. Verifica delle condizioni richieste: al ricevimento del credito documentario, il venditore deve controllare accuratamente che siano state rispettate tutte le istruzioni che aveva dato al

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compratore per l’emissione del credito: importo, scadenza, luogo di utilizzo, modalità di utilizzo, termini di resa, natura del credito, eventuale richiesta della conferma, esattezza dei dati aziendali, possibilità di rispettare le condizioni richieste dal credito riguardo alla merce e ai documenti, assoggettamento dell’operazione alle “Norme ed Usi Uniformi sui Crediti Documentari”. Nel caso in cui si verificassero delle difformità rispetto a quanto pattuito per l’emissione, ciò va subito notificato al compratore, con richiesta di modifica del credito.

8. Correttezza dei documenti e concordanza: al momento della presentazione dei documenti deve essere controllata la completezza e l’esattezza degli stessi, la conformità con quanto richiesto dal credito e la concordanza dei documenti tra loro (la ragione sociale, l’indirizzo, e tutti gli altri dati devono essere gli stessi su tutti i documenti).

9. Gestione del credito documentario: per gestire efficacemente l’operazione di credito documentario, l’operatore dovrà quindi seguire alcune regole ben definite che riportiamo nella tabella che segue.

Check list per una gestione pratico-operativadel credito documentario

Contattare la propria banca per conoscere in via preventiva se è possibile ottenere la conferma del credito e a quali condizioni

Verificare con l’operatore di trasporto la modalità di trasporto per conoscere, sempre in via preventiva, come verrà spedita la merce (mezzo, luogo, tragitto, eventuali trasbordi, documento relativo, ecc.)

Fornire al compratore/ordinante tutte le istruzioni che lo stesso dovrà dare alla banca emittente su come deve essere emesso il credito ed entro quando dovrà essere notificato

Farsi inviare dal compratore, in alternativa a quanto sopra, la domanda di richiesta d’apertura del credito documentario per verificare la possibilità di rispettare le condizioni richieste

Esaminare il testo del credito non appena si riceve la notifica da parte della banca, utilizzando magari una lista di controllo

Evitare di accettare richieste di documenti la cui esibizione dipenda dall’ordinante e accertarsi che i documenti richiesti possano essere prodotti nella forma e secondo i contenuti prescritti

Richiedere le eventuali modifiche nel caso in cui non si sia in grado di ottemperare anche ad una sola condizione prescritta dal credito

Predisporre la merce per tempo con contemporaneo avviso allo spedizioniere per il ritiro della stessa, entro i termini previsti per la spedizione

Preparare i documenti previsti dal credito secondo quanto indicato nel credito stesso nel rispetto delle norme internazionali in materia di crediti (le NUU 600)

Controllare che tutti i documenti – quelli predisposti dal venditore e quelli predisposti da altri (documenti di trasporto, di assicurazione e altri certificati) – siano conformi a quanto indicato nel credito e che i dati contenuti in essi non contrastino tra di loro

Presentare i documenti alla banca (emittente o confermante o designata) entro i termini di validità del credito stesso

Non dimenticare che l’impegno alla prestazione assunto dalla banca emittente e/o dall’eventuale banca confermante decade quando il beneficiario non adempia anche ad una sola delle condizioni prescritte dal credito

Considerare che la banca emittente, designata e/o confermante controllerà i documenti a loro presentati secondo i termini e le condizioni stabilite nel credito, basandosi esclusivamente sull’apparente conformità formale degli stessi e sulla “prassi bancaria internazionale” richiamata dalle NUU pubbl. n. 600, codificata nella pubbl. n. 681 (PBIU) della CCI

Non sottovalutare mai i rischi che comporta un accredito “salvo buon fine” (SBF) e “sotto riserva”

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39. La Stand by Letter of Credit

CARATTERISTICHE DELLA STAND-BY

La lettera di credito “Stand by” è una forma particolare di credito documentario che non costituisce, diversamente dal credito documentario stesso, un impegno diretto della banca (emittente e/o confermante) a pagare, accettare o negoziare ma una garanzia di pagamento che la banca rilascia al beneficiario, impegnandosi irrevocabilmente ad eseguire la prestazione promessa nel caso di inadempimento dell’ordinante.

La banca, pertanto, con la Stand by assume un impegno di tipo passivo, in quanto si attiva solo qualora il compratore/ordinante la Stand by, non paghi regolarmente secondo gli accordi contrattuali.

Rispetto al credito documentario classico, la Stand by semplifica di gran lunga la gestione dell’operazione poiché, nel caso di regolare adempimento da parte del debitore, la sua funzione non viene attivata e non devono essere presentati tutti quei documenti che sono, invece, indispensabili per ottenere il pagamento nelle normali operazioni di credito documentario (e che, spesso, sono fonte di contestazioni).In altre parole, una volta che la lettera di credito Stand by è aperta, i rapporti continuano ad essere intrattenuti direttamente tra compratore e venditore, con il ricorso, per il pagamento, ad un normale bonifico bancario. Se l’accordo sul pagamento prevede, per esempio, una dilazione di 30 giorni dalla data della fattura (o dalla bill of lading), la merce può essere spedita ed il compratore la può ritirare senza attendere la consegna, da parte della sua banca, dei documenti rappresentativi che, diversamente dal credito documentario, gli vengono spediti direttamente dallo stesso venditore o dallo spedizioniere (evitando, così, il rischio che la merce arrivi prima dei documenti e debbano essere pagate le spese di sosta o di immagazzinamento).

Alla data di scadenza del pagamento, se il debitore è inadempiente, il venditore presenta alla banca copie dei documenti previsti dalla Stand by, fra i quali una dichiarazione di mancato pagamento, e gli viene riconosciuto l’importo della fornitura. Ma se il debitore paga regolarmente (come si spera succeda nella maggior parte dei casi), la Stand by non viene attivata e l’operazione si chiude perciò senza ulteriori adempimenti (non va presentato alcun documento) e con un sensibile contenimento in termini di costi e di commissioni bancarie.

L’esportatore che voglia essere garantito circa il pagamento dei crediti derivanti da qualsiasi tipo di obbligazione potrà considerare la Stand by come un utile strumento per tutelarsi in caso di inadempienza della controparte.

Nel caso di forniture singole o distanti nel tempo, è preferibile l’emissione di un credito documentario. Qualora il rapporto con la controparte estera è consolidato e continuativo, o meglio, vi siano forniture ripetitive (un ordine aperto), può essere conveniente utilizzare la Stand by, il cui importo sarà pari alla massima esposizione dell’esportatore (vedi caso di Stand by).

ESEMPIO DI UN CASO DI STAND-BY

Nel caso di un ordine di USD 1.000.000 che preveda 10 forniture da eseguire mensilmente, per un valore di USD 100.000 cadauna, pagabili con bonifico bancario a 60 giorni dalla data di spedizione della merce, il compratore che richiede alla propria banca l’emissione di una Stand by impegnerà il proprio fido, presso la banca emittente, per un importo prudenzialmente di circa 300.000 dollari, che rappresenta il massimo della sua esposizione nei confronti del venditore. Se avesse disposto l’apertura di una lettera di credito avrebbe impegnato il fido per il totale della fornitura, pari, cioè, a USD 1.000.000.Inoltre, avrebbe sostenuto dei costi riguardanti le commissioni fideiussorie per l’utilizzo del fido e le commissioni per l’apertura del credito documentario calcolate sempre sull’importo totale dell’utilizzo (vale a dire USD 1.000.000), anziché sui 300.000 USD della Stand by.

ORIGINE E NORME DI RIFERIMENTO

L’origine della lettera di credito Stand by è stata giustificata dalla necessità di compensare una carenza giuridica negli USA, che non permette agli Istituti di credito di rilasciare garanzie bancarie come negozi giuridici accessori ad altri rapporti. L’evoluzione del commercio internazionale ha imposto, quindi, la necessità di trovare uno strumento tecnico sostitutivo della fideiussione, che ne mantenesse le stesse caratteristiche, ma di totale autonomia rispetto al rapporto sottostante. Si diffuse, così, lo strumento della

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Stand by Letter of Credit, che venne poi riconosciuta a livello internazionale e fatta rientrare nella normativa uniforme sui crediti documentari, fin dal 1984, con la pubblicazione 400, affinché fosse chiaro che lo strumento adottato negli USA presentasse le caratteristiche dell’autonomia e dell’astrattezza proprie del credito documentario e che la valutazione dei documenti si basasse su una normativa comune conosciuta a livello internazionale.La diffusione di questo strumento negli USA, di carattere soprattutto finanziario, e lo sviluppo di norme nazionali, che si sono aggiunte a quanto codificato con le NUU, ha portato alla elaborazione di norme internazionali per le lettere di credito stand by, che sono sfociate nella pubblicazione n. 590 della CCI chiamata “International Stand by Practice” (ISP 98), approvata il 6 aprile 1998 ed in vigore dal 1º gennaio 1999.L’approvazione di queste nuove norme, che regolano la materia della Stand by, ha sviluppato un acceso dibattito nel settore bancario in considerazione del fatto che il contenuto delle stesse va molto nei dettagli, trattando situazioni normative in modo molto analitico e specifico e non fissando principi di carattere generale e regole di condotta secondo quanto avviene nel sistema giuridico italiano e di altri Paesi occidentali.

L’impressione degli addetti ai lavori è che tutto ciò potrebbe provocare inevitabilmente una serie di problemi a cui occorre fare attenzione:

il primo è che siamo di fronte a due fonti normative per lo stesso strumento, il che pone il problema di quale sistema normativo adottare in caso di emissione della Stand by, cioè assoggettarla alle Nuu pubblicazione 600 o alle ISP 98 pubblicazione 590. Nel caso, invece, la Stand by viene ricevuta, probabilmente la si dovrà solo accettare;

il secondo problema è relativo alla conoscenza di queste nuove norme che, nascendo in ambiente di Common Law, presentano dei contenuti tecnici estremamente precisi e dettagliati non esistendo in USA un testo normativo generale di riferimento, come invece accade nel nostro Paese o in altri Paesi occidentali (Germania, Francia, ecc.).

CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI

Gli esportatori dovranno fornire precise istruzioni al compratore circa l’emissione della Lettera di credito Stand by, magari con l’aiuto di formulari standard.

È importante che gli operatori economici contattino in via preventiva la propria banca per conoscere se è possibile ottenere la conferma della Stand by e a quali condizioni nel caso questo si rendesse necessario.

È opportuno concordare con la controparte contrattuale come si desidera che la Stand by sia aperta dalla banca emittente, precisando tutti gli elementi essenziali che saranno oggetto della richiesta di emissione dell’apertura della Lettera di Credito Stand by.

Si consiglia, inoltre, di predisporre un formulario standard da considerare parte integrante del contratto stesso (pro-forma invoice, order confirmation, altro) contenente tutte le istruzioni che l’ordinante dovrà dare alla propria banca per l’emissione della Lettera di credito Stand by.

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40. Le garanzie bancarie

CARATTERISTICHE DELLE GARANZIE BANCARIE

Le garanzie bancarie o garanzie contrattuali, comunemente chiamate anche con il termine di fideiussione bancaria, rappresentano un impegno, assunto da una banca, ad eseguire una prestazione a favore di un beneficiario, qualora l’obbligato principale non adempia ai suoi impegni fissati contrattualmente e richiamati nella garanzia stessa.

Nelle operazioni internazionali hanno assunto sempre maggiore importanza, in quanto l’acquirente di una merce, il committente di un servizio ed il fornitore di una merce a seconda dei casi si assicurano l’adempimento di un obbligo contrattuale assunto dalla controparte. Il nostro Codice Civile all’art. 1936 definisce chi presta una garanzia, cioè, il fideiussore, come “… colui che obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di una obbligazione altrui”.

In campo internazionale, però, la garanzia bancaria, così come regolata dal nostro legislatore e da quello di altri paesi occidentali, si è rilevata uno strumento poco adatto che ha portato allo sviluppo di garanzie cosiddette “autonome”, cioè svincolate dall’obbligazione principale instaurata tra le parti, cosicché le garanzie possono assumere due diverse caratteristiche, essere cioè: autonome oppure fideiussorie.

A differenza dell’apertura di credito documentario e della Stand by Letter of credit, le garanzie non sono regolamentate da una specifica disciplina internazionale o, più precisamente, la pubblicazione elaborata dalla Camera di Commercio Internazionale, ed in particolare la n. 458 “Le norme uniformi per domande di garanzia” del 1992, non rappresentano ancora una disciplina uniforme che possa essere accettata a livello internazionale.

GARANZIE FIDEIUSSORIE

Le garanzie “fideiussorie” sono impegni “accessori” assunti dalle banche che dipendono dal contratto da cui traggono origine, seguendone le sorti in quanto non hanno vita propria. Sono, pertanto, caratterizzate dall’accessorietà rispetto all’obbligazione principale, dal legame con i rapporti sottostanti instaurati dalle parti, cioè tra il beneficiario della garanzia e l’ordinante, hanno tutte una data di validità conseguente alla scadenza dell’obbligazione principale e rappresentano un impegno monetario del garante (il fideiussore) esteso anche ad oneri accessori e spese dell’obbligazione principale.

GARANZIE AUTONOME

Le garanzie “autonome” sono impegni indipendenti ed astratti rispetto al contratto sottostante da cui traggono origine.La differenza, dunque, tra la garanzia bancaria “autonoma” e quella “fideiussoria” consiste nel fatto che con la prima è possibile escutere, cioè farsi pagare dalla banca a prima e semplice richiesta scritta, mentre con la seconda occorre dimostrare di aver adempiuto ai propri obblighi contrattuali, presentando una serie di documenti che saranno richiesti nella fideiussione bancaria.

TIPOLOGIE DI GARANZIE BANCARIE

Le garanzie si distinguono in base all’obbligo che viene assicurato. Le più usate, oltre alla “Stand by Letter of credit”, sono:

La garanzia di pagamento (payment guarantee)

Con la garanzia di pagamento la banca dell’acquirente, su sua richiesta, si impegna in prima persona, per un determinato periodo di tempo, ad eseguire il pagamento al venditore/beneficiario a semplice richiesta dello stesso e per il tramite della banca presso cui è stata aperta la garanzia, nel caso in cui l’acquirente non adempia al pagamento della fornitura nei tempi stabiliti.

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La garanzia di restituzione dell’acconto (advance payment bond)

La garanzia di restituzione dell’acconto viene rilasciata dalla banca del venditore, su sua richiesta, a favore di un committente che paga generalmente, in percentuale sul valore del contratto, assicurandogli, così, la restituzione dell’importo anticipato se la fornitura non venisse eseguita.

La garanzia dell’offerta (Bid bond)

La garanzia dell’offerta viene richiesta in relazione ad un bando di concorso per l’aggiudicazione di contratti di fornitura di merci o servizi, di impianti o per l’esecuzione di lavori commissionati per lo più da enti statali. Rappresenta, di fatto, la garanzia sulla serietà dell’offerta, garantendo il committente sulla buona fede e sulla solvibilità delle imprese partecipanti alla gara d’appalto.

La garanzia di esecuzione della fornitura (performance bond)

Con il performance bond la banca emittente si impegna, su incarico del fornitore, a pagare al committente/beneficiario l’importo garantito, qualora il fornitore non dovesse adempiere i propri impegni contrattuali. In particolare che la fornitura sarà effettuata nei termini previsti dal contratto sottostante e che gli obblighi contrattuali riguardanti il buon funzionamento e/o la buona esecuzione siano stati eseguiti correttamente. In caso contrario il committente potrà rivalersi chiedendo la restituzione dell’importo che, solitamente, rappresenta una percentuale (5/10/15 per cento) del valore della fornitura.

La garanzia sostitutiva di depositi cauzionali (retention money bond)

Con questa garanzia è possibile svincolare subito importi che, generalmente, sono all’ordine del 5/10 percento dell’importo del contratto, il cui pagamento è vincolato al compimento di eventuali collaudi o al completamento di lavori.

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41. Lo sconto di titoli con il forfaiting

Il più diffuso strumento di finanziamento a medio termine delle esportazioni è rappresentato dal forfaitingcon cui si indica lo smobilizzo pro-soluto di un credito fornitore all’esportazione.

Attraverso il forfaiting un Istituto finanziatore (il forfaiter), una banca italiana o una banca estera, acquista un credito incorporato in titoli di credito, generalmente di natura cambiaria, corrispondendo all’esportatore l’importo degli stessi al netto del tasso di sconto. Con questa tecnica l’esportatore può smobilizzare il proprio credito, derivante dall’esportazione di beni e/o di servizi, vantato nei confronti di un debitore al quale è stata concessa una dilazione nel pagamento.

Per il legislatore italiano lo sconto è il contratto con il quale la banca, previa deduzione dell’interesse, riconosce al cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso (Art. 1858 del codice civile).

L’operatore italiano, per poter scontare i titoli con la tecnica del forfaiting, necessita di una linea di credito (fido) concessagli dalla banca sulla base delle garanzie offerte ed utilizzabili, appunto, per operazioni di sconto.

CARATTERISTICHE DEL FORFAITING

L’esportatore, nel caso di transazioni commerciali con l’estero espresse in valuta estera e/o in euro, può smobilizzare il proprio credito scontando gli effetti cambiari o altri titoli rappresentativi del credito stesso, in via “pro soluto” o senza ricorso (without recourse) nel qual caso lo sconto consiste nell’acquisto, da parte di banche o finanziarie di titoli di credito di natura sia cambiaria che non, senza alcuna possibilità di rivalsa nei confronti dell’esportatore che gli ha ceduto i predetti titoli nel caso di mancato pagamento degli stessi.

Questo vuol dire, che il forfaiter che subentra nel credito si assume tutti i rischi senza possibilità, così, di rivalsa nei confronti dell’esportatore/cedente nel caso di mancato pagamento. Non è possibile, quindi, richiedere all’esportatore/cedente la restituzione dell’importo accreditatogli.

Il forfait o forfetizzazione consente all’esportatore di ottenere un finanziamento dei crediti all’esportazione con pagamento dilazionato, attraverso la cessione di titoli cambiari o altri titoli di credito non ancora scaduti, a favore di un istituto finanziario, detto forfaiter, in cambio dell’accredito dell’importo dei titoli stessi, previa deduzione di un tasso di sconto fisso.

Con il termine forfaiting, che deriva dall’espressione “à forfait”, si definisce un moderno metodo di smobilizzo “pro-soluto” dei crediti derivanti da esportazioni aventi regolamento con dilazioni oltre il breve termine.

Le piazze internazionali dove si è maggiormente diffusa questa tecnica e che si sono specializzate in questo tipo di operazioni finanziarie sono quelle di Zurigo, di Londra, di Francoforte e di Parigi.

OGGETTO DELLO SCONTO

Lo sconto può avere ad oggetto titoli di credito sotto forma di:

pagherò cambiario (promissory notes) emessi dall’importatore all’ordine dell’esportatore; cambiali tratte accettate (accepted bill of exchange) emesse dall’esportatore all’ordine proprio

e accettate dall’importatore; lettere di credito (Letter of credit) emesse in forma irrevocabile da primaria banca su incarico

dell’importatore e a favore dell’esportatore; lettere di credito stand by (stand by letter of credit) emesse in forma irrevocabile da primaria

banca, su incarico dell’importatore e a favore dell’esportatore.

Lo sconto cambiario costituisce la parte preponderante delle operazioni di forfaiting dovuto a una maggiore semplicità e snellezza operativa oltre che della possibilità di trasferire i titoli cambiari con l’apposizione della firma di girata.

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PARTI DEL FORFAITING

Le parti che intervengono nell’operazione di forfaiting sono le seguenti: il forfaiter che è l’intermediario finanziario, in genere istituti bancari o società finanziarie, che

accetta i titoli allo sconto “pro soluto” riconoscendo all’esportatore/cedente il netto ricavo dell’importo. Praticamente, l’istituto scontante compera i titoli e li presenta al debitore principale per il pagamento alla scadenza. L’istituto scontante può a sua volta cedere i predetti titoli ad altro istituto dando, così, vita ad un mercato secondario dei medesimi;

il cedente che è l’esportatore che girerà i titoli di credito emessi all’ordine proprio, a favore del forfaiter ricevendone in cambio il netto ricavo dell’importo;

il ceduto che è l’importatore/acquirente che, in questo modo, può ottenere una dilazione di pagamento del proprio debito nei confronti del cedente/esportatore, firmando per traenza le promissory notes oppure accettando le bills of exchange oppure disponendo l’emissione di una lettera di credito documentaria o di una Stand by Letter of credit;

il garante che di solito è la banca estera che interviene a fianco del ceduto/importatore garantendo l’obbligazione assunta dal proprio cliente con la firma dei titoli cambiari oppure con l’emissione del credito documentario o della Stand by Letter of credit.

CONDIZIONI DEL FORFAITING

Il forfaiter, per porre in essere un’operazione di forfaiting, chiederà il rispetto di alcune condizioni essenziali ossia:

1. la natura cartolare dei crediti incorporati in un titolo di credito che dovrà essere rappresentato da pagherò cambiari (promissory notes) oppure da tratte accettate (accepted bill of exchange) oppure da crediti documentari irrevocabili con regolamento differito;

2. gli effetti cambiari e/o le lettere di credito presentate allo sconto “pro soluto” devono essere di importo significativo, altrimenti l’istituto scontante (il forfaiter) difficilmente li accetta. Le operazioni accettate partono, generalmente, da importi minimi di 200.000 euro, anche se, in taluni casi, vengono accettate anche per importi inferiori;

3. i titoli di credito devono essere espressi in valute cosiddette forti, come ad esempio il dollaro statunitense, l’euro, il franco svizzero, la lira sterlina o lo yen giapponese, a causa della maggior liquidità ed efficienza di queste divise sui mercati internazionali e dei minori costi di provvista fondi;

4. le garanzie che assistono il credito, a seconda dello strumento usato, possono essere l’avallo o la lettera di garanzia sugli effetti cambiari rilasciati da parte di primarie banche del paese importatore o di altro paese. In alternativa all’avallo o alla lettera di garanzia è possibile, per l’esportatore, valutare il ricorso alla garanzia assicurativa SACE, cedendo i benefici della polizza a favore dell’Istituto scontante (il forfaiter);

5. i titoli cambiari devono essere redatti sui formulari internazionali;6. il credito deve essere trasferibile liberamente per dare modo al forfaiter di rivendere, a sua volta, i

titoli.

VANTAGGI E SVANTAGGI DEL FORFAITING

La tecnica del forfaiting consente indubbi vantaggi sia all’esportatore che all’importatore, in quanto è una forma di finanziamento dei crediti che permette di concedere dilazioni di pagamento nel medio lungo termine all’importatore, mentre l’esportatore può scontare i propri crediti rappresentati da cambiali pagherò, da cambiali tratte accettate, da Lettere di Credito o da stand by, presso un forfaiter incassando subito l’importo.Il forfaiting è uno strumento che consente alle imprese che esportano macchine, beni strumentali e impianti o realizzano grandi opere, di procurarsi liquidità a breve termine, attraverso lo smobilizzo pro soluto di un credito con pagamento differito

L’impresa, inoltre, che ricorre ad un forfaiter per lo sconto di titoli vedrà migliorare la propria solidità finanziaria, con conseguente alleggerimento della posta di bilancio “crediti verso clienti”.

Ulteriori vantaggi per l’operatore che ricorre al forfaiting sono:

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trasferimento di tutti i rischi (di credito, di cambio, di interesse, di trasferimento fondi) sul forfaiter e, perciò, definitività dell’incasso;

incremento della capacità di indebitamento dell’impresa, in quanto non vengono intaccate le linee di fido bancario;

possibilità di accesso all’agevolazione pubblica offerta tramite l’intervento Simest Spa che permette, a determinate condizioni, una notevole diminuzione del costo dell’operazione;

semplicità e velocità dell’operazione, in quanto la documentazione contrattuale richiesta si riduce ad uno scambio di lettere fra forfaiter ed esportatore che contengono le condizioni dello sconto e i diritti e gli obblighi delle parti.

Lo svantaggio più rilevante legato ad un’operazione di forfaiting è rappresentato dal costo dell’operazione stessa che, per Paesi considerati “a rischio”, può risultare relativamente elevato.

ARTICOLAZIONE E SUGGERIMENTI PRATICO - OPERATIVI

Con la tecnica del forfaiting l’esportatore ha la possibilità di concedere un finanziamento al compratore ottenendo, nel contempo, l’incasso immediato del proprio credito. E’ importante, però, che l’esportatore conosca la complessità di tale mercato che obbedisce a regole precise, dove viene data la massima attenzione alle garanzie bancarie, alla possibilità che i crediti siano trasferibili, alla moneta che deve essere “forte”, all’importo, alla durata, al rischio “paese” del debitore.

Il mercato del Forfait, inoltre, consente all’esportatore di equiparare i vari termini ed elementi del contratto con quelli della concorrenza straniera, con il ricorso agli interventi agevolativi previsti dalla Legge 143/98 (Ex legge Ossola 227/77) che permette un abbattimento dei costi che scaturiscono dallo sconto.

L’intervento agevolativo prevede, inoltre, un contributo sugli interessi pagati dall’esportatore, che va a coprire la differenza esistente tra il tasso di sconto ritenuto “congruo” da Simest ed il tasso minimo praticato dall’esportatore all’importatore secondo quanto stabilito dal “Consensus”, cioè il tasso CIRR reso noto dall’ExUfficio Italiano dei Cambi. Condizione per il ricorso all’intervento agevolativo è una dilazione di pagamento non inferiore ai 24 mesi ed un pagamento anticipato per almeno il 15% del valore della fornitura.

L’esportatore che voglia perfezionare un’operazione di sconto “pro soluto”, prima ancora di stipulare il contratto con l’importatore, deve sondare la disponibilità del forfaiter ad acquistare dei titoli di credito che verranno emessi in esecuzione del contratto di compravendita. A tal fine l’esportatore fornirà alla società di forfaiting tutti i dati riguardanti i soggetti coinvolti nella operazione di fornitura, l’oggetto dell’operazione, l’importo, le scadenze, le modalità di esecuzione della fornitura e chiederà alla stessa di formulare una proposta (offerta) che riassuma le condizioni dell’eventuale forfetizzazione ed il termine entro il quale l’offerta avrà validità (generalmente da uno a sei mesi).

Il forfaiter, prima di inviare la propria offerta all’esportatore con tutte le condizioni per eseguire l’operazione, esaminerà i dati ricevuti valutando attentamente il contratto sottostante, il valore della fornitura, la durata della dilazione, la moneta contrattuale, il nome del compratore, il paese in cui esso risiede, il tipo di garanzia prestata.Successivamente, viene stipulato il contratto fra il forfaiter e l’esportatore, indicante tutte le condizioni del contratto, la validità dello stesso, il tasso di sconto, le commissioni, i dettagli del pagamento (parte anticipata, parti dilazionate, ecc.).

Sulla base del contratto di forfetizzazione, l’esportatore stipulerà il contratto di fornitura con l’importatore definendo nello stesso la condizione di pagamento.

L’importatore rilascerà presso la banca intermediaria gli effetti cambiari in trust deposit debitamente firmati e avallati o garantiti da una primaria banca gradita al forfaiter oppure farà emettere una lettera di credito a favore dell’esportatore per un importo comprensivo di capitale ed interessi.

L’esportatore consegnerà al forfaiter tramite la banca a cui ha affidato l’operazione tutta la documentazione richiesta che, generalmente, riguarda:

- gli originali dei titoli cambiari debitamente girati con la clausola “without recourse”, nel caso di regolamento con titoli di natura cambiaria;

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- la lettera di cessione del credito emessa dall’esportatore a favore del forfaiter (nel caso di smobilizzo di crediti documentari);

- la lettera di notifica di cessione del credito emessa dall’esportatore alla banca emittente il credito;- la dichiarazione di autenticità delle firme del debitore o garante;- la copia dei documenti rappresentativi della merce;- la copia della fattura commerciale.

Ricevuti i documenti richiesti, verificato che tutto sia conforme al contratto stipulato e alle condizioni proposte, il forfaiter accrediterà il netto ricavo a favore dell’esportatore presso l’istituto di credito nazionaleL’importatore pagherà quindi l’importo dei titoli direttamente al forfaiter alle relative scadenze.

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42. Gli aspetti logistici

IL TRASPORTO COME SISTEMA ORGANICO INTEGRATO

L’impresa italiana internazionalizzata ha l’esigenza, in un mercato globale, di cercare sbocchi commerciali in mercati sempre più lontani, ponendo in primo piano il problema del trasporto che, da funzione aziendale marginale, quale era a torto considerata fino ad un recente passato, viene ad assumere oggi un ruolo sempre più determinante nel processo di crescita del nostro sistema economico.

CON UNA GESTIONE RAZIONALE, ECONOMICA E PROFESSIONALE DEL TRASPORTO IN AMBITO INTERNAZIONALE, L’IMPRESA PUÒ OTTENERE NUMEROSI VANTAGGI IN TERMINI DI COMPETITIVITÀ

Lo scenario in cui si trovano ad operare le nostre imprese è caratterizzato da un mercato fortemente competitivo dove si commercializzano prodotti di ogni genere a prezzi sempre più allineati e spesso a scarsa caratterizzazione, che rende necessario, per essere competitivi, un miglioramento del servizio offerto alla controparte estera, attraverso la rapidità di risposta al mercato, la precisione delle consegne e un efficace sistema distributivo. Il trasporto nel commercio internazionale, con le sue regole e i suoi vantaggi, costituisce oggi un elemento determinante per migliorare la competitività dell’impresa, proprio in considerazione delle scelte della clientela, legate non solo alla qualità e al prezzo del prodotto, ma anche alla rapidità di consegna.La funzione del trasporto costituisce un anello della catena industriale che congiunge l’approvvigionamento alla commercializzazione, con il compito di mantenere efficiente il complesso sistema distributivo e logistico sottoposto alle vantaggiose regole del just-in-time che privilegia la riduzione delle scorte di magazzino a favore di spedizioni più esigue e perciò più ravvicinate e veloci.Una buona politica dei trasporti rende l’impresa più competitiva anche in fase contrattuale quando si devono stabilire le modalità di perfezionamento della consegna che dovrà essere economica, rapida e soprattutto sicura, salvaguardando gli interessi delle parti nella fase delicata del trasferimento del possesso, e a volte della proprietà, delle merci in viaggio.

Creare “valore per il cliente” attraverso l’organizzazione di un efficiente ed efficace sistema logistico, rappresenta l'arma vincente per essere competitivi sui mercati esteri, non essendo più sufficiente solo una strategia produttiva o di marketing.

L'organizzazione e gestione dei flussi fisici ed informativi costituenti un sistema logistico va realizzata "trasversalmente" rispetto alle tradizionali funzioni aziendali, attraverso un approccio logistico sistematico che abbandoni la tradizionale gestione "per funzioni" (trasporto, magazzinaggio, scorte, ecc.). Non bisogna dimenticare, infatti, che i costi logistici pesano sui prezzi di vendita del prodotto in media per il 20%, ragion per cui è necessario valutare le diverse opzioni legate alla gestione delle attività di logistica e di trasporto concependo l'impresa in un'ottica di sistema all'interno del quale è necessario integrare ed ottimizzare tutti i flussi dal momento dell'approvvigionamento al momento della distribuzione del prodotto/servizio allo scopo di aumentare la competitività.

Il sistema logistico e di trasporto, finalizzato all'ottimizzazione dei flussi fisici ed informativi come fattori di competitività, può riferirsi al sistema delle funzioni aziendali (cioè all'interno dell'azienda) ovvero al sistema delle relazioni tra le funzioni aziendali e le altre imprese con cui l'azienda sviluppa dei rapporti strategici (fornitori, clienti, operatori logistici, ecc.), in un'ottica di integrazione esterna.

SUPPLY CHAIN MANAGEMENT

La funzione logistica si sta evolvendo attraverso diversi livelli di “integrazione”, per cui attualmente si parla non solamente di gestione delle attività logistiche interne all’azienda ma anche di Supply Chain Management.L’evoluzione manageriale della logistica e del trasporto richiede un’attenta analisi del lato “offerta”, ossia delle problematiche gestionali di quei soggetti che offrono professionalmente i servizi logistici e di trasporto necessari all'impresa per la sua competitività. Attualmente infatti, si sta sviluppando sempre più il fenomeno

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del c.d. outsourcing, ossia la terziarizzazione di una serie sempre più completa di funzioni logistiche e di trasporto ad operatori specializzati.

Si stima che il settore della logistica integrata per conto terzi stia crescendo del 15-20% all’anno nei Paesi industrializzati. Questo processo è ulteriormente accelerato dallo sviluppo dell’e-commerce. E' evidente che con la terziarizzazione si accentua l'esigenza da parte delle imprese di conoscere e soprattutto valutare la performance dei servizi logistici richiesti, per essere in grado di "negoziare" con l'impresa di servizi logistici e di trasporto, un modello organizzativo che sia strutturato ad hoc. Per una gestione integrata e ottimale delle funzioni aziendali, è importante che l’impresa conosca le caratteristiche sia tecniche che economiche nonché di sicurezza e qualità del sistema logistico..

Nell’attuale ottica della Supply Chain Management è necessario che ci sia un buon funzionamento di tutti gli anelli della catena logistica, in modo che la funzione logistica stessa possa rappresentare la leva strategica per essere più competitivi sui mercati esteri.

La funzione aziendale del trasporto accompagna il prodotto prima ancora che nasca, mediante la fornitura delle materie prime necessarie per la lavorazione, mediante l’eventuale trasferimento dei semilavorati da uno stabilimento all’altro in conseguenza del diffuso decentramento all’estero di parte del processo produttivo ed infine nella fase della consegna del prodotto finito all’intermediario o direttamente al compratore finale.

LOGISTICA E FUNZIONI AZIENDALI

Considerando l’importanza che il trasporto riveste in ambito aziendale, si comprende l’importanza di una gestione integrata che coinvolga le varie attività (acquisti, produzione, marketing, finanza) al fine di far pervenire il prodotto giusto nel posto giusto, nel tempo più breve e al minor costo possibile.Sono numerose le zone di confine tra la logistica e le altre funzioni aziendali:

- le esigenze di marketing richiedono ampia disponibilità di prodotti finiti in magazzino al fine di disporre sempre del prodotto nel momento in cui viene richiesto, offrendo in questo modo un miglior servizio al cliente;

- le esigenze della finanza premono verso il contenimento dei livelli di giacenze dei prodotti finiti e affinché il trasporto principale sia compreso nel prezzo di vendita finale, per contenere l’esposizione finanziaria;

- la produzione richiede di non uscire dai programmi produttivi previsti per non compromettere il raggiungimento di economie di scala;

- l’area magazzino esige di trattenere il meno possibile le merci in giacenza, riducendo al minimo i tempi di spostamento delle stesse dalla fabbrica alla destinazione convenuta, usando un imballaggio adeguato;

- l’area commerciale esige di non lasciare la gestione del trasporto alla clientela, per avere il controllo e la disponibilità delle merci in viaggio, soprattutto nel caso di pagamenti con lettere di credito documentario;

- la gestione degli approvvigionamenti nell’area acquisti, costituisce un elemento strategico per ogni impresa competitiva;

- l’area spedizioni, uno degli ultimi anelli della catena, si occupa di ottimizzare le attività connesse alle esportazioni, gestendole in stretta connessione con le altre funzioni aziendali, in modo che le informazioni possano girare velocemente e chi si occupa del trasporto sia informato sui tempi di consegna all’acquirente e la destinazione per poi stabilire il modo di trasporto più efficace e il conseguente tipo di imballaggio.

Le imprese sono sempre più consapevoli dell’importanza che il trasporto riveste in un mercato globale dove spesso si richiedono consegne rapide e “door to door”, per cui l’esportatore non può non considerare l’attività di trasporto come elemento strategico per il proprio successo.

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Importanza strategica del trasporto

L’integrazione delle economie dei Paesi europei ed extraeuropei spinge le imprese verso mercati sempre più lontani

La globalizzazione dei mercati richiede una valutazione e una gestione attenta del trasporto per contenerne i costi e garantirne sicurezza e qualità

Una gestione razionale ed efficace del trasporto si tramuta in elemento competitivo per le imprese

La fornitura di servizi, oltre che di beni, è sempre più richiesta da numerosi compratori che chiedono al venditore la consegna della merce “door to door” (cioè, dall’impresa del venditore direttamente all’impresa del compratore), per cui è il venditore che deve farsi carico dell’organizzazione e della gestione di tutte le fasi del trasporto

L’esportatore non può evitare di considerare che, per raggiungere i migliori “risultati globali”, è necessario ottimizzare l’attività di trasporto all’interno delle diverse funzioni aziendali coinvolte.

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43. Il ruolo del trasporto nel commercio internazionale

Il buon esito di ogni transazione commerciale dipende in modo rilevante dal modo in cui si effettua il trasporto, se si pensa poi, che con esso si realizza il passaggio fisico e, sovente, anche sostanziale della merce dal venditore al compratore nel punto e nel momento stabilito contrattualmente dai termini di consegna, è chiara l’importanza che esso riveste in ogni operazione di import-export.

Nel trasporto internazionale, essendoci un trasferimento fisico dei beni, oggetto del contratto di compravendita, da un luogo situato in uno stato ad un luogo situato in un altro stato, vi sono una serie di momenti che occorre considerare, come parte integrante del trasporto stesso e che riguardano l’attraversamento dei confini territoriali di più paesi, le operazioni di carico, stivaggio, fissaggio e scarico, il deposito delle merci presso magazzini pubblici o privati, l’uso dei mezzi idonei a trasportare il bene oggetto di una compravendita e il rischio che, durante il trasporto, le merci possano subire danni.Proprio in considerazione della complessità del trasporto in ambito internazionale, è opportuno che l’esportatore, fin dalle prime trattative commerciali, affronti gli aspetti concernenti la sicurezza delle merci trasportate, i rischi, le responsabilità delle parti contraenti il contratto di compravendita, la scelta di chi eseguirà il trasporto e a chi affidare il mandato di spedizione.

Aspetti del trasporto internazionale

Il controllo delle merci Le responsabilità contrattuali I rischi: sicurezza di consegna, integrità delle partite, incolumità delle merci I costi Gli obiettivi: economia, velocità, sicurezza Lo svolgimento operativo Le connessioni con altri aspetti dell’import-export La logistica d’impresa (scorte, circolante, immobilizzo di capitale, ecc.) L’incidenza dei costi sulle quantità, sul valore delle merci trasportate, oltre che sui

tempi e la sicurezza del trasporto

OBIETTIVI DEL TRASPORTO MERCI

Il trasporto di merci si pone gli obiettivi dell’economicità, velocità e sicurezza, che di volta in volta saranno combinati in modo diverso a seconda delle esigenze dell’esportatore e della controparte estera (i tempi di consegna, la richiesta di prestazioni accessorie/speciali, oppure la riduzione dei costi) preferendo, ad esempio, in alcuni casi, la velocità a discapito dell’economicità.La scelta del mezzo di trasporto più adeguato sarà condizionata dal tipo di merce da esportare, dal suo valore intrinseco, dal volume e dal peso, dalla distanza, dalla celerità con cui deve giungere a destinazione.

L’esportatore valuterà essenzialmente tre elementi prima di scegliere la modalità del trasporto ossia:

il costo visto in chiave strategica per la realizzazione di una ottimale politica all’esportazione; esso comprende il prezzo del nolo e le spese accessorie;

la rapidità, in quanto in un mercato globale è richiesto sempre di più il rispetto dei tempi di consegna pattuiti, evitando penali per ritardi nell’esecuzione del contratto;

la sicurezza, in quanto le merci durante il trasporto possono incorrere nel rischio dovuto a danni di avaria, distruzione o perdita totale o parziale. La consapevolezza, che durante il trasporto si possono verificare eventi che compromettono la sicurezza della consegna, l’integrità e l’incolumità della merce, deve indurre l’esportatore ad affrontare con attenzione i rischi legati al trasporto della merce, al fine di ridurre la possibilità che si verifichino eventi dannosi e, qualora si verificassero, essere in grado di individuare precisamente il momento del loro manifestarsi, le responsabilità dell’accaduto e la possibilità del risarcimento.

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SCELTA DEL TRASPORTO

Scegliere una modalità di trasporto piuttosto che un’altra implica sostanziali differenze, in termini di tempi di resa, costi e rischi. E’, pertanto, importante conoscere i pro e i contro dei vari modi di trasporto avendone una panoramica completa e cercando di soddisfare le esigenze del cliente estero.

Se la priorità della controparte è la consegna della merce in tempi brevi, l’esportatore dovrà considerare i tempi del trasporto via mare o via ferrovia; così come dovrà evitare, ove possibile, il trasporto via aereo o via camion se il cliente desidera contenere i costi.

Più si intersecano le esigenze del cliente, più complessa diviene la gestione del trasporto, evidenziando quanto importante sia per l’esportatore seguire le varie fasi del trasporto fino alla consegna della merce a destino, al fine di rendere efficace la trattativa commerciale, cercando di ottimizzare i risultati aziendali.

Il trasporto intermodale, non disponibile su tutte le tratte, è l’unico modo di trasporto che soddisfa gli obiettivi di cui sopra (rapidità, sicurezza ed economicità). Questa soluzione cumula le differenti modalità di trasporto (via mare, via strada, via ferrovia e via aereo) in un unico contratto, abbassando notevolmente i costi. Le caratteristiche di tale trasporto sono: velocità, assenza di rotture di carico (prese intermedie) e di traffico (soste), unico contratto di trasporto con unico vettore, minori possibilità di danni, certezza sui tempi di partenza e di arrivo.

L’esportatore, che voglia effettuare la scelta della modalità di trasporto più opportuna, per soddisfare le proprie esigenze e quelle della controparte estera, dovrà effettuare le seguenti considerazioni:

chi deve pagare il trasporto (spesso è colui che sceglie anche le modalità); come e quando la merce perverrà a destino; a chi affidare la spedizione delle merci; quali le caratteristiche dell’imballaggio; quale il documento di trasporto, da cui può dipendere il pagamento, qualora, ad esempio, viene

richiesto, insieme ad altri documenti, per la negoziazione di un credito documentario irrevocabile; quali i servizi forniti dallo spedizioniere.

Poiché la scelta del trasporto è condizionata dal costo, dal tempo di consegna e dal rischio danni, le varie modalità di trasporto non sono intercambiabili indifferentemente, in quanto presuppongono differenze, nella combinazione dei tre fattori di cui sopra.

L’esportatore, pertanto, prima di effettuare qualsiasi scelta legata al trasporto, dovrà considerare il valore della merce che se è basso veicolerà la scelta su un tipo di trasporto poco costoso, in caso contrario, il fattore costi è meno stringente.

La destinazione geografica è un altro elemento che condizionerà notevolmente la scelta dell’esportatore circa il mezzo di trasporto più adeguato, in quanto si deve tenere conto delle infrastrutture e dei servizi dei paesi di destinazione delle merci per cui una determinata modalità di trasporto potrebbe non essere confacente

Il modo di trasporto sarà diverso in base al peso/volume, infatti per colli molto voluminosi e pesanti si deve considerare che il trasporto aereo penalizza la merce pesante (a meno che non si tratti di alto valore).La scelta del modo di trasporto più rapido (aereo e/o camion) o meno rapido, ma più economico (treno e/o nave), dipenderà dai tempi di consegna.

Inoltre, se la quantità di merce da trasportare è grande, è bene optare per un carico/trasporto completo (Full Container Loaded – FCL), ossia utilizzare in esclusiva tutto lo spazio di cui sono capaci uno o più mezzi di trasporto, o scegliere di utilizzare in esclusiva una o più unità di carico (container o casse mobili). Nei casi, invece, di piccole quantità di merce ci si rivolge ad un operatore di trasporto che pratichi il groupage (Less Container Loaded – LCL).L’intensità del flusso commerciale, rende più facile il reperimento del carico di ritorno per l’operatore di trasporto, con ulteriori abbassamenti di costo, per cui maggiore è il flusso di merci sulle rotte scelte, minore è il prezzo.

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MODALITÀ DI TRASPORTO

Le varie modalità di trasporto sono le seguenti:

Il trasporto via mare: le caratteristiche principali di questo tipo di trasporto sono: lentezza (anche se, ormai, lo sviluppo della tecnologia permette di utilizzare navi veloci che permettono di compiere, ad esempio, la tratta Cina-Italia in 20/30 giorni), variabilità della data di partenza e di arrivo, costi bassi di trasporto, costi alti di imballaggio (tranne che nel caso di containers), altapossibilità di danni;

Il trasporto via strada: il trasporto via strada si distingue per velocità, possibilità del door to door, costi di trasporto relativamente alti, basso rischio di danni (a patto di imballaggi adeguati), ampia disponibilità di vettori;

Il trasporto via ferrovia: questo tipo di trasporto ha come caratteristiche la lentezza, la difficoltà nel reperire carri ferroviari, la formazione dei convogli, l’incertezza sul tempo di partenza e di arrivo, una discreta possibilità di danni, ma, in compenso, costi bassi;

Il trasporto via aereo: velocità e bassissimo rischio di danni sono i suoi punti forti. È particolarmente adatto per merci fragili, di valore o urgenti, anche se i costi sono alti;

Il trasporto intermodale: questa soluzione, cumulando le differenti modalità di trasporto in un unico contratto, permette un abbassamento dei costi. Le sue caratteristiche, inoltre, sono: velocità, assenza di rotture di carico (prese intermedie) e di traffico (soste), unico contratto di trasporto con unico vettore, minori possibilità di danni, certezza sui tempi di partenza e di arrivo. È indicato per tratte lunghe, richiede l’utilizzo di unità di trasporto intermodali (UTI), ossia containerso casse mobili. È disponibile solo su tratte fisse.

DOCUMENTI DI TRASPORTO

Se la consegna della merce non avviene regolarmente e/o se vengono riscontrati degli ammanchi e/o dei difetti al momento del ritiro della stessa, difficilmente l’acquirente sarà disposto ad effettuare il pagamento dovuto, soprattutto se consideriamo che è molto più diffuso il pagamento posticipato. Nel caso di pagamento a mezzo credito documentario, lo stesso avverrà con la presentazione (tra i vari documenti richiesti) del documento di trasporto da consegnare entro i termini e alle condizioni prescritte nel credito documentario. Pertanto, i documenti comprovanti l’avvenuta spedizione della merce sono molto importanti, soprattutto se utilizzati con una forma di pagamento, come il credito documentario, che vincola il pagamento stesso alla presentazione in banca dei documenti strettamente conformi. Sulla base della tipologia di trasporto adottata, è necessario considerare se si tratta di semplici documenti dimostrativi, come, ad es. le lettere di vettura aerea, camionistica o ferroviaria, oppure di documenti rappresentativi della merce nel caso della polizza di carico marittima.

Per ogni modalità di trasporto viene, quindi, emesso un documento che è una “lettera di vettura”, se il trasporto avviene su strada, su ferrovia oppure via aerea, (oppure, in taluni casi, anche via mare). Le lettere di vettura sono caratterizzate dal fatto che, generalmente, viaggiano assieme alla merce e sono documenti di legittimazione che dimostrano l’esistenza di un contratto di trasporto.

Se il trasporto avviene via mare e/o via acque fluviali, sarà emessa una “polizza di carico” che, generalmente, viaggia sempre separata dalla merce, è titolo rappresentativo della stessa, negoziabile, permettendo, così, al legittimo portatore di entrare in possesso della merce in cambio, appunto, della consegna del documento (titolo) debitamente firmato per girata.

In considerazione dell’importanza che i documenti assumono nel trasporto internazionale, l’esportatore deve effettuare le scelte più opportune circa la modalità di trasporto e l’operatore a cui affidare l’organizzazione e l’esecuzione del trasporto stesso. È lui che emetterà o farà emettere il relativo documento che dovrà rispettare tutti i termini e le condizioni pattuite contrattualmente circa l’invio della merce e che permetterà, nel caso di pagamenti a mezzo crediti documentari, di poter ottenere il pagamento dell’importo, se conforme ai termini e condizioni prescritte nel credito documentario.

SPEDIZIONE E TRASPORTO

Nell’ambito del trasporto internazionale, è di fondamentale importanza distinguere la figura dello spedizioniere da quella del vettore, in quanto ognuna presenta peculiarità diverse e, di conseguenza, anche regole e responsabilità differenti. Occorre, inoltre, considerare che nell’ambito del trasporto internazionale, si

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sono affermate nuove figure che affiancano quelle tradizionali che rispondono alle esigenze di un traffico merci che si sta evolvendo verso destinazioni sempre più lontane, con la conseguente esigenza di usare mezzi diversi per far pervenire la merce a destino.

Spedizioniere internazionale

Lo Spedizioniere internazionale è l’intermediario che organizza l’intera spedizione, ossia stipula a nome proprio e per conto dell’azienda un contratto di trasporto con un vettore ed esegue le operazioni accessorie della spedizione (dogana, ove dovuta, ecc...). Lo spedizioniere risponde solo del proprio operato e, quindi, non del risultato finale del trasporto. L’operato dello spedizioniere internazionale è disciplinato dalle condizioni generali dell’associazione di categoria degli spedizionieri internazionali di cui fa parte.

Vettore

Il Vettore è colui che esegue il trasporto con mezzi propri o altrui (anche noleggiati) e risponde dell’integrità e della consegna delle merci a destino. L’operato del vettore internazionale è disciplinato dalle convenzioni internazionali proprie di ciascuna modalità di trasporto.

Spedizioniere/Vettore

Lo Spedizioniere/vettore oltre a compiere le operazioni accessorie, si incarica, tramite la stipula di un contratto di trasporto, di eseguire lui stesso il trasporto, assommando, quindi, compiti, diritti e doveri dello spedizioniere e del vettore, è l’unico referente per il mittente. È frequente nei traffici camionistici.

Operatore intermodale o multimodale

L’operatore intermodale svolge le funzioni di uno spedizioniere internazionale, offre all’esportatore la possibilità di trasportare e spedire la merce con la modalità intermodale, rilasciando un unico contratto di trasporto, che copre una pluralità di contratti conclusi dall’operatore di trasporto multimodale (MTO) con i singoli vettori. Caratteristica dell’operatore intermodale è la rapidità e l’economicità.

NVOCC

Il NVOCC (Non Vessel Operating Common Carrier o Non Vessel Owner Common Carrier) è un soggetto che acquista degli spazi sulle navi o, addirittura, navi intere da armatori e li rivende in frazioni, per lo più sulle navi porta container. In Italia viene considerato un vettore contrattuale operante come spedizioniere/vettore, ma non ha una disciplina precisa. Caratteristica di questo operatore è l’alta professionalità nei trasporti marittimi.

Operatore logistico

L’operatore logistico è un soggetto che opera, generalmente, come spedizioniere/vettore; organizza ed esegue il trasporto con supporto totalmente informatico di appositi software, sia per la scelta, che per la gestione e il controllo di tutte le fasi, servendosi della rilevazione satellitare. Svolge, inoltre, dei compiti pre-partenza (ad esempio, il controllo qualità, il magazzinaggio, l’etichettatura, l’imballaggio) e post-arrivo della merce a destinazione (ad esempio, disimballaggio, deceratura, check up), svolti, in precedenza, dal venditore e dal compratore.

Per l’azienda si può, quindi, profilare la possibilità di stipulare o un contratto di spedizione, che può essere in forma solo verbale, ma che è preferibile venga, formalizzato, da una lettera di incarico/mandato allo spedizioniere, o un contratto di trasporto che è, invece, sempre, comprovato da un documento, attestante l’impegno del vettore ad eseguire il trasporto della merce, cioè, il trasferimento fisico della stessa, da un luogo ad un altro nei modi e nei tempi pattuiti. Dal punto di vista giuridico, mentre il contratto di spedizione è un mandato che il mittente/mandante stipula con lo spedizioniere/mandatario, il contratto di trasporto è un contratto d’opera stipulato tra il mittente ed il vettore. Ovviamente, vi è anche la possibilità di stipulare un unico contratto, nel caso in cui l’interlocutore sia uno spedizioniere/vettore.

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44. I termini di consegna della merce (gli Incoterms)

Una delle fasi più delicate in un rapporto di compravendita è il momento della consegna della merce dal venditore al compratore.Questo momento diviene ancora più centrale se si pensa che le due parti sono separate da distanze geografiche notevoli che non permettono, talvolta, di seguire l’iter intero del trasporto. Questo momento, inoltre, è molto importante per le parti in quanto determina chi, tra venditore e compratore, sopporta i costi relativi al trasporto della merce da un luogo ad un altro, i costi connessi all’assicurazione della stessa, le spese doganali (ove dovute) in uscita ed in entrata e quando avviene il passaggio dei rischi e delle responsabilità, dal venditore al compratore, per la merce trasportata.

Tutto questo viene definito con delle frasi (franco fabbrica, franco destino, ecc.) e/o delle brevi sigle che si sono diffuse in tutti i Paesi del mondo determinando, però, difformità d’interpretazione da parte degli operatori al punto che, lo stesso termine e/o la stessa sigla, può assumere significati diversi da Paese a Paese e, di conseguenza, determinare una diversa ripartizione dei costi, dei diritti, degli obblighi e delle responsabilità.

Cosicché, a causa di usi e consuetudini non uniformi, accadeva che questi termini venivano bene o male riconosciuti da tutti, ma poi ciascuno li interpretava, diciamo così, a modo suo, il che generava dei problemi di discordanza nel significato attribuito alle singole voci. Ogni interpretazione poteva essere valida.

INCOTERMS

Gli Incoterms (International Commercial Terms) sono dei termini di consegna della merce che permettono di individuare e stabilire chi sopporta i costi di trasporto, di assicurazione merce, di sdoganamento (in caso di paesi extra UE) e quando avviene il passaggio dei rischi e delle responsabilità dal venditore al compratore.

Gli “Incoterms”, elaborati dalla Camera di Commercio Internazionale con l’intento di regolamentare la consegna della merce e il passaggio dei relativi rischi, hanno assunto, nel corso degli anni, una grande importanza nelle transazioni commerciali internazionali, tanto da essere universalmente riconosciuti e accettati.

In questo modo gli operatori di differenti Paesi e tradizioni giuridiche possono fare affidamento su fonti interpretative uniformi, univoche e autentiche per la corretta ed equa ripartizione di costi e rischi nella consegna delle merci. L’edizione attualmente in vigore è quella del 2000: gli “Incoterms 2000” che, nel momento in cui scriviamo è oggetto di una revisione/aggiornamento da parte della Camera di Commercio Internazionale.

FUNZIONI E CAMPO D’AZIONE DEGLI INCOTERMS

Il campo di azione e la funzione degli Incoterms, viene individuata attraverso il riconoscimento di quattro punti o momenti fondamentali che trovano risposta alle seguenti domande:

chi paga il trasporto principale? dove avviene la consegna della merce? dove e quando si verifica il passaggio dei rischi dal venditore al compratore chi sopporta tutti gli altri oneri connessi al trasporto (emissione dei documenti, spese e scarico,

operazioni doganali (ove occorra), assicurazione delle merci in viaggio)?

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Scopo degli Incoterms

Lo scopo degli Incoterms è fornire una serie di regole internazionali per l’interpretazione dei termini commerciali di consegna delle merci maggiormente adottati dagli operatori di tutto il mondo al fine di eliminare le incertezze dovute alle differenti interpretazioni di questi termini tra Paesi diversi tenendo presente, però, che per essere applicabili ai rapporti commerciali di compravendita dovranno essere necessariamente ed espressamente richiamati nell’accordo contrattuale.

OGGETTO DEGLI INCOTERMS

L’oggetto degli Incoterms è circoscritto agli aspetti riguardanti i diritti e le obbligazioni delle parti (venditore e compratore) di un contratto di compravendita con riferimento, ovviamente, alla consegna della merce.È importante, al riguardo, che l’esportatore non fraintenda la reale applicazione degli Incoterms che si riferiscono al contratto di vendita e non, come spesso si ritiene, al contratto di trasporto, anche se, per realizzare una vendita di merci vi sono correlazioni con altri aspetti e contratti che verranno perfezionati successivamente come, appunto, il contratto di trasporto, ma anche il contratto di assicurazione, di finanziamento, ecc. .

È importante sottolineare, infatti, come l’utilizzo di un termine Incoterms, comporta necessariamente delle implicazioni con altri aspetti contrattuali. Ad esempio, se l’Incoterms prescelto sarà “CFR” o “CIF”, il trasporto non può che essere di tipo marittimo e/o fluviale e, quindi, il documento di trasporto che sarà emesso non potrà che essere una “polizza di carico” marittima (Bill of Lading) o, in taluni paesi, una Lettera di vettura marittima (Sea way bill).

Che cosa non sono gli Incoterms

Non sono leggi, ma regole facoltative

Non riguardano il contratto di trasporto ma il contratto di vendita

Non riguardano il trasferimento della proprietà e di altri diritti di vendita

Non regolano tutti gli obblighi assunti dalle parti in una compravendita, ma solo quelli relativi alla consegna della merce

Non riguardano i casi di inadempimento del contratto con le relative conseguenze per la parte inadempiente.

Le obbligazioni regolate dagli Incoterms riguardano: l’obbligazione del venditore di mettere la merce a disposizione del compratore o di rimetterla ad

un vettore per il successivo trasporto e consegna ad una certa destinazione; la ripartizione dei rischi tra venditore e compratore relativi al trasporto della merce da un luogo di

partenza ad un luogo di destinazione; l’obbligo di sdoganare la merce all’esportazione e all’importazione (ove questo sia dovuto); l’obbligo del compratore di prendere in consegna la merce.

Per quanto gli Incoterms affrontino un gran numero di specifiche obbligazioni, essi non affrontano in alcun modo i seguenti aspetti connessi alla compravendita e, cioè:

il trasferimento della proprietà e di altri diritti sulla merce; i casi di inadempimento contrattuale con le relative conseguenze per la parte inadempiente; la condizione patrimoniale e finanziarie connesse all’esecuzione del negozio giuridico principale.

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È ERRATA LA CONVINZIONE CHE GLI INCOTERMS SIANO TERMINI CHE APPARTENGONO AI “CONTRATTI INTERNAZIONALI” DI TRASPORTO. AL CONTRARIO SI RIFERISCONO SOLTANTO AL CONTRATTO DI VENDITA STIPULATO TRA VENDITORE E

COMPRATORE

La CCI ha raggruppato le obbligazioni del venditore e del compratore in 10 punti contraddistinte dalla lettera “A” (per il venditore) e dalla lettera “B” (per il compratore) riguardanti:

la fornitura della merce in conformità al contratto il pagamento del prezzo (A1./B1); le eventuali licenze, autorizzazione e formalità (A2./B2.); il contratto di trasporto e di assicurazione (A3./B3.); la consegna e la presa in consegna (A4./B4.); il trasferimento dei rischi (A5./B5.); la ripartizione delle spese (A6./B6.); l’avviso al compratore/l’avviso al venditore (A7./B7.); la prova della consegna, il documento di trasporto o messaggio elettronico equivalente (A8./B8.); il controllo, imballaggio, marcatura/ispezione della merce (A9./B9.); altre obbligazioni (A10./B10.).

Obblighi delle parti negli Incoterms 2000

Obblighi del venditore Obblighi del compratore

A 1. Fornitura della merce in conformità del contratto B 1. Pagamento del prezzo

A 2. Licenza, autorizzazioni e formalità B 2. Licenza, autorizzazioni e formalità

A 3. Contratto di trasporto e di assicurazione B 3. Contratto di trasporto e di assicurazione

A 4. Consegna B 4. Presa di consegna

A 5. Trasferimento dei rischi B 5. Trasferimento dei rischi

A 6. Ripartizione delle spese B 6. Ripartizione delle spese

A 7. Avviso al compratore B 7. Avviso al compratore

A 8. Prova della consegna, documento di trasporto o messaggio elettronico equivalente

B 8. Prova della consegna, documento di trasporto o messaggio elettronico equivalente

A 9. Controllo, imballaggio, marcatura B 9. Ispezione della merce

A10. Altre obbligazioni B10. Altre obbligazioni

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CARATTERISTICHE DEGLI INCOTERMS

Gli Incoterms 2000 adottano tredici termini suddivisi in quattro diversi gruppi contraddistinti dalle lettere “E” - “F” - “C” - “D” che corrispondono alle iniziali delle sigle composte da tre lettere utilizzate per identificarli, che riportiamo nella tabella “Incoterms 2000”.

Incoterms 2000

GRUPPO EPartenza EXW (Ex works) Franco fabbrica (…luogo convenuto)

GRUPPO FTrasporto principale

non pagato

FCA (Free Carrier)

FAS (Free Alongside Ship)

FOB (Free On Board)

Franco vettore (…luogo convenuto)

Franco lungo bordo (…porto di imbarco convenuto)

Franco a bordo (…porto di imbarco convenuto)

GRUPPO CTrasporto principale

pagato

CFR (Cost and Freight)

CIF (Cost, Insurance and Freight)

CPT (Carriage Paid To)

CIP (Carriage and Insurance Paid To)

Costo e nolo (…porto di destinazione convenuto)

Costo, assicurazione, nolo (…porto di destinazione convenuto)

Trasporto pagato fino a (…luogo di destinazione convenuto)

Trasporto e assicurazione pagati fino a (…luogo di destinazione convenuto)

GRUPPO DArrivo

DAF (Delivered At Frontier)

DES (Delivered Ex Ship)

DEQ (Delivered Ex Quay)

DDU (Delivered Duty Unpaid)

DDP (Delivered Duty Paid)

Reso frontiera (…luogo convenuto)

Reso ex ship (…porto di destinazione convenuto)

Reso banchina (…porto di destinazione convenuto)

Reso non sdoganato (…luogo di destinazione convenuto)

Reso sdoganato (…luogo di destinazione convenuto)

Le caratteristiche principali dei quattro gruppi degli Incoterms 2000 sono quelle che andiamo ad esaminare qui di seguito.

Gruppo E

Contratti alla PARTENZA. Il livello delle obbligazioni del venditore è MINIMO: CONSEGNA usualmente presso i locali del venditore (nessuna obbligazione con riguardo al caricamento della merce).

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Punti di Criticità del Management Internazionale

216

Gruppo F

Contratti alla PARTENZA. Il venditore deve consegnare la merce per il trasporto secondo le istruzioni del compratore.Punto di consegna:

Termine FCA. Se il luogo di consegna è:

nei locali del venditore, allora quest’ultimo effettuerà la consegna caricando la merce sul veicolo del compratore;

in un altro luogo, il venditore mette a disposizione del compratore la merce, non scaricata dal proprio veicolo presso i locali convenuti che, solitamente, sono presso un vettore indicato dal compratore.

Termine FOB è “al passaggio della murata della nave”, tenendo conto della tipologia della merce e delle strutture di caricamento disponibili.

Termine FAS è sottobordo, sulla banchina o nel magazzino del punto di imbarco convenuto. Lo sdoganamento all’esportazione è a carico del venditore.

Gruppo C

Contratti alla PARTENZA. Il venditore deve stipulare il contratto di trasporto sulla base delle condizioni usuali e a proprie spese, (indicando, dopo il termine “C” un punto fino a cui il venditore deve sostenere le spese di trasporto) e rimettere la merce al vettore.Nei termini CIF e CIP deve anche stipulare l’assicurazione della merce e sostenere le relative spese.Il rischio di perdita o danneggiamento della merce e qualunque spesa aggiuntiva che possa risultare da eventi successivi all’imbarco o all’invio ricadono sul compratore.Se il contratto di trasporto implica il pagamento di diritti, tasse, oneri, inclusa ogni spesa sostenuta per il trasbordo della merce, tali spese ricadono sul venditore.Nei termini CFR e CIF: è stata eliminata l’obbligazione del venditore di consegnare il contratto di noleggio al compratore.Con i termini CIF e CIP: il venditore è obbligato a procurare l’assicurazione merce a favore del compratore con “copertura minima”, salvo la possibilità per il compratore di richiedere al venditore di stipulare un’assicurazione aggiuntiva.

Gruppo D

Contratti all’ARRIVO. Il venditore è responsabile dell’arrivo della merce al luogo o punto di destinazione convenuto e deve sopportare tutti i rischi e le spese per il trasporto della merce a destinazione. Non ha obblighi doganali d’importazione nel paese di destinazione (ad eccezione del termine DDP).Termine DEQ: lo sdoganamento all’importazione è a carico del compratore.Termine DAF: il venditore sopporta il rischio durante il trasporto fino alla frontiera e lo scaricamento alla frontiera è a carico del compratore.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

217

Modo di trasporto e

Incoterms 2000 corrispondente

Qualsiasi modo di trasporto, compreso quello multimodale

EXWFCACPT

CIP

DAFDDU

DDP

Franco fabbrica (…luogo convenuto)Franco vettore (…luogo convenuto)Trasporto pagato fino a (…luogo di destinazione convenuto)

Trasporto e assicurazione pagati fino a (…luogo di destinazione convenuto)Reso frontiera (…luogo convenuto)Reso no sdoganato (…luogo di destinazione convenuto)

Reso sdoganato (…luogo di destinazione convenuto)

Trasporto aereo FCA Franco vettore (…luogo convenuto)

Trasporto ferroviario FCA Franco vettore (…luogo convenuto)

Trasporto marittimo e per vie navigabili

interne

FASFOBCFRCIF

DESDEQ

Franco lungo bordo (…porto di imbarco convenuto)Franco a bordo (…porto di imbarco convenuto)Costo e nolo (…porto di destinazione convenuto)Costo, assicurazione e nolo (…porto di destinazione convenuto)

Reso ex ship (…porto di destinazione convenuto)Reso banchina (…porto di destinazione convenuto)

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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INDICAZIONI PER UN CORRETTO USO DEGLI INCOTERMS

L’esportatore deve prestare attenzione a quanto di seguito indicato: gli Incoterms non sono Leggi, ma regole facoltative che, per essere applicate, devono essere

richiamate espressamente nel contratto precisandone la fonte. In caso contrario, in una situazione di controversia, fanno testo le leggi applicabili nazionali e gli usi commerciali che, di volta in volta e caso per caso, verranno utilizzate, con la conseguenza che qualsiasi interpretazione che venisse data circa la ripartizione dei costi ed il passaggio dei rischi potrebbe essere valida. È necessario allora proporre, in fase contrattuale, che il significato che verrà dato al termine di consegna della merce sia quello degli Incoterms. Ad esempio: FOB-port of Genova as per Incoterms 2000 ICC;

sarebbe opportuno utilizzare i termini disciplinati negli Incoterms 2000 in modo appropriato, usando cioè l’Incoterms corrispondente al modo di trasporto utilizzato. Vale a dire che, se il trasporto è marittimo (da porto a porto) o per le vie fluviali i termini da usare sono FAS, FOB, CFR, CIF, DES, DEQ. Per tutti gli altri modi di trasporto, compreso quello multimodale, i termini da usare sono tutti gli altri e, cioè, EXW, FCA, CPT, CIP, DAF, DDU, DDP.

gli Incoterms non contemplano, inoltre, condizioni contrattuali relative, ad esempio, alle modalità di pagamento, al trasferimento della proprietà o altro;

considerare sempre che gli Incoterms sono analizzati nei contratti di vendita e, pertanto, riguardano i rapporti tra venditore e compratore e non le relazioni fra caricatore (venditore) e vettore regolate dal contratto di trasporto;

cercare di adottare uno dei tredici Incoterms regolamentati dalla CCI evitando di utilizzare preesistenti termini che sono stati sostituiti con le ultime revisioni, come, ad esempio FOR/FOT (Free on Rail/Free on Truch) sostituiti dal “FCA” oppure il C&F divenuto CFR;

non dimenticare che gli Incoterms regolano soprattutto il trasferimento dei rischi e la ripartizione dei costi fra venditore e compratore, nonché alcuni obblighi in materia di dogana (se dovuta) e di assicurazione.

Tuttavia è opportuno che, oltre a quanto stabilito negli Incoterms, gli operatori economici stabiliscano:

- come avverrà la consegna della merce, vale a dire a chi spetta l’obbligo di caricare e scaricare la stessa;

- la copertura assicurativa desiderata;- le condizioni particolari di trasporto in considerazione del tipo di merce e di tragitto;- le clausole di forza maggiore e di esonero da responsabilità.

- ricordare che i termini CFR, CIF, CPT, CIP, pur prevedendo che il trasporto principale sia a carico del venditore, non sono termini all’“arrivo” ma, al contrario, sono termini alla “partenza”. Questo significa che il trasferimento dei rischi al compratore, avviene nel Paese di spedizione così come per i termini del gruppo “F”.

L’esportatore valuti sempre con attenzione, là dove questo sia possibile, il termine di consegna più appropriato. È errata la convinzione, assai diffusa, che il termine “Ex Works” sia la soluzione migliore e più conveniente rappresentando il livello minimo di obblighi per il venditore. Proprio questo impedisce il controllo della merce in viaggio e la determinazione delle eventuali responsabilità in caso di danni, impedisce di fare le “scelte”, rende difficile il ritorno dei documenti doganali, aumenta il rischio di mancato pagamento nel caso di dilazioni di pagamento e/o di pagamenti a mezzo D/P, CAD, LCI.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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45. Gli aspetti agevolativi (sostegno finanziario all’internazionalizzazione)

La politica economica del nostro Paese, in uno scenario caratterizzato dalla globalizzazione del mercato, tende oggi ad incentivare modifiche strutturali nel sistema economico, nella competitività e nell’internazionalizzazione.L’export italiano sui mercati internazionali è fortemente sostenuto dall’attività delle Piccole e Medie Imprese.E’ fondamentale quindi, che si intensifichino le politiche volte a sostenere i processi di internazionalizzazione di queste realtà imprenditoriali.L’assetto economico internazionale sta mutando al punto tale che, si delineano nuovi attori e nuove regioni economiche nel mondo, con la conseguente necessità di intraprendere scelte strategiche innovative a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese.

La crescita del nostro Paese dipende fortemente dalla presenza delle nostre imprese sui mercati internazionali in modo che il Made in Italy possa essere protagonista del mercato mondiale.Questo è il motivo per cui l’Italia si è posta l’obiettivo, nel 2007, di rilanciare la politica commerciale e di promozione all’estero, seguendo precise linee di intervento basate su strategie di rete, priorità settoriali e priorità geografiche, sostenendo in particolare l’inserimento delle Piccole Medie Imprese sui mercati internazionali.La crescita dell’Italia nel commercio internazionale richiede un coordinamento tra Governo, Regioni, enti locali e associazioni delle imprese attraverso Linee Direttrici che tengano conto che la scelta di internazionalizzarsi è una scelta strategica che si gioca sui talenti, sulle competenze, sulla scelta strategica dei Paesi di destinazione, in funzione del basso costo del lavoro, della crescente capacità d’acquisto e della disponibilità di materie prime.

PROTAGONISTI DEL SOSTEGNO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Il Ministero delle Attività Produttive (MAP) svolge un ruolo guida nel sostegno pubblico all’internazionalizzazione attraverso attività promozionali mentre il Ministero dell’Economia (insieme al Ministero delle Attività Produttive e al Ministero degli Affari Esteri) attua politiche di sostegno finanziario e assicurativo al credito all’esportazione ed agli investimenti diretti esteri.

Simest, Finest per il Triveneto e SACE assicurano il sostegno finanziario all’internazionalizzazione. Il maggior intervento finanziario di Simest e Finest è rappresentato dal credito all’esportazione (ex legge Ossola) che agevola il credito, a fronte di dilazioni di pagamento per l’importatore, attraverso una forma di contributo in conto interessi.Altri interventi previsti da Simest sono:

il finanziamento a tasso agevolato dei programmi di penetrazione commerciale; l’ingresso come socio temporaneo in investimenti diretti e joint-venture sui mercati extra-Ue.

Lo scenario in cui si trova ad operare Sace, essendo caratterizzato dalla globalizzazione e da una maggiore concorrenza dei prodotti finanziari offerti a copertura del rischio, ha indotto la stessa ad offrire maggiori servizi soprattutto alle Piccole e Medie Imprese che necessitano di un player a capitale pubblico che operi con criteri privatistici.

Anche l’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (ICE) ha un ruolo fondamentale nel processo di internazionalizzazione in quanto promuove lo sviluppo degli scambi commerciali con gli altri paesi, favorendo la proiezione internazionale delle imprese italiane. Le funzioni svolte dall’ICE a sostegno dell’internazionalizzazione sono le seguenti:

1. organizzazione di eventi promozionali e di collaborazioni industriali;2. assistenza personalizzata alle imprese;3. monitoraggio e diffusione di informazioni riguardanti i mercati esteri;4. attività di formazione per l’internazionalizzazione.

Altre protagoniste, nello scenario dell’internazionalizzazione del nostro Paese, sono le Camere di Commercio Italiane che danno assistenza alle imprese tramite staff di consulenti esterni specializzati nelle singole materie (contrattuale, fiscale, pagamenti, trasporti, doganale, ecc.) , con l’obiettivo prioritario di promuovere il sistema imprenditoriale italiano.

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Il sistema camerale dispone di 13 Centri Estero Regionali e di 61 Aziende Speciali che svolgono attività di internazionalizzazione, insieme agli uffici camerali per il commercio estero ed agli Eurosportelli.

Le Camere di Commercio Italiane all’Estero sono strutture associative il cui sistema è divenuto un network globale con 71 camere presenti, 135 uffici, 46 paesi e 25.000 imprese associate.Le attività svolte dalle Camere di Commercio Italiane all’Estero prevedono l’assistenza alle imprese per la conclusione di affari; l’informazione operativa per le imprese e la formazione., la promozione del Made in Italy attraverso la realizzazione di progetti multilaterali con vari enti come le Università.

LINEE DIRETTRICI

Le Linee Direttrici tengono conto della ricostituzione del Ministero del Commercio Estero, che si prefigge di dare efficacia alla politica di internazionalizzazione puntando soprattutto sulle Piccole e Medie Imprese.L’impresa che intende internazionalizzarsi è favorita oggi dalla diminuzione dei costi di trasporto e dallo sviluppo delle comunicazioni, rendendo l’accesso sui mercati esteri più semplice.

Gli obiettivi di internazionalizzazione del Governo mirano a: incentivare l’internazionalizzazione dei settori non basati sulla concorrenza di prezzo; continuare la difesa dei nostri prodotti, marchi e brevetti combattendo la contraffazione; recuperare quote di mercato nei paesi dove la nostra presenza è inferiore alla media e aprirne

nuovi dove non siamo presenti; mantenere alta l’immagine del Made in Italy.

Un uso più selettivo delle risorse costituisce l’obiettivo che si prefigge di realizzare il Governo attraverso le Linee Direttrici con le quali si vuole:

concentrare le attività fieristiche sulle manifestazioni fondamentali, per non disperdere risorse; aumentare gli investimenti a supporto dei settori innovativi e della formazione di competenze

orientate all’internazionalizzazione, incrementare le attività tese a creare sinergie tra le piccole imprese, per creare consorzi e

cooperative dimensionalmente più adatti ai processi di internazionalizzazione; focalizzare geograficamente i paesi ad alto tasso di sviluppo o più interessanti per le imprese ed i

prodotti italiani.

Oltre agli strumenti promozionali gestiti dal Ministero delle Attività Produttive attraverso cui si concedono contributi a fronte della presentazione di progetti promozionali realizzabili, è importante menzionare gli strumenti innovativi che comprendono le esperienze pilota in diversi settori, dal finanziamento degli studi di fattibilità allo sviluppo del nostro sistema fieristico.Importante è l’accordo-quadro tra MAP-ICE-CRUI (Conferenza rettori università italiane per la collaborazione tra università e imprese nel campo dell’internazionalizzazione; un primo bando di 3 milioni di euro è stato approvato nel 2003, mentre un secondo di 2,6 milioni di euro nel 2005/2006. Allo stesso modo avviene per il sistema fieristico.

Molto importante è anche l’intervento del Ministero e dell’Ice che finanziano il 75% degli studi di fattibilità riguardanti:

- investimenti collettivi di Piccole e Medie Imprese per realizzare insediamenti commerciali o produttivi all’estero;

- progetti di collaborazione tra Università e imprese finalizzati ad acquisire conoscenze e tecnologie mediante brevetti, joint-venture e start-up.

FINANZIAMENTI NAZIONALI

Lo stato italiano ha previsto, con alcune leggi che ora andremo schematicamente ad illustrare, una serie di incentivi e finanziamenti per le aziende, siano esse di grandi dimensioni o medio piccole, che abbracciano tutte le iniziative di internazionalizzazione.

FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER STUDI DI PREFATTIBILITÀ, DI FATTIBILITÀ E DI ASSISTENZA TECNICA

L’impresa, prima di provare la via dell'internazionalizzazione, deve considerare tutta una serie di aspetti legati al paese, al partner commerciale, alla commessa che ha l'opportunità di ottenere, ecc.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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È, necessario, quindi attuare in primis una serie di studi di fattibilità per comprendere quali sono le risorse disponibili, quale il mercato in cui ci si vuole inserire, le sue caratteristiche, gli investimenti necessari per far funzionare la nuova impresa e così via. Lo studio di fattibilità, oltre ad essere utile per definire meglio il progetto, talvolta è persino richiesto dalle autorità del paese in cui deve essere effettuato l’investimento, ai fini del rilascio delle necessarie autorizzazioni.Il lavoro di ricerca necessario per approntare tale studio può a volte essere costoso e dare risultati poco incoraggianti per l'impresa: con il Decreto Legge 143/1998 si è voluto istituire una forma di finanziamento per dare la possibilità di attuare studi di fattibilità o supporti per l'assistenza tecnica e, se i risultati dello studio sono positivi, implementare un'iniziativa di internazionalizzazione.

FINANZIAMENTI ALLE SOCIETÀ ESTERE PARTECIPATE

La legge n. 56 del 31 marzo 2005 sull’internazionalizzazione ha modificato in modo rilevante la materia riguardante i finanziamenti esteri concessi da Simest alle società partecipate.L’art. 7 della legge autorizza Simest a concedere finanziamenti, di durata non superiore a 8 anni, alle imprese o società estere da lei partecipate, in misura non eccedente il 50% (e non solo il 25%) dell’impegno finanziario previsto dal programma economico dell’impresa o società estera per le piccole e medie imprese.

CONTRIBUTI AGLI INTERESSI A FRONTE DI UN FINANZIAMENTO CONCESSO ALL’IMPRESA ITALIANA DA BANCHE ITALIANE O ESTERE

I contributi agli interessi, previsti dall’art. 4 della legge 100/90, rappresentano per gli investitori italiani un’agevolazione molto interessante, rispondendo all’esigenza dell’impresa investitrice di apportare, in modo ottimale, nella società estera, la quota di capitale sociale e gli eventuali finanziamenti soci.L’agevolazione è concessa nei limiti delle norme comunitarie e la durata massima del finanziamento bancario è di otto anni a partire dalla prima erogazione del finanziamento.L’impresa e la banca finanziatrice concordano liberamente il tasso di interesse.Il contributo agli interessi è fisso per tutta la durata dell’agevolazione, ed è pari al 50% del tasso di riferimento vigente, alla data di stipula del contratto di finanziamento.

FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER I PROGRAMMI DI PENETRAZIONE COMMERCIALE

Finanziamenti a tasso agevolato sono previsti dalla legge 394/81, per supportare la penetrazione commerciale di un’impresa, in un paese non appartenente all’Unione Europea, attraverso la realizzazione di un insediamento durevole (uffici, filiali di vendita..). Tale finanziamento prevede, a copertura delle spese per la penetrazione commerciale, un tasso di interesse agevolato pari al 40% del tasso di riferimento.Le Piccole e Medie Imprese sono state le maggiori destinatarie di questi finanziamenti mentre, le aree di maggiore interesse sono state l’Europa Centro Orientale (in particolare Russia e Romania) e l’America settentrionale (soprattutto USA). Tale legge, però, a seguito del Decreto Legge 2 giugno 2008 n. 112 è destinata ad essere abrogata nella quasi totalità, salvo alcuni articoli della medesima che resteranno in vigore.

FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER I PROGRAMMI DI ASSISTENZA TECNICA

Il Dls 143/98 prevede anche finanziamenti a tasso agevolato (tasso di interesse pari al 25% del tasso di riferimento) per programmi di assistenza tecnica collegati a esportazioni o investimenti in paesi non appartenenti all’Unione Europea.

FONDI DI VENTURE CAPITAL

Simest sostiene gli investimenti italiani all’estero attraverso la partecipazione azionaria nelle società estere, la gestione dei fondi relativi ai contributi e finanziamenti per i vari processi di internazionalizzazione ma anche, attraverso, la gestione dei Fondi di venture capital.

I Fondi di venture capital sono fondi rotativi di capitale di rischio destinati al sostegno di investimenti di imprese italiane in paesi di diverse aree geografiche ritenute prioritarie per le nostre imprese.

La finalità di tali Fondi è quella di sostenere lo sviluppo del nostro paese in aree strategiche: Balcani, Medio oriente, Africa sub-sahariana, Cina, Russia e paesi caucasici.

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L’intervento consiste nell’acquisizione da parte di Simest o Finest di quote del capitale di rischio aggiuntive a quelle previste dalla legge 100/90, fino al raggiungimento del 49% del capitale e senza necessità per l’imprenditore di prestare apposite garanzie.Simest, nel 2004, ha approvato progetti per quasi 50 milioni di euro soprattutto verso le aree dell’est Europa (in particolare Romania) e dell’Asia orientale (in particolare Cina).I fondi di venture capital, essendo caratterizzati da costi ridotti e dalla non necessità di prestare garanzie, hanno avuto un grande successo, suscitando l’interesse di molti. Attualmente Simest gestisce un unico Fondo per operazioni di venture capital, in seguito alla Legge Finanziaria 2007 che ha provveduto a riunifiacare i sei Fondi gestiti precedentemente da Simest, estendendo l’intervento anche ad altri paesi.La rotatività è una caratteristica che il Fondo unico conserva, infatti, man mano che le partecipazioni vengono disinvestite, il relativo importo rientra nella dotazione del Fondo.Quando il Fondo acquisisce una partecipazione nell’impresa estera controllata, viene pattuito il riacquisto atermine della partecipazione da parte dell’impresa italiana investitrice che ne ha richiesto l’intervento.

Il Fondo unico, con una dotazione di 228.556.401,70 euro, potrà essere destinato ad interventi in diversi paesi elencati nella tabella che segue.

Paesi destinatari del Fondo Unico per operazioni di venture capital

Africa: tutti i paesi africani compresi quelli insulari

Albania America Centrale e America

Meridionale: tutti i Paesi dell’area ad esclusione dei territori e possedimenti d’oltremare dei paesi dell’UE (PTOM) e di dipartimenti francesi d’oltremare (DOM)

Armenia Autorità Palestinese

Azerbaijan Bosnia - Erzegovina Croazia Federazione Russa Georgia Giordania India Indonesia Iraq e Paesi confinanti con

l’Iraq (purché con attività prevalente rivolta all’Iraq)

Israele Libano

Malaysia Maldive Moldavia Montenegro Repubblica di Macedonia Repubblica Popolare Cinese Serbia Siria Sri Lanka Thailandia Turchia Ucraina

Fonte: International Trade n. 8/15 aprile 2007 Articolo: Il sostegno agli investimenti italiani all’estero: il Fondo unico di venture capital a cura di Giampietro Garioni

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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46. Il Business plan

I vantaggi offerti dagli strumenti di finanziamento agevolato, spesso si perdono per una cattiva programmazione e redazione del piano di internazionalizzazione, o per la presentazione di progetti che sono troppo azzardati per essere sostenuti da strutture organizzative inadeguate o ancora troppo fragili per affrontare i mercati esteri.Qualunque tipo di finanziamento l'impresa richieda: sia esso per condurre indagini di mercato per un eventuale piano di fattibilità, sia per un progetto di esportazione, di penetrazione commerciale stabile o creazione di società mista, sarà sempre opportuno, per non dire obbligatorio, analizzare tutti i passi da compiere per non lasciare nulla al caso. Al fine di internazionalizzare la produzione, un’impresa deve partire dall’esame dei dati economici e politici dei paesi che appaiono più interessanti, per scoprire qual’è il più idoneo alla propria iniziativa.

L'imprenditore dovrà sommariamente:1. pianificare e programmare tutte le fasi dell'intervento;2. sottoporre l'azienda ad un check up interno, per verificare se la struttura e l'organizzazione sono in

grado di sostenere lo sviluppo estero, ovvero se vi è la capacità tecnica di gestire l’operazione;3. verificare la possibilità di appoggio organizzativo qualora non si senta sufficientemente forte per

operare individualmente (ad esempio, può ricorrere ad una formula consorziata che permetta di avviare la propria iniziativa con più imprese).

Solo a questo punto, dopo aver individuato le risorse richieste dal progetto e quelle già presenti all'interno dell'impresa, sarà possibile procedere a stilare un documento scritto denominato Business plan da presentare all'ente erogatore del finanziamento, con buone prospettive di ottenerlo.

IL BUSINESS PLAN È UN PIANO D'AZIONE CHE ILLUSTRA DETTAGLIATAMENTE LA STRATEGIA D'INTERVENTO, INDIVIDUANDO STEP BY STEP LE RISORSE FINANZIARIE UMANE E TECNICHE NECESSARIE ALL'IMPLEMENTAZIONE DEL PROGETTO, IN UN ARCO

TEMPORALE PREDEFINITO.

Oggetto del Business plan è, quindi, la realizzazione di un progetto aziendale che, ai fini del presente lavoro, riguarda un progetto di internazionalizzazione predisposto per valutare la fattibilità del medesimo.Può prevedere la commercializzazione dei propri prodotti su di un determinato mercato, la possibilità di creare una stabile organizzazione in un paese estero, il decentramento produttivo, la creazione di una società di diritto estera di totale proprietà dell’azienda o, ancora, la realizzazione di una joint venture con un partner straniero.

Il Business plan dovrà prendere in considerazione un periodo di tempo determinato necessario allo sviluppo del progetto specifico e al raggiungimento dei risultati attesi. Periodo di tempo la cui durata dipende dal tipo di progetto e dalla sua ampiezza.

Perché il Business plan Non basta avere una buona idea per realizzare un progetto di successo

Facilita la valutazione e l’implementazione del progetto da realizzare

Permette di apportare le correzioni che si rendessero necessarie

Permette di valutare la bontà del progetto e la sua fattibilità

Consente di verificare la fattibilità, la convenienza economico-finanziaria e la sua redditività

Valuta le coerenze e le eventuali incoerenze dl progetto

Rappresenta un buon biglietto da visita per fornitori e clienti

È condizione necessaria per l’accesso a fonti di finanziamento agevolato

SCOPO DEL BUSINESS PLAN È DI VALUTARE LA REALE FATTIBILITÀ DEL PROGETTO ATTRAVERSO UN ESAME DELLE VARIABILI,DESCRITTE NELLA TABELLA “ELEMENTI DEL BUSINESS PLAN” CHE DOVRANNO RISULTARE CONVINCENTI AGLI ESAMINATORI NEI

VARI ASPETTI CHE CARATTERIZZANO IL PROGETTO

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Elementi del Business plan1. Descrizione del progetto e degli obiettivi

2. Definizione del piano commerciale

- valutazione del mercato di riferimento in cui si svilupperà il progetto

- analisi del contesto economico, sociale, politico e normativo

- individuazione del target di clienti e loro analisi

3. Definizione del piano di marketing

- analisi del sistema competitivo

- descrizione del prodotto o del servizio

- definizione dell’offerta

- individuazione del prezzo e del canale promozionale

- definizione della rete distributiva

- formulazione della strategia aziendale

- individuazione di eventuali alleanze

4. Definizione del piano organizzativo

- verifica delle competenze necessarie e delle risorse umane da coinvolgere nel progetto

- individuazione del project manager e dello staff di progetto

- definizione delle strutture necessarie e delle loro caratteristiche

- individuazione di dove localizzare le diverse attività (uffici, produzione, ecc.)

- suddivisione dei compiti e dei tempi per realizzare il progetto

5. Definizione del piano produttivo

- valutazione della qualità e dei tempi di produzione

- analisi delle competenze necessarie e loro sviluppo

- utilizzo capacità produttive dell’azienda e/o ricorso a capacità produttive alternative

- valutazione delle tecnologie di processo

- analisi della flessibilità della struttura produttiva

6. Definizione del piano logistico

- individuazione della tipologia di investimenti

- individuazione di dove localizzare le diverse attività (uffici, produzione, ecc.)

- verifica della vicinanza di punti di smistamento, dell’esistenza di infrastrutture, ecc.

- definizione dei tempi e delle modalità di realizzazione di tutto il processo di sviluppo del prodotto

7. Definizione del piano finanziario

- individuazione delle risorse per fronteggiare l’investimento

- analisi di tutti i costi fissi necessari per lo sviluppo del progetto

- analisi di tutti i costi variabili

- predisposizione di un conto economico di gestione caratteristica del mercato di riferimento

- previsione dei flussi di cassa attesi

La preparazione di un business plan coinvolge tutti i settori e le divisioni dell'azienda. Creare una società all'estero o installare un distaccamento produttivo vedrà impegnati tutti i partecipanti alla vita dell'impresa:

il commerciale dovrà trovare e mantenere i contatti con gli uffici pubblici e il partner estero e favorire l'avanzamento del progetto;

la produzione dovrà apportare le sue conoscenze tecniche e mantenere gli standard di qualità; l'amministrazione sarà coinvolta per espletare tutte le formalità burocratiche e per il controllo di

gestione e dei costi;

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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la logistica dovrà interessarsi di organizzare i contatti con il nuovo impianto; le risorse umane dovranno scegliere le persone competenti a partecipare al progetto

Se il progetto è di notevole entità spesso sarà necessario ricorrere all'ausilio di un Project Manager esterno che, in ogni caso, farà solo da coordinatore fra le varie divisioni dell'impresa.Da quanto detto, si comprende che sono numerose le variabili che devono essere prese in considerazioni come oggetto d'esame e nessuna può essere tralasciata.Sarà necessario individuare con precisione gli obiettivi che si vogliono raggiungere, e in base a questi, scegliere qual è il paese e in quale area vi sono le condizioni ideali per realizzarli: individuare, quindi, i vantaggi in termini di infrastrutture, produttività e redditività a parità di costi.

Dopo aver scelto dove, quale struttura produttiva avviare, (nel caso di investimento produttivo), quali le risorse finanziarie di sostegno al progetto, si dovranno individuare i contatti, l'impatto commerciale che avrà il progetto e ovviamente il fabbisogno in termini di risorse umane, selezionando, fra l'organico dell'impresa le persone adatte e da coinvolgere nel progetto ed eventuali consulenti esterni.

E' IMPORTANTE SOTTOLINEARE, INOLTRE, CHE NEL MOMENTO IN CUI SI DECIDE DI CREARE UNA JOINT VENTURE O DI INSTALLARE UN IMPIANTO PRODUTTIVO ALL'ESTERO NON SI PUÒ TRALASCIARE TUTTA QUELLA SERIE DI ELEMENTI SOCIO -

CULTURALI DI UN PAESE CHE INEVITABILMENTE CONDIZIONANO ANCHE I PROCESSI PRODUTTIVI, IL MODO E LE TEMPISTICHE LAVORATIVE

Nella tabella sottostante riportiamo evidenziate le variabili oggetto di esame per un business plan, che, benché generiche, possono essere un punto di partenza per una corretta compilazione e progettazione.

Variabili oggetto di esame per la stesura di un Business plan

Obiettivi facilmente identificabili e quantificabili/misurabili

Motivazioni convincenti e coerenti Struttura economico - finanziaria per sostenere il progetto

Redditività del progetto (ricavi e costi); Impatto commerciale dell'iniziativa

Individuazione del piano adatto alle esigenze e agli obiettivi

Pianificazione del piano produttivo e commerciale

Fabbisogno di risorse umane

Fabbisogno di conoscenze tecniche e di processi

Fabbisogno finanziario

Struttura logistica dell'impresa

Individuazione del personale necessario e competente

Individuazione delle coerenze e delle eventuali incoerenze del progetto

Verifica eventuali difficoltà/punti di criticità/rischi e modalità di affronto Individuazione del/i responsabile/i del progetto

Verifica delle capacità di realizzare il progetto

Tempistica necessaria al raggiungimento dei risultati

Definizione dei criteri di valutazione del control cost del progetto

Aspettative circa i risultati da raggiungere nel periodo di tempo considerato Punti di forza nella realizzazione del progetto

Punti di debolezza e modi per affrontarli

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Sono CINQUE i suggerimenti per la corretta elaborazione del Business plan:

1. Individuare i criteri e gli strumenti di valutazione2. Definire i prerequisiti circa la struttura e l’organizzazione3. Identificare le potenzialità ed i limiti del progetto4. Illustrare come sviluppare i contenuti5. Tracciare sempre le conclusioni

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Bibliografia consigliata

Albicini, A., Zavatta R., Il Contratto Internazionale di Agenzia, 2ª ed., Maggioli Editore, Rimini, 2003.

Bianchi M., Saluzzo D., I Contratti Internazionali, Il Sole 24 Ore, Milano, 2005.

Bortolotti F., Diritto dei Contratti Internazionali, Cedam, Padova, 1998.

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Punti di Criticità del Management Internazionale

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Siti consigliati

http:// www.mincomes.it

https:// www.sace.it

http:// www.simest.it

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http:// www.ice.gov.it

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4a Parte

INDIVIDUAZIONE E GESTIONE DEI COSTI NELLE OPERAZIONI

DOGANALI: COMPETITIVITÀ A RISCHIO?

Laura Carola Beretta

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Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?

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47. Alcune ragioni per un approccio strategico alle operazioni commerciali internazionali: considerazioni introduttive

La disciplina applicabile alle operazioni commerciali internazionali è sempre più complessa ed in continuo mutamento. Ad una fase iniziale che vedeva le merci quali protagoniste di primaria importanza, gli sviluppi delle relazioni commerciali hanno visto crescere la funzione del commercio di servizi e della protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Questa evoluzione è riflessa nel fatto che gli accordi gestiti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) contemplano sia lo scambio di beni, sia il commercio di servizi e gli aspetti di proprietà intellettuale. Con portata più limitata, invece, le norme del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), l’accordo che ha disciplinato il commercio internazionale fino all’entrata in vigore, nel 1995, del sistema OMC, riguardavano il solo commercio di beni. Il processo di liberalizzazione, gestito prima dal GATT e successivamente dall’OMC, ha portato ad un generale abbassamento dei dazi, che ha interessato principalmente i prodotti importati nei Paesi industrializzati, e continua a promuovere l’istituzione di norme più trasparenti e semplici relative alle barriere non tariffarie del commercio mondiale. Allo stesso tempo però, la partecipazione della quasi totalità degli Stati al contesto dell’economia globalizzata ha reso la spinta concorrenziale dei Paesi terzi, in particolare di quelli c.d. emergenti, sempre più pressante.

L’eliminazione, a partire dal gennaio 2005, delle quote all’importazione di prodotti tessili e dell’abbigliamento, e l’ingresso della Cina nell’OMC nel 2003, sono altre due circostanze che hanno messo in difficoltà le economie dei Paesi industrializzati, in quanto hanno reso la competitività dei prodotti importati ancora più pressante. A partire dall’eliminazione delle quote, i mercati nazionali possono essere protetti dalle importazioni di prodotti tessili e dell’abbigliamento solo tramite dazi doganali. L’appartenenza della Cina all’OMC, fa sì che ai prodotti cinesi, al momento della loro importazione venga applicato, in virtù del principio di non discriminazione, lo stesso trattamento riservato ai prodotti originari degli altri Stati membri dell’OMC. Per parte sua la Cina, invece, secondo quanto stabilito dal suo protocollo di adesione, beneficia della possibilità di adattare la propria legislazione alla disciplina OMC in maniera graduale. Questo significa che la Cina sta beneficiando dell’apertura dei mercati giovandosi, al contempo, di un periodo transitorio durante il quale adattare la propria legislazione alle regole del commercio internazionale.

La reazione più ‘vistosa’ ad uno scenario sempre più competitivo è il ricorso sempre più frequente da parte degli Stati a strumenti di difesa commerciale utilizzati in chiave alternativa ai dazi. Si pensi ad esempio ai numerosi requisiti di etichettatura tecnica necessari affinché un prodotto possa essere messo sul mercato nel rispetto della sicurezza dell’ambiente e del consumatore. Nello stesso senso, la tendenza presente in sempre più Paesi a rendere obbligatoria, proprio a tutela del consumatore, l’indicazione del Paese di origine sui prodotti importati è indice di un’attenzione maggiore agli interessi di chi acquista; ma è anche un modo per proteggere la produzione nazionale rendendo più complesse le operazioni d’importazione. Nella medesima direzione va considerato l’aumento del ricorso ai procedimenti antidumping miranti a ristabilire l’equilibrio competitivo messo in pericolo dalla pratica delle aziende straniere che esportano i propri prodotti a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati sul mercato di origine. Un altro tratto caratterizzante le relazioni commerciali internazionali odierne è la proliferazione di accordi commerciali preferenziali. È interessate notare che gli accordi di ultima generazione non si limitano più a prevedere la graduale eliminazione dei dazi doganali all’importazione di prodotti originari dei Paesi parte agli accordi, includendo, invece, anche disposizioni relative al commercio di servizi, agli strumenti di difesa commerciale (antidumping, anti-sovvenzioni e misure di salvaguardia), agli investimenti ed alla protezione della proprietà intellettuale. Questo implica, da un lato, una maggiore integrazione economica, assistita dall’armonizzazione delle legislazioni, tra gli Stati parte dell’accordo, ma comporta, sotto un altro punto di vista, il moltiplicarsi di regimi normativi applicabili, traducendosi quindi, in un costo conoscitivo e di ‘fattibilità’ del commercio internazionale. In un contesto normativo contraddistinto da una elevata frammentarietà del quadro normativo applicabile, all’impegno di armonizzazione e semplificazione della normativa applicabile agli scambi commerciali internazionali, si sommano gli sforzi intrapresi a livello regionale. L’entrata in vigore del Codice doganale aggiornato88 può senz’altro tradursi in un cambiamento positivo per le aziende che operano nella e con l’Unione europea. Tuttavia, per effettuare una valutazione concreta dei cambiamenti apportati dal nuovo codice è opportuno attendere l’entrata in vigore delle nuove disposizioni di applicazione.

88 Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio N° 450/2008

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Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?

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Questi cambiamenti, attorno alla cui evoluzione si formano ordini di interessi contrapposti, accrescono la complessità del contesto normativo e operativo di riferimento. Tali mutamenti sono portatori di opportunità che possono però tradursi in costi se non vengono correttamente gestite. Ecco quindi che la questione di trattare la variabile doganale del commercio internazionale come una forma di management che vada al di là del disbrigo della compilazione dei documenti doganali e della movimentazione delle merci diventa rilevante.

Prendendo spunto da queste considerazioni preliminari, viene innanzitutto esaminato il panorama di barriere tariffarie e non tariffarie che ostacolano il commercio di beni, citando dei dati alla luce dei quali è evidente come la liberalizzazione commerciale, intesa come abbassamento del livello dei dazi, sia in realtà limitata ad alcuni prodotti. Infatti, le tariffe applicate dalla maggior parte dai Paesi in via di sviluppo (PVS) sono ancora alquanto elevate; lo stesso vale per i dazi imposti dai Paesi industrializzati per l’importazione di prodotti agricoli e di beni labour intensive. Segue un’analisi dettagliata dell’impatto dell’indicazione di origine ‘Made in…’ in termini di ulteriore ostacolo all’accesso ai mercati verso i quali le imprese italiane ed europee sono interessate ad esportare i loro prodotti. Alcune considerazioni operative circa l’importanza degli accordi commerciali preferenziali anticipano le conclusioni.

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Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?

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48. I costi del commercio internazionale di beni: dazi e barriere non tariffarie

Affinché un’azienda possa aver garantito l’accesso strategico ai mercati di import-export, riducendo al minimo il rischio di blocchi in dogana ed usufruendo appieno dei trattamenti tariffari preferenziali, viene in rilievo la necessità di conoscere i principali ostacoli che, se non affrontati con una corretta pianificazione, riducono il successo dell’attività commerciale.

Le barriere tariffarie e quelle non tariffarie costituiscono le due categorie di impedimenti al commercio internazionale di beni. Questa suddivisione va considerata in due sensi: sia per le merci in importazione nel territorio comunitario sia per i beni esportati verso i Paesi terzi. Infatti, i prodotti importati nel territorio della Comunità europea sono soggetti all’applicazione dei dazi e delle barriere non tariffarie previste dalla politica commerciale e dalle norme doganali comunitarie.

Allo stesso modo, i prodotti esportati dalle imprese comunitarie verso gli Stati terzi, sono sottoposti, al momento dell’importazione in tali Stati, alle barriere tariffarie e non tariffarie previste dalla politica commerciale e dalle norme doganali applicabili al momento dell’importazione da ciascuno Stato importatore (v. box). Questa considerazione è utile ad evitare di cadere nella pericolosa semplificazione secondo la quale rispettare i criteri della legislazione comunitaria significa anche aver soddisfatto i requisiti normativi sostanziali e procedurali dei Paesi verso i quali si esporta. Infatti, essendo ciascuno Stato destinatario delle esportazioni di prodotti delle aziende italiane e comunitarie un ordinamento autonomo, è libero di decidere costi e condizioni per ammettere i prodotti stranieri all’importazione nel proprio territorio.

Casi particolari di Stati importatori

Comunità europea

L’articolo 133 del Trattato di Roma, istitutivo della CE, prevede che “la politica commerciale comune è fondata su principi uniformi, specialmente per quanto concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali, l’uniformazione dellemisure di liberalizzazione, la politica di esportazione, nonché le misure di difesa commerciale (…)”. Gli Stati membri hanno quindi trasferito i poteri decisionali agli organi comunitari relativi a tali materie che sono quindi di competenza esclusiva comunitaria.

Hong Kong, Cina

Macao, Cina

Territori doganali di Taiwan, Penghu, Kinmen e Matsu, Cina

Tali territori soddisfano l’art. XII dell’accordo OMC in base al quale possono diventare membri: “ciascuno Stato o territorio doganale dotato di piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni commerciali esterne”

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49. Dazi più bassi?

I dazi doganali sono i diritti riscossi dall’autorità doganale al momento dell’importazione in relazione adun’operazione doganale. Secondo un principio fondamentale del sistema GATT-OMC, quello della c.d. protezione doganale esclusiva, i dazi doganali, a differenza delle barriere non tariffarie, sono l’unica misura di protezione dei mercati nazionali consentita; la ragione di questa differenza sta nel minore impattodistorsivo e nella maggior trasparenza, e quindi prevedibilità, delle misure tariffarie.

Il livello dei dazi doganali si è sensibilmente ridotto grazie ai negoziati svolti in ambito GATT-OMC; nei primi 5 anni successivi all’istituzione dell’OMC, le riduzioni tariffarie relative alle importazioni di prodotti industriali nei Paesi più avanzati, hanno fatto sì che la media dei dazi applicati a tali prodotti fosse tra il 6,3% e il 3,8%. Tuttavia alcuni studi richiamano l’attenzione su come le barriere tariffarie continuino a rappresentare un notevole ostacolo di accesso ai mercati dei Paesi terzi89. Va innanzitutto tenuto presente che, mentre i Paesi industrializzati utilizzano i dazi, certamente come fonte di risorsa economica, ma soprattutto come strumenti di difesa della produzione nazionale, nei Paesi in via di sviluppo la funzione dei dazi in chiave di introito per la finanza pubblica è decisamente prevalente. I Paesi in via di sviluppo sono la stragrande maggioranza, oltre a rappresentare un’opportunità sia come nuovi mercati di sbocco sia come opzioni per delocalizzare la produzione. In termini odierni, secondo l’OMC, i dazi all’importazione pari o superiori al 15% sono da considerare elevati; vengono, infatti definiti “picchi tariffari”.

Gli esempi della tabella che segue90 mostrano le medie dei dazi applicati all’importazione di prodotti agricoli e industriali, oltre ad alcuni significativi esempi di picchi tariffari, secondo la tariffa dell’Unione europea, degli Stati Uniti e della Svizzera, ossia dei principali destinatari delle esportazioni comunitarie, del Brasile e del Messico. I dazi specifici della Svizzera e degli altri Stati della tabella sono espressi secondo il loro equivalente ad valorem.

Livello medio dei dazi Picchi tariffariUnione europea

Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 18,6%Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 4%L’Unione europea applica dazi ad valorem per il 90%(WTO 2006)

Riguardano il 5,8% dei prodotti a tariffa “consolidata”.Tra i prodotti colpiti: le carni di bovino congelate (276,9%), frattaglie di carne (427,9%), alcuni succhi di ananas (209,8%), alcune qualità di funghi (300,8%)

Stati Uniti (terzo Paese destinatario delle esportazioni italiane, dopo Germania e Francia*)

Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 9,7%Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 4%I dazi non ad valorem riguardano il 10,6% dei prodotti tra cui molti prodotti agricoli, le calzature, gli orologi, gli strumenti di precisione

Al 5,5% delle linee tariffarie si applicano dazi superiori al 15% (sino al 2004).Tra i prodotti colpiti: tabacco (350%), le arachidi (164%); nel settore non agricolo il prodotto più colpito sono le calzature (58%)

Svizzera (sesto Paese di export per l’Italia*)

Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 36%Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 2,3%La Svizzera applica esclusivamente dazi specifici(WTO 2004)

Riguardano il 6,9% dei prodotti a tariffa “consolidata”, oscillano tra il 15 e il 25% EAV. Tra i prodotti colpiti: saponi, dentifrici, preparazione per il bagno, alcuni articoli di carta, prodotti tessili.Il dazio per alcuni olii, tessuti e

89 Si v. in particolare OECD Trade Policy Working Paper No. 45, The role of trade barriers in SME internationalization (unclassified), 2006, p. 690 Fonti OMC* Classifica del Ministero del Commercio Internazionale su dati ISTAT

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capi di abbigliamento eccedono il 25% EAV

Brasile (trentesimo Paese di export per l’Italia*)

Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 10.2%Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 10,5%Il Brasile applica solo dazi ad valorem (WTO 2004)

Il 55% dei prodotti importati sono soggetti a dazi compresi in un range del 10-20%; tra questi prodotti vi sono prodotti lattiero-caseari, bevande, prodotti alcolici, tabacco, prodotti del tessile-abbigliamento, macchinari non elettrici; per i prodotti del settore automobilistico i dazi sono del 35%.

Messico (ventottesimo Paese di export per l’Italia*)

Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 24,9%Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 15,6%Il Messico applica principalmente dazi ad valorem (WTO 2003)

Tra i prodotti più colpiti da picchi tariffari vi sono: la carne, i prodotti del tabacco, i cereali, i prodotti lattiero-caseari, i prodotti dell’abbigliamento, le calzature e gli oli di semi

Le ragioni per cui i dazi continuano ad incidere significativamente nel commercio internazionale sono riconducibili anche ad altri fenomeni. Tra i più significativi vanno evidenziati la modalità di percezione dei dazi e la variabilità delle tariffe nel tempo.

Le modalità di percezione dei dazi doganali sono principalmente quattro:

- i dazi ad valorem, calcolati in proporzione al valore delle merci importate ed esportate dalle autorità doganali di ciascun Paese. I dazi ad valorem sono considerati più trasparenti e meno distorsivi in quanto incidono in percentuale costante sul prezzo dei prodotti scambiati e diminuiscono in valore assoluto in presenza di prezzi più bassi, favorendo le merci più concorrenziali. Nella maggior parte dei Paesi OCSE i dazi vengono imposti ad valorem, con la significativa eccezione della Svizzera che, insieme agli Stati Uniti, è il maggior destinatario delle esportazioni comunitarie;

- i dazi specifici, consistenti in un’aliquota di prelievo fissa per unità fisica o per unità di peso del prodotto, indifferenti alle variazioni dei prezzi. La tariffa svizzera prevede esclusivamente dazi specifici. Secondo l’equivalente ad valorem (EAV), la media dei dazi svizzeri è del 12%, il 2,3% per i prodotti industriali e del 36% per i prodotti agricoli. La media aritmetica dei dazi applicati che era dell’8,9% nel 2000, è cresciuta al 9,3% nel 2004, molto probabilmente in ragione di un trenddiscendente dei prezzi dei prodotti importati. Dato il livello esiguo dei dazi previsti per i prodotti industriali, l’effetto in termini di liberalizzazione degli accordi di libero scambio conclusi dalla Svizzera è modesto, con l’importante eccezione dei prodotti di abbigliamento e di alcuni prodotti alimentari;

- i dazi misti sono una combinazione tra il prelievo fisso rispetto alla quantità delle merci e il prelievo commisurato al loro valore;

- i contingenti tariffari, una via di mezzo tra i dazi doganali e i contingenti all’importazione, comportano l’applicazione di dazi variabili, normalmente crescenti, in funzione della quantità importata; viene quindi applicata una determinata aliquota di prelievo ad un primo contingente di merci ed un’aliquota maggiore per il contingente successivo.

La variabilità delle tariffe è un grave elemento di perturbazione degli scambi internazionali. Infatti, in assenza di obblighi convenzionali, ogni Stato è libero di modificare le aliquote applicate sui diversi prodotti a seconda delle circostanze. Si capisce quindi perché, secondo un altro principio importante del sistema GATT, è fondamentale che gli Stati s’impegnino a rispettare un tetto massimo prestabilito di dazio che non deve essere superato. Le tariffe vengono quindi “consolidate” al livello dell’aliquota massima. Grazie a questo principio, il numero di prodotti importati secondo tariffe “consolidate” è aumentato dal 78% al 99% nei Paesi industrializzati, dal 21% al 73% nei Paesi in via di Sviluppo e dal 73% al 98% negli Stati in transizione verso l’economia di mercato.

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Va tuttavia notato che le tariffe effettivamente applicate sono normalmente inferiori a quelle “consolidate”; se sotto un certo profilo ciò è sicuramente un vantaggio, secondo un altro punto di vista, questa prassi rende l’effetto positivo del “consolidamento” solo parziale, in quanto un operatore economico può trovarsi in qualsiasi momento a far fronte a tariffe diverse da quelle previste, benché entro margini prefissati.

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50. Le barriere non tariffarie

L’uso sempre più diffuso di barriere non tariffarie si caratterizza, come si è visto,nel Capitolo 47, come una delle principali reazioni ai mutamenti dello scenario delle relazioni commerciali. La definizione esistente è piuttosto generica in quanto considera qualsiasi politica commerciale diversa dai dazi doganali avente un impatto sulle importazioni ed esportazioni un ostacolo non tariffario91. La stessa esistenza del fuso orario e il fatto che non tutte le dogane di tutti gli Stati del mondo sono aperte 24 ore su 24 costituisce un ostacolo non tariffario.

Ripercorrere, seppur schematicamente, le tappe principali percorse nell’ambito del sistema GATT-OMC nella predisposizione di una disciplina ad hoc delle misure di difesa commerciale alternative ai dazi aiuta ad individuare i primi ostacoli non tariffari oggetto di disciplina multilaterale (v. box).

Le barriere non tariffarie nella storia del sistema GATT - OMCDurante il Kennedy Round (1964-1967) All’epoca della redazione del GATT, nel periodo

successivo al secondo conflitto mondiale, vennero disciplinati solamente gli ostacoli al commercio internazionale maggiormente diffusi e i cui effetti erano più immediati ed evidenti: i dazi doganali e le restrizioni quantitative. A partire dagli anni ’60, quando il livello dei dazi doganali era già ridotto a tassi trascurabili per molti prodotti industriali, venne sentita l’esigenza di affrontare la questione della regolamentazione delle barriere non tariffarie che andavano ad incidere in maniera sempre più significativa sugli scambi di beni annullando, in parte, gli effetti della liberalizzazione raggiunta in campo daziario. Il primo negoziato in cui tale argomento venne affrontato fu il Kennedy Round che portò alla conclusione del Codice antidumping

Durante il Tokyo Round (1973-1979) La questione delle barriere non tariffarie venne affrontate per la prima volta in maniera sistematica. Vennero conclusi il codice sulle sovvenzioni, il secondo codice antidumping, l’accordo sulla valutazione delle merci in dogana, sugli appalti pubblici, sugli ostacoli tecnici agli scambi e sulle procedure per il rilascio delle licenze all’importazione

Durante l’Uruguay Round (1986-1994) 1. Vennero riformati I Codici sulle materie non tariffarie conclusi in occasione del Tokyo Round al fine di superare le lacune persistenti e i dubbi interpretativi2. Al fine di “aumentare la capacità del sistema GATT di adeguarsi all’ambiente economico internazionale in evoluzione” (cfr. il Preambolo di questi accordi), vengono stipulati l’Accordo sulle ispezioni pre-imbarco, l’Accordo sull’origine delle merci, l’Accordo sulle misure relative agli investimenti che incidono sugli scambi commerciali

Gli accordi OMC sugli ostacoli tecnici al commercio (Accordo TBT), le misure sanitarie e fitosanitarie (Accordo SPS), le procedure di rilascio delle licenze d’importazione, l’ispezione pre-imbarco, la determinazione del valore in dogana e le regole di origine hanno per obiettivo la trasparenza delle regole, procedure e pratiche amministrative e doganali rilevanti. Inoltre, questi accordi, al fine di facilitare le operazioni del commercio

91 V. The Terms of Trade and Other Wonders, Deardorff’s Glossary of International Economics, http://www-personal.umich.edu/~alandear/glossary/n.html

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internazionale, mirano all’armonizzazione delle norme cui si riferiscono. Gli accordi OMC relativi all’anti-dumping, ai sussidi e alle misure compensative (Accordo SMS) e alle misure di salvaguardia vanno, invece, considerati alla stregua misure adottate per ristabilire la competitività commerciale.

GLI OSTACOLI TECNICI AL COMMERCIO

Per tutelare la salute e la sicurezza dei consumatori e per preservare l’ambiente, gli Stati adottano norme tecniche che prescrivono le caratteristiche che devono essere soddisfatte dai prodotti per realizzare gli obiettivi di tutela delle persone e dell’ambiente. Le norme tecniche dispongono previsioni relative alla forma, la dimensione, il design, la funzione e la performance, oltre a prevedere una serie di requisiti di etichettatura. L’Accordo TBT contempla due tipologie di norme tecniche: i regolamenti tecnici e gli standards. I requisiti previsti da un regolamento tecnico sono obbligatori. La marcatura ‘CE’ prevista per alcune categorie di prodotti, come ad esempio i giocattoli e i prodotti dell’elettronica, è un esempio di regolamento tecnico che deve essere obbligatoriamente soddisfatto. Questo significa che dei giocattoli importati dalla Cina sprovvisti di tale marcatura sono, in caso di controllo doganale, fermati al momento dell’importazione, e salvo la possibilità di regolarizzarne la marcatura, non potranno accedere al mercato comunitario. Sotto il profilo aziendale, il problema, comune a tutti gli ostacoli di tipo non tariffario, è rappresentato dalla difficoltà di conoscere ed applicare correttamente i differenti regolamenti tecnici previsti da ciascuno Stato verso il quale un’impresa vuole esportare i propri prodotti. Gli standards, a differenza dei regolamenti tecnici, sono volontari. Un prodotto che non rispetta gli standards può essere ugualmente importato e venduto. Tuttavia, gli standards rivestono un’importanza fondamentale nella commercializzazione dei prodotti in quanto, essendo indice di qualità, ne promuovono l’immagine e l’affidabilità.

LE MISURE SANITARIE E FITOSANITARIE

Sono i requisiti che devono essere soddisfatti dai prodotti agricoli, come ad esempio la carne, i prodotti a base di carne, la frutta fresca e i vegetali per poter essere importati senza mettere a rischio di contagio con eventuali parassiti la salute umana o animale. Anche questo tipo di misura non tariffaria si presta ad essere utilizzata in chiave difensivo – discriminatoria, al di là degli obiettivi legittimi che ne giustificanol’applicazione. Vi sono Paesi che applicano misure sanitarie molto restrittive. Per esempio, lo standard cinese per l’importazione dei prosciutti è particolarmente severo. Distingue, innanzitutto tra prosciutti crudi, cotti e salami. I prosciutti crudi italiani sono ammessi all’importazione in Cina solo se garantiti dal Consorzio di San Daniele o di Parma. Più precisamente, sono ammessi all’importazione in Cina solo i prosciutti crudi garantiti da questi due consorzi, che siano stati stagionati per un minimo di 313 giorni e che siano stati ottenuti dalle cosce di animali macellati in uno degli unici 4 macelli italiani riconosciuti e autorizzati dai veterinari cinesi!

LE LICENZE ALL’IMPORTAZIONE

La disciplina GATT-OMC stabilisce il divieto assoluto, salvo le deroghe espressamente contemplate e disciplinate, di restrizioni quantitative al commercio, in quanto permettono di realizzare una protezione del mercato nazionale molto più rigida di quella ottenibile tramite i dazi. Questi ultimi portano sì ad una limitazione della concorrenza internazionale, ma non la eliminano del tutto. Gli esportatori stranieri e le imprese importatrici nazionali hanno infatti l’opportunità di compensare lo svantaggio commerciale che ne deriva pianificando la produzione in modo da ridurre il prezzo dei loro prodotti. L’interdizione delle importazioni al di là di un quantitativo determinato elimina invece molto più drasticamente la concorrenza straniera. Le licenze all’importazione cadono sotto il divieto di restrizioni quantitative al commercio stabilito dall’art. XI del GATT in ragione delle procedure amministrative connesse al loro rilascio. Tali procedure infatti costituiscono un ostacolo al commercio internazionale particolarmente gravoso in quanto accentuano l’onerosità e la complessità delle operazioni di importazione e, soprattutto, conferiscono alla pubblica amministrazione un potere discrezionale che è facilmente utilizzabile in modo arbitrario e discriminatorio. L’accordo OMC promuove la semplificazione e la trasparenza delleprocedure di rilascio delle licenze d’importazione.

LE ISPEZIONI PRE-IMBARCO

Consistono nella pratica di utilizzare compagnie private specializzate al fine di controllare, fra l’altro, qualità, quantità, prezzo, tassi di cambio della valuta, termini di resa e classificazione tariffaria delle merci. Sono

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utilizzate soprattutto dalle autorità dei Paesi in via di sviluppo al duplice scopo di salvaguardare gli interessi finanziari nazionali (riducendo al minimo la perdita di introiti derivante dalla mancata riscossione dei dazi) compensando, al contempo, le carenze delle infrastrutture doganali e amministrative di tali Paesi. L’accordo OMC mira a bilanciare gli interessi delle imprese esportatrici dei Paesi industrializzati e le necessità di salvaguardia di interessi economici essenziali per i Paesi in via di sviluppo.

I DAZI ANTIDUMPING, I DAZI COMPENSATIVI E LE SALVAGUARDIE COMMERCIALI

Comunemente definiti come strumenti di difesa commerciale, vengono adottati al fine di tutelare la produzione nazionale dalla competitività straniera. Mentre i dazi antidumping e i dazi compensativi costituiscono misure di reazione che è legittimo adottare a titolo di difesa a fronte di politiche commerciali sleali messe in atto da Paesi terzi, le misure di salvaguardia svolgono la funzione di ‘valvola di sicurezza’ azionabile per difendere un settore produttivo nazionale da un incremento importante di importazioni. Il dumping si verifica relativamente ai prodotti esportati da un’impresa di uno Stato terzo ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato sul mercato del Paese esportatore. Quando la comparazione tra questi due prezzi non è possibile in quanto il prodotto non è venduto sul mercato del Paese esportatore, si utilizza, a titolo di riferimento, il prezzo praticato per un prodotto simile in un Paese terzo. La Cina è il Paese cui si applicano la maggior parte dei dazi anti-dumping stabiliti dalla Comunità europea. In mancanza della possibilità di comparare il prezzo praticato in Cina con il prezzo di vendita nella Comunità europea, si fa spesso riferimento al prezzo praticato per i prodotti simili in India e in Brasile. Si considera che un prodotto sia venduto in dumping anche nel caso in cui il prezzo di vendita sia inferiore al costo di produzione.

Al fine di poter imporre misure antidumping, è necessario poter provare l’esistenza di tutti e tre i seguenti elementi: i) un margine di dumping ii) il pregiudizio o la minaccia di pregiudizio; e iii) il legame causale tra il dumping e il pregiudizio. Un altro elemento fondamentale è lo svolgimento di un’inchiesta. Le norme OMC prevedono requisiti specifici relativi all’apertura e lo svolgimento dell’inchiesta anti-dumping, e alle condizioni atte ad assicurare a tutte le parti interessate dal procedimento anti-dumping la possibilità di presentare adeguate prove. A partire dalla data della loro imposizione, le misure anti-dumping possono essere mantenute in vigore per 5 anni, salvo la possibilità di estenderle ulteriormente nel caso in cui ciò sia necessario per rimuovere il pregiudizio a danno dell’industria nazionale.

I DAZI COMPENSATIVI

Possono essere applicati per reagire nel caso in cui la competitività dei prodotti venduti sul mercato nazionale è il risultato dei sussidi ricevuti dal governo del Paese esportatore. L’Accordo SMS definisce il concetto di sussidio e di specificità. Ai sensi di tale accordo, un sussidio è un contributo finanziario, dato da un governo, o da qualsiasi organismo pubblico, dal quale discende un beneficio. Tra i tipi di misura che possono rappresentare un sussidio, l’Accordo SMS elenca i trasferimenti di fondi, i prestiti, gli incentivi fiscali e le forniture di beni e servizi. Un contributo finanziario è un sussidio solo nel caso in cui conferisca un beneficio. Inoltre, per essere oggetto di una procedura compensativa, il sussidio deve essere specificamente conferito a un un’impresa o a un gruppo di imprese. La procedura per l’imposizione di misure compensative è molto simile a quella prevista per l’anti-dumping. È infatti necessario condurre un’inchiesta che dimostri i) l’esistenza di un sussidio; ii) il pregiudizio o la minaccia di pregiudizio; e iii) il legame causale tra il sussidio e il pregiudizio. Anche le misure compensative possono essere mantenute in essere per 5 anni.

La procedura svolta per l’imposizione di misure di salvaguardia ricalca quelle già descritte per l’anti-dumping e le misure compensative. Tuttavia, in questo caso, il primo dei tre elementi che deve emergere dall’inchiesta è l’aumento significativo delle importazioni. Inoltre, se la misura necessaria a proteggere la produzione nazionale dovesse essere rappresentata da quote, queste non devono avere l’effetto di ridurre le quantità importate al di sotto della media annuale degli ultimi 3 anni per i quali vi sia disponibilità di dati statistici, salvo nell’eventualità che un’ulteriore riduzione del livello di quantità importate non si riveli necessaria a prevenire o a rimediare una situazione di grave pregiudizio. In virtù della funzione che sono destinate a svolgere, le misure di salvaguardia hanno una portata di carattere generale, e non sono, in principio, rivolte alle importazioni di un Paese specifico. La loro durata non può essere maggiore di 4 anni, salvo la possibilità di una loro estensione per altri 4 anni, qualora questo fosse necessario. La possibilità di estensione per altri 4 anni delle misure di salvaguardia va giustificata dalla presentazione di elementi di

prova relativi al processo di ristrutturazione in corso del settore produttivo che ha beneficiato della salvaguardia.

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La disciplina della Comunità europea richiama le norme previste dagli accordi OMC, con la differenza che gli strumenti di difesa commerciale possono essere adottati solo se sono nell’interesse comunitario. Questo significa che la presenza di i) una pratica di dumping, o di un sussidio, o di un aumento importante dei flussi d’importazione di un prodotto; ii) di pregiudizio o di minaccia di pregiudizio; iii) dell’esistenza di un legame causale deve essere valutata alla luce di un interesse più generale della Comunità europea. Infatti, se è indubbio che gli strumenti di difesa commerciale tutelano i produttori, possono essere contrari agli interessi, oltre che degli utilizzatori e dei consumatori, di quelle imprese che hanno delocalizzato e che importano prodotti proprio da quei Paesi che verrebbero colpiti dall’imposizione di misure difensive.

Le misure anti-dumping sono di gran lunga le più utilizzate. Infatti, nel periodo compreso tra gennaio 1996 e dicembre 2005, la Comunità europea ha imposto 194 misure antidumping definitive, aprendo 38 casi verso la Cina e 16 verso l’India. Al 31 ottobre 2006, erano in vigore 12 misure compensative. Alla fine del 2006, era in vigore una sola misura di salvaguardia. La Comunità europea è il terzo utilizzatore al mondo di strumenti di difesa commerciale. Infatti, sempre avendo come riferimento il periodo gennaio 1996 –dicembre 2005, contro le 194 misure anti-dumping imposte dalla Comunità europea, l’India ne ha imposte 309 e gli Stati Uniti 201.

La Commissione europea svolge un ruolo fondamentale nelle inchieste anti-dumping, relative ai sussidi e alle salvaguardie. Decide infatti relativamente all’apertura dell’inchiesta, all’imposizione di misure provvisorie, oltre a proporre al Consiglio l’adozione di misure definitive. Il Consiglio decide in merito all’imposizione di misure definitive anti-dumping e anti-sovvenzione votando a maggioranza semplice, mentre, per l’approvazione di misure di salvaguardia è necessaria la maggioranza qualificata degli Stati membri.

LE REGOLE PER LA DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLE MERCI IMPORTATE

I moderni sistemi tariffari utilizzano prevalentemente il metodo di imposizione daziaria basato sul valore dei beni. Il valore in dogana delle merci è quindi un elemento essenziale nella determinazione dell’ammontare di dazio da pagare. Secondo la disciplina GATT OMC, il primo metodo da utilizzare è quello del valore di transazione. Si tratta del prezzo effettivamente pagato o da pagare all’atto della vendita di una merce destinata all’importazione, fatti salvi gli adeguamenti necessari per tenere conto di alcuni elementi specifici, quali commissioni e provvigioni, costi d’imballaggio, dei contenitori e di altri materiali e servizi che, essendo a carico del compratore, e concorrendo quindi a determinare il valore della merce in questione a fini doganali, non sono stati inclusi nel prezzo. Non viene però stabilita una preferenza tra il metodo di valutazione fob, che non include nel prezzo di transazione i costi di trasporto fino al luogo di importazione e gli altri costi connessi al trasporto, e quello cif, che include invece detti costi, lasciando quindi ai singoli Stati la libertà di scelta. Alla luce delle implicazioni che la determinazione del valore in dogana ha sull’importo dei dazi da pagare all’importazione, è importante sia che ogni Stato specifichi quali sono gli elementi da includere nel calcolo del valore in dogana secondo la legislazione nazionale sia che le aziende importatrici verifichino che il valore delle merci sia correttamente determinato.

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51. L’indicazione di origine “Made in…”: strumento di promozione dei prodotti o nuova barriera non tariffaria?

Il tema dell’obbligatorietà di indicare l’origine sui prodotti destinati al consumo privato e le difficoltà di determinare la nazionalità dei prodotti ottenuti con fasi di lavorazione svolte in due o più Paesi non sono questioni di primaria importanza solo per le imprese italiane. Altri Stati, come Stati Uniti, Australia, Canada, Russia, Corea del Sud e Cina hanno affrontato in tempi diversi e secondo criteri differenti il problema di disciplinare le condizioni da rispettare per l’apposizione della dicitura “Made in…”, o per l’uso di espressioni affini, sui prodotti destinati ai consumatori. Il fatto che le locuzioni “marchio di origine” e “indicazione di origine” siano utilizzate in qualità di sinonimi non deve far pensare a concetti differenti, ma semplicemente ad accezioni diverse di un unico concetto. L’espressione “marchio di origine”, usata dalla versione italiana della proposta comunitaria volta ad istituire l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti importati, fa riferimento all’azione, che a seconda della consistenza del prodotto può essere svolta secondo varie modalità, di apporre direttamente sul bene il nome del Paese di cui quel bene è originario. L’espressione “indicazione di origine” richiama, invece, maggiormente il contenuto della dicitura apposta.

Dopo aver spiegato i diversi scopi che il marchio di origine ha, o comunque realizza, vengono posti in evidenza i costi e le conseguenze a carico delle imprese derivanti da due circostanze: la natura frammentaria del quadro giuridico internazionale di riferimento e la mancanza di una disciplina unica a livello comunitario. Viene poi condotta un’analisi che mette in rilievo come a livello nazionale alcuni semplici interventi legislativi sarebbero notevolmente utili, in termini di chiarezza e prevedibilità, alle imprese che de-localizzano parte della propria produzione all’estero. La disamina della discutibile posizione della Corte di Cassazione italiana evidenzia la necessità di un’azione da parte del Legislatore in tempi brevi. L’individuazione di alcuni suggerimenti per una riforma della disciplina italiana e le considerazioni relative alla definizione giuridica del marchio di origine anticipano le conclusioni di questo capitolo.

GLI SCOPI DELL’INDICAZIONE D’ORIGINE

L’indicazione del Paese d’origine, generalmente espressa con la dicitura “Made in…” e posta direttamente sul prodotto, ha lo scopo di tutelare il consumatore informandolo relativamente alla nazionalità del bene. Secondo un principio accolto dalle legislazioni di molti Stati, essa protegge le scelte di acquisto degli individui in quanto permette loro di esprimere la preferenza per un prodotto in virtù della considerazione soggettiva che la produzione svolta in un determinato Paese conferisce al bene una certa qualità. Sempre più consumatori, inoltre, prediligono l’acquisto di prodotti originari di Paesi in cui sia garantito un certo livello di protezione dei diritti del lavoro e, più in generale, dei diritti umani.

Secondo una prospettiva imprenditoriale, invece, l’indicazione d’origine promuove l’identità dei prodotti nazionali con lo scopo di favorirne la vendita rispetto ai prodotti importati. Inoltre, il fatto che sempre più Paesi prevedano l’obbligo d’indicare la nazionalità dei prodotti importati evidenzia come l’indicazione di origine possa rappresentare uno strumento di protezione commerciale non tariffaria; in tal senso, nella misura in cui l’obbligo di indicare il Paese d’origine può essere soddisfatto solo rispettando le regole sostanziali e procedurali previste da ciascuno Stato relativamente ai prodotti importati, diviene una misura alternativa ai dazi mirata a rendere più complessa e controllata l’importazione di prodotti stranieri. Tale tendenza da parte degli Stati va letta come forma di reazione all’aumento della pressione competitiva nelle relazioni commerciali internazionali.

In un contesto come quello appena richiamato, il fatto che la maggior parte dei prodotti oggi posti sul mercato non siano ottenuti in unico Paese ma siano il risultato di una serie di lavorazioni aventi luogo in due o più Paesi, accresce l’importanza e la difficoltà di stabilire in base a quali requisiti sostanziali e a quali modalità tecniche vada indicato il Paese di origine dei beni.

LA FRAMMENTARIETÀ DEL QUADRO GIURIDICO INTERNAZIONALE

La duplice funzione di promozione dei prodotti nazionali e di misura di difesa commerciale fa sì che la disciplina e la tutela del marchio di origine siano questioni sempre più controverse nell’ambito delle relazioni commerciali attuali. Il fatto che sempre più Stati prevedano una disciplina per la determinazione della nazionalità dei prodotti e che a livello europeo alcuni settori industriali siano fortemente impegnati affinché entri in vigore la proposta di regolamento comunitario mirante a istituire l’obbligo di indicare l’origine delle

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merci importate, è sintomatico della crescente importanza di questo tema, la cui complessità è innanzitutto riconducibile alla genericità e vaghezza delle poche norme multilaterali esistenti.

La disciplina multilaterale relativa all’indicazione d’origine è limitata all’art. IX del GATT, all’art. 1.1 dell’Accordo relativo alle regole di origine (ARO) concluso in ambito OMC, e all’Accordo di Madrid sulla repressione delle false o fallaci indicazioni di provenienza delle merci del 1891 (Accordo di Madrid), riveduto a Lisbona nel 1958. La ratio dell’art. IX del GATT è quella di trovare un contemperamento tra la necessità di proteggere il consumatore dalle indicazioni di origine false o ingannevoli e l’obiettivo di ridurre al minimo i costi e gli inconvenienti che leggi e regolamenti relativi ai marchi di origine potrebbero causare alla produzione e al commercio dei Paesi esportatori. I rapporti dell’organo di soluzione delle controversie del GATT, i c.d. Panel reports, si sono espressi raramente in merito ai marchi di origine che non hanno mai costituito oggetto diretto di controversia tra gli Stati membri, essendosi perlopiù sempre trattato di dispute in cui ad essere contestati erano standards di produzione e requisiti di labelling tecnico che andavano oltre l’indicazione delPaese di origine. In particolare, il rapporto di un Panel istituito su richiesta degli Stati Uniti con riguardo ad alcune disposizioni giapponesi relative agli obblighi di marchiatura della carta e delle pellicole fotografiche importate, ha sottolineato come l’art. IX del GATT consenta specificamente agli Stati membri dell’OMC di adottare leggi e regolamenti relativi alla marchiatura d’origine. Quindi, secondo l’interpretazione data dall’organismo multilaterale del commercio, l’indicazione del Paese di origine sui prodotti commercializzati tra gli Stati membri dell’OMC è espressamente consentita ma non obbligatoria.

La disciplina OMC istituisce un collegamento tra marchio di origine e regole di origine. Queste ultime fissano i criteri che condizionano l’ottenimento dell’origine di un prodotto stabilendo, nei casi in cui un bene è ottenuto con fasi di lavorazione svolte in due o più Stati, quale sia la fase della fabbricazione decisiva ai fini dell’acquisizione dell’origine. L’ARO mira al duplice obiettivo di armonizzare a livello internazionale le regole di origine applicate dai singoli Stati e di impedire che, una volta armonizzate, tali regole vengano interpretate in modo differente dagli organi responsabili dei vari Stati, rendendo così vana l’armonizzazione della materia. Il processo di armonizzazione riguarda esclusivamente le regole di origine non preferenziali, ovvero quelle norme utilizzate da diversi Stati per stabilire la nazionalità dei prodotti importati allo scopo di verificare se tali beni siano soggetti all’applicazione di misure di politica commerciale, quali dazi antidumping e compensativi, restrizioni quantitative, misure di salvaguardia e così via. Oltre a ciò, alcuni Stati, tra cui gli Stati Uniti, utilizzano le regole di origine non preferenziali anche ai fini dell’indicazione di origine. La definizione dei criteri rilevanti ai fini dell’ottenimento dell’origine dei vari prodotti ha importanti implicazioni di carattere politico-economico, in quanto dalla determinazione della nazionalità di un prodotto dipende l’applicazione di misure di politica commerciale difensive. Proprio in ragione della funzione strategica che le regole di origine possono rivestire, il processo di armonizzazione, che doveva concludersi nel 1998, è tuttora in corso. Tuttavia, l’ARO ha il pregio di richiamare il collegamento tra marchio di origine e regole di origine. Infatti, le regole di origine, oggetto del suo campo di applicazione dell’ARO, sono quelle applicabili dagli Stati membri OMC per vari scopi di politica commerciale, tutti elencati dall’art. 1.2 dell’ARO, compresa l’applicazione dei marchi d’origine.

Una disciplina esaustiva del marchio di origine non è prevista neppure dall’Accordo di Madrid che, lungi dal disciplinare i requisiti sostanziali per l’apposizione della dicitura “Made in…”, si limita a trattare alcuni aspetti procedurali relativi alle misure che le autorità doganali e giudiziarie possono mettere in atto sia nel Paese di esportazione sia all’atto dell’importazione nel caso in cui le merci riportino indicazioni di origine false o ingannevoli. In tale senso è previsto il sequestro ex officio o su istanza della parte interessata. Nel caso invece in cui la legislazione del Paese importatore non preveda il sequestro, il divieto di importazione o le sanzioni previste dalle leggi relative ai marchi e ai nomi commerciali sono le misure alternative applicabili. Un altro limite che riduce notevolmente la portata multilaterale dell’Accordo di Madrid è dato dallo scarso numero di parti contraenti (34 Paesi).

Data la mancanza di una disciplina internazionale uniforme, ed in virtù del principio della territorialità della legislazione, ciascuno Stato è libero di stabilire:

1) se l’indicazione dell’origine debba essere oggetto di disciplina nel proprio ordinamento e se sia o meno un requisito obbligatorio per la vendita dei prodotti nazionali e/o per l’importazione dei prodotti stranieri destinati al mercato domestico;

2) le norme sostanziali applicabili per individuare il Paese che l’indicazione di origine deve riportare e le modalità di apposizione della dicitura;

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3) le conseguenze e i rischi, normalmente a carico dell’importatore, derivanti da una falsa o inaccurata indicazione d’origine.

La frammentarietà del quadro giuridico di riferimento e la necessità di dover verificare e soddisfare requisiti differenti a seconda dello Stato destinatario dell’esportazione accentua il potenziale impatto protezionistico di carattere non tariffario del marchio di origine. Le conseguenze previste dalla disciplina di alcuni Stati in caso di indicazione d’origine mancante o inaccurata sono una dimostrazione di come una disciplina severa del marchio di origine possa costituire un grave ostacolo al commercio internazionale, al punto da impedire l’importazione di prodotti stranieri. La legge degli Stati Uniti, ad esempio, prevede la possibilità di apporre l’indicazione d’origine al momento dell’importazione o di concordare con il direttore dell’ufficio doganale competente la rettifica della marchiatura scorretta, e nei casi peggiori, la riesportazione o la distruzione del prodotto. Tra i Paesi che hanno una normativa dell’indicazione dell’origine particolarmente severa vi sono il Kuwait, l’Arabia Saudita e Israele.

Sempre nell’ottica del libero commercio va considerato come la dinamicità caratterizzante il contesto degli scambi commerciali e la tendenza di un numero sempre maggiore di Stati a prevedere una disciplina relativa al marchio di origine rappresentino per le imprese un costo in termini di conoscenza e di gestione delle esportazioni; in molti casi poi, la difficoltà di indagine relativa ai requisiti previsti dalla legislazione nazionale dei Paesi terzi è decisamente in conflitto con il principio di trasparenza e prevedibilità promosso dal sistema OMC. Le autorità doganali sudcoreane ad esempio, in base a informazioni aggiornate al dicembre 2005, si riservano di decidere volta per volta quali siano i requisiti sostanziali applicabili al caso specifico al fine della determinazione del Paese che deve essere riportato dall’indicazione di origine!

LA MANCANZA DI UNA DISCIPLINA COMUNITARIA

A parte alcune eccezioni limitate ai prodotti agricoli ed alimentari, non esiste attualmente una disciplina europea dell’indicazione d’origine. La legislazione comunitaria, infatti, si limita a predisporre principi e norme per la determinazione dell’origine al fine dell’applicazione degli strumenti di difesa commerciale. L’indicazione d’origine è quindi, ad oggi, una pratica volontaria a discrezione dei produttori. L’impatto protezionistico, in qualità di misura alternativa ai dazi doganali, che una disciplina nazionale del marchio di origine potenzialmente comporta, rende evidente come l’obbligo di indicare la nazionalità dei prodotti importati possa essere stabilito solo a livello comunitario, e come ogni previsione di livello nazionale costituisca una violazione del principio di libera circolazione delle merci, nella misura in cui rappresenta, ai sensi dell’art. 28 del Trattato CE, una misura equivalente alle restrizioni quantitative. In questo senso, l’entrata in vigore dell’art. 6 lett. c) del Codice del Consumo italiano costituirebbe, certamente, una violazione del diritto comunitario92.

Tuttavia, in conseguenza dell’accresciuta attenzione alla difesa della competitività delle industrie nazionali, alcuni Stati membri, a sostegno delle istanze di alcuni settori industriali, hanno sollecitato la Commissione europea a proporre l’istituzione di una disciplina comunitaria sul marchio di origine. La proposta di regolamento presentata dalla Commissione mira a rendere obbligatoria l’indicazione del Paese di origine sulle importazioni di sui prodotti tessili, calzaturieri, i prodotti in ceramica e per arredamenti d’interni, senza tuttavia escludere che tale obbligo possa, previa consultazione tra le parti interessate, essere esteso ad altri settori industriali per i quali questa misura costituirebbe un valore aggiunto in termini di competitività. L’obiettivo delle aziende dei settori interessati è comunicare ai consumatori destinatari dei loro prodotti se ciò che stanno acquistando è “Made in Italy” o “Made in China”. In altri termini, lo scopo è quello di evitare che beni prodotti in Paesi extra-CE, su commissione di aziende italiane o comunitarie con costi di manodopera e standards qualitativi inferiori, vengano poi venduti sul mercato italiano e degli altri Paesi europei facendo credere all’acquirente che sono di origine italiana o comunitaria. L’obbligo è previsto solo per i prodotti importati, ad eccezione delle merci originarie della Turchia e degli Stati membri dello Spazio Economico Europeo93.

Riguardo alle modalità di apposizione dell’indicazione di origine, la proposta precisa che può essere utilizzata la dicitura “Fabbricato in…”, in italiano o in una qualsiasi altra lingua ufficiale della Comunità europea, e che il marchio deve essere apposto in caratteri chiari, leggibili, indelebili e deve essere presentato in modo da

92 L’entrata in vigore di tale disposizione è collegata alla predisposizione di un regolamento ministeriale di attuazione che, ci si augura, non venga mai in essere 93 Lo Spazio Economico Europeo è una zona libero scambio in vigore tra Comunità europea e Islanda, Liechtenstein e Norvegia

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non poter ingannare o creare un’impressione errata circa l’origine del prodotto. Inoltre, non può essere rimosso o manomesso sino a quando i beni non siano stati venduti al consumatore. Queste specificazioni tecniche rivestono un’importanza fondamentale, soprattutto per le imprese italiane che, come vedremo, in assenza di una disciplina precisa, sono esposte alle rischiose conseguenze derivanti da una prassi di controllo doganale non uniforme. Coerentemente con le previsioni OMC, il criterio per la determinazione del Paese di origine è basato sul soddisfacimento dei requisiti delle regole di origine non preferenziali comunitarie94.

L’entrata in vigore di questo regolamento, assistita da un’efficace e coordinata attività di controllo da parte delle autorità doganali comunitarie ridurrebbe notevolmente le importazioni e le vendite nel territorio della Comunità europea di prodotti ottenuti interamente in Stati extra-CE, o comunque non rispondenti ai criteri delle regole non preferenziali. Si verrebbe inoltre a creare una parità di condizioni tra le importazioni destinate al territorio della Comunità europea e quelle dirette verso quei Paesi che hanno già reso obbligatoria l’apposizione di un marchio di origine sui prodotti importati. Oltre a ciò, è importante chiarire che un’evoluzione normativa comunitaria in tal senso è solo apparentemente contraria agli interessi delle aziende che producono parzialmente all’estero: un’attenta pianificazione delle fasi di fabbricazione dei loro prodotti, svolta in modo da rispettare i requisiti previsti dalle regole di origine non preferenziali comunitarie, consente infatti di non rinunciare a conferire nazionalità italiana ai loro beni. Mettere le autorità doganali in condizione di eseguire i controlli di loro pertinenza ai sensi di una normativa chiara e comune è la maniera più efficiente e giuridicamente coerente per evitare il rischio, costoso dal punto di vista aziendale, che i prodotti importati siano bloccati in dogana.

L’armonizzazione della disciplina del marchio di origine a livello comunitario sarebbe quindi un altro vantaggio non trascurabile derivante dall’entrata in vigore di una disciplina uniforme per tutti gli Stati membri della Comunità. Allo stato attuale, infatti, se alcuni Stati membri dell’Unione europea non regolamentano la questione dell’indicazione d’origine, altri, come l’Italia e la Francia, prevedono una disciplina nazionale. Questo significa che i produttori che decidano di indicare la nazionalità dei prodotti importati devono rispettare requisiti di marchiatura di origine differenti a seconda del Paese della Comunità dal quale importano le merci. I rischi insiti in una tale difformità normativa non sono da sottovalutare. Tale differenza, infatti, potrebbe avere l’effetto di incentivare l’importazione di prodotti ottenuti parzialmente all’estero da porti doganali di Paesi con una disciplina più favorevole, rischiando quindi di tradursi, per l’Italia, in un aumento di costi di trasporto e in una perdita importante per il settore della logistica.

GLI ASPETTI CRITICI DELLA DISCIPLINA ITALIANA E L’ORIENTAMENTO DISCUTIBILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

L’interpretazione di “origine” e “provenienza” come concetti differenti e la definizione dei casi in cui si verifica l’ipotesi di indicazione fallace riportata da prodotti importati, ottenuti con fasi di lavorazione svolte all’estero, sono tra gli aspetti più critici della disciplina italiana prevista dalla Finanziaria 2004.

Secondo le disposizioni di tale legge vi è falsa indicazione nel caso in cui la dicitura “Made in Italy” sia apposta su prodotti importati che, non rispettando i requisiti previsti dalle regole di origine non preferenziali europee, non sono originari dell’Italia; si ha invece fallace indicazione quando, nonostante sia indicata l’origine e la provenienza estera del prodotto, “l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana”95. La circolare 20 D dell’Agenzia delle Dogane ha chiarito che l’ipotesi di indicazione fallace ricorre in due casi: sia quando su prodotti privi di indicazione di origine vengano apposti segni, figure o qualsiasi altro elemento tale da indurre il consumatore a credere che il prodotto sia di origine italiana, sia qualora i prodotti, oltre all’indicazione dell’origine estera, rechino segni, figure e quant’altro possa suggerire al consumatore l’origine italiana del prodotto. Questa circolare ha inoltre opportunamente puntualizzato che il secondo caso d’indicazione fallace si verifica solo quando un prodotto importato riporta, oltre alla corretta indicazione dell’origine estera, segni, figure o qualsiasi altro elemento con caratteristiche tali da oscurare fisicamente, o anche solo simbolicamente, l’etichetta con la corretta indicazione di origine estera. Questa precisazione è più che mai importante, in quanto dovrebbe contribuire a ridurre i casi di blocco in dogana delle merci importate e sospettate di riportare una fallace indicazione in quanto recanti, oltre alla corretta indicazione dell’origine estera, elementi evocativi dell’origine italiana.

Facendo riferimento al primo caso in cui l’ipotesi di indicazione fallace può verificarsi, la Corte di Cassazione ha più volte basato le proprie conclusioni sulla distinzione tra l’accezione giuridica e quella geografica del

94 Si v. la Sezione 1, Capitolo 1, Titolo IV del regolamento della Commissione 2454/93 e successive modifiche95 V. il secondo periodo dell’art. 4 comma 49 della Finanziaria 2004

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concetto di provenienza. Secondo questa impostazione, la provenienza giuridica prenderebbe in considerazione il prodotto come risultato di un processo di fabbricazione del quale l’imprenditore ha la responsabilità giuridica, economica e tecnica; la provenienza geografica, avrebbe invece a che vedere, come di fatto è, con il Paese in cui il prodotto è stato interamente ottenuto o in cui è stato sottoposto all’ultima trasformazione sostanziale. A titolo di esempio, la Cassazione ha ritenuto che l’incisione delle parole “Officina del Tempo – Italy” sul retro della cassa di orologi da polso fabbricati ad Hong Kong per conto di un imprenditore marchigiano, non fosse una fallace indicazione, in quanto gli orologi erano ottenuti su progetto e modelli ornamentali redatti da stilisti italiani e di esclusiva proprietà dell’azienda; quanto al processo produttivo, le fasi di assemblaggio eseguite ad Hong Kong erano costantemente seguite da dirigenti dell’azienda, mentre le operazioni finali di verifica e collaudo venivano svolte in Italia96. Secondo i Giudici di legittimità, il Legislatore italiano ha inteso fare riferimento alla provenienza del prodotto da un determinato produttore e non già da un determinato luogo; inoltre, tale interpretazione sarebbe coerente con la funzione di segno distintivo svolta dal marchio. In base alla logica di questo ragionamento, quindi, i prodotti fabbricati o fatti fabbricare all’estero da un produttore che si assuma la piena responsabilità giuridica, economica e tecnica del processo di produzione, possono essere importati solo con il marchio o l’indicazione dell’impresa italiana, senza che sia necessario indicare che la fabbricazione materiale è avvenuta in uno stabilimento estero.

La Cassazione ha così sostanzialmente ribadito l’impostazione prevalsa in precedenti pronunce, secondo la quale le espressioni “origine o provenienza” del prodotto utilizzate nel testo della Finanziaria, indipendentemente dal luogo in cui il prodotto è stato realizzato, fanno riferimento all’origine imprenditoriale del bene, ossia alla sua riconducibilità ad un imprenditore che assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica del processo produttivo.

Una recente pronuncia del Tribunale di Livorno – Capi di abbigliamento ‘Fabric Made in Italy’

- nel maggio 2004 le Autorità Doganali e la Guardia di Finanza hanno sequestrato 265 colli contenenti abiti da uomo, prodotti con tessuto e su disegno italiano ma confezionati in Tunisia. Sulle maniche delle giacche c’erano delle etichette riportanti la scritta ‘fabric Made in Italy’, cioè ‘tessuto fatto in Italia’

- le Autorità Doganali e il Pubblico Ministero hanno ritenuto tale dicitura illecita in quanto segno mendace in grado di trarre in inganno l’acquirente finale. Secondo l’Autorità Doganale e la Guardia di Finanza si trattava di uno stratagemma per ingenerare nell’acquirente la convinzione che si trattasse di prodotto interamente fabbricato in Italia.

- la difesa è stata impostata sulla base di due considerazioni: 1) in assenza di indicazioni certe in materia, è sufficiente che il tessuto e il modello del capo di abbigliamento siano prodotti e pensati in Italia per poter apporre sul capo l’indicazione ‘Made in Italy’. Secondo gi avvocati della difesa, infatti le regole di origine previste dalla disciplina comunitaria varrebbero solo a fini amministrativi e non anche a fini penali; 2) l’etichetta contestata riportava informazioni veritiere, in quanto il tessuto era effettivamente italiano

- il giudice di Livorno ha assolto l’imprenditore perchè il fatto non sussiste. Le motivazioni che hanno dato luogo a tale decisione non sono ancora state depositate

- un altro caso paradossale in cui è ammesso che prodotti ottenuti all’estero in violazione delle regole di origine comunitarie, secondo le quali è il confezionamento a determinare l’origine non preferenziale dei capi di abbigliamento. Quali sono allora i criteri comuni alla base della possibilità di apporre la dicitura ‘Made in Italy’ ai prodotti ottenuti parzialmente all’estero?

Il principio fondamentale alla luce del quale sarebbe bene che la Corte di Cassazione modificasse la propria posizione è quello per cui ogniqualvolta un bene é il risultato di fasi di lavorazione che si svolgono in due o più Paesi, il prodotto è sostanzialmente ottenuto, e quindi originario, del Paese in cui è stato sottoposto all’ultima trasformazione sostanziale, trasformazione che può dirsi ivi avvenuta solo se sono stati soddisfatti i requisiti posti dalle regole di origine non preferenziali di tale Stato. Come si è visto, questo è il criterio fondamentale della normativa OMC, sul quale si basano anche le legislazioni degli Stati che già prevedono una disciplina dell’indicazione di origine e a cui è giustamente ispirata la proposta comunitaria di regolamento volta ad istituire l’obbligatorietà dell’indicazione d’origine per alcune categorie di prodotti

96 Cassazione, sentenza n° 8684/2007

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importati. Posto che la disciplina italiana poggia sul collegamento tra indicazione di origine e regole di origine non preferenziali europee, l’opinione attualmente prevalente della Cassazione finirebbe inoltre per far operare le disposizioni della disciplina italiana, correttamente basate sul collegamento tra indicazione di origine e regole di origine non preferenziali europee, in maniera contraria al rispetto del fondamento posto dalle norme dell’OMC e accolto dalla proposta comunitaria.

Un’altra ragione per cui l’indicazione di origine va interpretata come collegamento prodotto- territorio, e non prodotto-produttore, risiede nello suo stesso scopo, che è quello di segnalare il Paese di produzione del bene in modo che il consumatore sia tutelato nelle proprie scelte di acquisto. Inoltre, il fatto che l’indicazione d’origine tuteli le scelte del consumatore e difenda la produzione nazionale dai prodotti importati esprimendo il collegamento geografico prodotto-territorio, non ne fa una forma di proprietà intellettuale come il marchio commerciale o le indicazioni geografiche dei prodotti alimentari. L’indicazione d’origine realizza certamente importanti funzioni di tutela ma spingersi al punto di pensare che svolga un ruolo affine o strumentale alla funzione del marchio commerciale è una forzatura. Il marchio commerciale esprime il collegamento prodotto-produttore, l’indicazione di origine quello prodotto-territorio.

Del resto, anche il Segretariato dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (OMPI) ha sottolineato, in maniera costante, come l’indicazione di origine sia correlata all’origine geografica di un prodotto e non a quella imprenditoriale97. Nello stesso senso si è espressa la Corte di Giustizia comunitaria, escludendo chiaramente che le indicazioni di origine possano essere considerate una forma di proprietà intellettuale98.Resta quindi da capire perché la Cassazione abbia modificato il suo indirizzo interpretativo, dopo peraltro essersi precedentemente espressa in modo coerente ai principi OMC e alla disciplina applicata da importanti attori del commercio internazionale. In un paio di pronunce precedenti, infatti, i Giudici di legittimità avevano dato rilievo all’origine geografica quale criterio da utilizzare per determinare la ricorrenza dell’indicazione sia falsa99 sia fallace100.

SUGGERIMENTI PER UNA RIFORMA DELLA DISCIPLINA ITALIANA DELL’INDICAZIONE D’ORIGINE

Con riferimento alla legge italiana, ci si chiede per quale ragione la prima versione del testo della Finanziaria, che inizialmente utilizzava la parola “provenienza”, l’abbia mantenuta anche dopo che è stata, giustamente, aggiunta la parola “origine”101. Se è vero che l’impiego del termine “provenienza” non crea alcun problema nel caso, ormai raro, di prodotti interamente fabbricati in un unico Paese, è altrettanto pacifico che, per effetto della globalizzazione, la maggior parte delle merci è il risultato di un processo di fabbricazione che si svolge in due o più Paesi. In questo senso, quindi, intendere la provenienza in senso differente dalla movimentazione fisica di un bene dal Paese di spedizione al Paese di destino appare obsoleto e rischia, come infatti si verifica, di creare problemi interpretativi. La parola “provenienza” dovrebbe essere eliminata dal testo della legge italiana, che dovrebbe contenere solo la parola “origine”, da interpretarsi in virtù del principio di sostanzialità della lavorazione di un prodotto.Basare la determinazione dei casi in cui si verifica l’ipotesi di indicazione fallace sul concetto di origine geografico-sostanziale del prodotto, rappresenterebbe un punto di riferimento per le aziende italiane che hanno de-localizzato la produzione. Una domanda da porsi in ottica aziendale infatti è: fino a che punto le imprese che hanno de-localizzato la produzione possono riferirsi all’orientamento della Cassazione ed importare prodotti privi dell’indicazione dell’origine estera ma recanti elementi evocativi dell’origine (giuridica) italiana senza correre il rischio di vedersi bloccare le merci in dogana? Tale domanda è più che giustificata dal fatto che l’indirizzo interpretativo della Cassazione è difficilmente compatibile con i principi del contesto internazionale e si discosta dai criteri su cui si basa la proposta di regolamento comunitario per l’istituzione di un sistema di marchiatura d’origine obbligatoria per i prodotti importati.

Secondo la puntualizzazione della Circolare 20 D del 2005 dell’Agenzia delle Dogane, il fatto che un prodotto importato riporti, oltre alla corretta menzione dell’origine estera, segni, figure o qualsiasi altro elemento evocativo dell’origine italiana non costituisce fallace indicazione, a meno che tali indicazioni non abbiano caratteristiche tali da oscurare fisicamente, o anche solo simbolicamente, l’etichetta con l’esatta designazione dell’origine. Il testo della Finanziaria dovrebbe prendere spunto da tale precisazione ed essere modificato in 97 V., ad esempio, WIPO/GEO/SFO/03/198 Corte di Giustizia Unione europea, sentenza C 325/0099 Cassazione, sentenza n. 34103/ 2005 100 Cassazione, sentenza n. 2648/2006101 La parola “origine” dopo “provenienza” è stata aggiunta dalla legge n° 80/2005, il c.d. decreto Competitività

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modo da prevedere che, in presenza di elementi evocativi dell’origine italiana, venga chiaramente indicata l’origine (geografica) del prodotto. Questa soluzione, adottata da alcuni Paesi tra cui la Francia102, era già stata suggerita anche dall’art. 3 dell’Accordo di Madrid del 1891.

L’INDICAZIONE DI ORIGINE: OSTACOLO COMMERCIALE NON TARIFFARIO O DIRITTO DI PROPRIETÀ INTELLETTUALE?

La possibilità di considerare l’indicazione di origine un diritto di proprietà intellettuale è stata esclusa a vari livelli. Come si è visto, infatti, sia l’OMPI che la Corte di Giustizia dell’Unione europea si sono espressi in tal senso. Il fatto poi che il principio cui si riferiscono la disciplina OMC, le legislazioni di alcuni Stati terzi, la proposta comunitaria di istituire un sistema di marchiatura d’origine e la stessa legge italiana sia basato sul compimento dell’ultima trasformazione sostanziale, e dato che ciascuna disciplina prevede condizioni diverse per il soddisfacimento tale requisito, implica un potenziale impatto discriminatorio delle diverse discipline applicate per stabilire la veridicità e la corretta apposizione dell’indicazione di origine.

Tuttavia, la questione che ha interessato un po’ di anni fa le relazioni commerciali tra Unione europea e Stati Uniti porta a chiedersi se non sia riduttivo considerare l’indicazione di origine unicamente come ostacolo non tariffario agli scambi internazionali. A seguito del cambiamento arbitrario da parte delle autorità statunitensi delle regole di origine non preferenziali, alcuni prodotti tessili, tra cui fazzoletti e foulards di seta, prima considerati di origine italiana, si sono visti attribuire l’origine cinese e di altri Paesi in via di sviluppo, anziché italiana. Infatti, se secondo le regole di origine statunitensi precedentemente applicate le operazioni di tintura, stampa e rifinitura svolte in Italia erano sufficienti a conferire l’origine italiana, a seguito della modifica delle norme di origine, il Paese di origine era divenuto quello in cui veniva fabbricato il tessuto greggio. Questo mutamento dei criteri d’origine statunitensi comportava innanzitutto l’inclusione delle esportazioni comunitarie di prodotti tessili verso gli Stati Uniti nelle quote all’importazione cui erano assoggettati i prodotti tessili originari della Cina e di altri Paesi in via di sviluppo. Inoltre, non potendo più marchiare i prodotti “Made in Italy”, ma dovendoli il più delle volte etichettare “Made in China”, non era più possibile continuare a vendere tali beni nel segmento di mercato di fascia alta; per cui, oltre a non poter più vendere agli stessi clienti di prima, le aziende italiane non potevano più proporre i propri prodotti ad un prezzo che solo l’etichetta “Made in Italy” giustificava. In termini economici dunque, questa seconda conseguenza derivante dal cambio arbitrario delle regole statunitensi non poteva certo essere considerata secondaria, in quanto aveva l’effetto di mettere completamente fuori dal mercato, a cui sino a quel momento erano stati rivolti, i prodotti degli esportatori italiani.

D’altra parte, anche attribuire all’indicazione di origine la funzione di un marchio commerciale sarebbe certamente una forzatura. Né appare giustificata la piena identificazione tra indicazione di origine e indicazione geografica, in quanto il legame tra prodotto e territorio espresso dal marchio di origine è meno intenso di quello richiesto affinché un bene sia identificato da un’indicazione geografica; affinché un’indicazione geografica possa essere utilizzata è infatti necessario che le qualità peculiari di un prodotto siano il risultato della tradizionale esperienza produttiva e delle caratteristiche ambientali presenti esclusivamente in un particolare territorio.

Tuttavia, anche riconoscendo che l’indicazione della nazionalità dei prodotti esercita un’attrattiva sul consumatore, e non si limita ad una funzione di tutela, sotto il profilo giuridico non vi sono, quantomeno ad oggi, elementi sufficienti per inserire il marchio d’origine nel novero dei diritti di proprietà intellettuale. Non sarebbe però corretto considerare il marchio di origine sic et simpliciter come ostacolo commerciale, posto che, per completezza di analisi, è opportuno tenere in considerazione che, secondo diversi studi di marketing e di strategia dell’impresa, il marchio di origine rappresenta un valore per cui i consumatori sono disposti a pagare un prezzo più alto.

Appare quindi evidente come una definizione giuridica rigorosa del marchio di origine rischierebbe di non tenere in considerazione le funzioni che di fatto svolge a prescindere dalle categorie giuridiche esistenti. In realtà ciò che conta è che i valori che l’indicazione di origine mira a tutelare siano garantiti nella maniera più efficace possibile, utilizzando gli strumenti giuridici attualmente disponibili.

102 Art. 39 del Code des Douanes, Bulletin officiel des douanes n° 6567 du 8 mars 2003

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L’IMPORTANZA DI UNA DISCIPLINA EUROPEA COMUNE DELL’INDICAZIONE D’ORIGINE

Nel contesto dell’evoluzione e dell’aumentata complessità delle relazioni commerciali, l’indicazione di origine ha assunto ulteriori funzioni che vanno al di là della tutela delle scelte di acquisto dei consumatori. Nella misura in cui evidenzia l’identità dei prodotti di origine domestica, l’indicazione di origine ne incentiva l’acquisto nei casi in cui il bene nazionale è percepito come migliore rispetto a quello importato. La tendenza in virtù della quale sempre più Stati stanno istituendo l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti importati è indicativa della funzione di ostacolo commerciale non tariffario che l’indicazione di origine potenzialmente svolge: il fatto che tale obbligo sia soddisfatto solo se sono rispettate le regole previste da ciascun Paese per i prodotti importati, ne mette in evidenza il ruolo di misura commerciale difensiva prevista per rendere più complessa e controllata l’importazione dei prodotti stranieri.

La frammentarietà della disciplina internazionale del marchio di origine rappresenta certamente un costo di indagine e di organizzazione della produzione per le imprese che esportano in Paesi in cui è previsto l’obbligo di indicare la nazionalità dei prodotti importati. L’assenza di armonizzazione multilaterale, infatti, comporta il dovere di rispettare i requisiti sostanziali e procedurali previsti da ciascuno Stato importatore. Va inoltre tenuto presente che, al fine di scongiurare le conseguenze previste dagli ordinamenti degli Stati terzi in caso di indicazione dell’origine falsa, fallace o in accurata, le condizioni dello Stato verso il quale si esporta vanno soddisfatte anche nel caso in cui la legislazione di tale Paese consideri l’indicazione di origine come pratica volontaria lasciata alla discrezionalità delle aziende che esportano nel suo territorio. Il fatto che la maggior parte dei prodotti oggi posti sul mercato non siano ottenuti in unico Paese ma siano il risultato di una serie di lavorazioni aventi luogo in due o più Paesi, accresce la difficoltà di stabilire in base a quali requisiti sostanziali e a quali modalità tecniche vada indicato il Paese di origine dei beni. Alla luce di quest’ultima considerazione,si comprende il valore del principio OMC, secondo il quale il Paese che deve essere riportato dell’indicazione di origine è lo stesso in cui il prodotto da marchiare ha acquisito la propria nazionalità, essendo stato ivisottoposto all’ultima trasformazione sostanziale. Questo criterio, oltre a fare da fondamento alla legislazione di alcuni importanti partners commerciali dell’Unione europea e alla disciplina italiana, ispira, giustamente, la proposta comunitaria di istituire l’obbligo dell’indicazione di origine su certe categorie di prodotti importati.

L’istituzione a livello comunitario dell’obbligo d’indicare l’origine dei prodotti importati è quanto mai auspicabile, in quanto risolverebbe una serie di problemi derivanti dalla coesistenza di normative nazionali differenti. Un primo aspetto da non sottovalutare è quello relativo alla possibilità che le aziende che de-localizzano parte della loro produzione decidano di importare in territorio comunitario da uno Stato membro con una disciplina più coerente e con controlli doganali più prevedibili rispetto all’Italia.

L’obbligo d’indicare l’origine dei prodotti importati inoltre, e questo è un vantaggio fondamentale, tutelerebbe le imprese che producono in Italia sostenendo costi più elevati di manodopera; ma rappresenterebbe un punto di riferimento chiaro anche per le aziende che producono parzialmente all’estero e che, soddisfacendo i requisiti delle norme di origine europee, non perderebbero la possibilità di vendere sul mercato italiano e comunitario con il marchio “Made in Italy”. Una disciplina europea unica basata sui criteri delle regole di origine europee è la miglior soluzione disponibile per ridurre i casi di violazione del marchio di origine. Il timore degli Stati contrari all’entrata in vigore della proposta di regolamento comunitario che l’obbligo a livello europeo di indicare l’origine dei prodotti importati si traduca in un costo amministrativo andrebbe ridimensionato e valutato alla luce dei rischi e dei costi che la mancanza di una disciplina uniforme sta comportando.

Con ogni probabilità, stanno prevalendo gli interessi dei gruppi prodottivi che hanno delocalizzato in parte, o in maniera integrale, la produzione all’estero, e che non sono in grado di rispettare le soglie di delocalizzazione ammesse dalle regole di origine. Nel caso di produzione interamente svolta all’estero, poi, l’indicazione dell’origine estera su beni di marchio italiano sminuirebbe l’immagine dei beni stessi agli occhi del consumatore.

In attesa di un esito del processo negoziale in corso sul piano europeo, un intervento da parte del Legislatore italiano nel senso di chiarire la normativa italiana dell’indicazione di origine è decisamente auspicabile.

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52. Gli accordi commerciali preferenziali come opportunità di accesso a nuovi mercati

Il tipo di rapporto esistente tra Italia/Comunità europea, o comunque Stato dal quale si esporta, e Stato importatore è uno dei primi controlli da effettuare al fine di verificare se tra i due Paesi vi sia o meno un accordo commerciale preferenziale. Le relazioni preferenziali tra due Stati possono essere regolate o da accordi reciproci di tipo contrattuale o da sistemi di concessione unilaterale, privi del carattere di reciprocità, generalmente accordati a gruppi di Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Il duplice scopo della concessione unilaterale di preferenze tariffarie a favore dei prodotti originari di PVS è quello di avviare e sostenere il processo di industrializzazione ed aumentare i proventi delle esportazioni di tali Paesi, favorendo la penetrazione dei loro prodotti nei mercati terzi grazie all’applicazione di un dazio all’importazione inferiore a quello applicato ai medesimi prodotti originari di Paesi industrializzati. La differenza qualificante tra i due regimi preferenziali, in termini di opportunità di accesso strategico al mercato, consiste nella presenza o meno del requisito della reciprocità: infatti, mentre gli accordi reciproci consentono potenziali vantaggi tariffari sia in import che in export, nel caso dei sistemi unilaterali i benefici sono limitati all’importazione nel Paese che concede le preferenze tariffarie.

Le norme del sistema GATT-OMC prevedono due possibilità integrazione economica di tipo reciproco: le zone di libero scambio, che costituiscono il fenomeno maggiormente diffuso, e le unioni doganali. A seconda del numero di Stati che vi prendono parte, le aree di integrazione economica possono essere bilaterali o regionali (v. gli esempi del box).

Esempi di accordi commerciali di tipo negoziale su base bilaterale e regionale

Unioni doganali regionali

Unioni doganalibilaterali

Zone di libero scambio regionali

Zone di libero scambio bilaterali (v. box

Unione europea (27 Stati)

MERCOSUR (Mercato Comune del Sud -Argentina, Brasile,

Uruguay, Paraguay)

GCC (Consiglio di Cooperazione del Golfo – Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti)

Svizzera - Liechtenstein NAFTA (Zona di libero scambio nordamericana –Canada, Stati Uniti, Messico)

EFTA (Associazione di libero scambio europea –Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Svizzera)

EFTA – Corea del Sud

AFTA (Zona di libero scambio tra le nazioni del sud est asiatico – Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Repubblica del Laos, Tailandia, Singapore, Viet Nam

Stati uniti - Australia

Cina – Islanda

In entrambi i casi l’obiettivo è l’eliminazione progressiva dei dazi e degli altri ostacoli relativi al commercio dei prodotti originari degli Stati membri dell’area integrata; le unioni doganali, che si configurano come sostituzione di dei territori doganali degli Stati membri in unico territorio doganale, si caratterizzano inoltre per la fissazione di una tariffa esterna comune. La differenza qualificante fra le due aree di integrazione sta nella gestione dei rapporti con gli Stati esterni all’area: mentre infatti gli Stati facenti parte delle zone di libero scambio mantengono una politica tariffaria autonoma, nelle unioni doganali i Paesi membri applicano una politica tariffaria comune (v. box pagina seguente)

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Esportazione verso il NAFTA e l’UE di macchine per la stampa dei tessuti di origine giapponese classificate nella voce doganale 8443

Dazi NAFTA:

Stati Uniti: 2,6% Canada: 4,5% Messico: 10%

Proprio perché ciascuno Stato membro del NAFTA mantiene una propria politica tariffaria nei confronti dei prodotti originari dei Paesi terzi non è possibile che le macchine di origine giapponese possano essere importate al dazio del 2,6% e poi beneficiare della libera circolazione in tutta l’area NAFTA. Arrivate al confine con il Canada e il Messico dovrebbero pagare rispettivamente il 4,5% e il 10% di dazio all’importazione.Se invece le macchine fossero prodotte in modo da avere l’origine statunitense, canadese o messicana potrebbero circolare liberamente all’interno dell’area di libero scambio.

Dazio tariffa comune UE: 1,7%

Uno dei requisiti sostanziali previsti dalle norme multilaterali prevede che la liberalizzazione agli scambi interni ad una zona di libero scambio o ad un’unione doganale debba avvenire “per l’essenziale degli scambi”. La Comunità europea è andata ben oltre la realizzazione di tale requisito, avendo già realizzato il mercato unico, caratterizzato, oltre che dalla libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali, anche dal coordinamento in settori-chiave di singole politiche nel campo monetario e fiscale.

Tuttavia, il fatto che tra due o più Paesi sia in vigore un accordo commerciale non costituisce garanzia automatica ed immediata dell’applicazione di un regime daziario più favorevole. A tal fine è infatti necessario che si verifichino una serie di condizioni concrete. Di seguito esaminiamo le principali.

LA GRADUALITÀ DELLA LIBERALIZZAZIONE

Gli accordi di libero scambio e le unioni doganali cominciano ad operare in base a programmi di liberalizzazione progressiva, la cui realizzazione avviene in tappe successive, ognuna delle quali è più o meno rapida, a seconda di quanto concordato tra gli Stati membri. Secondo le norme GATT, la liberalizzazione “per l’essenziale degli scambi” deve avvenire entro 10 anni al massimo; un periodo transitorio più lungo deve essere giustificato da ragioni specifiche. Normalmente, negli accordi di libero scambio conclusi dalla Comunità europea con PVS il periodo transitorio è previsto per una durata maggiore, per tenere conto delle maggiori difficoltà che Paesi con uno sviluppo differente incontrano nell’aprire i loro mercati ad un partner di potenza commerciale indiscutibilmente maggiore quale è la Comunità europea. Da ciò si comprende come gli effetti reali delle aree d’integrazione regionale possano essere valutati solo caso per caso con riferimento a ciascuna categoria di prodotti. Quindi, va in primo luogo accertato se gli Stati parte dell’accordo abbiano o meno inserito il prodotto che interessa nel programma di liberalizzazione. In caso affermativo, va appurato se l’eliminazione dei dazi o il processo di riduzione graduale delle tariffe su quel prodotto siano già effettivi oppure previsti con una scadenza successiva, o, ancora, se i negoziati di liberalizzazione per il prodotto in questione siano stati posticipati in un periodo successivo all’entrata in vigore dell’accordo.

LA LIBERALIZZAZIONE ASIMMETRICA

La liberalizzazione che caratterizza gli accordi conclusi dalla Comunità europea è di tipo asimmetrico: se infatti la Comunità s’impegna generalmente all’eliminazione immediata di dazi e tasse di effetto equivalente, di quote e misure di effetto equivalente all’importazione della maggior parte dei prodotti industriali oggetto degli accordi, i Paesi partner aprono i loro mercati ai prodotti di origine comunitaria in maniera più progressiva e diluita nelle varie fasi del periodo transitorio. Se quindi l’interesse è quello di esportare in uno dei Paesi che hanno concluso un accordo con la Comunità, l’accertamento delle condizioni tariffarie applicate

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è semplice, in quanto, senza ricorrere all’analisi degli allegati specifici dell’accordo, è sufficiente verificare la tariffa doganale del Paese che interessa. Viceversa, se un’azienda abbia necessità di sapere in quanto tempo l’esportazione di un determinato prodotto sarà agevolata da un trattamento daziario preferenziale, allora sarà necessario esaminare gli allegati specifici dell’accordo recanti le condizioni di liberalizzazione per ciascuna categoria di prodotti.

L’esempio costituto dall’accordo in vigore tra Comunità europea e Giordania è utile al fine di valutare concretamente la struttura che può assumere un accordo sia in relazione alla gradualità della liberalizzazione, sia con riferimento alla liberalizzazione asimmetrica (v. box pagina seguente).

La struttura della liberalizzazione nell’accordo Comunità europea - Giordania

La Comunità europea, concede, come regime generale (articolo 9 dell’accordo), l’importazione dei prodotti originari della Giordania in esenzione da dazi doganali e da qualsiasi altro onere di effetto equivalente ai dazi Un trattamento differente da quello generale stabilito dall’articolo 9 è contemplato in due situazioni differenti:

1) nel caso di mantenimento di un elemento agricolo all’importazione dei beni industriali della Giordania elencate nell’Allegato I;

2) con riguardo ai prodotti agricoli, la cui disciplina è contenuta nel protocollo 1 e nel rispettivo Allegato.

Il calendario di smantellamento degli ostacoli tariffari per l’importazione in Giordania delle merci di origine comunitaria è, invece, più articolato e graduale. Le modalità previste, applicate in base alla volontà delle autorità giordane di facilitare l’importazione di un determinato prodotto comunitario più o meno velocemente, sono le seguenti:

1) merci comprese nell’Allegato II per le quali la Giordania applica un elemento agricolo (definizione di elemento agricolo?) e un elemento industriale. È previsto che la Giordania possa applicare, all’atto della loro importazione, un elemento agricolo a patto che quest’ultimo non superi il 50% dell’aliquota del dazio di base applicato alle importazioni da paesi che, pur non beneficiando di regimi commerciali preferenziali, beneficiano del trattamento della nazione più favorita (art. 10.2). In generale, l’accordo specifica che per dazio di base a partire dal quale la Giordania comincia ad apportare le riduzioni all’importazione dei beni va inteso il dazio effettivamente applicato nei confronti della Comunità al 1° gennaio 1996; qualora, successivamente al 1° gennaio 1996, la Giordania applichi una riduzione tariffa erga omnes, a decorrere dalla data in cui tale riduzione è applicata i dazi ridotti sostituiscono i dazi di base (art. 11.6-7 dell’accordo). Per quanto riguarda l’elemento industriale dei prodotti di cui all’Allegato II originari della comunità, la Giordania abolisce progressivamente i dazi e gli oneri di effetto equivalente all’importazione secondo il seguente calendario (art. 11.2):

a. quattro anni dopo la data di entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti del 10% rispetto al dazio di base;

b. cinque anni dopo sono ridotti del 20% rispetto al dazio di base;c. sei anni dopo sono ridotti al del 30% rispetto al dazio di base;d. sette anni dopo sono ridotti al del 40% rispetto al dazio di base;e. otto anni dopo sono ridotti al del 50% rispetto al dazio di base

2) merci di origine comunitaria comprese nell’elenco A dell’Allegato III. Il calendario previsto per la liberalizzazione di queste merci è così suddiviso:

a. all’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti dell’80% del dazio di base;

b. un anno dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 60% del dazio di base;

c. due anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 40% del dazio di base;

d. tre anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 20% del dazio di base;

e. quattro dopo l’entrata in vigore dell’accordo, i dazi e gli oneri rimanenti sono eliminati

3) merci di origine comunitaria comprese nell’elenco B dell’Allegato III. Il calendario previsto per la liberalizzazione di queste merci è così suddiviso:

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a. quattro anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 90% del dazio di base;

b. cinque anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 80% del dazio di base;

c. sei anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 70% del dazio di base;

d. sette anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 60% del dazio di base;

e. otto anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 50% del dazio di base;

f. nove anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 40% del dazio di base;

g. dieci anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 30% del dazio di base;

h. undici anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 20% del dazio di base;

i. dodici anni dopo la data di entrata in vigore dell’accordo, i dazi e gli oneri rimanenti sono eliminati

merci di origine comunitaria comprese nell’Allegato IV. Per queste merci il consiglio di associazione UE –Giordania, competente nella gestione dell’accordo, e quindi deputato anche a vigilare e gestire la liberalizzazione del commercio di merci, stabilisce quattro anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo (quindi a partire dal 1° maggio 2006), un calendario per lo smantellamento delle loro tariffe.

L’ADOZIONE DI MISURE COMMERCIALI DIFENSIVE TRA PAESI MEMBRI DI UNA ZONA DI LIBERO SCAMBIO

Il fatto che le operazioni commerciali tra due o più Paesi avvengano in regime di libero scambio non esclude che nei rapporti reciproci non vengano utilizzati, in base alle condizioni previste dall’accordo di integrazione regionale, strumenti di difesa commerciale, e cioè dazi antidumping, dazi compensativi e misure di salvaguardia. Una tale possibilità è del tutto logica in virtù del fatto che in un’area di libero scambio continuano ad esserci, cosa che non avviene più tra gli Stati di un’unione doganale, operazioni di importazione ed esportazione. Potrebbero quindi verificarsi le condizioni per l’imposizione di una misura di difesa commerciale, qualora, ad esempio, le aziende di uno Stato membro di una zona di libero scambio praticassero dumping in esportazione sul mercato di un altro Stato membro; oppure, se le importazioni di prodotti originari di uno Stato dell’area di libero scambio fossero tali da creare un grave pregiudizio ai produttori del prodotto simile o direttamente concorrenziale di un altro Stato, è previsto il ricorso a misure di salvaguardia.

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53. L’importanza dell’origine dei prodotti

In una zona di libero scambio il trattamento preferenziale viene accordato ai prodotti originari dei Paesi che prendono parte alla zona stessa: d’altra parte se non fosse così e se i benefici dell’accordo non fossero limitati agli Stati che ne fanno parte, non avrebbe senso concludere l’accordo! E’ quindi evidente come lo strumento di funzionamento delle zone di libero scambio e, in una prospettiva aziendale, la chiave di accesso preferenziale ai mercati, siano le regole di origine, ovvero quelle norme contenenti i requisiti che ciascun prodotto deve soddisfare per poter essere considerato originario di uno dei Paesi membri dell’accordo.

Nel caso dell’Unione europea vi è una tariffa esterna comune operativa per tutti i prodotti: ciò significa che, in prima approssimazione, le merci in importazione nel territorio comunitario pagano il medesimo dazio in tutte le dogane dei 27 Stati membri e che una volta che il dazio è stato pagato alle autorità doganali di uno dei 27 Stati il prodotto può liberamente circolare nel territorio di tutta l’unione doganale europea senza che ulteriori diritti siano dovuti. In altri termini, la libera circolazione delle merci è garantita, oltre che ai prodotti originari dei Paesi dell’area, anche a quelli originari di Stati extra-CE una volta che hanno assolto le obbligazioni doganali. Tuttavia, è importante notare che, a seguito dell’importazione nel territorio comunitario, il prodotto di origine extra-CE può circolare liberamente ma mantiene l’origine extra-CE. Così, ad esempio, il fatto di importare tessuti dall’India e di pagarne il relativo dazio all’ingresso della Comunità, permette di rivenderli a tutti i produttori di abbigliamento comunitari situati negli altri Stati senza pagamento ulteriore di oneri daziari, ma non modifica l’origine dei tessuti che, se era indiana prima dell’importazione in Comunità, tale continua a rimanere e non muta per effetto dell’importazione.

Più precisamente, le regole di origine sono dei requisiti tecnici, contenuti in disposizioni di carattere legislativo o amministrativo, utilizzati per determinare la nazionalità o il Paese di origine delle merci. Come si è visto infatti, dazi ed eventuali misure di politica commerciale vengono applicati ai prodotti importati in base al codice di classificazione tariffaria e all’origine.

Secondo alcuni dati OCSE del 2004, ben il 57% dello scambio internazionale di beni non beneficia della riduzione o esenzione daziaria in quanto non si conoscono, e quindi non si applicano, le regole di origine relative agli accordi commerciali preferenziali. Le ragioni per cui è fondamentale che le aziende conoscano e applichino correttamente le regole utili a determinare la nazionalità dei materiali e semilavorati che importano e dei prodotti finiti destinati all’esportazione sono almeno tre.

La prima motivazione è strettamente correlata al fenomeno della globalizzazione, ormai noto da tempo. Mentre in passato, l’intero ciclo di produzione di un bene si svolgeva all’interno di un unico Paese, e quindi le regole di origine avevano un ruolo marginale, prevalentemente di carattere statistico, attualmente, alla luce dei grandi mutamenti intervenuti nell’economia mondiale, le imprese hanno modificato completamente le loro attività di produzione e distribuzione. Oggi infatti gli operatori commerciali possono scegliere le fonti di approvvigionamento delle materie prime e dei semilavorati ed anche i Paesi ove de-localizzare fasi parziali del processo produttivo, badando quasi esclusivamente alla minimizzazione dei costi. Una tale pianificazione è resa possibile sia da mezzi di trasporto più efficienti, sia dall’apertura dei mercati, che permette di rivolgersi a Paesi caratterizzati da un costo del lavoro meno elevato. Il delinearsi di un tale scenario delle relazioni commerciali internazionali ha fatto sì che il prodotto finito sia un insieme di componenti, lavorazioni e attività originari di Paesi differenti.

La seconda ragione è legata al fenomeno, che va facendosi quantitativamente e qualitativamente sempre più importante, della proliferazione di accordi commerciali preferenziali, ossia di quegli accordi in virtù dei quali due o più Stati decidono di concedersi un trattamento daziario più favorevole rispetto a quanto non avvenga nelle loro relazioni commerciali con Paesi terzi caratterizzate dall’assenza di accordo. Secondo i dati OMC, sono attualmente in vigore 297 accordi commerciali preferenziali. Senza contare gli accordi che sono in via di negoziazione e gli accordi che sono già in vigore ma che non sono stati ancora notificati all’OMC. Sempre secondo l’OMC, per il 2011 saranno in vigore circa 400 accordi.

Ad esempio, tra Unione europea e Svizzera vi è un accordo preferenziale di libero scambio. Questo tuttavia non significa che tutti i prodotti importati ed esportati tra Unione europea e Svizzera vengono, automaticamente, scambiati a dazio preferenziale o a dazio 0%. Se così fosse non sarebbe necessario intraprendere quel complicato processo durante il quale le delegazioni degli Stati, negoziando, decidono a quali prodotti, in che tempi e secondo quali condizioni instaurare un regime reciproco di commercio preferenziale. Le regole di origine sono le condizioni per il funzionamento di un accordo. Nel caso dell’accordo tra Unione europea e Svizzera, l’Unione europea non concede il trattamento preferenziale a tutti i prodotti importati dalla Svizzera, ma unicamente a quelli di origine svizzera, sempre che, naturalmente,

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siano compresi negli scopi di liberalizzazione dell’accordo; allo stesso modo, la Svizzera concede un trattamento preferenziale unicamente ai prodotti di origine comunitaria. Le regole di origine contenute nello specifico protocollo allegato all’accordo UE – Svizzera stabiliscono, per ogni categoria di prodotto classificabile a livello di voce doganale, i requisiti tecnici in base ai quali i prodotti importati in territorio comunitario vengono considerati di origine svizzera e viceversa.

Supponendo l’esportazione verso la Svizzera, i prodotti vengono considerati di origine comunitaria quando sono interamente ottenuti nel territorio dell’Unione europea. Quando invece nel processo di lavorazione svolto in Unione europea vengono utilizzati componenti di origine extra – CE, é necessario che tali materiali siano sottoposti alle lavorazioni sostanziali per essi previste dalle regole di origine contenute nel protocollo allegato UE – Svizzera. Pensiamo ad un importatore di capi di abbigliamento. La regola di origine contenuta nel protocollo allegato all’accordo Ue – Svizzera prevede che, per ottenere l’origine comunitaria, tutte le lavorazioni necessarie a trasformare il filato in tessuto e il tessuto in capi di abbigliamento debbano essere svolte nella Comunità103.

Questo significa che il produttore, ipotizziamo italiano, può utilizzare un filato giapponese e, a partire da tale materiale, eseguire tutte le fasi produttive necessarie ad ottenere il prodotto finito. Qualora però il produttore italiano utilizzi un tessuto giapponese, i capi di abbigliamento non avranno l’origine italiana/comunitaria in quanto non viene rispettata la regola che richiede la fabbricazione a partire da filato. Lo stesso esempio vale ragionando a contrario e immaginando un produttore svizzero di capi di abbigliamento destinati ad essere esportati verso la Comunità europea. Questo ci fa capire che le regole di origine allegate ad un accordo preferenziale rappresentano le condizioni reciprocamente accettate dagli Stati parte di tale accordo in virtù delle quali è possibile che gli imprenditori utilizzino componenti originari di Paesi che non partecipano all’accordo senza che ciò pregiudichi l’ottenimento dell’origine preferenziale e l’applicazione di trattamento daziario più favorevole.

Da questo esempio si capisce perché le regole di origine sono il presupposto in base al quale funziona un accordo commerciale preferenziale tra due Stati. E come ognuno dei 297 accordi attualmente in vigore nel mondo funzioni tra i Paesi che vi prendono parte alle condizioni previste dalle regole di origine allegate. Ciò rappresenta possibilità enormi sia in termini di accesso strategico alle risorse necessarie a produrre che di ingresso concorrenziale ai mercati di esportazione.

Le regole di origine che regolano il funzionamento degli accordi conclusi dall’Unione europea si rifanno, mutatis mutandis, ad un formato uniforme, sia per semplificarne la conoscenza e l’interpretazione a beneficio delle aziende e degli investitori, sia perché, come vedremo più specificamente, la presenza di regole di origine identiche è uno dei presupposti su quali si basa il beneficio del cumulo diagonale, c. d. paneuromediterraneo, che sta progressivamente diventando operativo negli gli scambi tra Comunità europea, altri Paesi europei e Paesi del mediterraneo.

Il terzo motivo che rende sempre più importante la corretta applicazione delle regole di origine è diretta conseguenza del fatto che, nel contesto della graduale riduzione dei dazi doganali104, gli Stati fanno sempre più ricorso a strumenti di politica commerciale alternativi ai dazi per difendere la competitività dei settori che ne hanno di volta in volta bisogno o che sono colpiti da pratiche di commercio sleale poste in essere da concorrenti stranieri. Ad esempio, ad alcune calzature di origine cinese classificabili nella voce 6403 la tariffa doganale comune a tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea prevede attualmente, l’applicazione di un dazio del 16,5%, che va a sommarsi al dazio normalmente applicato dell’8%105. Questo dazio antidumping è imposto solo sulle calzature di origine cinese. In questo caso le regole per stabilire l’origine delle scarpe importate, non sono quelle contenute negli accordi commerciali preferenziali conclusi dalla Comunità europea, ma quelle, c.d. non preferenziali, autonomamente stabilite dalla Comunità proprio al fine di determinare il carattere originario dei prodotti importati per applicare, se del caso, le misure di politica commerciale.

Dagli esempi fatti si capisce che vi sono due tipologie di regole di origine e che l’origine di un bene può essere determinata in base alle regole preferenziali e/o non preferenziali: la scelta della categoria di norme da applicare dipende dallo scopo per il quale è necessario determinare la nazionalità di un prodotto.

1. Le regole di origine preferenziali si applicano per verificare il carattere originario dei prodotti importati al fine di valutare se a tali beni possa essere applicato il dazio ridotto, oppure, quando

103 La regole di origine richiede, precisamente, la fabbricazione a partire da filati104 V. supra 2.1.105 V. reg. 1472 del 6.10.2006, in GUUE L 275 del 2006

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prevista, l’esenzione dal pagamento del dazio. L’elemento preferenziale può essere di carattere reciproco, e quindi riguardare due o più Stati, come nelle aree di libero scambio, oppure di fruizione unilaterale, come nel caso delle preferenze concesse ai prodotti originari di Paesi in via di sviluppo

2. Le regole di origine non preferenziali sono invece da usare per determinare l’origine di un prodotto al fine di verificare se a tale bene vada applicata una misura di difesa commerciale.

Più precisamente, le regole non preferenziali servono a determinare l’eventuale imposizione di:- dazi antidumping- dazi compensativi, cui gli Stati ricorrono per ristabilire l’equilibrio competitivo di prodotti importati

che sono particolarmente concorrenziali perché le autorità dello Stato di esportazione ne ha sussidiato la produzione (vedere se va lasciata la ripetizione)

- misure di salvaguardia- etichettatura di origine106.

L’esempio che segue chiarisce i concetti appena espressi:

Prodotto Codice di classificazione

Concessione unilaterale dell’origine

preferenziale

Origine preferenziale convenzionale valida su base

bilaterale

Origine non preferenziale comunitaria

Stoffe a maglia 6006

Regola di origine: fabbricazione a partire da fibre

Fonte: allegato 15 al reg. 2454/1993 (disposizioni di applicazione del Codice doganale Comunitario –DAC)

Esempio: stoffe a maglia originarie del Bangladesh, dazio 0%, vantaggio solo in import

Regola di origine: fabbricazione a partire da fibre

Fonte: protocollo d’origine allegato all’accordo UE –Svizzera

Dazio: 0% per stoffe a maglia originarie CE esportate in Svizzera e originarie della Svizzera importate nella CEVantaggio: in import e in export

Regola di origine: fabbricazione a partire da filati

Fonte: allegato 15 DAC

Supponiamo che venga imposto un dazio antidumping sulle stoffe a maglia originarie della Cina; questa è la regola applicabile per determinare l’origine ai fini della valutazione dell’imposizione della misura antidumping

Come si può notare, la regola unilaterale preferenziale applicata per valutare se le stoffe siano originarie del Bangladesh, valida anche a livello bilaterale tra Unione europea e Svizzera, è più severa di quella non preferenziale, in quanto richiede che la fabbricazione avvenga a partire dalle fibre. Viceversa, secondo la norma non preferenziale, rilevante ai fini di decidere se le stoffe siano di origine cinese e quindi passibili di applicazione di un dazio antidumping, è sufficiente che le stoffe a maglia importate siano state ottenute in Cina con lavorazione a partire da filati. Il fatto quindi che le regole preferenziali prevedano condizioni generalmente più severe delle regole non preferenziali, comporta che siano basate su requisiti diversi. Tuttavia, in alcuni casi il contenuto della regola preferenziale e non preferenziale per lo stesso prodotto coincide (v. box).

106 Così l’art 1.1 dell’Accordo sulle regole di origine dell’OMC

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Prodotto Voce di classificazione

Regola presenziale e non

preferenziale identiche

Regole preferenziale

Regola non preferenziale

Calzature 6403

Fabbricazione a partire da materiali di qualsiasi voce, escluse le calzature incomplete formate da tomaie fissate alle suole primarie o ad altre parti inferiori della voce 6406

Fonti: protocollo d’origine allegato all’accordo UE –Svizzera;Allegato 11 DAC

Tubi 3917

Prima regola:fabbricazione in cui il valore di tutti i materiali del capitolo 39 utilizzati non ecceda il 50% del prezzo franco fabbrica del prodotto

Seconda regola: fabbricazione in cui il valore di tutti i materiali utilizzati non ecceda il 25% del prodotto

Fonte: protocollo d’origine allegato all’accordo UE -Svizzera

Prima regola:origine del Paese in cui la lavorazione ha l’effetto di cambiare la terza e la quarta voce di classificazione del prodotto

Seconda regola:origine del Paese in cui le lavorazioni svolte, pur non cambiando la classificazione del prodotto, in quanto vengono utilizzati materiali classificati nella voce 3917, danno come risultato un materiale rinforzato o laminato

Fonte: Posizione negoziale in OMC della CE:posizione attorno la quale si è formato il consenso di tutti gli Stati che partecipano al negoziato OMC

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Le regole preferenziali e non preferenziali si basano, pur con complessità differenti, sul principio generalmente accettato secondo il quale, ogniqualvolta un prodotto sia il risultato di componenti o fasi di lavorazione originari di due o più Paesi, il Paese che conferisce la nazionalità al bene è quello in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale. Data la natura generica ed imprecisa di tale principio, ogni Stato e in ciascun accordo vengono adottati alcuni criteri tecnici il cui soddisfacimento vale quale presunzione del suo compimento. Tali criteri costituiscono il contenuto delle regole d’origine. A seconda del prodotto quindi le regole di origine sono basate:

- sul criterio della modifica della classificazione tariffaria- sul criterio del valore aggiunto- sul criterio del processo specifico di produzione- su una combinazione di tali criteri.

Il criterio della modifica di classificazione tariffaria

Si basa sul presupposto secondo cui ogni prodotto oggetto di scambio internazionale è classificato in una nomenclatura tariffaria predisposta nell’ambito della Convenzione sul Sistema armonizzato per la designazione e codificazione delle merci (Sa). La quasi totalità degli scambi mondiali avviene in base a questo sistema di classificazione, adottato o applicato da quasi tutti gli Stati.

In base al Sa ogni merce è identificata da sei cifre. Le prime due indicano il capitolo, ossia la categoria generale di appartenenza del prodotto: ad es. il capitolo 39 si riferisce alle materie plastiche e ai lavori di tali materie. Le prime quattro cifre indicano la voce doganale e identificano il prodotto con maggior precisione: ad es. 3901 si riferisce ai polimeri di etilene in forma primaria. E’ importante notare che, nell’ambito di ciascun capitolo, l’incremento della voce doganale indica il compimento di fasi progressive di lavorazione: ad es. la voce 3908 indica i poliammidi in forma primaria, la voce 3917 i tubi e i loro accessori, la voce 3918 rivestimenti per pavimenti in materia plastica, la voce 3924 designa il vasellame e altri oggetti per uso domestico in materia plastica. Le prime sei cifre rappresentano uno stadio di ulteriore lavorazione del prodotto: ad es. 391721 è la sottovoce che classifica i tubi rigidi mentre 391731 indica “altri tubi”.

L’obbligo che il Sa pone a carico degli Stati è quello di utilizzare le sei cifre della convenzione per la classificazione dei prodotti. Ciascuno Stato è quindi libero di stabilire la classificazione dei beni a partire dalla settima cifra: proprio l’impiego di codici di classificazione tariffaria diversi da Stato a Stato rappresenta un potenziale ostacolo gravante sulle merci esportate verso i Paesi terzi.

Il criterio più comunemente presente nelle regole di origine comunitarie è basato sul cambio di voce; quindi i materiali di origine extra-CE devono essere classificati, secondo condizioni specificate caso per caso, in una voce diversa da quella del prodotto finito (v. esempio box). Secondo la disciplina comunitaria, il livello cui deve generalmente avvenire la modificazione di classificazione tariffaria affinché vi sia trasformazione sostanziale del prodotto, e quindi acquisizione dell’origine, é quello della voce, e quindi della terza e quarta cifra. Questo tuttavia non esclude che per alcuni prodotti e in altri Paesi non rilevino cambiamenti di classificazione a livelli differenti, come ad es. a livello di capitolo o di sottovoce.Ipotizziamo una ditta di frigoriferi tedesca, e quindi comunitaria, che voglia pianificare la produzione in modo da avere accesso preferenziale al mercato svizzero. In base alla regola di origine rilevante ai sensi dell’accordo preferenziale in vigore tra Comunità e Svizzera, l’impiego di materiali originari di Taiwan, e quindi non di origine comunitaria né svizzera, non pregiudica l’ottenimento dell’origine comunitaria del prodotto finito se, come avviene nell’esempio, si tratta di materiali classificabili in una voce diversa rispetto a quella del prodotto finito.

Esempio del criterio di modificazione della classificazione tariffariaProdotto finito – produttore tedesco Frigoriferi: classificabili nella voce 8418Materiali non originari (Taiwan) usati Fili di rame classificabili nella voce 7408

Accessori per tubi in acciaio classificabili nella voce 7307

Materiali originari usati (francesi) Parti di frigorifero classificabili nella sottovoce 841899 (e quindi nella voce 8418)

La regola di origine relativa ai frigoriferi prescrive inoltre che i materiali non originari non devono eccedere il 40% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito e che il valore dei materiali non originari utilizzati non

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deve eccedere il valore dei materiali originari, e quindi di origine o svizzera o comunitaria. Questa norma combina il criterio di modificazione tariffaria e quello del valore aggiunto.

Un esempio di regola basata unicamente sul criterio della modifica di classificazione tariffaria è quello dei coltelli classificati nella voce 8211. Secondo questa norma un produttore svizzero di coltelli può utilizzare materiali non originari a patto che tali materiali siano classificati in una voce diversa da 8211 che è quella del prodotto finito.

Il criterio del valore aggiunto

Stabilisce la percentuale massima di valore delle parti non originarie utilizzabili rispetto al prezzo franco fabbrica del prodotto finito. Questo criterio viene prescritto sia come singolo requisito da rispettare sia in combinazione con altri requisiti. Ad esempio, per la produzione di macchine utensili classificabili nelle voci da 8456 a 8466, la regola prevista consente di utilizzare materiali non originari sino ad un valore del 40% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito.

Esempio del criterio del valore aggiuntoMacchine utensili classificabili nelle voci da 8456 a 8466La regola di origine del protocollo CE Svizzera prevede che possano essere utilizzati materiali non originari ma che il loro valore non deve eccedere il 40% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito.

Ipotizziamo che si tratti di un’azienda italiana e che il prezzo franco fabbrica del prodotto finito sia pari a 2000€.Il valore delle altre parti è così suddiviso:Parti giapponesi 300€Parti tailandesi 150€Parti spagnole 500€Parti francesi 250€Parti e manifattura italiane 800€

Essendovi solo 450€ di parti non originarie, le macchine sono di origine preferenziale comunitaria e possono essere esportate a dazio preferenziale verso la Svizzera.

Il criterio del processo specifico di produzione

È basato sulla descrizione delle operazioni necessarie al conferimento dell’origine: la vaselina, classificabile nella voce 2712, è originaria del Paese in cui avviene la raffinazione e/o uno o diversi trattamenti specifici.

La valutazione delle differenze e dei punti in comune tra regole di origine preferenziali e non preferenziali può essere riassunta nel seguente schema:

Scopo diverso Fonti diverse Criteri uguali

Regole di origine NON PREFERENZIALI

Dazio (pieno) della tariffa doganale in assenza di accordo; quote; dazi antidumping e compensativi; misure di salvaguardia; marchi di origine

- Accordo OMC, Convenzioni dell’Organizzazione Mondiale delle Dogane- Normativa nazionale- Normativa regionale: caso CE

Trasformazione sostanziale prevista per ciascun prodotto dalle regole di origine di CIASCUNO STATO IMPORTATORE

Regole di origine PREFERENZIALI

Applicazione dazi preferenziali

Accordi commerciali preferenziali reciproci o concessi su base unilaterale

Trasformazione sostanziale prevista per ciascun prodotto dalle regole di origine allegate ai diversi accordi

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È importante tenere in considerazione che la decisione in merito ai requisiti previsti dalle regole di origine spetta a ciascuno Stato nel caso delle regole non preferenziali, mentre è oggetto di negoziazione nel caso di accordi reciproci o di concessioni unilaterali.

Alla luce di ciò, è facile comprendere come la determinazione relativa ai contenuti tecnici delle regole di origine sia di tipo politico in quanto incide sulla gestione delle relazioni commerciali tra Stati. Infatti, negoziare regole di origine preferenziali permissive, anziché restrittive, significa rendere più fruibile l’apertura dei mercati ai prodotti originari dei membri di una zona di libero scambio o dei Paesi in via sviluppo; altrettanto cruciale è il ruolo delle regole non preferenziali, posto che contribuiscono a proteggere settori sensibili dell’economia nazionale. In virtù di queste considerazioni, è corretto considerare le regole di origine come lo strumento per eccellenza della pianificazione commerciale e doganale di un’azienda: dalla conoscenza delle regole di origine e da una corretta e cosciente pianificazione della produzione e della distribuzione dipende, infatti, la competitività dei prodotti e il controllo dei costi delle operazioni di import export.

In ragione dell’impatto fortemente protezionistico e potenzialmente distorsivo che possono avere, le regole di origine sono oggetto di un accordo OMC, avente innanzitutto l’obiettivo di predisporre un set di regole di origine non preferenziali comuni a tutti gli Stati membri OMC. Tuttavia, proprio a causa dell’importante ruolo economico-politico giocato dalle regole di origine, i lavori di armonizzazione che dovevano concludersi entro il 1998, sono ancora in corso. L’altro obiettivo importante cui mira l’accordo sulle regole di origine OMC è quello di evitare che, una volta armonizzate, le regole di origine vengano interpretate in modo differente dagli organi responsabili dei vari Stati, rendendo così vana l’armonizzazione di questa complessa materia.

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54. Conclusioni

Vendere e basta non è sufficiente. Occorre anche che i prodotti raggiungano i clienti puntualmente: a tal fine, pianificare per tempo e in ottica strategica le operazioni doganali permette di ridurre al minimo il rischio che le merci vengano bloccate in dogana. Il fermo in dogana predisposto dalle autorità del Paese importatore per controllare la veridicità degli elementi contenuti nelle dichiarazioni che accompagnano i beni comporta, oltre ai costi di custodia e ad eventuali sanzioni economico- amministrative, ritardi nella consegna ai clienti. È poi fondamentale che i prodotti venduti sia sul mercato nazionale e comunitario sia nei Paesi scelti per l’esportazione siano competitivi: la conoscenza e le gestione dei dazi e delle altre misure all’importazione poste dai Paesi verso i quali si esporta proprio per scoraggiare l’acquisto dei prodotti importati e incentivare la scelta dei prodotti nazionali, sono momenti fondamentali per garantirsi il miglior accesso al mercato di tali Stati. E’ vero che non è l’azienda italiana a dover pagare il dazio all’importazione dei prodotti che ha venduto negli Stati Uniti, in Svizzera o in qualsiasi altro mercato; ma è altrettanto vero che mettere l’importatore o l’agente che li distribuirà su quei mercati in condizione di pagare un dazio inferiore, o di non pagarlo affatto, equivale a fargli uno sconto, significa aiutarlo a vendere di più, è un modo efficace per promuovere le vendite.

La domanda che un’azienda, un distributore, un importatore dovrebbero porsi è: c’è qualcosa che posso fare per potenziare la mia performance commerciale utilizzando meglio gli strumenti e le risorse che ho a disposizione e sui quali ho già investito? Aver chiaro il motivo per cui è economicamente rilevante porsi un tale quesito, è il primo passo decisivo per fruire dei benefici derivanti da un rinnovato approccio alle operazioni commerciali internazionali. Ma insieme a questa domanda è anche comprensibile che un’azienda si chieda: perché dopo anni di attività e di esperienza sorge il problema di cambiare approccio rispetto alla gestione delle operazioni commerciali e doganali? Le risposte possibili sono più di una. Si è detto in apertura della configurazione sempre più complessa ed in continuo mutamento del contesto delle relazioni commerciali internazionali. La spiegazione su cui si basa questo contributo muove dal dato di fatto degli innumerevoli ostacoli, soprattutto di carattere non tariffario, che rendono più complesso l’accesso ai mercati di esportazione. Inoltre, nonostante l’impegno multilaterale per promuovere norme più trasparenti, semplici, uniformi, e con potenziale discriminatorio sempre più basso, ciascuno Stato applica, fondamentalmente, le proprie norme, procedure e prassi doganali. Inoltre, due tra i dati che sono stati citati devono far riflettere. Il primo: secondo quando stimato dall’OMC, per il 2011 saranno in vigore circa 400 accordi commerciali preferenziali. Il secondo, basato su dati OCSE: il 57% dello scambio internazionale di beni non beneficia della riduzione o esenzione daziaria in quanto non si conoscono, e quindi non si applicano, le regole di origine relative agli accordi commerciali preferenziali.

A fronte di un simile scenario, spetta ad ogni azienda decidere in che misura intervenire per non perdere posizioni di competitività, al contrario per rafforzarla, usando a proprio vantaggio, e non subendole, le norme dello scenario commerciale internazionale. Un aggiornamento costante relativo ai maggiori cambiamenti proposti dalla logica delle relazioni commerciali e dalla struttura normativa è certamente il primo passo utile a cogliere, almeno in prima battuta, gli interventi di pianificazione più importanti e urgenti da svolgere. In questo senso, è meritoria l’attività delle istituzioni che si fanno carico di promuovere iniziative di qualità che vanno al di là del semplice assolvimento delle funzioni istituzionali. Tuttavia, uno studio approfondito e dedicato specificamente alla realtà di ogni singola azienda, volto a rilevare, da un lato, tutti gli elementi di costo che potrebbero essere eliminati, e dall’altro, le opzioni di risparmio e le soluzioni per una maggiore tranquillità operativa, è la decisione più economica ed appropriata.

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Si Ringraziano:

Provincia di Ravenna - www.provincia.ra.it

Banca di Credito Cooperativo ravennate & imolese - www.inbanca.it

Bi.Com System Srl - www.bicomsystem.it

Vianello Assicurazioni - www.vianelloassicurazioni.it

Export Coop - www.exportcoop.com

Azzurra Srl - www.azzurraravenna.it

Consenergy2000 - www.consenergy2000.it

Ferrari Srl - www.ferrari-ra.it

Abc Srl - www.abc.ra.it