Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

16

Transcript of Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Page 1: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata
Page 2: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Tentazioni di sant'Antonio, Mathis Gothart Grünewald, 1512-16dipinto dell’altare di Isenheim, Musée d’Unterlinden, Colmar

Tentazioni di sant'Antonio, Mathis Gothart Grünewald, 1512-16dipinto dell’altare di Isenheim, Musée d’Unterlinden, Colmar

Page 3: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Perché la mostraUn museo che documenta e studia le usanze di lungoperiodo di un territorio non può non occuparsi anche dialimentazione. Il cibo è infatti cultura quando lo si produce,quando lo si prepara e quando lo si consuma. Ma non cisono solo azioni, basate su conoscenze e tecniche, in quelletrasformazioni che partono da elementi naturali (minerali,vegetali, animali) per arrivare a prodotti artificiali (i piatti).A monte delle pratiche, infatti, c’è il pensiero degli uomini.Il pensiero che distingue tra sostanze edibili, cioè buoneda mangiare, e sostanze repellenti; tra materie commestibili,cibi buoni o prelibati e materie pericolose o dannose, peril corpo o per l’anima. Un pensiero, quindi, condizionatodalle tradizioni collettive e, spesso, dalle credenze religiose.Il maiale, a cui questa mostra è dedicata, insieme al mestiereche ne fa un alimento, si presenta qui come oggetto diconsumo ma anche come l’occasione per illustrare larelatività delle culture umane, con i loro punti di vista mo-rali sull’animale e sugli uomini, sulla base delle caratteristi-che attribuite - più o meno arbitrariamente - al porco.

La mostra è dedicata alla memoria diLino e Luigi Agostoni, Edoardo Brioni, Ambrogio Mauri,

Felice Motta e Giuseppe Monti

Maiali (finti) ad Expo 2015 (mp)

1

Page 4: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Porco per chi? Porco perché?

Se consideriamo la storia antica, sappiamo che già pressogli Ebrei il maiale è l’animale impuro, demoniaco etentatore. È ciò che si ricava, per esempio, dai passi biblicidel Levitico (11; 7) e del Deuteronomio (14; 8) nonché daiversetti dei Vangeli di Matteo (8; 30), Marco (5; 9) e Luca(8; 30).Alcuni secoli più tardi anche l’Islam adotterà la condannadel maiale escludendo la sua carne dai cibi leciti.Secondo l’antropologo Marvin Harris, è possibile dare unaspiegazione di questa demonizzazione guardando aglieffetti pratici dell’allevamento e del consumo di carne dimaiale nell’ambiente del Vicino Oriente, dove sono sortil’ebraismo, il cristianesimo e l’islam.Se è vero che il maiale è tra i più rapidi ed efficienti con-vertitori di piante in carne, in una misura tripla rispettoagli ovini e quintupla rispetto ai bovini, esso non è unruminante ed è onnivoro a differenza degli animali checonsumano piante ad alto contenuto di cellulosa, producen-do latte, carne, pellame, o trascinando aratri e carri, senzaentrare in concorrenza con gli uomini per ciò che consumano.La loro eccezionale capacità di produrre carne da cuisiamo partiti dipende dal fatto che lo si alimenta non tantocon vegetali ricchi di cellulosa ma piuttosto con cereali etuberi o prodotti dell’orto, cioè da prodotti destinatiall’alimentazione umana. Anche dopo che gli ebrei sitrasformarono in agricoltori sedentari l’interdizione sarebberimasta per inerzia o perché allevare maiali continuava adessere troppo costoso in un habitat in cui ai faggeti e aiquerceti si erano sostituiti campi di cereali e uliveti.Il maiale, infatti, ha un altro svan-taggio, che risulta evidente quandoviene allevato nei climi e negli am-bienti in cui vivevano i nomadi dellezone desertiche, come erano gli ebreidell’Antico Testamento o i musulmanidell’alto medioevo: per il loro apparatotermoregolatore i maiali non sop-portano gli eccessi di calore e ri-chiedono foreste ombrose e ricched’acqua.Che il porco sia considerato un animale“immondo” per la sporcizia degliambienti in cui si adatta a vivere e

Vecchia stampasulla porta di una stallaFigina di Galbiate, 2005

(mp)

2

Page 5: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Felice Motta e Giuseppe Monti, norcini a Dagò di Barzanò1991 (lp)

Felice Motta e Giuseppe Monti, norcini a Dagò di Barzanò1991 (lp)

Page 6: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

a nutrirsi non pare convincente. Molti animali domestici,infatti, possono cibarsi di escrementi e il fatto che il maialeviva nella sporcizia dipende dalle possibilità o dalle sceltedell’allevatore.A partire dunque dai divieti a consumare la carne di porconella cultura ebraica, sarebbe derivata l’identificazionedel maiale con il demonio, che ritroviamo anche nelNuovo Testamento quando, ad esempio nel passo di Luca,Gesù scaccia i demoni da un uomo chiamato Legione chesi incarnano in una mandria di porci che pascolavano nellevicinanze.Nella tradizione cristiana si racconta che verso il 270 d.C.un certo Antonio di circa vent’anni, rampollo di una famigliacristiana agiata del Medio Egitto si ritirò nel deserto, dopoaver distribuito tutto quello che aveva ereditato. Per circatrent’anni egli visse in penitenza e in rigorosa solitudine.Poi, nei primi anni del IV secolo, egli si avvicinò alle zoneabitate, raccolse attorno a sé dei discepoli. Questo anacoreta,destinato a passare alla storia come il santo abate, vienedipinto come un uomo che vive in solitudine in lottacontro i demoni che lo assalgono da tutte le parti. Nelcorso del medioevo diversi dipinti rappresentano un monacocon una lunga barba bianca,vestito di un saio, vicino ad unporco. Si tratta di una figura cheunisce la longevità e la saggezzadel santo con l’abbigliamento deimonaci antoniani, un ordine ospe-daliero che si ispirava al santoegizio, riconosciuto dal papa nel1095, che si dedicava alla curadell’erpes zoster, o “fuoco disant’Antonio”, utilizzando ancheil grasso di maiale.Peraltro resta traccia della demonizzazione del suino nelleingiurie e nelle bestemmie costruite a partire dai termini“porco”, ”porca”, ma anche negli insulti che alludono alladisposizione di un individuo ad una sessualità sfrenata eillecita.Dei molti difetti attribuiti al maiale, parla un libretto del1582 di Giordano Bruno – il filosofo messo al rogo dallaChiesa nel 1600 – che si intitola “Il canto di Circe”, lamaga dell’Odissea che trasforma in porci i compagni diUlisse. Circe parla a Meri, una sua seguace, facendo unadescrizione del porco che emerge da questo elenco alfabetico,in cui, ad ogni lettera, si associa un motivo di disprezzo,che adombra peraltro altrettanti difetti umani: A. avaro,B. barbaro, C. coperto di fango, D. duro, E. errante qua elà, F. fetido, G. goloso, H. ha un debole senno, K. Cocciuto,L. lascivo, M. molesto, N. non è buono a nulla, O. ozioso,P. pertinace, Q. querulo, R. rude, S. stolto,T. turgido, V.

Immaginetta con una preghieradedicata a Sant’Antonio abate

4

Page 7: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

vile, X. Lunatico, Y. Auricolato [spione], Z. volubile. Pertantonon si dice buono se non quando è morto.L’antropologo Edmund Leach ha messo in evidenza che ininglese gli animali di grossa taglia vengono denominaticon termini differenti a seconda che siano nominati davivi o da morti, ovvero pensati come cibo. Così in ingleseil bue bullock diventa beef, pig si distingue da pork, e cosìvia. Questa distinzione tradurrebbe il disagio dell’uomo

nell’uccidere questi animali. È in-teressante notare che il norcino,quando si avvicina il momento diammazzare l’animale, lo accarezza elo blandisce con parole affettuose.Il porco vivo, infatti, potrebbe di-ventare cattivo. Da morto, invece,sarà ‘un'altra cosa’: diventerà innocuoe buono.Nell’italiano contemporaneo, il termine“maiale” e il termine “porco” noncorrispondono alle due condizionidistinte dell’animale. Nel dialettobrianzolo si usa ormai solo purscèl,

ma nell’’800 - come è attestato dal dizionario milanese-italiano del Cherubini - si usava anche pòorch, in espressionidi solito connotate negativamente, come del resto accadenell’italiano di oggi. Il termine pòorch sopravvive - perquanto ne sappiamo - in una filastrocca infantile, dedicataalle ore di sonno delle varie categorie sociali, usata inun’epoca che evidentemente richiedeva molte ore di lavoromanuale e solo sei ore di sonno alla gran parte delle persone“tüta la géent”. Nella testimonianza di Maria GiovannaRavasi (nata a Merate), la filastrocca pedagogica dice:Un ura ul gal/ Do ul cavàl/ Trè ‘l cavalàant/ Quàter ulmercàant/ Cinch ul studént/ Sés tüta la géent/ Sèt un còorp/Vòt un pòorch [Il gallo dorme un’ora/ il cavallo due/ ilcarrettiere tre/ il mercante quattro/ cinque lo studente/seitutta la gente/ sette un cadavere/ otto ore un porco].È interessante notare che, in questotesto in rima, il comportamento delmaiale (o dell’uomo che è giudicatotale), con il suo dormire a lungo,è considerato spregevole. In effettiil maiale è un animale pigro chequando dorme - come ci riferisce untestimone - “russa”. È non è questala sola affinità tra uomo e porco.Anche l’anatomia li avvicina: il cuoree il fegato delle due specie sono similial punto che da almeno 20 anni laricerca lavora in questo senso a benefi-cio dei trapianti per la nostra specie.

5

Giuseppe Monti, norcino allavoro, Dagò di Barzanò,1991 (lp)

Scottatura e depilazionedel maile, Dagò di

Barzanò, 1991 (lp)

Page 8: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Da questa affinità e dai molti comportamenti “umani”(compresi i rumori che il porco produce) potrebbe derivareil senso di colpa di cui chi lo ammazza è portatoreinconsapevole. Le denominazioni distinte per l’animalevivo e per quello morto, e soprattutto la ‘criminalizzazione’del maiale, implicita nelle ingiurie e nelle imprecazioniaiuterebbero a ‘giustificare’ l’uccisione. In altri termini, sel’animale “è un porco” è giusto disprezzarlo e anchesopprimerlo.Ma dall’affinità con l’uomo dipende anche un’affermazionedei suoi diritti. Almeno dal 1975, quando il filosofoaustraliano Peter Singer pubblica Animal Liberation (tradottoin italiano nel 1987), gli animali vengono concepiti comesoggetti morali e/o giuridici. Riprendendo le domande diun altro filosofo vissuto in Inghilterra tra il ‘700 e l’800,Jeremy Bentham, i difensori dei diritti degli animali mettonoin discussione la possibilità di tracciare una linea invalicabiletra le specie, magari utilizzando il criterio distintivodella ragione o del linguaggio. Bentham, infatti, osservava,nel 1823, “Ma un cavallo o un cane adulti sono senzaparagone animali più razionali, e più comunicativi, di unbambino di un giorno, o di una settimana, o persino di unmese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosaimporterebbe? Il problema non è di chiedersi “Possonoragionare?”, né “Possono parlare?”, ma “Possono soffrire?“Lo stesso filosofo, considerato il fondatore dell’utilitarismo,d’altra parte, accettava il fatto che gli uomini usassero glianimali a scopo alimentare. E questo sembra essere ancoraoggi l’atteggiamento prevalente nei paesi occidentali permolte specie: quelle identificate con la “selvaggina” equelle addomesticate, purché non siano animali “dacompagnia”, ovvero animali “umanizzati” dalla convivenzae da una reciprocità di attenzioni, praticata o desiderata.Espressioni di questa umanizzazione si possono rintracciaregià nella fiaba dei tre porcellini (bambini), diffusa nelletradizioni orali europee(Aarne – Thompson 123),fino ai cartoni animati diPeppa Pig (scrofa antropo-morfa), ma anche nel mododi presentare i maiali e i loroprodotti, finti e moralmenteneutralizzati, di Expo 2015.

6

Peppa Pig

Page 9: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Quando e comeil maiale divenne buono

Come scrive lo storico francese Georges Duby, nei secoliVII e VIII in Europa poiché quasi ovunque le foreste diquerce e di faggi costituivano l’elemento principale delpaesaggio, l’allevamento del maiale rappresentava la piùcomune fonte di approvvigionamento di carne per l’alimen-tazione. Per quanto riguarda la nostra regione, in particolare,lo stesso autore afferma che in Italia stando a regolamentidella metà del VII secolo, la razione giornaliera dei maestricomacini, artigiani altamente specializzati, comprendevacarne di maiale in abbondanza. Parliamo quindi dell’Europacristiana, in cui si destinava il pesce ai giorni di penitenzae la carne ai giorni di festa, almeno per la popolazionepiù numerosa e meno abbiente, che viveva soprattutto dialimenti vegetali, secondo una tradizione che risaliva aiGreci e ai Romani, depositari di una civiltà agricola cheponeva il pane al centro del sistema alimentare. A mangiarela carne più spesso erano i potenti, dediti alle armi e allacaccia. Come scrive Massimo Montanari “il potente sidefiniva in primo luogo come grande mangiatore”,secondo “una concezione fisica e muscolare del potere, chevedeva nel capo anzitutto un valoroso guerriero, il piùforte e vigoroso di tutti. A questo cibo si assegnava lacapacità di nutrire il corpo, di consolidarne i muscoli, diconferire al guerriero, con la forza la legittimità del comando.Ma mangiare carne era possibile con l’uccisione deglianimali, che per la nobiltà erano soprattutto selvaggina,abbattuta al termine di sfibranti rincorse e di veri e propriduelli, che simulavano, nelle strategie e nell’uso delle armi,la pratica della guerra. La cacciaaddestra all’attività militare e, alcontempo, fornisce gli alimenti chedanno la forza di combattere: ilcircolo è chiuso e perfetto, anche sulpiano tecnico.Se tra la selvaggina c’erano i cinghiali,dotati di analoghe virtù erano i maialiaddomesticati ed allevati per l’usoalimentare, anche da coloro che nonpotevano permettersi di mangiarecarne tutti i giorni, dopo che eranostati macellati e lavorati nei mesi più

7

Enrico Cazzaniga appendei salami, Dagò di Barzanò,

1991 (lp)

Page 10: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

freddi dell’anno per ragioni di conservazione. Nonostantel’identificazione antica del maiale con il demonio, grazieanche all’opera meritoria dei monaci antoniani, che sidiffondono dopo il Mille, il porco fu rivalutato: non soloper la risorsa alimentare fondamentale che esso rappresentavadove il clima era favorevole all’allevamento e alla conser-vazione invernale della sua carne ma anche per ciò cheoffriva per la cura di varie malattie. Per questo era concessoa questi religiosi di allevare anche nelle città i “porci disant’Antonio”, riconoscibili per una campanella che portavanoal collo – segno che rimane nella iconografia del santo,diffusa da dipinti, stampe e immaginette conservate daidevoti.Si può quindi affermare che, nella tradizione cristiana,il maiale ha assunto un significato ambivalente. Lafigura del santo abate (o del monaco del suo ordine)affiancato al porco, da diversi secoli è stata interpretatadagli allevatori e dai contadini come la rappresentazionedi una potenza protettrice - appunto - nei confronti delporco e degli animali domestici in genere, a cui affidarela tutela di un bene prezioso. Per questo, nel calendariocattolico, il 17 gennaio si è soliti fare benedire gli animaliall’uscita delle chiese, ma anche affiggere nelle stalleun’immagine di sant’Antonio abate.Nonostante i suoi pregi, la tradizione dell’allevamento suinoin Brianza - o almeno nella parte storica del suo territorio- non è molto antica. Infatti nel 1809, il parroco CarloAntonio de Capitani d’Hoè (1770/1819), nella sua Memoriaterza sull’agricoltura del Monte di Brianza, scriveva: “Ilpochissimo o nessun commercio che si fa coi maiali,mi ha fatto dimenticare di parlare nella prima memoria,dei nostri porcili e dei nostri porci. Varrone crede improbabileche vi possano essere contadini senza maiali, eppure quila cosa è così, perché appunto i nostri agricoltori ne sonosenza. Come ciò accada io non saprei indovinarlo, giacchéabbiamo bastanti mezzi di mantenerne, se non moltissimi,almeno una discreta quantità con poca spesa. Vero è cheil rovere qui produce ben poche ghiande, atteso l’usouniversale di sbroccarlo ogni tre o quattro anni per averela legna da fuoco. Quelli che ingrassano i maiali, li acquistanogià grandicelli ai mercati di Monza o di Vimercate, nonessendovi, per quanto io so,una sola scrofa in Brianza.Sarebbe un gran bene pelnostro contadino se potesseessere eccitato al manteni-mento di qualche animale.Troverebbe un gran vantaggionel commercio o migliore-rebbe lo stato della propriafamiglia coi lardi o con le

8

Benedizione degli animali persant'Antonio, Ello, 2015 (rm)

Page 11: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

grassine.”L’incoraggiamento di questo ‘parroco contadino’ deve esserestato accolto nel secondo ‘800 o forse addirittura nel primo‘900, quando molti coloni divennero piccoli proprietari eal tempo stesso si impiegarono come operai nell’industriao nell’artigianato, conservando un legame con il lavoro deiloro antenati.È facile per gli italiani di oggi parlare del maiale buono damangiare, perché ancora oggi vengono consumate le suecarni, cotte o crude, selezionate, insaccate e conservate.Però, i prodotti alimentari non erano la sola risorsa chequesto animali dava agli uomini, almeno fino alle sogliedel XX secolo. Se riprendiamo un testo che circolava dal1600, citato dallo storico Roberto Finzi, leggiamo chequando il porco “fa testamento” lascia le diverse partidel suo corpo ad uno stuolo di soggetti sociali, che sene giovano nelle loro attività: il muso ai cercatori di tartufi,le setole ai calzolai per le cuciture delle scarpe e ai pittoriper i loro pennelli, la vescica ai ragazzi per giocarci comealla palla, la pelle a chi fa e usa setacci, la cotica a chiusa la colla e ai fabbricanti di sapone, il grasso a chi facandele e agli studenti che se ne servono per studiare dinotte, la sugna ai carrettieri, le ossa ai giocatori di dadi,il fiele ai contadini che vanno scalzi, per cavare dalla pellele spine e per avere un efficace lassativo, le unghie aicoltivatori di orti, buone per concime.

Macellazione industriale, Beverate di Brivio, 2015 (mp)

9

Page 12: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

Allevare, macellare, insaccareFino a non molti anni fa nelle famiglie degli agricoltoririmasti attivi in Brianza ma anche presso gli operai diorigine contadina, che conservavano uno spazio idoneoper tegné sö ‘l purscèl, in primavera si acquistavano unoo più maiali - castrati o, raramente, scrofe - nelle fiere,come quella della Madonna del Bosco a Imbersago (Lc),per ingrassarli e destinarli alla produzione dei salumi chesarebbe avvenuta nell’inverno successivo, prima dellaquaresima. Un proverbio brianzolo, infatti, afferma che Acarnevàa/ ul purscèl el vò mazàa [per carnevale il maialeva ucciso].L’uccisione dei maiali è ricordata da molte persone anzianecome un’occasione di festa presso le case coloniche, datoche nella stessa giornata o in quella successiva si mangiavanoalcuni prodotti della macellazione che erano consumatieccezionalmente, a cominciare dalla rustìda in cùnscia(carne “mista” cucinata in un intingolo) e dalla torta disangue. Il proprietario del maiale faceva preparare unagallina lessata per il pranzo collettivo della giornata, inmodo da omaggiare il norcino che di solito mangiava carnedi porco.L’uccisione cruenta del maiale, che implicava la percezionedei lamenti dell’animale, costituiva per i bambini e i ragazziun’ occasione di iniziazione al mondo degli adulti. RomeoRiva (n. 1935), ad esempio afferma, che questa giornataera bella dato che a volte si rimaneva a casa dalla scuolama anche che era “una cosa che faceva impressione”.Nell’occasione, poi, i ragazzi ricevevano spesso la vescicadell’animale macellato, che, gonfiata, veniva usata comeuna palla.I mazzapurscèi, tecnici specializzati nella uccisione enella macellazione dei suini, oltre che nella lavorazionedelle loro carni, nel corso dell’ultimo secolo, provenivanosempre più spesso dalle industrie alimentari della zona- come Beretta, Vismara o Molteni - dove si producevano

10

Page 13: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

salumi per la grande distri-buzione. Alla Vismara sonostate dedicate una importantericerca e una mostra, inau-gurata nel 2010, curate dallacooperativa Brig con il so-stegno del Comune di Casa-tenovo e dell’azienda.L’ingrasso domestico delmaiale, che impiegava gra-naglie, tuberi, ortaggi e, nell’ultima fase, castagne perrendere le carni più sode, portava l’animale a un peso di180 /200 chilogrammi, fino al periodo invernale, quandoera possibile lavorare la carne e conservarla, anche inassenza di frigoriferi. I norcini, che lavoravano in coppia,arrivavano di mattina presto dal loro committente, dovetrovavano la caldaia con l’acqua a 60, pronta sia per lavareil maiale ucciso, sia per facilitarne la depilazione, sia perpulire le budella necessarie all’insaccatura, e il mortaio perpestare l’aglio con poco sale grosso.L’attrezzatura che serviva per l’uccisione e la lavorazionedell’animale era di proprietà dei macellai: essa comprendevadiversi coltelli, il tritacarne, una vasca (marnèt) per impastareil macinato, la macchina insaccatrice, la spolettatrice e lacorda per legare i vari insaccati, nonché l’attrezzo perpungere il budello che li conteneva, in modo che evitasserodi incamerare aria, diventando rancidi.Nelle prime fasi del lavoro si bloccava il maiale con unlungo uncino e una fune per procedere alla fase di stordi-mento. Dopo avere legato una delle zampe posteriori delporco con una catena, lo si issava mediante una carrucolae una grossa fune. In tal modo il norcino poteva procederealla degiugulazione e al dissanguamento dell’animale, cheveniva poi pesato con una stadera. Quindi si procedevaalla eviscerazione e alla dissezione delle diverse parti.Da qualche decennio l’uccisione è preceduta dallo stordimentodel porco, mediante una pistola caricata a salve, che lorende inoffensivo. Oggi nell’industria dove si lavora in serie,operando la macellazione di varie decine di animali inqualche ora, l’effetto della pistola è ottenuto con una pinzaelettrica applicata per qualche secondo alle tempiedell’animale con un effetto anestetico.Fino agli anni ’60, presso i contadini si macinavanotutte le parti del maiale ad eccezione delle ossa, dei“piedini” e della coda. Il resto dell’animale veniva triturato,impastato e insaccato, associando le parti magre con quellegrasse più adatte per i diversi tipi di salume. Al di là degliusi alimentari, molti testimoni ricordano l’impiego dellasugna, nel caso fosse irrancidita: poteva servire per ingrassareil cuoio o le parti meccaniche delle macchine agricole, maanche a scopo terapeutico per molteplici disturbi e patologie

11

Confezione salumi Vismara,Casatenovo, anni '30 del '900

Page 14: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

(ad esempio per geloni, ec-zemi e croste della pelle,contusioni, distorsioni,bronchiti). Anche il lardoserviva per diversi malanni,come la lombaggine, il maldi denti, le affezioni aibronchi o i dolori di stomaco.Per la conservazione e perinsaporire i vari alimentisi impiegavano sale, salnitro, spezie (“le droghe”), vinorosso o bianco, aceto, limone, vin brulé. In Brianza, tra iprodotti tradizionali del maiale, si distinguono gli insaccatifreschi destinati alla cottura, come le salamelle, i cotechini,i vaniglia, le salsicce, da quelli che si consumeranno dopoun periodo più o meno lungo di stagionatura, come lafilzetta, il crespone, la muletta (detta anche bógia, fattacon il budello cieco), le mortadelle – che i vicini bergamaschinon usavano insaccare, destinando il fegato alla cottura.Il lardo e le pancette venivano salate e conservate peralmeno una ventina di giorni, prima di essere usate comecondimento.Il pranzo collettivo che i norcini consumavano durante lagiornata di lavoro presso il proprietario del maiale fornivaspesso l’occasione per consumare almeno un salume preparatol’anno prima, come la muleta, a riprova del fatto che si eraconservato adeguatamente grazie al lavoro degli stessiesperti e dei loro aiutanti della famiglia ospite.La produzione rurale dei salumi per il consumo familiarenon prevedeva la salvaguardia delle cosce, per fare prosciutticrudi, che, invece, venivano e vengono prodotti, stagionatie commercializzati dai macellai e dalle industrie del settore.Nel salumificio di oggi tutte le operazioni tradizionalivengono svolte in una catena di ‘smontaggio’, con macchinari

Il veterinario assiste alla macellazione industrialeBeverate di Brivio, 2015 (mp)

12

Il negozio di macelleria di EliseoBrioni, Brivio, 1971

Page 15: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

automatizzati che servono per lo stordimento, primadell’uccisione, e per la scottatura, la depilazione e laspazzolatura, poi. Gli operailavorano, quindi, alla evi-scerazione, alla separazionedegli organi con il controllodel veterinario, al lavaggio ealla dissezione delle varie partida destinare al consumo dicarne fresca, alla insaccaturae alla stagionatura dei salumio dei prosciutti.

La documentazione in mostraGli strumenti di lavoro, le attrezzature e gli oggetti checostituiscono il materiale documentario esposto fannoparte delle collezioni del Salumificio Agostoni, di MariaBrioni e di Eliseo Brioni. Il documentario Il maiale buono.Gesti ritrovati di una tradizione cambiata è di MassimoPirovano, che nel 1993, come operatore principiante diripresa, aveva filmato in una casa rurale di Dagò, nel co-mune di Barzanò, due norcini itineranti al lavoro. Dal lunedìal venerdì erano dipendenti di due grandi salumifici dellazona, ma nel fine settimana durante la stagione invernalevenivano ingaggiati da vari conoscenti per ammazzarequalche maiale e per lavorarne la carne, secondo una praticatradizionale.A più di vent’anni di distanza quelle immagini vengonocommentate da Eliseo Brioni, un altro norcino esperto.Purtroppo, infatti, Felice Motta e Giuseppe Monti, i dueprotagonisti del primo filmato, non ci sono più.Ma con le riprese di Giosuè Bolis si è voluto dare un’ideadi come la lavorazione dei maiali sia cambiata in unaindustria a gestione familiare - quella del salumificioAgostoni di Beverate di Brivio - che segue l’intero ciclodella produzione, dalla macellazione alla stagionatura deisalumi, in una catena di montaggio tecnicamente mecca-nizzata. Qui si producono diversi salumi di una tradizioneconsolidata e molti operai imparano a compiere tutte leoperazioni di trasformazione che i norcini ‘domestici’conoscevano e praticavano.

13

Lavorazioni al salumificio Agostoni,Beverate di Brivio, 2015 (mp)

Page 16: Il maiale buono, testimonianze di una tradizione cambiata

La mostra è realizzata con

il contributo di

e il patrocinio di

In copertina: Giuseppe Monti macella il maiale allevatoda Mario Giovenzana, Dagò di Barzanò, 1991 (lp)

MUSEO ETNOGRAFICO DELL'ALTA BRIANZALocalità Camporeso - 23851 Galbiate (LC)Orari di apertura: martedì, mercoledì, venerdì: 9.00-12.30

sabato e domenica: 9.00-12.30 e 14.00-18.00Il Museo è chiuso a Natale, Capodanno e Pasqua;è aperto a Santo Stefano e al Lunedì dell'AngeloPer informazioni: 0341/542266 - 0341/240193http://meabparcobarro.weebly.com/

La mostra è visitabile dal 13 dicembre 2015 al 3 aprile 2016presso il Museo Etnografico dell’Alta Brianza

Fotografie di: Ruggero Molinari (rm)Lele Piazza (lp)Massimo Pirovano (mp)

Progetto e cura: Massimo Pirovano

Consulenza di: Giorgio Agostoni ed Eliseo Brioni

Assistenza tecnica all’allestimento:Giuseppina Brioni, Marco Longhi,Angelo Panzeri, Luigi Perego

Grafica: Daniela Fioroni

Il materiale documentario esposto fa parte delle collezioni di:Salumificio Agostoni, Maria Brioni, Eliseo Brioni,Luciana Pagnin, Celestino Vanalli

DIPARTIMENTODI SCIENZE UMANE

PER LA FORMAZIONE“RICCARDO MASSA”