Il maestro

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Carlo, un maestro di pianoforte, e Lucia, la sua allieva prediletta: due vite legate tra loro dall'amore per la musica e da un intenso rapporto di seduzione intellettuale. Un momento, un istante di debolezza e le loro vite cambieranno per sempre...

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Massimo Mannucci

Il maestro

Editrice FiorentinaSocietà

© 2008 Società Editrice Fiorentinavia G. Benivieni 1 - 50132 Firenze

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ISBN 978-88-6032-057-5

Proprietà letteraria riservataRiproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

Copertina a cura di Andrea Tasso

I diritti di autore di questa pubblicazione saranno devolutialla Lega Italiana Fibrosi Cistica Onlus Associazione Toscana Onlus

A chi mi ha fatto e a chi mi fa

Il maestro

Tutto congiura a tacere di noi come si tace di un’ontao di una speranza ineffabile

Rainer Maria Rilke,Elegie Duinesi

Indossava camicie ben stirate, quasi sempre a quadri pic-coli piccoli, sui toni dell’azzurro, colore dei suoi occhi e,con una barba disegnata che incorniciava un volto serioe apparentemente imperturbabile, assumeva l’espressio-ne tipica di un uomo tranquillo.

Era alto quasi come mio nonno Alfredo, insegnante dimatematica al liceo fiorentino Dante Alighieri, e forse erapiù basso del mio caro papà, concertista di buona levatu-ra e, soprattutto, uomo di una sensibilità eccezionale;purtroppo, un maledetto incidente stradale ed un destinomaligno me lo portarono via troppo presto: avevo appe-na compiuto sette anni quando rimasi senza il babbo.

Si chiamava Carlo ed era il mio maestro di pianofor-te: uno strumento che ho imparato ad amare per la suacapacità di colmare i vuoti dell’esistenza e di riempire lavita con suoni vellutati e sinceri.

Ero grata a Carlo per essere riuscito a farmi appassio-nare alla musica nonostante che, all’inizio, mi fossi sen-tita quasi obbligata da mia madre a seguire le ormepaterne.

Ormai andavo più volentieri a lezione di piano che ascuola perché quel misterioso oggetto sonoro mi gratifi-cava a livello sensoriale quando producevo e controllavoil suono e poi riusciva a conferirmi insperate possibilitàespressive: quasi un potenziamento alle mie limitate capa-cità corporee. E addirittua, attraverso la musica, mi sem-

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brava di stare ancora vicino al mio adorato papà del qua-le, nella mente, mi era rimasta solo un’immagine sbiaditadi quando stava seduto sullo sgabello davanti a quel vec-chio Bösendorfer, un quarto di coda dal tipico suonoovattato, che poi avrebbe dovuto sopportare i miei errori.

Non so cosa avrei dato per avere ricordi più nitidi delmio genitore che mi aveva lasciato in eredità anche duebelle mani con dita lunghe ed affusolate ed un orecchiomusicale assoluto che riusciva incredibilmente a cogliereuna sola nota di musica senza chiedere aiuto a quellecontigue.

Stavo ormai avviandomi a preparare l’esame dell’ot-tavo anno dopo che quello del quinto era stato un suc-cesso conclusosi con i complimenti della commissioneed un abbraccio di Carlo che mi sollevò da terra facen-domi volteggiare in aria con un giro di trecentosessantagradi.

La mia passione per la musica era pian piano diven-tata totalizzante.

Il pianoforte era divenuto il mio indispensabile inter-mediario nell’approccio al difficile mondo degli adultiche mi circondava con i suoi incomprensibili rapporti econ le sue complicate relazioni.

Al ginnasio, che avevo iniziato da poco, eccellevo soloin italiano, ma frequentavo senza troppo entusiasmo enon mi interessavano né i discorsi noiosi degli insegnan-ti attempati, né le risatine stupide delle compagne, né icorteggiamenti maldestri dei ragazzi più grandi del liceoche trovavo comunque troppo infantili e, perciò, del tut-to insignificanti.

Consideravo Carlo il mio unico maestro perché, daisuoi saperi, riuscivo a carpire preziosi insegnamenti, nonsolo di musica, ma anche di letteratura, di storia, di filo-sofia ed addirittura di vita.

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