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IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE ANNO IV N.37 NOVEMBRE 2017 - Testo e struttura a cura di TETRVS LONTANO OVEST ROMANO

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IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO

NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE

ANNO IV N.37 – NOVEMBRE 2017 - Testo e struttura a cura di TETRVS

LONTANO OVEST ROMANO

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LONTANO OVEST ROMANO II parte

L’IMPERO E IL CAOS

L’ultimo secolo di vita dell’Impero Romano è vissuto sull’orlo del caos: «con questa

espressione si definisce una fase di transizione tra ordine e disordine nell’evoluzione dei sistemi

complessi,come le società umane» [M. Nuti – Roma sull’orlo del caos. Romani, Visigoti e Vandali

nell’ultimo secolo dell’Impero (376-476 d.C.)– ed. Mattioli 1885, pag.83]. Secondo i teorici di questa

analisi (che basa i suoi studi in discipline quali la fisica, la biologia ma anche nelle scienze umane e

sociali), l’orlo del caos comporta comunque un’area di sviluppo in cui i sistemi complessi come le

società umane hanno modo di adattarsi ai cambiamenti ed evolversi.

Questo è quanto può essere accaduto anche alla società Romana occidentale, in quegli anni

travagliati e caotici,in cui il mondo antico stava mutando in qualcosa di nuovo.

I continui conflitti tra la fine del quarto secolo e l’inizio del quinto portarono a devastazione

e desolazione nei territori dell’Ovest, che ne risultavano così stremati da ottenere una riduzione

della pressione fiscale per far respirare le province. E il minor gettito non poteva non avere riflessi

sulla politica di difesa.

Invasioni, usurpazioni, lotte intestine, rivolte e saccheggi avevano fiaccato l’Impero

d’occidente e l’esercito non fu immune da questa situazione.

Da una disamina della Notitia Dignitatum, si evince che quasi la metà dell'esercito campale

romano-occidentale andò perduto per le invasioni avvenute in particolare tra il 405-420, perdite che

solo in parte furono recuperate con l'arruolamento di nuovi soldati, spesso promuovendo interi

reparti di limitanei al rango di uniità comitatenses, con conseguente declino dell'esercito sia in

quantità che in qualità.

Infatti, «la prima vittima di questo stato di caos ed incertezza … fu proprio l’esercito

occidentale, decimato e prostrato da decenni di conflitti fratricidi e scontri sanguinosi. Dei 181

reparti di comitatenses a disposizione delle forze armate occidentali, ben 76 caddero sul campo del

Frigido, nelle guerre contro Alarico e Radagaiso, o nelle interminabili campagne volte a piegare

ribelli e usurpatori. L’unico modo di compensare le continue perdite e di ovviare allo scarso

numero di effettivi disponibile fu quello di trasferire interi reparti di truppe di frontiera nei ranghi

delle unità mobili schierate sui vari campi di battaglia. Dei 96 nuovi reggimenti di comitatenses

creati in questi anni, ben 62 erano composti in realtà da divisioni di riparienses promosse al grado

superiore.» [J. W.P. Wijnendaele – l’Ultimo Romano – pagg. 69-70 - 21 Editore]

Ma anche se oltre venti anni di combattimenti senza sosta, di conflitti all’ultimo sangue

avevano stremato gli eserciti romani, questi anche dopo il primo ventennio del V secolo avevano

ancora dato prova di una certa vitalità – soprattutto sotto la guida di Costanzo III (370-421) – dando

nuova speranza (anche se per poco) per una rinascita e un riscatto. Ma è un esercito di fatto

“mutato” come già si è visto (vedi IL LEGIONARIO 36), in quanto tra il 378 e il 410, cessa di essere un

esercito vero e proprio e si trasforma lentamente in una milizia. [cfr Y. LeBohec :Armi e guerrieri di

Roma Antica; da Diocleziano alla Caduta dell’impero, pag.25- 2009]

Il “LONTANO OVEST” ROMANO

Nel V secolo, la pars occidentalis potrebbe, pertanto, essere paragonata – con gli opportuni

limiti e dovute considerazioni – al “Far West” americano per le condizioni di un certo dis-ordine.

Un “Far West” che letteralmente rappresenta il “lontano occidente” romano, un concetto in

cui si possono racchiudere le dimensioni spazio tempo dell’ultimo atto della parte imperiale in

questione.

“Lontano” in senso temporale dal cd “periodo aureo” del I e secolo e inizio del II, e quindi

lontano dalle immagini e dagli stereotipi dell’idea romana di legionario; “Occidente” in quanto il

teatro storico è la parte ovest di uno Stato Romano oramai diviso in due metà non più riconciliabili.

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Ovviamente, allo scenario americano tirato in ballo come immagine si ha un processo

inverso di direzione. Mentre la ribalta “western” era il preludio alla’americanizzazione dei territori

dell’Ovest con i pionieri e l’esercito in blu, il palcoscenico romano mostra un processo di de-

imperializzazione (non avvenendo una de-romanizzazione completa), ovvero un processo

disgregativo che porta però al sorgere di nuove entità geo-politiche, i regni romano-germanici.

Il caos e il disordine che si avverte nell’occidente romano è dovuto anche (e soprattutto) alla

ormai irreversibile latitanza del potere centrale imperiale così come nello scenario americano la

“confusione” di ruoli e posizioni poteva essere rappresentata dalla legge del taglione o dal farsi

giustizia da se, oppure dai cacciatori di taglie laddove non sempre la legge del potere costituito

(sceriffi, ranger o giudici) riusciva ad arrivare o a farsi rispettare.

Possiamo provare ad immaginare, quindi, una Gallia devastata da briganti e Bacaudi così

come nel West vi erano scorribande di fuorilegge e Comancheros, ville assaltate da orde di Unni

così come i ranch assaliti dagli Apache (anche se il percorso “invasivo” tra i due scenari proposti è

inverso), presidi romani nel Norico assediati da Rugi come i fortini accerchiati da Pellerossa da

Sioux, villaggi e città romane nell’ormai perduta Britannia prede di Sassoni, Angli, Juti e altri

incursori.

Un quadro in cui, sostanzialmente, la sicurezza del cittadino, sia esso ricco possidente o

povero popolano è affidata a sparuti contingenti di “soldati romani” o alle milizie private (es. i

buccellari) analoghi ai cowboy o ai “pistoleros” di un “rancheros”.

ROMANIZZAZIONE O BARBARIZZAZIONE?

Il quesito sorge spesso in questo tipo di contesto tenuto conto che se frequentemente si parla

di barbarizzazione alternativamente si può anche parlare di “romanizzazione”. Probabilmente la

questione vede il suo equilibrio e la sua risposta in una posizione mediana: è sicuramente avvenuto

un processo di osmosi che ha comportato il trasferimento di caratteristiche, usi, modalità varie da un

gruppo ad un altro e viceversa, tipico in una relazione di simbiosi tra etnie, come ormai si verificava

da tempo sui territori imperiali.

Il processo di “romanizzazione” si era già sviluppato nella seconda metà del IV secolo

quando alcuni capi barbari, ormai romanizzati, erano diventati “magister” e quindi comandanti di

diversi eserciti imperiali. Però nel V secolo si sviluppò un fenomeno diverso, anche inverso, in

quanto i condottieri barbari – in molti casi – rimasero estranei al processo di romanizzazione che

sarebbe dovuto avvenire al loro ingresso negli altri ranghi dell’esercito. Condottieri che erano i capi

dei loro contingenti barbarici (ad esempio, Alarico per i Visigoti e Attila per gli Unni) salirono sì ai

vertici degli eserciti Romani (Attila fu magister militum dell’Occidente intorno al 449) ma si resero

protagonisti anche di azioni contro lo Stato Romano (es. il Sacco di Roma ad opera di Alarico, 410)

anche come reazione per il disperato e contraddittorio tentativo di esserne parte.

Ma se il ruolo di “comandante delle truppe imperiali” comportava – da principio – una certa

“romanizzazione”, dalla seconda metà del V secolo, il ruolo di magister militum ebbe una rapida

mutazione – almeno nella pars occidentalis – in corrispondenza dell’agonia del potere imperiale e

della sua figura di spicco, l’imperatore, cambiamento retto e sorretto anche dalla progressiva

“barbarizzazione “ (ma, ripetiamo, non esclusiva) dell’esercito romano, costituito dai contingenti

barbari che a mano a mano erano stati insediati nei territori ormai perduti – dell’Occidente.

Il vero potere diventava quello del “dux”, del condottiero, del comandante capace di gestire

e tenere ai propri ordini questi contingenti o nuove milizie.

Un esempio è dato da Ricimero, il quale come “magister militum ac patricius” – dopo

l’eliminazione di Maggioriano (461)- deteneva, di fatto, il potere decidendo anche sulle figure degli

imperatori. E il ruolo di Magister militum raggiunse una forza tale quale effettivo potere in

Occidente che era preferibile a quello di imperatore. Prova ne fu nella figura di Flavio Oreste che,

nel 475, scelse di mantenere la sua posizione di Comandante supremo (Magister militum

praesentalis) delle (ormai ridotte) forze imperiali mettendo sul trono il figlio Romolo Augusto, pur

avendo Oreste - data la sua parziale origine romana – diritto a rivestire la porpora.

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Ma non ci sono solo Alarico, Attila o Ricimero, ovviamente; tra i vari comandanti

dell’esercito Romano vanno ricordati Croco (Alamanno), Stilicone (Vandalo), Gainas (Visigoto),

Ricomero e Arbogaste (Franchi), Ardaburio e Aspar (Alani), Gundobaldo (Burgundo), Odoacre

(Sciro)

Ad ogni modo, se anche si volesse parlare di “barbarizzazione” all’interno dell’esercito

romano, questa non è un fenomeno tipico del V secolo ma è già in atto nei secoli II e III.

Di fatto, tenuto conto che già dai tempi di Marco Aurelio vi erano tribù stanziate all’interno

dell’impero, perché on impiegare i barbari che erano validi combattenti nelle file militari? In questo

modo si univa all’efficienza tecnica e militare romana la forza d’urto e la determinazione di altre

genti creando una macchina da guerra in modo quasi invincibile. L’unico problema stava nel

cercare di adeguare i barbari alla disciplina militare romana.

Ammiano Marcellino, parlando della campagna bellica di Graziano contro gli Alemanni (IV

secolo), ci dice che a questi fu concessa la pace solo dopo che ebbero consegnato giovani guerrieri

da immettere nelle forze armate romane. In questo modo, i guerrieri barbari diventavano soldati

romani.

Magister Militum del V secolo (Legio II Britannica – ROMARS)

LE FORZE ARMATE OCCIDENTALI NEL V SECOLO

Mentre in Oriente l’esercito romano viveva una fase di normale evoluzione verso l’Alto

Medioevo per la sua successiva “bizantizzazione”, l’occidente stava attraversando una serie di

eventi, sfide e situazioni che lo condussero alla sua dissoluzione o mutazione..

L'esercito romano occidentale nel V secolo era posto quindi di fronte all’esigenza di

difendersi in modo rapido ed efficace alla crescente pressione barbarica ma con la difficoltà di

effettuare inserimenti di nuovi soldati qualitativamente e quantitativamente rilevanti anche per le

resistenze incontrate nell’operazione di reclutamento. Infatti era frequente che i latifondisti - per

non privarsi della manodopera necessaria alla coltivazione delle loro terre - riscattavano dal servizio

militare i loro contadini, pagando all’erario una quota in denaro, gettito che era impiegato dallo

Stato per reclutare i barbari mentre altri , chiamati alla leva, preferivano tagliarsi un dita della mano

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destra per evitare di di non essere arruolati.[E. Gibbon, Storia del declino e della caduta dell'Impero

romano (Capitolo XVII) ]

Di conseguenza si fece ricorso sempre maggiore si ricorse sempre di più a contingenti

barbarici, prima impiegati come mercenari a fianco delle unità regolari tardo imperiali

(legiones, vexillationes ed auxiliae), poi come foederati . Il risultato fu un esercito romano nel

nome, ma di fatto sempre più lontano dalla società che era chiamato a proteggere.

Inoltre, mano a mano che il potere centrale perdeva forza e autorità, vennero a crearsi

spontaneamente delle milizie private (su base locale e regionale) che addirittura Valentiniano III

rese poi legali per contribuire alla difesa degli interessi di cittadini, proprietari terrieri e altre genti,

milizie che, dunque, contenevano sempre una forte componente barbarica.

Un barbaro “romanizzato” del V secolo (Legio I IBritannica – ROMARS)

Questa maggiore concentrazione di barbari rispetto alla parte Orientale era dovuta sia alla

naturale direzione presa da alcuni popoli sia a quanto progettato politicamente dalla corte di

Costantinopoli per spostare i pericoli lontano dai suoi confini. Questo movimento (chiamato da un

lato “invasione barbariche”, da un altro “migrazione dei popoli”) aveva comportato lo spostamento

soprattutto di notevoli nuclei di barbari sia dal Danubio (già dal 378, dopo la disfatta di

Adrianopoli) sia dal Reno (Alani, Goti, Svevi, ecc. il 31 dicembre 406), un movimento dettato da

una spinta dietro la quale c’è la forza del popolo Unno.

Di conseguenza, le autorità imperiali si videro costrette ad affidare ai contingenti barbarci

foederati la difesa delle frontiere fluviali (sguarnite anzitempo per fronteggiare Alarico e i suoi

Visigoti) per prevenire e limitare altre invasioni.

In base al trattato di Foedus (visto come soluzione per la sopravvivenza dell’Impero) e al

regime dell’ hospitalitas, l’autorità imperiale doveva concedere ai capi barbari e alle loro genti una

notevole parte di terre e/o del gettito fiscale delle regioni di interesse in cui avveniva lo

stanziamento. Ciò comportava un circolo vizioso caratterizzato:

- dalla sostituzione delle truppe regolari con quelle federate;

- dalla diminuzione del gettito fiscale necessario a mantenere l’esercito regolare con il suo

progressivo decremento in termini di unità;

- dall’aumento delle truppe barbare per sostituire quelle regolari e mantenere il fabbisogno

in termini di difesa militare.

Gli effetti di questo processo si notano – ad esempio – nell’armata di Ezio in relazione alla

vittoria su Attila nei Campi Catalaunici (451). L’esercito romano di Ezio aveva ben poco di

Romano rispetto anche a due secoli prima.; a parte le insegne imperiali, il comandante supremo ed

un certo contingente di Romani, esso era sostanzialmente composto da truppe di federati e alleati

barbari (Visigoti, Burgundi, Franchi, Sassoni, Alani, ecc.). Per contro si deve aggiungere che anche

l’esercito di Attila era abbastanza composito: oltre agli Unni vi erano Ostrogoti, Gepidi, Sciri, Rugi,

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Turingi. Questa multietnica composizione dei due eserciti dimostra come da ambo le parti avverse

le tecniche di guerra e i rapporti di alleanza fossero orami una regola di base.

Nella seconda metà del V secolo il fenomeno di stanziamento dei barbari e della

trasformazione dell’esercito romano si accentuò in quanto si crearono delle vere e proprie zone

autonome dal potere centrale nei territori dell’impero, ormai da considerarsi perduti e, che si

sarebbero trasformati nei futuri regni romano-germanici.

Dopo aver lasciato la Britannia (con l’autonoma decisione di Onorio di abbandonare l’isola

dal 410) e l’Africa (ad opera dei Vandali (429/430), in seguito alla morte di Maggioriano (461) si

dissolvevano Gallia (a vantaggio di Visigoti e Burgundi) e Penisola Iberica (oramai quasi tutta

Visigota).

Ultime Battaglie In Britannia (Inizi V Secolo) (Legio II Britannica – ROMARS)

[riel. Foto di Raffaele Caruso]

Anche l’esercito praesentalis (ossia al diretto comando del Magister e dell’Imperatore) era

ormai un’armata formata da truppe di origine straniera, impiegata sostanzialmente alla difesa della

sola Italia e di qualche altro territorio (Norico, Illiria, ecc.) ossia ciò che restava dell’Impero di

Occidente.

Dopo il 476 con la deposizione di Romolo Augusto e il passaggio di potere ad Odoacre, i

resti delle truppe romane non si dissolsero immediatamente ma rimasero in azione sparse sul

territorio, spesso in contingenti isolati e senza più alcun riferimento in termini di ordini, paghe e

altro che doveva provenire a livello centrale.

Scrive Eugippio (Vita di San Severino) «…. Quando l’impero romano era ancora in vita, i

soldati erano mantenuti col denaro pubblico in molte città per la difesa dei confini, ma con la fine

di quel sistema le unità militari furono eliminate in un solo tempo con i confini.». In sostanza, è

verosimile pensare che i soldati romani si trasformarono in una sorta di milizia gestita da

un’autorità locale (potente latifondista, vescovo, ecc.) . Eugippio ci parla di un tribuno nell’area del

Norico (tra il 468/476) che deve gestire la situazione con pochi effettivi e di un piccolo

distaccamento che si muove verso l’Italia per reclamare gli arretrati e viene sterminato

probabilmente da una banda di Rugi. Probabilmente questa è la situazione che dobbiamo

immaginare negli ultimi caotici anni dell’Impero occidentale. Pochi contingenti isolati, senza più

alcuna disposizione dal potere centrale orami in dissoluzione,.

Testimonianza di questo scenario è Procopio (Le guerre Gotiche I,12) che – nel VI secolo –

descrive una situazione in cui «… i soldati romani che erano stati posti di presidio nella Gallia

estrema, che non avendo modo di tornare a Roma, né volendo passare ai loro nemici che erano

Ariani, cedettero se stessi, con le loro insegne e il territorio che difendevano, agli Arborichi e ai

Germani; trasmettendo ogni tradizione ai loro posteri, conservarono i costumi patrii, che sono

tuttora rispettati, poiché ancora si distinguono a seconda delle legioni nelle quali militavano

anticamente e vanno in battaglia preceduti dalle proprie insegne, osservano costantemente le leggi

patrie; mantengono la foggia romana anche nei calzari e in ogni altra parte …»

[continua]

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DALLA VILLA AL CASTELLO

Nel periodo imperiale, a partire dal turbolento III secolo per finire al famigerato tardo impero, la

necessità di difesa in profondità dalle incursioni nemiche costrinse a modificare sostanzialmente

l’architettura e l’urbanistica delle città e delle ville romane. Da un interessante lavoro di Flavio

Russo (Usus Equorum) queste immagini mostrano come una villa romana del primo periodo

imperiale si sia modificata sino a diventare un sorta di proto-castello.

I-II secolo A.D. Ricostruzione grafica

della villa rustica romana tipo, ampiamente aperta sulla campagna circostante

metà III secolo A.D.Ricostruzione grafica

della villa rustica romana tipo, con la chiusura della corte

IV-V secolo Ricostruzione grafica della villa

romana tipo, quando ha ormai assunto la sua connotazione di proto castello (sia pure civile)

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SCHERMA CON LA DAGA (3a parte) Gli autori Antichi ci danno un’idea di come poteva svolgersi un combattimento con questa arma bianca. In

particolare, Tacito (De Vita et Moribus Iulii Agricolae, XXXVI e XXXVII, I), in merito agli scontri tra le popolazioni della

Britannia e i legionari romani, dice che «… al primo scontro si combatté da lontano, mentre i Britanni con calma e

insieme con perizia, deviavano le nostre armi da getto con le loro lunghe spade o le evitavano con i loro piccoli scudi

di cuoio. Essi, poi, coprivano i nostri con una pioggia di dardi, finché Agricola ordina a quattro coorti di Batavi e a

due di Tungri di iniziare la battaglia a corpo a corpo con le spade, poiché essi, per la lunga pratica delle armi, erano

esperti di tal modo di combattere, mentre i nemici, che avevano piccoli scudi ed enormi spade, non erano in

condizione di sostenere tale assalto. Le spade dei Britanni erano, infatti, senza punta e non permettevano di

incrociare le armi e di combattere in uno spazio ristretto.»

Quindi, spazi ristretti, distanze ridotte come nel combattimento corpo a corpo rendono inutili armi lunghe,

pesanti e poco maneggevoli. L’assenza di un adeguato spazio per manovrare spade o armi lunghe vanificano gli

assalti dei guerrieri britanni e celti ma non quelli dei legionari dotati di armi più corte come il gladio e soprattutto

il pugio. Difatti, scrive Vegezio «… i Romani non solo vinsero coloro i quali combattevano di taglio, ma se ne fecero

anche beffa. Infatti i colpi di taglio, con qualsiasi forza vengano scagliati, raramente sono mortali, visto che gli

organi vitali restano protetti dall’armatura e dalle ossa; invece, un colpo di punta che penetra per due pollici [circa

3,70 cm. NdA] è mortale: in effetti per uccidere è necessario che qualsiasi cosa venga conficcata nel corpo penetri gli

organi vitali. Inoltre mentre si colpisce di taglio, il braccio e il fianco destri restano scoperti; mentre il colpo di

punta è inferto a corpo protetto e il nemico viene ferito prima che se ne accorga.»

In definitiva, il pugio o la daga (e le armi similari)è da ritenersi non un’arma di riserva al gladio o alla

spatha quanto piuttosto un’arma complementare a queste, essendo fondamentale il suo utilizzo in scontri così

serrati e in spazi ridotti da far risultare armi lunghe troppo ingombranti e poco manovrabili.

Anche il “Military Art of Training” (1622), con riferimento al coltellus, una specie di daga larga utilizzata

dal XI al XVI secolo, «stabilisce che il pugnale ha il maggior vantaggio sulla spada nel combattimento serrato ….»

(Continua)

NUMERI DISPONIBILI 5) LE COORTI URBANE 7) BURGH CASTLE 8) IL PERIODO ROMULEO 10) ZENOBIA, REGINA DI PALMIRA 11) 284-395, IL PRIMO TARDO IMPERO 12) IL PRETORIANO DI CRISTO 13) MAGNVS MAXIMVS 14) IL GIORNO DELL’ALLIA 15) I MISTERIOSI ARCANI 16) LA VIA DEL TRIONFO 17) L’ASSEDIO DI MASADA 18) DE REDITV SVO 19) I DUE VOLTI DELL’IMPERO ROMANO 20) L’ETRUSCO UCCIDE ANCORA 21) TERRA DESOLATA 22) SEGNALI DI FUOCO

23) CORNELIO IL CENTURIONE 24) LA BATTAGLIA DELL’ALLELUJA 25)395-476, IL SECONDO TARDO IMPERO 26) LE CARCERI DELL’ORRORE 27) TARRACINAE, OBSEDIT! 28)MEDIO IMPERO ROMANO 29)INDAGINE SU UN SOLDATO ROMANO DEL TERZO SECOLO 30)SOTTO PONZIO PILATO 31)UTUS 32) RIVOLTA NELL’URBE 33) TORTURA! 34)IL TRAMONTO DEGLI DEI 35)ULTIMI GIORNI AD OCCIDENTE 36)ESERCITI DI ROMA NEL QUINTO SECOLO 37)LONTANO OVEST ROMANO

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