Il graffio - PRESILA.INFO fileDe Magistris, almeno ha mostrato una ... una campagna elettorale nella...

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Pare che Giuseppe Scopelliti, già da tempo candidato del Pdl, fin dal primo momento della sua investitura a futuro presidente della Giunta regionale cala- brese, si sia augurato che il suo antago- nista fosse Agazio Loiero, dal quale non lo separano - così Scopelliti affer- ma- “solo 50 centimetri di altezza”, ma molto di più in quanto a capacità realiz- zative e di governo. Di Pippo Callipo è data per scontata la sua affermazione elettorale nei setto- ri giustizialisti calabresi e in quella cosiddetta “società civile”(come se la restante parte fosse “incivile”). Ma que- sti sono i misteri lessicali della politica di questo periodo di attesa dell’avvento della vera seconda Repubblica che tarda ancora a realizzarsi. De Magistris, almeno ha mostrato una sua coerenza nel pretendere che un accordo col centrosinistra presuppones- se la esclusione di Loiero, da lui inda- gato quando era pubblico ministero a Catanzaro. Il Pd, comunque, sta facendo di tutto per assecondare il desiderio e l’obietti- vo di vittoria di Scopelliti. Ma, fuor di metafora, l’immagine che il centrosini- stra calabrese offre agli elettori non è delle più splendide. Dubitiamo a questo punto che anche un improbabilissmo accordo con IdV possa fare il miracolo di un successo elettorale, come ipotizzava alcuni gior- ni fa un sondaggio pubblicato sul Quo- tidiano della Calabria. Il Pd ha dato l’immagine di un partito condizionato e succube della nomencla- tura abituale e dei suoi accordi più o meno sotterranei, ma soprattutto di un partito condizionato dai “cacicchi” che attraverso il potere istituzionale credo- no (e forse, purtroppo, a ragione) di poter manipolare il consenso elettorale. Ma, a parte tutto il groviglio degli accordi e disaccordi, delle furbizie e delle false disponibilità democratiche, ci saranno le solite “primarie”, questa panacea inventata per far apparire la scelta degli apparati come scelta della società (sempre etichettata come “civi- le”), della quale poi far bella mostra in una campagna elettorale nella quale ai calabresi sarà presentata comunque una classe politica che con caparbietà cerca solo di autoconservarsi ed eternizzarsi. Tutto questo in una regione che dav- vero dovrebbe essere rivoltata come un calzino. E’ vero onorevole Minniti? *** Ma io vi dico ... di F. Valente Il Comune unico: scelta obbligata? Intervista (immaginaria) a Enrico Berlinguer di Fiorenzo Pantusa Il presepe di Pedace di A. Valente di Mario Iazzolino Cultura e spettacolo - - CS/129 C'è una sorta di peccato origi- nale dal quale il Pd calabrese non si è saputo o voluto emenda- re: l'aver consentito che un pre- sidente di giunta regionale si costituisse un personale partito nel partito, ossia nel Pd. Quello che oggi viene definito, anche all'interno del partito di Bersa- ni, come "loierismo" non è altro che una degenerazione organiz- zativa di un partito che non rie- sce a darsi una sua identità organizzativa che prescinda dal leaderismo, da una consolidata oligarchia e dalle clientele che si possono ampliare intorno ai "cacicchi". La vittoria clamorosa, per la sua altissima percentuale di con- sensi, alla mozione Bersani in Calabria, la più consistente nel complesso nazionale, è forte- mente condizionata nella sua eventuale carica innovativa (ancora tutta da verificare) da queste forme di aggregati di potere che soprattutto nel Sud hanno una culturale e storica valenza negativa. In fondo è proprio questa ingombrante presenza del presi- dente-leader politico che condi- ziona le scelte del Pd che, soprattutto in quest'ultimo periodo preelettorale ha dato di se l'immagine di un partito allo sbaraglio e di un suo gruppo dirigente senza bussola, senza SEGUE A PAGINA 2 “La crisi, se mai c’è stata, è passata e noi, col nostro agire sereno e sempre improntato all’ottimismo, l’abbiamo fatta passare senza farla pesare agli italiani”. Indovinate chi l’ha detto. Bravi. Silvio Berlusconi. “Non possiamo abbassare le tasse perché la crisi è ancora troppo pre- sente e non ci permette di farlo”. Chi l’ha detto? Ma siete bravissimi, sempre Silvio Berlusconi. Lui non è un premier, è la contraddizione che cammina su ingannevoli tacchi. Non è un politico che lavora per il bene del paese, ma un una smentita che si muove sotto un parrucchino postic- cio. Ma che ci volete fare, lui è così. Dopo il vile agguato a Milano dav- vero credevamo (e speravamo) che la sua visione del mondo potesse cambiare e invece eccolo di nuovo lì a sputare sentenze, a sottrarsi ai processi, a scegliersi gli avversari. Dal lettino di ospedale aveva auspi- cato che il folle gesto di Tartaglia (che va condannato in ogni suo aspet- to) riportasse serenità e rasserenasse il clima. Manco fosse Giuliacci. Non appena rimessosi in piedi e dopo aver rincuorati gli stravolti Bondi, Bonaiuti, Capezzone e Cicchitto accorsi al suo capezzale, eccolo tuonare nuovamente contro la magistratura e definire “un plotone di esecuzio- ne” qualsiasi tribunale che dovesse un giorno (ma succederà mai?) sot- toporlo a giudizio. Ma che ci volete fare, lui è così. Lui ama recarsi nelle scuole dell’Abruzzo e scherzare con i bambini riuscendo ad inventarsi una bugia anche in occasioni come queste: infatti ha detto che dieci mani contengono cento dita. Forse intendeva quelle mani che non erano “pulite” e che lo hanno spinto a ricordare in un silenzio vergognoso in quanto nascosto dietro l’alibi della possibile strumentalizzazione, il suo grande amico Bettino Craxi. Ma questo fatto quanti telegiornali che sono una vergogna dei nostri tempi, lo hanno raccontato? Ma che ci volete fare, lui è così. E sta facendo diventare così anche tutti noi. Il graffio Fiorenzo Pantusa Il presidente Loiero ha presentato nel corso di una conferenza stampa in un noto albergo di Lamezia il consuntivo della attività della sua giunta. Un volume di 240 pagine nel quale sono illustrati i provvedimenti adottati per risollevare le sorti di questa nostra sfortunata regione. In 240 pagine, certo, se ne scrivono di realizzazioni! Eppure, noi come la maggioranza dei calabresi, per non dire tutti, non ci siamo accorti di tanto dinamismo. Ma forse ci è capitato di stare con la testa tra le nuvole? Peccato originale dei democratici calabresi Dopo le decisioni sulla scelta del canditato alla presidenza Giunta regionale Giuseppe Scopelliti (PdL) Agazio Loiero (Pd) Pippo Callipo (IdV, radicali e civiche)

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Pare che Giuseppe Scopelliti, già datempo candidato del Pdl, fin dal primomomento della sua investitura a futuropresidente della Giunta regionale cala-brese, si sia augurato che il suo antago-nista fosse Agazio Loiero, dal qualenon lo separano - così Scopelliti affer-ma- “solo 50 centimetri di altezza”, mamolto di più in quanto a capacità realiz-zative e di governo.

Di Pippo Callipo è data per scontatala sua affermazione elettorale nei setto-ri giustizialisti calabresi e in quellacosiddetta “società civile”(come se larestante parte fosse “incivile”). Ma que-sti sono i misteri lessicali della politicadi questo periodo di attesa dell’avventodella vera seconda Repubblica chetarda ancora a realizzarsi.

De Magistris, almeno ha mostrato unasua coerenza nel pretendere che unaccordo col centrosinistra presuppones-se la esclusione di Loiero, da lui inda-gato quando era pubblico ministero aCatanzaro.

Il Pd, comunque, sta facendo di tuttoper assecondare il desiderio e l’obietti-vo di vittoria di Scopelliti. Ma, fuor dimetafora, l’immagine che il centrosini-stra calabrese offre agli elettori non èdelle più splendide.

Dubitiamo a questo punto che ancheun improbabilissmo accordo con IdVpossa fare il miracolo di un successoelettorale, come ipotizzava alcuni gior-ni fa un sondaggio pubblicato sul Quo-tidiano della Calabria.

Il Pd ha dato l’immagine di un partitocondizionato e succube della nomencla-tura abituale e dei suoi accordi più omeno sotterranei, ma soprattutto di unpartito condizionato dai “cacicchi” cheattraverso il potere istituzionale credo-

no (e forse, purtroppo, a ragione) dipoter manipolare il consenso elettorale.

Ma, a parte tutto il groviglio degliaccordi e disaccordi, delle furbizie edelle false disponibilità democratiche,ci saranno le solite “primarie”, questapanacea inventata per far apparire lascelta degli apparati come scelta dellasocietà (sempre etichettata come “civi-le”), della quale poi far bella mostra inuna campagna elettorale nella quale aicalabresi sarà presentata comunque unaclasse politica che con caparbietà cercasolo di autoconservarsi ed eternizzarsi.

Tutto questo in una regione che dav-vero dovrebbe essere rivoltata come uncalzino. E’ vero onorevole Minniti?

***

Ma io vi dico ...di F. ValenteIl Comune unico: sceltaobbligata?Intervista (immaginaria) aEnrico Berlinguerdi Fiorenzo PantusaIl presepe di Pedace di A. Valente

di Mario Iazzolino

Cultura e spettacolo

- - CS/129

C'è una sorta di peccato origi-nale dal quale il Pd calabresenon si è saputo o voluto emenda-re: l'aver consentito che un pre-sidente di giunta regionale sicostituisse un personale partitonel partito, ossia nel Pd. Quelloche oggi viene definito, ancheall'interno del partito di Bersa-ni, come "loierismo" non è altroche una degenerazione organiz-zativa di un partito che non rie-sce a darsi una sua identitàorganizzativa che prescinda dalleaderismo, da una consolidataoligarchia e dalle clientele che sipossono ampliare intorno ai"cacicchi".

La vittoria clamorosa, per lasua altissima percentuale di con-sensi, alla mozione Bersani inCalabria, la più consistente nelcomplesso nazionale, è forte-mente condizionata nella suaeventuale carica innovativa(ancora tutta da verificare) daqueste forme di aggregati dipotere che soprattutto nel Sudhanno una culturale e storicavalenza negativa.

In fondo è proprio questaingombrante presenza del presi-dente-leader politico che condi-ziona le scelte del Pd che,soprattutto in quest'ultimoperiodo preelettorale ha dato dise l'immagine di un partito allosbaraglio e di un suo gruppodirigente senza bussola, senza

SEGUE A PAGINA 2

“La crisi, se mai c’è stata, è passata e noi, col nostro agire sereno esempre improntato all’ottimismo, l’abbiamo fatta passare senza farlapesare agli italiani”. Indovinate chi l’ha detto. Bravi. Silvio Berlusconi.“Non possiamo abbassare le tasse perché la crisi è ancora troppo pre-sente e non ci permette di farlo”. Chi l’ha detto? Ma siete bravissimi,sempre Silvio Berlusconi. Lui non è un premier, è la contraddizione checammina su ingannevoli tacchi. Non è un politico che lavora per il benedel paese, ma un una smentita che si muove sotto un parrucchino postic-cio. Ma che ci volete fare, lui è così. Dopo il vile agguato a Milano dav-vero credevamo (e speravamo) che la sua visione del mondo potessecambiare e invece eccolo di nuovo lì a sputare sentenze, a sottrarsi aiprocessi, a scegliersi gli avversari. Dal lettino di ospedale aveva auspi-cato che il folle gesto di Tartaglia (che va condannato in ogni suo aspet-to) riportasse serenità e rasserenasse il clima. Manco fosse Giuliacci.Non appena rimessosi in piedi e dopo aver rincuorati gli stravolti Bondi,Bonaiuti, Capezzone e Cicchitto accorsi al suo capezzale, eccolo tuonarenuovamente contro la magistratura e definire “un plotone di esecuzio-ne” qualsiasi tribunale che dovesse un giorno (ma succederà mai?) sot-toporlo a giudizio. Ma che ci volete fare, lui è così. Lui ama recarsi nellescuole dell’Abruzzo e scherzare con i bambini riuscendo ad inventarsiuna bugia anche in occasioni come queste: infatti ha detto che diecimani contengono cento dita. Forse intendeva quelle mani che non erano“pulite” e che lo hanno spinto a ricordare in un silenzio vergognoso inquanto nascosto dietro l’alibi della possibile strumentalizzazione, il suogrande amico Bettino Craxi. Ma questo fatto quanti telegiornali chesono una vergogna dei nostri tempi, lo hanno raccontato? Ma che civolete fare, lui è così. E sta facendo diventare così anche tutti noi.

Il graffioFiorenzo Pantusa

Il presidente Loiero ha presentatonel corso di una conferenza stampa in un noto albergo di Lamezia il consuntivo

della attività della sua giunta.Un volume di 240 pagine nel

quale sono illustrati i provvedimenti adottati per risollevare le sorti di questa nostra sfortunata regione.

In 240 pagine, certo, se ne scrivono di realizzazioni!

Eppure, noi come la maggioranzadei calabresi, per non dire tutti,

non ci siamo accorti di tanto dinamismo.

Ma forse ci è capitato di stare con la testa tra le nuvole?

Peccato originaledei democratici

calabresi

Dopo le decisioni sulla scelta del canditato alla presidenza Giunta regionale

Giuseppe Scopelliti (PdL) Agazio Loiero (Pd) Pippo Callipo (IdV, radicali e civiche)

Quando il 10 settembre 2003veniva ufficialmente sancita lanascita dell’Unione della Presilaforse non erano in tantissimi acrederci veramente. Le firme deisindaci di allora apposte in calceall’atto costitutivo (pomposamen-te definito Magna Carta della Pre-sila) redatto dal notaio De Santissembrava (e davvero poteva esse-re) l’ufficializzazione dell’ennesi-mo carrozzone burocratico fattonascere per accontentare qualchepolitico di secondo piano e percreare nuovi posti di sottogovernodi cui forse nessuno, se non idiretti interessati, sentivano ilbisogno.

E invece non è andata così: dopoqualche tempo di forzato rodag-gio, con incomprensioni di varianatura e con le dimissioni deiprimi due presidenti, vale a direLuca Mendicelli e Pietro Lecce,l’arrivo del sindaco di Serra Peda-ce Leo Franco Rizzuti e della suagiunta, ha dato una svolta alla vitapolit ica ed amministrativa delnuovo ente ed i risultati concretisono finalmente sotto gli occhi ditutti. Una volta tanto (e credetecidavvero non ci capita spesso) citocca segnalare un elemento di

buona politica in una terra cheinvece non avrebbe bisogno dialtro.

“L’unione dei Comuni” ci diceil presidente Rizzuti “nascedall’esigenza di unificare eduniformare alcuni servizi inmodo da ottenere, all’interno delcomprensorio dei paesi consocia-ti, una qualità della vita migliorecercando di soddisfare i bisognisia del singolo cittadino che quel-lo della comunità”. I comuni inte-ressati sono quelli di Casole Bru-zio, Spezzano Sila, Celico, Peda-ce, Trenta, Spezzano Piccolo eSerra Pedace, vale a dire granparte della pre sila e moltodell’altopiano silano. Un territo-rio molto vasto abitato da circa20 mila persone che vuole usciredal proprio guscio senza perderequelle che sono le proprie storie ele proprie caratteristiche. Un ter-ritorio che vuole cominciare adincidere sul proprio futuro e nonpiù disposto a subire passivamen-te decisioni che vengono calatesenza ascoltare il suo parere. Nonuna scissione, ma il suo contrarioe cioè quella di unire più voci che

linea politica e senza una cre-dibile prospettiva, ma deditosolo alla ricerca di una possibi-le vittoria elettorale purches-sia.

Strategia del tutto legittimaquella di voler vincere le ele-zioni, ma parliamo appunto distrategia e non di dilettantismoquotidiano che non ha saputonemmeno avvertire una impos-sibile alleanza con l'UDC dalmomento che l'intera dirigenzacalabrese di questo partito erafermamente orientata versouna alleanza con il PdL e cheCasini, dal quale si aspettavaun improbabile miracolo, nonavrebbe sacrificato la sua clas-se dirigente calabrese per pri-vilegiare l'alleanza col Pd.

Anche l'eventualità di unacogestione della candidatura diPippo Callipo è stata orgoglio-samente accantonata, lascian-dola come strumento della pro-paganda del g iustiz ia lismocalabrese; una candidaturacon la quale, comunque, il Pddovrà fare i conti.

C'entra in tutto questo il

"loierismo", presente e ingom-brante nella politica calabrese?Si, c'entra e come! Soprattuttoperchè sul Pd ha sempre pesa-to e pesa questa ipoteca di ungovernatore che è davvero talee non presidente di una coali-zione, con assessori che, purespressioni di partiti diversi,non ci risulta abbiano maiespresso divergenze o visionidiverse di problemi e di pro-spettive. Ma forse sarà statoun caso di rara convergenza diidee e di programmi?

Non sappiamo quale sarà l'e-sito elettorale, ma se il Pd cala-brese non riuscirà a darsi unaorganizzazione partecipata elegata ai territori, dai qualiattingere indicazioni e propo-ste; se non consentirà che alsuo interno si possano organiz-zare e quasi istituzionalizzare ipiccoli partiti del presidente edegli assessori, le personaliliste provinciali e regionali ecosì via, si prospetterannotempi difficil i che nessunaboria riuscirà ad arginare.

Limiti che, purtroppo, condi-zioneranno negativamente l'in-tera politica calabrese.

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Peccato originale ...

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La corte europea di Strasburgo -per i dirittidell’uomo- ha preso la più storica -perchèiconoclastica- decisione: quella di vietarel’esposizione del Crocefisso nelle aule scola-stiche e nei luoghi pubblici: tribunali, uffici,ecc., ma non nelle navi da crociera o neglialberghi, dove non ha giurisdizione. Nem-meno Flavio Giuliano, detto l’Apostata, fucapace di tanto. Il suo si configurò come untentativo di restaurazione e di conciliazionein campo religioso e culturale, per l’opportu-nità di risanare i gravi contrasti tra ortodossie ariani, tra gli eretici e la chiesa cristiana,mediante l’appoggio alle scuole di filosofia eil favore concesso alla rinascita dello spiritoclassico e al ripristino della libertà religiosa.Ma è la solfa della libertà religiosa chemonta in superbia e stimola gli atei e gliagnostici razionalisti dei nostri tempi a cre-dere di liberarsi dalle vane superstizioni e atogliere a noi stessi i simboli della fede edella speranza. Ritengono i guru del nichili-

smo europeo di dare sostanza alla libertà e direndere omaggio all’eguaglianza, negandoquella autentica disposizione dell’animo chesi ispira alla pietà. Ritengono altresì che ilrigetto della “superstizione religiosa” con-vinca i viventi a vanificare l’attesa in unritorno di Colui che ha dato assicurazione diun risveglio nella iro questi contratti mora-limmortalità. Le cause di questa superbiaintellettuale che stabilisce di piegare -consentenza- gli animi alla assolutezza dellaragione e di negare l’aureola dei Santi o ilmartirio di croce, non vanno ricercate lonta-no.Si tratta di togliere a Dio l’autorità e il domi-nio di essere il garante del cosmo fisico el’autore dell’universo storico, come propostodagli Illuministi.Si tratta ancora di liberare gli uomini dallaidea di un governo divino del mondo, sosti-tuendo, sempre mediante una sentenza, ilcristocentrismo storico con un antropocentri-smo di fatto. Rendere l’uomo l’unico sogget-to della storia, rapresenta il fine degli aruspi-ci che perdono tempo ad esaminare le visce-re del Moloc illuministico. Ma non sonosolo le idee di personaggi confusi tra unafilosofia addormentata, senza più sogni euna scienza che non è ancora percepita nelsuo carattere universale. Sono le turbolenzedi due secoli che hanno costruito illusioni,negato la purezza dell’intuizione e ignoratola imprescindibile necessità di un interventorivelatore.All’alba del terzo millennio, nonostante le

catastrofi ideologiche che hanno segnato gliultimi secoli e la furia degli elementi naturalisul clima: i terremoti, inondazioni, radiazio-ni, ecc, non ci si è resi consapevoli che nonpossediamo un rimedio per tutto e non siamopadroni assoluti del nostro destino.Emerge, in ogni epoca storica, la superbiaintellettuale e il carattere dispotico degliuomini in generale, specie di quelli cheoccupano scanni giuridici o cattedre univer-sitarie; gli stessi che non si rendono conto dicreare inevitabili contrasti con le intempe-ranze anarchiche, appena represse dalla virtùsociale e dal sentimento morale e religioso.Poichè riteniamo di rispondere a un GiudiceSupremo che raccomanda la misericordia e il

perdono, non siamo inclini a riconoscere aquello umano la qualifica di arbitro dellenostre azioni o del nostro comportamento.Qualcosa all’interno di noi stessi consigliaperò di portare alla memoria la conoscenzadi ciò che siamo e di ciò che abbiamo fatto.Entro questi contrasti morali e culturali siprefigge di intervenire, dala profondità deisecoli, la missione di Gesù. Non avremmoconosciuto la pietà e l’amore verso le creatu-re se non ci fosse stato quell’interventosacrificale. Le grandi religioni monoteisti-che, come l’Islam e l’Ebraismo, riconosconouna divinità come Totalità che vive fuori dinoi, ed esprimono, la prima, una Fedeprofonda che raggiunge il martirio e laseconda, la speranza in una umanità pacifi-cata che riconosca nell’altro il proprio fratel-lo. Il “Criticismo” agnostico ha dato allaRagione prestigio e assolutezza, estendendola medesima alla scienza, alla storia e a tuttociò che è noto e conoscibile. Ma non ha tro-vato lo scrigno che la racchiude: se nel cuoreo nel cervello dell’uomo. Inoltre lo sforzodei Romantici si è esaurito nei sentimenti enel sogno, senza compiere il tentativo“impossibile” di capirli in qualche modo. Cisono voluti i grandi artisti del Novecento perscoprire l’irrazionale, il surreale, l’astratto egli artifici del sogno; quegli stessi che hanno

raffigurato e presentato figure umane appiat-tite e senza contorno, orologi molli chesegnano tempi anomali e visceri trasposti esistemati in strutture diverse. Tutto ciò fapensare a un universo parallelo, l’universodei sogni, dove la ragione è sconvolta, iltempo scorre veloce e lo spazio non forniscealcuna dimensione.I tentativi di trovare una spiegazione allamanifestazione di una realtà illusoria -nonrazionale- sono stati quelli rivolti alla solamaniera di interpretarla. La conclusione èche se c’è un mondo altro, privo di realtà,che la ragione non ha alcuna possibilità diavvicinare nè di spiegare. Si ritiene allorache vi siano nell’uomo dei limiti non facilida superare, ma non si esclude, da parte diillustri pensatori, il bisogno di andare oltre lastessa conoscenza razionale, per innalzarsiverso la speculazione metafisica. Ciò che erauna certezza fondata sulla scienza sperimen-tale, alimentata dal bisogno di porre alsommo del sapere la Ragione e la sua divi-

nità, è crollata, implosa su se stessa. Percio-stesso, detto senza arroganza, posso metterea punto alcune riflessioni, evitando di avven-turarmi in un discorso che attiene alla teolo-gia.Lascio agli attuali Zarathustra il primatodella perdita di senso e il disappunto di tro-vare la strada per scendere dalla montagna.In tempi più lontani, nel mezzo della storia,su una collina in fiore, sono state dette delleparole mai sentite, parole come queste:“Dà a chiunque ti chiede; e se qualcuno tiruba ciò che ti appartiene, tu non richieder-lo.” “Fate bene a quelli che vi odiano”.“Amate i vostri nemici”. “Non giudicate enon sarete giudicati”. “Non condannate enon sarete condannati”. “Perdonate e visarà perdonato”. “Date e vi sarà dato”. Eancora: “Se qualcuno ti percuote su unaguancia, porgigli anche l’altra; se qualcunoti leva il mantello, lasciagli prendere anchela tunica”.E’ questa la Parola su cui sono passati ventisecoli di storia: il Verbo. Qualcuno prenderàper sempre si di Se le nostre azioni malvage,il nostro livore, l’odio esecrabile che cirende una massa dannata.Tolti i Crocifissi dalle aule scolastiche, nes-suno parlerà più ai fanciulli, ai miti e agliumili di cuore.La storia continuerà, ma non tutti sarannotoccati dalla Grazia.

DI FRANCESCO VALENTE

Si tratta di liberare gli uominidalla idea di un governo divinodel mondo, sostituendo, sempremediante una sentenza, il cristo-centrismo storico con un antro-pocentrismo di fatto

Ciò che era una certezza fondatasulla scienza sperimentale, ali-mentata dal bisogno di porre alsommo del sapere la Ragione ela sua divinità, è crollata, implo-sa su se stessa

A proposito della sentenza della corte europea di Strasburgo sul divieto dell’esposizione del Crocefisso

Il Presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano, ha inviato allasignora Anna Craxi la seguente let-tera:

“Cara Signora,ricorre domani il decimo anniversa-

rio della morte di Bettino Craxi, e iodesidero innanzitutto esprimere a lei,ai suoi figli, ai suoi famigliari, la miavicinanza personale in un momentoche è per voi di particolare tristezza,nel ricordo di vicende conclusesi tra-gicamente.

Non dimentico il rapporto che findagli anni ‘70 ebbi con lui per il ruoloche allora svolgevo nella vita politicae parlamentare. Si trattò di un rappor-to franco e leale, nel dissenso e nelconsenso che segnavano le nostrediscussioni e le nostre relazioni anchesul piano istituzionale. E non dimenti-co quel che Bettino Craxi, giunto allaguida del Partito Socialista Italiano,rappresentò come protagonista delconfronto nella sinistra italiana edeuropea.

Ma non è su ciò che oggi posso eintendo tornare.

Per la funzione che esercito al verti-ce dello Stato, mi pongo, cara Signo-ra, dal solo punto di vista dell’interes-se delle istituzioni repubblicane, chesuggerisce di cogliere anche l’occa-sione di una ricorrenza carica - oltreche di dolorose memorie personali -di diversi e controversi significati sto-rici, per favorire una più serena e con-divisa considerazione del difficilecammino della democrazia italiananel primo cinquantennio repubblica-no.

E’ stato parte di quel camminol’esplodere della crisi del sistema deipartiti che aveva retto fino ai primianni ‘90 lo svolgimento della dialetti-ca politica e di governo nel quadrodella Costituzione. E ne è stato parteil susseguirsi, in un drammatico bien-nio, di indagini giudiziarie e di pro-cessi, che condussero, tra l’altro,all’incriminazione e ad una duplicecondanna definitiva in sede penaledell’on. Bettino Craxi, già Presidentedel Consiglio dal 1983 al 1987. Finoall’epilogo, il cui ricordo è ancoramotivo di turbamento, della malattia edella morte in so litudine, lontanodall’Italia, dell’ex Presidente del Con-siglio, dopo che egli decise di lasciareil paese mentre erano ancora in pienosvolgimento i procedimenti giudiziarinei suoi confronti. Si è trattato - credodi dover dire - di aspetti tragici dellastoria politica e istituzionale dellanostra Repubblica, che impongonoricostruzioni non sommarie e unilate-rali di almeno un quindicennio di vitapubblica italiana.

Non può dunque venir sacrificata alsolo discorso sulle responsabilitàdell’on. Craxi sanzionate per via giu-diziaria la considerazione complessi-va della sua figura di leader politico, edi uomo di governo impegnato nellaguida dell’Esecutivo e nella rappre-sentanza dell’Italia sul terreno dellerelazioni internazionali. Il nostroStato democratico non può consentirsidistorsioni e rimozioni del genere.

Considero perciò positivo il fattoche da diversi anni attraverso impor-

tanti dibattiti, convegni di studio epubblicazioni, si siano affrontate,tracciando il bilancio dell’opera diCraxi, non solo le tematiche di carat-tere più strettamente politico, relativealle strategie della sinistra, alle dina-miche dei rapporti tra i partiti maggio-ri e alle prospettive di governo, maanche le tematiche relative agli indi-rizzi dell’attività di Craxi Presidentedel Consiglio. Di tale attività mi limi-to a considerare solo un aspetto, permettere in evidenza come sia daacquisire al patrimonio della colloca-zione e funzione internazionaledell’Italia la conduzione della politicaestera ed europea del governo Craxi:perché ne venne un apporto inconte-stabile ai fini di una visione e diun’azione che possano risultare larga-mente condivise nel Parlamento e nelpaese proiettandosi nel mondo d’oggi,pur tanto mutato rispetto a quello dialcuni decenni fa.

Le scelte di governo compiute neglianni 1983-87 videro un rinnovato,deciso ancoraggio dell’Italia al campooccidentale e atlantico, anche di fron-te alle sfide del blocco sovietico sulterreno della corsa agli armamenti ; evidero nello stesso tempo un atteggia-

Appello ai segretarinazionali dei partiti

politiciLa Calabria non ha bisogno di

eventi celebrativi per combatterele mafie, ma di scelte politichecoerenti con il propalato impegnocontro la criminalità organizzata eil sistema politico - mafioso -clientelare che ne uccide la libertà,la dignità e il futuro.

Non possiamo e non vogliamorischiare, dopo le ultime due espe-rienze di governo regionale, diavere, per la terza volta, il consi-glio regionale più inquisito d’Ita-lia.

Non vogliamo rischiare che leintimidazioni mafiose degli ultimigiorni fiacchino la reazione deicittadini e delle forze sane dellapolitica.

per questi motivi:

chiediamo a tu tti i segretarinazionali dei partiti politici che sifacciano garanti delle candidaturepresentate in Calabria ed abbianoil coraggio di rifiutare senza com-promessi il ricatto di potere deicacicchi locali, i pacchetti di voticlientelari e opachi, le candidaturedi chiunque non garantisca la piùtotale estraneità a tale sistema.

Prima di chiedere ai calabresi difarsi eroi, rifiutando di votare chi,sotto minaccia della privazionedei loro diritti trasformati in pia-ceri, gli estorce il voto, dimostratevoi di avere il coraggio di rifiutarequei voti e quelle candidature.

Il voto clientelare è un votoschiavo, spesso è un voto mafioso,in nessun caso è un voto legittimo,poiché perpetua un potere nudo eantidemocratico di cui non si puòe non si deve essere silenziosi cor-responsabili o peggio, ipocriticonniventi.

Chiediamo ai segretari nazionalidei partiti politici che abbiano ilcoraggio di sostituire una classedirigente che ha ampiamentedimostrato di non sapere, o nonvoler risolvere, i problemi del sud,con una nuova generazione diuomini e donne onesti e capaci,con i tanti talenti che certa politicaha volutamente emarginato, con itanti brillanti e liberi giovani cala-bresi che, per non piegarsi al ricat-to del lavoro offerto in cambio delconsenso elettorale a vita, sonostati costretti ad abbandonare laloro terra per fare ricche altre

regioni e altre realtà.

E’ in atto un grande risvegliocivile e politico in Calabria: tanticalabresi chiedono una svolta,vogliono cambiare una volta pertutte il destino della propria terra edei propri figli, vogliono dire ‘no’alle mafie e alla peggiore politica.

Abbiate il coraggio di sostenerequesta battaglia di liberazionedemocratica offrendo loro candi-dati che possano essere orgogliosidi votare, candidati capaci di per-seguire quello sviluppo promessoe mai realizzato, perché non è sulbisogno e sulla soggezione chefondano il loro consenso elettora-le.

L’appello si può firmare su que-sto sito:

http://www.firmiamo.it/appelloai-segretarinazionalideipartitipolitici

Anna Falcone

Un appello di Anna Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia nella strage di Capaci

Ha misu assieme comunisti e democristiani

e re nata na marmaglia senzannè capu e nnè cura.

De Gasperi e Berlinguer ssuluntani

e lla sinistra italiana è rimastaculinura.

Mo puru ppe fare a ministrae esere bella, bona e na picca

veline.Potìa bincere mai a sinistraculla Bindi e la Turcu chi

paranu rue mericine?

Piccoli scketchdi Fiorenzo Pantusa

“Chiediamo a tutti isegretari nazionali deipartiti politici che sifacciano garanti dellecandidature presentatein Calabria ed abbianoil coraggio di rifiutaresenza compromessi ilricatto di potere deicacicchi locali, i pac-chetti di voti clientelarie opachi, le candidatu-re di chiunque nongarantisca la più totaleestraneità a tale siste-ma”

Craxi con Napolitano

SEGUE IN ULTIMA PAGINA

DI FRANCO ASTENGO

Si è accennato anche al ruolo delpartito sul piano teorico, qualestruttura organizzativa e funzionedi integrazione di massa: ed è suquesto punto che vorrei soffermar-mi, accennando ad una tematicache ritengo molto importante nonsolo da ricordare per una correttaricostruzione del passato, maanche in funzione di una possibileriflessione per il presente.Il partito ad integrazione di massa,nella accezione specifica realizzataconcretamente dal PCI per unperiodo non breve della storiad’Italia (si è discusso a lungo tra“socialdemocrazia” e “espressionedel sistema sovietico”: andrebbericordato anche lo “strano anima-le” identificato nella giraffa) edoriginalmente inseritosi nellarealtà della sinistra europeadell’epoca, ha svolto una funzionefondamentale dal punto di vistapedagogico.

Non si tratta, qui, di richiamaresemplicemente il lavoro dei grandicentri studi (CRS, CESPE, CESPI)e le scuole di partito, all’internodelle quali la funzione pedagogicaera esercitata con grande rigore equalità (Frattocchie, inprimis, ma anche Albi-nea, Faggeto Lario, ecc)ma soprattutto di pensarealla funzione di “alfabe-tizzazione di massa” cheil partito aveva svolto,non soltanto al riguardodella “identificazionepolitica” ma, più com-plessivamente rispettoalla cultura nel suo insie-me, agli aspetti storici,filosofici, letterari, arti-stici.

Non si accenna qui alruolo degli intellettualima, piuttosto, a quello della classeoperaia: laddove, ad esempio (unesempio che svolgiamo soltantoper circoscrivere il nostro discor-so) la classe operaia appariva dav-vero “forte, stabile e concentrata”la penetrazione del partito non silimitava ad essere semplicementeideologico - organizzativa; la fre-quentazione della sue sedi, le sca-denze di incontro, di discussione,anche la ritualità stessa del suoconcreto agire politico aveva,senza dubbio, fornito la realtà diun “partito pesante” ma anche diuna comunità “pensante”, di unagire collettivo rispetto a temi fon-damentali della vita civile associa-ta.

La tensione culturale della basecomunista ( soddisfatta anche dauna produzione imponente dalpunto di vista editoriale: collane,riviste, ecc) risultava essere unatensione complessiva: non solo

finalizzata strumentalmenteall’agire politico.

Si trattava di una tensione di“crescita” verso una dimensioneetica, sicuramente molto “inclu-dente” se non totalizzante (su que-sto ci sarebbe da analizzare ancoraadesso con attenzione), ma capacedi fornire ai singoli e al collettivoun bagaglio tale che, alla fine,consentiva all’universo comunistadi esprimere sul serio una dimen-sione da “intellettuale collettivo”.Certo, esistevano limiti importantiin questa azione: limiti evidenzia-tisi poi nel momento dell’esplosio-ne della modernità e del supera-mento - oggettivo - di una “dimen-sione di classe” che faceva faticaad accettare e comprendere nuovivalori, di quelli del tipo definito“post- materialista”.

Era quella però la vera forza delpartito, unita a quella di una gran-de qualità intellettuale complessi-va del gruppo dirigente: una forza,quella dell’intellettuale collettivo,che ha permesso di costruire ancheuna rete di “intellettualità diffusa”che si esprimeva a livello di quadriintermedi, essenzialmente nelle

Federazioni che rappresentavanoun cuore pulsante.

L’alto livello culturale e politicodei quadri intermedi rappresentavail terzo punto su cui poggiava lastruttura complessiva del PCI(gruppo dirigente, quadri interme-di appunto, e base in grado diesprimere “intellettualità diffusa”)secondo lo schema poi raccolto daMaurice Duverger negli anni’50.

Dunque, tra limiti, errori, inter-rogativi (si è discusso a lungo suquando questa storia sia finita dav-vero: ci permettiamo un accennointerpretativo, sotto questo aspetto.Forse quando l’intreccio tra questetre realtà è finito ed il “quadrointermedio” ha pensato che fosse ilmomento di liberarsi del “fardel-lo” lavorando all’obiettivo del“liberi tutti”, dello “sblocco delsistema politico, nel momento incui appariva possibile vivere “di

politica” e non più “per la politi-ca”).

Oggi, imperversante la persona-lizzazione, mentre si parla di “Ber-lusconi rosso” e si esalta il dialogo

diretto tra il capo e lemasse quale sintomo dicorretta interpretazionedella modernità (senzaalcuna accenno aglianni’20 e ‘30 del XXsecolo) potrà appariredel tutto inutile rievo-care i temi che abbiamocercato di riprendere inquesto intervento.

La pensiamo esatta-mente al contrario: rie-vocare i tratti salientidell’originalità specifi-ca rappresentata dalPCI proprio nel suo

essere “partito di massa” ( com-prensivo al suo interno, ovviamen-te, di una applicazione molto rigi-da della “teoria dell’elite”, daWeber a Michels, da Mosca aPareto) significa compiere assiemeuna operazione controcorrente sulpiano storiografico, ma anche por-tare avanti una iniziativa politica.

La sinistra italiana appare deltutto squassata da una crisi vertica-le, senza precedenti, che potrebbeportarla alla definitiva estinzione:ai suoi gruppi dirigenti, a quel chene rimane, a chi ancora è presentesul territorio vale forse la pena dichiedere ancora di riflettere suquesti argomenti e, prima di azzuf-farsi sulle liste elettorali e sui postidi potere, andare (come è statodetto nel corso del seminario cita-to) ai fondamenti di quella che èstata una forte cultura di sinistra.

Palmiro Togliatti

Storia del Pci. Funzione pedagogica e di intellettuale collettivo VIA (da)

CRAXIL’Italia è un paese veramente straordi-

nario. Crediamo che se rivoltassimo ilmondo intero come un calzino, davverofaremmo fatica a trovarne uno non dicouguale, ma nemmeno simile. Ditemi voiin quale angolo del globo terracqueo adun governante (sia esso un sindaco, unpremier, un assessore, un ministro o unsemplice consigliere della più sperdutacomunità montana) verrebbe in mente diintitolare una strada, una piazza, unvicolo, una scalinata o un pianerottolo adun uomo che per sfuggire alle leggi delsuo paese si è inventato una latitanza cheancora oggi dovrebbe far diventare violadalla rabbia e che invece viene fatta abil-mente passare come un esilio o, peggioancora, come un’ingiustizia. Da noi suc-cede vergognosamente tutto questo. Danoi Bettino Craxi, a dieci anni dalla suamorte, viene riabilitato e definito ungrande statista. La tv ne celebra i fasti, igiornali ne tracciano biografie edulcora-te, i figli si atteggiano a depositari diun’eredità di saggezza che non si trova innatura. Il tutto con l’avallo nemmenotanto discreto di un governo che indub-biamente a quell’uomo preso a monetinedinanzi al Rafael di Roma da un popoloincazzato e forse con poca memoria, devemolto se non tutto. Tre ministri attual-mente in carica, con tutti i problemi cheabbiamo in questo momento, hanno tro-vato il tempo di andare a commuoversiad Hammameth in occasione del decimoanniversario della morte dell’indimenti-cato cinghialone socialista. Il sindacoMilano, tale Letizia Moratti, che passeràalla storia più per le sue acconciature eper i suoi improbabili tailleur che per lesue capacità politiche, ha lanciato l’ideadi intitolare una strada della capitalelombarda all’ex leader socialista. Unavergogna. Un uomo che da presidente delconsiglio aveva elevato a sistema l’interomovimento tangentizio della PrimaRepubblica, un uomo che aveva trasfor-mato il partito di Pertini e Turati in uncovo di arricchiti e di condannati, unuomo diventato così potente da annullaretutto il resto, adesso viene fatto passareper un eroe, un perseguitato, un simbolodi un’ingiustizia che abbatte i colpevolisolo per motivi politici. E’ pazzesco. Ria-bilitando la figura di Craxi, si penalizzal’onestà degli italiani, la loro voglia dicrederci ancora.. Riabilitando Craxi sidarebbe modo a chi oggi nella politicaopera principalmente per fatti propri, dicostruirsi un alibi psicologico. Riabili-tando Craxi si negherebbe che siamostati governati da ladri e corrotti, chegran parte della classe politica di oggiarrivi da quel filone fatto di mazzette efavoritismi. Se davvero si vuole ricordareCraxi allora si vada a rileggere la storia,a vedere i filmati dei suoi processi, a stu-diare le sentenze di condanne che loriguardano. E se proprio vogliamo intito-largli qualcosa allora cerchiamo di esse-re coerenti e diamo il suo nome a l’unicacosa che ce lo possa ricordare: una TAN-GENziale. E concedetemi l’orribile battu-ta.

FIORENZO PANTUSA

Sono state molte ed articolate le argomenta-zioni espresse da intellettuali e dirigenti diprimissimo piano che hanno appartenutoalla storia del PCI, intervenuti nel corso delseminario svoltosi qualche giorno fa a Romaintorno ai temi proposti dal libro di LucioMagri “Il Sarto di Ulm: per una possibilestoria del PCI” (Tronti, Rossanda, Reichlin,Macaluso, Tortorella, lo stesso Magri)

Controcorrente

Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984

Perché sei andato via?

- Forse perché il mondostava cambiando e la direzione chestava prendendo davvero non mipiaceva e non mi apparteneva. Iovenivo da un mondo diverso, fattodi sacrifici, di sguardi, di silenzi. Diidee. Nel 1984, l’anno in cui hotolto il disturbo, tutto questo stavaperdendo valore per essere sostitui-to dai clamori, dalle omologazioni,dal pressappochismo. Per me, perquello che pensavo, davvero nonc’era più spazio.

Oggi quale sarebbe il tuoposto?

- Oggi non ci sarebbeposto per me. Non lo dico per pre-sunzione, ma oggi faticherebbero atrovare posto in molti della miagenerazione. Una generazione cheha fatto l’Italia, che ha meriti gran-dissimi paragonabili solo allenostre colpe. Del resto se oggisiamo qui è perché da una qualcheparte siamo partiti e da dove siamopartiti io c’ero. Nessuno può sot-trarsi alle proprie responsabilità.

Ma la tua politica avevaun altro spessore. Gli argomentierano diversi ed anche gli interlo-cutori avevano una spina dorsaledritta che incuteva rispetto se nonammirazione.

- E’ vero, ma è vero ancheperché tutti venivamo da epoche dif-ficilissime che avevano fortificatoogni nostra convinzione. Convinzio-ni che erano diverse in ognuno dinoi, ma che escludevano l’insultopersonale. E poi eravamo certi diavere dietro di noi i nostri elettoriche pensavano molte delle cose chepensavamo noi ed eravamo fortiproprio per questo.

Eri cugino di FrancescoCossiga e parente di AntonioSegni, entrambi Presidenti dellaRepubblica.

- E si vede che la politicacircolava nelle nostre vene insiemeal sangue sardo. Questi gradi diparentela mai hanno influito nellenostra politica e nel fatto di ritro-varci quasi sempre su posizioniassolutamente diverse se non addi-rittura contrapposte.

Hai fatto della questionemorale la tua bandiera e la tuaforza. Oggi c’è chi si ricorda diBerlinguer solo per questo.

- La questione morale esi-ste da tempo, ma ormai essa èdiventata la questione polit icaprima ed essenziale perché dallasua soluzione dipende la ripresa difiducia nelle istituzioni, la effettivagovernabilità del paese e la tenutadel regime democratico.

Leggendo questa tuadichiarazione ci viene in menteBettino Craxi e tutto quello che sudi lui adesso si dice.

- La parabola politica edumana di Craxi racchiude ed esaltail percorso dell’Italia degli ultimitrenta anni. All’inizio rappresenta-va il nuovo, la speranza, una dellepoche possibilità che i socialistiavevano per crescere e diventareforza di governo. Lui rispose apieno a queste aspettative, ma poi ilsistema corrotto della PrimaRepubblica lo inghiottì trasforman-do in un mostro a più teste capacedi arricchirsi, di arricchire il parti-to e di sfasciare una storia secolare.Era stato osannato e poi venne stri-tolato; era stato indicato quale sal-vatore della patria (e per un certoperiodo lo fu) e poi fu identificatoquale distruttore della stessa; eral’inizio e la fine di un’epoca. Oggiviene rivalutato, riabilitato e para-gonato ai più grandi. In moltidimenticano che era un condannatoche scelse la latitanza pur di nonscontare la sua pena in carcere. Avolte la statura di un uomo (nonsolo di un politico) si misura dacome riesce ad affrontare l’epilogo

della sua storia.

Se questo fosse vero, Bet-tino Craxi sarebbe un uomo vera-mente piccolo.

- Certo non sarebbe quelperseguitato e quel capro espiatorioche viene descritto in questi vostrigiorni sempre più confusi ed indeci-frabili.

Sei stato nominato segre-tario del Pci nel 1972 succedendoa Luigi Longo. Hai sempre agitoguardando in due direzioni: dauna parte il tentativo di collabo-rare, o per lo meno di non rompe-re, con la Dc e dall’altra quella didistinguersi dal comunismo spes-so arrogante dell’Urss.

- E’ vero. Ero convinto chein Italia si dovevano realizzarenumerose riforme sociali ed econo-miche e che questo non potevaavvenire senza passare attraverso ilconsenso popolare e quindi senzatener conto della Democrazia Cri-stiana, che era il primo partito ita-liano sin dall’immediato dopoguer-ra. Questo non significò allinearsisu una posizione che non fosse lanostra, ma solo cercare di interpre-tare al meglio le esigenze degli ita-liani. Ho cercato anche, e credosinceramente di esserci riuscito, astaccarmi da Mosca creando uncomunismo indipendente che ci haportato a diventare il più grandePartito Comunista dell’EuropaOccidentale e che alla storia è pas-sato col nome di eurocomunismo.

In pochi ricordano che il3 ottobre 1973, durante una tuavisita a Sofia, la limousine sulla

quale viaggiavi venne investita daun camion. Nel 1991 EmanueleMacaluso rivelò che secondo tenon si trattò di un incidente, madi un vero e proprio attentatoorchestrato dal KGB e dai servizisegreti bulgari per eliminare ilpiù scomodo degli alleati.

- Ne sono convinto. Mai misono allineato sulla linea impostada Mosca e sempre rivendicavo unalibertà indispensabile se ci si vuoledefinire comunisti. Da qui partì ilmio pensiero che poi si sviluppò nelfamoso compromesso storico, unicasoluzione di fronte ad un forte edeprecabile declino istituzionale.

Nel 1976 si consumò ilfamoso “strappo” con il PCUS aMosca.

- Affermai, dinanzi a ben 5 miladelegati, che il Pci era in forte con-trasto con le posizioni ufficiali delPcus e annunciai l’intenzione delmio partito di costruire un sociali-smo possibile solo in Italia.

Le Brigate Rosse.

- In una prima fase noncapimmo l’importanza e sottovalu-tammo la gravità del fenomeno e fuconiata la famosa espressione“compagni che sbagliano”. Inseguito assumemmo una posizionesempre più netta e distante dallalotta armata. Aderimmo alla cosid-detta linea della fermezza. Sba-gliammo, ma in quegli anni sbaglia-rono in molti, forse tutti, sia da unaparte che dall’altra.

Il caso Moro.

- Dopo una paziente opera

Enrico Berlinguer

Manca. Mi manca. Ci manca. Indipendentemente da come la si pensa,al di la e al di sopra di tutti le parti, un uomo, una persona, un politicodalla statura morale di questa dimensione, davvero non può che mancarea tutti. Se poi abbiamo l’ardire di guardarci attorno e di soffermarcisulla fauna politica di oggi, beh, allora il paragone diventa davvero irri-guardoso, impietoso ed impàri. Noteremmo la stessa differenza che c’ètra la foresta amazzonica ed il nostro giardino di casa, tra Padre Pio emonsignor Milingo, tra Woody Allen e Martufello. Enrico Berlinguer erala faccia buona della politica, era l’orgoglio di sentirsi migliori senzaostentare la presunzione di chi sa di non esserlo, era il leader di un par-tito in movimento e di una ideologia che avrebbe potuto cambiare ilmondo. Enrico Berlinguer era “l’alleato scomodo” del PCUS, era lamorale applicata alla politica, era tutto quello che molti avrebbero volu-to essere. Enrico Berlinguer era la dimostrazione di quanto buona possaessere la politica, di quanto oggi siamo caduti in basso, di come un’ere-dità possa andare dispersa senza che nessuno riesca a raccoglierne nem-meno le sfumature. Enrico Berlinguer era l’Italia del dopoguerra cheguardava al futuro immaginandone uno diverso, migliore e meno bigottoed ipocrita. Enrico Berlinguer era un motivo per avvicinarti alla politica,era quello a cui avresti affidato non solo i tuoi pensieri, ma anche le tueideologie, era quello che quando Benigni lo prendeva in braccio avrestivoluto essere Benigni. Enrico Berlinguer era la politica che ti guardavanegli occhi, che sentiva il tuo cuore battere, che scorreva col tuo sanguenelle tue vene. Enrico Berlinguer era il segretario del più grande PartitoComunista dell’Europa occidentale ed è morto parlando al suo popololasciando nel suo popolo un vuoto che è un abisso e che giorno dopogiorno, elezione dopo elezione, cambio di nome dopo cambio di nome, vafacendosi sempre più profondo.

Ma davvero qualcuno pensa che un uomo così possa morire?

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François de Moncorbier o deLoges, uno dei poeti più importantie più noti della letteratura francese,nacque alla fine del 1431 o agli inizidel 1432 a Parigi. (Hasselmannparla invece del 1429/30). Non si samolto della sua morte, avvenutaforse nello stesso anno di quella diLuigi XI. Era il 1483, l’anno in cuiS. Francesco di Paola si recava aTours, chiamato da questo Re per-ché ammalato e desideroso di essereguarito dal taumaturgo la cui famaera nota in tutta l’Europa.

Villon era di umili origini: orfa-no di padre fin dalla tenera età, fuallevato da Maître Guillaume deVillon, cappellano di Saint-Benoîtle Bétourné (Vicino rue St-Jacques),da cui prese il nome.

Seguì alla Sorbonne i corsi dellaFaculté des Arts (Lettere) e conse-guì successivamente i titoli di licen-cié e di maître ès lettres (la laurea inlettere). Da questa esperienza egliconservò una cultura assai disorga-nica, ma molto estesa che trasparenella sua opera (“Ballade des damesdu temps jadis”).

Da subito, anziché consacrarsiagli studi, egli pensa a divertirsi. Siaccompagna a pessime persone, fre-quenta luoghi poco raccomandabilie si abbandona a una vita sregolatis-sima. D’altra parte gli studenti diallora erano molto agitati, comeimmortalerà Rabelais in Panurge, iltipo di “escholier”, pessimo sogget-to. Così egli giungerà addirittura alcrimine. Nel 1455 uccide un prete(Philippe Sermoise) nel corso di unarissa e deve lasciare Parigi. Gli saràcondonato il delitto (lettre de rémis-sion), ma ben lungi dal pentimento,è implicato un anno dopo in unfurto (avec effraction) nel Collègede Navarre, quando compone ilLais.

Lascia di nuovo Parigi (souspreteste d’oublier un amourmalheureux: en réalité le séjour dela capitale est devenu dangereuxpour lui) e si fa rivedere a Angers, aBourges, a Blois dove è protetto perqualche tempo da Charlesd’Orléans, che ringrazia con deiversi.

Nel 1461 viene imprigionato dalvescovo d’Orléans a Meung-sur-Loire, ma è graziato da Luigi XI,che come si sa concedeva la graziaa tutti i criminali che incontrava sulsuo cammino quando si recava adessere consacrato a Reims.

Si nasconde poi nei pressi diParigi. Ed è qui che compone la suaopera principale, il Testament.

Intanto, misfatti e accuse si suc-cedono. Nel 1462 è arrestato, libera-to e arrestato di nuovo, in seguito aun’altra rissa e viene condannato amorte. Non tanto perché recidivo,ma in quel tempo si era molto severicon chi era coinvolto in una rissa.

Villon, che aveva esperienza diqueste cose, pensa di essere “pendu

et étranglé”.Scrive lacelebre Bal-lade desP e n d u s ,grido lace-rante delcondannatoche spia laforca edi m m a g i n auna morteatroce. Egli,però, presen-ta appello eil Parlementannule las e n t e n c e ,ma, tenendoconto deisuoi antece-denti, vieneinterdetto dalsoggiornarea Parigialmeno perdieci anni.

Da que-sta data in poi si ignora assoluta-mente ciò che avviene di Villon.

Il mistero della sua vita futuraaggiunge ancora qualcosa al caratte-re patetico della sua esistenza edella sua opera.

Mario Bonfantini, mio professo-re dell’Orientale, afferma: “Purequesta losca figura è un’anima deli-cata di poeta: dagli abissi del vizioin cui si sente trascinato suo malgra-do, egli leva lo sguardo a un com-movente ideale di vita regolare evirtuosa, dal peccato si leva con sin-cero slancio mistico verso il cielo. Ela sua poesia segue fedelmente

questa tragica alternativa.”1“Pourtant l’exubérance joyeuse

et la verve réaliste voisinent avecl’émotion sincère: cette alliance estla marque propre de Villon.”

Infatti: “Maître ès arts, inscritsans doute à la Faculté de Droit,Villon néglige l’étude , court lestavernes et les mauvais lieux.”2

L’opera di Villon comprendequindi i Lais (Legs-Lasciti) o “PetitTestament”, il Testament (o “Grandtestament”) e una raccolta di poesiediverse, alle quali bisogna aggiun-gere sette “Ballades en jargon” (ingergo).

I Lais (1456): sono quarantotto

(48) ottavedi otto silla-b e .Lasci andoP a r i g i ,incerto sulfuturo chel ’a t t ende ,distribuiscedei legs( l a s c i t i )g e n e r a l -m e n t ebuffoneschi(r og nuresde ses che-veux- avan-zi dei suoicapelli (às o nbarbier) ,s o u l i e r svieux, lesue scarpevecchie (Ausavetier), lac o q u i l l ed’un oeuf,

un guscio d’uovo… pieno di franchie di scudi – vieux - vecchi) o chetradiscono un’intenzione satirica.

L’argomento e la forma annun-ciano già il Testament, ma il tono èil più delle volte ironico, meno pate-tico, e il lirismo di Villon è qui sola-mente accennato. La confessione,però, appare tutta, come l’angosciadavanti al futuro.

Il Testament (1461). Villon hatrent’anni: riprende e amplifica iltema dei Lais. Mais le ton est deve-nu plus grave: c’est celui des con-fessions et des regrets. Le pathéti-que domine, dans ce chef-d’œuvre

où se mêlent le rire et les larmes.Esso comprende un lungo seguito diottave (186-173), interrotte da ungran numero di ballades e altre poe-sie liriche. La forma del testament èsoprattutto un pretesto: al di fuoridella sua anima, del corpo, di qual-che rancore, dei sentimenti di tene-rezza e di due o tre ballate, che cosaavrebbe da lasciare (léguer) il“povero Villon”? Ma egli trova ilquadro felice per il suo lirismo: perlui è l’occasione di ritornare su sestesso, di piangere la giovinezzaperduta, di evocare lo spettro dellamorte che gli fa orrore, di dare libe-ro corso anche alla sua verve e alla

sua ironia. In breve, in questa operanoi troviamo l’homme nella suainterezza, con le sue debolezze, e lesue aspirazioni verso il bene, la suafede e il suo spirito satirico, le sueriflessioni cupe e la sua folle gaiez-za d’“écolier”.

Le Poésies diverses raggruppanouna quindicina di poemi, di argo-mento vario e di valore disuguale, lacui composizione va dal 1457 agennaio del 1463.

Un grand poète. Allorché lapoesia aristocratica e savante (colta)è in declino, Villon fa rivivere latradizione personale e realista deijongleurs (giullari) del XIII secolo(Colin Muset e Rutebeuf); egli rias-sume per noi l’anima del MedioEvo pur annunziando tempi nuovi;egli segna d’une empreinte définiti-ve les plus grands thèmes lyriques:piété (devozione non pietà- pitié),tenerezza filiale, patriottismo, rim-pianti del passato, rimorsi, fraternitàumana, ossessione della morte.Tutto insomma concorre a rendere isuoi accenti indimenticabili: i ldramma della sua vita come i suoidoni eccezionali; infatti “ce mauvaisgarçon fut notre premier génie lyri-que”.

Le lyrisme personnel. Nella suaopera, Villon si concede a noi (selivre) tale e quale egli fu: la since-rità delle sue confidenze è completa.La piété più profonda si allea in luialla sensualità, la candeur a unadolorosa esperienza della vita e delmale. La sua più grande seduzioneconsiste (réside) forse nella fraî-cheur che conserva il suo cuoremalgrado i suoi errori: l’assassinoritrova per un istante un’anima difanciullo. Egli è intensamente, tra-giquement humain: come faremmoa restare sordi al suo appello: “Frè-res humains qui après nousvivez…”?

A differenza dei romantici, que-sto grande lirico rifiuta di intenerirsitroppo: l’ironia interviene continua-mente, rivolta verso se stesso, rag-giungendo un humour macabre cheè soltanto suo (molto personale).L’idea della morte non lo abbando-na spesso: per lui non è un temaretorico o argomento di riflessionepasseggera, ma una ossessione chegli ispira i versi più commoventi, ladanza macabra del Testament o lavisione di orrore della forca.

L’Arte di Villon. Ad eccezionedi alcune Poesie diverse, opere dicircostanza o esercizi artificiali, lapoesia di Villon è molto di più diun’arte raffinata, è il grido di uncuore. Così le subtilités (sottigliez-ze) della forma e della versificazio-ne contano poco per lui, benché siaun poeta molto abile. Egli supera digran lunga le vane ricerche per rag-giungere una simplicité diretta e tal-volta sublime.

La sua arte è notevole soprattut-

François Villon

SEGUE A PAGINA 8

A differenza dei romantici, questo grande liricorifiuta di intenerirsi troppo: l’ironia intervienecontinuamente, rivolta verso se stesso, raggiungen-do un humour macabre che è soltanto suo (moltopersonale). L’idea della morte non lo abbandonaspesso: per lui non è un tema retorico o argomentodi riflessione passeggera, ma una ossessione chegli ispira i versi più commoventi, la danza macabradel Testament o la visione di orrore della forca.

Il poeta francese, “losco e anima delicata”, considerato l’antenato del romanticismo

DI MARIO IAZZOLINO

to per il suo realismo e il suo potereevocativo. La sua lingua è vivante,drue (fitta, densa), volentieri popo-lare. Villon parla al cuore e ai sensi.C’è qualcosa di presque brutalenella Ballade des Pendus . Qualecontrasto con l’atmosfera di sognonella quale si immerge la poesia diCharles D’Orléans!

L’ambito della poesia di Villonè la realtà tragica, talvolta spaven-tosa, della condizione umana. Mache grazia, che seducente malinco-nia nella evocazione delle “Damesdu temps jadis”!

Villon è anche un maestro delritmo: l’armonia dei versi, le sono-rità variano con le nuances del sen-timento. Ora è l’elegia melodiosadella grazia fragile (Dames dutemps jadis), ora un martèlementlugubre di marcia funebre (Balladedes Pendus).

La fama di Villon. I posteri nontardarono a rendergli giustizia: nelXVI secolo Marot edita le sueopere. Boileau, abitualmente pienodi disprezzo per il Medio Evo, gliaccorda nell’Art poétique un postopiù che onorevole. I Romanticivedranno in lui il loro antenato e noilo consideriamo oggi uno dei piùgrandi poeti.

Il Testament. Nelle prime ottaveVillon se la prende con il vescovoThibaut D’Aussigny che l’avevafatto imprigionare; poi, esprime lasua riconoscenza a Luigi XI che loha graziato. Riconosce i suoi torti:“Je suis pécheur, je le sais bien”,mais espère en la miséricorde divi-ne. Il évoque ensuite sa jeunesse,mal employée, et les destinées sidiverses de ses amis (Regrets). E’povero e di umili origini, ma cheimporta: ricchi e poveri, la morte ciattende tutti (Le spectre de la mort).I temi della fuga del tempo, dellamorte impietosa gli ispirano parec-chie ballades ….

I Legs cominciano con un tonopio, grave e commosso (Le Testa-ment du pauvre), e costituiscono,con forme e accenti molto diversi,ora seri, ora ironici, la trama di tuttoil resto del poema. Villon terminacon una nota fra il salace, il doloro-so, immaginando la propria morte eil proprio funerale.

E’ il caso di procedere a qualcheapprofondimento.

“Una biografia così inquietantee così largamente lacunosa, qual èquella di François Villon, ha creatotra la sua opera e il lettore modernouna serie di vetri deformanti: al diqua di essi la poesia villoniana siarticola secondo uno schema irrealeche un suo benemerito critico, loChampion, definiva la leggenda diF. V…

In effetti per circa cento anniegli viene messo in compagnia difamosi menestrelli, pagliacci, sal-timbanchi, divenuto quasi un perso-naggio della farsa popolare. Unatradizione, più dotta, gli attribuisceavventure, battute salaci, mottiscanzonati, oppure pii allestimentidi sacre rappresentazioni: accomunaqueste due immagini così differenti

un’uguale ammirazione per l’abilitàletteraria di Villon, divenuta quasimagia verbale.”

Ne parla Rabelais descrivendouna tragica beffa fatta a un religiosoche non volle prestare alla compa-gnia alcuni arredi sacri. Raccontaancora che Villon, bandito dallaFrancia, fu accolto da Edoardo Vd’Inghilterra. Il re, sempre secondoRabelais, tenne in così grande fami-liarità il poeta parigino che loammise perfino “nel suo luogo per-sonale di comodo” (p.VI). (FrançoisVillon, OEUVRES, par PaulLacroix, Flammarion, 1934).

“Ma c’è una seconda leggendadi F. V. – afferma De Nardis - quel-la in cui sembra credere anche loChampion. Nutrita di veleni roman-tici, la seconda leggenda villonianaha finito per creare un Villon cheride e piange, che lietamente peccae si inginocchia…”

Ferdinando Neri… ha indicatoin Gaston Paris l’iniziatore di questaseconda leggenda, nella quale credeanche il Bernard “l’antitetico crea-tore di un Villon che costruisce lasua opera secondo una rigida strut-tura assimilabile a quella di una cat-tedrale.”

Il critico italiano, fra le due tesi,

opportunamente insinua “…la vitadi un’opera di poesia non è gover-nata dall’ordine logico […]; nondobbiamo cercare l’unità concettua-le, ma la coerenza della fantasia, losviluppo, il corso autonomo delTestament: esso è la storia dello spi-rito di Villon, in quanto raduna ivari momenti, i pensieri e le fantasiech’erano il tema della sua vita(insieme povera ed intensa, guidata, impulsa da poche immagini, dapoche idee, che lo ghermivano tena-cemente) […]. Non è una cattedrale,come voleva il Bernard: ma una sto-ria dolorosa; una poesia che guizzae si estingue”.

Italo Siciliano, invece, “ne haegregiamente dimostrato i legamicon i temi poetici del medioevo…ha cercato di tracciare una storiadell’esperienza poetica villoniana, icui diversi stadi sono rintracciabilinella apparentemente disarmonicastruttura del Testament: ancora unaprova di quanto diceva il Neri circala coerenza unicamente fantasticadella poesia di Villon.”

Secondo queste interpretazioniVillon sarebbe meno “moderno”,meno “maledetto”, le cui contraddi-zioni sono quelle del suo tempo.(Benvenuto Cellini e Caravaggiohanno vissuto analoghe esperienze!)

Anche secondo Macchia:“sarebbe […] delitto, da parte di uncritico… sottrarre Villonall’ambiente facinoroso e sinistro in

cui visse e di cui fece alta poesia;sottrarlo ai suoi peccati, ai suoi con-trasti, al suo pianto e al suo sarca-smo, alle sue donne ed alle suetaverne”.

Dopo la guerra, Parigi, era infe-stata da briganti, da soldati prezzo-lati che infierivano nelle campagne.“Alle terribili condizioni di vita cor-rispondeva un ugual decadimentodei costumi, della vita morale”.

Scrive, fra l’altro, il Siciliano:“La guerre continue, sorde, impla-cable, plus sombre, plus lâche, entreindividu et individu, entre une loisans force et des forces sans loi”.(Non so se c’è tanta modernità nelleparole di Siciliano!)

Una giustizia cieca e crudele,commenta ancora De Nardis, cercadi arginare, con l’esempio di terribi-l i supplizi le dilaganti ruberie;l’assassinio, del resto frequentequanto i saccheggi e i furti, trovamaggiore indulgenza. Tanto la vitaumana era tenuta in così pococonto! Lo stesso Villon può esserepreso ad esempio: ottenne graziaper l’uccisione di un prete, marischiò la forca per avere preso partead una rissa in cui nessuno perse lavita.

La contraddizione è che questo

secolo, seguendo la tradizione,rimane sempre molto religioso.Malgrado ciò si fanno bollire uomi-ni vivi e si saccheggia nelle chiese,ma si scandalizzano se durante laQuaresima si mangia carne.

Egli dirà che la scuola non gliinsegnò nulla; solo la vita e la soffe-renza gli aprirono un’intelligenzaacuta particolare.

[Or est vray qu’après plainz etpleurs/ Et angoisseux gemisse-ments,/ Après tristesses et douleurs,/Labeurs et griefs cheminements,/Travail mes lubres sentements,/Esguisez comme une pelote,/M’ouvrit plus que tous le Com-mens/ D’Averroys sur Aristote.]

Il paesaggio non è cupo e ango-scioso di un qualsiasi borgo conta-dino, assediato dai lupi e dal gelo,ma è quello di Parigi: “una città lecui case in rovina superano quelleabitabili; una città anno zero ove lavita si difende animalmente nellechiuse tane delle case.”

I lais, “Legati”, sono concepitisecondo vecchi schemi e non hannouna novità assoluta. “Ben lontanadalla sbalorditiva novità del Testa-ment”. Sono frettolosi e tuttavia nonsenza fascino: Villon si disfa ironi-camente di tutto ciò che non ha e sidiverte con i suoi eredi, per sfogareil suo esuberante temperamento.Niente di doloroso in questa compo-sizione giovanile; il gioco parte dauna finzione amorosa: l’essere stato

respinto dalla sua donna, mentrel’idea della morte non lo sfioraancora o non è così tragica come nelTestament. Egli si abbandona ad unestro bizzarro su un unico tema, lapovertà che non ha nulla di strazian-te; essa viene accettata con giovani-le piglio, addirittura con incoscien-za. L’immagine finale lo vede ridot-to a una pala di fornaio. Lo trovia-mo qui ricco di spirito goliardico,beffeggiatore, accanto alla Sorbon-ne, durante il rigidissimo invernodel 56.

Ben presto però egli rimpiangeràla folle giovinezza, gli amori scape-strati, le baldorie all’osteria, le gros-se burle organizzate con amici finitisulla forca.

Le donnine, come scrive loChampion, sono più di tremilaaccantonate in strade assegnate lorodal re santo (Luigi IX). Saranno leantenate delle grisettes dell’Otto-cento, già così parigine e designatecol nome di battaglia: la Guantaia,l’Alabardiera, la Cappucciaia, laTappezziera, la Ciabattina, l’Elmie-ra.

Siamo qui nel grande tema dellapoesia villoniana, quella del Testa-ment: Villon in meno di cinque anniha bruciato la sua vita. “ la formulatestamentaria con la quale ha inizioquest’altissimo monumento di poe-sia, ha la gravità, il timbro di un asolo di violoncello” –sostiene DeNardis.

E il tema della povertà riprende;ma questa volta senza millanteria,senza sberleffi, senza caricature:grave si snoda e segna il ritmo diquesta seconda interpretazione dellapropria vita povera perché non hanulla, non ha mai avuto nulla.

“E’ la lotta contro la miseria, larivolta contro lo squallore della suainfanzia, che vanno a deporsi comeoscure pennellate sul variopintoquadro della sua fisica gioia di vive-re, di danzare, di amare.” Il quadrosi fa più cupo: i colori squillanti, iritmi danzanti si venano di nostal-gia; tutto il suo mondo degli affettifamiliari riappare: un mondo scon-volto da un destino ineluttabile,quello che fa sfiorire la giovinezza,che svia l’uomo in direzioni diverseda quelle immaginate: è la combina-zione di due principi personificaticon la maiuscola: la Sorte e ilTempo, attributi del terribile perso-naggio che è la Morte.

(Qui ritroviamo il Baudelairedell’Ennemi, del Voyage, del Gui-gnon).

Fragile, tenerissima, l’immaginedella madre gli suscita sentimenti diabbandono: il “povre Villon”, sbat-tuto dalla vita, vede in quella fragi-lità l’elemento che solo giustifica ilsuo accomunarsi all’ingenua dedi-zione della “povre femme”.

E viene preso come da una stan-chezza della vita randagia: guardan-do indietro si accorge di avere sba-gliato tutto: Hé! Dieu, se j’eusseestudié/ Ou temps de ma jeunessefolle… (Test. vv. 201-202).

A Villon i posteri non tardarono a rendergli giu-stizia. I Romantici vedranno in lui il loro antenatoe noi lo consideriamo oggi uno dei più grandipoeti. Villon parla al cuore e ai sensi.

SEGUE DA PAGINA 7

1 - Continua nel prossimo numero

Le rappresenta-zioni presepialiche ogni annovengono allestiteovunque nelmondo cristiano,nelle singole abi-tazioni, o nei luo-ghi di culto, enon solo, puntanosempre a propor-re delle novità, che mai tradisco-no, beninteso, lo spirito di Grec-cio, di Francescaniana memoria.Questo spirito innovativo nontradirà neppure quest’annol’aspettativa e l’attesa di quantisi accosteranno al presepe di“casa” nostra : quello allestitonella Chiesa parrocchiale inPedace.

Passavo, giorno 22 Dicembrescorso, davanti alla Chiesa e inun’ora non liturgica; l’ingressosocchiuso ha indotto me e unmio amico ad entrare; il Parroco,D. Tullio Scarcello, ci venneincontro per informarci che ilavori erano stati ultimati e che ilpresepe era già pronto all’incon-tro e al giudizio dei fedeli e deivisitatori.

Mentre io spaziavo con losguardo, tra ammirazione e com-mozione, il Parroco orgogliosa-mente non si risparmiava nelledescrizioni e alla fine non esitò asuggerirmi di scrivere qualcosaal riguardo.

Ma la mia attenzione si fermòquasi per incanto sui pastori,quelli in primo piano, che siavviano, oggi come un tempo,verso la capanna di Gesù Bambi-no. Sono i pastori di sempre, ipochi che ancora resistono esopravvivono all’usura deltempo; sono quelli che ci ripor-tano ai ricordi della nostrainfanzia, dietro ai quali noi con-tinuiamo ad incamminarci perarrivare fino… alla Grotta diBetlemme.

Ma la novità, in questo nostropresepe 2009, i volenterosi alle-stitori, Giovanni Iazzolino,Arnaldo Martire, AntonelloScancello, Franco Scancello,Ubaldo Valente, hanno volutorealizzarla facendo riferimentoalla vibrata esortazione che ilSanto Padre ha rivolto ai Grandidel mondo , riuniti in assembleaa Copenaghen : affinché si impe-gnassero ancora di più per lalimitazione degli inquinantiatmosferici e per la salvaguardiaecologica del nostro pianeta.Ebbene, l’esortazione dai nostrioperatori, nel loro piccolo, èstata raccolta e il presepe allesti-to nella Chiesa di Pedace presen-ta una scenografia tutta imposta-ta alla salvaguardia dell’ambien-te e della natura.

Domina infatti incontrastato ilverde delle valli e delle colline,sulle quali piccole e bianchepecorelle pascolano dolcemente,creando una distanza e una lon-tananza che sanno di silenzi e dispazi infiniti.

I pochi altri pastori che partonoda lontano, e le scarse capanne,

dalle luci fioche, sparse qua e là,sono un esempio, una metafora ,di quello che illusoriamentedovrebbe essere un modello abi-tativo dei nostri tempi.

E non manca il piccolo ruscelloche, con un murmure dolce etranquillo, scende con le sue lim-pide acque giù verso valle performare l’immancabile laghetto.

La lunga catena di montagneinnevate, in lontananza sullosfondo, si eleva a formare unadegna cornice che ben si addicea tanto ambiente e a tanta atmo-sfera ; nel mentre un magico

gioco di luci scandisce, conritmo lento e riposante, le ore delgiorno e della notte, accompa-gnato con “fare” discreto dalcanto del gallo o dal belato dellepecore al pascolo. E a proposito di novità, mi

torna alla mente quella che deci-demmo di realizzare in Pedaceper il Natale 1990 : il PresepeVivente . Eravamo un gruppobene affiatato e bene organizza-to, del quale facevano parte unasplendida ragazza, MariluciaFuscaldo, e una persona a memolto cara, Massimo Leonetti:

due persone chepurtroppo ci hannolasciato per sem-pre.

La descrizione diun evento, qualequello di cui stia-mo dicendo e chenon appartiene soloa noi, potrebbeindurre, per l’entu-

siasmo con cui viene rappresen-tato, alla falsa interpretazione diuna autoesaltazione, quasi sitrattasse di un fatto esclusivo.Più Freudianamente si potrebbedire che trattasi istintivamente diun orgoglio che deriva dal sensodi appartenenza ad una comunità, all’ interno della quale sivogliono salvaguardare valori etradizioni.

E’ vero che ormai siamo citta-dini dell’Europa, e che moltefrontiere sono state abbattute;ma è altrettanto vero che nonsiamo in contraddizione se tenia-mo a sottolineare che non inten-diamo rinunciare alle nostreradici, anche perché queste ulti-me non vanno confuse con ilvecchio e superato campanili-smo di un tempo.

A tal proposito, non è un casoche recentemente, in occasionedella presentazione di una pub-blicazione di Tonino Martiresulla storia del calcio in Pedace,in tutti gli interventi di coloroche hanno preso la parola, èstato sottolineato un fatto; e cioèche, accanto a tutti gli aspettipositivi che uno sport come ilcalcio ha potuto e può rappre-sentare in una piccola comunità,non è mai venuto meno il sensodi appartenenza. E senza volerfare della sociologia, questosenso di appartenenza ha semprerappresentato uno stimolo allaaggregazione sociale, in virtùdella quale, in una Comunitàcome la nostra, che in passatonon ha comunque vissuto nellaopulenza, non è mai venutomeno il desiderio di mantenere etramandare i valori che si espri-mono in rispetto per la famiglia,per l’amicizia, per la “compa-ranza”, per le tradizioni chedanno un senso alla nostra storia.Tutto questo sentire, che ciauguriamo non venga mai meno,non esclude che, nei confrontidegli altri, si possa continuare inuna sana emulazione e in unaleale competizione.

Ma torniamo al presepe dellanostra Chiesa per farci ancoracoinvolgere, con l’inevitabilesentimento della nostalgia, dalsereno stupore e dall’incanto chesi avvertono quando ci si accostaad una rappresentazione siffatta,davanti alla quale cogliamoanche l’invito a superare incer-tezze ed inquietudini, ad allonta-narci dalle miserie, e a guardareinvece più in alto; per megliocomprendere l’augurio, o forse ilmessaggio, o la promessa diquell’ annuncio: “sia pace interra agli uomini di buonavolontà”.

Dalla tradizione alla attualità

Il Presepe 2009 a PedaceDI ALBERTO VALENTE

La chiesa di Pedace. Nella foto sotto: Il presidente della provincia Oliverio con don TillioScarcello

Nella sala convegni dell’Archivio diStato di Cosenza, nel centro storico, siè tenuto il terzo appuntamento perconoscere i paesi della provincia diCosenza. L’Associazione culturaleXenìa, in collaborazione con la sedeprovinciale dell’Archivio di Stato, havoluto porre l’attenzione sul comunedi Lappano, il centro della Presilacosentina a due passi dalla città capo-luogo.

Come è ormai nel “format” dellamanifestazione il sindaco RomilioIusi, “cuore in mano”, fascia tricoloree gonfalone del Comune ben inmostra, si è sottoposto al fuoco didomande del conduttore, l’editoreDemetrio Guzardi. L’incontro è statoaperto dalle note musicali di AntonioCurcio al mandolino e di Luigi Turcoalla chitarra; dopo i saluti del direttoredell’Archivio di Stato, Anna MariaLetizia Fazio, che ha detto che la ras-segna è un’ottima occasione perincontrare gli amminis tratori deicomuni, ma anche per far conoscerela ricchezza documentaria che conser-va l’Archivio. Per ogni paese “ospite”gli storici dell’istituto culturale cosen-tino mettono in mostra una serie didocumenti storici che merita moltaattenzione; per Lappano oltre ai regi-stri dei notai, alcune cartine topografi-

che e pergamene del XVI secolo.Gabriella Coscarella presidente diXenìa ha parlato del valore dellaconoscenza dei nostri paesi, che puressendo vicini a Cosenza, molte voltenon sono mete del turismo dei cosen-tini.

Il sindaco Iusi (nella foto durante laconsegna di una targa ricordo), in aper-tura ha letto una poesia da lui scrittasu Lappano ed ha presentato le carat-teristiche principali del suo comune:«Siamo in mille che abitiamo Lappa-no e la frazione di Altavilla, la gentepreferisce costruire nuove case cherestaurare quelle del centro storico, lapolitica dovrebbe aiutare chi invecevuole far vivere questi nostri paesi».

Hanno “aiutato” il sindaco nel pre-sentare Lappano anche MaggiorinoIusi, che da diversi anni studia la sto-ria di Lappano e dei Casali cosentiniche ha presentato una sua r icercasull’etimologia del nome che derive-rebbe dal fatto che Lappano era unfondo romano appartenuto ad un certoL(ucius) Appius. Maggiorino Iusi haparlato anche del fenomeno dellemotte, che erano delle fortificazionimilitari nei punti più alti e strategiciper il controllo del territorio. Un altroaspetto importante di Lappano è quel-lo religioso; a trattarlo è stato chiama-

to Mario Scarpelli che ha parlato deimiracoli di Santa Gemma Galganiproprio a Lappano negli anni 30 delNovecento, che riconosciuti dal Vati-cano hanno permesso alla giovanesanta lucchese la via degli altari.Infatti furono ben due le persone diLappano, entrambi parenti di MariaScarpelli (1912-1998), una donna vis-suta in concetto di santità, che il 14maggio 1933 e il 30 maggio 1935miracolosamente guarirono dalle pro-prie infermità. All’interno della chiesaparrocchiale di San Giovanni Battistasono conservate due reliquie di SantaGemma, ed anche la piazza piùimportante del paese è a lei dedicata.

Il sindaco Romilio Iusi ha anche par-lato dell’esperienza del presepe viven-te e della manifestazione per la pre-sentazione della bandiera storica dellasezione lappanese della Lega di donCarlo De Cardona, tenuta nel mese didicembre con la presenza del vescovodi Cassano Jonio che ha aperto il pro-cesso d i beatificazione del pretecosentino fondatore delle Casse rurali.

Nella sala, accanto alle bacheche deidocumenti esposti, i visitatori hannopotuto ammirare le creazioni di cera-mica dell’artista lappanese RaffaellaCaruso.

Abbiamo più volte rilevato comesia scarsa la pubblicistica sulla sto-ria politica presilana e soprattuttosulla storia del movimento operaio edemocratico che non è stato irrile-vante e non meritevole di divenirefonte di studio e di riflessione.

Una storia, che a partire dai primidecenni del Novecento ha caratte-rizzato il comprensorio presilanocome uno dei più importanti “labo-ratori politici” della nostra regione.

Dicevamo che purtroppo poco èstato scritto e poco lasceremo cometestimonianza storica ai posteri.Purtroppo nemmeno a livello niver-sitario si producono ricerche in que-sta direzione, tali da poter riscoprirealmeno una documentazione certa-mente scarsa, dovuta soprattutto aduna poca sensibilità alla conserva-zione di archivi storici nelle sedi deipartiti e delle istituzioni culturali.

Solo rare ricerche e documentazio-ni storiche di singoli comuni sonostate pubblicate, tra le più importan-ti quelle del compianto professore esindaco di Spezzano Sila, GiuseppeVia, che costituiscono un riferimen-to imprescindibile per chi vogliaavvicinarsi alla conoscenza dellavicenda storica di Spezzano Sila.

Bisogna aggiungere che anchenelle rare occasioni in cui vengonoalla luce lavori che potrebbero sti-molare ulteriori ricerche e riflessio-ni, queste restano quasi sconosciutee non diventano motivo ed occasio-ne di conoscenza e di dibattito.

E’ il caso del libro di CristianFrancesco Accardi “1970-1990 Par-tito Comunista Italiano - Sezione“G.Rije” di Celico - Storia e ragio-namenti”.

Il libro - scrive l’avv.to OresteVia, sindaco di Celico all’epocadella pubblicazione- “... consegnaalla storia una testimonianza indele-bile di quel vasto movimento diuomini e donne rilevatosi protagoni-sta della storia di Celico, quantome-no negli ultimi trent’anni. L’autore,sebbene costretto a muoversi con ilsupporto di scarse fonti documenta-li, traccia, oggettivamente e coninvidiabile sapienza cronologica efattuale, le vicende politiche edamministrative del “Partito Comu-

nista Italiano” dal 1970 al 2000. Gliintrecci tra politica e amministrazio-ne con fatti e vicende squisitamentepersonali sono sapientemente orga-nizzati dall’Autore e risultano, per-tanto, agevoli alla lettura”.

Accardi, in effetti, traccia un qua-dro di un rapporto non semprelineare tra l’evolversi della politicanazionale del PCI ed i suoi riflessinell’organizzazione di una comunitàlocale che spesso rispetto ad essarisulta arretrata e talvolta addiritturaanticipatrice. Non trascurando laenorme influenza nella comunitàcelichese di forti personalità cheesercitano una leaderschip che spes-so travalica i confini dello stessopartito di appartenenza. E l’autore

illustra i ruoli, anche attraversotestimonianze di persone politica-mente impegnate e coinvolte nellevicende politiche, esercitati da diri-genti politici e amministrativi comeLeandro Noce e Enzo Caligiuri chehanno consolidato a partire daglianni Settanta l’egemonia del PCI inun comune che era tradizionalmentelegato ad una Dc che per un decen-nio era rappresentata da un’altrafigura di rilievo come VincenzoIntrieri.

Ripetiamo. Si tratta di un “ragio-namento” che andrebbe ripreso concaratteri più generali ed esteso atutta l’eperienza politica presilana.Non solo di sinistra. Perchè anchein questo comprensorio si sono veri-ficate vicende che con una letturacritica, non condizionata dall’attua-lità, potrebbero individuare i fer-menti e le crisi che poi, in un oriz-zonte più vasto, hanno rappresenta-to gli elementi di una crisi generaleche ha inves tito il movimentocomunista nel suo complesso.

Il lavoro encomiabile di Acciardirappresenta la parte di un tuttoancor più complesso e, per alcuniversi, contraddittorio, ma che tutta-via è indispensabile conoscere perla comprensione di avvenimentirecenti e contemporanei e perpoter avanzare qualche ipotesisull’attuale svolgersi della vicendapolitica nel comprensorio presila-no.

La storia politica presilana ancora da scrivereDI FRANCO MOLINARI

Da tutta Italia equipaggi con slitte trainate dai cani

Appassionante sfida sportiva, diverti-mento, suggestione, contatto con luo-ghi incontaminati.

Racchiude tutto ciò la Prima Traver-sata della Sila di Sleddog, nel quadrodella quarta edizione di Dogs on theSnow, presentata nel corso di una par-tecipatissima Conferenza Stampa tenu-ta nel Centro Sci di Fondo di Carloma-gno, ‘epicentro’ dell’organizzazione diquesta particolare manifestazione chedal 19 al 28 Febbraio prossimi vedràprotagoniste le slitte trainate dai cani ele loro corse sulle nevi abbondante-mente cadute negli ultimi giornisull’altopiano.

Promossa dalla Cooperativa “ laComune Sangiovannese” con il soste-gno dell’Ente Parco Nazionale dellaSila, della Provincia di Cosenza, dellaProvincia di Crotone, della ComunitàMontana Silana, della Comunità Mon-tana Alto Crotonese, dell’ARSSA e dialcuni fra i Comuni che ne ospiterannole tappe, come San Giovanni in Fiore,Pedace, Spezzano della Sila, Cotronei,la Traversata conterà cinque tappe, unain notturna, e molti eventi correlati.

Ad essere toccati saranno i luoghi piùpanoramici del Parco Nazionale dellaSila in un susseguirsi di panorami moz-zafiato, passaggi di alta quota come ilMonte Botte Donato, a 1928 slm, lacima più alta della Sila dalla quale sipossono guardare i laghi dall’alto,intravedere il massiccio del Pollino, loStromboli sino alla Sicilia.

Tredici gli equipaggi, con altrettantimusher (conducenti) e circa 150 canidelle razze allevate per il traino delleslitte, che arriveranno in Sila datutt’Italia.

Tra i partecipanti anche GiampieroSabella, già campione mondiale edoggi campione italiano di Sleddog, cheda tempo si allena a Carlomagno

Renato Alberoni, del Centro SleddogMarmorale di Belluno, scuola ufficialedel Club Italiano Sleddog, metterà adisposizione di turisti e visitatori pres-so il Centro Sci di Fondo Carlomagnouna serie di slitte e dei meravigliosicani siberiani, con i quali sperimentarel’ebbrezza e la bellezza di una corsacosì particolare sulle nevi.

Questi gli appuntamenti:1^ tappa martedì 23 Febbraio

Villaggio Palumbo-Trepidò2^ tappa mercoledì 24 Febbraio

Km 17) Partenza Torre Garga (stradaferrata 1.200 slm) – San Nicola – Sil-vana Mansio (sosta presso La Locomo-tiva) – Vutturino – Arrivo Carlomagno(1.530 slm).

3^ tappa giovedì 25 Febbraio Km14) Partenza Strada Delle Vette (stra-da interna 1.400 slm) – Rifugio MonteBotte Donato (sosta presso il rifu-gio1850 slm) – Arrivo Cavaliere (sta-zione di partenza impianti di Risalita1.405 slm).

4^ tappa venerdì 26 Febbraio Km19) Partenza Carlomagmo (1530 slm)– Vutturino – Silvana Mansio (iniziostrada ferrata) – Righio – Croce diMagara – Arrivo Caigliatello Silano(1270 slm).

5^ tappa sabato 27 Febbraio Km10) Notturna sugli anelli del CentroFondo Carlomagno.

Domenica 28 Febbraio, premiazioneed evento finale presso il Centro Sci diFondo di Carlomagno.

Da ricordare ancora il Campo ScuolaSleddog, curato da Renato Alberoni,con uscite sulle slitte (6), corsi base permusher, ed incontri con le scuole ed iportatori di disabilità. Il Campo Scuolasarà attivo dal 19 al 21 Febbraio a Tre-pidò; dal 23 al 28 Febbraio a Carloma-gno.

Egregio direttore, qualche tempo fa, così ho appreso,su Presila è stata pubblicata una poesia, del tutto sco-nosciuta, di Eduardo De Filippo. Mi pare che il titolosia “L’abito della festa”. Le sarei grato se vorrà ripub-blicarla, sicuro che farebbe contenti molti lettori. Cor-diali saluti. Filippo De Caro

Egregio sig. De Caro, ripubblico la poesia da leirichiesta. Della “scoperta” della poesia del grande DeFilippo devo ringraziare il prof. Carlo Brancati che, asuo tempo, mi invogliò alla ricerca dell’ormai rarovolume che la contiene. (A.F.)

IL VESTITO DI MODAdi Eduardo De Filippo

1.Ci sta chi vuol vestirecon abiti sportivi,e chi si vuol sentirenel classico. Perciò,

si fa il due petti grigio,e quello blù da sera;e per il pomeriggiosi sceglie un bel marrò.

Ci sta chi compra e mette int’’o stiponeaddirittura una collezione.

Per la caccia mi vesto così.Per le corse mi metto colì.

E gli manca, vi giuro, un bel dì,pure il tempo di fare pipì.

Io senza st’impaccioriscuoto successo;sapete che faccio?Mi vesto da fesso.

Però, però…. c’è un “ma”:Non è un vestito facile….s’adda sapè purtà!

2.La stoffa è delicatae non si trova in giro.La trama è complicata….si tesse con l’età.

I fiocchi di filatosi trovano nel tempo;nel tempo ch’è passatoe che non tornerà.

Ma quando te lo cuci su misura,dovunque arrivi fai la tua figura.

Quell’amico ti parla così….Quel nemico ti tratta colì….Tu non parli; ti metti a sentì,gli sorridi…. e non dici di sì.

Ti togli lo sfizio,riscuoti successo,perché con giudizio

ti vesti da fesso.Però, però…. c’è un “ma“:

Non è un vestito facile….s’adda sapè purta!

3.Ce vò l’atteggiamento,il gesto un po’ impacciatoed un comportamentosvagato…. E sai perché?

Perché ti metti a postonon dando affidamento.Insomma, ad ogni costo,se sai, nun ‘j ha sapè.

Assumere lo sguardo un poco assente,da fa’ capì ca nun capisce niente!

Chi ti dice: “E’ successo così”.Chi sostiene ch’è stato colì.Tu, distratto, te miette a sentì,senza dire di no, né di sì.

Ho visto che, in fondo,riscuoto successovivendo nel mondovestito da fesso.

Però, però…. c’è un “ma“:Non è un vestito facile….s’adda sapè purta!

Quando si dice una libera scelta. Asia Morante, milanese ma calabresedi nascita (è originaria di Crotone), è la classica (per quanto splendi-da) “ragazza della porta accanto”: alta 1.85, studi per diventare stilistadi moda e... una passione per l’hard. Prima come spettatrice e poicome protagonista, per il momento concretizzata in tre film realizzatiin pochi mesi e il debutto al Mi-Sex. Ma nel futuro prossimo di Asiaci sono molti progetti, a partire dalla partecipazione a metà ottobre,all’importante fiera di Berlino.Appresa la notizia che Tinto Brass ha intenzione di stupire ancora unavolta con un nuovo film a 3 dimensioni, la giovane star si è proposta alregista per la parte da protagonista. “Amo il mondo del porno - hadichiarato Asia- e al solo pensiero di poter eseguire gli “ordini” di unospecialista come Brass vaneggio. Ora mi sento pronta per un nuovotest.. Quello della macchina da presa con al di là dello schermo il redelle telecamere hot”.Si tratterà per Brass di affrontare una scelta tra due calabresi: la ormaifamosa Caterina Varzi di “Hotel Courbet” e appunto la esordienteAsia Morante.

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di ricerca di possibili strategie diaccesso pur parziale al governo,avevo individuato in Aldo Morol’interlocutore più adatto allacostruzione di un progetto concreto.Nel marzo del 1978 si preparaval’ennesimo governo Andreotti cuinoi avevamo garantito l’appoggioesterno in attesa di una fase succes-siva durante la quale saremmo statiammessi a pieno titolo nelle coali-zioni. Si decise di ritirare questoappoggio perché nel nascentegoverno trovavano spazio elementia noi sgraditi. Il 16 marzo Morovenne rapito e proprio in quel gior-no veniva presentato il governo.Decisi di concedere la fiducia, mala battaglia era solo rinviata.Durante i giorni del sequestro ade-rimmo al fronte della fermezza. Allafine di quella tragedia si capì ladebolezza dello Stato e la vacuità dicerte istituzioni. Perdemmo tutti enessuno, nemmeno i brigatisti, pote-rono essere considerati i vincitori.

Padova, 7 giugno 1984,Piazza della Frutta. Ennesimo

comizio tuo ed ennesimo bagno difolla. Mentre stai per pronunciarela frase “Compagni, lavorate tutti,casa per casa, strada per strada,azienda per azienda” vieni colpitoda un ictus. Sofferente, continui ildiscorso fino alla fine, nonostanteanche la folla, dopo i cori di soste-gno, urlasse: “Basta, Enrico!”.Pochi giorni dopo eri morto.

- Per un politico morirepraticamente parlando ai tuoi elet-tori è come per un attore morire sulpalcoscenico. Ricordo i funerali, lagente che piangeva e quei pugnialzati come forse mai si era visto inItalia. Ricordo la prima paginedell’Unità, le lacrime dei compagni,il rispetto dei miei avversari, lavicinanza di Pertini che casualmen-te si trovava in visita di Stato aPadova. La mia vicenda terrena si èconclusa a Padova, ma sento che lemie parole e le mie idee continuanoa circolare ed a sopravvivere. Que-sto vuol dire che forse la mia non èstata una vita sprecata.

Bersani, D’Alema, Vel-troni.

- Nessuno dei tre ama defi-nirsi comunista, ma nessuno dei trenon può non aspirare a diventarlose vuole governare questa nazioneche è diversa ogni giorno e che ognigiorno nuovo rimpiange quelloappena trascorso. La politica dioggi c’entra poco con quella che sifaceva ai miei tempi, ma fondamen-talmente sono convinto che non sipossa prescindere da alcuni princi-pi che non hanno tempo: salvaguar-dia dei diritti, libertà, lavoro, ugua-glianza nella dignità di ognuno edin quella complessiva. Se non siparte da qui, non si arriverà da nes-suna parte. O meglio si rischia diarrivare dove l’Italia è oggi.

Nel 2010 le tue parole, leidee dove le ascolti, dove le vedi.

- Nelle difficoltà dei lavo-ratori, nella disperazione dei disoc-cupati, in una politica sempre piùmarginale e che difficilmente trova

spazio nei dibattiti e nelle discussio-ni. I padroni del vapore sono piùforti, pi spregiudicati, più falsamen-te mimetizzati e per questo chi lavo-ra deve lavorare ancor di più peremergere e far valere le proprieidee. Oggi la parola comunismo èbandita dal Parlamento italianosostituita da un vuoto che diventafacile preda dei più forti che stori-camente sono anche i più giusti.Non credo che una società chevoglia veramente crescere possafare a meno di una coscienza chesolo nei comunisti alberga e trovaragion d’essere. Non credo che dasola questa coscienza possa bastarea fare dell’Italia un paese migliore,ma sono certo che sia indispensabi-le.

Non è solo la sinistra ad aver bisogno di un altro Enrico Berlinguer,

ma l’intera politica italiana,derelitta e votata

all’autodistruzione.

Intervista (immaginaria) a Enrico BerlinguerSEGUE DA PAGINA 6 SEGUE DA PAGINA 6 SEGUE DA PAGINA 6 SEGUE DA PAGINA 6 SEGUE DA PAGINA 6 SEGUE DA PAGINA 6

potrebbero acquistare più valorequando si tratterà di tracciare scenaridiversi da quelli attuali. “La nostraambizione politica”aggiunge Rizzuti“è quella di mettere in campo tutte lenostre forze per cercare di unire piùservizi possibili in modo da farrisparmiare ai comuni cifre conside-revoli ed offrire ai cittadini miglioriopportunità. Ad oggi siamo riusciti araggiungere questo scopo nei settoriche riguardano le mense scolastichee la Polizia Municipale e sono quasioperativi anche quelli che investiran-no il trasporto scolastico l’anagrafe ela ragioneria”.

Il futuro di questa zona passa quasinecessariamente attraverso questotipo di operazioni, vista la stretta cheil governo centrale attua da un po’ ditempo sui comuni e sugli enti localipiù piccoli. “Lo Stato riduce i trasfe-rimenti ai comuni, attua il federali-smo fiscale e ci costringe ad occu-parci direttamente dei contratti deidipendenti: siamo dei sindaci svuota-ti della nostra autonomia, per questoil comune unico rimane quasi unascelta obbligata e comunque rimanel’unico modo per poter assicurare unfuturo ai nostri paesi. Siamo di fron-te ad un cambio epocale e dobbiamoal nostro territorio tutto il nostroimpegno e la nostra riconoscenza”.Forse l’idea del Comune Unico potrànon piacere a tutti, ma in questo casovale la regola della vecchiaia: a nes-suno piace, ma l’alternativa qualesarebbe?

FIORENZO PANTUSA

SEGUE DA PAGINA 2

Comune unico...mento “più assertivo” del ruolodell’Italia nel rapporto di alleanza -mai messo peraltro in discussione -con gli Stati Uniti. In tale quadro siebbe in particolare un autonomodispiegamento della politica esteraitaliana nel Mediterraneo, con uncoerente, equilibrato impegno per lapace in Medio Oriente. Il governoCraxi e il personale intervento delPresidente del Consiglio si caratte-rizzarono inoltre per scelte coraggio-se volte a sollecitare e portare avantiil processo d’integrazione europea,come apparve evidente nel semestredi presidenza italiana (1985) delConsiglio Europeo.

Né si può dimenticare l’intesa, con-divisa da un arco assai ampio diforze politiche, sul nuovo Concorda-to: la cui importanza è stata piena-mente confermata dalla successivaevoluzione dei rapporti tra Stato eChiesa.

Numerosi risultano in sostanza glielementi di condivisione e di conti-nuità che da allora sono r imastiall’attivo di politiche essenziali per ilprofilo e il ruolo dell’Italia.

In un bilancio non acritico ma sere-no di quei quattro anni di guida delgoverno, deve naturalmente trovarposto il discorso sulle riforme istitu-zionali che aveva rappresentato, giàprima dell’assunzione della Presi-denza del Consiglio, l’elementoforse più innovativo della riflessionee della strategia politica dell’on.Craxi. Nel quadriennio della suaesperienza governativa, quel discor-so tuttavia non si tradusse in risultatieffettivi di avvio di una revisionedella Costituzione repubblicana. Laconsapevolezza della necessità diuna revisione apparve condivisaattraverso i lavori di una impegnati-va Commissione bicamerale di stu-dio (presieduta dall’on. Bozzi) : maalle conclusioni, peraltro discordi, di

quella Commissione nel gen-naio 1985 non seguì alcunainiziativa concreta, di suffi-ciente respiro, in sede parla-mentare. Si preparò piuttosto

il terreno per provvedimenti cheavrebbero visto la luce più tardi,come la legge ordinatrice della Presi-denza del Consiglio e, su un diversopiano, significative misure di riformadei regolamenti parlamentari.

Tra i problemi che nell’Italiarepubblicana si sono trascinati irri-solti, c’è certamente quello del finan-ziamento della politica. Si era tentatodi darvi soluzione con una leggeapprovata nel 1974, a più di venti-cinque anni dall’entrata in vigoredella Costituzione. Ma quella leggemostrò ben presto i suoi limiti, inparticolare per la debolezza dei con-trolli che essa aveva introdotto.Attorno al sistema dei partiti, cheaveva svolto un ruolo fondamentalenella costruzione di un nuovo tessutodemocratico nell’Italia liberatasi dalfascismo, avevano finito per diffon-dersi “degenerazioni, corruttele,abusi, illegalità”, che con quelleparole, senza infingimenti, trovaronola loro più esplicita descrizione neldiscorso pronunciato il 3 luglio 1992proprio dall’on. Craxi alla Camera,nel corso del dibattito sulla fiducia algoverno Amato.

Ma era ormai in pieno sviluppo lavasta indagine già da mesi avviatadalla Procura di Milano e da altre. Edall’insieme dei partiti e dei loro lea-der non era venuto tempestivamenteun comune pieno riconoscimentodelle storture da correggere, né unaconseguente svolta rinnovatrice sulpiano delle norme, delle regole e delcostume. In quel vuoto politicotrovò, sempre di più, spazio, soste-gno mediatico e consenso l’azionegiudiziaria, con un conseguente bru-sco spostamento degli equilibri nelrapporto tra politica e giustizia.

L’on. Craxi, dimessosi da segreta-rio del PSI, fu investito da molteplicicontestazioni di reato. Senza metterein questione l’esito dei procedimenti

che lo riguardarono, è un fatto che ilpeso della responsabilità per i feno-meni degenerativi ammessi e denun-ciati in termini generali e politici dalleader socialista era caduto condurezza senza eguali sulla sua perso-na.

Né si può peraltro dimenticare chela Corte dei Diritti dell’Uomo diStrasburgo - nell’esaminare il ricorsocontro una delle sentenze definitivedi condanna dell’on. Craxi - ritenne,con decisione del 2002, che, pur nelrispetto delle norme italiane alloravigenti, fosse stato violato il “dirittoad un processo equo” per uno degliaspetti indicati dalla Convenzioneeuropea.

Alle regole del giusto processo,l’Italia si adeguò, sul piano costitu-zionale, con la riforma dell’art. 11nel 1999. E quei principi rappresen-tano oggi un riferimento vincolanteper la legislazione nazionale e perl’amministrazione della giustizia inItalia.

Si deve invece parlare di una persi-stente carenza di risposte sul temadel finanziamento della politica edella lotta contro la corruzione nellavita pubblica. Quel tema non potevarisolversi solo per effetto del cam-biamento (determinatosi nel 1993-94) delle leggi elettorali e del siste-ma politico, e oggi, in un contestopolitico-istituzionale caratterizzatodalla logica della democraziadell’alternanza, si è ancora in attesadi riforme che soddisfino le esigenzea cui ci richiama la riflessione sullevicende sfociate in un tragico esitoper l’on. Bettino Craxi.

E’ questo, cara Signora, il contribu-to che ho ritenuto di dover dare alricordo della figura e dell’opera disuo marito, per l’impronta non can-cellabile che ha lasciato, in un com-plesso intreccio di luci e ombre,nella vita del nostro Stato democrati-co.

Con i più sinceri e cordiali saluti”.Roma, 18 gennaio 2010