Il giorno in cui la Francia è fallita

24

description

Una vicenda solo in apparenza di fantapolitica, una significativa lezione per tutti quei paesi, come l’Italia, con un indebitamento pubblico sempre meno controllabile e un’incapacità manifesta a confrontarsi con problematiche imposte da un mondo sempre più globalizzato e interdipendente.

Transcript of Il giorno in cui la Francia è fallita

Page 1: Il giorno in cui la Francia è fallita

0001

Page 2: Il giorno in cui la Francia è fallita

 

Page 3: Il giorno in cui la Francia è fallita

chiarelettere

Page 4: Il giorno in cui la Francia è fallita

Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi,Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani,Caterina Bonvicini, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Carla Buzza, Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Carla Castellacci, Fernando Coratelli, Pino Corrias,Gabriele D’Autilia, Andrea Di Caro, Giovanni Fasanella, Massimo Fini, FondazioneFabrizio De André, Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Marco Lillo, Giuseppe Lo Bianco,Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Luca Mercalli, Lucia Milazzotto, Angelo Miotto,Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Alberto Nerazzini, Sandro Orlando, Pietro Palladino, David Pearson (graphic design), Maria Perosino, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello (web editor), Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Luca Rastello, Marco Revelli, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano, Matteo Scanni, Bruno Tinti, Marco Travaglio, Carlo Zanda.

Autori e amici di chiarelettere

Page 5: Il giorno in cui la Francia è fallita

Philippe JaffréPhilippe Riès

Il giorno in cuila Francia è fallita(e l’Italia?)Traduzione di Mario Corradi

Prefazione di Francesco Giavazzi

chiarelettere

Page 6: Il giorno in cui la Francia è fallita

© Éditions Grasset & Fasquelle, 2006Titolo originale: Le jour où la France a fait faillite

© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol S.p.A.Lorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano

ISBN 978-88-6190-013-4Prima edizione: ottobre 2007

www.chiarelettere.itBLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA

Page 7: Il giorno in cui la Francia è fallita

Philippe Jaffré conosce molto bene la situazione delle finanze francesi.E di quelle europee. Conosce anche esattamente quali sono le difficol-tà di uno stato come la Francia che si dibatte con un debito pubblicoingente (anche se molto inferiore a quello italiano) e che però nessunpolitico riesce a ridurre. È stato consigliere tecnico di René Monory, giàministro delle Finanze, e presidente della società petrolifera Elf-Aqui-taine, dal 1993 fino alla chiusura nel 1999, quando la società viene rile-vata dalla TotalFina. Quindi ha ricoperto la carica di direttore fi-nanziario del gruppo Alstom, un colosso dell’industria meccanica (can-tieristica, ferrovie, energia). Risiede a Bruxelles. Ha scritto altri libri.Da ricordare (con Laurent Mauduit), Pour et contre les stock-options(Grasset 2002).

Philippe Riès è un giornalista di consolidata esperienza internazionale.Conosce in profondità quali sono le dinamiche dell’economia mondia-le e soprattutto quelle del Sudest asiatico. Perché le ha vissute diretta-mente, abitando a Hong Kong per molto tempo (nel 1998 ha scrittoil libro Cette crise qui vient d’Asie). Soprattutto le economie emergentidei paesi asiatici mettono in difficoltà stati come la Francia spesso bloc-cati dall’immobilismo politico e dal corporativismo, con una macchi-na statale gigantesca e costosissima. Riès ha scritto poi Citoyen dumonde (2003), in collaborazione con Carlos Ghosn, il manager franco-brasiliano a capo della Renault e della Nissan.

Page 8: Il giorno in cui la Francia è fallita
Page 9: Il giorno in cui la Francia è fallita

Sommario

Prefazione di Francesco Giavazzi ix

Introduzione all’edizione italiana xvii

IL GIORNO IN CUI LA FRANCIA È FALLITA (E L’ITALIA?)

Prologo. Un mattino d’estate a Pechino 5«Mi dispiace, signore; la sua carta di credito non funziona»

Lunedì nero al Tesoro 11La Francia ha fatto crack

Flashback 33Ma come si è arrivati a questo?

Notturno a Matignon 49Che fare?

Temporale d’estate 63Arriva l’annuncio ufficiale

La scelta del presidente 83Come salvarsi dal disastro

Diffidenza 101Le reazioni internazionali. Ovvero: chi ci aiuterà?

Page 10: Il giorno in cui la Francia è fallita

Brutto vento 117Tutti a caccia di soldi

Il processo di Berlino 143Adesso è l’ora della verità

A pane e acqua 167Parla il presidente. A reti unificate

Il ripiegamento 181Il primo ministro in conferenza stampa

Veglia d’armi 197E intanto a Pechino

Il ritorno 223Stipendi dimezzati

La pelle di zigrino 239«Al diavolo l’economia, parliamo di politica»

La Francia in fallimento 257L’aereo del presidente bloccato a Washington

Silenzio si affonda 273Sarà guerra civile?

Epilogo 289

Glossario all’edizione italiana 305

Ringraziamenti 313

Page 11: Il giorno in cui la Francia è fallita

Prefazionedi Francesco Giavazzi

Nell’ultimo ventennio del Trecento, quasi un secolo primadell’apogeo di Lorenzo de’ Medici, il mercante prateseFrancesco Datini controllava quella che oggi chiamerem-mo un’impresa tessile multinazionale. Acquistava la lana aLondra, la lavorava a Prato e commerciava i suoi tessuti unpo’ dovunque in Europa: Genova, Avignone, Maiorca,Barcellona, Valenza, Bruges, Parigi, Venezia e Londra stes-sa. Tutta questa attività si reggeva su poche lettere di cre-dito scritte a suo favore dai banchieri fiorentini: tale era lafiducia di cui costoro godevano, che i mercanti e le ban-che di tutta Europa trattavano Datini, che non conosceva-no perché non si era mai mosso da Prato, come un primecustomer.*

Sono trascorsi sette secoli, ma i commerci continuano areggersi sulla fiducia. Anzi, la fiducia è divenuta ancor piùimportante. Possiamo viaggiare solo perché le nostre cartedi credito sono accettate in tutto il mondo, e lo sono per-ché la banca di cui siamo clienti gode fiducia in tutto il

* La straordinaria storia di questo mercante è raccontata in modovivace e con passione da Iris Origo, un’americana che per prima hastudiato gli archivi di Datini. Il libro (Il mercante di Prato, Bompiani,1958, ri-edito da Corbaccio, 2005) è preceduto da una bellissimaintroduzione di Luigi Einaudi.

Page 12: Il giorno in cui la Francia è fallita

mondo. Anche la nostra ricchezza (con la sola eccezionedelle case in cui viviamo) è tutta elettronica. L’eventualitàche la nostra banca diventi insolvente, o più semplicemen-te che l’informazione conservata nei suoi computer vadaperduta, è talmente agghiacciante che raramente ci soffer-miamo a contemplarla.

Ma la situazione più drammatica si verificherebbe ilgiorno in cui i mercati finanziari dubitassero che lo statosia in grado di far fronte ai propri debiti. La crisi allora tra-scinerebbe con sé tutto il sistema finanziario e l’economiadi un paese intero si arresterebbe. È accaduto alcuni annifa in Argentina e ne abbiamo visto gli effetti in televisio-ne: supermercati devastati da cittadini affamati, le cuicarte di credito non funzionavano più, assalti alle banchee infine il collasso delle istituzioni.

«L’Argentina è lontana!» Ma attenzione: forse non tantoquanto vorremmo credere. Il libro avvincente che vi accin-gete a leggere racconta ciò che accadrebbe se i mercati per-dessero la fiducia nei titoli emessi da uno stato europeo.L’esempio scelto è la Francia, ma la vostra mente correrànaturalmente all’Italia. Potrebbe accadere?

In realtà è quasi accaduto. Era il settembre del 1992. Daalcuni mesi Tangentopoli decimava la classe politica; ingiugno il referendum danese aveva allontanato – irrime-diabilmente sembrava – l’unione monetaria, la nostra solaancora di salvezza; la lira, largamente sopravvalutata, eracostantemente sotto attacco e già più volte il governo tede-sco ci aveva detto che la Bundesbank avrebbe presto smes-so di intervenire per sostenere la lira. Il governo Amatoaveva intrapreso azioni che – viste oggi – ci paiono straor-dinariamente coraggiose: la trasformazione degli enti pub-blici in società per azioni e poi la loro privatizzazione, lariforma pensionistica più incisiva tra quelle finora mai

X Il giorno in cui la Francia è fallita (e l’Italia?)

Page 13: Il giorno in cui la Francia è fallita

varate, un’azione decisa di contenimento della spesa pub-blica. Non fu sufficiente.

A fine settembre [dopo la svalutazione] il Tesoro dovetteaffrontare una maxiasta di Bot per un totale di 43.000 mi-liardi di lire. Prima l’asta di fine agosto, e poi quella di metàsettembre non erano andate bene. Anzi, erano andate male;ma allora c’era la scusa che la svalutazione era ormai immi-nente, visto che l’asta di settembre era stata effettuata il 9dello stesso mese [la lira fu svalutata il 12]. Comunque nontutti i Bot a metà settembre erano stati assegnati; l’esito erastato deludente: domanda scarsa e tassi di interesse schizzatiall’insù di circa due punti con il tasso su quelli a sei mesi al17,90 percento.I Bot in scadenza a fine settembre erano 38.500 miliardi dilire. Fissando l’offerta a 43.500 miliardi, avremmo chiuso ilmese con un margine sul conto corrente di tesoreria di solitremila miliardi, ma attraverso uno sforzo molto stringenteper contenere, così diceva la nota della Ragioneria generale,«con ogni mezzo disponibile il fabbisogno nelle prossime set-timane».Nonostante questi accorgimenti l’asta fu molto difficile evide l’intervento palese della Banca d’Italia per mille miliar-di. Con questo apporto il collocamento dei Bot avvenne perintero, ma di misura; i tassi crebbero ancora: il sei mesi balzòal 18,75 percento. La Banca d’Italia e la Direzione generaledel tesoro erano attivi nel fare quotidianamente un’opera dimoral suasion con gli operatori, e la banca centrale fece qual-cosa di più convincente ancora: comprò titoli sul mercatoper sostenerne i corsi e moderarne i rendimenti, e rassicuròle banche che, nel caso di una loro carenza di liquidità, nonle avrebbe lasciate sole. Ma dall’estero si continuò a venderetitoli di stato della Repubblica.

XIPrefazione

Page 14: Il giorno in cui la Francia è fallita

Fu in quei giorni che Ciampi mi informò che la Bancad’Italia si trovava ormai in portafoglio titoli per più di50.000 miliardi, e che si poteva anche dare la necessità diintervenire a favore delle banche comprando titoli per unammontare considerevole, più o meno dello stesso ordine digrandezza. Si era proprio sull’orlo di una crisi finanziaria.

Con queste parole Piero Barucci, ministro del Tesoro delgoverno guidato da Giuliano Amato, ricorda i giornidrammatici del settembre 1992. E continua:

Con Amato decidemmo in quei giorni di mettere a puntoalcune misure che avrebbero dovuto scattare solo in caso diuna vera e propria emergenza finanziaria. [...] Il piano, che ingergo chiamavo «misure bastone», si fondava su un insiemedi misure straordinarie, per un importo di 150.000 miliardidi lire [il 9 percento circa del Pil]. Si pensava a una specie di«vincolo di portafoglio» per i percettori di reddito oltre uncerto livello, per le imprese, oltre che per banche e assicura-zioni. Si pensava a un insieme organico di misure che per-mettessero al tesoro di non ricorrere al mercato per nuoveemissioni nette per un certo tempo. Del piano, non del suocontenuto ma della sua esistenza, informai il Capo dello sta-to, al quale dissi che non era pensabile che il governo potes-se sopravvivere nel caso avesse dovuto prendere misure diintervento quali stavo immaginando. Scalfaro convenne suquesta prospettiva e mi fece capire che, in caso fosse scattatauna emergenza, avrebbe formato un nuovo governo in pocheore. […] Nel frattempo, il 2 ottobre, scrissi a Jacques Delors[presidente della Commissione europea] una lettera in cuichiedevo otto miliardi di Ecu come contributo dellaComunità al forte sforzo che il governo stava facendo perrestaurare un clima di fiducia nell’economia italiana. Infine

XII Il giorno in cui la Francia è fallita (e l’Italia?)

Page 15: Il giorno in cui la Francia è fallita

XIII

decidemmo di tentare una riservatissima uscita diplomaticacon Francia e Germania per vedere se era possibile trovare, almomento opportuno, un qualche aggancio fra la lira e loSme in modo da scoraggiare movimenti decisamente specu-lativi. […] Le due missioni a Parigi e a Francoforte ebberoalmeno il merito di ricostruire un rapporto di diplomaziaeconomica con due grandi paesi europei. Ma la crisi finanziaria continuava a essere nell’aria e, fra l’al-tro, c’era incombente il problema di come assicurare un esitofavorevole all’asta dei Bot di fine ottobre, visto che non sipoteva pensare di emettere titoli a media-lunga scadenza. Ilmargine del conto corrente di tesoreria era prossimo a zero. IBot in scadenza raggiungevano la sbalorditiva cifra record di42.000 miliardi.[Per far fronte al disavanzo di cassa previsto per ottobre l’astaavrebbe dovuto essere di almeno 50.000 miliardi]. Ma unFazio [allora governatore della Banca d’Italia] come impietri-to dalla responsabilità che avvertiva di garantire il buon esitodell’asta, non mollava. Voleva di meno. […] Decidemmo difermarci a 47.000 miliardi. Se l’asta fosse risultata copertasolo parzialmente, saremmo dovuti andare in Parlamento achiedere un allargamento del conto corrente di tesoreria.Sarebbe stato il segnale che la situazione ci era scappata dimano. Il segno, di fatto, dell’insolvenza del paese.*

All’asta di ottobre il mercato sottoscrisse richieste per oltre62.000 miliardi. L’ammontare offerto fu ampiamente sot-toscritto e i tassi sui titoli semestrali scesero da 18,5 a 15,1percento.

Questo libro racconta, con straordinaria vivacità, checosa ci sarebbe accaduto se quell’asta fosse andata male. In

Prefazione

* Piero Barucci, L’isola italiana del Tesoro: ricordi di un naufragioevitato 1992-1994, Rizzoli, Milano 1995, pp. 62-63.

Page 16: Il giorno in cui la Francia è fallita

Francia – dove gli autori collocano la loro immaginariacrisi finanziaria – la risposta del governo fu simile alla viache Amato e Barucci immaginavano di percorrere se lecose fossero volte al peggio. Una stretta fiscale straordina-ria accompagnata da alcune decisioni drammatiche, neces-sarie ma anche efficaci nel trasmettere ai cittadini la gravi-tà della situazione economica del paese: il congelamentodi una metà degli stipendi dei dipendenti pubblici, il tra-sferimento a Francoforte dei lingotti d’oro della Banquede France, come garanzia per un prestito tedesco, il trasfe-rimento del comando della flotta francese all’Unioneeuropea e così via.

Vi è tuttavia una differenza fondamentale tra la quasi-crisi italiana descritta da Piero Barucci e la crisi franceseraccontata in questo libro. Senza la svalutazione è impro-babile che nel 1992 l’Italia sarebbe riuscita a evitare l’in-solvenza dello stato. Gli operatori più avveduti comprese-ro presto che con un cambio svalutato di oltre il 30 per-cento l’economia italiana si sarebbe rapidamente ripresa.Ricominciarono ad acquistare Bot e questi acquisti con-sentirono di evitare la crisi. E infatti la scelta politica cen-trale che si pone al governo di Parigi in questo libro è pro-prio se la Francia – che quando scoppia la crisi da tempofa parte dell’unione monetaria – debba abbandonare l’eu-ro. Il presidente della Repubblica si oppone all’abbandonodella moneta unica, non perché nutra particolare fiducianell’Europa, ma per un lucido calcolo politico.Comprende che ha di fronte a sé un’occasione straordina-ria per trasformare la Francia. E non vuole lasciarsela scap-pare.

Nell’estate del 1992 anche in Italia alcuni, prima diaccettare la svalutazione, accarezzarono un progetto simi-le. L’idea era di trasformare per decreto i titoli pubblici ita-

XIV Il giorno in cui la Francia è fallita (e l’Italia?)

Page 17: Il giorno in cui la Francia è fallita

liani in titoli denominati in marchi tedeschi e quindi rim-borsabili in marchi: così facendo il costo di una svalutazio-ne sarebbe diventato enorme e l’incentivo ad approvareuna riforma radicale dell’economia – proprio per evitare lasvalutazione – fortissimo. La lettura di questo libro e delsuo finale «noir» suggerisce che sarebbe stata una cattivaidea.

Va riconosciuto a Mario Draghi (oggi governatore dellaBanca d’Italia e nel settembre 1992 direttore generale delTesoro), a Piero Barucci e a Giuliano Amato di aver sem-pre considerato una stupidaggine l’idea che «legarsi lemani» aiuti a prendere decisioni difficili. Se c’è la consape-volezza politica che alcuni provvedimenti sono necessari eopportuni, si adottino. Sperare che agitando lo spaurac-chio di una crisi aumenti la probabilità di compiere sceltesagge raramente funziona. Non funziona nella storia fan-tascientifica raccontata in questo libro, non funzionò inArgentina alla fine degli anni novanta, probabilmente nonavrebbe funzionato neppure nell’Italia del settembre 1992.

La Francia dell’estate 2007 offre un contro-esempioistruttivo. Senza la pressione di una crisi, anzi in una fasedi relativa ripresa dell’economia, Nicolas Sarkozy si appre-sta a varare molti dei provvedimenti che, in questo libro,si immagina siano adottati sotto la pressione di una crisiviolentissima. Ciò che conta è il coraggio di prendere im-pegni rischiosi prima delle elezioni e poi, se eletti, nonrinunciarvi. Dire «ce lo impongono i mercati finanziari» è,come nel libro, il modo certo di fallire.

Ma non vedo al nostro orizzonte alcun Sarkozy. Nonperché manchi il coraggio, che pure nella politica italianaè merce rara, ma perché non funziona più la nostra demo-crazia. Dovrebbe essere un sistema che garantisce il con-trollo dei cittadini su politici eletti per portare a termine

XVPrefazione

Page 18: Il giorno in cui la Francia è fallita

un mandato ben preciso. Invece nella nostra democraziasuccede l’esatto contrario: i cittadini hanno perduto ognicapacità di controllare la «casta» dei politici, e questi, perevitare il rischio di perdere il loro potere e i loro posti, vi-vono alla giornata, parlandosi addosso, incapaci di decide-re alcunché: scelte energetiche, pensioni, organizzazionedei pubblici uffici, scuola, università. Leggendo questolibro viene da chiedersi: dove ci porterà la paralisi politica?Davvero queste pagine sono solo fantascienza?

Milano, luglio 2007

XVI Il giorno in cui la Francia è fallita (e l’Italia?)

Page 19: Il giorno in cui la Francia è fallita

Introduzione all’edizione italiana

Oggi sappiamo quello che non sapevamo ancora nel giu-gno 2006, quando abbiamo consegnato il dattiloscritto alnostro editore. Nel maggio 2007, la «Madonna dei son-daggi» non ha ricevuto le chiavi dell’Eliseo dagli elettorifrancesi. Ségolène Royale ha perso l’elezione presidenzialee, nel trambusto post-elettorale, anche il suo compagnoFrançois Hollande, leader dei socialisti francesi. Con Ni-colas e Cecilia Sarkozy, un’altra coppia regale della politi-ca francese entra all’Eliseo.

Ci auguriamo che la trasformazione della vita politica intelenovela non faccia perdere di vista la posta in gioco piùimportante di questo cambiamento generazionale allaguida dello stato francese: la Francia sarà capace di cam-biare per vincere la sfida della globalizzazione, o precipite-rà rovinosamente nella palude dell’immobilismo, del con-servatorismo, del corporativismo? L’unità di misura deirisultati porta un nome: la riduzione del disavanzo dibilancio e dello stock del debito pubblico, in aumentocostante da più di un quarto di secolo, che rappresenta lapiù significativa manifestazione del male francese.

Sebbene lo scenario politico che noi abbiamo immaginatoin questo libro – che ha tenuto meglio e più a lungo

Page 20: Il giorno in cui la Francia è fallita

rispetto alle previsioni dei politologi – non sia stato con-fermato, che piaccia o no rimane comunque lo scenariofinanziario. Certamente il più importante.

In una situazione di rapida diminuzione dei deficit pub-blici in tutti i paesi della zona euro – una riduzione talvol-ta spettacolare come in Germania – la Francia di NicolasSarkozy, che vuole rimandare dal 2010 al 2012 il momen-to in cui ritornerà all’equilibrio finanziario del bilancio,rischia di essere la palla al piede della compagine europea.

Bisogna lasciare al nuovo presidente la sua occasione,accordargli il beneficio del dubbio e il tempo necessario amuoversi tra le pressioni più diverse. Le circostanze glisono sorprendentemente favorevoli: una crescita rispetta-bile ritrovata nella zona euro, un orizzonte europeo sgom-bro dalle ombre costituzionali, un’opposizione socialista inpieno smarrimento a cui non basteranno cinque anni, daora al 2012, per imparare la lezione di un terzo insuccessoconsecutivo alle elezioni presidenziali. O anche solo di unmezzo successo. Rimettere ordine nei conti della nazione,ecco la vera «rottura».

Nel contesto violentemente concorrenziale della globa-lizzazione, le vecchie nazioni europee non possono piùpermettersi il lusso di una sfera pubblica pachidermica einefficiente. Le aziende europee hanno portato a terminecon efficacia il loro adattamento. Spetta agli stati farealtrettanto. Degli stati agili, solidi, concentrati sui lorocompiti essenziali, tra cui ai primi posti l’istruzione, la for-mazione e la ricerca. Questo impone delle scelte politichechiare, la rottura con le agende, i comportamenti, le zavor-re ereditate dal passato. Richiede una partenza da zerocome solo le guerre sono riuscite a imporre, ma pacifica,ragionata, negoziata. Voltando soprattutto le spalle allaricerca di capri espiatori, che sono solo alibi.

XVIII Il giorno in cui la Francia è fallita (e l’Italia?)

Page 21: Il giorno in cui la Francia è fallita

Non risaniamo le finanze pubbliche perché lo chiedeBruxelles. Facciamolo piuttosto perché l’interesse superio-re del paese lo esige. E lo esige inoltre anche il rispettodovuto alla parola data ai nostri colleghi europei.

Il successo più che dignitoso dell’edizione francese dellibro dimostra che abbiamo contribuito, nel nostro picco-lo, a portare in primo piano la questione del debito pub-blico nel dibattito francese. Spetta ora ai politici, ai citta-dini ma anche ai media di fare in modo che la questionenon scompaia prima che le finanze siano state risanate.Lasciare i conti in ordine alle generazioni future non è soloun fatto di buona gestione. È anche e soprattutto un im-perativo morale.

Philippe Jaffré, Philippe RièsLuglio 2007

XIXIntroduzione all’edizione italiana

Page 22: Il giorno in cui la Francia è fallita
Page 23: Il giorno in cui la Francia è fallita

 

abaterusso
Rectangle
abaterusso
Note
Cancelled set by abaterusso
Page 24: Il giorno in cui la Francia è fallita

0001