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Stefania Bertola

Il giardinodi guerriglia

Un anno di allegre battagliefra la donna e il verde

Illustrazioni di Giulia Tomai

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ESTATE

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6 giugno

Mi aggiro di notte chiamando gatti. A una certa ora, mi piace averli tutti incasa. Adesso sono le undici, la certa ora è raggiunta. Due su tre arrivanorapidi, anzi, erano lì che aspettavano solo che li facessi entrare. Hobbes,vecchiotto, casalingo, un ex ciccione con la pelle un po’ cadente, punta drittoalla ciotola. Dora, nerissima, coda mozza, occasionalmente affettuosa, trottadentro di buona lena. E Trilli? Trilli è un’altra storia. Bisogna fare il giro delgiardino strillando «TRILLI!!!» come un’ossessa, e poi finalmente arriverà,macchietta bianca a pallini neri che sfreccia verso la porta di casa come se lainseguissero i lupi mannari. In attesa che si manifesti, noto che anchequest’anno giugno pullula di lucciole, e in questo raro momento di quietepercepisco, più che vedere, che l’erba è alta, che i maledetti denti di leonehanno inghiottito il sentierino di pietra, che è tutto troppo fitto, troppo lungo,troppo spinoso, troppo alto. Ovvero, questo giardino è selvatico, mal tenuto,sull’orlo della catastrofe.Bene, ecco a voi, dunque, i diari di un giardino trascurato, perché io, la sualegittima depositaria, non ho il tempo di occuparmene né ho a disposizionequalcun altro che lo curi sistematicamente. Faccio interventi occasionali diguerriglia, avendo come obiettivo principale quello di mantenerlo in vita.Stasera però, non posso fare niente. Simbolicamente, rientrando in casa dopoche Trilli si è materializzata, raccolgo una pigna secca e la porto dentro, perbuttarla nella cesta accanto alla stufa. Fra quattro mesi sarà utilissima. Brava!

11 giugno

Alberi da frutto. È a voi che parlo. Siete sette in tutto. Un bel numero, famoso.Dovreste fare squadra, come le spose, i fratelli, i samurai, i peccati, lecompagnie petrolifere. Invece siete degli infingardi senza amor proprio.Due meli, un pesco, un albicocco, un caco, un ciliegio, un fico. Ieri vi hopassati in rassegna uno per uno, perché mi sono presa del tempo in giardino.Per la prima vera volta quest’anno, ho innaffiato. Primavera 2013, quella incui pioveva sempre, liberandomi così da un uso intensivo della pompa. Al

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massimo, ho bagnato un po’ i vasi, nelle scorse settimane. Ieri sera invece hovisto l’ortensia davanti a casa coi fiorellini non ancora sbocciati e già vizzi. Ehgià, è arrivato il caldo, da tre giorni non piove, va bene, innaffio.Piano piano ho fatto tutto il giro del mio piccolo giardino: rose, ortensie,filadelfo, Olea fragrans, viburno palla di neve, che non so perché l’ho messovisto che è bello per due settimane. E le altre cinquantuno? O cinquanta?Quante sono, le settimane dell’anno? Neanche Internet mi dà una rispostacerta, perché dice così: «Secondo lo standard internazionale ISO 8601, in unanno sono presenti 52 o 53 settimane». Ecco fatto. Non lo sappiamo. E tantomeno sappiamo cos’è ISO 8601.Macchia in mezzo al prato con il lillà, il cotoneaster e la skimmia, due piantecon dei bei fiori azzurri e viola ma non mi ricordo come si chiamano, e lapotentilla, che con quel nome lì potrebbe produrre qualcosa di meglio di queifiorellini gialli sciapi.Calycanthus, peonia che pure lei non fai in tempo a dire «Che bella» ed è giàsfiorita. Ceanothus, i fiori non sono blu come diceva Rossella Sleiter sul«Venerdì di Repubblica», ma sembrano trine azzurre, e mi piacciono lostesso. Bulbi, tanti bulbi che buttano fuori un casino di foglie.Sì, sì, a foglie sono bravissimi, ma fiorire è un altro discorso, ho degli iris checi credo per fede che sono iris, perché non hanno mai messo un fiore che èuno.E pensare che non li volevo, non mi sono mai piaciuti. Poi un paio di anni fasono andata a vedere la mostra dei Preraffaelliti a Roma, ho notato questesfilze di iris viola nei loro quadri, e via di corsa a comprarne a miriadi. So checon i bulbi non si può mai dire, sono strane uova, possono schiudersi dopoanni. Perciò li lascio lì e aspetto.Comunque. Piano piano ho fatto il giro, e sono andata anche nel “buco”,ovvero un pezzetto di giardino più in basso, invaso dai rovi, ingentilito da untenace gelsomino, da una rosa spinosissima e con fiori piccoli che però ha unfantastico profumo di mela, e da uno stupido pino di Natale che ho piantatosvogliatamente per non buttarlo via, e quello prospera.Ho fatto il giro, e ho osservato uno a uno gli alberi da frutto.I meli, niente. Nessuna traccia di frutti.Il pesco sì, tante pesche piccole, e tutte le foglie deturpate dalla bolla delpesco.

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Il ciliegio, neanche una ciliegia. Mi hanno detto di mettere delle bambole fra irami per distogliere i corvi dal desiderio di mangiare i frutti: mi sembrava unabella iniziativa, una via di mezzo tra Kitano e Kim Ki-duk. Ma quando sonoarrivata lì con scala e bambole, ho visto subito che i corvi erano già passati.Quindi, dicevo, ciliegie niente.Cachi, sì. Cachi ce n’è. Se nessuno grandina, forse qualche caco lo mangerò.Fichi, pochissime palline all’attaccatura dei rami. Ce la faranno a diventarefichi? Ai corvi i fichi piacciono?Albicocco, non se ne parla. È il terzo che pianto. Gli albicocchi non ce lafanno, sono perdenti nati, basta un po’ di freddo e gettano la spugna.Quindi, su sette alberi da frutta, mangerò qualche pesca bollata, forse i cachi, ifichi chissà.Ma neanche le mele! L’anno scorso mele ce n’erano. Brutte, cattive, mac’erano. Quest’anno non hanno voluto fare lo sforzo.Io vi raccomando, persone che avete un giardino, lasciate perdere gli alberi dafrutta. Non sono generosi. Stanno lì a prenderci in giro.Ho anche una piantina di ribes. Otto chicchi. Ho piantato qualche fragola: neho mangiate sei.Tra gli alberi da frutta, forse va contato anche il pergolato di uva fragola.Cinque anni fa mi ha dato grappolini bianchi deliziosi, tanti, ho fatto lecassette e le ho regalate a parenti e amici, mi sembrava di essere quasi unavera campagnola.Poi: basta. Tutti gli altri anni, l’uva partiva benissimo poi, a un certo punto,senza provocazione, i chicchi diventavano tutti neri. Fine. Niente uva fragola.E quest’anno? Che succederà?

12 giugno

Ho controllato: gli iris che mi hanno fatto venire voglia di iris sono in unquadro di Dante Gabriele Rossetti, Sancta Lilias, e in uno di Edward BourneJones, San Giorgio.Poi ci sarebbe il quadro che mi ha fatto venire voglia di papaveri, Psiche aprela scatola d’oro di John William Waterhouse.Psiche è seduta su una roccia, però vedo anche dei cuscini e una teiera. Forse

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è un salotto della mitologia, un po’ preistorico e un po’ vittoriano. Lei èbellissima, ha uno chignon morbido di capelli ramati e un vestito di un rosastrano, con un’idea di arancio ma pochissimo, uno di quei vestiti preraffaellititutti piegoline, lievi, e di solito rotti su una spalla, e infatti anche questo èrotto, per cui la spalla esce, e la tetta è lì lì. Dietro Psiche, c’è uno scialle viola.Non l’ha messo, fa caldo.Psiche sta aprendo questa scatola d’oro, che sembra una grossa fetta di torta,col coperchio che si solleva. Ancora una volta, come già con Amore e lacandela, Psiche cede alla curiosità e apre ciò che le è stato raccomandato dinon aprire. E sì che ormai la gente dovrebbe conoscerla, Psiche. Dovrebberosapere, gli dei, che se dici a Psiche: «Non guardarmi mentre dormo, nonaprire la scatola d’oro ecc.», lei non si potrà tenere. È curiosa. Nonprovocatela, che si mette nei guai.Qui, in questo quadro bellissimo, siamo un attimo prima dei guai. Psiche aprela scatola d’oro.Ai piedi della roccia su cui è seduta, tanti papaveri rosa, questa volta però conuna traccia di violetto.Sono anni che provo a seminare papaveri nel mio prato. Niente da fare, nonspuntano. Vai in giro, vedi chilometri quadrati di papaveri. Da me, neanchedue. Ma insisto, e ieri ne messi giù un cespo piccolo che mi hanno dato.Vedremo. Voglio papaveri, voglio iris, voglio fiori preraffaelliti.

14 giugno

Forse sono stata ottimista riguardo ai cachi. Stasera alle sette e mezza sonoscesa a pulire nel buco, e li ho guardati meglio: quei piccolissimi cachini chel’altro giorno erano bottoni verdi adesso sono neri, tutti sfrangiati. Morti?Seccati in poche ore? Esiste la peste del caco? Mi informerò.Ho tolto un ettometro di rovi e un’erbaccia portentosa, che cresce altissima,violenta. Ha il fusto spugnoso e grosse foglie. Come si chiama non lo so, mami informerò anche di questo e vi farò sapere.

17 giugno

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Cosa metto nell’orata, dopo averla ben bene eviscerata? Sale, prezzemolo euno spicchio di aglio, timo, origano e un po’ di cerfoglio, erba cipollina etanta limoncina.Davanti a casa ho una specie di spiazzo terrazzato, con un bordo pieno diterra, in cui ho messo le erbe aromatiche. Basta dire queste due parole, “erbe”e “aromatiche”, e scatta la leggenda. Cappelli di paglia, Provenza, frittateverdi, profumi, tisane, grandi mazzi a seccare in penombra… In effetti a partei cappelli e la Provenza, l’idea era quella, ma la realtà è ancora una voltadiversa.Ho sistemato in questo bordo tante piantine trovate in vivaio, e all’inizio,come in tutti gli inizi, c’era grande armonia. Ecco la salvia, il rosmarino, ilcerfoglio, il timo, l’erba cipollina, l’erba limoncina, la borragine, l’origano, lamaggiorana, la ruta, la melissa e la menta.Avete individuato l’errore in questo elenco? Sì, vero? Sono le ultime due, lamelissa e la menta. Per la melissa e la menta esistono solo due collocazionisensate: un vaso o un prato. Niente vie di mezzo. Se si trovano in un bordo,dopo un po’ nel bordo non ci sarà altro che loro, e forse un po’ di timo. Lamelissa e la menta sono invasive e velocissime. Ci ho messo un po’ a capirlo,poi le ho sradicate dal bordo e piantate nel prato. Ottimo. Adesso ho un pratocomposto al trenta per cento di menta e melissa, e conto di raggiungerepresto il cento per cento. Solo così sconfiggerò gli odiosi nemici, i denti dileone. Li odio così tanto che non riesco neanche a parlarne.Anche la ruta, dopo un po’ l’ho spostata nel prato. Troppo cespuglio. Però iprimi anni la ruta aveva una sua specialità strabiliante: a un certo punto siriempiva tutta di bellissimi bruchi grossi e colorati. Tanti, tutti insieme. Chemeraviglia. Perché? Chi erano? Non lo so. Da quando l’ho spostata nel prato,non lo fa più.A un certo punto, alle aromatiche classiche ho aggiunto anche le aromatichedi fantasia: erba di San Pietro… rafano… altre di cui non ricordo neanche ilnome. Risultato: stanno lì rachitiche e sgraziate nel bordo. Sono brutte,disordinate. Anche il timo è disordinato, ma potrà mai essere brutto, il timo?Non so cosa farne, e neanche più so chi sono, queste piantine. Non ho ilcoraggio di estirparle.Le altre, le uso. Ma non con la fantasia, la creatività, la molteplicità di fini cheindicano alcuni dei miei libri di cucina.

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Il problema con le aromatiche è che provocano sensi di colpa. Ti sembra dinon esplorare le loro infinite possibilità. Tu, donna che guerrigli la vita, nonfai abbastanza infusi, abbastanza tisane, abbastanza frittelle, abbastanzarisotti. Non le usi per calmare i dolori, lenire le ansie, placare i timori,ravvivare le notti, addolcire i temporali, imbrunire le giornate assolate.Cosa faccio io? Le metto nei pesci. Negli arrosti. Trito l’erba cipollina nellazuppa okroshka.Non sapete cos’è? Ecco qua. È una minestra ucraina.Bollire un uovo e una patata più o meno grande come l’uovo.Sgusciare l’uovo sodo, sbucciare la patata e farli a quadratini.Metterli in una ciotola.Prendere mezzo cetriolo grande o un cetriolo piccolo, sbucciarlo e farlo apezzettini.Mortadella: una fetta spessa, quantità a seconda di quanto volete carnivora lavostra okroshka. Farla a quadratini.A questo punto, avete una ciotola con dentro uovo, patata, cetriolo emortadella a quadretti. Aggiungete una bella cucchiaiata grossa di smetana. Senon avete la smetana, va bene il Total. Se non avete neanche il Total, e sietetroppo pigri per uscire a comprarlo visto che ormai ce l’hanno tutti isupermercati anche quelli piccoli, usate pure uno yogurt bianco normale.Poi ci vuole: un pizzico di sale, una spruzzata di limone, e un ciuciu dimaionese. Ciuciu è russo. Nell’Ucraina che conosco io si parla russo, tantovale ammetterlo.Per finire, acqua. Non troppa. Solo per sciogliere la smetana. La giustaconsistenza verrà col tempo.Completate con tanta erba cipollina, tagliata a rondelline con le forbici. Frigoper un po’, e poi è pronta.Altri usi delle aromatiche che frequento con naturalezza:a) faccio gli impacchi di malva quando ho male agli occhi (ho male agli occhiquasi sempre, ma gli impacchi di malva li faccio solo ogni tanto);b) a settembre le prendo tutte insieme, senza badare all’identità, e le faccioseccare in grandi mazzi; poi le mischio e sbriciolo nei barattoli di vetro ed’inverno le butto a casaccio in qualsiasi cosa. Ma basta, questo, a giustificareun bordo di aromatiche?E oltre tutto non è neanche più un bordo di aromatiche. A un certo punto

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sono intervenuti fiori. E pure un po’ di rucola.Ma la grande domanda è: perché il prezzemolo non si lascia coltivare? L’hoseminato cento volte. Spunta, crescicchia, muore. Mai l’ho visto rigoglioso.Mai si è sfrenato a mo’ di menta. Rachitico: questo è l’unico aggettivospendibile per il prezzemolo che coltivo.Il basilico vive per conto suo, in un vaso. Lui va, basta bagnarlo e va. È semprepronto, allegro, due foglie nel sugo, una manciata nel minestrone, unasventagliata su pomodoro e mozzarella, tanto, tantissimo nelle lasagne dizucchine, adagiato nella quiche, il basilico è il pane quotidiano fra le erbe.

20 giugno

Fingo di non vederlo, ma non può durare. Stamattina quando ho chiuso unadelle finestre che danno sul balcone, non sono riuscita a farla combaciare,perché lui stava entrando. Devo intervenire massimo entro due giorni.Sto parlando del glicine. Un glicine che ha qualcosa di portentoso, come sefosse il figlio di Audrey della Piccola bottega degli orrori e del Fagiolo di Jack.Era una piantina spuria, che qualcuno mi ha regalato, il classico glicine ditalea che non fiorirà mai. E invece dopo un paio d’anni di latenza, hacominciato a crescere, inerpicarsi, sbocciare, profumare, violettare il lungobalcone stretto su cui l’avevo arrampicato. Una bellezza. Ma, una voltasfiorito, non si dà pace. Butta foglie e rami e tralicci con una furia insensata,che non ho mai visto in altri glicini. Nella casa dove abitavo prima ce n’erauno enorme che correva da un balcone all’altro dei vari appartamenti,compresi un paio miei. Balconi, non appartamenti. Okay, era maestoso, okay,ogni tanto bisognava potarlo, ma non così. Questo fa reparto da solo. Fagiungla. Adesso, oggi 20 giugno, ha invaso completamente il balcone e staentrando in casa. Domani devo trovare il tempo di assalirlo con le forbici dagiardino. Lo troverò?E troverò il tempo di sforbiciare la lunga siepe di ligustro che separa ilgiardino dalla strada, e che ormai è sfiorita, dopo avermi incantata con i suoigrappoletti bianchi per quasi un mese? Ogni anno mi disfo di contentezzaquando annuso i fiorellini aspri, e li vedo da lontano quando arrivo in

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macchina, grandi, disordinati, pennellate bianche che danno un’idea disontuosità vegetale.Ora però i rami sporgono, e infastidiscono chi passa sul marciapiede. Ma ditagliarli con quei cosi orribili elettrici non se ne parla, per vari motivi: non neho uno, non voglio chiamare il giardiniere, e non mi piacciono le siepitranciate via in quel modo. Il ligustro è bello spuntarlo rametto a rametto, conl’iPod e le cuffiette, sentendo quelle canzoni che sento solo io: Clair di GilbertO’ Sullivan, No Milk Today degli Herman’s Hermits, Brand New Key diMelanie.

24 giugno

Certe rose non ce la fanno. Hai voglia a innaffiarle, curarle, spostarle pure.Niente. Ce n’è una in particolare, di cui non mi raccapezzo. Una rosa rossa. Ame piacciono bianche e rosa, ma quella l’ho presa rossa per una persona cheabita con me, e a cui piacciono le rose rosse. Bene. Un bel rosso vivo, tipoquelle dipinte dalle Carte sul finire di Alice nel paese delle meraviglie. L’homessa dietro la casa, contro la ringhiera che delimita il giardino al confine colbuco. Accanto a una bellissima rosa di un rosa appassionante. Niente. Non ècresciuta. All’inizio ha fatto qualche rosellina, poi si è estinta.Dopo qualche anno, l’ho spostata nell’aiuola che corre lungo la cancellata alconfine col ruscelletto. Un’aiuola che per le rose è festa grossa. Lì dentroprosperano, crescono, un paio sono diventate colossi. Lei no. Lei non sta beneneanche lì. Ogni tanto vado a guardarla: sempre uguale, anzi, sempre peggio.Le do ancora quest’estate, poi la butto.Oggi ne ho distrutta una. La odio da tempo, ma la mia natura è più portata acurare che a uccidere. Adesso basta, però: è una rosa bianca, non tanto bellagià di suo perché dà sul giallino, sembra infeltrita, però abbondante erigogliosa. Mette tanti fiori, con entusiasmo. Peccato che ognuno di questifiori, quando sboccia, contenga un insetto nero impegnato a distruggerlo. Maperché! Come fa ad averlo incorporato! È mai possibile che Aristotele avesseragione, e che la materia inerte possa generare organismi? Rosa contro Redi?Meglio non saperlo, e quindi, dopo averla tanto curata, oggi ho preso ilseghetto e l’ho segata via. È rimasto solo uno spunzone brutto nel terreno.

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28 giugno

Non soltanto i quadri, fanno venir voglia di certi fiori. Anche le canzoni. Hodue caprifogli nel mio giardino. Nessuno dei due se la passa troppo bene. Unoè nel buco, e rischia il soffocamento da rovi e l’arsura dovuta al fatto che lìinnaffio molto raramente. L’altro è accanto al melo, e pure lui è minacciato darovi, vite vergine e tutta quell’altra roba che non riesco a controllare. Peròfiorisce, e in queste notti lo sento. Ha un profumo che ribalta.Il caprifoglio lo volevo da quando ancora non avevo un giardino, ma giàconoscevo questa canzone, Honeysuckle Rose. È di Fats Waller, e io per anni eanni sono stata certa di averla sentita nel film Cotton Club, uno dei mieipreferiti di sempre, cantata da Lena Horne.Peccato che Julian Barnes ha perfettamente ragione, e i ricordi sono unatruffa. Il suo libro Il senso di una fine è verità vera. Infatti in Cotton Club nonc’è questa canzone, e non c’è Lena Horne. Che ha cantato Honeysuckle Rose inlungo e in largo, ma io non l’ho vista mai.Ho visto invece Dhianne Abbottcantare HR in uno dei miei film spreferiti di sempre, New York, New York. Altempo, questa Abbott la invidiavo blandamente perché stava con De Niro.Quindi cosa ha fatto, il mio Apparato Ricordi? Ha preso i dati e li hamescolati a suo piacere, creando qualcosa che non esiste.E comunque la Honeysuckle Rose è appunto una Rose, ma io non hodesiderato la Rose, ho desiderato l’Honeysuckle, l’attributo invece del nome.

1 luglio

Glicine, fatto. Ne ho tagliato quintali, e ora si passa di nuovo sul balcone, equando apro le finestre non mi balzano i rami in faccia. Ma so che nondurerà. Quello ricresce in una settimana, lo conosco.Ligustro, fatto, ma solo davanti. Sopra, no. Sopra i rami selvaggiano e vanno amescolarsi a quelli del melograno, delle quattro lagerstroemie e soprattuttodell’enorme faggio fuori misura che poco a poco si sta mangiando buonaparte del giardino. Per fare i rami alti, devo andare sul marciapiede con lascala. La gente mi camminerà intorno. Lo farò, ma tra un po’.

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5 luglio

Ho scoperto come si chiama l’erbaccia odiosa portentosa. Fitolacca. Questo èil suo nome. Ho guardato le immagini in rete e ho visto che, volendo, diventaanche abbastanza bella, un alberone proprio, basta che abbia il buon senso direstarsene a casa sua, nelle regioni subtropicali e tropicali. Lì, la fitolaccaacquista pregio. Qui, nel Piemonte nord-occidentale, è solo tenace, spugnosae veloce. Stamattina mi sono alzata alle sei, sono scesa nel buco e ne hoestirpata a bracciate. Poi mi sono messa i guanti, e ho estirpato bracciate dirovi. Mentre lo facevo, mi sono chiesta se estirpare possa essere considerataginnastica. Sport. Attività volta al mantenimento della forma fisica. Vedopassare, subito sopra di me, sul sentiero lungo il fiume, signore e signorine diogni forma e di ogni età (è la grande maestosa, la piccina…) che fannojogging con shorts arancioni o acetato nero, coda di cavallo o fasce a tenere iricci, e non so se faccio parte della stessa etnia: donne che si curano delproprio aspetto.Quando emergo dal buco, dopo aver scaricato tonnellate di materia spinosa espugnosa nel bidone degli sfalci, mi esamino, per vedere se ho tratto bellezzaed eleganza da questo esercizio mattutino. Quanti graffi. Ho tratto più graffiche muscolatura da pantera. Mi viene in mente a chi assomiglio. Una volta,credo in Germania, ma potrebbe essere Austria o un misto delle due, glistudenti facevano duelli, non so se mortali ma di certo taglienti, e tanto più ilgiovane studioso valeva, se tante più cicatrici aveva in faccia e sul corpo.Questa cosa si chiama Mensur. Penso che io pratico la Mensur da giardino.

12 luglio

Eccola lì, nell’aiuola di fronte alla porta di casa, una pianta che non so cos’è.Capita. Roba che atterra per i fatti suoi nelle aiuole o nel prato, e ti sorprendeun mattino. Tanto per chiarire, di solito non sono belle sorprese. Prendiamo ipapaveri, che darei parecchio per averli nel mio prato. Quelli che hotrapiantato io, sono scomparsi. Si sono avvizziti, avviliti, non sono maisbocciati, si sono ripiegati sul loro stelo e ingiallendo si sono accomiatati. Ora

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non riconosco neanche più il punto in cui li avevo messi. Come non ci fosseromai stati.E papaveri vagabondi nati per caso da semi volanti? Niente. Non un singolo,piccolo, putrido seme di papavero che sia arrivato da me. Solo i dannatissimiDDL. Se voglio qualcos’altro, nel mio prato, devo affannarmi come Leopardisotto la luna, e infatti tutti gli anni a primavera compro quelle stupide bustine“prato fiorito” e le scaglio ai quattro venti, ma finora ho ottenuto solo deifiordalisi viola. Ammesso che siano fiordalisi. Sono belli, e li curoardentemente, ma in nove anni di bustine, semetti di fiori di campo, trapiantidai boschi ecc., dovrei avere un prato tipo quello che calpestano senza lasciaretraccia Flora e i suoi amici nel quadro di Botticelli. Invece solo tanta fitolacca,che quella arriva di corsa. E altre piante ruvide, grandi foglie verde scuro,senza fiori. Non mi piacciono le piante senza fiori. Maledico me stessa peressermi lasciata convincere a fare le siepi dietro casa con il lauroceraso. Avreipotuto fare le siepi di caprifoglio, rose, spirea, chaenomeles, filadelfo, lillà…Invece il lauroceraso, solo foglie verdi, inutili. Pfui!Mi sono allargata, eh? Stavo dicendo che stamattina ho scoperto una piantamisteriosa. È carina, questa. È cresciuta accanto al ligustro, e si staintrufolando fra le sbarre della cancellata. Fiorellini piccoli, arancioni, acalice, credo che sia un altro caprifoglio. Ma l’avrò messa io e non me nericordo? Possibilissimo. Comunque, benvenuta, sei bella.Uno che invece è arrivato di sicuro per i fatti suoi è un malvone rosso accesoche mi è piombato così, a capocchia, fra una bellissima rosa che non so comesi chiama ma produce fiori grandi e profumati, di un rosa screziato, e ungelsomino tutto foglie e niente arrosto. Mi piace, il malvone, ma ècagionevole. Fino a un certo punto è cresciuto allegro e vigoroso, pieno zeppodi boccioli. Ma i fiori si stanno aprendo un po’ stancamente, le foglie sibucherellano, certi boccioli appassiscono prima di schiudersi. Gli mancal’élan vital, secondo me.Incredibile. Eccola lì. La Rosa Maledetta. La Creatura con l’Insetto Interiore.La brutta pianta che poche settimane fa ho rasato al suolo, lasciando solo unceppo minuscolo, è già ricresciuta, neanche l’avessi concimata col sangue disanta Orsola e tutte e undicimila le vergini. È rispuntata, ha già una quantitàdi foglie e pure i bocciolini. Che di sicuro contengono ciascuno il suo schifososcarafaggio vegetale. A questo punto la lascio perdere, faccia quel che vuole.

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15 luglio

È un caprifoglio, la pianta misteriosa. Cercando di capire anche qualecaprifoglio (non ci sono riuscita) ho scoperto due cose da ricordare: il fruttodel caprifoglio è velenoso, quindi niente mangiucchiarlo distrattamentementre zappetto. Con il legno di un certo caprifoglio, il Lonicera tatarica, sifabbricano giocattoli per gatti. Come mai ci sono persone che si prendonoquesta briga? Perché il caprifoglio tatarica contiene un surrogato dei feromonisessuali felini, dice Wikipedia. Il surrogato si chiama nepetalattone, ed è unterpene. Mi fermo qui. Non vado a cercare anche “terpene”, non adessoalmeno. Ma lo farò. Terpene!Oggi sono andata a controllare tre rose nei vasi. Sono vasi grandi, che homesso lungo la parte pavimentata, su un lato della casa. Questo l’ho fattoperché mi sono esaltata alla Venaria. La Venaria Reale, famoso palazzo del realle porte di Torino. Sono andata a un matrimonio il cui pranzo di nozze siteneva nel ristorante del palazzo, un pranzo molto squisito, non c’è neanchebisogno di dirlo, e passando nel cortile ho visto, davanti alla porta di unufficio forse, o un custode, chissà, tre vasi con tre rose colorate, gialle, rosa,rosse. Erano bellissimi, e ho pensato che era proprio una buona idea, averenel cortile tre vasi con le rose.L’errore è stato nella scelta. Ho comprato tre piante a radice nuda che stavanobuttando via all’Auchan. Ho una specie di passione per le piante che stannoper essere buttate via.«Adesso ti salvo, cocca. e vedrai che con un po’ di acqua e tanto affetto,diventerai bellissima».A volte funziona, un paio delle mie più rigogliose ortensie le ho recuperate apochi centimetri dall’oblio. Ma queste tre rose dell’Auchan, niet.Ormai è un paio di mesi che le ho piantate, e non danno segni di vita. Anzi,due danno ampi segni di morte, e va bene, lo capisco.È la terza, che mi inquieta. La terza, sta.Due rametti verdi. Non una fogliolina, non un fremito. Non succede niente.Ma restano vivi: non seccano come le due colleghe nei vasi accanto. Sonosempre lì, sempre verdi. Ho provato a spezzarne un pezzetto. La linfa c’è. Lavita no.Guardandola stupefatta (la controllo quasi tutti i giorni, cercando sempre il

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minirigonfiamento o il miningiallimento che indicherebbe una evoluzione),ho capito che questa rosa mai nata e mai morta mi rammenta il tempocontinuo, che fluisce in cerchio senza passare davvero. Mi rammenta, peressere più precisa, il primo tempo del Sesto Brandeburghese di J.S. Bach,quello senza violini. Il primo movimento per me è inebriante, mi droga. Miinietta nel cervello e nel sangue il movimento perpetuo di qualcosa che, senon tenuto a bada, potrebbe travolgere tutto. Ci penso guardando i due stelidella rosa. Non ho tempo di elaborare una teoria, devo andare a fare la spesa,ma sono sicura che in qualche modo il primo movimento del SestoBrandeburghese e la rosa di Auchan appartengono alla stessa forma di vita.

20 luglio

Arrampicata sulla scala, ho potato anche la parte alta del ligustro. Male,naturalmente. Posso dire che faccio tutto abbastanza male, in giardino, però ilgiardino è una delle poche situazioni in cui è meglio fare male che non fare.Se la guardi dall’altra parte della strada, la nostra siepe di ligustro fa venireleggermente il mal di mare. Più alta, più bassa, con qualche ramettodimenticato che si allunga a tradimento. Però non sembra più il bosco diMacbeth, cioè non sembra più una siepe di ligustro che da un momentoall’altro potrebbe mettersi a camminare da sola.

28 luglio

Picnic prima delle vacanze. Il tavolo sotto il pergolato di uva fragola è copertodi piatti e vassoi. I cibi sono sempre gli stessi, picnic dopo picnic, Pasquettadopo Pasquetta, compleanno dopo compleanno. Sia i padroni di casa che gliospiti si attengono al collaudato, e va bene così, siamo tutti contenti, nessunobrama sperimentazioni, è un piacere ritrovare gli involtini di Gianni. E ivassoi fanno festa fra loro.«Ehilà! Salve, rotolo speck e brie di Luciana! Sei qui anche quest’anno, chebello».«Ma sì, pomodorini minuscoli ripieni di Stefania, sono qui. Come state?Sempre i soliti?».

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«No, quest’anno abbiamo anche un tocco di worcester!».«Figo!», interviene l’insalata russa, una veterana, «Il worcester! L’ho sempresognato».«E puoi continuare a sognarlo», dice la torta di verdure di Simonetta, «nonesiste il worcester nell’insalata russa, non si fa».«Però questa volta siamo due!» esulta la russa, indicando una ciotola vicinadove ne occhieggia un’altra, apparentemente identica. «Lei è al pollo, io altonno!».Sconcerto, entusiasmo. L’insalata russa al pollo si pavoneggia.«Mi ha portata Luisa».«Luisa? Ma di solito non porta gli affettati misti?».«Siamo qui! Ci siamo!» si sgolano i prosciutti.«Ha portato due cose», spiega con semplice orgoglio la russa al pollo. «Me, eloro».«Aaahhh!» sollievo generale. Tutto regolare. A volte capita, che qualcunoporti due cose. Per un po’ i piatti chiacchierano tranquilli, si scambianonotizie sulle rispettive famiglie.«I miei stanno bene… Shaki è cresciuto tanto».«E Isabella no? Ormai è una ragazzina. E bella pure», si vanta la quiche dicipolle di Laura. Poi, però, lo sguardo le cade su un vassoio nuovo, con dentroqualcosa che mai si è visto al picnic. Una poltiglietta verde.«Tu? Cosa sei? Chi ti ha portato?», inquisisce burbera la parmigiana di ziaMaria.«…camole…», sussurra timidissima la poltiglietta.«Cosa?! Parla più forte!», strillano gli altri.«Gua-ca-mo-le».«E che cosa sarebbe?».«Una salsa. Di avocado».Gelo. Nessuno degli altri cibi sa cosa sia l’avocado.«Chi ti ha portato?», ripete, in forma di Gestapo, la parmigiana.«Giulia».«Giulia!», si inalberano i pomodorini. «E chi sarebbe questa Giulia?».«È nuova. È la prima volta che viene al picnic».Gli altri piatti bisbigliano, sovraeccitati… un’amica nuova… un piatto chenessuno sa cos’è… come andrà a finire?

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30 luglio

Si aprono i primi boccioli della Rosa Maledetta, quella rasa al suolo e risorta.Da lontano, sembra che il miracolo sia avvenuto: in questa nuovaincarnazione, vedo fiori bianchi e compatti, senza tracce di dolore. Miavvicino con le forbici pronte, ne voglio tagliare tre da mettere nel vasonell’ingresso.Ma l’insetto c’è. Dentro, annidato. Nero, lo stesso insetto nero di sempre.Rifletto. Forse, sepolto qui sotto, c’è tipo un vampiro però morto del tutto, unvampiro picchettato col frassino e l’aglio e la croce d’argento, che sidecompone in forma di insetti neri dentro la rosa. A questo punto, noninterferisco più. Addio, Rosa del Vampiro, per me tu non esisti.

4 agosto

Ho raccolto le prime dodici pesche. Non sono proprio mature, ancora un po’durette, ma mi sembra meglio non lasciarle maturare sull’albero, se no poi dinotte cadono, e le lumache se le mangiano. O i corvi. Invece le ho prese emesse su un canovaccio. Bellissime. Sono pesche bianche, come piacciono ame, sanno di profumo.Poi, sull’onda di questo sensazionale successo, sono andata a controllare ifichi. Niente, sono uguali a una settimana fa. Non crescono, non cadono, nonfanno niente, stanno lì, piccoli piccoli, attaccati ai rami.L’uva invece mi sembra che cresca. I grappoli sono più grossi e fatti da chicchipiù grassi. Chissà se quest’anno ce la facciamo. Scruto ansiosa ma finoraniente chicchi neri.

9 agosto

Altre quindici pesche. L’uva cresce. I cachi resistono. A chi posso affidaretutto questo ben di dio per una intera settimana? A tanto ammontano le mievacanze. Finora sono andata e venuta, tre giorni al mare qui, quattro giorni almare là, ma sempre sottotraccia, senza un vero trasferimento in massa.

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Qualcuno restava. Adesso, invece, ogni e ciascun abitante di questa casa se neva per otto giorni, da sabato a sabato. Desolation Row. Ma non desolation deltutto, perché qualcuno verrà trasferito di peso a sostituirci.Ogni anno va così: una settimana di vacanza, una persona che viene a viverequi e si occupa del giardino e dei gatti. A questa persona io lascio sempre delleistruzioni vagamente minacciose.

ISTRUZIONIGATTI: dargli da mangiare. Controllare che abbiano sempre acqua fresca.Ritirarli la sera. Pulire la sabbietta.CASA: la sera, mettere fuori i bidoni della spazzatura. Trovi l’elenco appesoalla bacheca in cucina. Mi raccomando soprattutto il bidone marrone. NONDIMENTICARTENE o vivrai invasa da puzza, ragni, topi, scarafaggi…GIARDINO: Bagnare un giorno sì e uno no. Tutto. Bene. A lungo. Nonimporta il prato, ma tutte le aiuole, le piante singole, anche quelle in fondo, inparticolare le ortensie. Bagnare con particolare cura i vasi, anche quelli appesi.COME SI BAGNANO I VASI APPESI? Con una bottiglia d’acqua e losgabellino della cucina. Oppure puoi tirali su dal terrazzo ma attenta fai pianoperché le cordicelle non sono tanto robuste. E anche quando li rimandi giù,falli scendere poco per volta.TERRAZZO E BALCONE: bagnare tutte le sere. SE piove, non bagnare, èovvio. MA controlla che anche i vasi un po’ defilati si siano presi la lororazione di pioggia, altrimenti innaffiali. E per piovere intendo acqua seria,non quattro gocce. Quattro gocce non valgono, e bisogna bagnare lo stesso.

17 agosto

Tornata a casa. Il giardino è salvo, i vasi agonizzano, come sempre. Achiunque io li affidi per la settimana cruciale, al ritorno li trovo asfissiati,inariditi, che tendono verso la vita le ultime foglie riarse. Poto, taglio, bagno,spruzzo, immergo, prego. Alla fine, quasi tutte le piantine riprendono, maqualche lisetta non ce la fa, restano quegli steli vuoti, i fiori incartapecoritinon rialzano la testa, è il prezzo che si paga alle vacanze, è la conferma di unaserena certezza: nessuno bada alle tue cose come se fossero sue, veramente.Raccolgo le ultime dodici pesche, mature e profumatissime, e passo a

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controllare cachi, fichi e uva. Tutto bene: i cachi sono palle verdi piene dienergie, i fichi sono pochi ma cominciano a ingrassare, l’uva fragola fraquindici giorni la raccogliamo. Mi sento come uno di quei possidenti, non so,tipo Mastro Don Gesualdo, o quei conti di Goldoni che hanno “le campagne”o il Vicario di Wakefield, che era povero ma un po’ di mele le aveva. Solo nonsono sicura di Mastro Don Gesualdo. Chi è? E se mi sbagliassi, e invece fosseun fabbro?Corro in casa, e passando noto che il prato va assolutamente falciato, che ilcortile è pieno di erbacce e che il glicine sta di nuovo entrando nelle camereda letto. Okay, domani, domani, oggi sono appena tornata dal mare e devofare le lavatrici.Sera. Ho controllato, niente da fare, Mastro Don Gesualdo con la campagnanon c’entra proprio niente. È una storiaccia di Verga che si basa su tutta unaserie di matrimoni riparatori. Non contiene nemmeno un frutto, nemmenoun’arancia profumata spiccata da una marchesina languida subito prima diaccettare nozze che le fanno schifo.

20 agosto

BREVE STORIA DELLA FALCIATURA DEL PRATO DAL 2004 A OGGILa falciatrice a scoppio è durata pochissimo, solo finché talvolta un uomo sioccupava lui di falciare. Per me è impossibile da usare. Non riesco a farlascoppiare. È a scoppio, but not for me, come diceva Gershwin. Io tiro ilcordino con tutte le mie forze, evocando Thor, l’olio di fegato di merluzzo eperfino notevoli dosi di doping, ma il mio braccio non ottiene niente.Quindi ho comprato una falciatrice elettrica col filo. Questa sì, riesco a usarla.Facilissima! Basta stare costantemente attenti al filo. Perché se falcio il filoelettrico con la falciatrice elettrica succede di sicuro qualcosa di bruttissimo.Quindi non posso mai falciare libera, cantando e svagando in giro per il prato.Devo tener ossessivamente d’occhio il filo e spostarlo. Spesso la spina si staccadalla presa, e devo andare a riattaccarla. Poi ogni tanto devo cambiare presa,perché il filo è lungo ma non arriva dappertutto. E comunque c’è unrettangolino del prato piccolo dietro casa dove la falciatrice non arriva mai, da

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nessuna presa. Quello in questi nove anni non è mai stato falciato. Danni?Zero.Siccome falcio raramente, e solo quando l’erba è alta più o meno come unsettenano, ogni cinque minuti il raccoglierba è pieno e devo andare asvuotarlo nel bidone degli sfalci. Quando il bidone degli sfalci è pieno, svuotoil raccoglierba direttamente nel ruscellino che sta tra casa nostra e il ristoranteaccanto. Mi sento in colpa? Per niente, l’erba mica inquina.A falciare tutto ilprato ci metto un sacco di tempo, e alla fine sono sfranta come se fossi andatadi corsa fino in piazza Vittorio e ritorno.E questa è la breve storia della falciatura del prato fino all’estate del 2012.Nell’estate del 2012, all’improvviso, come capita certe volte, ho avutoun’illuminazione. Battendomi la classica mano sulla fronte, mi sono resaconto che non c’era motivo al mondo di raccogliere l’erba e svuotarla nelbidone, ruscellino ecc.CHE BASTAVA LASCIARLA LÌ.ALÉ! Ho tolto il raccoglitore, e ho decimato i tempi di falciatura. Falcio elascio, falcio e lascio, che bellezza. L’erba resta lì, poco a poco si secca, seproprio ho voglia dopo tre giorni la rastrello, ma la maggior parte laabbandono lì, a fare quello che fa l’erba tagliata: compost, pacciamatura,bisognerebbe chiedere a chi ne sa. Quello di cui sono sicura è che è materiabuona per il prato, male non fa, paura non devo avere.

21 agosto

Non sono sola, nella mia sorda lotta col giardino. Ho due potenti alleati.Non si tratta di libri di giardinaggio o omonime rubriche, che non riesco né apadroneggiare né a imitare. Con quella mite sapienza distratta tanto irritanteper chi non è capace, i libri e le rubriche mi invitano a ordinare piccoleincantevoli piante da vivaisti umbri o veneti, mi suggeriscono come fare adavere il giardino fiorito tutto l’anno, cercano dolcemente e fermamente diindirizzarmi verso un impegno che non è alla mia portata. Rispetto a loro, micomporto come un malvivente che scivola lungo i muri sperando di passareinosservato. Non li guardo, spero che loro non vedano me.I miei alleati sono borderline. Sono degli emarginati rispetto al giardinaggio

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che conta, pubblicazioni periferiche che non mi mettono a disagio. Il primo èil catalogo di una importante ditta di fiori per corrispondenza chechiameremo CIPPIRIMERLA, per evitare grattacapi alla casa editrice chepubblica questo libro. La Cippirimerla ha rappresentato un mito per me finda quando ero bambina e la mia zia proprietaria di giardino, la zia Liliana,riceveva i cataloghi Cippirimerla. Quando andavo a casa sua, trovavomucchietti di questi cataloghi, e sognavo il giorno in cui anche io avreiordinato il “rosaio rampicante doppio Mistery Wonder” che produceva inmodo davvero mistery rose bianche insieme a rose viola, o l’affascinanteglicine giapponese bianco che nella fotina sul catalogo sovrastava in unparossismo di grappoli candidi un garage dal quale non auguravo a nessunamacchina di uscire, perché si sarebbe impiantata direttamente tra le fronde.Al momento di avere il giardino, però, a Cippirimerla non pensavo più. Mipiaceva andare nei vivai, e scegliere le piantine vis-à-vis. Poi, nell’autunnoscorso, mi sono casualmente imbattuta in un catalogo (cioè l’ho rubato dallacassetta delle lettere in un palazzo di città) e l’antica passione è riesplosa. Hoimmediatamente ordinato un pacco di bulbi che sul catalogo componevanoun’aiuola ammaliante, un mix di narcisi e tulipani bianchi e rosa, qualcosache sembrava uscito dalle matite colorate di quelli che disegnano gli sfondidelle Principesse Disney.CENERENTOLA: «Ehi, Aurora, che delizia quel tripudio di tulipani Eva Lunae Amaryllis White Garden!».BELLA ADDORMENTATA: «Vero, Cenere? Li ho presi sul catalogoCippirimerla. Vieni, adesso andiamo a rincorrere i coniglietti!».I bulbi sono arrivati, li ho piantati, e a tempo debito sono fioriti. Ma a tempodebito, appunto, e il tempo non era debito contemporaneamente per tutti. Inarcisi fiorirono al tempo dei narcisi, e i tulipani al tempo dei tulipani, e mairiprodussero l’immagine che avevo visto sul catalogo e che sicuramente, senon a uno sfondista Disney, era dovuta a un manovratore di Photoshop.Da quel momento, sono tornata ai vivi vivai dal vivo, e ho chiuso conCippirimerla. Ma Cippirimerla non ha chiuso con me. Continua instancabilea mandarmi cataloghi e tante mail con offerte prodigiose tipo duecento bulbipiù un faro a energia solare più una casetta per pipistrelli più tre nanettiportacandela. Non le accetto mai, ma loro non si scoraggiano, e continuano apropormi occasioni irrinunciabili. Ma le mail migliori di Cippirimerla sono

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quelle con i consigli di giardinaggio. Me ne mandano, implacabili, una almese. E tutti i mesi io li leggo, e ne dispongo nel migliore dei modi. Vediamo,ad esempio, quali sono i consigli di giardinaggio di Cippirimerla per il mesedi agosto.

1. Hai già pensato alla potatura estiva per gli alberi da frutto?2. Non dimenticare che un prato sano ha bisogno di cure regolari.3. L’irrigazione nel periodo estivo è fondamentale, ecco alcuni utilisuggerimenti.4. Il laghetto in giardino regala equilibrio e armonia. Non trascurare la suamanutenzione.5. Prenditi cura delle piante in casa. Hanno bisogno di molta aria, acqua eluce.

Bene, il laghetto non ce l’ho e quindi il numero quattro posso spuntarlo. Ilnumero due lo interpreto come «Taglia l’erba» e il numero tre come«Innaffia», e più o meno ci siamo. Le piante in casa non mi piacciono tanto, ene ho pochissime, che vivacchiano senza arte né parte, tranne una yucca dicui non mi spiego l’ostinazione.Ricordo ancora quand’è arrivata, bambina, dono di un ragazzo di nomeAndrea. Era piccola, bruttina, l’ho messa lì, sopra le scale, e ogni tanto le davoun po’ d’acqua. Tanto è bastato a farla crescere, durare, aumentare, sollevarsia dimensioni ormai da piccolo albero. L’ho rinvasata un paio di volte, d’estatela tengo sul terrazzo, d’inverno la tiro dentro. Ora però mi sono stufata di lei,è troppo grossa, si è inclinata e non so perché, è quasi orizzontale, dovreimetterla in un vaso più grosso, perché non muore? Quindi, a meno cheCippirimerla mi consigli come ammazzare dolcemente una yucca senza farlasoffrire, spunto pure questo.Resta solo la potatura estiva degli alberi da frutto. Clicco per andare adapprofondire il consiglio, e leggo che la potatura estiva degli alberi da fruttoserve a rimediare eventuali errori della potatura invernale. E visto che lapotatura invernale non l’ho fatta, e quindi non ho errori da rimediare, spuntoanche questo. A posto.Ora però faccio il controllo incrociato con l’altra mia fonte di consigli digiardinaggio, e cioè il calendario che ho comprato all’ufficio postale. Sichiama «Lunario di Casa e Campagna», un nome balsamico. I consigli sono

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ricchi e abbondanti, e il LDCEC è il tipo di calendario che vorresti con te suun’isola deserta, perché almeno per i primi mesi qualcosa da leggere cel’avresti. In ogni pagina c’è un proverbio; un elenco di frutta e verdura distagione; un compendio del segno del mese, ovvero colore, pietra, metalloecc.; una ricetta; consigli per l’orto; consigli per il frutteto; consigli per ilgiardino; le fasi lunari; frasi di saggezza popolare. Questo nella pagina delmese vero e proprio. Dietro, altre ricette, informazioni sui cibi e le erbemedicinali. Un’abbondanza che raramente si riscontra nel calendario didesign.Cosa dice il LDCEC per il mese di agosto?Mi informa che la pietra della Vergine è l’acquamarina, beata lei, la vorrei io,che purtroppo della Vergine non sono. Mi insegna a fare la piadinaromagnola, mi segnala che pomodori e anguria sono frutti di stagione, mientusiasma rammentandomi che stanotte, proprio stanotte 21 agosto, ci saràla luna piena, e mi elenca innumerevoli lavori da fare in giardino.Devo seminare in cassetta viole e primule. Perché? Perché? Viole e primule siacquistano già abbondantemente seminate al mercato del venerdì, in piazza,verso febbraio/marzo. Niente, lo salto.Si potano le rose non rifiorenti, si tagliano alla base i rami vecchi e sfioritidelle ortensie, si potano gli arbusti sempreverdi, le siepi sempreverdi… e finqui più o meno ci siamo, non dico che lo farò, ma capisco la proposta. Èsubito dopo che vado nel panico. Quando il «Lunario» mi ingiunge diancorare i polloni dei rampicanti. Eh? I cosa? Fare cosa ai cosa? Aiuto,Google!!!Per fortuna, nella pagina dietro trovo un box sul cavolfiore, moltointeressante. Ad esempio, mi consiglia di comprarlo quando è bello, bianco,sodo e compatto, e non invece quando è pieno di macchie, ha le foglie molli esi sgretola a guardarlo. Grazie, «Lunario», venerdì al mercato me nericorderò.

25 agosto

È arrivato il momento di affrontare il buco. È domenica, posso farlo. Non houn lavoro alla gola che me lo impedisca, né obblighi familiari che mi

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invischino. Sono, sempre relativissimamente parlando, libera. Metto glistivali, prendo un paio di guanti, il falcetto, il seghetto, e vado.Ah, buco. Troppo ti ho trascurato. I rovi hanno preso il controllo, sonoovunque. La buddleia, che nel buco cresce spontanea e abbondante, stacercando di uccidere il fico, e la fitolacca bastarda occupa tutto lo spaziolasciato libero dai rovi, e anche un po’ dello spazio occupato dai rovi, ci sonodisgustosi abbracci tra fitolacca e rovi, mancano solo i denti di leone e poiavrei tutta insieme la mia vegetazione sfavorita. Le canne del vicino avanzanocome i lanzichenecchi di Wallenstein nei Promessi Sposi.Attraverso il buco da cima a fondo e mi sento come uno di quei re di Praga(tanto per restare in tema della Guerra dei Trent’Anni) che incapaci direggere la situazione si lasciavano defenestrare. Mi siedo sotto il fico che staper essere ucciso, nonostante i frutti siano ormai praticamente maturi, epenso.Ci sono. Trovata la soluzione. Niente Guerra dei Trent’anni, la mia predilettain questo caso non può essermi d’aiuto. Qui ci vuole Salgari. Mi alzo, e sonoYanez. Ho il machete in mano, e inizio a combattere come se ogni rovo, ognifitolacca e (soprattutto) ogni canna del vicino fosse un thug. Per darmi ancorapiù slancio, creo una specie nuova di Yanez, diversa ma ampiamentepossibile. Sono Yanez Guevara.

29 agosto

Raccolgo i primi fichi maturi. Buoni. Molti sono passati dalla fase “ancoraacerbi” alla fase “già quasi marci”. Chissà perché.Non sono tantissimi, ma in fondo meglio così, altrimenti mi toccherebbe farela marmellata di fichi che, gettiamo la maschera, non mi piace. Troppo dolce.L’anno prossimo pianto i lamponi. Di nuovo, dovrei aggiungere. Li ho giàpiantati molte volte, ma complessivamente ricordo di averne mangiati tre.Vorrei arbusti di lamponi carichi di frutti, coi rami che si piegano, perraccoglierli e fare la marmellata di lamponi, che invece mi piace molto.Ci penso mentre sono al supermercato, e passo davanti alle marmellate.Eccola qui, marmellata di lamponi. Alla fine, tutta questa letteratura sullemarmellate fatte in casa? Compro la Zuegg, sentendomi disincantata.

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3 settembre

In giardino ci sono attività di pace e di guerra. Oggi mi dedico a un’attività dipace, detta “La Vecchina nel Bosco”.Salve, sono la Vecchina nel Bosco. Probabilmente sono una Strega, buona ocattiva. In questo caso, se ne accorgerà la prima Fanciulla, o Principessina, oPrincipino, o Fratellini e Sorelline, che si imbatteranno casualmente in me.Un incontro fatale, per la loro esistenza, in bene o in male. Dipende se miaiuteranno o meno a trasportare la legna. Dalle loro labbra usciranno Rospi oPerle? Donerò loro Anelli Magici e Protettivi o Frustini che partonoautonomamente diretti alle loro schiene? Ancora non lo so. Per adesso, milimito a raccogliere la legna che loro, poi, dovranno aiutarmi a portare allamia casetta di biscotti. Il trasporto della legna è, come dire, la base, la traveche sostiene la vicenda. Se la vecchina la legna se la facesse portare a casa dalsignor Martinotti, come me, o usasse la stufa a pellet, o, peggio che mai,avesse i termosifoni, metà delle storie dei fratelli Grimm non sarebbero maistate scritte.Ovviamente, visto che sono la Vecchina nel Bosco in un giardinettosuburbano, raccolgo fuscelli, non tronchetti. Sfrugo e sgratto tra le fogliesecche del faggio che non ho mai del tutto eliminato. Quanti rametti caduti, efuscellame vario. Per tutta l’estate si accumulano, e adesso posso fare lefascine. Posso catapultarmi come un sasso fiondato nei Fratelli Grimm, e farefascine nel bosco. Signore, grazie!Raccolgo i rametti, li spezzo se sono troppo lunghi, li lego col filo di rafia, liammucchio in garage. Tra un mesetto, quando comincerò ad accendere lastufa, li userò per far partire il fuoco, prima di buttarci dentro i corpositronchetti che mi porta il signor Martinotti.Alla fine, quando sono stanca spiattata e la pila di fascine assomiglia a unconto in banca, mi rendo conto che per oggi principesse non ne ho viste.Cioè, una è passata, ma ha detto: «Ciao, vado fino in centro a vedere se trovodei leggins da Tally Weijl».

4 settembre

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Ma i gladioli, perché non stanno su?Non sono fiori che prediligo, ma ne ho un po’ attorno al calycanthus perchéin agosto e settembre sono una bella macchia di rosa in un giardino checomincia a perdere i colpi. E loro sono spuntati e sbocciati, MA,inevitabilmente, dopo un po’ i rami si inclinano e crollano. Non ce la possonofare. Troppo è il peso della vita, per i gladioli. Eppure sono esseri naturali,creati e non prodotti da esperimenti. Sono stati gladioli sempre, fin daquando le donne romane li piantavano nei vasi sussurrando fra amiche:«Carini… come li chiamiamo?«…assomigliano al gladio… chiamiamoli gladioli».Forse, col passare dei secoli, hanno perso quel bel carattere marziale dei fioriromani, sono passati attraverso il romanticismo, Heidegger, il pensierodebole, e adesso non hanno più l’energia necessaria a stare dritti. Fioridebilitati dalla cultura. Peccato.

7 settembre

C’è un bambino, nel mio giardino. È arrivato in compagnia di un adulto.L’adulto si siede al tavolo davanti a casa, il bambino, con passo calmo, giral’angolo e non lo vediamo più. Avrà sette anni, forse otto. Dopo un po’, vadoa cercarlo, per informarmi sui suoi desideri: vuole l’aranciata? Vuole pane eNutella?Lo vedo seduto sul dondolo in fondo al prato. Questo dondolo è anche lui,come tutte le componenti del giardino, un dondolo di guerriglia. Poche oredopo essere arrivato, nuovo di pacca nei suoi scatoloni del Bricocenter, era giàleggermente rotto. Non è mai stato stabile, perché in nessun punto il giardinoè veramente piatto, e la copertura di cuscini è stata quasi sempre sporca.Adesso però è decisamente rotto, non nella struttura, ma nel sedile, la cui basedi tela rigida non è più una base, perché la tela è stata strappata. Quindi ilbambino sta seduto sul nulla, credo appoggiato ai supporti di metallo. Dalontano, lo vedo immobile, con la testa china. Poi alza la testa, è sempreimmobile. «Guarda», penso io, «che bambino riflessivo e meditabondo. Staqui, seduto su un dondolo rotto, e osserva il mondo intorno a lui».Mi avvicino, ed eccolo lì che guarda lontano, assorto. Mi sembra quasi di

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disturbarlo, gli chiedo se vuole qualcosa, non vuole niente. «Ho anche deigelati».«No, no, grazie».«Vuoi venire in casa? Ti accendo Sky».«No, grazie, sto bene qui».Accidenti. Tipo, Kant a sette anni. Kant a sette anni in un giardino, cheosserva la natura intorno a lui, e comincia a pensare: «Ehh… e la ragione?Come sarà, pratica o pura? Le faccio tutte e due, magari. E come si puòottenere la pace perpetua?».Sto per girarmi e andarmene, quando noto che dalla sua piccola manoappoggiata con determinazione su Quel Che Resta del Dondolo spunta unrettangolino nero.Va bene che abbia l’iPhone di suo padre e stesse giocando, ma perché farlo dinascosto? A sette anni già ci si preoccupa di fingersi intellettuali?Torno in casa, mi metto a stirare, e intanto penso a…

ATTIVITÀ DEI BAMBINI IN GIARDINOLe bambine piccole hanno paura dell’erba. Non amano essere posate sulprato. La guardano con diffidenza, e scelgono la rassicurante assenza dimistero del marciapiede di cemento. Tutti quei fili verdi, tra cui sinascondono mille cosine sporche, non fanno per la bambina di tre annicresciuta in un appartamento. I fiori le piacciono, questo sì, ma solo se tenutain braccio e accostata ai medesimi. Apprezza anche le coccinelle, una voltaselezionate, e appoggiate in luogo liscio. La bambina ancora più piccola,quella che gattona, nell’erba non gattona. Essa gattona ovunque, anche sullatangenziale se appena gliene dai la possibilità, ma sul prato assolutamente no.È l’unico posto al mondo in cui, se la metti su un telo, ci resta.Un bambino di nome Davide in giardino fa questo: prende a calci un pallone,ma per poco, poi si guarda intorno, un po’ spento. L’ambiente non èstimolante. Altri bambini trascorrono ore liete inseguendo i gatti, non lui. Igatti non gli piacciono. Lo vedo demotivato, in cerca di qualcosa che glirestituisca lo slancio dei suoi otto anni. E lo trova. Arriva un’altra visitatrice,una bambina bionda con gli occhiali. Davide si illumina, raddrizza le spalle, siavvicina alla bambina con un grande sorriso stampato in volto, le prende gliocchiali, e glieli rompe.Ma c’è una cosa che rende immancabilmente felici tutti i bambini che passano

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in questo giardino. Se Adamo ed Eva da piccoli avessero avuto questa cosa nelgiardino dell’Eden, non se ne sarebbero andati più. Una tenda Quechua. Diquelle che si aprono in due secondi. Chiuderle è un’altra storia, ma in questomomento non siamo qui per chiudere la mia tenda Quechua, siamo qui peraprirla. OOP! Eccola pronta in mezzo al prato. E vrrrrooooom! Tutti i bambinidentro…Le ragazzine spettegolano sdraiate sui cuscini, qualcuno ci rovescia dentrouna scatola di Duplo e costruisce un mondo, qualcun altro riesce con iSuperpoteri ad acchiappare Trilli e la imprigiona, una strappa margherite confuria, le porta nella tenda Quechua, e poi non sa più cosa farne…Ai bambini piace il giardino, se possono stare tutti insieme chiusi dentro unatenda blu.

10 settembre

Una delle attività più insulse che si possano praticare in un giardino è: cercaredi capire dov’è il nido delle vespe.Si procede così. Un giorno capisci che da qualche parte, all’interno del tuogiardino, c’è sicuramente un nido di vespe. Lo capisci perché decine dimigliaia di vespe ronzano tutte insieme sopra il tavolo con qualche avanzo dipanino al prosciutto. Tu non sai molto, di zoologia, ma sai che se è carnivora,è vespa. Se no, è ape. Quindi c’è un nido di vespe, e va sterminato. Per poterloannientare, però, bisogna scoprire dov’è. E per scoprirlo, hai soltanto unsistema… metterti lì, seduta, zitta e ferma, e osservare le vespe. Capire dovevanno. Lì, è il nido.Di sicuro altre persone dotate di maggior dimestichezza con gli insettisaprebbero fare qualcosa di meglio. Io no. Perciò in un bel pomeriggio di solesettembrino mi siedo immobile su una sdraio accanto al tavolo, e guardo.Osservo le vespe volare e cerco di seguirle, sperando che prima o poi una dicaalle altre:VESPA: «Ehi ragazze, si è fatta una certa. Andiamo a casa che staseragiochiamo a Risiko».E via tutte verso un unico buco nel terreno, o nel cavo di un albero, o nelmuro. Invece queste continuano a girare come liceali il sabato pomeriggio, e

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io mi sto anchilosando. Vorrei avere un colpo di fortuna, ad esempio, sepassasse un’ape che conoscono…VESPA: «Ciao Loris! Come va col millefiori?».LORIS L’APE: «Ehi, Olga, che piacere… bene, grazie, adesso sto andando pertrifoglio. E tu? Vieni a farti un giro?».VESPA: «No, grazie... è tardi, devo tornare a casa, se no mia madre chi lasente?».LORIS L’APE: «Abitate sempre sulla destra della rosa antica, mezzi nascostisotto la siepe?».VESPA: «Certo! E chi ci smuove, a noi?».Ed ecco fatto. Potrei aspettare il buio, prendere la mia tanichetta di petrolio, efarle fuori. E invece passano i minuti, e non vedo vespe rientrare, e sto perrinunciare e andarmene quando finalmente vedo un gnocco di insettiinfilarsi… sotto la base dell’ombrellone? Beccate!Godevi il pomeriggio, ragazze, perché per voi è l’ultimo.

15 settembre

Vendemmiamo. Stacchiamo grappoli grossi e profumati, compatti, neancheun chicco rovinato. Ne stacchiamo altri meno precisi, con chicchi neri,raspetti al vento dove il chicco è caduto o è stato mangiato da qualcheanimale volante. Però, insomma, ci siamo. Facciamo una decina di cassettetra belle e brutte, le brutte per noi, le belle da regalare.Lascio qualche grappolo sulla vite. Non so dove, non so quando, e meno chemai so perché, ma ho letto che bisogna lasciare qualcosa sulla pianta, per…per chi? Babbo Natale no. A lui si lasciano i biscotti sotto l’albero. Dioneanche, credo. Non mi sembra il tipo di cose che si fanno per Dio. Per lanatura? Già più probabile. Per gli uccellini, forse. Comunque, io lascio, anchesolo per il piacere di dimenticarmene, e poi fra una settimana passo di qui, e ilgrappolo è ancora lì, più maturo, quasi sfatto, a quel punto di insopportabiledolcezza che invece per me è il punto perfetto. E allora lo coglierò, sorpresa econtenta.Però, siccome sono una ricercatrice naturale, provo a digitare “lasciarequalcosa sulla pianta per…”, sperando che mi completino il concetto. Niente,

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questa volta non funziona. Mi esce una pagina di siti in cui “lasciare” e“pianta” fanno parte di altre storie. Però i risultati riescono lo stesso a farmidivertire. La prima voce della pagina insegna a coltivare la marijuana indoor.

21 settembre

La signora Ramotswe, residente in Zebra Drive, Gaborone, Botswana, amafarsi un giretto nel suo giardino alla mattina presto, prima che il signor J.L.B.Matekoni e i loro figli Puso e Motholeli si sveglino. Li conoscete? No? Beativoi, allora, che ancora dovete leggervi i molti volumi scritti da AlexanderMcCall Smith, in cui racconta vita e avventure di questa signora, l’unicainvestigatrice privata del Botswana. A ogni modo, anche a me piace fare ungiretto ecc. prima che il signor Bla Bla ecc. si sveglino, e stamattina, mentremi godevo una delle ultime albe estive alle 7 e 10 circa, a un certo punto,distrattamente, ho cominciato a staccare i fiori secchi dagli otto vasi di geraniche tengo accanto alla porta di ingresso. Altri quattro gerani, del tipo“parigini”, li tengo in quattro cestini appesi al terrazzo superiore chespenzolano sopra il divano nello spiazzo davanti alla porta di casa. Esistesempre la possibilità che si stacchino di brutto contundendo seriamenteeventuali occupanti del divano (di solito gatti), ma finora non è successo.Altri dieci forse o dodici gerani stanno nel bordo di terra che perimetra ilterrazzo di sopra. Perché mai un tale profluvio di gerani, visto che più o menotutti coloro che hanno un rapporto attivo e critico con la flora considerano ilgeranio pianta banale da davanzale altoatesino?In effetti, sui bei terrazzi e nei bei giardini di cugine, amiche e conoscenti ilgeranio è scarsissimo. In compenso, svetta e sfavilla su tutti i balconcini deicondomini che vedo dalla finestra di casa. I condomini sono gente pratica e,come me, stimano il geranio. Il geranio, per quanto mi riguarda, ha alcunevirtù difficilmente rimpiazzabili con altre. È colorato, di tanti colori e tuttistesi a doppia mano. Sono colori bellissimi, e quelli screziati sono esagerati.Costa poco. Dura tanto. Fiorisce sempre. Non muore quasi mai a menoproprio di non fargli patire la sete per settimane. È un virtuoso della morteapparente: vedi, in aprile, certi vasetti riarsi, con dentro una tristissimaflescetta di geranio spento, solo il gambino marroncino, una pena, ma ALT,

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non buttarlo. Mettilo dove possa prendere la pioggia, e non pensarci più. Ungiorno, passandogli davanti, noterai un fiore rosso.In agosto lo pianto nei vasi sul balcone davanti alla camera da letto e mi illudoche mi protegga dalle zanzare. Quello limoncino, che nel linguaggio dei fiorivuol dire capriccio.E adesso, in settembre, continua a sfavillare cremisi e rosa, e bianchissimo, eviola. E in ottobre sarà ancora lì, mentre intorno tutto il resto si accartoccia.Rientro in casa, e la mattina è ancora mia. Nessuno si è svegliato, d’altra parteè sabato, giorno prezioso, quindi ho tempo di fare una piccola ricerca. Vogliovedere se, ad esempio, Chopin ha mai scritto il “Valzer del Geranio”, seVermeer ha dipinto “La lattaia e il geranio”, se Gaudí ha seminato in qualcheangolo della Catalogna “La Casa del Geranio”, ogni petalo una finestra. SeSandro Penna ha scritto “Oh geranietto che dal taschino losco mi guardi,coglier ti vorrei se ormai non fosse tardi”. Se Shelley ha composto un’“Ode toa declining geranium”. Insomma, se qualcuno ha mai pensato a questo fioredomestico in termini artistici.Ma trovo solo poesie brutte di autori sconosciuti, una canzone della PFM chesi intitola Geranio però parla di tutt’altro, e potrebbe anche intitolarsi “Cucinaa sei fuochi”, sarebbe uguale, e una strofa di Guido Gozzano che fa così: «Eintorno declina l’estate. E sopra un geranio vermiglio, / fremendo le alicaudate / si libra un enorme Papilio...».Va be’, certo. Ora devo andare a fare la spesa, fine della ricreazione, peccatoche non ho tempo di controllare cosa ha scritto Gozzano sulle ortensie,perché sicuramente ha scritto qualcosa. Anzi, mi sembra di ricordare che lasignora non più bella fra poco, andando in bicicletta, si scontra con delleortensie? È possibile?

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AUTUNNO

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22 settembre

Domenica. Fa caldo, si mangia ancora in giardino, sotto il pergolato, privatodell’uva ma non delle foglie. Le quali però in questa stagione non sono cosìfitte da nascondere i commensali alla vista di chi cammina lungo lapasseggiata che sta tra il giardino e il fiume. È su un argine, un po’ in alto; chipassa guarda in basso, e vede tra le fronde teste che conosce. Chi mangiaguarda in alto, e vede tra le fronde gambe che conosce.Il nostro pranzo era composto da pasta leggera, con pomodoro fresco ebasilico. Involtini di pollo, però con la frittatina dentro e non il prosciutto, einsalata con lattuga e rucola e pomodorini e cetrioli e carote e sedano ecipollino, e poi anche la torta di Panorama, la nostra preferita. Conoscete letorte di Panorama? Sono buonissime, non so se sane dal punto di vistaorganico ed etico, ma alla fine, ogni tanto, invece di oneste torte di mele,salubri crostate, impeccabili tiramisù tirati su con le nostre mani, è moltobello approfittare delle aperture domenicali, splendida eredità del GovernoMonti, andare da Panorama e comprare una torta glassata, cremata, decorata,liquorata, cioccolatosa, spugnosa, deliziosa.E siamo proprio lì, che stiamo per tagliare la torta di Panorama, che dallapasseggiata arriva un:«Ciao!».«Ehi!».Guardiamo su, è un amico in bicicletta con due figliolini su biciclette piùpiccole.«Venite giù!».«No, ma non vorremmo…».«Dai! Venite giù! Stiamo mangiando la torta!».Pensa come sono fortunati, arrivare proprio adesso. Ci congratuliamo conloro, e mentre qualcuno taglia la torta per tutti, io vado a fare il caffè, duecaffettiere, perché una non basta.

2 ottobre

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C’è un momento di incantevole stasi. Quei quindici giorni, all’inizio diottobre, in cui non devi più falciare e bagnare il giardino, e non devi ancoraaccendere la stufa. Si racimola qualche manciata di minuti e ore alla settimanain cui leggere, riordinare gli armadi, cucire, andare a Biella a trovare la zia.Poi, una sera, verso le sei, una forza magnetica ti spinge a scendere in garage,riempire una cassetta di fascine e pezzi di legno, strappare un pezzo di«Repubblica», e controllare se nella scatola di fiammiferi lunghi ce n’è ancoraqualcuno.

15 ottobre

Esco, e vado a parlare ai bulbi. A quelli piantati negli scorsi anni, che siacquattano in vari punti del giardino, a fare flanella. Quest’anno, hointenzione di fare la voce grossa. Li informo che non ne pianterò di nuovi. Perla prima volta in dieci anni, non andrò da Fantino (tra San Mauro eCastiglione, poco dopo La Valletta Riding Club, subito prima del CarrefourMarket) a comprare narcisi e gladioli, tulipani, crocus e bucaneve. Niente.«E sapete perché? Perché voglio vedere che cosa spunterà a primavera. Sequalcuno di voi vorrà degnarsi di fiorire. In questo giardino ci sono dieci annidi bulbi inadempienti, che sono fioriti un anno, massimo due, e invece dimoltiplicarsi come i pani e i pesci di Gesù, invadendo il prato e i bordi, ecreando allegre macchie di colore, stanno sottoterra rachitici e aridi, incapacidi dare. Quei pochi di voi che non sono completamente inerti, si limitano abuttare foglie. Io non so cosa farmene delle foglie. Quindi quest’anno nonpianto niente di nuovo, e vediamo ad aprile cosa succede. Se non succedeniente, vi scavo tutti fuori e VI BUTTO».

20 ottobre

Un enorme faggio, una grande magnolia, un acero di notevole altezza. Losapete cosa significa tutto questo alla fine di ottobre?Significa foglie. Grandi quantità di foglie secche ovunque, e se c’è un po’ divento, vanno anche nell’ovunque dei vicini, e per strada, fino alle vielimitrofe. Questo dà inizio alla guerriglia delle foglie del faggio. I vicini sono

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assai irritati di trovarsi le mie foglie nei loro giardini. Vengono a suonarmi, eprotestano. Io avrei due cose da dirgli, una posso, e l’altra no.Posso dire, e dico: «Mi dispiace, ma sapete com’è, in autunno le foglie sistaccano, e se c’è vento volano, che posso farci?».Non posso dire, e non dico: «E se le foglie vi danno tanta noia, perché non vitrasferite in un appartamento al terzo piano in un quartiere torinese ascelta?».La proposta dei vicini, ma più che una proposta sembra quasi una minaccia, èche io raccolga e chiuda in sacchi velocissimamente le foglie del faggio (le piùnumerose, le più volatili) man mano che cadono, per poi trasferire i sacchi alcentro di raccolta ecologica situato in via Domodossola.La mia risposta è che questo genere di cose le chiedono i re cattivi alleprincipesse belle che non vogliono sposarli:«E allora il re socchiuse gli occhi come fanno le vipere, e disse a Ranuncolina:“Entro stasera devi aver raccolto tutte le foglie del faggio, e averle rinchiuse ingrandi sacchi neri, e averle depositate al centro ecologico di via Domodossola.E se domattina troverò una, una sola foglia di faggio nel prato, tu mi sposerai,per amore o per forza!”.E Ranuncolina scoppiò a piangere, perché ben sapeva che troppe erano lefoglie del faggio, e troppe ne continuavano a cadere, e mai sarebbe riuscita araccoglierle tutte… e…E di solito a quel punto arriva Tremotino», informo i vicini.I vicini minacciano di chiamare i Vigili. I Vigili arrivano anche senza esserechiamati, perché il marciapiede di casa mia è ingombro di foglie, e non spettaai loro Operatori Ecologici raccoglierle e disporne, perché provengono dallamia proprietà, e dunque io, e soltanto io, devo spazzare il marciapiede.E tutta questa aggressività per delle graziose foglie gialle e arancioni, che ioinfatti lascio in gran parte là dove cadono, a fare terriccio, proteggere ipiantini, creare un ambiente autunnale. E quelle che raccolgo, mi guardo benedal chiuderle in sacchi e portarle in via Domodossola. Le butto nel buco, afare terriccio anche lì. A questo servono le foglie, a fare terriccio, e quindiperché i miei vicini non le lasciano agire indisturbate, invece di agitarsiperché esse rovinano le aiuole di dalie? Tra l’altro, io le dalie le seminosempre e non crescono mai. Le foglie, almeno loro, crescono.

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3 novembre

Mi hanno regalato la «Complete Garden Guide» del 1951. Nonostante ilnome roboante, è un catalogo di semi e articoli da giardino, emesso dalla dittaValley Feed and Seed a Lebanon, nell’Oregon. Prima cosa, vado a vedere seesiste veramente Lebanon, nell’Oregon. Con questo nome che evoca cedri emediterraneo, che ci fa nell’Oregon?Esiste veramente, e ha 12.867 abitanti. Adesso. Nel 1951 ne avrà avuti…mah… settemila? È la sede dello Strawberry Festival, nel corso del quale ognianno viene preparata la più grande crostata di fragole del mondo. Okay,quindi la vita veramente ha dei suoi percorsi ben segnati, visto che io abito aSan Mauro, dove ogni anno si celebra la Festa delle Fragole…Corroborata da questa affinità, inizio a sfogliare il catalogo, e non posso cheammirarne la sobrietà da anni cinquanta. Poche foto a colori, tante in biancoe nero. Tra quelle a colori, mi colpisce la Striped Klondike Blue Ribbon.Cos’è? Un’anguria! Nella pagina accanto, sembrerebbe che vendano insetti.Ma dai. C’è il Red Spider, il Potato Beetle, il Beet Leafhopper… e pure il BeanWeevil, che ha l’aria veramente cattivissima. Chi li comprerà? Non vedo ilprezzo.In effetti, non li vendono, i disegni che li illustrano accompagnano leistruzioni per sbarazzarsene. E che istruzioni: hanno un andazzo cosìadorabilmente anni cinquanta che potrebbe cantarle Doris Day vestita digiallo. Traduco per voi.Titolo: SCONFIGGERE QUESTI INSETTI È FACILE, SE SAI COME FARE.«Fin da quando è stato piantato il primo giardino, va avanti la lieta lotta frainsetti e giardinieri (goes merrily along).Ma oggigiorno questa lotta sta diventando sempre più facile. Al giardinierebasta un minimo di strategia per vincerla.E per rendere il vostro lavoro ancora più semplice, presentiamo qui accantouna preziosissima arma anti-insetti. Una serie di ritratti a colori naturali deipiù comuni nemici del giardino (a destra).Queste illustrazioni di bellezza unica hanno uno scopo preciso: aiutarvi ariconoscere i nemici del vostro giardino».Ti amo, catalogo di Valley Feed and Seed. A maggio, prenderò le tueillustrazioni di bellezza unica e mi apposterò accanto alla Rosa del Vampiro.

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Quando, come sicuramente succederà, riprenderà vita dal nulla a cui l’hocondannata, e farà i fiori, e dentro ogni fiore ci sarà un insetto, io confronteròl’insetto con quelli da te illustrati, e saprò come si chiama. Poi ti ordineròl’insetticida giusto, affidando la lettera alla macchina del tempo.Comunque, già così, guardando le ill. di bell. unica, mi pare di averlo beccato.Assomiglia molto al Potato Flea Beetle. Ma se è Potato Flea, cha ci fa in unarosa?

8 novembre

Nessuno sa quando è veramente il momento giusto per raccogliere i cachi. Cidev’essere stata una gelata, devono essere ancora acerbi, ma non troppo se nonon matureranno, devono essere così e colà…In pratica, devi guardarli, nel loro splendido fiammeggiare sui rami brullidell’albero, e capire che it’s now or never, come diceva Elvis.L’anno scorso li ho colti al momento sbagliato, non ricordo se troppo presto otroppo tardi. Quest’anno li raccolgo al momento giusto. Armata di scala e diuna aiutante, scendo nel buco e li stacco uno a uno. Sono ancora opachi.Sapete i cachi quando sembrano mele arancioni, e sono duri, e se proprio haisfiga restano così, perché hai comprato l’albero sbagliato e sono cachivaniglia.Non è il mio caso, per fortuna. I miei sono cachi veri, quelli che si fanno mollie dolci, e li puoi succhiare.Ne raccolgo trentacinque. Sono tanti, eh? Divisi in cassette, li appoggio amaturare sul tavolo nel garage. Qualcuno lo regalo all’aiutante, gli altri limangerò io, uno per uno, piano piano, perché fra tutte le persone che abitanoo frequentano questa casa sono l’unica a cui piace mangiarli.A tutti, invece, piace guardarli, quando stanno come lanterne cinesi sui ramispogli.

12 novembre

Il 12 novembre in giardino non c’è neanche un fiore, tranne qualchetenacissima rosa però tutta rabbrividita e stanca.

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Meno male che ci sono le bacche, quelle delle rose che ho lasciatodeliberatamente baccare non togliendo i fiori secchi, quelle del cotoneaster,quelle di altre piante di cui non so il nome. Bacche rosse, gialle, arancio. Leguardo, e mi viene l’acquolina in bocca dalla voglia di farne ghirlandine efestoni da appendere al cancello e alla porta di casa. Purtroppo, non sonocapace a fare né ghirlandine né festoni. Quando ci ho provato, sono venutefuori flosce, sbilenche e mute. Però le bacche sono così belle che non resisto avolerle, e ne stacco rami e rametti che metto in un vaso, senza foglie perchénon mi piacciono tanto i riempitivi.Magnifiche. Per due ore. Poi già intristiscono. L’acqua l’ho messa, eh… Forsenon dovevo metterla? Dovevo lasciarle seccare?Taglio altri ciuffi rossi, gialli, arancioni, e li metto nel vaso senza l’acqua.Intristiscono più o meno nello stesso lasso di tempo.Mi rassegno: la bellezza delle bacche non è trasferibile.

18 novembre

Insegnano le Maestre di Giardino (i Maestri non li conto, sono un po’ comegli chef, se la tirano) che nei mesi invernali, quando non c’è molto da fare sulcampo, è il momento giusto per progettare i lavori di primavera. Per quantomi riguarda, non progetto niente perché so che non riuscirei a mantenere.Però stasera faccio una cosa che ogni tanto mi piace: prendo una copertinabianca e azzurra dell’Ikea e vado a sedermi fuori, a pensare al giardino diScoop e a far finta che, se fosse giorno, e fosse maggio, questo sarebbe ilgiardino di Scoop.Il giardino ideale. Quello che non dimentichi, quello a cui vorresti ispirarti seavessi tempo, soldi, determinazione, condizioni climatiche favorevoli. Tuttiquelli che amano i giardini ne hanno il loro modello angelicato, e il mio stadentro il film Scoop. Ci sono parecchi scorci di verde straziantemente bello inScoop, ad esempio quando Woody Allen e Scarlett Johansson vanno allatenuta di Hugh Jackman. A prima vista il parco non mi diceva molto, unospazio classicheggiante, con le siepi squadrate o a forme innaturali. Erbaverdissima, tutta uguale. Bof. Però poi Hugh e Scarlett vanno a flirtare nelroseto, e che roseto… È lì che ho capito che la storia si svolge in maggio.

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Sapete com’è, i film non sempre permettono di capire in quale stagionesiamo, a meno che non siano film di Natale o di vacanze. Qui invece èsicuramente maggio.Ma il giardino perfetto non è lì. Arriva più tardi, verso la fine del film: Scarlette Woody sono a casa di Scarlett, in città, e vanno a bere qualcosa, un qualcosadi alcolico e complicato, nel giardinetto dietro casa, uno di quelli chiusi framuri, che mi piacciono tanto. Ecco, allora vedo sullo schermo il giardinoideale: abbondante, fitto, tantissimi fiori di tutti i colori messi in modo da nonconfondersi ma esaltarsi, e lo stesso le foglie, e i gambi, volumi perfetti unoaccanto all’altro, il caos riprodotto ad arte, generato e non creato, agitato enon mescolato.Uno spazio nello stesso tempo domestico e fiabesco, vegetazione fintamenteselvaggia da cui ti aspetti di veder spuntare una fata, ma si tratteràsicuramente di una fata che al massimo trasforma il pane e burro in pane emarmellata.Ogni tanto, prendo il DVD, lo infilo nel Mac e mi riguardo quella scena. Emai, mai, ho riconosciuto un singolo fiore. D’altra parte, non è che quandoascolto Mozart riconosco le note. Al buio, con quel poco di freddo che questodeludente e mite autunno mi concede, penso al giardino di Scoop e, siccomenon so il nome di niente che c’è lì, penso a qualcosa che non so a cosa penso.

29 novembre

Quando nevica, come è successo un paio di volte in questi giorni, la faccendadel microclima da giardino si manifesta in tutta la sua potenza. Il fatto è che ilmio giardino appartiene a due zone climatiche diverse, una davanti e unadietro casa. La casa delimita il confine fra la Finlandia e la Spagna. Come inquel racconto bellissimo, mi viene un groppo al cuore solo a pensarci, L’uomoghignante, in cui l’uomo ghignante attraversa di continuo il confine fra Parigie la Cina. È di Salinger, il racconto, ma questo lo saprete, immagino.Davanti, il clima è mite, e se nevica e il giorno dopo c’è il sole, la neve ha uncomportamento normale: si scioglie. Dietro, no. Dietro, se nevica, la neveresta. Fino ad aprile.Meno male che ieri, l’ultimo giorno di non-neve, ho tirato via sedie, cuscini e

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ombrelloni, con enorme ritardo rispetto al buon senso e agli usi locali. Oggi,primo giorno post-neve, tiro dentro, con un ritardo colpevole eprobabilmente assassino, i vasi. Quest’anno, la mia condizione normale neiconfronti del giardino è IL RITARDO. Bon. Va così.Così mi affanno a recuperare i vasi prima che Nonno Gelo o GeneraleInverno o come si chiama, li ammazzi uno a uno. Il limone dentro il garage, lalantana dentro il garage, i pomini dentro il garage, la pianta rampicante, chenon si è arrampicata ma ha dei fiori molto carini tipo campanule ma piùspesse, color porpora, dentro il garage. Le lisette, prive di sensi, un po’rinsecchite, caparbie a voler essere ancora vive, dentro il garage.Tiro, spingo, mi affanno, giuro a me stessa, e rendo qui pubblico ilgiuramento che:MAI MAI NELLA MIA VITA ANCORA COMPRERÒ O MI LASCERÒREGALARE DA GENTE CHE MI VUOLE MALE DEI BEI VASI DITERRACOTTA MAGARI TOSCANI DI GRANDE ELEGANZA E PREGIOCHE PESANO COME I RIMORSI DI RICCARDO III!Mai più. D’ora in poi, solo vasi di plastica. Perché quelli di terracotta mistrappano le braccia, non dico altro.C’è il sole, oggi, per fortuna. Il giardino davanti brilla, il prato dietro è copertodi neve e ghiaccio. Io, preferisco lui.

30 novembre

Ieri ero troppo stanca dopo la lotta con i vasi di terracotta, ma oggi tirodentro anche una delle due piante grandi che stanno sul terrazzo di sopra. Perfortuna, i vasi sono di plastica, anche se enormi. Uno è il Ficus benjamina, ched’inverno vive in casa e d’estate fuori. L’altro è la yucca. Sto per trascinaredentro anche lei, quando un ghigno crudele mi illumina il volto. Prendo unadecisione che risolve una volta per tutte, spero, i miei difficili rapporti conquesto vegetale tropicale.Ti lascio fuori, yucca. Fatti tutto l’inverno sul terrazzo. Se muori, peccato, latua fibra già indebolita dalle mie sciatte cure ha ceduto. Se sopravvivi, laprimavera prossima ti pianto in piena terra e da quel momento in avanti te la

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giocherai alla pari col pino di Natale, due outsider spediti in una missioneimpossibile.

2 dicembre

Esco verso le nove di sera, fa molto freddo, raggiungo il prato dietro casa conuna ciotola in mano. Nella ciotola c’è una buona cena composta da un avanzodi minestrina con i ditalini rigati, croccantini e un po’ di bocconcini al vitelloe verdure. La poso sul marciapiede e chiamo: «Fumo! Fumo!». È buio, si vedepoco, intravedo il pergolato, il barbecue inesistente, il pesco. Di sicuro nonvedo Fumo che, se anche c’è, si tiene nascosto. In nessun caso sarebbe facilevedere un gatto che se si chiama Fumo un motivo ci sarà: il colore è quello.Fumo è un randagio che da anni viene ogni tanto a pranzo e a cena. È rotto,spelato, sbilenco, credo molto malato, molto ferito, macilento. Ogni volta cheriesco a vederlo (ciò avviene solo di giorno) penso che ne ha per poco, e ognivolta che per qualche settimana non compare, penso che sia morto.«È morto, è morto, di chissà quale orribile malattia, che di sicuro avràattaccato anche ai miei gatti, orrore e distruzione!».Poi, un giorno, riappare: ferito, macilento ecc. ma vivo. Ci guardiamo, dalontano. «Hai fame, eh?» La fame di Fumo dev’essere infinita, si deve stenderecome una voragine da una parte all’altra del suo corpo.Allora vado dentro a prendere avanzi, cibo dei miei gatti, qualunque cosa,Fumo mangia tutto, e glieli porto. Lui aspetta acquattato, e quando miallontano, va a mangiare. Se spunto da dietro l’angolo, scappa. È scemo. Tiporto da mangiare, idiota, faccio parte degli amici. Cosa scappi.In queste sere così fredde, non lo vedo mai. In effetti, non sono neanchesicura che esista ancora, anzi, non sarei sicura che esiste ancora se non fosseche al mattino la ciotola è vuota. Domattina, questa zuppetta sarà stata leccatafino all’ultima molecola.La ciotola vuota è la prova dell’esistenza di Fumo. Questa cosa la pensostasera, dopo aver posato la ciotola sul marciapiede. Come sempre d’inverno,socchiudo la porta che dal garage dà sul giardino. Se vuole, può entrare. Cisono cuscini, un divano, dei materassini, delle sdraio. Se vuole, può rifugiarsi.Penso alla prova dell’esistenza di Fumo, e mi viene in mente sant’Anselmo e

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le prove dell’esistenza di Dio. La scomparsa del cibo è una prova ontologica?Ah, che bellezza, un po’ di teologia da giardino in una sera fredda all’inizio didicembre.

8 dicembre

Gratto muschio dall’acero. Indovinate perché? Stacco brandelli di muschio, eli appoggio con attenzione su un foglio di giornale. È l’8 dicembre, giorno dipresepe. Quest’anno, è anche giorno di Primarie. Prima il presepe, però.Mentre torno verso casa con il muschio, mi guardo intorno e vedo che ilgiardino non è pronto al Natale. Dopo quei giorni in novembre, non hanevicato più. Ha gelato, ma le conseguenze non sono state definitive. Erba,steli, foglie, sono ancora sostanzialmente verdi. Ci sono sei o sette rose semifrozen che tentano di sbocciare davanti a casa (parte spagnola). Il faggio haperso molte foglie, ma non tutte, con sollievo dei vicini.Mi verrebbe voglia di dare una spinta a questo giardino. Eh su, dai. Invernati.Mettiti in riga con le mie stucchevoli aspettative. Molla questa inutile vitalità,tanto, se non è oggi, è fra quindici giorni. So che non puoi autoricoprirti dineve, ma almeno sii brullo. Porto in casa muschio e pigne, e penso che perpunizione non verrò più in giardino, lo ignorerò finché non vedrò tuttospoglio, nero, congelato.Invece, quando a sera torno a casa dopo essere andata a votare, stacco duedelle roselline agghiacciate e le porto dentro. Le metto in una minibottigliettadi aperitivo Martini che è uno dei miei vasetti preferiti, e le appoggio sulpiano della cucina. Vediamo se qui al caldo sbocciano, ’ste cretine!

13 dicembre

Frasi che segnano per la vita. Frasi che cambiano definitivamente il corsodelle nostre azioni. Non ne capitano tante, nell’arco di un’esistenza.Nell’ambito delle esperienze minori, una di queste frasi l’ho letta o l’ho sentitadire, non ricordo più, da Luisa Pulcher, la mai abbastanza raccomandataautrice del libro Il tempo è un albero che cresce. Si tratta del perfetto racconto

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di un giardino che cresce e diventa sempre più bello non dico senza sforzo,ma con un lavoro armonioso, mirato e sensato. Per me, tupamara del verdeche vivo il giardinaggio come lotta armata, rappresenta il miraggio, la FataMorgana che blueggia invitante cercando di convincermi che creare unospazio verde fiorito tutto l’anno, senza fitolacca, e con albicocche, è possibileper chiunque. A differenza degli altri articoli o manuali di giardinaggio, nonmi fa paura, perché lo leggo come un libro di fiabe. Il giardino raccontato inqueste pagine per me è come la casetta di biscotti della strega, la zucca diCenerentola, il vestito di sole di Pelle d’Asino: fenomeni che mi deliziano, mache sarebbe vano cercare di emulare nella vita reale.E in questo ammaliante testo, o durante una presentazione di questoammaliante testo, mi sono sentita rimpicciolire fino alle dimensioni di quellatipetta di Walter de la Mare, quando Luisa Pulcher ha espresso una sincerapietà per coloro che danno ai passerotti le briciole di pane.Dare ai passerotti le briciole di pane, ha spiegato, è brutto, è guitto. Denotaanimo meschino e arido, avarizia, una sbiadita miseria morale. Ai passerotti sidanno briciole di biscotti, torte, brioche e panettoni. Questo piace aipasserottini, ai fringuelli, alle cince e ai merli, a gazze, usignoli e allodole.Da quel giorno, con le briciole di pane ho chiuso, e via con i Pan di Stelle,croissant, Abbracci, Novellini Cervo. Ma il problema è un altro. Io possoanche ordinare all’Hotel Sacher di Vienna l’omonima torta e farmelamandare, aprire la scatola di legno chiaro, tirarla fuori e sminuzzarlainteramente davanti a casa, questo non basterà a indurre i passerotti dellazona a presentarsi a colazione. Il problema è che ho tre gatti, e loro lo sanno.Però, penso stamattina frantumando brani del primo pandoro di stagionedavanti allo zerbino, al terzo giorno arrivano. Funziona così. Io sbriciolodolci, e non lascio uscire i gatti per un bel po’ di ore. Gli uccellini osservano, enon si fidano. Infatti a una certa ora i gatti escono. Il secondo giorno, gliuccellini si appostano di buon mattino, e osservano. Io non faccio uscire igatti, loro non si fidano. Il terzo giorno, quando finalmente lascio uscire ipoveri gatti, le briciole sono sparite. Diciamo che è un modo un po’ faticosodi nutrire i passerotti, ma a me piace.E così stamattina frantumo pandoro, e poi giro intorno alla casa piano piano,per vedere se Fumo ha mangiato. E vedo un branco di gazze che beccano nella

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sua ciotola. Ma allora! Se sono loro che mangiano, Fumo è veramente morto?Chissà.

20 dicembre

L’elenco delle cose che non posso perdonare alla natura ormai è lunghissimo,si va dalla carenza di neve alle temperature troppo alte alla scomparsa degliscoiattoli rossi alla latitanza dei papaveri e degli usignoli, eppure non se nevede la fine, ogni giorno appunto una lagnanza nuova, e quella di oggi èveramente assurda.Cioè, non è possibile che l’agrifoglio sia in ritardo sul Natale. Perché vive,l’agrifoglio? Vive per ornare le nostre case tra l’8 dicembre e il 6 gennaio.Dopo di che, almeno per quanto mi riguarda, può fare quello che gli pare,anche accartocciarsi su se stesso sputando fumo nero, e non giro neanche latesta. Ma lo sa lui, e lo so io, che se ho messo un agrifoglio in giardino è pertagliargli i rami in questo periodo, legarli con fiocchi rossi e oro, e regalarli achiunque li apprezzi. Lo sa che mi piace metterlo in un grande vasonell’ingresso, e sa che mi sono data una pena notevole per assicurarmene unesemplare che fosse sicuramente maschio, o femmina, non mi ricordo, chefosse sicuramente di quell’unico sesso che garantisce le bacche. E infatti lebacche ci sono, MA a tutt’oggi, 20 dicembre, non sono ancora diventateveramente rosse. Sono in ritardo. Sono rosacee, verdastre con striscepurpuree, aranciate rossette, ma non sono del colore di cui devono essere,quello che viene riprodotto su biglietti di auguri, copertine di dischi natalizi eletterine a Babbo Natale, quello che si ottiene senza la minima difficoltànell’agrifoglio finto, e cioè ROSSE di un rosso monocorde e compatto.Sono qui, davanti al mio agrifoglio. Noto con la coda dell’occhio le solitelattine di birra e bottigliette di Fanta che i clienti dell’autobus 61 buttanoattraverso l’inferriata mentre aspettano il medesimo, alla fermata davanti acasa mia. Noto i miei tre gatti che saltellano tra le foglie del faggio, e noto chele bacche non sono pronte. Che faccio? Le prendo così, mi accontento diqualcosa di inadeguato? Rinuncio a mettere l’agrifoglio in casa?E alla fine, secondo la mia natura di femmina astuta, ricorro a un trucco, unimbroglio, un make-believe, una paper moon. Prendo i rami dell’agrifoglio, li

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metto nel vaso, e aggiungo parecchi ciuffi di bacche di nandina che quelle,invece, sono scarlattissime. L’effetto di insieme è agrifoglio rosso. Funziona. Equando, a gennaio inoltrato, le bacche dell’agrifoglio saranno anche loroscarlattissime, giuro che le sputo.

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INVERNO

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24 dicembre

Per preparare la crema chantilly bisogna fare una crema pasticcera, poimontare la panna e mescolare. Facile. Esisteranno di sicuro delle dosiconsigliate, ma io l’ho sempre fatta a occhio, per cui non è mai due volteuguale, certi Natali è più pannosa, certi Natali è più cremosa, ma nessuno si èmai lamentato. Le mie cugine, tanto più brave di me in cucina, aggiungonostriature di zucchero caramellato. Da dieci anni, però, la mia chantilly hacambiato un ingrediente minimo ma importante. La crema pasticcera l’hosempre fatta con una scorzetta di limone. Poi sono venuta ad abitare qui, homesso le aromatiche davanti a casa, e ho scoperto l’incanto dell’erbalimoncina. Sfregate una foglia fra le dita, e quell’incanto non vi passerà più.Ora la metto quasi dappertutto, d’estate fresca e d’inverno secca.Ma ormai l’inverno è una triste presa in giro, e così oggi ho trovato ancorafoglie vive di erba limoncina. Vorrei dire che mi fa piacere, ma non è vero.Preferirei un giardino ghiacciato con stecchini di brina e croste di neve, estaccare due o tre foglie secche in una cucina con i vetri appannati. Invecesono uscita, le ho viste, le ho insultate, le ho prese, e le ho buttate borbottandonella crema chantilly.

1 gennaio

Voglio proprio vedere quali sono i consigli per il giardino di Cippirimerla edel «Lunario di Casa e Campagna» per il mese di gennaio.Spero che siano di questo genere:«Durante il mese di gennaio vi consigliamo di guardare il giardino dallafinestra, restando in casa. Se la stagione non ha clamorosamente disatteso leaspettative, davanti a voi si stenderà un piccolo panorama di consolantebrullaggine. Rami a riposo, erba inesistente, foglie classicamente morte.Qualche uccellino in cerca di bacche e pandoro. Niente da fare, nulla di cuioccuparsi. Rispetto al giardino, questo sarà per voi il mese del riposo. Mapotrete comunque godervelo, cari clienti di Cippirimerla e cari consultatoridel “Lunario”. Mettetevi su una poltrona o divano davanti a una finestra, da

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cui avrete opportunamente scostato le tende. Procuratevi una tazza di tè,caffè, Nescafé, cioccolata o altra bevanda calda gradita. Biscotti sì, o biscottino, secondo il girovita. E leggete. Così come ci sono libri da leggere ingiardino a settembre, ci sono libri da leggere in casa a gennaio, alzando ognitanto gli occhi dalla pagina per guardare lo scarno panorama, e l’esilepromessa della inevitabile primavera successiva. Infelice chi ha i sempreverdi,e non conosce il ciclo della fine e del principio, tanto raccomandato dallaBibbia.Non è nostro compito, in quanto ditta di prodotti da giardino e “Lunario diCasa e Campagna”, suggerirvi i libri da leggere, anche perché riteniamocongiuntamente che siano scelte in cui è difficile mettere il becco altrui.Possiamo però, e volentieri lo facciamo, indicarvi il criterio di scelta.In gennaio, rannuvolati sotto un leggerissimo plaid o ammucchiati fra icuscini, con le Converse ancora ai piedi o le calze antiscivolo, davanti a unafinestra che dà su un giardino leggete libri in cui si commettono omicidi. Nonimporta se è un Giallo Mondadori, Fred Vargas, Dostoevskij, Dickens oPatricia Cornwell o chi volete. Anche se siete lettori esigenti di autorisofisticati, ci saranno degli ungheresi o delle poetesse serbe, o dei minoriamericani dediti al nervoso, che abbiano scritto storie con omicidi, no?Quindi anche i più rigorosamente nemici della lettura piacevole riusciranno atrovare quel che fa per loro. Ricordatelo, cari clienti e consultanti: gennaio,omicidi».Delusione. Cippirimerla mi consiglia invece di coltivare le aromatiche in casa,ordinare bulbi estivi, proteggere gli alberi dal freddo e scoprire se ce n’èqualcuno che posso già potare adesso. Pfui.Il «Lunario», almeno è un po’ più divertente. Mi incita a sfoltire il castagno,colmare le botti, seminare al caldo azalee e angurie (per limitarsi alla A). Nonposso fare nulla di tutto ciò, ma apprezzo l’inventiva. Come ricetta mipropone il cavolfiore sotto aceto e il risotto col cavolfiore (sono un po’ fissaticol cavolfiore, questi del «Lunario»), e la torta paradiso, che non c’entraniente ma in effetti ho sempre voluto impararla. A sorpresa, cerca anche diinsegnarmi a fare i lecca-lecca al bergamotto. Sei grande, «Lunario».

7 gennaio

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Disincastro dal cancello le lucine colorate, stacco dalla porta la ghirlanda, tirogiù dalla finestra gli angioletti luminosi. Natale è finito, e non mi interessatrascinarlo oltre il suo ciclo di vita naturale. Ora va tutto negli scatoloni, e sene riparla l’8 dicembre.Ma questa impeccabile cronologia è vanificata dal fatto che sul giardinoincombe ancora l’orribile albero di Natale montato nel terrazzo. L’albero incasa, quello sì mi viene bene. Lo faccio davanti a una finestra, in modo che disera, quando è acceso, rappresenti una visione romantica per chi passa sulsentiero lungo il fiume. L’albero sul terrazzo invece fa schifo. È molto grosso,appoggiato su una specie di tavolino, ma non riesco mai a decorarlo bene, gliornamenti sono scarsi e privi di armonia, in più insisto a utilizzare anchelucine da interno, e così appena piove o nevica (ah, ah, nevica, che ridere) sispengono, fanno saltare la luce, e allora perché diavolo le ho messe?Quest’anno pensavo di avere svoltato con una ghirlanda di luci fucsia, e ineffetti sono belle ma ce ne vorrebbero sei perché avessero un senso!E comunque adesso è il 7 gennaio e pure lui come tutto il resto andrebbesmontato, invece resterà lì nella sua bruttezza chissà fino a quando perchécosì come non ho voglia di farlo, non ho mai voglia di sfarlo.E allora? Quale mistero si nasconde dietro la persistente esistenza dell’AlberoOrribile Che Sta Sul Terrazzo e Dall’Alto Sfregia il Giardino?Venite qui, e ve lo racconterò.

STORIA DELL’ALBERO ORRIBILEC’era una volta una Uno rossa che caracollava quasi tutte le domeniche serada un posto sulla collina attorno a Chivasso a una via del centro di Torino. Laguidatrice e le passeggere cantavano, o almeno la guidatrice e una dellepasseggere cantavano, mentre l’altra passeggera non cantava mai, tranne unavolta che per sbaglio si unì all’esecuzione di Azzurro. La passeggera silenziosaspesso si addormentava, soprattutto le sere d’estate. Le sere d’inverno, invece,l’interno della Uno era maggiormente vigile, e in particolare le domenichesera di dicembre, a tutte quante piaceva molto guardare gli alberi di Natalelungo la strada, quelli nei giardini, decorati con ghirlande di luciintermittenti. Si notava che l’intermittenza funzionava a coppie, luci verdi-blu, luci gialle-rosse. Alcuni alberi avevano soltanto luci bianche, altrifantasmagoreggiavano di mille effetti accecanti. Erano un

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bell’accompagnamento fino al momento in cui tutto questo finiva, einiziavano le vie, gli angoli, le case di sette piani, la città.E sempre, in quelle domeniche lì, la guidatrice pensava e anche diceva, perchédi solito si parlava di tutto quello che passava per la testa durante quei ritorni,che se mai, se mai, volesse il cielo, ah come sarebbe bello, se mai veramente sifosse verificato questo fortunatissimo evento, che lei e loro avessero avuto unacasa con un giardino, allora avrebbero fatto un bellissimo albero esternoperché tutti quei viaggiatori che purtroppo per loro abitavano in città e ladomenica sera dovevano tornarci, lo vedessero brillare lungo la strada delritorno, quella che portava all’indispensabile minestrina e al placido sonnodella domenica sera.Ecco, quindi si tratta di mantenere un impegno. Ma perché, già che lomantengo, non mi impegno un po’ di più e non faccio un BELL’ALBEROESTERNO? Perché noi umani siamo fatti così, deludenti.

11 gennaio

Cosa c’è di vivo in giardino, l’11 gennaio? La camelia, c’è di vivo. Ha iboccioli. Una delle due. L’altra ne ha pochissimi, le foglie sono verde chiaro,lo capisco da me che virano al giallo, lo capisco che quella camelia non è ingran forma, e pensare che è la titolare, la camelia portata e piantata con tuttele pompe magne da un autentico nonché molto bello giardiniere. L’altra faparte dell’E.R. piante, è una di quelle che ho salvato da deperimento e mortein un cantuccio della Coop. E lei ha collaborato, e adesso sprizza di salute eboccioli, anche se poi i fiori sono bianchi, niente a che fare con le meraviglierosa intenso dell’altra, che però già da un paio di anni stenta. Lo so di cosaavrebbe bisogno: di essere concimata. Io, purtroppo per il mio giardino,concimo pochissimo. Non ho mai voglia di andare a La Valletta Riding Club efarmi regalare un pezzetto di quella catena alpina di letame di cavallo chehanno dietro i box. Non ho voglia di trascinare il saccone nero a casa, edistribuire palate di quella roba a tutto ciò che spunta. Ma quest’anno lo farò.Concimerò.Lo spiego alle camelie mentre mi faccio un giretto in giardino, con il piuminoe il berretto di lana e il cappuccio tirato su. In mano ho una tazza di tè, anzi,

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un mug, e tanto per rompere un po’ le scatole alle camelie, già che ci sono letedio con qualche storia di famiglia.«Siete anche voi tè, ragazze. Il tè è camelia. Non l’avreste mai detto, vero? Soloche voi siete le sorelle belle, le camelie japonica, mentre quelle che fanno il tèsono le sorelle buone, le camelie sinensis».Mentre lo dico, mi chiedo perché nei nostri giardini coltiviamo le belle,mentre con le buone non ci proviamo neanche. Potrebbe crescere, unaCamellia sinensis, nel Piemonte occidentale? Potrei farmi il mio tè personale,magari ibridandolo con l’erba limoncina?Wikipedia dice di sì, che la camelia del tè la coltivano pure in Cornovaglia, eche la sua temperatura ideale è fra i 10 e i 30 gradi. Qui li abbiamo. Quiabbiamo dai 10 ai 30. Basta coltivarla in un vasone, e tirarla dentro quandoandiamo sotto i 10.Inoltre, W. ci informa che la camelia comincia a essere utilizzabile per fare iltè dopo quattro anni. Okay. Ci sto. Quattro anni passano in un lampo. Madisgraziatamente, continuando a leggere, faccio una triste scoperta: molti annifa un professore provò a coltivare il tè a Pavia. Tutto bene, la produzioneandò a gonfie vele, e questo tè fu chiamato ticinensis. Purtroppo, però, eramolto cattivo. La gente lo beveva e lo sputava. Niente da fare. Il professorerinunciò al tè. Mmmmm, bella storia. Forse se ne potrebbe fare una fiction.

20 gennaio

Quest’anno non c’è verso di avere l’inverno. Non nevica, non fa veramentefreddo, non si formano i ghiaccioli ai canalini di scolo del terrazzo. Menomale che almeno gli alberi sono brulli. Esco a portare del cibo speranzosonella ciotola di Fumo. Sono le sette, è buio. Invece di rientrare, mi fermo. Miappoggio al muro, e sto. E mentre sto, lo vedo. È quasi impercettibile, perchélui è grigio scuro e il mondo è quasi nero, e qui dietro c’è poca luce. Ma lovedo. Vedo un movimento tra le foglie del lauroceraso, e poi avanza dipochissimo sulla ghiaia sotto il pergolato. E si ferma. Gli occhi gialli. Restiamoimmobili tutti e due. È peggio conciato che mai, si muove a fatica, misembra… non so… tarlato… come una maglia. Fumo, non sei morto. Mi

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allontano, giro l’angolo della casa, poi mi affaccio senza far rumore, e lo vedoche mangia quello che gli ho portato.Più tardi esco di nuovo e metto una scatola con dentro degli stracci accantoalla ciotola, sotto il balcone. Ho capito che è inutile lasciare aperta la porta delgarage, non si fida a entrare. Perciò, casomai volesse dormire un po’ piùcomodo e caldo, meglio fargli una cuccia.In questi giorni sto traducendo dei racconti di Neil Gaiman. Siccome non loconoscevo, mi sono comprata qualche suo libro, per familiarizzare. E hotrovato un racconto che mi ha molto inquietata. È la storia di una famigliache ha un paio di gatti, e un giorno ne arriva un altro sconosciuto nel lorogiardino di casa. Un gatto nero, che ogni mattina appare sotto il porticato,malridotto e ferito. Loro lo curano, e cercano di guarirlo, ma è inutile, perchéogni giorno, quando ricompare, il gatto è di nuovo lacero e sbrindellato, e stasempre peggio. Allora la famiglia lo tiene in casa per una settimana, non lolasciano uscire, per farlo guarire veramente. E in quei giorni, nel tempo che ilgatto resta in casa al sicuro, alla famiglia capitano un’infinità di cose brutte,disgrazie. E poi però il gatto si agita e vuole uscire a tutti i costi, e alla fine lolasciano andare. E si ricomincia: ogni mattina si presenta ferito. Ma ledisgrazie della famiglia si riassorbono, evanescono, rientrano nei ranghi.Finché una notte il padre decide di stare sveglio, e guardare fuori per capirecosa succede a quel gatto. E vede che nel loro giardino arriva il Diavolo, e ilgatto lo combatte e lo scaccia, riportando però ferite gravissime, perché ilDiavolo è tosto, come avversario. Così il padre capisce che quello è il loroGatto Custode. Ma ormai è in fin di vita. Cosa succederà, quando il GattoCustode non ce la farà più a difenderli?

3 febbraio

Per tutto l’inverno ogni giorno, più volte al giorno, scendo in garage aprendere la legna per la stufa che scalda da brava e da sola il pianterreno dicasa. La porto su in una cassetta di plastica, oppure in un secchio di metallo, ea volte, se sono di corsa, anche a bracciate. E ognuna di queste numerosissimevolte penso: «Argh, devo innaffiare le piante». Quelle che passano l’inverno ingarage, e che anche se sono in fase dormiente, diciamo, ogni tanto un po’

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d’acqua la vorrebbero. Lo penso, ma rarissimamente lo faccio, e infatti quasitutte in primavera sono morte. Certe risorgono, ad esempio la lantana nonmuore mai veramente, però diventa ogni anno sempre più brutta, una speciedi lantana zombie, morta-vivente. Altre non ce la fanno, e in aprile miguardano mute, rinsecchite, e pronte per il bidone degli sfalci.Da un paio d’anni, però, possiedo un limone. Non lo avrei comprato, io, pervia della mia nota avversione a tenere in giardino piante destinati ad altriclimi. Però me l’hanno regalato, e in realtà adesso sono contenta di averlo,talmente contenta che, addirittura, lo innaffio anche d’inverno. Nontantissimo, ma abbastanza da mantenerlo in vita. Se ho tre minuti di tempoquando corro in garage, li uso per svuotare una bottigliata d’acqua nel vasodel limone. E lui, gentilissimo, fa i limoni, anche in gennaio e in febbraio, eogni tanto posso staccarne uno e spremere sulle carote il mio limoneautoctono.Stasera lo bagno, stacco un limone, annuso una foglia, e gli sussurro che fraun mesetto si torna fuori. Con la coda dell’occhio, vedo la povera lantanarinsecchita, ma non le do niente.

17 febbraio

Il lato oscuro del giardino. Anzi, il bassifondo del giardino, la Whitechapel,per dirla con Conan Doyle. È quel lato della casa dove il giardino diventacortile lastricato, e dove stanno allineati, ma mica tanto, i bidoni delladifferenziata. Sono proprio di fronte alla lunga aiuola delle rose, e cosìquando vado a depositare un sacchetto di bottiglie (vetro e lattine), un involtodi Fanta e vasetti di yogurt (plastica), un pacchettino di sabbietta di gatti(generico) butto sempre un occhio a vedere che succede fra le mie carerosette. In questa stagione non dovrebbe succedere niente, ma stiamo vivendoun orribile anno senza inverno, e non c’è la perfetta stasi che tanto apprezzoquando le stagioni sono normali, quel taglio di katana fra la vegetazione di unanno e quella dell’anno successivo.E infatti. Oggi passo con la mia offerta votiva di depliant di Auchan e vecchie«Repubblica» (carta) e vedo una piccola rosellina solitaria su una delle piante.

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È rosa, traslucida, ancora in boccio. Ancora in boccio, o bloccata in quelbocciolo da mesi?Chi sei, tu? Sei un residuo di rosa autunnale che non ce l’ha fatta né asbocciare né a morire? O sei la prima temeraria rosa ante primaverile,totalmente prematura, una piccola demente che ingannata dal malefico soledi oggi ha gettato avanti i petali come le braccia di una tuffatrice, e via, in unavita che ti riserverà, temo, ben poche soddisfazioni?Boh. La terrò d’occhio per capire. Intanto, rientrando in casa, mi faccio unadomanda che sarà anche retorica ma vorrebbe tanto una risposta: senzainverno, che primavera è?

20 febbraio

Anche quest’anno ho perso il calycanthus. Sapete cos’è? Un alberello che allafine dell’inverno fiorisce. Si chiama Calycanthus fragrans, perché i suoi fiorimolto piccoli sono profumatissimi. È un odore del paradiso, che nessunochiuderà mai in una bottiglietta, e se tagli i rami tra la fine di gennaio e i primidi febbraio, e li metti in casa, poi all’improvviso il profumo invade tutto, esembra di vivere in una serra. Io ho un calycanthus, me l’hanno regalato. Stabene, è vispo, cresce. Ogni anno, presumo, fa i fiori. Presumo perché non homai, e dico mai, tagliato i suoi dolci rami per infilarli in un vaso.Arriva dicembre, c’è Natale, poi arriva gennaio, e io, trafelandomi da unaparte all’altra, penso: «Devo ricordarmi del calycanthus, fra poco fiorisce,quest’anno non me ne dimentico». Il guaio è che il piccolo albero è nel “pratodi lato”. Il prato di lato non è sul tragitto casa-cancello, né sul tragitto casa-immondizia, e neanche sul tragitto casa-ciotola di Fumo. Nel prato di latobisogna andarci senza uno scopo preciso. E quando mai, soprattutto ingennaio/febbraio, io mi aggiro in giardino senza uno scopo preciso. Perciò,anche quest’anno, è andata così, che passo di corsa nel prato di lato permettere a posto una bicicletta e di colpo mi blocco: il calycanthus! Corro aguardare, niente da fare, rami già sfioriti, ancora una volta non sono stataattenta. L’anno prossimo, me lo devo scrivere sul calendario. 25 gennaio, tipo:«Controllare i rami del C.». Ci vorrebbe più ozio, più tempo per ricordarsi diquello che il giardino offre.

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22 febbraio

Ammaestrata a mie spese dalla svista del calycanthus, oggi ho fatto un girettoper controllare se mi stavo perdendo qualcos’altro. Meno male, così ho vistola fioritura del falso gelsomino. Il quale però, attenzione, non credo siadavvero un falso gelsomino, quindi è probabilmente un falso falso gelsomino.Ancora una volta, brilla la mia incompetenza. Piante che non so cosa sono.Questo assomiglia al gelsomino, ma è giallo, mentre il falso gelsomino èbianco e profuma. Potrebbe essere forse un gelsomino di San Giuseppe, che ègiallo e non profuma, però la gente colta che attraversa ogni tanto il miogiardino, agita una mano in direzione di quella pianta, sussurrando: «Ah, ilfalso gelsomino…».Non so cos’è. È una pianta con piccoli fiori gialli che fiorisce alla finedell’inverno. Bon.Nel corso del giretto ozioso, ho avuto una sorpresa. Un vaso in un angolo, diquelli che ci sono un po’ dappertutto nel mio giardino trascurato. Pieno dierbacce ma… attenzione. Quelli sono dei crocus! Bianchi e violetti. Allora ibulbi mi hanno dato retta. I vecchi bulbi dimenticati hanno fatto un piccolosforzo per spuntare. Almeno questi sei o sette crocus, grazie. Cosa faccio? Licolgo e me li godo in casa? Li lascio lì? Li lascio lì.

3 marzo

Volevo solo dirvi, così en passant, senza dare troppa enfasi alla notizia, cheuna delle prime piante a mettere fuori il naso grazie a un improvviso anticipodi primavera, è stata la Rosa del Vampiro. Ci sono già strettissimi bocciolinisui suoi rami falcidiati, e sicuramente ciascun bocciolino strettissimo contieneun insetto nero. Sono certa che il mio nuovo amico, Neil Gaiman, saprebbetrarre da questa rosa una storia da tenerci svegli.Io aspetto, aspetto che i fiori crescano e si aprano, e poi vado lì con il «ValleyFeed and Seed Garden Annual», il catalogo di sementi del 1951. Vado lì, econfronterò l’insetto residente con le illustrazioni degli insetti. Ve lericordate, no? Le illustrazioni di bellezza unica, quelle grazie alle quali mi è

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parso di riconoscere l’abitante generato dalle rose, un certo Potato Flea. Saràdavvero lui?Allontanandomi dalla Rosa del Vampiro dopo aver esaminato con occhiotruce eventuali rigonfiamenti a forma di Potato Flea, canticchio «Potato Fleafell in love with a clown from a flea circus fair…». La canzone vera dice «Fifithe Flea», ma la metrica ci sta. La conoscete? No? Cercatela subito, c’è il videosu You Tube. Mi siedo nel pratino dietro casa (Finlandia) e apprezzo iltiepido inizio di primavera cantando da cima a fondo, ma a bassissima voce,questa vecchia canzone degli Hollies, o meglio di Graham Nash, l’unica che ioabbia mai imparato a suonare alla chitarra. È un’ottima canzone da giardino,non invadente, giro di do. La storia è triste: la pulce clown non ricambial’amore della pulce Fifi, e fa lo scemo con le altre pulci del circo. Fifi piange,deperisce e muore, tutto in una strofa, e solo allora quell’idiota del clowncapisce che la amava e senza di lei va in pezzi. Va in pezzi ma non muore, lui,e alla fine della canzone lo lasciamo in ottima salute, che depone unpiccolissimo fiore sulla piccolissima tomba della piccolissima pulce.Strappo distratta i primi denti di leone, e siccome oggi ragiono per canzoni,chissà perché, mi viene in mente che in inglese questi antipatici hanno unnome bellissimo: dandelion. Che è anche una canzone dei Rolling Stones. Mela ricordo perché non erano tante le canzoni dei Rolling Stones che mipiacevano, ma questa sì. Due notizie su Dandelion. Prima notizia: alla fine, cisono J. e P. che armonizzano. Sono inconfondibili, loro due, soli soletti, infondo a una canzone dei Rolling. Seconda notizia: Keith Richards hachiamato Dandelion sua figlia, ma la moglie non ne voleva sapere e lachiamava Angela.Torno in casa pensando alle canzoni da giardino…

7 marzo

Il batticuore da prima camelia lo raccomando a chi non conosce l’amore.È unprimo passo verso la passione, può indurre a quello stordimento e tremolioche tanto facevano vacillare Saffo alla vista di non so più quale delle fanciulle.Funziona così. Stamattina esco in giardino per spostare fuori dal cancello ibidoni della quotidiana immondizia. C’è stato vento, e le foglie del faggio,

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quelle cadute in novembre e mai da nessuno raccolte, si sono trasferite dalleAlpi alle Piramidi. Oggi, mi conviene evitare di incontrare i vicini, e guardarebene dalla finestra prima di aprire a chi suona. Rifletto sul fatto che alberienormi non dovrebbero trovare posto in giardini piccoli. Le persone, prima dipiantare un albero «there beneath the blue suburban sky», dovrebbero farsidire quanto grande diventerà la bestia. Immagino che quarant’anni fa,quando lo hanno interrato, fosse un faggino piccino picciò, e che chi lo havenduto agli incompetenti abitanti della casa si sia ben guardato dall’avvertirliche un giorno averlo in giardino sarebbe stato come avere Hulk in un asilonido.Noto biglietti del pullman infilzati dal vento sulla nandina, e mi compiacciodel bel parterre di viole e primule nell’aiuola accanto al cancello. Apro ilsuddetto, metto fuori il bidone giallo della carta e quello blu del vetro, rientro,e lungo la (minuscola) strada del ritorno, l’occhio coglie un lampo di rosa. Unrosa di indescrivibile bellezza, perché contemporaneamente carico e soave. Èlei, la prima camelia, sbocciata sulla pianta asfittica. Il bocciolo non lo avevonotato, per fortuna, così la sorpresa è abbagliante. Vado a guardarla da vicino.«Sei bella», sussurro.

10 marzo

Mi gira nello stomaco una promessa non mantenuta. Ho giurato chequest’anno avrei concimato. E l’ho fatto? Finora no. Ma oggi vado da Auchan,e come in trance, quella trance delle sante quando si lasciano trafiggere dadardi infuocati e avvelenati, mi carico sul carrello tre enormi sacchi distallatico.Concimo subito, perché so che se li impilo accanto alla porta del garage,trascorreranno la loro mite esistenza impilati accanto alla porta del garage.Rotoleranno le stagioni e gli anni, mi verrà l’artrosi, un giorno volerò in cielosorretta da una formazione di Cherubini, e loro sempre saranno impilatiaccanto alla porta del garage.Quindi li buco con violenza utilizzando le forbici da giardino, e li rovesciouno a uno nella mia carriola verde, e concimo! Ma come? Probabilmentemale, perché anche concimare è un’arte. Se avessi un po’ di cervello, cercherei

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sul «Lunario» o fra i consigli di Cippirimerla o nel prezioso libro di LuisaPulcher, istruzioni su come concimare alla perfezione. Ma come sempre hofretta, e mi aggrappo all’unica, vaga nozione che mi si è impigliata in qualcheneurone a uncino che ho nel cervello: il concime non bisogna metterlo troppoattaccato alle radici, se no le brucia. È la tipica indicazione un po’ esotericache mi resta impressa. Perché le brucia? Come fa a bruciarle? Non importa,perché subito mi si presenta una difficoltà pratica: le ortensie, ad esempio,sono molto fitte, una accanto all’altra lungo la siepe di lauroceraso checonfina con la casa dei vicini. Come faccio a concimare alla larga una senzaavvicinarmi troppo all’altra?Decido di non sottilizzare, e rovescio palate di concime nei pressi delle piante,affidandomi al buon senso della natura suburbana, meno avventata di altresue colleghe tipo la natura tropicale o la natura della savana. La naturasuburbana è avveduta, e saprà far arrivare a ogni pianta quel suo po’ diconcime. E ci ho messo pochissimo! Sono entusiasta, e di sicuro, dopo questabella esperienza, concimerò ogni anno.

14 marzo

Un paio di volte all’anno, in questo giardino entra la Manodopera Qualificata.Si tratta di Fabio il Giardiniere e Marco il Giardiniere, che fanno i cosiddettilavori grossi. Ad esempio, qualche anno fa, insieme a Manuel l’Arrampicatorehanno tirato giù un enorme cedro, e ne hanno abilmente disposto. Sono loroche “danno i trattamenti” e che nel corso delle loro visite benedette pulisconoil buco. Quest’anno li attende un compito erculeo: ridurre drasticamente lesiepi di lauroceraso, che si stanno inghiottendo le ortensie e che minacciano ivicini, i quali già mi odiano per via delle foglie del faggio, figurarsi trovarsianche i miei lauri che spadroneggiano nel loro benissimo tenutissimogiardino.Mi piacciono per molti motivi, quei due, uno dei quali è che mi portanosempre strane piantine e me le mettono qua e là. Fabio mi ha portato unceanothus finalmente blu, davvero blu, non azzurrino. Marco mi dà un vasodi una pianta che, assicura, «assomiglia alla plumbago». Per adesso vedo solofoglie, ma la mia passione per la plumbago è intensa quanto frustrata, e così la

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prendo volentieri. Ho provato molte volte a mettere plumbago nei vari bordidel terrazzo sopra e dello spiazzo sotto, aspettandomi da un momentoall’altro le stesse cascate azzurre che vedo riversarsi da altri balconi. E invecenon si riversa un bel nulla, perché le mie non cascano, le mie avvizziscono emuoiono. Vediamo se questa, che proprio plumbago non è, si comporteràmeglio.Per tutto il giorno Fabio e Marco potano, sradicano, puliscono, spruzzano, siaccaniscono. E quando hanno finito, il lauroceraso è ridotto a pochi monconi,mai abbastanza pochi e abbastanza monconi, per quanto mi riguarda.Quando siamo venuti a vivere qui, non sapevo proprio niente in fatto dipiante e, soprattutto, sapevo poco anche di me stessa, e ignoravo di voleresoltanto siepi fiorite. Ma l’ho scoperto in fretta, e da anni invidio perfinoquella di ibisco del condominio di fronte. Non sono favorevole alla presenzadi ibisco nel Piemonte occidentale, però se non altro d’estate una siepe diibisco si riempie tutta di vistosi fiori vio…Ehi, un momento. Che succede, dall’altra parte della strada? Non solo da me,c’è Mano d’Opera Qualificata. Anche nel giardino del condominio. Cosastanno facendo? Aaahh.. sono pazzi?Stanno eliminando la siepe di ibisco, per sostituirla con laurocerasoooooo!!!A sera, quando Fabio e Marco sono andati via, torna la Principessa Residente,che si guarda intorno e commenta, affidandosi al lessico del suo mondo diriferimento: «Mamma! Hanno depilato il giardino!».

16 marzo

Un po’ di concime della carriola l’ho tenuto per il terrazzo, quello che adessosembra Dresda alla fine della seconda guerra mondiale: rovi, sterpaglie, unalavanda parzialmente morta, le rovine di piante abbattute dall’incuria, chepenzolano tristemente dal fighissimo bordo di terra creato dai precedentiproprietari. Non che loro coltivassero qualcosa, ben se ne guardavano, il loromodello ideale era, credo, il giardino di una ASL o di un istituto tecnico: pratoben curato, poche piante sempreverdi, nulla che potesse suggerire svago opermanenza. Con un certo orgoglio, la signora che vendeva la casa mi disseun giorno: «Guardi, in vent’anni io in giardino sarò scesa tre o quattro volte».

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E anche il bordo del terrazzo, quando lo abbiamo rilevato noi, era pulitissimoe vuoto. Ma vuoto proprio, non c’era neanche dentro la terra. Poi,fortunatamente per loro e per il giardino, i proprietari hanno venduto e sisono trasferirti where they belong, in un bellissimo appartamento in corso ReUmberto.Pulisco bene, elimino tutto il morto, compresi i gerani che questa volta sonostecchiti al di là di ogni rianimazione, e compresa la maggior parte dellalavanda: lascio quel poco che è vivo, ad esempio una lavanda minore, suavicina, che inspiegabilmente è sopravvissuta sia all’inverno sia alla miatrascuratezza. Trascino su i vasi che ho comprato. Niente voli di fantasia: unanuova coloratissima infornata di gerani e surfinie. Per disgrazia, sia gli uniche le altre sono delimitati da quelle gabbiette di plastica verde di cui non homai compreso la necessità. Si tratta di piante con tendenza a pendere, e questegabbiette le tengono su belle dritte. A quale scopo? Non si sa, visto che chi lecompra le deve togliere.E allora, mi rivolgo a voi, vasta comunità di vivaisti e dealer di piantine,perché non concepite queste gabbie avendo in mente che il loro fine ultimo èESSERE TOLTE? Perciò dovrebbe esserci in loro una parte facilmentespezzabile, un lato fragile, un momento di debolezza in quella dannata eresistentissima armatura di plastica verde. Invece non c’è, e quindi perliberarmene devo tagliarla con le forbici, ma siccome sto lavorando interrazzo, è evidente che le uniche forbici a portata di mano sono quelle dagiardinaggio.Già avrete capito come finisce questa storia: con un buco nella mia mano, e ilsangue che sgorga a fiumi sulle surfinie, trasformandole da bianche in rossecome in una favola dei fratelli Grimm. Prima di correre in bagno a fare ladoccia nel Lysoform e mettermi tre strati di cerotti king size, penso che sareistata un ideale cadavere in un giallo di Agatha Christie. Trovata morta inmezzo alle surfinie insanguinate.

17 marzo

Anche marzo non scherza, comunque. Come crudeltà, intendo. Ieri mi sonoferita con le forbici da giardino, oggi mi sono fatta dell’altro male vegetale con

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quei malefici carciofi e le loro inutili spine. Me ne sono portati una decina sultavolo davanti a casa, quello da cui si gode un desolante panorama di auto chepassano, e il 61 che passa, e il pullman per Chivasso che passa, ma almeno luiè blu. Però, tra me e la strada, c’è pur sempre la forsythia fiorita, ilchaenomeles fiorito, la camelia fiorita, tante violette, e poi tra un po’ le rose, el’ortensia… basta aggiustare la gittata dello sguardo.Mi porto i carciofi, e inizio a pulirli. Poi li farò in quattro fette ciascuno,metterò le fette in una pentola con olio, acqua, sale, e un pizzico di dado, e lifarò cuocere piano piano. Ma molto prima di arrivare a questa fase benefica,mi pungo e mi ripungo, e mi faccio malissimo perché le spine dei carciofiferiscono più delle altre spine. Forse sono velenosette. Fanno ferite nere,sinistre, come se ti avesse morsicato un orco.Mentre dico parole brutte, penso che non c’è motivo alcuno per cui debbanoesistere le spine. La natura qui ha fatto un abbellimento vano, uno svolazzopresuntuoso come a volte i calciatori brasiliani. Avevi fatto i gambi, le foglie, ipetali, tutte cose belle e utili. Perché voler aggiungere le spine? Non lo saianche tu che il meglio è nemico del bene, e che bisogna sapersi fermare?Perfino gli artisti bizantini, a un certo punto mettevano via il pennellinodell’oro.Ma la natura no, lei ha dovuto creare le spine. A cosa servono? Qual è la loroutilità nel grande meccanismo della vita? Zero. Serve, ai carciofi, averle? E allerose? E ai rovi? A niente, nessuna creatura vegetale trae il minimo vantaggiodal possesso delle spine. Capisco negli animali, che a volte sono acuminati perscoraggiare chi volesse atterrare su di loro e portarseli via, ma non esistonopredatori delle rose. Quindi la natura ha poco da fare la superiore, e dire chenoi la danneggiamo. E lei, allora? Che mi punge senza motivo? Stai muta, edisfati delle spine, poi cominceremo a discutere.

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PRIMAVERA

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21 marzo

L’ho fatto! Proprio oggi, primo giorno di primavera, ho ucciso con freddaferocia, credo per la prima volta, una creatura vegetale sana, che avrebbepotuto vivere ancora a lungo. E l’ho uccisa per puri motivi estetici. Non ècome la Rosa del Vampiro, che ho provato (invano) ad ammazzare perchéESSA contiene in sé il male assoluto. In questo caso, ho commesso unomicidio vegetale a sangue freddo semplicemente perché non ne potevo più,di vederla lì. La odiavo. La odiavo, speravo che morisse, ma non avevo ilcoraggio di farla fuori. Anche un po’ per colpa di Thomas Hardy. Non sonouna sua ammiratrice sfegatata, ma uno dei suoi romanzi l’ho trovato moltobello, Ritorno alla brughiera. E brughiera, per noi anime semplici, significaerica. Fiorellini rosa. Distese profumate lungo le pagine di Hardy, Brontë, allimite Rosamunde Pilcher. Quindi Il Signore Solo Sa Perché, ma ho messodell’erica in un punto assurdo del giardino, in un angoletto davanti a casa. Elei è cresciuta, ma pochissimo. Ogni anno, qualche centimetro. Non è maimorta, ma non ha mai invaso il pratino davanti a casa, trasformandolo in unangolo di, tipo, Yorkshire. È rimasta brutta, anno dopo anno. I fiorellini rosa,stantii, apparivano e sparivano in un amen, e poi rimaneva solo lei, la brutta,fuori posto, inutile erica. E oggi sono andata lì, e senza guardarla negli occhil’ho strappata tutta. Via. Al suo posto ho messo tante violette. E l’ericastrappata non ho neanche provato a piantarla da un’altra parte, l’hoscaraventata nel bidone degli sfalci. Crudeltà da giardino. Almeno quella.

4 aprile

Il giardino è stato vittima di un raid della Protezione Civile. E chissà perquanto ne porterà le conseguenze.Come in ogni horror degno di stima, tutto è cominciato con apparentebonomia. Due signori rubicondi di una certa età hanno suonato alla miaporta.«Buongiorno. Siamo della Protezione Civile. Dobbiamo ripulire il ruscello».Ottima idea. Il ruscello che segna il confine fra casa nostra e il ristorante

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accanto è invaso da alberi, grovigli cespugliosi e lunghi rami fogliosissimi, eproduce instancabilmente un’edera vigorosa che si arrampica fino alla miacancellata e si infila fra le rose e i gelsomini, cercando di divorarli. Io lastrappo, e lei ritorna.Quindi la mia accoglienza è senz’altro favorevole. Se sradicano l’edera, per meè okay. Preparo addirittura il caffè, per questi due disgraziati.Mi spiegano che dovranno tagliare anche una certa quantità, ma non troppa,della New Dawn, la rosa meravigliosa che dal giardino si protende sullastrada, riempiendo di gioia e meraviglia i passanti. Mi dispiace, ma lo capisco.«Fate pure. Se avete bisogno, suonate».Li lascio soli, misera me, perché devo finire un lavoro e sono in ritardo.Quando scendo una mezz’ora dopo, già mi viene male a vedere la New Dawnridotta a un terzo, e poi noto lungo l’aiuola delle rose tralci di gelsominobuttato a terra, e vedo uno dei due che tira via qualcosa a mani nude, conentusiasmo.«Scusi… cosa sta facendo?».«Le tolgo un po’ di erbaccia!».È la vite vergine, che ricopre il muro di cemento e la cancellata. Là,nell’angolo, l’hanno già strappata quasi tutta, insieme a gran parte delle roseche sono laggiù, a pezzi di caprifoglio, a metri e metri di gelsomino. Annaspo,e cerco di fermarli.«Ah… non è un’erbaccia? Oh, mi spiace. Però guardi, mentre c’eravamo, leabbiamo potato un po’ il melo».Ma questo non è il ruscello, vorrei dirgli. Questo è il mio giardino. Voidovevate pulire il ruscello, non annullare ogni forma di vita vegetale nelraggio di quindici metri dal medesimo. Li metto fuori, senza urlare, emestamente raccolgo gli sfalci, i rami, le rose, le foglie, e butto tutto nelbidone. Quella non era Protezione, e non era affatto Civile.

5 aprile

Altri due hanno risposto al mio appello. Ricordate l’appello ai bulbi nel mesedi novembre? Quell’invito a darsi da fare, visto che per quest’anno non neavrei piantati di nuovi, e toccava a loro riprodursi, rifiorire, far fruttare i

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talenti come bravi figli del Vangelo. Oltre ai sei o sette crocus di marzo, bendue di numero tulipani si sono degnati di sbocciare. Uno rosso, lungo ilsentiero lastricato tra il faggio e la magnolia. Uno giallo, nel pratinofinlandese dietro casa. Bellissimi, però. Meravigliosi, i tulipani più belli da quia Pralormo. Perfetti come punto di colore, come compattezza di petali, comeassenza totale di profumo, quindi, dal punto di vista dei fiori, di cervello. Duemeravigliose top model vegetali, immobili nel loro splendore. Ma sarà vero?No, perché purtroppo in questi giorni mi è capitata sotto gli occhi la teoriadella negative frequency-dependent selection, ovvero, per dirla proprio terraterra, più ce n’è meno ci piace, meno ce n’è e più ci piace. Quindi può essereche questi due tulipani mi appaiano tanto fulgenti perché sono gli unici. Se cene fossero anche solo dieci rossi e dieci gialli, non distinguerei al loro internoparticolari benemerenze. Ci rifletto cinque minuti mentre strappo erbacce dalsuddetto sentiero lastricato. E capisco (o credo di capire, ma non è lo stesso?)che il problema, l’ostacolo contro cui mi sfracello il naso, è ancora una volta iltempo. Il tempo di guardare UN tulipano, il tempo di guardare, uno per uno,DIECI tulipani. E cogliere l’individuale bellezza di ciascuno. Allora, io nonsono di quelle che vorrebbero volare, essere invisibile, far innamorare tuttischioccando le dita, riempire il portafoglio con un sospiro o leggere nelpensiero degli altri. Vivo volentieri senza poteri magici. Ma se potessi averequello di fermare il tempo anche solo per mezz’ora al giorno? Si può fare? Mirivolgo a te, Albus Silente, a te, Zeus, a sant’Antonio, e alla dea Kali. Potresteconferirmi, per mezz’ora al giorno una volta alla settimana, il potere difermare il tempo, e mentre tutto intorno a me sta immobile e in particolaremi riferisco agli orologi, io, disincarnata, disossata, pura essenza di me stessa,guardo.

6 aprile

Ho fatto il cambio del guardaroba al bordo delle aromatiche. È primavera,oggi è domenica, ieri sono andata al vivaio e ho comprato un po’ diaromatiche sensate, e fresche, brillanti.Ho tolto quasi tutto quello che c’era, quelle erbe inutili che non usavo mai estavano lì a sventolare patetiche foglie sempre più coriacee. Ho lasciato la

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salvia, il timo, il rosmarino, l’alloro, la rucola, le fragole, la maggiorana, l’erbacipollina. Ho aggiunto del sedano, perché al momento di fare il soffritto mimanca sempre. Del coriandolo, perché mi piace tanto la cucina indiana. Lalimoncina nuova, perché quella vecchia è morta. Il dragoncello, perché voglioriprovarci, con lui. Il prezzemolo, perché non mi arrendo mai.Poi ho preso un quaderno, e ho disegnato il bordo su due pagine, scrivendo ilnome delle piantine secondo la loro collocazione. Così, quando fra due mesiguarderò la terza a partire dall’inizio senza avere la più vaga idea di cosa sia,prenderò il quaderno, e scoprirò che fra l’erba limoncina e l’alloro c’è ilcoriandolo.Nello stesso quaderno, ho attaccato le etichette che c’erano sui vasi. Etichetteche per una volta tanto cercano veramente di essere d’aiuto. Infatti riportano:conservazione e utilizzo; simbologia; una ricetta. Eh, che gentili? Scopro cosìche il dragoncello può essere consumato fresco oppure essiccato. È utilizzatoper aromatizzare uova, pesce, frutti di mare, carni. Le foglie fresche possonoessere unite alle insalate e alle salse. Di sapore leggermente amaro, haproprietà antisettiche, stimolanti e digestive. Vengo poi informata che ilnome deriva forse dal fatto che le radici assomigliano a un groviglio diserpenti, o forse dalla fama che un tempo aveva questa pianta, di guarire imorsi di serpenti velenosi. Nel linguaggio dei fiori, è il simbolo della dignità.E poi mi insegna a fare la salsa bernese, questo sì che è un colpaccio. Si fa così,attenti: bollire acqua, vino bianco, aceto, pepe, sale, scalogno e dragoncellotritati. Filtrare e unire a filo a 4 tuorli, sbattendo energicamente. Alla fineaggiungere 300 grammi di burro. E va bene, etichetta, ma così non vale. Midici che i tuorli devono essere 4, e il burro 300 grammi, ma non mi dai le dosidi tutto il resto. Quanto ne bollo di vino, acqua e tutto il resto? Così, acasaccio, secondo te? Cretina.

11 aprile

L’albicocco è fiorito, ha fatto una miriade di fiorellini bianchi, quindi,secondo le più elementari cognizioni di botanica, dovrebbero seguire anche ifrutti. Fiore, frutto, è matematico. Adesso me lo dimentico, poi verso giugno

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vado a vedere se ci sono tanti grani di albicocca. Sarebbe leggendario. Dopodieci anni di battaglie, le albicocche.

13 aprile

Due ore di lavoro in giardino, durante le quali formulo un pensiero destinatoa fare una brutta fine. Ancora una volta è un pensiero sul tempo, e secontinuo così prima o poi mi metterò a studiare fisica?Guardo il chaenomeles quasi sfiorito, la forsythia quasi sfiorita, e la spirea,quella bella pianta che c’è in cima all’aiuola delle rose, e che sta inondando ilcancello con i suoi grappolini di fiori bianchi, dotati di un segreto profumoaspretto che si percepisce solo ficcandogli il naso dentro, e che mi piace tanto.Il pensiero è: queste piante di primavera hanno una fioritura breve, e quindibisogna godersela con puntiglio, non permettersi quella fruizione distrattadelle rose che sono lì a sbocciare giorno dopo giorno, e poi ancora, e se unmercoledì di troppi affanni non ti permette di gioirne, non importa, lo faraivenerdì. Invece il chaenomeles, e la forsythia, la spirea e i bulbi fioriti deitulipani bisogna guardarli con attenzione ogni giorno, perché il loro massimosplendore dura un paio di settimane, e poi per un anno niente più.A chi potrei dirla, questa cosa, perché non resti soltanto un pensiero? Chiamola persona giusta, femmina, in grado di capire ogni sfumatura di ognifioritura.«Ciao, sai volevo dirti, bla e bla».Lei mi ascolta, e siccome è gentile e mi vuole bene, sulle prime finge dicondividere.«Ah, sì… Eh… certo».Incoraggiata, insisto, e mi dilungo sull’effimeritudine del glicine, che peradesso non è ancora completamente fiorito ma presto lo sarà, e poi in unattimo ci saranno solo grigi fantasmi secchi di tutta quella opulenzaprofumata. E allora lei non resiste più.«Agghr… sei talmente ignorante che non posso sentirti parlare perché miviene la pelle d’oca dalla rabbia».E così viene fuori l’amara verità: le fioriture durano più o meno tutte uguali, ese quella delle rose sembra più prolungata è solo perché, bestia che sei, le rose

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rifioriscono.Mi scuso, riattacco e rifletto. Penso a questo insondabile mistero dellapercezione, ovvero della soggettività con cui affrontiamo le manifestazionidell’esistente. Perché a me la fioritura della forsythia sembra tanto più breve,ad esempio, di quella delle ortensie? Perché quando il glicine è carico digrappoli violetti sono quasi triste, perché so che presto, troppo presto,appassirà? E il pesco? Mi volete veramente dire che la fioritura del pesco duraquanto quella del ligustro? Mi dispiace, non ci credo.

15 aprile

La prima rosa che sboccia, purtroppo, è gialla. Gialla come una saponetta, unaspugna, una paperetta di plastica. E questo è uno dei due motivi per cui l’hospostata.Parentesi: come avrete notato, mi piace spostare le piante. Cercare per loro ilpunto della crescita felice. Nel caso della rosa gialla, però, non ho agito in basea questo nobile motivo. Lei era felicissima lì dove stava, e cresceva benissimo.Troppo, benissimo. Era nell’aiuola delle rose insieme a tutte le altre, ma nelgiro di pochi anni era diventata enorme. Come abitudine della sua razza, midicono. Infatti è una rosa Banksiae, che nei giardini creativi e ben tenuti siarrampica sinuosa e scenografica su alberi possenti. Da me, si arrampicavasinuosa e scenografica sulla ringhiera, ma lo faceva ricoprendola di spugnettegialle, che stonavano troppo accanto all’adorata New Dawn e altre rose rosa,rosa chiaro, arancio rosato, rosa aranciato, fucsia. Non la potevo vedere. Inpiù, mi hanno detto che la Banksiae ha bisogno di potersi espandereliberamente, senza roba che la intralci.Così ho chiesto aiuto a Marco il Giardiniere e l’abbiamo tolta di lì e messa nelbuco, all’inizio, in un punto dove c’è un’altra cancellata a cui avvinghiarsi, epoi, se ne ha voglia, può lanciarsi sulla cancellata del ristorante superando diun balzo il ruscello, e andare anche oltre, chissà, forse potrebbe arrivare finoin piazza.Se non incontra prima la Protezione Civile, è ovvio.Il problema era: sarebbe sopravvissuta a questo brutale trapianto eseguitoquando era già grande? Sì, sì, ce l’ha fatta. Per un paio d’anni ha stentato, ma

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oggi sono passata davanti al cancelletto del buco ed eccola lì, una distesa diboccioli che tentacolano da tutte le parti. E devo dire che lì, a guadagnarsi lavita a spese di rovi e fitolacca, mi sembra quasi bella.

19 aprile

Togliere le erbacce il giorno dopo che ha piovuto tanto. Che piacere intenso,inutile descriverlo a chi non lo conosce. Prendi il ciuffetto, tiri, e plop, vienevia tranquillo, portandosi dietro un po’ di terra e ghiaia. In pochissimotempo, ripulisco lo spiazzo sotto il pergolato, e poi ancora, pigramente,strappo a casaccio qua e là, in un giardino che questa ennesima primaverasuperpiovosa ha trasformato in una specie di campionario vivente di TuttoQuello che Non Vorreste Mai Coltivare Ma Cresce Lo Stesso. A cominciare,naturalmente, dai soffioni, i denti di leone. Formano un esercito compatto eminaccioso nel prato, un prato ormai taglia XL che grida: «Falciami! Ti prego!Falciami prima che sia troppo tardi, prima che l’erba diventi arbusto, primache il tosaerba, disperato, incricchi le sue lame fra i rovi! Falciami adesso,falciami ora, non succederà nessun miracolo, non scenderà un Arcangelo dalCielo a tagliare l’erba con la stessa spada con cui ha decapitato il Drago! No!Non succederà!».Il prato grida, ma io non gli bado, lo falcerò ma non oggi, il sabato di Pasqua,visto che il picnic di Pasquetta è stato rimandato a domenica prossima. Infattia Pasquetta pioverà, il meteo non sbaglia più, inutile sfidarlo.Preferisco continuare a estirpare senza sforzo. E mentre estirpo, penso, e perla precisione penso a questo: quali sono i piaceri assimilabili a strappare leerbacce dopo la pioggia?Subito me ne vengono in mente due: levarsi le pellicole di Vinavil dalle dita.Schiacciare i punti neri. Sono piaceri da eliminazione, quelli che in formaesagerata portano, immagino, a diventare serial killer. Schiacciare le bolle delPluriball. E poi? Voi ne sapete altri?

20 aprile

Pasqua con topo. Attraverso il giardino. Cammino con un sacchettino in

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mano, e dentro il sacchetto c’è un minuscolo topolino che squittisce. Mifermo in un punto riparato, e apro il sacchetto. Siamo vicini al piccolo ribes.Lui esce dal sacchetto e resta immobile. Anche io sono ferma. Vorrei vederloderapare via, ma credo che sia troppo sotto choc. Come siamo arrivati qui?Da un paio di giorni vedevo Trilli e Dora parecchio su di giri. Hobbes ètroppo vecchio e troppo quasi-cieco per cacciare. Ma le due tipette facevanola posta agli angoli, e si immobilizzavano lungo le fessure. Ieri ho sentito uncinguettio, e ho pensato che avessero catturato un passerotto. Controllo,niente passerotti, solo fessure e orecchie dritte.Oggi, aperte le uova e constatato che le sorprese erano anche più brutte diquelle dell’anno scorso, qualcuno l’ha visto. Parapiglia e caccia, non percatturarlo, ma per salvarlo dalle gatte. Alla fine, eccolo lì. Siamo io e lui, soli,in una stanza. È fermo sulla finestra, non osa uscire in balcone, non osaniente, 20 grammi di terrore puro. Mi avvicino, e gli do una spinta piccola colpiede, mandandolo sul balcone. Intorno a noi, il caro vecchio glicine, enorme,fioritissimo, già quasi dentro la casa perché no, non l’ho ancora potato. Pensoche Topis potrà approfittarne per scendere e dileguarsi. Dopo una mezz’ora,torno in balcone. È ancora lì, acquattato fra le foglie, e capisco benissimo chenon avrà mai, mai il coraggio di scendere dai rami, mi rendo conto che è untopino alle primissime armi, che non sa, non ha organizzazione mentale, noncapisce nulla della vita, sa solo che c’erano GATTI e bisognava SCAPPARE.Quindi vado a prendere un sacchetto di plastica, mi metto un guantomonouso, e lo acchiappo. Mi morde, ovvio. Lo infilo nel sacchetto, e lo portoin giardino.Dopo qualche minuto me ne vado, lo lascio lì sotto il ribes. Presumo checomunque non abbia molte chance. Penso che vorrei essere capace diraccontare questo topo come lo avrebbe fatto Jules Renard. Ma lo avete lettoStorie Naturali? È un libro indelebile.

23 aprile

No, no, no! Mi sono persa gli iris…Avevo piantato dei bulbi in mezzo ad altre piante, in una delle macchie cheinterrompono il prato. Tra il filadelfo e le ortensie Annabelle. Non sono fioriti

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mai, come sapete. Neanche mi ricordavo più della loro esistenza. Oggi sonoandata a controllare le Annabelle, che sono la luce dei miei occhi, ortensiemeravigliose di pizzo bianco, volevo vedere se promettono tanti fiori o pochifiori o, tragedia, pochissimi fiori. E mentre mi aggiravo lì, li ho visti. Tre alti,eleganti iris blu. Appassiti, però. Sono cresciuti, sbocciati, sono statimeravigliosi e sono sfioriti, e io non me ne sono accorta. Quindi? Ho ragioneo no, a dire che le fioriture non sono tutte uguali, e che bisogna stare moltoattenti al giardino, osservarlo tutti i giorni, perché i fiori non aspettano,vivono la loro vita, è breve, se riesci a essere loro contemporanea, bene, se nopeggio per te. E infatti, peggio per me: ho perso degli iris che probabilmenteerano degni di William Morris.

27 aprile

Picnic di Pasquetta, fatto una settimana dopo perché a Pasquetta pioveva.Piove anche oggi. Picnic di Pasquetta in ritardo e in casa. Torte verdi, insalaterusse e pomodori ripieni sono sempre loro, le pietre angolari dei picnic, e lealette di pollo piccanti, e la focaccia. Il tabulè è una novità. L’ho fatto moltosemplificato, niente cipolle, perché è un picnic con bambini. Pomodori, succodi limone, olio, un goccio di tabasco (chissà perché l’ho messo?), menta e, percompensare la mancanza di cipolla, con le forbici taglio tanta erba cipollinaed erba limoncina. Piace molto, e tutti si incuriosiscono dell’erba limoncina.Esco sotto il diluvio, e ne strappo qualche foglia.«Ahhh! Buona!».«Ti faccio il piantino».Mentre i gitanti vanno via, stacco qualche rosa fradicia per le amiche. Pensoche poi, nelle loro case, al caldo, le rose bianche e rosa e arancioriacquisteranno tutto il loro potere. La rosa asciutta è supereroe, bagnata èniente. Come i gatti. È veramente incredibile quanto si assomigliano i gatti ele rose.

1 maggio

Quest’anno mi sa che faccio il boom delle fragole. Ce ne saranno almeno

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venti. Sono lente come la fame, perché mentre intorno a me in ogni angolodell’universo si vendono cestini pieni di belle fragole rosse e succose, le miesono ancora bianche e piccole. Però tante. Tante normali, e perfino tre oquattro sulla piantina delle fragoline di bosco che mi hanno regalato. Contosolo su queste allevate nel bordo delle aromatiche. Quelle nell’ex orto, le hoabbandonate. Non vado neanche più a guardarle, tanto so che i cani lecalpestano. Dovrei dire qualcosa dei cani che periodicamente invadono ilgiardino. Un’altra volta. Adesso andiamo avanti con le fragole. Nel bordostanno tranquille, però neanche lì sono davvero al sicuro, e infatti le fragolinedi bosco presentano segni di essere state rosicchiate da qualcosa. Forse queltopolino? Forse è sopravvissuto a forza di fragole acerbe?Che ne farò, delle mie venti e più fragole? Saranno troppo poche, per fare unaminimarmellata con una minipentola e minizucchero e minifruttapec per poimetterla in un minivaso e miniregalarla a una minibambina?

11 maggio

Chi non muore si rivede. Dopo anni di silenzio e latitanza, il melogranofiorisce. Niente di cui andare in giro a vantarsi, sia chiaro. Poche macchiolinerosse tra i rami, chi passa lungo la statale, anche in bicicletta, probabilmentenon le nota, ma io, dalla finestra della cucina, mi allargo il cuore perchéfinalmente il verde melograno sfoggia i bei vermigli fior. Sono belli davvero,guardo il loro rosso appena aranciato e sento che mi sta per partire il cervelloin una rapsodia su come mai esistono milioni di fiori rossi e nessuno è dellostesso rosso. Milioni di sfumature di rosso vegetale. Aiutoooo! Vertigine. Alt,però, non posso permettermi questi pensieri allucinogeni, perché stocucinando. Se mi allucino mentre cucino, viene fuori qualcosa diimmangiabile. Meglio concentrarsi su un piccolo, miserabile fatto reale. Aquesti bei vermigli fior non seguirà nessun frutto. E questo perché io sonouna rappresentante di spicco della categoria CLIENTE BABBEA.L’alberello di melograno l’ho comprato subito, appena arrivata nel giardino.Di questa pianta mi piace tutto: il nome, i fiori, e i frutti. Non da mangiare. Sì,qualche chicco nell’insalata fa piacere, ma appare evidente che il melograno

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va guardato, non mangiato. Va aperto in due, vanno sgranolati i chicchi, e poibisogna restare in contemplazione attonita di quelle minuscole meraviglie.Inutile provare a farsene una collana; quante volte li ho affrontati con ago efilo, niente, sono imperforabili. Per quello, credo, hanno inventato i granati,per consolarci di non poterci fare le collane con i melograni, però purtropponon c’è paragone.E quindi, quando il vivaista mi ha chiesto, gentile: «Lo vuole solo da fiori, o dafiori e frutti?».Ho risposto da fiori e frutti, da fiori e frutti! Non lo sapevo neanche, cheesistevano le due possibilità. Chi mai sceglierà quello solo da fiori?E così lui mi ha dato quello da fiori e frutti, io l’ho pagato, portato via epiantato. E in dieci anni mai, per nessun motivo, quel melograno ha fattoanche solo un melogranino giocattolo.Questo perché sono appunto la classica Cliente Babbea. Quella che nonapprofondisce, non scoccia, non chiede, non si fa certificare, non fa “CSIVivaio”, pretendendo prove scientifiche della duplice natura dell’albero cheva ad acquistare. No, la Cliente Babbea si fida. E non perché è Innocente, èBuona, è un pochino un Angelo, è New Age, ama il mondo, dona il suo cuore,ha fede nel Signore. No, si fida perché è superficiale.Perché a fidarsi si fa prima, perché se ti fidi puoi scappare via di corsa erubacchiare qualche altra mezz’ora alla tua giornata, perché tu,personalmente, non imbrogli, e quindi non hai abbastanza profonditàcerebrale da ricordarti che la maggior parte della gente invece lo fa, ed è conloro che dobbiamo vivere. Sei, appunto, Babbea.Per questo io, suprema Cliente Babbea, mi sono fatta rifilare un melogranoche mai mi darà frutti. Qualcuno, gentilmente, mi dice: «Aspetta, non è detto,certe piante sembra che non fruttifichino e poi…».Ma dopo dieci anni? Infilo in forno la quiche (due uova, 200 dl di panna,tanto parmigiano, cubetti di prosciutto) e, per essere babbea fino in fondo,penso: «A ogni modo, quando sfiorisce devo poi controllare se per caso cisono i pallini…».

11 maggio, pomeriggio

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Continuo a pensare ai rossi. E al melograno. I fiori sono vermigli veramente?Che rosso è, il vermiglio? E i chicchi, sono color granato? Che rosso è, ilgranato?Per fortuna mi basta aspettare che sia sera: cena finita, caffè preso, cucinariordinata, gli altri abitanti della casa impegnati ciascuno nelle propriefaccende, vado al computer e cerco…«Il vermiglione, chiamato in passato cinabro (dall’omonimo minerale da cuiera estratto), o detto anche rosso vermiglio (dal latino vermiculus, diminutivodi vermis, ovvero verme, perché simile al colore estratto dall’insetto omotterodetto Kermes vermilio), è una tonalità di rosso molto vivo, colore intermediofra l’arancione e il rosso porpora.Anticamente veniva utilizzato il cinabro, naturale o sintetico, per produrre ilrelativo pigmento colorato (chiamato infatti talvolta cinabro), ma essendoquesta una pietra composta da mercurio ed essendo il mercurio tossicoattualmente si utilizzano altri composti per produrre il colore.Colore essenziale per produrre il color carnicino della pelle sui quadri. È unodei colori più usati insieme al bianco, al nero e ai colori primari».Tra l’arancione e il rosso porpora, è lui, è il colore dei fiori del melograno. Eora vediamo “granato”. E faccio la grande scoperta, e cioè che il granato sichiama così proprio perché assomiglia ai chicchi del melograno. È il frutto, adare il nome alla pietra.Però quando si tratta di colori la mia curiosità è insaziabile, e sento il bisognodi consultare qualcosa che non sia Google. Quindi ecco a voi uno dei libri piùbelli che possiedo (comunque non ne ho tanti).L’autore è G. Ronchetti, il titolo La composizione delle tinte nella pittura a olioe ad acquerello, l’editore Hoepli (e chi se no?).Questo libro fa una cosa semplice e meravigliosa: insegna quali colori usareper dipingere qualsiasi cosa. Non ci credete? Apro a caso:«TETTI COPERTI D’ARDESIATinte generali: Grigio Payne. Nero Lampada».E poi parte con una sfilza di altri colori, tipo «seppia, lacca carminata, rossoVenezia», mezza pagina di possibili combinazioni per dipingere i tetti copertid’ardesia. Poi un’altra mezza pagina per i tetti coperti di paglia, e qui l’ocragialla la fa da padrona. Altri tetti non ne prevede. È un libro che si rivolge apittori classici, amanti degli scorci campagnoli, dove i tetti sono di ardesia o

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di paglia. Non prevede, ad esempio, i colori per dipingere le antenne di Sky.Però probabilmente il Grigio Payne e il Nero Lampada potrebbero funzionareanche in questo caso.Ormai ci sto dentro, non mi stacco più, e provo a vedere cosa consiglia perdipingere fiori e frutti. E resto di stucco scoprendo che non ne parla. Nientefiori, niente frutti. Alberi sì, ci sono minuziose indicazioni per dipingere olmi,pini, abeti, erba, giunchi, siepi, prati, per non parlare di mare, montagnelontane, montagne vicine e montagne né carne né pesce, tutto, ma neancheuna parola su quali sono i colori a olio o ad acquerello per dipingere unamargherita, una rosa, una violetta. O un’albicocca, una mela, un mandarino.Come vorrei conoscere G. Ronchetti, e chiedergli perché. Chissà cosa glihanno fatto i fiori, e i frutti?

12 maggio

In questi giorni nella città di Torino c’è la Fiera del Libro. Venerdì e sabatosono andata a fare piccole attività in loco, e ne ho approfittato per comprareun libro allo stand della casa editrice Passigli. Oggi questo libro l’ho portatocon me in giardino, per leggere qualcosa alle rose. Perché leggere in giardinova bene, ma leggere al giardino?Più in generale: ogni tanto mi viene l’impulso di infilare la testa fra i cespugli,e parlare. Lo capisco, quel tipo che aveva confidato i suoi segreti alle canne. Èconfortante sussurrare al ligustro, ad esempio. O forse è confortante mettersiin un cespuglio, o sdraiarsi in modo da avere tutta l’erba intorno alla faccia.Ogni tanto, ci rilassa comportarci da pianta fra le piante, proprio come ognitanto ci rilassa comportarci da animale fra gli animali.Torniamo al libro di cui io sono fiera. La Fiera del Libro. Si chiama Le Rose,sono 24 poesie monotematiche, scritte in francese dal poeta tedesco Rilke.Pedante come sono, speravo che fossero specifiche, tipo: “O, tu, WhiteSimphony, che allarghi i tuoi pensieri in petali scoscesi”. Ogni poesia una rosaprecisa. Invece sta sul generale, e infatti una delle migliori, secondo me, èquesta:

«Una rosa sola è tutte le rosee proprio quella: l’insostituibile,

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la perfetta, la duttile parolaincorniciata dal testo delle cose».

Ma ne ho trovata una che, anche se il libro non lo dice, è scrittaespressamente per una rosa che ho messo nel buco, vi ricordate, quella che haun delizioso profumo di mela, fiori insignificanti e una dotazione sovrumanadi spine. Scendo fino da lei, mi faccio largo tra i soliti rovi, erbacce, caos delpovero buco come sempre trascurato, mi appoggio al muretto di fronte epiano piano, con voce frettolosa, leggo per lei:

«Contro chi, rosa,ti sei dotatadi queste spine?È stata la tua gioia troppo fineche ti ha costrettoa diventare questa cosaarmata?».

Poso il libro sul muretto. Il flash mob artistico l’ho fatto, ora metto i guanti estrappo rovi.

14 maggio

Vado al vivaio in cerca di peperoncino. Manca al mio rinnovato bordo delleerbe, ed è indispensabile perché molto ne consumo. So che peperoncinocerco. Si chiama Habanero. Lo coltivano a man bassa nello Yucatan ma inorigine veniva da Cuba, e per questo si chiama così, come la Habanera. L’hocomprato l’anno scorso, senza sapere la verità. L’ho comprato perché tra letante piantine peperoncine esposte era l’unica che si chiamasse come unadanza. E perché quella danza è la Habanera della Carmen, che chi la senteresta impigliato. E che proclama una delle poche verità assolute del nostropatrimonio emozionale.

«L’amour est un oiseau rebelle.Que nul ne peut apprivoiser,

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Et c’est bien en vain qu’on l’appelleS’il lui convient de refuser».

Così, per amore della Carmen, e perché non resisto alle cose che si chiamanocon nomi di musica, ho comprato il peperoncino Habanero. E dopo, solodopo, ho scoperto con gratitudine che è il peperoncino più piccante delmondo. Scrivevo un pezzo per la radio sulla classifica dei peperoncini, ed eccolì l’Habanero, number one.L’ho usato con parca costanza per tutta l’estate, ma i peperoncini muoiono, evanno sostituiti. E niente, questa volta non lo trovo. Fra i tanti peperoncini infila, l’Habanero non c’è. Fedele alla consegna che l’amour non si puòapprivoiser, non mi sono intestardita a cercarlo per forza in altri vivai omercati, e ho invece preso il Diavolicchio calabrese, che è ben piazzato anchelui nella scala di Scoville, ovvero quella che misura la piccantezza deipeperoncini. Gloria a Wilbur Scoville (1865-1942), chimico statunitense, cheun giorno decise di dedicare la sua scienza a questo scopo.Ho comprato anche una piantina di Stromboli, che non figura nella scala diScoville, però è a mazzetti, e il peperoncino a mazzetti è il più bello.Insieme a loro, ho portato a casa un lupino rosa, e quattro ciuffi di basilico. Ilupini sono un’altra delle mie battaglie perdute: li semino ogni anno, noncrescono mai. Perciò ho scelto una linea di bassa resistenza, mi curvo comeun nuovo televisore di cui ho appena visto la pubblicità, e compro un bellupino già grande, con tante foglie e due fiori rosa.Sistemo le piantine nuove, e guardo l’orologio con gli uccellini che ho appesoaccanto alla porta di casa, per sapere l’ora quando sono in giardino. È di quelliche dovrebbero fischiettare un verso diverso a ogni ora, ma per quanto abbiaseguito con cieca devozione le istruzioni, abbia messo le pile e tutto, funzionama non fischietta. Non mi stupisce troppo, però: è un regalo di Cippirimerla.Guardo l’orologio, e penso che posso permettermi ancora mezz’ora di lavorofuori. Mezz’ora… che si può fare di utile in un giardino, in mezz’ora?Ahhhhh… ma certo… eccolo, un altro dei piaceri da eliminazione, uno deipiù deliziosi, ma come ho fatto a non ricordarmelo l’altro giorno? Staccare lerose appassite. Prendo le forbici e comincio: cuore rilassato, muscolitranquilli, respiro regolare, stacco, stacco, stacco.

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17 maggio

Non ci potrò fare nulla, con le mie trenta fragole (sono aumentate). Nonavevo tenuto conto del fatto che la vita non è un cartone animato, cosa di cuiin effetti spesso mi dimentico. Le fragole sono bestioline individualiste, nonun gruppo compatto come le Winx, che una mattina si svegliano tutteinsieme…FRAGOLA JIXY: «Ehi ragazze! Sapete che giorno è oggi?».TUTTE LE ALTRE IN CORO: «Si, Jixy, lo sappiamo!».FRAGOLA JIXY: «È il 17 maggio!».TUTTE LE ALTRE IN CORO: «Ti abbiamo detto che lo sappiamo Jixy!».FRAGOLA JIXY: «Brave! E quindi oggi e il giorno di…».TUTTE LE ALTRE IN CORO: «Maturare!».E via, plop, tutte insieme di un bel rosso carico, profumate, spaccose sotto identi.No, maturano a casaccio, due oggi, tre domani, sei chissà. Non le avrò maitutte insieme. Le avrò in dosi inutilizzabili. O quasi. Oggi ne ho raccoltequindici mature. Le mischierò a uno spicchio di ananas avanzato, e qualchepesca. Rispetto la regola del tre della macedonia, la sapete? Una buonamacedonia ha tre frutti base, e uno spizzico di altri. Per lo spizzico, vado avedere se per caso è maturato, e contemporaneamente sfuggito agli uccellini,qualche chicco di ribes.

19 maggio

Il giardino cambia il rapporto fra la persona e la pioggia. Tranne che inoccasione di picnic e feste all’aperto, la persona che ha il giardino se piove ÈCONTENTA. Dai, inutile far finta. La persona è contenta perché non deveinnaffiare. Mentre intorno a me tutti protestano perché è maggio e fa ancorafreddo, perché bisogna mettersi la giacca e le scarpe invece che la maglietta e isandali, io ridacchio nascostamente, e l’unico rimpianto è che ieri sera hobagnato. Però non tutto, eh eh eh, ho fatto solo davanti a casa, ho ignoratotutto ciò che sta dietro e di fianco, e quindi e le rose e il ribes e la clematide ele ortensie, sentendomi un po’ in colpa perché lo so, come lo sanno tutti, che

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le ortensie sono seconde soltanto ai pesci come aspirazione all’acqua. E mi èandata bene perché oggi piove-pioviccica. Niente di esaltante, ma quelcostante sgocciolio celeste che rivitalizza i primi bocciolini di ortensie.Invece sono preoccupata per la borragine. La borragine è come i gladioli,incapace di reggere se stessa. È cresciuta al suo posto nel bordo, ed è cresciutatanto, è alta, carica di boccioli che stanno trasformandosi in fiori azzurri, unodegli azzurri più belli in natura. Ma non si regge, si inclina pericolosamente diqua e di là, non sta su. E in effetti, come farebbe a stare su quello stelo sottile,così carico di fiori? Quindi la natura non dota tutte le sue creaturedell’apparato necessario per tenersi su? Toppa con i gladioli e con laborragine? Adesso io prendo una canna di bambù e la sostengo, ma non ècosì che dovrebbe vivere, una borragine, legata a una canna di bambù. Vado avedere cosa dice Wikipedia…Eh, dice che lo stelo può arrivare a 80 centimetri. Quindi è previsto. È previstoche sia lungo, e che regga. La mia borragine, invece, si sdraia. Ma leggendo,mi distraggo subito dai problemi di postura, perché vengo informata che ifiori di borragine, «congelati in cubetti, possono costituire decorazione per lebevande estive». Ahhh, li congelo subito! In cubetti!

21 maggio

Marco il Giardiniere passa a portarmi uova e piselli della cascina della suafamiglia, e già che c’è va a dare un’occhiata al buco, per vedere se il fico, cheabbiamo tirato su da una posizione sempre più inclinata, tiene bene. Tornacon una manciata di ciliegie. Incredibile, il ciliegio ha fatto i frutti! Peccatoche io non mi sono ricordata di andare a mettere le bambole e le strisce didomopak, e così le hanno già mangiate quasi tutte i corvi. Non importa, sonocontenta lo stesso, perché queste poche sono buonissime e comunque ilciliegio ha dimostrato di essere in grado di produrre qualcosa, ormai non cicontavo più. L’anno prossimo, vedrai quante!

24 maggio

Sabato pomeriggio, lavoro un po’ in giardino, insieme a una signorina e

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quattro cani. Due sono suoi, due di sua sorella. Spesso questi quattro canivengono a trovarmi e, a seconda della stagione, li accolgo con diverso piacere.Più piacere in autunno e inverno, pochissimo piacere in primavera ed estate.Perché calpestano e scavano, soprattutto uno di loro, una certa Pastis, pitbullaffettuosa e giocherellona ma di natura irruente. Poi c’è Babu, che vive conlei, bull terrier con tendenza soprammobile, non ama muoversi, amaimmobilizzarsi e fissare ciò che gli piace, ad esempio palle di gomma. Allasorella che in questo momento dirada le meline del melo appartengonoinvece Noce, razza da definirsi, autoritario ma molto educato, e Spigola, ilcane del mio cuore, specializzata nell’ingresso in casa dalle finestre. Insieme,la signorina e io abbiamo raddrizzato e legato rose e caprifogli che hannosubito il raid della Protezione Civile, strappato erbacce, eliminato qualcherovo dal buco, raccolto i grani di ribes, che quest’anno ha lavorato bene: tantifrutti grossi e rossi. Peccato che per adesso è una pianta formata da due solirami.In un sabato di maggio inoltrato, alle quattro e mezza si può interrompere illavoro e sedersi nell’erba, in compagnia di acqua frizzante, un remoto residuodi uovo di Pasqua, due gialli di Agatha Christie, un telo dipinto a mano daantichi allievi della Scuola Holden (questa sarebbe una lunga storia), echiacchierare a piedi nudi.«Questo è l’unico posto in cui sto scalza. C’è gente che va scalza alValentino…».Ci mancherebbe, le dico. Figuriamoci, il Valentino, famoso parco pubbliconella città di Torino, camminare scalzi al Valentino è come fare il bagno nelPo, quasi sicuramente mortale.Mentre parliamo, vado a controllare se anche quest’anno spunterà la linaria.È un fiorellino giallo chiaro a spiga che è arrivato per conto suo a circondaredue rose che stanno a margine dello spiazzetto lastricato dietro la casa, dovec’è il tavolo grande per mangiare. Fiorisce tardi, verso agosto, mi pare, ed èmolto importante stare attenti a non falciare i suoi gambi in primavera,scambiandoli per erba o erbaccia, e invece girarci attorno, così poispunteranno quei piumini gialli tanto aggraziati, tra gli ultimi fiori belli difine estate. Vado, guardo, riguardo, non ci sono. Intorno alle rose, tutte inboccio ma non ancora fiorite per fortuna, così me le godo quando le altresaranno già in fase discendente, intorno alle rose solo erba qualunque, niente

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gambi sfrangiati e verde chiarissimo. Come è possibile? La linaria si è estinta?Si è atomicamente disintegrata?Il giardino è così, dico alla signorina, non sta mai fermo, non ti lascia maitranquilla, è pieno di iniziative, ha una vita propria fatta di semi che arrivanoe radici che si fulminano, il ricambio di piante non lo decidi solo tu, e devistare attenta, molto attenta, a cogliere i cambiamenti, anche quelli cheavvengono nella visione periferica.La signorina, immersa in Istantanea di un delitto, fa sì con la testa. Spigola,invece, mi ha ascoltata con attenzione, e si avvicina per sussurrarmi.«Secondo me, quando hai falciato non te ne sei accorta ma l’hai tranciata dibrutto».Oh, Spigola, sei un cane troppo oltre.

25 maggio

Conseguenze della visita dei quattro cani. Sto fissando senza poterci credereun angolino dell’aiuola accanto al cancello, in cui fino a ieri c’era una digitale,con i suoi bei fiori bianchi a puntini. La terza o quarta o decima digitale cheprovavo a coltivare, sempre fallita per i più svariati motivi. Questa, invece,prosperava. Una sana, rigogliosa digitale. E in quell’angolino, adesso, non c’èpiù niente. Non è rovinata, o calpestata, o danneggiata in qualche modo.È stata annichilita fino alla vanificazione.Ecco, questo sono 4 cani e 1 giardino.

26 maggio

Fiori sconosciuti. Li ho piantati io, probabilmente al momento sapevo anchecome si chiamavano, ma erano nomi appiccicati con lo sputo, come quandostudiavo matematica, e dieci minuti dopo l’interrogazione avevo di nuovo ilcervello sgombro da dati per me inutili. E infatti adesso non so più il loronome, e la mia ignoranza botanica resta intatta. Questi sono bellissimi,fiorellini blu/violetti a stella, certi hanno cinque petali, certi sei, qualcuno, mameno, quattro. Crescono a perdifiato nello spiazzetto davanti a casa, e dunque

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me li assaporo tutti i giorni, e vorrei prenderne uno e smaltarlo, perchésarebbero perfette spille.Fiore conosciuto. Finalmente il filadelfo è fiorito. È un filadelfo grande che stain mezzo al prato, insieme alle Annabelle e al ceanothus. Non si può spiegarea parole quanto è bello un filadelfo fiorito, e quanto chiunque abbia anchesolo un metro quadrato di giardino dovrebbe piantarne uno. I fiori bianchidel filadelfo basterebbero da soli a comunicare l’idea platonica di fiore. Invecesi può spiegare benissimo a parole il profumo di quei fiori. È il profumo cheavrebbero le nuvole se profumassero.«Ah, piantala», dice Amy a Beth, «quanto sei melensa, mamma mia. Ilprofumo delle nuvole… gne gne gne. Casomai, è il profumo di un incontro amezzanotte con un ragazzo di cui vedi soltanto i capelli biondi illuminatidalla luna…».«Per carità, sei imbattibile per banalizzare qualsiasi cosa. Puah!», Jo sputa allasorella, mancandola di parecchio. «Il profumo del filadelfo è il profumo diun’idea meravigliosa che ti è balenata in mente appena sveglia, e che dieciminuti dopo non riesci più a ricordare…».Meg, che tanto per cambiare sta rammendando dei calzini bucati, scuote latesta sorridendo. Che babbane, le sue sorelle. Nuvole, biondi, idee… «Nonricordate, carine? Ve l’ho detto tante volte. Il profumo del filadelfo è quello diuna federa stirata con amore da un bravo donnino di ca…». Non fa in tempoa dire «…sa», che le altre tre scappano via, verso una vita senza federe benstirate.

1 giugno

Nel corso dell’anno, mentre io facevo poco, il giardino ha fatto molto perconto suo, e me ne accorgo durante un giro di perlustrazione, di quelli che mipermette la domenica mattina. La rosellina rossa, ad esempio, vi ricordate?Quella che ho spostato, e che anche nella nuova sede stentava, e che rischiavadi essere definitivamente sradicata: quest’anno, eccola che sfolgora dibocciolini, in ritardo rispetto alle sue vicine già fioritissime. Una sola rosellinasi è aperta, e rimando a un altro momento il tentativo di classificarne l’esattopunto di rosso.

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La Rosa del Vampiro, anche lei ha ancora i fiori chiusi. Per il momento,impossibile dire se dentro ci troverò o no il Potato Flea. Però è possibile direche è comunque, a prescindere da cosa ci troverò dentro, una rosa assaistrana. Voglio dire, i boccioli li aveva già all’inizio di marzo. Sono passati tremesi, e sono sempre lì. Ancora in boccio. Un poco più grandi, forse, ma sarànormale metterci tre mesi a sbocciare? Nell’aiuola delle rose ce n’è una a fioresemplice che, se alle undici di mattina è bocciolo, alle tre del pomeriggio è giàquasi sfiorita. È ormai chiaro che la Rosa del Vampiro vive una vitacomplessivamente sinistra.

La rosa iceberg sul cancello, invece, ha smesso di essere di quel biancocandido che ha sfoggiato negli anni scorsi. I fiori sono screziati di rosa. Chissàperché. Penso che magari si tratta di una malattia, e rifletto che per noi umaninon esistono, come in questo caso, malattie che ci rendono più belli. Tranne,forse, qualche particolare tipo di malattia mentale.Il melo ha le mele. Tante. Il fico, quest’anno è schizofrenico, a proposito dimalattie mentali. Due rami laterali sono carichi di bellissimi fichi, già quasimaturi, molto in anticipo. Il resto della pianta, ha due o tre frutti al massimo,ancora minuscoli. Rinuncio a capire.Il caco è super carico, quando raccoglierò i frutti avrò bisogno di moltecassette e molte persone a cui regalarli (a meno che non grandini, ma laprecisazione “a meno che non grandini” vale per tutto, in un giardino).Il pesco ha la bolla, e ha le pesche, come al solito. Il pesco è l’unico albero chesi comporti come al solito. Il pergolato di uva fragola ha i grappolini, per oraverdi, poi chissà.E l’albicocco? I fiori erano tanti, le albicocche quattro di numero. Abbastanzagrosse, ma quattro. Lo prendo come un segno di buona volontà: «guarda,quest’anno non potevo fare di più, ma vedrai che fra due anni…» (non so selo sapete, ma l’albicocco fa i frutti un anno sì e un anno no).Continuo il mio giro, e vado a vedere come se la passa il buco. Benissimo,figuriamoci. Non esiste angolo di Piemonte, credo, in cui la vegetazione sitrovi meglio. Qui tutto ciò che non dovrebbe crescere, cresce con inutilevigore. Guardate l’abete di Natale, vi prego: tra un po’ sarà un alberomaestoso degno di una foresta finlandese, e dovremo abbatterlo a colpi diascia. La yucca che ho piantato da poco ha attecchito che è una meraviglia,sembra nata per stare in questa striscia di terra infossata lungo un fiume.

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«Goditi l’estate», le dico, «perché con ogni probabilità non passerai l’inverno,sempre sperando che l’inverno arrivi».Non le faccio per niente paura. E, mentre esco dal buco, penso che neanchequest’anno ho piantato i lamponi. Lancio un sottilissimo filo di ragnatelaverso la prossima primavera.

2 giugno

Saggio breve. Titolo: Come veniamo spinti verso la grande distribuzione anchese non vorremmo.Svolgimento. Oggi, 2 giugno, festa della Repubblica, è la prima giornatainteramente priva di incombenze che ho a disposizione da settimane. Neapprofitto per andare in vivaio, voglio comprare un po’ di fiorellini senzacapo né coda da mettere lungo il perimetro del piccolo pratino davanti a casa.Non voglio andare nel grande vivaio che fa parte di una catena appartenente,mi dicono, alla ex signora Berlusconi. Voglio andare in un vivaio più piccoloe molto gradevole che c’è appena fuori da San Mauro. Ma quando arrivo lìdavanti, è chiuso. E certo, avrà pensato, oggi è festa, sto chiuso. Me ne frego,se a poche centinaia di metri da me c’è il Vivaio della Catena che è sempreaperto, anche a Natale. Me ne frego, se la grande maggioranza delle personese trova il tempo per andare a comprare piantine, lo trova nei giorni di festa.Io sono un vivaio chic, per signore che non lavorano, che a comprarsi lebocche di leone possono andarci tutti i giorni. Sono talmente chic che faccioperfino una lunga pausa pranzo, dall’una alle tre e mezza, perché le mie clientiprima delle cinque non vuoi mica che escano di casa. Voialtre, voi donnesempre di corsa che infilate la cura del giardino fra mille altri impegni, andatepure là, da madama ex Berlusconi, in quel brutto vivaio enorme dove lepiante hanno sempre troppa acqua o troppo poca. Io me ne sto qui, con i mieiorari limitati, e la mia inclinazione alla riservatezza, e accolgo soltanto donneche non hanno fretta.Ti odio, vivaio chic, perché mi costringi esattamente a fare questo, che maivorrei: andare là, e portare soldi a Samo. Unica soddisfazione, sottraggo amorte certa un vaso di papaveri inariditi. Torno a casa, e li pianto in mezzo al

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prato grande. Sono sicura che questa volta si moltiplicheranno come, se nondi più, i pani e i pesci.

4 giugno

Un giorno, mi pare nel 2010, qui intorno c’è stata una specie di tornado. Eraestate, come adesso, anzi, più estate di adesso, era agosto. Non ero nella casa,io, ma qualcuno c’era, qualcuno che aveva visto la tempesta avvicinarsi, eaveva messo in salvo i gatti, come sempre sparsi ai quattro venti, e chiuso lefinestre, e aspettato che passasse. Arrivando, il giorno dopo, ho trovato ilgiardino devastato, com’è logico che fosse, e anche una notevole quantità dioggetti e pezzi di oggetti arrivati qui da altrove. Frammenti di lettere,fotografie, soldatini di metallo grigi e marroni, nastri di vecchie pellicolecinematografiche, bottigliette vuote, sacchetti soprattutto, tanti sacchetti, epoi una tessera di domino, un sandalo, rondelle non identificabili, pagine digiornali che non ho mai comprato. Abbiamo pulito, buttato, rastrellato, maogni tanto salta ancora fuori qualcosa. Osservo oggi, vicino al cancello delbuco, un triangolo di plastica rossa emerso dai rovi. Potrebbe essere unmanico? E di cosa? Sarà figlio della bufera? Arriverà mai il giorno in cui inquesto giardino non ci sarà più la minima traccia del tornado, anche senzacontare la Palla Impossibile?Eccola, la Palla Impossibile, piantata vicino alla camelia rosa, quella chequest’anno non si è sforzata per niente. Una palla di legno un po’ più grossadi una boccia, pesantissima, assurdamente intensa per essere di legno: è comese il materiale di cui è fatta rappresentasse l’anello di congiunzione fra legno eferro. Perché esistono, questi materiali di confine, legni fossili metallizzati,ceramiche sottilissime al punto di farsi quasi vetro, tovaglie di una carta che èpressoché stoffa, o una stoffa che è appena un passo oltre la carta. Esistonocreature animate che sembrano pietre, e creature inanimate che hannoconsistenza animale. Ad esempio, i pannolini lavabili. Quelli che le bravemamme di oggi usano al posto dei Pampers, o almeno, usano ogni tanto alposto dei Pampers. Sono oggetti spugnosi che danno l’idea di muoversi, dipoter almeno strisciare. Quando li guardi tutti insieme in un cassetto,

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l’impressione è quella della nidiata. Fanno un po’ senso, per quanto lodabilene sia l’impiego.La Palla Impossibile di Ferreo Legno non si sa da dove sia arrivata nelgiardino. Non credo che l’abbia portata il tornado, è troppo pesante. Laconsistenza media del materiale trasportato in quella occasione è appunto dipezzetti di plastica o carta, non una specie di palla di cannone ecologica. Eallora? Alla fine, mi sono convinta che l’ha scagliata Zeus direttamente dallenuvole. Per informare me, e me sola, della sua esistenza. Immagino l’abbiafatto in piena notte, per non ferire uomini o bestie. E così adesso ho questapalla pesantissima, che è quasi impossibile tirare ai cani per farli giocare, nelsenso che se proprio mi impegno e la sollevo, riesco a farle fare plop a trentacentimetri, non di più.Ma anche ammesso che in un giorno di particolare vigore ed energia ioriuscissi a scagliarla, non lo farei comunque, perché avrei troppa paura dibeccare il cane stesso. Con Spigola mi è successo, ogni tanto, di tirarle unbastone per farla correre, e prenderla in pieno. Perché lei corre alla stessavelocità del bastone, e quando lui cade, si trovano nello stesso punto delmondo. Boink. Per questo le tiro sempre bastoni leggerissimi.Certe volte mi chiedo:a) se piano piano la Palla Impossibile metterà radici;b) che razza di pianta ne verrà fuori.

6 giugno

Cippirimerla è convinta che la maggior parte della gente abbia un laghetto.Non so come si sia formata questa certezza, che razza di persone frequentiabitualmente. Immagino che molte sue clienti siano duchesse tipo le sorelle diLord Emsworth, e di conseguenza nell’angolo est del parco abbiano unlaghetto pieno di ninfee e pesci pagliaccio. Fatto sta che nei suoi famosi«Cinque consigli di giardinaggio per il mese di», Cippirimerla sul tema dellaghetto ci torna spesso. Anche per giugno, sentite cosa dice:«In estate le piante acquatiche, soprattutto quelle tropicali, prosperano e sononel pieno della loro vitalità, regalandoti grandi sorprese ricche di coloriparticolari.

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Per preservare l’aspetto naturale del tuo laghetto, le piante dovrebbero esseredisturbate il meno possibile. Se necessario rimuovi le lenticchie d’acqua conun retino o alcune piante potrebbero esserne soffocate. Anche le foglie delleninfee devono essere tenute sotto controllo, perché, come le lenticchied’acqua, potrebbero soffocare altre piante acquatiche».Ah Cippi, mi fai sognare. Io non le ho, le piante tropicali, perché, comeavresti dovuto capire anche dal mio indirizzo, non vivo ai tropici. Vivo inprovincia di Torino. Le sorprese ricche di colori particolari me le danno almassimo le ortensie, che non so mai se verranno rosa, rosse, azzurre oviolette. Invece di perdermi a immaginare ninfee potenzialmente assassine,però, mi concentro su queste lenticchie d’acqua che dovrei rimuovere con unretino. Saranno animali o vegetali?Una breve ricerca mi informa che, prevedibilmente in realtà, la lenticchia è unvegetale, e che il suo vero nome è Lemna minor. È una spermatofita, e avederla sembra un cumulo di perline verdi. La rimuoverei volentieri colretino, come una fanciulletta dei primi del Novecento, ma purtroppo, Cippi,non ho né laghetto né retino. Per fortuna gli altri quattro consigli del mese midicono quasi tutti, in formulazioni diverse: annaffia. E questo posso farloanche io, qui, in provincia di Torino.

10 giugno

Fa caldo, ma fra poco pioverà. Dopo non aver avuto l’inverno, non stiamoavendo neanche l’estate, in questo 2014. Dimenticavo: non si è vista neanchela primavera. Stagioni, non se ne parla più. Ma non ho tempo diabbandonarmi alle solite invettive meteoropatiche, devo strappare le erbaccedal cortile, tagliare la menta troppo alta, controllare che non ci siano in giroschifezze buttate dagli Aspettatori d’Autobus, togliere di mezzo il piatto diFumo e le ciotole per i cani in visita, devo pulire i nasturzi, bellissimiarancioni che sono spuntati là in fondo e che sono soffocati da Ogni CosaVegetale, in modo che si presentino aggraziati alla vista. E tutto questoperché? Perché mi affanno in giardino invece di oziare sul dondolo leggendoil libro di Jonathan Coe che mi sono appena comprata?Perché domani vengono Fabio e Marco a sminuire la magnolia. E quando

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vengono i giardinieri, è un po’ come quando viene la signora che aiuta incasa: una malsana disposizione ci induce a pulire proprio, e forse solo, inquell’occasione. Da me questa abile aiutante viene il giovedì pomeriggio, e ilgiovedì mattina mi sveglio già preoccupata… aiuto, devo svuotare i bidoncinidella differenziata che stanno sotto il lavandino, devo diminuire almeno unpo’ il cumulone dello stiro, devo riordinare i vestiti sparsi in tutte le camere…ce la farò? Speriamo che abbia perso il pullman e arrivi mezz’ora dopo!Col giardino è uguale. Questa volta, però, il mio mulinare le braccia come unapala eolica è particolarmente insensato, perché Marco e Fabio non siguarderanno neanche intorno, sono qui per tutt’altro. E infatti insieme a loroarriva anche Manuel, l’Arrampicatore silenzioso. Tipo rude, minuto,abbronzato, sarà lui a salire fino in cima alla magnolia, per sminuirla.Uso questo verbo con cognizione di causa. La magnolia è bellissima, e quelloche le verrà fatto oggi ne sminuirà la maestosa possanza, la renderà piùbanale, non dico misera, ma certo meno sontuosa. Ne uscirà ridimensionatae, temo, anche abbastanza avvilita. Ma non si può fare altrimenti, perchécinquant’anni fa gli azzardati progettisti di questo giardino hanno piantatovicinissimi magnolia e faggio, tutti e due destinati a diventare KOLOSSAL. Edifatti, adesso è lotta al coltello per la sopravvivenza: o si tira giù uno dei due,o li si sminuisce entrambi. Non so, mi piacerebbe lanciarmi in un arditoparagone fra la vita tormentata di Faggio e Magnolia e quella di tante altrecoppie, ma il tempo per la filosofia non è questo, era verso il 1975.

14 giugno

Domani picnic finalmente all’aperto, e col sole. Oggi preparo il giardino, tirofuori sedie e ombrelloni, di cui riempio molto bene la base con l’acqua, unlavoro che di solito non ho voglia di sobbarcarmi. Li piazzo con la base vuota,e spero che non soffi il vento, né urli la bufera. Ho però radicalmentecambiato atteggiamento da quando, circa una settimana fa, c’erano deibambini piccoli seduti nel prato, e un ombrellone cadendo ne ha mancatouno di pochissimo. La mamma del bambino è mezza svenuta, il bambino nonha fatto una piega, ha guardato con glaciale disinteresse il bastone che si è

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deposto accanto a lui, e ha continuato a cercare di avvitare un cubo a unconiglietto di peluche.Quindi adesso la base la riempio, eccome se la riempio. Una volta resi gliombrelloni quasi inamovibili, sistemo i cuscini sulle sdraio di plastica e ferro,e in un lampo di «Casa Vogue» trascino fino a qui, zona picnic, tra ilpergolato e il tavolo grande, un divano a due posti che normalmente stadavanti a casa, sullo spiazzo terrazzato. Questo spostamento rappresenta unpasso verso un arredo da giardino che, finalmente, non sia da giardino: bastacon i mobili in vimini, in ferro battuto e plastica plastificata, materiali opachiche resistono alle intemperie e non si piegano con grazia al passare del tempo,basta ai teli protettivi, le luci da esterno, i gazebi usa e getta, quelli che limonti oggi e domani il vento li porta a Chivasso. Quello che veramente mipiacerebbe sarebbe mettere in giardino divani gonfi di crine e rivestiti didamasco o coperti da teli freschi di bucato, lampade da terra da cui pendonogocce di cristallo multicolore, tavolini intarsiati, tende di pizzo appese aglialberi. Un interno rivoltato all’esterno, come quando ti metti senza farloapposta la maglia al contrario, e allora porta fortuna. Un giardino arredatocosì lo immagino sempre al tramonto, con la luce del sole che scende e quelladel lampadario multicolore che sale. Purtroppo, però, e questo è un grossonodo che va a incagliarsi nel pettine, un giardino così al tramonto mi fa anchevenire subito in mente l’unico film che continua a farmi paura anche annidopo che l’ho visto. Avete presente una paura che cresce insieme a noi, non siaffievolisce né rimpicciolisce, ma ci accompagna nel tempo come le unghie,che crescono e ricrescono eternamente nuove? Questo è per me il filmMelancholia di Lars von Trier, e il giardino di Melancholia rappresental’opposto del giardino di Scoop, ovvero il Giardino del Terrore. Per la maggiorparte del film, è elegante, nordico, ricco di orizzonte e appunto di poltrone etavoli che non è possibile liquidare con la definizione “da esterno”. Alla fineperò, dopo che varia gente è morta in questo o quel modo, abbiamo soltantoun grande prato (con l’erba tagliata alla perfezione, non un filo che spunti) ein mezzo un altro elemento che da sempre progetto di procurarmi. La casetta.La casetta da giardino, dove i bambini possano andare a far finta di esseregrandi, e viceversa. Ogni tanto vado al Bricocenter a guardarmele, per ilmomento per me sono fuori budget, ma è certo che prima o poi ne compreròuna, e la metterò nel buco, in fondo, dove ora imperversano i bambù del

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vicino. Sarà una casetta accogliente, con qualche quadro d’autore (deiBruegel, pensavo), stoffe a fiori, porcellane finissime, parquet d’acero,connessione wi-fi, Sky totale, e una stufa di Castellamonte.La casetta da giardino immaginata dall’anima tormentata di Lars von Trier, eda lui sistemata nel film Melancholia è invece una capannina fatta di sempliciramoscelli uniti in cima, un tepee, che però non è coperto da allegre stoffe deiSioux. Uno scheletro di capanna sotto cui si tengono per mano due donne eun bambino, in attesa che un pianeta arrivi a spiaccicarli, il che infatti succedee subito dopo il film finisce. Da quando l’ho visto concepisco razionalmentela possibilità che questa cosa succeda a me, o più in generale a tutti, perchéveramente, siamo seri, che ne sappiamo noi che un pianeta non potrebbearrivarci addosso? Pensate a quanta, quantissima roba c’è in gironell’universo. Non potranno mancarci per sempre, lune e meteoriti giganti.Adesso che ho finito di preparare tutto per il picnic di domani, mi rallegrodegli alberi che interrompono il mio orizzonte, per cui il Corpo Celeste nonlo vedrò arrivare, e mi coglierà impreparata mentre stacco le rose secche. Chefortuna!

20 giugno

Oggi assaporo un gusto delizioso di cui non ci stanchiamo mai. La certezza diavere ragione. Lo so, è un gusto un po’ antipatico, e sarebbe più amabile farfinta di nulla, e scacciarlo via con un gesto aggraziato della mano, però, inquesto luogo in cui mi trovo, c’è proprio tutto che me lo strilla: HAIRAGIONE! HAI RAGIONE! FAI BENISSIMO A NON VOLERE NEL TUOGIARDINO PIANTE MEDITERRANEE! Il luogo è Saint-Cyr-sur-Mer, inProvenza, un normale pittorico punto di Costa Azzurra su cui è inutileinsistere: sole, vento, cicale, calma, pulizia, tutto chiuso alle sette di sera. Eovunque pullula di piante e fiori, proprio quelle piante e quei fiori che ognitanto a casa e zone limitrofe vedo crescere con tanta buona volontà neigiardini altrui, e che invece evito di inseguire personalmente. Una per tutte: lalantana. Ci ho provato per qualche anno, perché mi piace tantissimo, con quelmiscuglio di fiori gialli e arancioni e rossi sulla stessa pianta. E crescere

Page 95: Il giardino di guerriglia - biodieta.noblogs.org · Ecco la salvia, il rosmarino, il cerfoglio, il timo, l’erba cipollina, l’erba limoncina, la borragine, l’origano, la maggiorana,

cresceva: un po’ di fiori li faceva, avrei anche potuto credere che la lantanafosse tutta lì, finché non ho visto quelle di Saint-Cyr.Qui sono una massa tumultuosa, un tripudio giallaranciorosso che sicatapulta giù dai vasi non sopportandone i limiti. Qui le plumbago sonocascatelle di fiori azzurri che senza sforzo formano cirrocumuli sui balconi.Qui l’allium è bluissimo o bianco, alto, possente, con fiori a palla che nonchinano mai la testa. E l’oleandro, e i limoni, e i gelsomini. Mi sento come ungeometra di provincia che costruisce villette a schiera tipo castelli inminiatura (esistono!) e un giorno va in gita turistica a Chenonceau.

23 giugno

Un anno dopo, esco ancora a cercare Trilli. Non è completamente buio, e aun certo punto la vedo, la mia gattina a pois, immobile accanto al cancello delbuco. Cosa c’è? Perché è spaventata? Ah, certo, le lucciole. Quei puntiniluminosi che si accendono e si spengono davanti a lei. Le fanno paura, vedo ilsuo corpo piccolo teso e quasi tremante. Poi prende coraggio, e schizza aimille all’ora verso casa.Resto ancora un attimo lì, metto un vecchio würstel nella ciotola di Fumo. Èdi nuovo tanto tempo che non lo vedo. Chissà. Mi acquatto nella ghiaia e lochiamo piano: «Fumo… Fumo…».Sento qualcosa, mi volto. Un gatto mi fissa, ma non è lui. È un gatto che nonho mai visto prima, uno di quelli grossi, con i peli lunghi e la faccia piatta,cattiva. Un tipo di gatto che non mi piace. È arancione scuro, o marronechiaro.Mi allontano piano, lui sta fermo, giro l’angolo del muro, mi sporgo, la palladi peli va alla ciotola e mangia.Fumo, se sei tu morto e tornato, hai veramente, veramente sbagliatoreincarnazione.