IL FOGL IO - massimo.sbs.arizona.edu...un dossier all affaire Ramadan . E succes - so che Henda...

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IL FOGLIO quotidiano Redazione e Amministrazione: Via Vittor Pisani 19 – 20124 Milano. Tel 06 589090.1 Sped. in Abb. Postale - DL 353/2003 Conv. L. 46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO DIRETTORE CLAUDIO CERASA ANNO XXII NUMERO 252 MERCOLEDÌ 25 OTTOBRE 2017 - e 1,80 y(7HB1C8*QLQKKS( +_!#!"!$!\ P ronti alla smentita, il capitalismo sem- brerebbe vivo e il capitale morto è la sua speranza. Uno due, sul Monde e sul Figaro. Stephen A. Schwarzman dice che la bolla fi- nanziaria non scoppia, la finanza è diventata sempre più stimolante, l’economia non è ec- cessivamente drogata o fuori controllo, i mer- cati crescono proporzionalmente al pil, e an- che di più, tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili, “salvo il rischio geopoli- tico”. Schwarzman ha fondato Blackstone nel C’è anche un po’d’Italia nello studio che promette in tempi brevi la rivoluzione nel trattamento dei disturbi psichiatrici N ell’ultimo numero della rivista scientifica internazionale Neuron è stato pubblicato, da un’équipe di neuroscienziati cognitivi che lavora in Inghilterra, un interessante articolo su un nuovo tipo di dissociazione tra azioni e convinzioni nell’adegua- tezza delle proprie azioni. Due di questi autori sono italiani: Matilde Vaghi (Cambridge University) e il capo dell’équipe, Be- nedetto De Martino (Istituto di neuroscienze cognitive dell’Uni- versity College London). Studiando il comportamento sia di sog- getti sani sia di persone affette da disturbo ossessivo compulsivo (Ocd), questi studiosi hanno osservato che l’armonia tra azioni e convinzioni sembra essere perturbata in questi ultimi. In un’in- tervista in esclusiva per il Foglio, chiedo a De Martino, interna- zionalmente noto per le sue ricerche sulle basi neurobiologiche dei comportamenti e delle decisioni, di spiegarci l’essenza di questo lavoro. “Le nostre azioni sono normalmente guidate da quelle che sono le nostre convinzioni. Per esempio se sono con- vinto che verrà a piovere nel pomeriggio mi porterò un ombrello quando uscirò di casa la mattina. Quest’idea è così intuitiva che sembra quasi ovvia ma non è così nelle persone affette da distur- bo ossessivo compulsivo”. La definizione stessa del disturbo sug- gerisce la presenza di qualcosa di anomalo. De Martino così la precisa: “Per esempio, un paziente affetto da Ocd magari si ren- de conto che le sue mani siano pulite ma ciò nonostante non riesce a bloccare la compulsione di continuare a lavarsi le mani. Questo disturbo psichiatrico che colpisce circa il 3 per cento della popolazione (il quarto disordine psichiatrico più comune) ha delle conseguenze terribili per la vita quotidiana di questi pazienti e delle loro famiglie”. Il loro lavoro è denso di dettagli, di grafici e accurate analisi statistiche. Gli chiedo di descriverlo in termini semplici. De Martino mi dice: “In questo studio, abbia- mo sviluppato un nuovo metodo (una sorta di ‘videogioco’ in cui i partecipanti dovevano predire la posizione da cui un proiettile veniva sparato) che con l’ausilio di modelli matematici ci ha permesso di capire più in dettaglio la disfunzione che potrebbe essere causa del comportamento anomalo di questi pazienti. Usando questo metodo siamo stati in grado di misurare esatta- mente il grado di associazione tra azioni e convinzioni nel grup- po di pazienti affetti da Ocd e in un gruppo di soggetti sani, il nostro controllo”. L’ingegnoso dispositivo da loro messo a punto consiste in un ugello che spara delle piccole palline in direzioni variabili. Il soggetto deve catturare tali proiettili entro un cesto che è libero di ruotare attorno a un cerchio, posto a una certa distanza dall’ugello. Inutile dire, o invece è utile dire, che la posizione del cesto sarà, di volta in volta, scelta dal soggetto in base alle sue aspettative sulla successiva direzione del lancio. Conta la direzione dell’ultimo lancio, ma anche la media delle direzioni di un certo numero di lanci precedenti. La differenza tra questi due tipi di previsioni (la media, oppure l’ultimo lan- cio) è il nocciolo dell’esperimento. Inoltre, prima di ogni lancio, viene chiesto al soggetto di dichiarare quanto intensa è la sua convinzione che la pallina andrà a cadere proprio dove ha ora posizionato il cesto. De Martino precisa: “Quello che abbiamo scoperto è che più informazione veniva fornita loro e più i par- tecipanti in entrambi i gruppi diventavano convinti della dire- zione da cui il proiettile partiva, questa convinzione, però, men- tre aveva un effetto sul comportamento del gruppo di controllo, non era in grado nei pazienti con Ocd di modulare il loro com- portamento”. (segue a pagina quattro) Tariq e le ragazze Non serviva l’accusa di stupro per sapere che l’islamista Ramadan vuole sottometterle, le donne #NextRevolution Più Brexit, più Trump, più Sanders. La missione del guru “populista positivo” dei due mondi Il capitalismo salva il mondo ma cosa fa il capitalismo per salvare se stesso? Il dibattito su Bankitalia ha aperto un processo surreale in cui si parla di tutto ma non dei veri deficit in banca. La terza via per la successione a Visco Il vero processo che manca sulle banche La Giornata * * * In Italia PAOLO GENTILONI APRE AL DIALO- GO CON IL VENETO E LA LOMBARDIA sul tema dell’autonomia, dicendosi “dispo- sto a fare passi avanti”. “Guardo con inte- resse e rispetto alla discussione aperta dai referendum”, dice il premier, ribadendo però che “non abbiamo bisogno di ulterio- ri lacerazioni sociali”. (editoriale a pagina tre) *** Cresce l’aspettativa di vita in Italia secon- do l’Istat. Per i 65enni, in particolare, la speranza è di 20,7 anni, cinque mesi in più rispetto ai dati del 2013. L'età per la pensio- ne dovrà pertanto salire a 67 anni nel 2019. *** “Verrà vietata la fattura a 28 giorni alle società di tlc”. Lo conferma il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda annunciando l’inseri- mento in manovra di una misura “pro futuro”. *** Luigi Di Maio accetta la sfida lanciatagli da Maria Elena Boschi per un confronto in tv su Banca Etruria. *** Borsa di Milano. Ftse-Mib +1,12 per cen- to. Differenziale Btp-Bund a 157,70 punti. L’euro chiude in rialzo a 1,17 sul dollaro. I l dibattito generato dal processo istruito da Matteo Renzi contro il governatore Ignazio Visco ha avuto l’effetto evidente di riaprire una discussione non solo sul futuro di Bankita- lia ma anche sullo stato di salute del sistema bancario italiano. Da un certo punto di vista, riaprire un tale dibattito proprio nel momento in cui il sistema bancario italiano non è più percepito come un elemento di fragilità è un atto spericolato e persino pericoloso, che ri- schia di dare un pretesto agli osservatori stra- nieri per mettere sotto una generica cattiva lu- ce le banche del nostro paese. Il 2017 poteva essere ricordato come l’anno dell’aumento di capitale record di Unicredit (13 miliardi), co- me l’anno dell’intervento forse risolutivo sulle banche venete (salvataggio), come l’anno della fine dei drammi su Mps (nazionalizzazione), come l’anno in cui alcune riforme portate avanti dagli ultimi governi comincia- vano a dare i loro frutti (ri- forma delle banche popo- lari, riforma delle ban- che di credito coopera- tivo, riforma del limite agli investimenti delle fondazioni in una sin- gola banca). Ma con ogni probabilità fini- rà invece con l’idea che a causa della mancata vigilanza di Bankitalia ci siano ancora molti schele- tri negli armadi dei banchieri del nostro paese. A questo punto della storia – il gover- no deciderà venerdì cosa fare di Ignazio Visco e, data l’indi- sponibilità del gover- natore a fare un passo indietro, data l’indi- sponibilità del presidente del Consiglio a fare un passo indietro, data l’indisponibilità del segretario del Pd a fare un passo indietro è possibile che la soluzione per mettere d’accor- do tutti sia quella di rinnovare al governatore un mandato formalmente pieno ma sostanzial- mente a tempo, con l’idea cioè di dare a Visco il compito di rinnovare con elementi esterni il direttorio di Bankitalia dando la possibilità al prossimo governo di scegliere un nuovo gover- natore, quando Visco considererà concluso il suo mandato di rinnovamento – discutere del sistema bancario è diventata una necessità. Ma l’elemento che spesso sfugge alle analisi di molti politici e osservatori è che per mettere a fuoco i punti di debolezza del sistema banca- rio italiano occorre fare uno sforzo e concen- trarsi più sui fattori interni che sui fattori esterni. Nonostante la buona volontà di molti, ogni dibattito sulle banche tende a sovrasti- mare le responsabilità esterne e tende a sotto- stimare le responsabilità interne alle banche. Con il risultato che mentre sui giornali e in Parlamento si processano ora la Vigilanza, ora la Bce, ora la politica, nessuno o quasi si occu- pa di mettere a fuoco il vero problema: la capa- cità del management di prendere i giusti ri- schi per riformare i propri istituti e prevenire i problemi futuri. I rischi che si corrono nel mettere sotto processo il sistema delle banche prescindendo da chi guida le banche sono sin- tetizzati in un working paper di prossima uscita firmato da due professori dell’Università di Siena: Elisabetta Montanaro e Mario Tonvero- nachi. A forza di parlare di bail-in, di vigilanza e di riforme mancate della politica, scrivono i due professori nel loro studio focalizzato su un campione di 410 gruppi bancari europei, ci siamo dimenticati di concentrarci sul fatto che i guai delle nostre banche hanno radici endo- gene e non esogene. I due professori non si riferisco- no solo al carico dei crediti deteriorati ma anche agli elevati costi operativi delle banche, alla loro redditivi- tà, al loro deficit di efficien- za. “Per generare una red- ditività sufficiente a coprire i maggiori costi del rischio degli anni più recenti, in as- senza di un significativo incre- mento del flusso di ricavi, le banche italiane avrebbero dovuto ridurre in misura consistente i costi medi unitari, migliorando la produttività del personale e la rete degli sportelli. Tut- to questo non si è verificato e il divario di efficienza ri- spetto all’Europa e agli altri principali paesi dal 2008 al 2016 si è ulteriormente ac- cresciuto”. La conclusione del ra- gionamento ci porta a riflettere su un tema che andrebbe affrontato una volta chiarito il desti- no di Visco. In estrema sintesi: e se la vera mancanza di indipendenza della Vigilanza di Bankitalia non fosse nei confronti della politi- ca ma fosse nei confronti di un sistema banca- rio sul quale Bankitalia avrebbe forse avuto il dovere di intervenire con più forza per ren- derlo meno schiavo del suo status quo? La con- clusione del working paper dell’Università di Siena sembra andare in questa direzione: “Se il deficit di efficienza strutturale dovesse per- manere, le banche italiane avrebbero maggio- ri difficoltà ad adattare i propri modelli di busi- ness, divenendo quindipiù vulnerabili rispetto ai rischi e alle sfide competitive promananti dal nuovo contesto di mercato”. Se proprio è necessario aprire un processo sulle ban- che – e se mai dovessero farlo in prima serata Luigi Di Maio e Maria Elena Bo- schi –forse converrebbe partire da qui. Roma. Sono eccitati i social media e i com- mentatori che hanno colto in fallo Tariq Ra- madan. Asra Nomani, femminista islamica, si chiede sul New York Times se non sia “il caso Weinstein dell’islam”, mentre il Point dedica un dossier all’“affaire Ramadan”. E’ succes- so che Henda Ayari, autrice del libro “J’ai choisi d’être libre” (ho scelto di essere libe- ra), ha accusato il celebre intellettuale isla- mico di stupro e molestie sessuali: “Ho man- tenuto il silenzio per molti anni per paura delle rappresaglie perché quando gli ho det- to che avrei presentato denuncia per lo stu- pro del quale sono stata vittima, lui non aveva esitato a minacciarmi aggiungendo che se la sarebbe presa anche con i miei figli”. Qualcu- no ha fatto notare che la fortuna di Ramadan è di doversi difendere non a Raqqa o a Riad, ma a Parigi, in quel sistema occidentale ga- rantista che lui aborre. Ma non c’era bisogno di una denuncia di molestie sessuali per sa- pere che Tariq Ramadan da anni le donne vuole sottometterle. Il pensatore ginevrino, eroe della banlieue di Saint-Denis e confe- renziere assieme a ex primi ministri come Massimo D’Alema, è uno dei massimi re- sponsabili della sottomissione della donna musulmana in Europa. Il comune di Rotter- dam lo ha licenziato come consigliere dopo aver scoperto sue dichiarazioni nelle quali dice che le donne “devono tenere lo sguardo fisso a terra per strada” e “se cerchi di atti- rare l’attenzione attraverso il profumo, at- traverso il tuo aspetto o i tuoi gesti, non sei nella direzione spirituale corretta”. Un me- se fa, Tariq Ramadan si è rifiutato di con- dannare l’infibulazione delle bambine, di- cendo che le mutilazioni genitali “sono par- te delle tradizioni dell’islam” e che non do- vrebbero essere discusse con i non- musulmani. Celebre il suo dibattito in tv con Nicolas Sarkozy, in cui Ramadan si rifiutò espressamente di condannare in quanto tale la lapidazione, a favore di una moratoria e un “consenso” di opinioni da raggiungere sulla questione. (Meotti segue a pagina due) O gni domenica sera su Fox News va in onda “la prossima rivoluzione”, Next Revolution, una trasmissione che si rivende sui social con un hashtag accattivante: #Po- sitivePopulism, il populismo positivo. Il conduttore è il britannico Steve Hilton, uno degli ideatori del conservatorismo moder- no del Regno Unito: ex guru dell’ex premier David Cameron, ex migliore amico dell’ex premier David Cameron. Tutti questi “ex” dipendono dal fatto che Hilton si è rifatto una vita e un’immagine dall’altra parte del mondo, nella Silicon Valley, dove oggi vive con la moglie Rachel Whetstone (è stata lei a portare tutta la famiglia in California, con i suoi incarichi da supermanager in Google, Uber e ora Facebook) e i due figli, “il primo e unico conduttore di Fox News della Val- ley”, come l’ha definito il New York Times. Maneggiare Hilton non è facile, bisognereb- be chiedere a Cameron quanto può essere complicato e problematico, lui che ha vissu- to delle idee di Hilton – ricordate la Big So- ciety? – e poi, nel mezzo della battaglia più importante per i conservatori e per la pro- pria carriera, quella sulla Brexit, è stato ab- bandonato. Hilton era a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea – da quando Hilton rese pubblica la sua posizio- ne, i due non si sono più parlati – così come è un sostenitore di Donald Trump (ha inizia- to come ospite a Fox News lo scorso anno, da giugno ha iniziato la sua trasmissione) e questo lo rende al contempo un animale strano per la Silicon Valley (ha anche il vez- zo di vivere senza smartphone) e un interlo- cutore accettabile anche per chi non è trumpiano, cioè anche per chi non guarda Fox News o non ci vorrebbe mai comparire. Con il manto della positività e della monda- nità, Steve Hilton porta avanti la sua agen- da, che è quella di dare voce, di difendere, “le vittime dell’elitismo”. Populismo puris- simo, insomma, con gli occhi blu e un tono da intellettuale che vuole creare un ponte tra populisti di destra e di sinistra, che nel- la visione di Hilton sono la stessa cosa, han- no a cuore le stesse persone: i dimenticati. L’approccio soft non deve ingannare: Hilton sa essere brutale. Domenica sera, nell’ultima puntata, ha mandato il video dei due ex presidenti americani, George W. Bush e Barack Obama, che accusavano l’at- tuale inquilino della Casa Bianca di tradire gli ideali americani, la natura stessa degli americani. “Finché questi leader dell’eliti- smo – ha commentato Hilton – non chiede- ranno scusa, non potranno permettersi di criticare il populismo”. Il populismo, so- stiene il guru britannico, non è stato creato da Trump, non è stato creato da Steve Ban- non, “è stato creato dalla politica elitista” ed è per questo che gli americani hanno votato per Trump, “e per Bernie Sanders, tra l’altro” ed è per questo che gli europei continuano a votare per i populisti “in Ger- mania, Austria, Repubblica ceca”. Hilton è contro la “élite globale”, e quando qualcu- no gli fa notare che vive in una casa da 12,5 milioni di dollari in uno dei codici postali più ricchi di tutta l’America (ad Atherton) lui ha la risposta pronta: contano i tuoi va- lori, conta il fatto che per me la gente comu- ne con la sua insofferenza non è un nemico, è da proteggere. Il populismo positivo si so- stanzia nella capacità di dare opportunità a chi ha visto deteriorarsi il proprio standard di vita, a chi si sente minacciato dagli immi- grati e dai politici compassionevoli nei con- fronti dei “dimenticati” che poi contribui- scono ad arricchire soltanto chi è già ricco. Populismo purissimo, insomma, che punta alla creazione di un asse tra le classi lavo- ratrici di destra e di sinistra: un partito dei lavoratori che riabiliti il sogno americano. Questo è importante per Hilton: i custodi dell’americanismo sono gli insofferenti, non le élite. In “More Human”, il libro che Hilton pubblicò nel Regno Unito nel 2015 e che l’anno scorso ha rivisto, nella stagione dell’ascesa del trumpismo, e ripubblicato negli Stati Uniti, Steve Hilton mette le basi del suo “people first” che già aveva tentato di introdurre nel governo conservatore di Cameron: decise di andarsene quando si accorse che il premier non era abbastanza coraggioso nel voler proseguire la “politica dal basso”. In America Hilton spera di ave- re più fortuna, i due segmenti più popolari della sua trasmissione sono “Swampwat- ch” e “Decadent DC”, in cui bastona le élite e monitora il lavoro della Casa Bianca. Do- ve stia la positività ancora non è chiaro. Su David Ben Gurion non ci sono dubbi, cacciò i palestinesi nel 1948 e stracciò gli eserciti arabi nel 1967. Ebreo socialista. Porco. Mo- she Sharett, socialista anch’egli, prese il po- sto di Ben Gurion e gli divenne avversario. Porco. Levi Eshkol, sempre di sinistra, fece Moshe Dayan ministro della Difesa. Porco. Golda Meir, socialista, affrontò la crisi petro- lifera dopo la dura guerra del Kippur, fece la pace con l’Egitto di Sadat e fu, contempora- neamente, “il miglior uomo di Israele al go- verno” e “la nonna del popolo israeliano”. Porca. Yitzhak Rabin, socialista, firmò gli ac- cordi di Oslo. Ucciso da un colono ebreo. Por- co fino alla vigilia della morte. Dopo morto, mezzo porco. Menachem Begin, destra, fermò i siriani e l’Hezbollah nascente che, dal Liba- no, volevano distruggere Israele. Consentì Sabra e Shatila. Falco e porco. Yitzhak Sha- mir, conservatore di destra. Porco. Shimon Peres, socialista, controfirmò gli accordi di O- slo e appoggiò Ariel Sharon nello sradica- mento temporaneo del terrorismo palestine- se. Mezzo porco. Tre quarti porco. O meglio, cinque sesti porco. Ehud Barak, socialista, ri- tirò le truppe israeliane dal Libano meridio- nale e offrì Camp David, cioè territori e Geru- salemme. Arafat rifiutò. Porco Barak. Ariel Sharon, conservatore, passeggiò sulla Spia- nata delle Moschee, cedette Gaza senza con- tropartite e ottenne in cambio missili. Super- porco. Ehud Olmert, Kadima, appoggiato dai laburisti, consentì l’operazione “Piombo fu- so” a Gaza. Porco. E pure un poco ladro. Ben- jamin Netanyahu è il conservatore in carica. Molto porco. E bon. Così sono stati giudicati tutti i leader di Israele, socialisti o conserva- tori che fossero, dai progressisti prima e dal- l’Europa poi. Ci dicono gli stessi, però, e per questo da ieri si disperano, che il vero perico- lo antisemita viene dai laziali. Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20.30 Due voci da ascoltare, con candore Il capitalismo sembrerebbe vivo, il capitale morto è la sua speranza 1985, oggi è il primo fondo di investimento al mondo (370 miliardi di dollari di impieghi), ha festeggiato i sessant’anni appena prima della caduta di Lehman Brothers, di cui ha evitato le conseguenze non impicciandosi di subprime. Fa il filantropo alla grande, nel campo sopra tutto della formazione, che ritie- ne essenziale nell’economia della conoscen- za e nello sviluppo tecnologico che non si fer- ma. Come al solito in questi casi, ce l’ha con le tasse e le regole che rendono prigioniero il sistema e rendono difficile “creare lavoro e un’industria competitiva”. (segue a pagina due) Nel Mondo WOLFGANG SCHÄUBLE E’ IL NUOVO PRESIDENTE DEL BUNDESTAG. L’ex mi- nistro delle Finanze della Germania è stato eletto presidente del Parlamento tedesco. Schäuble succede a Norbert Lammert. (articolo a pagina tre) *** Il Senato spagnolo ha proposto al governa- tore catalano, Carles Puigdemont, di inter- venire in Aula per chiarire la propria posi- zione in vista dell’applicazione dell’artico- lo 155 della Costituzione. (articolo a pagina tre) *** La Russia blocca le indagini sull’utilizzo di armi chimiche in Siria ponendo il veto alla risoluzione proposta al Consiglio di si- curezza dell’Onu. *** L’Arabia Saudita promuoverà l’islam mo- derato. Lo ha dichiarato il principe eredi- tario, Mohammed bin Salman, durante la presentazione di un progetto di sviluppo. *** In calo il debito dell’Eurozona. Secondo Eurostat, nel secondo trimestre del 2017 è sceso all’89,1 per cento del pil, contro l’89,2 per cento del primo trimestre. Ottimismo, ragazzi: anche l’Europa fa sangue T here’s no place like home”, can- tava Judy Garland nel Mago di Oz. Ma there’s no sexy place come l’Europa, toccherebbe aggiungere. Che volete secedere a fare, ragazzi, e per andare dove? Sarà che ormai è una moda, ma il caso Weinstein offre anche la possi- bilità di cambiare idea su tanti grigi luo- ghi comuni che dipingono Bruxelles come il più asettico degli inferni burocratici. Ad esempio la ministra degli Esteri sve- dese Margot Wallström ha raccontato, con quei tre anni di ritardo che pare siano ca- nonici, come il quarto d’ora accademico, che nel corso di un vertice europeo subì “palpeggiamenti da parte di colleghi di al- to rango”. Durante una cena di lavoro, per giunta. “Improvvisamente mi sono accorta che quella persona stava palpeggiando le mie cosce e le mie gambe, era violenza sessuale al massimo livello politico”. An- che la sua collega alle Pari opportunità Asa Regnér ha raccontato che un funzio- nario d’alto rango ci provò, con la scusa di un drink di lavoro. Se fossero veramente molestie “al massimo livello politico”, o più bassamente sotto il livello del tavolo, non sapremmo dire. Ma se cercavate uno spot per rendere più stuzzicante l’immagi- ne dell’Unione europea, eccovi serviti. CONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA Roma. E’ martedì, il pomeriggio procede sonnacchioso al Senato, nondel tutto abituato a certe sortite. All’improvviso, si fa per dire, il lampo: Mdp saluta la curva e la maggioranza. “Oggi Gentiloni è passato alla storia per aver battuto un triste primato: essere il primo presi- dente del Consiglio dall’Unità d’Italia a porre la fiducia sulla legge elettorale sia alla Camera sia al Senato. Nel 1923, infatti, Mussolini, pose la fiducia su di un ordine del giorno e su di un emendamento della legge Acerbo”. Firmato, i senatori di Mdp Cecilia Guerra, Federico For- naro e Carlo Pegorer: “Nel 1953 – aggiungono – De Gasperi si limitò a chiederla al Senato sulla ‘legge truffa’nell’ultimo giorno utile della legi- slatura in presenza dell’ostruzionismo delle opposizioni; mentre nel 2015 il governo Renzi la mise solo nel passaggio dell’Italicum alla Ca- mera”. Segue dichiarazione di Guerra (nomen omen): “Noi votiamo contro queste fiducie e quindi come Mdp usciamo anche formalmente da questa maggioranza”. Gentiloni insomma batte Mussolini? “Ormai”, dice Roberto Gia- chetti al Foglio, “Mdp e M5s usano il medesimo linguaggio”. (Allegranti segue nell’inserto III) Pensioni e Costituzione Non esistono solo i “diritti acquisiti” dei più anziani, governo e Consulta si ricordino anche dei diritti dei giovani I n materia economico-sociale, la linea di de- marcazione tra diritti (degli uni) e oneri (de- gli altri) è sempre sfumata. Lo è particolarmen- te quando diritti e oneri non sono coevi, ma ri- guardano generazioni diverse, per esempio quando i diritti sono attribuiti alle generazioni oggi in vita ma gli oneri che ne derivano sono addossati alle generazioni giovani o non ancora nate. Non partecipando al sottostante “contrat- to sociale”, queste generazioni dovrebbero es- sere tutelate dalla lungimiranza della politica, se non dalla Costituzione. La nostra Carta non ha articoli riferiti espressamente alla salva- guardia delle generazioni future. Quanto alla lungimiranza della politica è forse meglio sten- dere un velo pietoso, essendo l’Italia uno dei paesi più indebitati al mondo. La Norvegia, per esempio, ha istituito nel 1998 un fondo sovrano, gestito dalla Banca centrale, per garantire al paese un futuro economico e un welfare soste- nibili ed evitare che i proventi delle risorse pe- trolifere, destinate a ridursi nel tempo, siano tutti spesi a favore delle generazioni correnti. Il contratto sociale di maggiore impatto sulla distribuzione delle risorse tra genera- zioni è rappresentato dal sistema pensioni- stico a ripartizione, nel quale i contributi ver- sati dai lavoratori in attività vengono imme- diatamente e totalmente – ossia senza l’ac- cantonamento di alcuna “riserva” – utilizzati per il pagamento delle pensioni attuali. Ogni generazione è tenuta a partecipare al con- tratto con l’aspettativa che quando sarà an- ziana potrà contare sui contributi pagati dai giovani del futuro. In una società che invec- chia, però, gli anziani hanno un peso politico maggiore e questo porta inevitabilmente la politica a considerarli con occhio di riguar- do. Le promesse pensionistiche si allargano e i contributi dovrebbero parallelamente cre- scere, ma oltre un certo livello, in Italia am- piamente superato, è difficile andare senza ripercussioni sulla competitività del sistema economico. Il debito pensionistico diventa così molto più difficilmente sostenibile. L’indicizzazione delle pensioni al costo della vita è buona cosa per i pensionati, che possono così mantenere invariato il loro po- tere d’acquisto. Quando per il calcolo delle pensioni si usa la formula contributiva, l’in- dicizzazione può considerarsi coperta dai contributi versati durante la vita lavorativa; quando invece si usa la formula retributiva, con la quale sono state calcolate tutte (o qua- si) le pensioni in essere, manca la corrispon- denza tra contributi e prestazioni e anche l’indicizzazione finisce per essere messa a ca- rico delle generazioni più giovani (se finan- ziata a debito) o della collettività (se finanzia- ta con tassazione). (segue nell’inserto III) Ora son tutti Anna Frank Si indignano se finisce sulla maglia della Roma, ma non se la usano gli antisemiti in armi Roma. Sono anni che Anna Frank è irrisa. Nei murales (“Anne non l’ha fatta Frank”) e ora da parte dei tifosi della Lazio. Un caso na- zionale, com’è giusto che sia. Ma qualcuno av- visi gli indignados: la ragazza icona dell’Olo- causto è stata banalizzata, trivializzata e ar- ruolata da gente ben peggiore di quella curva dello stadio. Alvin H. Rosenfeld, pioniere de- gli studi sull’antisemitismo, nel libro “The end of the Holocaust” scrive che Anne Frank è stata trasformata in una icona della “bontà umana” e usata in cause antisemite, che van- no dalle t-shirt filopalestinesi con il volto del- la martire di Bergen-Belsen alle vignette pre- miate a Teheran dal regime iraniano. Gli iraniani hanno messo Anna Frank a let- to con Hitler, che le dice: “Scrivi di questo nel tuo diario”. Quegli iraniani che sognano di far fare a Israele la fine di Anna Frank, con l’atomica al posto dei crematori. Ma quelle t- shirt e vignette non offendono quanto le ma- glie della Roma. Come non offende il volto di Anna Frank negli account twitter del Bds, il boicottaggio di Israele. O il film palestinese “Anna Frank: then and now”, proiettato du- rante la guerra a Gaza del 2014. Ora sono tutti Anna Frank, da Massimo Gramellini che sul Corriere della Sera ha detto di volersi mette- re la maglia della Roma con il volto della ra- gazzina di Amsterdam, al direttore di Repub- blica, Mario Calabresi, che ha firmato un ap- pello per farne un monito. Ma c’è una diffe- renza fra una maglia da calcio, i gadget filopalestinesi e la vignetta iraniana: quindi- ci tifosi della Lazio non vogliono incenerire il popolo ebraico, i secondi sì. Se Anna Frank fosse viva, non potrebbe oggi girare con una stella di Davide al collo per le vie di Amsterdam e di molte altre città europee, quella stella che ora si vuole far in- dossare negli stadi di calcio. E l’Italia ha stretto un accordo politico-nucleare con un paese, l’Iran degli ayatollah, che minaccia di spazzare via Israele dalla mappa geografica. Anche e soprattutto di questo dovrebbero parlare i nostri editoriali e occupare la no- stra indignazione. Oggi il primo voto al Senato La fiducia sul Rosatellum mostra che il vero travaglio è quello dell’opposizione Il percorso parallelo del M5s e di Mdp e la prova di forza della maggioranza mattarelliana (anche in vista del dopo) La disperazione delle piazze DI GIULIANO FERRARA DI PAOLA PEDUZZI DI MASSIMO PIATTELLI PALMARINI DI GIULIO MEOTTI DI ELSA FORNERO SCRITTO PER ESSERE LETTO ANCHE ONLINE

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  • IL FOGL IOquotidianoRedazione e Amministrazione: Via Vittor Pisani 19 – 20124 Milano. Tel 06 589090.1 Sped. in Abb. Postale - DL 353/2003 Conv. L. 46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO

    DIRETTORE CLAUDIO CERASAANNO XXII NUMERO 252 MERCOLEDÌ 25 OTTOBRE 2017 - e 1,80

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    Pronti alla smentita, il capitalismo sem-brerebbe vivo e il capitale morto è la suasperanza. Uno due, sul Monde e sul Figaro.Stephen A. Schwarzman dice che la bolla fi-

    nanziaria non scoppia, la finanza è diventatasempre più stimolante, l’economia non è ec-cessivamente drogata o fuori controllo, i mer-cati crescono proporzionalmente al pil, e an-che di più, tutto va per il meglio nel miglioredei mondi possibili, “salvo il rischio geopoli-tico”. Schwarzman ha fondato Blackstone nel

    C’è anche un po’ d’Italia nello studio che promette in tempi brevi la rivoluzione nel trattamento dei disturbi psichiatriciNell’ultimo numero della rivista scientifica internazionaleNeuron è stato pubblicato, da un’équipe di neuroscienziaticognitivi che lavora in Inghilterra, un interessante articolo su unnuovo tipo di dissociazione tra azioni e convinzioni nell’adegua -

    tezza delle proprie azioni. Due di questi autori sono italiani:Matilde Vaghi (Cambridge University) e il capo dell’équipe, Be-nedetto De Martino (Istituto di neuroscienze cognitive dell’Uni -versity College London). Studiando il comportamento sia di sog-getti sani sia di persone affette da disturbo ossessivo compulsivo(Ocd), questi studiosi hanno osservato che l’armonia tra azioni econvinzioni sembra essere perturbata in questi ultimi. In un’in -tervista in esclusiva per il Foglio, chiedo a De Martino, interna-zionalmente noto per le sue ricerche sulle basi neurobiologiche

    dei comportamenti e delle decisioni, di spiegarci l’essenza diquesto lavoro. “Le nostre azioni sono normalmente guidate daquelle che sono le nostre convinzioni. Per esempio se sono con-vinto che verrà a piovere nel pomeriggio mi porterò un ombrelloquando uscirò di casa la mattina. Quest’idea è così intuitiva chesembra quasi ovvia ma non è così nelle persone affette da distur-bo ossessivo compulsivo”. La definizione stessa del disturbo sug-gerisce la presenza di qualcosa di anomalo. De Martino così laprecisa: “Per esempio, un paziente affetto da Ocd magari si ren-de conto che le sue mani siano pulite ma ciò nonostante nonriesce a bloccare la compulsione di continuare a lavarsi le mani.Questo disturbo psichiatrico che colpisce circa il 3 per centodella popolazione (il quarto disordine psichiatrico più comune)ha delle conseguenze terribili per la vita quotidiana di questipazienti e delle loro famiglie”. Il loro lavoro è denso di dettagli,

    di grafici e accurate analisi statistiche. Gli chiedo di descriverloin termini semplici. De Martino mi dice: “In questo studio, abbia-mo sviluppato un nuovo metodo (una sorta di ‘videogioco’ in cui ipartecipanti dovevano predire la posizione da cui un proiettileveniva sparato) che con l’ausilio di modelli matematici ci hapermesso di capire più in dettaglio la disfunzione che potrebbeessere causa del comportamento anomalo di questi pazienti.Usando questo metodo siamo stati in grado di misurare esatta-mente il grado di associazione tra azioni e convinzioni nel grup-po di pazienti affetti da Ocd e in un gruppo di soggetti sani, ilnostro controllo”. L’ingegnoso dispositivo da loro messo a puntoconsiste in un ugello che spara delle piccole palline in direzionivariabili. Il soggetto deve catturare tali proiettili entro un cestoche è libero di ruotare attorno a un cerchio, posto a una certadistanza dall’ugello. Inutile dire, o invece è utile dire, che la

    posizione del cesto sarà, di volta in volta, scelta dal soggetto inbase alle sue aspettative sulla successiva direzione del lancio.Conta la direzione dell’ultimo lancio, ma anche la media delledirezioni di un certo numero di lanci precedenti. La differenzatra questi due tipi di previsioni (la media, oppure l’ultimo lan-cio) è il nocciolo dell’esperimento. Inoltre, prima di ogni lancio,viene chiesto al soggetto di dichiarare quanto intensa è la suaconvinzione che la pallina andrà a cadere proprio dove ha oraposizionato il cesto. De Martino precisa: “Quello che abbiamoscoperto è che più informazione veniva fornita loro e più i par-tecipanti in entrambi i gruppi diventavano convinti della dire-zione da cui il proiettile partiva, questa convinzione, però, men-tre aveva un effetto sul comportamento del gruppo di controllo,non era in grado nei pazienti con Ocd di modulare il loro com-portamento”. (segue a pagina quattro)

    Tariq e le ragazzeNon serviva l’accusa di stupro persapere che l’islamista Ramadan

    vuole sottometterle, le donne

    #NextRevolutionPiù Brexit, più Trump, più

    Sanders. La missione del guru“populista positivo” dei due mondi

    Il capitalismo salva il mondo ma cosa fa il capitalismo per salvare se stesso?Il dibattito su Bankitalia ha aperto un processo surreale in cui si parla di

    tutto ma non dei veri deficit in banca. La terza via per la successione a Visco

    Il vero processo che manca sulle banche La Giornata* * *

    In Italia

    PAOLO GENTILONI APRE AL DIALO-GO CON IL VENETO E LA LOMBARDIAsul tema dell’autonomia, dicendosi “dispo -sto a fare passi avanti”. “Guardo con inte-resse e rispetto alla discussione aperta daireferendum”, dice il premier, ribadendoperò che “non abbiamo bisogno di ulterio-ri lacerazioni sociali”.

    (editoriale a pagina tre)* * *

    Cresce l’aspettativa di vita in Italiasecon -do l’Istat. Per i 65enni, in particolare, lasperanza è di 20,7 anni, cinque mesi in piùrispetto ai dati del 2013. L'età per la pensio-ne dovrà pertanto salire a 67 anni nel 2019.

    * * *“Verrà vietata la fattura a 28 giorni alle

    società di tlc”. Lo conferma il ministro delloSviluppo Carlo Calenda annunciando l’inseri -mento in manovra di una misura “pro futuro”.

    * * *Luigi Di Maio accetta la sfida lanciatagli

    da Maria Elena Boschi per un confronto intv su Banca Etruria.

    * * *Borsa di Milano. Ftse-Mib +1,12 per cen-

    to. Differenziale Btp-Bund a 157,70 punti.L’euro chiude in rialzo a 1,17 sul dollaro.

    Il dibattito generato dal processo istruito daMatteo Renzi contro il governatore IgnazioVisco ha avuto l’effetto evidente di riaprireuna discussione non solo sul futuro di Bankita-lia ma anche sullo stato di salute del sistemabancario italiano. Da un certo punto di vista,riaprire un tale dibattito proprio nel momentoin cui il sistema bancario italiano non è piùpercepito come un elemento di fragilità è unatto spericolato e persino pericoloso, che ri-schia di dare un pretesto agli osservatori stra-nieri per mettere sotto una generica cattiva lu-ce le banche del nostro paese. Il 2017 potevaessere ricordato come l’anno dell’aumento dicapitale record di Unicredit (13 miliardi), co-me l’anno dell’intervento forse risolutivo sullebanche venete (salvataggio), come l’anno dellafine dei drammi su Mps (nazionalizzazione),come l’anno in cui alcune riforme portateavanti dagli ultimi governi comincia-vano a dare i loro frutti (ri-forma delle banche popo-lari, riforma delle ban-che di credito coopera-tivo, riforma del limiteagli investimenti dellefondazioni in una sin-gola banca). Ma conogni probabilità fini-rà invece con l’ideache a causa dellamancata vigilanza diBankitalia ci sianoancora molti schele-tri negli armadi deibanchieri del nostropaese. A questo puntodella storia – il gover-no deciderà venerdìcosa fare di IgnazioVisco e, data l’indi -sponibilità del gover-natore a fare un passoindietro, data l’indi -sponibilità del presidente del Consiglio a fareun passo indietro, data l’indisponibilità delsegretario del Pd a fare un passo indietro èpossibile che la soluzione per mettere d’accor -do tutti sia quella di rinnovare al governatoreun mandato formalmente pieno ma sostanzial-mente a tempo, con l’idea cioè di dare a Viscoil compito di rinnovare con elementi esterni ildirettorio di Bankitalia dando la possibilità alprossimo governo di scegliere un nuovo gover-natore, quando Visco considererà concluso ilsuo mandato di rinnovamento – discutere delsistema bancario è diventata una necessità.Ma l’elemento che spesso sfugge alle analisi dimolti politici e osservatori è che per mettere afuoco i punti di debolezza del sistema banca-rio italiano occorre fare uno sforzo e concen-trarsi più sui fattori interni che sui fattoriesterni. Nonostante la buona volontà di molti,ogni dibattito sulle banche tende a sovrasti-mare le responsabilità esterne e tende a sotto-

    stimare le responsabilità interne alle banche.Con il risultato che mentre sui giornali e inParlamento si processano ora la Vigilanza, orala Bce, ora la politica, nessuno o quasi si occu-pa di mettere a fuoco il vero problema: la capa-cità del management di prendere i giusti ri-schi per riformare i propri istituti e prevenirei problemi futuri. I rischi che si corrono nelmettere sotto processo il sistema delle bancheprescindendo da chi guida le banche sono sin-tetizzati in un working paperdi prossima uscitafirmato da due professori dell’Università diSiena: Elisabetta Montanaro e Mario Tonvero-nachi. A forza di parlare di bail-in, di vigilanzae di riforme mancate della politica, scrivono idue professori nel loro studio focalizzato su uncampione di 410 gruppi bancari europei, cisiamo dimenticati di concentrarci sul fatto chei guai delle nostre banche hanno radici endo-

    gene e non esogene. I dueprofessori non si riferisco-no solo al carico dei creditideteriorati ma anche aglielevati costi operativi dellebanche, alla loro redditivi-tà, al loro deficit di efficien-za. “Per generare una red-ditività sufficiente a coprire

    i maggiori costi del rischiodegli anni più recenti, in as-

    senza di un significativo incre-mento del flusso di ricavi, lebanche italiane avrebberodovuto ridurre in misuraconsistente i costi mediunitari, migliorando laproduttività del personalee la rete degli sportelli. Tut-to questo non si è verificatoe il divario di efficienza ri-spetto all’Europa e agli altriprincipali paesi dal 2008 al2016 si è ulteriormente ac-

    cresciuto”. La conclusione del ra-gionamento ci porta a riflettere su un tema cheandrebbe affrontato una volta chiarito il desti-no di Visco. In estrema sintesi: e se la veramancanza di indipendenza della Vigilanza diBankitalia non fosse nei confronti della politi-ca ma fosse nei confronti di un sistema banca-rio sul quale Bankitalia avrebbe forse avuto ildovere di intervenire con più forza per ren-derlo meno schiavo del suo status quo? La con-clusione del working paper dell’Università diSiena sembra andare in questa direzione: “Seil deficit di efficienza strutturale dovesse per-manere, le banche italiane avrebbero maggio-ri difficoltà ad adattare i propri modelli di busi-ness, divenendo quindi più vulnerabili rispettoai rischi e alle sfide competitive promananti dalnuovo contesto di mercato”. Se proprio ènecessario aprire un processo sulle ban-che – e se mai dovessero farlo in primaserata Luigi Di Maio e Maria Elena Bo-schi – forse converrebbe partire da qui.

    Roma. Sono eccitati i social media e i com-mentatori che hanno colto in fallo Tariq Ra-madan. Asra Nomani, femminista islamica, sichiede sul New York Times se non sia “il casoWeinstein dell’islam”, mentre il Point dedicaun dossier all’“affaire Ramadan”. E’ succes -so che Henda Ayari, autrice del libro “J’aichoisi d’être libre” (ho scelto di essere libe-ra), ha accusato il celebre intellettuale isla-mico di stupro e molestie sessuali: “Ho man-tenuto il silenzio per molti anni per pauradelle rappresaglie perché quando gli ho det-to che avrei presentato denuncia per lo stu-pro del quale sono stata vittima, lui non avevaesitato a minacciarmi aggiungendo che se lasarebbe presa anche con i miei figli”. Qualcu-no ha fatto notare che la fortuna di Ramadanè di doversi difendere non a Raqqa o a Riad,ma a Parigi, in quel sistema occidentale ga-rantista che lui aborre. Ma non c’era bisognodi una denuncia di molestie sessuali per sa-pere che Tariq Ramadan da anni le donnevuole sottometterle. Il pensatore ginevrino,eroe della banlieue di Saint-Denis e confe-renziere assieme a ex primi ministri comeMassimo D’Alema, è uno dei massimi re-sponsabili della sottomissione della donnamusulmana in Europa. Il comune di Rotter-dam lo ha licenziato come consigliere dopoaver scoperto sue dichiarazioni nelle qualidice che le donne “devono tenere lo sguardofisso a terra per strada” e “se cerchi di atti-rare l’attenzione attraverso il profumo, at-traverso il tuo aspetto o i tuoi gesti, non seinella direzione spirituale corretta”. Un me-se fa, Tariq Ramadan si è rifiutato di con-dannare l’infibulazione delle bambine, di-cendo che le mutilazioni genitali “sono par-te delle tradizioni dell’islam” e che non do-vrebbero essere discusse con i non-musulmani. Celebre il suo dibattito in tv conNicolas Sarkozy, in cui Ramadan si rifiutòespressamente di condannare in quanto talela lapidazione, a favore di una moratoria e un“consenso” di opinioni da raggiungere sullaquestione. (Meotti segue a pagina due)

    Ogni domenica sera su Fox News va inonda “la prossima rivoluzione”, NextRevolution, una trasmissione che si rivendesui social con un hashtag accattivante: #Po-

    sitivePopulism, il populismo positivo. Ilconduttore è il britannico Steve Hilton, unodegli ideatori del conservatorismo moder-no del Regno Unito: ex guru dell’ex premierDavid Cameron, ex migliore amico dell’expremier David Cameron. Tutti questi “ex”dipendono dal fatto che Hilton si è rifattouna vita e un’immagine dall’altra parte delmondo, nella Silicon Valley, dove oggi vivecon la moglie Rachel Whetstone (è stata leia portare tutta la famiglia in California, coni suoi incarichi da supermanager in Google,Uber e ora Facebook) e i due figli, “il primoe unico conduttore di Fox News della Val-ley”, come l’ha definito il New York Times.Maneggiare Hilton non è facile, bisognereb-be chiedere a Cameron quanto può esserecomplicato e problematico, lui che ha vissu-to delle idee di Hilton – ricordate la Big So-ciety? – e poi, nel mezzo della battaglia piùimportante per i conservatori e per la pro-pria carriera, quella sulla Brexit, è stato ab-bandonato. Hilton era a favore dell’uscitadel Regno Unito dall’Unione europea – daquando Hilton rese pubblica la sua posizio-ne, i due non si sono più parlati – così comeè un sostenitore di Donald Trump (ha inizia-to come ospite a Fox News lo scorso anno,da giugno ha iniziato la sua trasmissione) equesto lo rende al contempo un animalestrano per la Silicon Valley (ha anche il vez-zo di vivere senza smartphone) e un interlo-cutore accettabile anche per chi non ètrumpiano, cioè anche per chi non guardaFox News o non ci vorrebbe mai comparire.Con il manto della positività e della monda-nità, Steve Hilton porta avanti la sua agen-da, che è quella di dare voce, di difendere,“le vittime dell’elitismo”. Populismo puris-simo, insomma, con gli occhi blu e un tonoda intellettuale che vuole creare un pontetra populisti di destra e di sinistra, che nel-la visione di Hilton sono la stessa cosa, han-no a cuore le stesse persone: i dimenticati.

    L’approccio soft non deve ingannare:Hilton sa essere brutale. Domenica sera,nell’ultima puntata, ha mandato il videodei due ex presidenti americani, George W.Bush e Barack Obama, che accusavano l’at -tuale inquilino della Casa Bianca di tradiregli ideali americani, la natura stessa degliamericani. “Finché questi leader dell’eliti -smo – ha commentato Hilton – non chiede-ranno scusa, non potranno permettersi dicriticare il populismo”. Il populismo, so-stiene il guru britannico, non è stato creatoda Trump, non è stato creato da Steve Ban-non, “è stato creato dalla politica elitista”ed è per questo che gli americani hannovotato per Trump, “e per Bernie Sanders,tra l’altro” ed è per questo che gli europeicontinuano a votare per i populisti “in Ger-mania, Austria, Repubblica ceca”. Hilton ècontro la “élite globale”, e quando qualcu-no gli fa notare che vive in una casa da 12,5milioni di dollari in uno dei codici postalipiù ricchi di tutta l’America (ad Atherton)lui ha la risposta pronta: contano i tuoi va-lori, conta il fatto che per me la gente comu-ne con la sua insofferenza non è un nemico,è da proteggere. Il populismo positivo si so-stanzia nella capacità di dare opportunità achi ha visto deteriorarsi il proprio standarddi vita, a chi si sente minacciato dagli immi-grati e dai politici compassionevoli nei con-fronti dei “dimenticati” che poi contribui-scono ad arricchire soltanto chi è già ricco.Populismo purissimo, insomma, che puntaalla creazione di un asse tra le classi lavo-ratrici di destra e di sinistra: un partito deilavoratori che riabiliti il sogno americano.Questo è importante per Hilton: i custodidell’americanismo sono gli insofferenti,non le élite. In “More Human”, il libro cheHilton pubblicò nel Regno Unito nel 2015 eche l’anno scorso ha rivisto, nella stagionedell’ascesa del trumpismo, e ripubblicatonegli Stati Uniti, Steve Hilton mette le basidel suo “people first” che già aveva tentatodi introdurre nel governo conservatore diCameron: decise di andarsene quando siaccorse che il premier non era abbastanzacoraggioso nel voler proseguire la “politicadal basso”. In America Hilton spera di ave-re più fortuna, i due segmenti più popolaridella sua trasmissione sono “Swampwat -ch” e “Decadent DC”, in cui bastona le élitee monitora il lavoro della Casa Bianca. Do-ve stia la positività ancora non è chiaro.

    Su David Ben Gurion non ci sonodubbi, cacciò i palestinesi nel 1948e stracciò gli eserciti arabi nel1967. Ebreo socialista. Porco. Mo-

    she Sharett, socialista anch’egli, prese il po-sto di Ben Gurion e gli divenne avversario.Porco. Levi Eshkol, sempre di sinistra, feceMoshe Dayan ministro della Difesa. Porco.Golda Meir, socialista, affrontò la crisi petro-lifera dopo la dura guerra del Kippur, fece lapace con l’Egitto di Sadat e fu, contempora-neamente, “il miglior uomo di Israele al go-verno” e “la nonna del popolo israeliano”.Porca. Yitzhak Rabin, socialista, firmò gli ac-cordi di Oslo. Ucciso da un colono ebreo. Por-co fino alla vigilia della morte. Dopo morto,mezzo porco. Menachem Begin, destra, fermòi siriani e l’Hezbollah nascente che, dal Liba-no, volevano distruggere Israele. ConsentìSabra e Shatila. Falco e porco. Yitzhak Sha-mir, conservatore di destra. Porco. ShimonPeres, socialista, controfirmò gli accordi di O-slo e appoggiò Ariel Sharon nello sradica-mento temporaneo del terrorismo palestine-se. Mezzo porco. Tre quarti porco. O meglio,cinque sesti porco. Ehud Barak, socialista, ri-tirò le truppe israeliane dal Libano meridio-nale e offrì Camp David, cioè territori e Geru-salemme. Arafat rifiutò. Porco Barak. ArielSharon, conservatore, passeggiò sulla Spia-nata delle Moschee, cedette Gaza senza con-tropartite e ottenne in cambio missili. Super-porco. Ehud Olmert, Kadima, appoggiato dailaburisti, consentì l’operazione “Piombo fu-so” a Gaza. Porco. E pure un poco ladro. Ben-jamin Netanyahu è il conservatore in carica.Molto porco. E bon. Così sono stati giudicatitutti i leader di Israele, socialisti o conserva-tori che fossero, dai progressisti prima e dal-l’Europa poi. Ci dicono gli stessi, però, e perquesto da ieri si disperano, che il vero perico-lo antisemita viene dai laziali.

    Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20.30

    Due voci da ascoltare, con candoreIl capitalismo sembrerebbe vivo, il capitale morto è la sua speranza

    1985, oggi è il primo fondo di investimento almondo (370 miliardi di dollari di impieghi),ha festeggiato i sessant’anni appena primadella caduta di Lehman Brothers, di cui haevitato le conseguenze non impicciandosi disubprime. Fa il filantropo alla grande, nelcampo sopra tutto della formazione, che ritie-ne essenziale nell’economia della conoscen-za e nello sviluppo tecnologico che non si fer-ma. Come al solito in questi casi, ce l’ha con letasse e le regole che rendono prigioniero ilsistema e rendono difficile “creare lavoro eun’industria competitiva”. (segue a pagina due)

    Nel Mondo

    WOLFGANG SCHÄUBLE E’ IL NUOVOPRESIDENTE DEL BUNDESTAG. L’ex mi-nistro delle Finanze della Germania è statoeletto presidente del Parlamento tedesco.Schäuble succede a Norbert Lammert.

    (articolo a pagina tre)* * *

    Il Senato spagnolo ha propostoal governa-tore catalano, Carles Puigdemont, di inter-venire in Aula per chiarire la propria posi-zione in vista dell’applicazione dell’artico -lo 155 della Costituzione.

    (articolo a pagina tre)* * *

    La Russia blocca le indagini sull’utilizzodi armi chimiche in Siria ponendo il vetoalla risoluzione proposta al Consiglio di si-curezza dell’Onu.

    * * *L’Arabia Saudita promuoverà l’islam mo-

    derato. Lo ha dichiarato il principe eredi-tario, Mohammed bin Salman, durante lapresentazione di un progetto di sviluppo.

    * * *In calo il debito dell’Eurozona. Secondo

    Eurostat, nel secondo trimestre del 2017 èsceso all’89,1 per cento del pil, contro l’89,2per cento del primo trimestre.

    Ottimismo, ragazzi: anche l’Europa fa sangueThere’s no place like home”, can-tava Judy Garland nel Mago diOz. Ma there’s no sexy place comel’Europa, toccherebbe aggiungere.

    Che volete secedere a fare, ragazzi, e perandare dove? Sarà che ormai è una moda,ma il caso Weinstein offre anche la possi-bilità di cambiare idea su tanti grigi luo-ghi comuni che dipingono Bruxelles comeil più asettico degli inferni burocratici.Ad esempio la ministra degli Esteri sve-dese Margot Wallström ha raccontato, conquei tre anni di ritardo che pare siano ca-nonici, come il quarto d’ora accademico,

    che nel corso di un vertice europeo subì“palpeggiamenti da parte di colleghi di al-to rango”. Durante una cena di lavoro, pergiunta. “Improvvisamente mi sono accortache quella persona stava palpeggiando lemie cosce e le mie gambe, era violenzasessuale al massimo livello politico”. An-che la sua collega alle Pari opportunitàAsa Regnér ha raccontato che un funzio-nario d’alto rango ci provò, con la scusa diun drink di lavoro. Se fossero veramentemolestie “al massimo livello politico”, opiù bassamente sotto il livello del tavolo,non sapremmo dire. Ma se cercavate unospot per rendere più stuzzicante l’immagi -ne dell’Unione europea, eccovi serviti.

    CONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA

    Roma. E’ martedì, il pomeriggio procedesonnacchioso al Senato, non del tutto abituatoa certe sortite. All’improvviso, si fa per dire, illampo: Mdp saluta la curva e la maggioranza.“Oggi Gentiloni è passato alla storia per averbattuto un triste primato: essere il primo presi-dente del Consiglio dall’Unità d’Italia a porrela fiducia sulla legge elettorale sia alla Camerasia al Senato. Nel 1923, infatti, Mussolini, posela fiducia su di un ordine del giorno e su di unemendamento della legge Acerbo”. Firmato, isenatori di Mdp Cecilia Guerra, Federico For-naro e Carlo Pegorer: “Nel 1953 – aggiungono –De Gasperi si limitò a chiederla al Senato sulla‘legge truffa’ nell’ultimo giorno utile della legi-slatura in presenza dell’ostruzionismo delleopposizioni; mentre nel 2015 il governo Renzila mise solo nel passaggio dell’Italicum alla Ca-mera”. Segue dichiarazione di Guerra (nomenomen): “Noi votiamo contro queste fiducie equindi come Mdp usciamo anche formalmenteda questa maggioranza”. Gentiloni insommabatte Mussolini? “Ormai”, dice Roberto Gia-chetti al Foglio, “Mdp e M5s usano il medesimolinguaggio”. (Allegranti segue nell’inserto III)

    Pensioni e CostituzioneNon esistono solo i “diritti acquisiti”dei più anziani, governo e Consulta siricordino anche dei diritti dei giovani

    In materia economico-sociale, la linea di de-marcazione tra diritti (degli uni) e oneri (de-gli altri) è sempre sfumata. Lo è particolarmen-te quando diritti e oneri non sono coevi, ma ri-

    guardano generazioni diverse, per esempioquando i diritti sono attribuiti alle generazionioggi in vita ma gli oneri che ne derivano sonoaddossati alle generazioni giovani o non ancoranate. Non partecipando al sottostante “contrat -to sociale”, queste generazioni dovrebbero es-sere tutelate dalla lungimiranza della politica,se non dalla Costituzione. La nostra Carta nonha articoli riferiti espressamente alla salva-guardia delle generazioni future. Quanto allalungimiranza della politica è forse meglio sten-dere un velo pietoso, essendo l’Italia uno deipaesi più indebitati al mondo. La Norvegia, peresempio, ha istituito nel 1998 un fondo sovrano,gestito dalla Banca centrale, per garantire alpaese un futuro economico e un welfare soste-nibili ed evitare che i proventi delle risorse pe-trolifere, destinate a ridursi nel tempo, sianotutti spesi a favore delle generazioni correnti.

    Il contratto sociale di maggiore impattosulla distribuzione delle risorse tra genera-zioni è rappresentato dal sistema pensioni-stico a ripartizione, nel quale i contributi ver-sati dai lavoratori in attività vengono imme-diatamente e totalmente – ossia senza l’ac -cantonamento di alcuna “riserva” – utilizzatiper il pagamento delle pensioni attuali. Ognigenerazione è tenuta a partecipare al con-tratto con l’aspettativa che quando sarà an-ziana potrà contare sui contributi pagati daigiovani del futuro. In una società che invec-chia, però, gli anziani hanno un peso politicomaggiore e questo porta inevitabilmente lapolitica a considerarli con occhio di riguar-do. Le promesse pensionistiche si allargano ei contributi dovrebbero parallelamente cre-scere, ma oltre un certo livello, in Italia am-piamente superato, è difficile andare senzaripercussioni sulla competitività del sistemaeconomico. Il debito pensionistico diventacosì molto più difficilmente sostenibile.

    L’indicizzazione delle pensioni al costodella vita è buona cosa per i pensionati, chepossono così mantenere invariato il loro po-tere d’acquisto. Quando per il calcolo dellepensioni si usa la formula contributiva, l’in -dicizzazione può considerarsi coperta daicontributi versati durante la vita lavorativa;quando invece si usa la formula retributiva,con la quale sono state calcolate tutte (o qua-si) le pensioni in essere, manca la corrispon-denza tra contributi e prestazioni e anchel’indicizzazione finisce per essere messa a ca-rico delle generazioni più giovani (se finan-ziata a debito) o della collettività (se finanzia-ta con tassazione). (segue nell’inserto III)

    Ora son tutti Anna FrankSi indignano se finisce sulla

    maglia della Roma, ma non se lausano gli antisemiti in armi

    Roma. Sono anni che Anna Frank è irrisa.Nei murales (“Anne non l’ha fatta Frank”) eora da parte dei tifosi della Lazio. Un caso na-zionale, com’è giusto che sia. Ma qualcuno av-

    visi gli indignados: la ragazza icona dell’Olo -causto è stata banalizzata, trivializzata e ar-ruolata da gente ben peggiore di quella curvadello stadio. Alvin H. Rosenfeld, pioniere de-gli studi sull’antisemitismo, nel libro “Theend of the Holocaust” scrive che Anne Frankè stata trasformata in una icona della “bontàumana” e usata in cause antisemite, che van-no dalle t-shirt filopalestinesi con il volto del-la martire di Bergen-Belsen alle vignette pre-miate a Teheran dal regime iraniano.

    Gli iraniani hanno messo Anna Frank a let-to con Hitler, che le dice: “Scrivi di questo neltuo diario”. Quegli iraniani che sognano difar fare a Israele la fine di Anna Frank, conl’atomica al posto dei crematori. Ma quelle t-shirt e vignette non offendono quanto le ma-glie della Roma. Come non offende il volto diAnna Frank negli account twitter del Bds, ilboicottaggio di Israele. O il film palestinese“Anna Frank: then and now”, proiettato du-rante la guerra a Gaza del 2014. Ora sono tuttiAnna Frank, da Massimo Gramellini che sulCorriere della Sera ha detto di volersi mette-re la maglia della Roma con il volto della ra-gazzina di Amsterdam, al direttore di Repub-blica, Mario Calabresi, che ha firmato un ap-pello per farne un monito. Ma c’è una diffe-renza fra una maglia da calcio, i gadgetfilopalestinesi e la vignetta iraniana: quindi-ci tifosi della Lazio non vogliono incenerire ilpopolo ebraico, i secondi sì.

    Se Anna Frank fosse viva, non potrebbeoggi girare con una stella di Davide al colloper le vie di Amsterdam e di molte altre cittàeuropee, quella stella che ora si vuole far in-dossare negli stadi di calcio. E l’Italia hastretto un accordo politico-nucleare con unpaese, l’Iran degli ayatollah, che minaccia dispazzare via Israele dalla mappa geografica.Anche e soprattutto di questo dovrebberoparlare i nostri editoriali e occupare la no-stra indignazione.

    Oggi il primo voto al Senato

    La fiducia sul Rosatellummostra che il vero travaglioè quello dell’opposizioneIl percorso parallelo del M5s e di Mdp e

    la prova di forza della maggioranzamattarelliana (anche in vista del dopo)

    La disperazione delle piazze

    DI GIULIANO FERRARA

    DI PAOLA PEDUZZI

    DI MASSIMO PIATTELLI PALMARINI

    DI GIULIO MEOTTI

    DI ELSA FORNERO

    SCRITTOPER ESSERE

    LETTOANCHE ONLINE

  • ANNO XXII NUMERO 252 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 25 OTTOBRE 2017

    TRA TRONCHI E RADICI, PD E M5S, L’INCUBO RICORRENTE DEL “CHI È COLPEVOLE”?

    L’albero caduto a Roma come paradigma di scarico-responsabilitàRoma. L’albero che appare così, al lato del-

    la strada, mezzo vivo e mezzo morto, più chealtro dimezzato, con tronco mozzato. L’alberoche alla prima giornata di ordinario maltem-po autunnale oscilla nei suoi rami più esterni(e l’automobilista pensa: non è che sta per ca-dere?). L’albero che infine crolla davvero – enon è la prima volta – sul povero tassista nelquartiere Prati e sulle turiste attonite e perfortuna illese. L’albero che vacilla sulla Ro-ma-Ostia, minaccia lo scorrimento sulla viadel Mare, incombe come incubo ricorrente inViale Mazzini, ed esce dal panorama inertedell’ecologia urbana per farsi agente di sface-lo quotidiano: si scopre che l’albero danneg-gia, addirittura, i fili aerei della linea deitram. E ormai l’albero romano, nell’immagi -nario collettivo del cittadino, si muove e cam-mina da solo, come in uno scherzo di Hallo-

    ween o nel Macbeth, con i soldati mascheratidietro a rami e foglie. E si fa canovaccio discontro politico con scarico di responsabilitàsul modello “monnezza”: di chi è la colpa? sidomandano infatti tra il Campidoglio, la Re-gione e il Parlamento, esattamente comequando il cassonetto straripa e la cartacciaottunde la vista del sampietrino dove gira in-disturbato il roditore. E insomma il pino ri-verso, e la preoccupazione da tragedia sfiora-ta, non sollevano soltanto l’ansia epidermicadel “che cosa si rischia a mettersi in macchi-na lungo i viali?”, bensì il più persistente dub-bio del “qui qualcuno ha sbagliato qualcosa”.Ma il punto è: che cosa? Perché nella Romaormai portata a esempio di disastri misti, nelday after della caduta alberi, un mistero aleg-gia: il crollo è dovuto a mancanza di controlloo al taglio cosiddetto delle radici? L’interro -

    gativo, apparentemente surreale, non è pere-grino. Affonda nella (relativa) notte dei tempipre-Mafia Capitale, ma non molla i protagoni-sti dell’oggi. C’è infatti l’assessore all’Am -biente della Giunta Raggi Pinuccia Montana-ri che, nelle ore successive al fattaccio del ta-xi colpito, rivolgeva lo sguardo (e l’accusa) al-l’indietro: “In attesa della perizia, l’alberosembra caduto a causa dell’assenza delle ra-dici, tagliate durante i lavori fatti all’epoca diAlemanno… in tre mesi abbiamo valutato 15.400 alberi in tutti i municipi e il 3 per cento diquesti è da abbattere, ma purtroppo sono die-ci anni che non vengono effettuati monitorag-gi e potature. Noi abbiamo iniziato a farlo, magli alberi a Roma sono 330 mila…”. Ma mentreci si interroga sul censimento arbusti (o “map -patura”), dal Pd la consigliera Giulia Tempe-sta scrive il post della controaccusa: “Ecco

    che cosa succede quando non si fa la manu-tenzione del verde a Roma” (intanto, semprein area dem, Athos De Luca, a proposito delvolo d’albero lungo la linea ferroviaria Roma-Lido, parla di “inadeguatezza di questa giun-ta e di questa sindaca”). Per Fratelli d’Italia,invece, sono tutti colpevoli (Pd e M5s “due fac-ce della stessa medaglia”, dice dal Primo Mu-nicipio Luca D’Aubert). Non è finita: l’ex as-sessore Estella Marino introduce l’argomen -to sconosciuto ai più: gli alberi cadono perchébisognava “sostituirli”, a “fine ciclo” cadonoe alcuni “non avvisano” (sono verdi fino allafine). E anche se di potature il cittadino noncapisce nulla, il déjà-vu del rimpiattino sullecompetenze prende piede sullo sfondo, e lastoria improvvisamente, da capitolina cheera, si fa quasi quasi universale .

    Marianna Rizzini

    “V IOLENZA” , “FASC ISMO” , “GOLPE” . TERMINI GROSS I E VUOTO D I IDEE

    Le parole dementi della politica. E se non confermano Visco sarà “uno stupro”?Auspico che in Senato sulla legge elet-torale si eviti la fiducia, sarebbe unerrore gravissimo, una vera violenza inParlamento”. Lo ha detto Roberto Speran-za, e potreste dire “eh vabbè”. Lo ha dettoa “Circo Massimo”, e il bravo Gianniniavrebbe dovuto replicare: onorevole, mache sta a di’? Solo che ormai vale tutto, leparole in politica non hanno più peso spe-cifico, probabilmente è anche colpa del-l’incapienza argomentativa di chi le usa.Così che dire “violenza” per intendere“mozione di fiducia” è un salto da circoequestre, più che Massimo. Violenza inParlamento evoca i fieri manipoli e l’Aulasorda e grigia. O almeno il capitano Tejero.E’ un salto nella semantica del vuoto. Perdire, Sergio Mattarella, presidente dal bellessico doroteo, si è limitato a un “atto di-sumano” rivolto ai tifosi laziali per AnnaFrank. Avrebbe potuto dire “io li odio, inazisti di Formello”, e sarebbe stato per-fettamente ton sur ton. Ma se persino il for-bito e biforcuto Max D’Alema sulla leggeelettorale dice “a mettere la fiducia su unaquestione del genere fu il fascismo”, vede-te che l’iperbole dei fieri manipoli è ormaipassata sottopelle. Come un chip dei cin-que stelle.

    Più è vuoto il ragionamento, più è desti-tuita di fondamento la sostanza politica,più le parole esorbitano, evocano il turpe eil truce, senza più attinenza con la realtà.

    Per Travaglio nel Rosatellum c’è “un ri-catto sotterraneo”, del tipo “o la voti o nonti ricandidi” e il sottinteso è che Renzi ècome Weinstein. E una legge che ai tempi

    eleganti di Scelba i nemici avrebbero li-quidato come “abborracciata”, o al massi-mo “truffa”, nel giro di un nanosecondodiventa “Fascistellum” e i promotori “deifascistelli”.

    “Pretentious diction”. Era il 1968 eGeorge Orwell in un celebre articolo cita-va parole come “phenomenon, primary,inexorable, epic” e altre dozzine di iper-boli fuori luogo per rivestire dichiarazioninormali di un’aria importante. Ma eranoancora tempi in cui si parlava bene: “Poli -te” per gli anglofoni, “pulito”, da noi. Ora,forse per effetto del linguaggio di Trumpcosì sempre in altalena tra l’infantile e ilpop, per il quale tutto è quantomeno “tre -mandous”, anche in America tutto quelloche accade e non piace diventa un “totaldisaster”. Che poi quando gli va a fuoco laCalifornia, o gli sparerà un petardoneKim, non avranno più le parole per dirlo.Ma il linguaggio precede il pensiero. Lastupidità aggressiva ha fatto un golpe, con-tro il pensiero. Così che una mozione par-lamentare su Bankitalia diventa, appunto,“un golpe”. E se venerdì non riconfermanoVisco non sarà una scelta istituzionale ma,come direbbe Asia Argento, “uno stupro”.

    Maurizio Crippa

    ALTRO CHE P IKETTY , UNA V IA PER R ISOLVERE DRAMMI E D ISORDINE

    Schwarzman e De Soto toccasana razionali contro i riflessi automaticiIl suo parere conta. Il suo ottimismo si

    spiega. Quanto al rischio politico, è all’o-recchio di Trump, che non ha sostenuto, efa parte di quella nomenclatura che cercadi usare per il meglio l’imprevedibilità del-l’Apprentice, non crede nell’America Firstma si è fatto dare dai sauditi, dopo il recen-te viaggio promozionale della Casa Bianca,il fondo di gestione del rinnovo infrastrut-turale in America.

    Hernando De Soto è un economista libe-rale brillante e spericolato, ha scritto annifa un libro fatale sul mistero del capitali-smo e sul vero perché di diseguaglianze e

    povertà nel mondo, è l’opposto di Piketty,sostiene che tutto il problema sta nell’as -senza di un inquadramento giuridico dellaproprietà diffusa tra sette miliardi di per-sone, il “capitale morto” dei non sviluppatiche è ridotto a cosa e non è in grado di atti-vare la leva del plusvalore finanziario, eche l’apertura dei mercati e l’innovazionepossono produrre il miracolo della resur-rezione.

    Ha sfidato Piketty a un pubblico confron-to, invano. Piketty fa la vecchia lotta di clas-se, piena di rimproveri e rabbuffi al capita-lismo, De Soto invece sostiene che Macronha capito l’essenziale, che “bisogna capita-

    lizzare l’innovazione, la finanza, i brevettitecnologici e ogni tipo di associazione inge-gnosa che migliora la produttività del lavo-ro”. La mondializzazione non è altro chel’espansione internazionale della rivolu-zione industriale, il suo quadro di regolegiuridiche deve essere ristrutturato ognitanto, e in particolare oggi, ma il vero pro-blema è far passare la proprietà dallo sta-to di cosa allo stato di contratto, e fare levain quel mondo che ha comunque, il mondopovero, accompagnato il raddoppio dal1960 al 2008 del reddito dell’intera umani-tà, come non era mai avvenuto in duemilaanni, da Cristo alla Seconda guerra mon-

    diale. Questa storia del capitale morto edel capitalismo vivo, due voci ma non del-le meno significative, è un bel suggello diottimismo razionale a discussioni fondatesulla perpetua rassegna dei rischi fatali,su stanche riproposizioni della spesa pub-blica improduttiva, su localismi e desoli-darizzazioni di diverso conio nel mondoricco, e sembrerebbe anche l’unico mododi risolvere sul serio drammi come le mi-grazioni e il disordine mondiale. Ma perascoltare queste voci c’è bisogno di un cer-to candore, Candide, e di una rinuncia allapigrizia e ai vecchi automatici riflessi.

    Giuliano Ferrara

    AGONIE SU FACEBOOK E SENT IMENTI I STUPIDIT I

    La necessità contemporanea di dare oggettività al dolore per la morteC’è una distanza secolare fra dire “Gira -re, ho girato” e “Volevo soltanto condi-videre il mio dolore”. La seconda frase è lagiustificazione offerta al Resto del Carlinodal ventinovenne Andrea Speziali, criticod’arte di Riccione, che nel fine settimana haripreso e postato in diretta su Facebook l’a-gonia e la morte di un altro giovane vittimadi un incidente stradale. La prima è l’attac -co dell’ultimo capitolo dei Quaderni di Sera-fino Gubbio operatore, romanzo di Pirandelloche culmina nella scena di un cameraman,voce narrante, impassibile e muto mentrefilma una tigre in gabbia che sbrana un atto-re durante le riprese di un film d’avventura.Siamo agli albori del cinema: il romanzo fuscritto nel 1915 e rimaneggiato dieci annidopo. Ecco come Pirandello descrive lamorte in diretta: “Udivo, udivo, seguitavo audire su quel ruglio, su quell’affanno là, ilticchettio continuo della macchinetta, dicui la mia mano, sola, da sé, ancora, seguita-va a girare la manovella; aveva in corpoquella macchina la vita d’un uomo: gliel’a-

    vevo data da mangiare fino all’ultimo”.Se ci si vuole elevare al di sopra dei luri-

    di commenti che hanno subissato Spezialisu Facebook, si può partire da questa pagi-na per cercare di gettare un ponte fra ledue affermazioni. Nel romanzo la macchi-na da presa veniva ritratta come strumentocompulsivo di percezione, passaggio obbli-gato attraverso cui Serafino Gubbio dovevaosservare il quadro sanguinoso che si at-tuava davanti ai suoi occhi, e in cui l’atterri -mento cedeva all’incapacità della mano distaccarsi dalla manovella che girava percatturare le immagini, sconnessa dal restodel corpo oltre ogni volontà dell’utente. Co-sì oggi il pollice premuto sul touchscreenper trasmettere il video certifica l’ingloba -mento dello smartphone fra le facoltà per-cettive umane: talché, se di fronte a noi ca-pita qualcosa di straordinario, non l’abbia -mo veramente visto fino a che non l’abbia -mo filmato. Porsi la questione se ci sianolimiti è legittimo ma potrebbe essere ozio-so, in quanto uno strumento di per sé è neu-

    tro, e diventa buono o cattivo a seconda del-l’utilizzo; meglio quindi analizzare lo scopocon cui Speziali ha dichiarato di avere usa-to la diretta su Facebook. Anzitutto cometam tam per i soccorsi, apponendo al videodidascalie quali “Chi mi segue chiami aiu-to!”. Qui si paga il fatto che Facebook sia alcontempo mezzo di percezione e di comuni-cazione: la diretta video sui social intendefondere i due aspetti e far vedere a tutti ciòche ho dinanzi agli occhi senza la mediazio-ne del contesto; con l’aggravante che Face-book ha un’interfaccia frivola, dove volanocuoricini, pollici, risate, lacrimucce stiliz-zate che non farebbero piangere nessuno esono inadeguate a esprimere la vita sca-bra.

    Soprattutto, però, Facebook si concepi-sce come strumento di partecipazione e im-pegno, per mezzo dell’espressione di senti-menti privati legati a un evento pubblico. Illike è l’atomo di questa complessa strutturail cui ritrovato più sofisticato è la direttavideo diffusa per esprimere indignazione,

    denuncia, timore o speranza di fronte a ciòche sta accadendo; Speziali infatti ha soste-nuto di aver voluto dare corpo e oggettivitàa un proprio sentimento, il dolore per lamorte. La differenza fra cent’anni fa e oggista qui. Credevamo che le macchine ciavrebbero reso insensibili e, invece, ci han-no restituito i sentimenti istupiditi e svuo-tati ma ingigantiti al punto che anche fuoridi noi siamo in grado di percepire soltantola grettezza di ciò che proviamo. ScrivevaPirandello: “L’uomo che prima, poeta, dei-ficava i suoi sentimenti e li adorava, buttativia i sentimenti, s’è messo a fabbricar diferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed èdiventato servo e schiavo di esse. La mac-china ha bisogno di ingojarsi la nostra ani-ma, di divorar la nostra vita. E come voleteche ce le ridiano, l’anima e la vita, in produ-zione centuplicata e continua, le macchi-ne? Ecco qua: in pezzetti e bocconcini. Eccole produzioni dell’anima nostra, le scatolet-te della nostra vita!”.

    Antonio Gurrado

    Meglio il cinema o le serie tv? Le teoriedi registi e sceneggiatori italiani che

    cestinano pureShakespeare

    PREGHIERAdi Camillo Langone

    Allora è proprio veroche il referendum l’haperso Luciano Benetton, imprenditoreveneto-antiveneto capace di costruirsiuna collezione d’arte senza pagare gliartisti, dunque un’eccezione di prepo-tenza e classismo nella regione italia-na con meno disuguaglianza economi-ca (dati Ocse 2015, Istat 2016). Ha persolo slogan “United colors of Benetton”,pura anticultura nel suo scaraventare idati di natura addosso agli esiti storicie religiosi, se il suo mefistofelico arte-fice, Oliviero Toscani, oggi si scagliacontro i federalisti e, col solito razzi-smo degli antirazzisti, per insultarli lichiama contadini. Oltre che villici, mi-lioni di veneti sono secondo lui dei mo-na. Capisco che quest’ultima parolapossa infastidire chi ha contribuito alcrollo demografico esaltando i baci diSodoma sui muri della nazione. E capi-sco che oggi lodare il Veneto disturbichiunque provi ripugnanza per la real-tà. Capisco tutto e però la mano mi cor-re irresistibilmente allo scaffale dovetengo le poesie di Giorgio Baffo, canto-re veneziano della mona che sapevadarsi del mona (“Mi fazzo i Sonetti, ei altri fotte”), insomma l’esatto con-trario dell’antierotico e borioso foto-grafo di Benetton.

    Leggiamo romanzi,guardiamo film,restiamo svegli la notte conle serie tv. E sempre

    rispunta l’annoso discorso. C’è un belromanzo che si fa leggere con gusto?Obiezione: Sì, ma la letteratura èun’altra cosa. Abbiamo sentito la fraseun mesetto fa, alla presenza ditestimoni che trovavano la questioneserissima nonché attuale, e stavanodalla parte del “Sì, ma…” (coltivandol’aiuola che il lettore educato non siazzarda a calpestare). C’è un bel filmnon punitivo per lo spettatore? Sì, mail cinema è un’altra cosa (arriva a ogniscadenza festivaliera, ripresentandosiquando cambia la programmazione neicinema). C’è una bella serie che nonperde tempo in preliminari? Sì, ma laserialità vera sta nell’altra cheimpiega tanto tempo a carburare (più omeno, è il ritornello critico post-Netflix).

    Con l’occasione vengono ristabilite legerarchie. Un romanzo ha sempre piùdignità di un film. Un film d’autore hasempre più dignità di un film di genere,e il cinema in generale ha più dignitàdi una serie tv. Intanto i romanzi noiosio pieni di pretese (spesso i difetti vannoinsieme) si ammucchiano. E i film che“non concedono nulla al gusto delpubblico” levano al medesimo il gustodel cinema.

    “Le serie aiutano il cinema ma non lorimpiazzano”. E’ la tesi sostenuta daCristina Comencini – scrittrice, regista,sceneggiatrice, e figlia d’arte, speriamodi non aver dimenticato nulla – l’altroieri su Repubblica. Piena confessione:si dichiara spettatrice affezionata, anzi“grande utente delle serie italiane eamericane” (da quando gli spettatorisono diventati utenti o – peggio –fruitori?). Si inchina al talento di chiscrive, produce e gira le serie. Ammetteche tolgono lettori ai romanzi espettatori al cinema, ma – testuale – “E’la legge dei più bravi. Vinca sempre ilmigliore!”.

    Di più: la regista suggerisce che leserie possono insegnare tante cose alcinema, affascinata dalla velocità dipresentazione dei personaggi e dallelibertà che si prendono con lacronologia. Tecniche narrative, peraltro,che il cinema usa – o dovrebbe usare –da sempre, e il romanzo usa – odovrebbe usare – da molto prima delcinema. Non le hanno inventate glishowrunner in tv (a far danni èl’equivoco tra lentezza e profondità).

    Attendiamo la stoccata, chepuntualmente arriva. Pur nella loromagnificenza (fin qui son parole nostre)“le serie non possono per natura stessaraccontare la verità sottile deisentimenti e dell’umano” (questo èinvece il Comencini-pensiero). Arrivaquel che potremmo chiamare la teoriajunghiana della serialità: “i personaggie gli intrecci delle serie sonoarchetipi”. Prova ne sia, così continua ilragionamento, che “davanti alle serienessuno piange”. Presto, una puntata di“This Is Us”! (la seconda stagionedall’altro ieri su FoxLife).

    Sistemata la questione “lacrime”,arriva la questione Shakespeare.Leggiamo: le serie provocano “unafascinazione simile a quella che ciprovocano personaggi e trame diShakespeare”. Complimentone: a qualealtro vertice potrebbe ambire uno – ouna – che scrive? E invece no. Il cinemaè meglio, sostiene Comencini. Megliopure del genio che per il severissimocritico Harold Bloom è “l’uomo solo alcomando” nella letteratura universale:a Shakespeare dobbiamo “l’invenzionedell’umano”. Lo stesso “umano”invocato dalla regista una decina dirighe prima, e identificato con “lospecifico sempre rinnovabile delcinema”. Buttato nel cestino dellastoria William Shakespeare, restano ledichiarazioni d’intenti deglisceneggiatori e dei registi italiani.

    Mariarosa Mancuso

    LE SERIE TV SPIEGATE A GIULIANO

    Storie tragiche e strazianti, diporci e di vecchi diavoli. Alla fine,

    a rimetterci è sempre l’anima

    Il mondo è colmo distupratori e stuprati,storie amare, tragiche,ridicole, assurde,diaboliche, da nonconfondere lo scopatore

    seriale con lo stupratore, anch’essosovente seriale, l’un l’altro tuttavia assailontani e solo, talvolta, apparentementevicini. Ma se una donna, o un uomo,abbandonati con un ghigno satanicopotranno un giorno piangere per unapromessa che non è venuta, per unosguardo orrendo, una beffa atroce, èstupro questo, uno stupro dell’anima?Mah, dubito, forse sì forse no, forse c’èdell’altro, probabilmente non è punibilema nemmeno pulibile, resta una macchiache solo il tempo può cancellare, ma iltempo non cancella il Sergij di Tolstoj,che per non commettere atto impuro – opurissimo – davanti alla bella si taglia ilpene sotto forma di dito. Si fa del male aqualcuno, anche a se stessi, tristi come ilbellimbusto Onegin che non amava maallontanava se stesso e l’amore; e pernoia uccideva. Stuprava? Certo nonstupiva se stesso, e non stupirsi è triste,un carcere; pur amareggiata, la bellaTatiana seppe uscire dall’inferno etrovare un nuovo amore E Trump cheufficialmente proclama di aver “il Texas,la Florida e la Louisiana per andare aPorto Rico dove ha incontrato ilpresidente delle Isole Vergini?”. Checurioso lapsus, dal momento che è lui,Trump, il dichiarato presidente delleIsole Vergini; e allora che dire, a chepensa? Pensa con nostalgia alleverginelle della sua prima vita, quandoinnocente correva tra i prati? Il GrandeChaplin amava le quindicenni? Le amavatroppo o troppo poco e come, chissà. Maidire senza prima pensare. Polanskicertamente una tredicenne la stuprò maquel genio chiamato Lubitsk che diconose la facesse con ragazzine sul divano eun brutto giorno ci rimase stecchito, vero,falso o che altro ancora? Come nonperdonarli, loro che ci hanno dato e cidanno tanta gioia? Ma anche, come noncastigarli? Che dire di Weinstein quandochiede al mondo di “dargli un’altrachance?”. Ridere innanzituttodell’irriducibile briccone, ma anche si sache molte sono le donne che amanopersonalità alquanto discutibili. Bellesignore sono state nelle carceri di mostri,in cerca di ferocia e fin di stupri, igladiatori insegnano. E se quel porconedi Weinstein piacesse davvero alledonne, come al più infernale Paco, PabloEscobar? Ho conosciuto esseri brutti eschifosi che soggiogavano e picchiavanodonne magnifiche pronte a un sublimemasochismo. Ciò non toglie che seWeinstein ha stuprato o roba del generevada condannato, ma che tutti ipresidenti del mondo gli strappino antelitteram le medaglie e la pelle, mi sembraprematuro, un po’ come strapparsi didosso qualcosa di sporco. Prima la legge.

    Ci sono anche storie edificanti, si faper dire, di stupro, o qualcosa del genere.Un ormai vecchio signore tempo fa midisse che sua madre l’aveva stupratocentinaia di volte, costringendolo aguardarla mentre moriva. In effetti ladonna non moriva affatto, faceva solofinta, sul grande letto nuziale. Strazianti isuoi estremi mormorii, la mano chestringeva quella del figlio per poi cadere,annuncio di morte. L’allora ragazzinopensava che mamma davvero stessemorendo, e per far vedere a mamma e ase stesso quanto lui era forte, quantoeseguiva il suo messaggio, impassibilegiocava a carte con la cameriera. Finchétornava il padre che faceva alzare laconsorte a colpi di acqua, aizzato dalmedico. La madre si alzava di scatto ecome risorta correva per le stanzecantando, e abbracciava il padre;sospirava il medico, il figlio la guardava,bella come il sole, splendente,meravigliosa, eterna. Un po’ seminudaper un bambino. “Mi accecava per lacentesima volta”, mi disse il vecchiouomo, neppure proprio tanto vecchio, chequando parlava di mamma anzi sembravastranamente giovane e persino piuttostobello nonostante l’età. “Erameravigliosa”, mi disse l’uomo, “maanche era una stupratrice, di bambini?Nemmeno troppo, io ero solo un suoassistente. Era la stupratrice di miopadre, mamma, voleva farlo soffrire, chenon la tradisse, io ero solo il complice emi strizzava l’occhio. Papà, lui sì era ilterrorizzato, ma non per lei, come lasciocchina credeva, era terrorizzatoall’idea che quella sera non sarebbepotuto andare a Montecarlo con lasignora X che trepidante lo attendeva.Era così dolce e tenera quella carasignorina”. “Lei deve avere moltosofferto”, dico al mio pazienteguardandolo compassionevole. “Propriono”, mi risponde sorridendo. “Mia sorellasoffriva, io guardavo la cameriera, le suegambe”. Non ci credo.

    Umberto SilvaPICCOLA POSTAdi Adriano Sofri

    “Tillerson go home!”: è stataquestione di ore. Poche ore dopo la

    riunione di Riad con i sauditi e il primoministro iracheno al Abadi, dopo laquale aveva detto che le milizie sciite ei loro protettori iraniani dovevano “tor -nare a casa”, il segretario di stato Til-lerson ha dovuto invertire il suo viaggioalla volta del Pakistan per incontrare dinuovo Abadi a Baghdad, mentre i mas-simi capi delle milizie irachene sciite(di obbedienza iraniana) Hashd al

    Shaabi gli ingiungevano di “chiedereperdono” o, più alla svelta, come hafatto il più fanatico e oltranzista fraloro, Qais al Khazali, capo dell’agguer -rito gruppo Asa’ib Ahl al Haq, finanzia-to e addestrato dalla iraniana al Quds,di “prepararsi a lasciare immediata-mente e senza indugio il territorio dellanostra patria”. L’ex primo ministro Ma-liki si era accontentato di ordinare chenessuno andasse ad aspettare Tillersonall’aeroporto. Gli Stati Uniti avrebberopotuto prevenire l’invasione iracheno-iraniana del Kurdistan con mezzi paci-

    fici: si sono tirati addosso qualcosa cherischia di sfociare o in una guerra aper-ta contro l’Iran, o in una resa incondi-zionata, il cui primo effetto collateraleè il sacrificio dei curdi. Ieri nuovi scon-tri d’artiglieria hanno opposto i pe-shmerga alle milizie Shaabi in varipunti del confine curdo, e più violente-mente e a lungo a Makhmur, appena asud-est di Erbil. Nel primo pomeriggio,i morti nelle file Ashd al Shaabi sono25. I peshmerga non comunicano le loroperdite. Un improvvisato quanto genia-le filmato mostra una ventina di Ashd

    alShaabi catturati e disarmati dai pe-shmerga che vengono rimessi su unodei loro hummer e rimandati. Bacianole mani e piangono: “Non siamo noiche vogliamo fare la guerra, sono i no-stri capi e i politici”, mentre il gradua-to curdo tiene una lunga appassionataconcione: “Noi non siamo Ashd alShaabi, siamo peshmerga, trattiamo co-sì i prigionieri”. Poi chiede: “Datemiun po’ d’acqua, ho parlato troppo”. Piùlaconicamente un altro peshmerga di-ce: “Avremmo voluto farli fuori tutti,ma non è bello”.

    BORDIN LINEdi Massimo Bordin

    La manifestazione di ieridavanti al Senato, mentre ilgoverno poneva la fiduciasulla legge Rosato, potevaessere interpretata attraver-so la categoria della sproporzione. Le pa-role che venivano pronunciate dal palcoevocavano un quadro fosco per la demo-crazia, denunciavano l’illegittimità delparlamento riunito e di quello che verràeletto. Ad ascoltare gli oratori, numerosi,un pubblico che non si poteva definire conlo stesso aggettivo. Duecento persone, neimomenti di maggiore affollamento. Lebandiere, che pure venivano sventolate,hanno senz’altro vissuto momenti migliorima sarebbe ingiusto, perfino vile, infieri-re. I tempi delle mobilitazioni di massa so-no finiti. Per tutti. Resta il problema delrapporto fra le parole e le cose. Non si può

    non considerare come se fosse vero l’as -sunto che ha portato in piazza quelle deci-ne di persone, la democrazia sarebbe dav-vero spacciata. Per fortuna di tutti non ècosì, almeno per ora. La manifestazioneha visto protagoniste le forze politiche asinistra del Pd. C’erano Vendola, Fra-toianni, Civati, Russo Spena, Fassina,D’Attorre. Per Mdp ha parlato il senatoreFornaro, presenti i capigruppo di camerae senato ma mancavano i leader. La mani-festazione è stata perciò conclusa dal se-natore a cinque stelle Vito Crimi e fra glioratori si sono segnalati il giudice AntonioEposito, quello della sentenza di condan-na per Berlusconi motivata con una inter-vista al Mattino in dialetto napoletano, eMarco Travaglio, ascoltato con grande at-tenzione. Alla fine in dodici hanno ancheapplaudito. Giulietto Chiesa ha parlato i-ninterrottamente, ma ai piedi del palco aimalcapitati che gli stavano vicini. E’ tutto.

    SUL LETTINO - PSICANALISI DELLA POLITICA

    Violenze profondeMaestri del Sì, ma…

    (segue dalla prima pagina)

    IN ATTESA DELL ’ INCHIESTA SULLO STUPRO

    Quel che si sa già è che Ramadan è colpevole di molestie islamicamente corretteIn un saggio per New Republic, Ian Bu-

    ruma ebbe a scrivere in merito al dibattitotelevisivo fra Sarkozy e Tariq Ramadan:“Circa sei milioni di francesi hanno assisti-to a questo dibattito. Di questi, il numero diimmigrati musulmani doveva essere enor-me, proprio quelle persone che avrebberopotuto trarre vantaggio dal sentir parlarequalcuno con la massima chiarezza controla violenza sulle donne. Ramadan non l’ha

    saputo fare. Questo è stato un momento dabrivido. Il VII secolo è apparso improvviso,spuntato da dietro la retorica moderna delfemminismo e dei diritti. Un momento dibarbarie. Un sussulto. Tutto il mondo delledonne musulmane improvvisamente di-spiegato sugli schermi televisivi dellaFrancia intera: un mondo di violenza tolle-rata, santificata e persino ordinata dallepiù alte autorità”.

    Ramadan ha difeso il velo integrale: “Se

    vogliamo costruire un’autentica comunitàislamica, c’è una cosa che dobbiamo impor-re a tutti, ed è il pudore”. Per Ramadan, unmusulmano può sposare una cristiana oun’ebrea, ma “una donna islamica non puòsposare un uomo di un’altra religione”. Senelle sue parole l’Iran diventa “la più avan-zata società islamica nella promozione del-le donne”, gli occidentali non siano cosìipocriti da bandire la poligamia dei musul-mani, “molti uomini hanno una, due o tre

    amanti nelle società occidentali”. Rama-dan è pure contrario alle piscine miste,“non vedo come uno possa pensare di an-dare in posti simili”.

    Vedremo come andrà a finire l’accusa distupro. Ma sarebbe un errore ridurre l’op -posizione a Tariq Ramadan a questo casosingolo, anziché a quello della donna nelmondo islamico. Le molestie islamicamen-te corrette.

    Giulio Meotti

    (segue dalla prima pagina)

    Alta SocietàEzio Mauro: “L’anno del ferro e del

    fuoco. Cronache di una rivoluzione”(Feltrinelli editore). Fra poco ci sarà ilcentenario della Rivoluzione d’ottobre.E non si può non leggere in questi gior-ni la rievocazione fatta da un grandecronista che ha viaggiato per qualchemese in quei luoghi della Madre Russiadove successe l’inimmaginabile. Emeno male che successe.

  • ANNO XXII NUMERO 252 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 25 OTTOBRE 2017

    LIBRISalvatore ParlagrecoOPERAZIONE LURE

    Navarra editore, 364 pp., 20 euro

    Il sogno di un’isola di Sicilia libera eindipendente è di antichissima memo-ria nel cuore di ogni siciliano e la letturadi questo libro tocca una corda che nonha mai perso la sua sensibilità, perciò ciintriga fin dal titolo. Il tema dell’indipen -denza tra l’altro, se storicamente appar-tiene a noi siciliani, è diventato desideriocomune a buona parte dell’Europa sottoforma di rivendicazione di popoli e la Ca-talogna ne è esempio che suscita profon-da comprensione e siciliana solidarietà.Si tratta di un romanzo difficile da collo-care nell’ambito di una categoria: la suastruttura è complessa e sembra contener-le tutte pur con una scrittura talmenteagile e leggera da farsi leggere tutto d’unfiato. Quella che ci racconta Parlagreco èla storia possibile di una realtà impossi-bile: alla fine degli anni Quaranta gli Sta-ti Uniti accolsero la volontà dei separati-sti siciliani e la Sicilia divenne la 49esimastella Usa. Ai giorni nostri, settant’annidopo, si indice per iniziativa siciliana unreferendum popolare sull’indipendenzadell’Isola e il suo ritorno all’Italia, a cui ilpresidente Usa, Donald Trump, non si op-pone. L’intricata trama ha per protagoni-sta Burt Pierce, giornalista del Repubbli-cano e figlio di Reginald Pierce, tra iprincipali promotori dell’annessione si-ciliana agli Usa. Il cronista Burt, inviatoin Sicilia per seguire la campagna refe-rendaria, ne approfitta per indagare sul-l’ambigua scomparsa del padre avvenuta

    nell’Isola molti anni prima, e mai accetta-ta. Ma a sua volta scompare nel nulla. Pa-dre e figlio straordinariamente scompar-si alla vigilia di un referendum. Toccheràdunque a Salvo Visconti, voce narrante ealter ego dell’autore – fraterno amico diBurt, anche lui di origine siciliana – anda -re a Palermo per seguire la vicenda refe-rendum, e relazionarla, step by step, algiornale. Ma la drammatica scomparsa diBurt diventa necessariamente oggettod’investigazione e farà tornare in auge lavicenda di Reginald, sepolta da tempoper volontà dei servizi segreti americani.Dal presente di una Sicilia americanaReginald Pierce materializza i fantasmidel 1949 con un effetto puzzle temporale:un flusso di immagini ci investe di fram-menti da ricollocare nello schema d’in -sieme, riportandoci alla Sicilia del dopo-guerra e ai suoi furiosi conflitti che anti-ciparono la guerra fredda e portarono auna nuova e solida alleanza tra mafia sici-

    liana e boss americani. Entriamo in untunnel, scorgiamo una luce al fondo, lainseguiamo, la perdiamo e ricominciamoda capo, insieme al Visconti.

    E’ storia che sembra cronaca, è crona-ca che sembra storia, sono vicende lonta-ne che si intrecciano con l’attualità piùinquietante, carte del passato e file crip-tici diventano tracce da studiare che ten-tano di spiegano un presente misteriosotra complicità e depistaggi di alti funzio-nari dello stato e braccio mafioso, mortiammazzati da Cosa Nostra e bombe terro-ristiche e di stato, vecchie famiglie nobilisiculo-americane con i loro conflitti diproprietà e rivendicazioni trasversali, iltutto esacerbato da un referendum cheaccelera la resa dei conti. Il giornalistaVisconti alloggia dove già era stato ospiteBurt Pierce, nel santuario degli intrighidi Palermo, l’Hotel delle Palme, in viaRoma dove il sole brucia l’asfalto, si faestate in un giorno qualsiasi e coglie allasprovvista uomini e cose. Nel giornalismod’inchiesta che permea il libro vibra la“corda civile” di cui parlava Sciascia: perun giornalista il segnale per scavare più afondo è proprio quando qualcuno affer-ma che la verità potrebbe non essere co-nosciuta. Qualunque indagine sulla Sici-lia non fa la differenza e non cambia nul-la, sembra essere la sintesi fatalisticadell’autore ma se il destino è segnato, ilricordo, almeno quello, non sarebbe statomascariato.

    EDIT ORIALI

    Bilancio magroDue buoni pilastri e diverse occasioni perse nella legge di Stabilità

    La legge di Bilancio 2018 in arrivo nelleprossime ore in Parlamento coincidecon due variabili esterne cruciali: l’avviodella fase finale del Quantitative easing(acquisto di obbligazioni pubbliche e pri-vate) della Banca centrale europea e ipiani di rilancio delle economie naziona-li che Francia e Germania, in accordo traloro, stanno mettendo a punto assieme avarie altre intese su governance, trattati ecariche di vertice europee. Dunque pote-va essere l’occasione di una manovra disvolta e di riforme per non condannarel’Italia a una perenne crescita minima, incoda all’Europa: si potevano ridurre letasse e liberare gli investimenti, con le ri-sorse da reperire attraverso tagli alla spe-sa oppure con nuovi margini sul deficitsenza però discostarsi dal sentiero stret-to del risanamento dei conti. Lo spaziofiscale andrebbe ovviamente negoziatoin sede europea, inserendosi con autore-volezza, e senza pugni sul tavolo, nelletrattative tra le maggiori capitali sullafutura architettura dell’Unione. Il gover-no ha fatto una terza scelta, minimalistae conservativa, forse inevitabile viste lespinte elettorali, che ha il pregio di met-tere su un percorso virtuoso il debito.Due grandi meriti (qui si vede il lavorodel ministro Padoan) sono l’aver resisti-to, finora, alle richieste sindacali e parti-tiche di non far scattare nel 2019 il natu-rale adeguamento a 67 anni dell’età pen-

    sionabile, e l’aver destinato parte dellepoche risorse a sgravi contributivi perl’assunzione di giovani. Il resto però è ilsolito rosario di bonus su mobili, ristrut-turazioni, messe a norma, rottamazioni.As usual. Sono utili, per carità (anche al-le aziende), ma si muovono nella logicadel cacciavite, anzi del temperino, e so-no una dispersione pulviscolare di risor-se che andavano concentrate sulle prio-rità del paese. Poi c’è il rinnovo del con-tratto degli statali, 2,9 miliardi nei pros-simi tre anni. Tenerlo ancora bloccatonon era forse possibile, ma non c’è alcu-na evidenza, a parte le intenzioni dellariforma Madia, che sarà collegato al me-rito e alla produttività. Ancora più nelcomparto scuola, dove si ipotizzano au-menti di 400 euro netti per i presidi, cheverranno equiparati agli altri dirigentipubblici ma avendo, rispetto a loro, an-cora meno responsabilità (e questo dopola sollevazione sindacale contro i “presi -di sceriffi”); e gli 85 euro da concedereagli insegnanti, con l’aggiunta che l’au -mento, dietro preciso impegno del gover-no e a differenza del settore privato, nonsi mangerà il bonus di 80 euro erogatodue anni fa. E questa è una palese ingiu-stizia a beneficio di una categoria già ab-bondantemente protetta. Anche qui: po-teva essere l’occasione per puntare sullaqualità della didattica e degli studenti.Si è scelto come sempre l’apparato.

    La democrazia secondo Di MaioCamera circondata, caso Boschi. I silenzi sull’istinto anti democratico del M5s

    Mentre gran parte dei media giudicaquasi come un atto “eversivo” una mo-zione parlamentare che riguarda il gover-natore della Banca d’Italia e un’altra partegiudica autoritaria o parafascista l’appro -vazione con la fiducia da parte di una nuo-va (e necessaria) legge elettorale che ha ilconsenso di due terzi del Parlamento (mag-gioranza e opposizione), tutti i mezzi di co-municazione trattano le sovversive dichia-razioni di un vicepresidente della Cameracome normale dialettica politica. Dopoaver detto che Matteo Renzi e Maria ElenaBoschi sono due “aguzzini dei risparmiato-ri”, Luigi Di Maio ha ricevuto la replica del-la sottosegretaria alla presidenza del Con-siglio a un confronto pubblico in televisio-ne per fare chiarezza sulla “questione ban-caria”. La risposta del candidato premierdel M5s è stata: “Accetto il confronto con laBoschi, ma vorrei farlo all’americana inuna piazza davanti ai risparmiatori di Ban-ca Etruria”. Dietro questo atteggiamentoda bulletto di periferia del tipo “ti aspettofuori”, l’idea di confronto che emerge non èil dialogo (o la contrapposizione) ma la go-gna pubblica o la lapidazione a furor di po-polo dell’interlocutore. Questo atteggia-mento di costante richiamo alla piazza non

    è un semplice espediente retorico o di pro-paganda politica, ma l’idea malata e antirappresentativa di democrazia che il M5sporta avanti e che tanti fanno finta di nonvedere. Qualcosa di più grave della polemi-ca con la Boschi accade nell’indifferenzapiù totale. Di Maio ha convocato per oggiuna manifestazione popolare per “circon -dare il Senato” al fine di impedire l’appro -vazione della legge elettorale. E qualora ilRosatellum dovesse essere votato “chiede -remo davanti al Quirinale che il presidentenon firmi”. Non si è mai visto un vicepresi-dente della Camera che ritiene sia normaledialettica politica circondare il Parlamen-to e il Quirinale. E ciò che ancora di piùpreoccupa è l’indifferenza rispetto alla mi-naccia eversiva alle istituzioni democrati-che. Quando qualcosa di analogo accaddenel 1993, con l’accerchiamento della Came-ra da parte di deputati del Msi (“Arrende -tevi, siete circondati!”, ricorda qualcosa?)la risposta fu una ferma condanna. La pro-cura di Roma inviò ai deputati missini avvi-si di garanzia per turbativa dell’attività de-gli organi costituzionali (da 1 a 5 anni di car-cere). Ma quelli erano fascisti. Oggi senza lafiamma, con la riga di lato e una bella cra-vatta è tutta democrazia diretta.

    La sinistra che lascia il nord alla LegaPerché il Pd renziano non dovrebbe snobbare la questione settentrionale

    Sarà pure vero che il referendum del 22ottobre è stato per molti versi una furba-ta propagandistica di Roberto Maroni e Lu-ca Zaia. Sarà pure vero che alla Lega servi-va risvegliare le pulsioni identitarie, senzapossibilità concreta di portare a casa il ri-sultato. Sarà pure vero. Ma avere ragione inteoria, per la sinistra, non è per forza unbuon affare. Di fronte alla “inconcludente”sfida lanciata dai governatori di Lombardiae Veneto, la strada più sbagliata che si po-tesse scegliere era la sottovalutazione. Te-nersi fuori dal centro di un dibattito che èpolitico in zone cruciali del paese. Invece èstata proprio la strada imboccata dal Pd edalla sinistra in generale: che nel dubbiosul da farsi, ha pensato di non fare niente.Quando non è stata del tutto ignorata, l’ini -ziativa referendaria è stata liquidata dauna buona fetta dello stato maggiore delcentrosinistra come una pagliacciata: iltanto celebrato “esercizio della democra-zia” è stato snobbato con inviti – timidi econtraddittori pure quelli, in realtà – a di-sertare le urne, e ci si è accontentati di ri-proporre analisi approssimative che tende-vano a svilire un sentimento e una serie diproblemi che da decenni covano nel nord-

    est, e che in larga misura prescindono dallaLega. In Veneto, più che la linea astensioni-sta, nel Pd ha prevalso quella del balbettiodi fronte a un problema politico che nonpuò essere liquidato con inconsistenti pa-ragoni con la Catalogna. In Lombardia, poi,l’afasia dem s’è rivelata ancor più incom-prensibile, dal momento che lì c’è stato per-fino chi ha tentato di non lasciare al Carroc-cio la paternità della battaglia sull’autono -mia: e però Giorgio Gori, che pure del Pds’avvia a essere candidato per la corsa al Pi-rellone nel 2018, s’è ritrovato in sostanzialesolitudine: addirittura guardato con sospet-to, come se il suo sostegno al quesito refe-rendario celasse una sorta di connivenzacol nemico. Il risultato rischia d’essere unarretramento del Pd al nord. Un’incom -prensione della sua natura che lascia ilcampo ancora una volta al “forzaleghismo”.Soprattutto a Milano (che pure ha snobbatoil voto) che del progetto riformista renzianoè stata la vetrina più luminosa, e che non acaso ha visto vincere – rarità – il Sì al refe-rendum del 4 dicembre. La questione set-tentrionale esiste. Lasciarla appannaggioesclusivo della Lega, non aiuterà il Pd acombattere la sfida contro i populismi.

    Merkel deve fare un po’ d’ordine in casa per costruire un governoA BERLINO INIZIA LA NUOVA LEGISLATURA: PRIMI CAOS DELL’AFD. DUE ESPERTI CI SPIEGANO I NEGOZIATI PER LA COALIZIONE GIAMAICA

    Berlino. Ieri si è tenuta la seduta inau-gurale della nuova legislatura tedesca.Come si sapeva, il 74enne ex ministro del-le Finanze, Wolfgang Schäuble, è statoeletto alla guida del Bundestag – ed è statosalutato dal suo staff con un enorme zero,lo zero del deficit tedesco – e come si sape-va il drappello di 90 deputati di Alternati-ve für Deutschland ha causato un po’ diconfusione in aula. Il vecchio regolamentoparlamentare voleva che ad aprire la se-duta fosse il parlamentare più anziano matemendo l’elezione con AfD di deputatiover 75, mesi fa i deputati hanno stabilitoche l’incarico toccasse al deputato conmaggiore anzianità di servizio. In aula, ilcapogruppo dei populisti Bernd Baumannha paragonato la modifica del regolamen-to a quanto fatto dai nazisti di Göring nel1933 per impedire che a inaugurare la se-duta parlamentare fosse la comunista Cla-ra Zetkin. “Frasi di cattivo gusto”, ha con-testato qualche deputato liberale.

    Se il Parlamento è operativo, il governonon c’è ancora. Mentre al Bundestag si li-tigava per l’assegnazione dei seggi – nes -suno voleva sedere accanto all’AfD – lacancelliera, Angela Merkel, consultava ifratelli bavaresi, il partito liberale (Fdp) ei Verdi per lavorare all’unica maggioran-za possibile dopo il ritorno dei socialde-mocratici all’opposizione: la coalizioneGiamaica. Invece che bozze di program-ma, Merkel ha collezionato uno zibaldonedi distinguo. “Fra la Germania e la Gia-maica ci sono 8.500 chilometri e per ades-so abbiamo fatto solo i primi passi”, hadetto la segretaria generale dell’Fdp, Ni-cola Beer. E se la leader dei Verdi, Simo-ne Peter, ha concesso che fra il suo partitoe l’Unione Cdu-Csu esistono “punti di con-tatto”, il ministro dell’Interno del Me-clemburgo, Lorenz Caffier (Cdu), ha inve-ce messo in guardia da una coalizione “ri -schiosa per la sicurezza interna dello sta-to” con i Liberali contrari alla

    videosorveglianza quale strumento del-l’antiterrorismo, i Verdi dubbiosi in mate-ria, e il duo Cdu-Csu senza chiarezza intema di politica di accoglienza. MentreMerkel e il suo piccolo Zauberkreis tratta-no con il centro e la sinistra il programma

    del prossimo governo, la seconda fila del-la Cdu ricorda alla cancelleria che è tem-po di buttarsi a destra prima di farsi tra-volgere dai populisti di Alternative fürDeutschland. Lo sa bene il primo ministrodella Sassonia: il cristianodemocraticoStanislaw Tillich si è dimesso da Minister-präsident e da leader del partito in Sasso-nia; nel Land si vota nel 2019 e Tillichspera che il tempo permetta alla Cdu diritrovare impeto e identità, possibilmentea destra.

    Assumendosi la responsabilità del calodi consensi in Sassonia, “sul breve perio-do Tillich riduce la pressione su Merkel”,

    spiega al Foglio Carsten Koschmeider, ri-cercatore all’Istituto Otto Suhr di ScienzePolitiche della Freie Universität Berlin. Iguai per la cancelliera potrebbero arriva-re però più avanti, qualora il resto del par-tito si sposti su posizioni più conservatrici

    e la critichi perché troppo liberal. Succes-so o fallimento della Jamaika-Koalitiondipendono molto dall’evoluzione internaalla Cdu. La ricerca di una nuova identitàpolitica “rischia di rendere più difficile ilnegoziato soprattutto con i Verdi che, tro-vato un accordo con la cancelliera, do-vranno poi chiedere alla base del partitodi ratificare gli impegni assunti”. Eccoperché Merkel si muove cauta: deve tesse-re una tela capace di contenere gli ecolo-gisti, che vogliono mettere fuori legge imotori diesel e imporre un freno agli affit-ti, i Liberali, contrari per principio agliinterventi dello stato, e mediare fra Cdu eCsu ancora sotto choc per il brutto esitodelle elezioni. Al pari del sassone Tillich,anche il governatore bavarese Seehoferauspica l’adozione di una piattaformaconservatrice. Questa linea trova confortonel successo del vicino di casa, il leaderpopolare austriaco Sebastian Kurz, che havinto le elezioni rincorrendo l’ultradestrafra monti e valli. Anche Seehofer ha biso-gno di tempo, e lo ha ottenuto con lo slitta-mento del congresso della Csu da novem-bre a dicembre: il governatore spera diportare in dote ai delegati un nuovo pattodi coalizione, assicurandosi così una rie-lezione che non è più scontata.

    Non sono solo le beghe interne ai mode-

    rati a complicare l’opera di Merkel: Ko-schmeider ricorda la diffidenza di verdi eliberali a legarsi a una leader che canni-balizza sistematicamente i soci di mino-ranza dei suoi governi. Dopo aver insistitoper ottenere il ministero delle Finanze, ilnumero uno dell’Fpd Christian Lindnerpotrebbe decidere di lasciare l’incarico aun collega, per essere più libero di critica-re il governo dall’esterno. Oppure conti-nuerà a punzecchiare la cancelliera an-che da ministro, come sta peraltro già fa-cendo: alla rivista Stern, Lindner ha invi-tato la Cdu ad aprire il capitolosuccessione. Un appello accolto dal Mini-sterpräsident dello Schleswig-Holstein,Daniel Günther, sempre della Cdu. Fortedell’aver mandato a casa a maggio il go-verno regionale rosso-verde rimpiazzan-dolo con una coalizione Giamaica, Gün-ther ha chiesto “nuovi volti in posizioni dicomando” dentro al partito. Un’operazio -ne che non si porta a termine nell’arco diuna giornata. Anche Konstantin Vössing,docente di analisi dei sistemi politici allaHumboldt Universität zu Berlin, credeche Merkel abbia bisogno di tempo. “Almomento la base della Cdu, come quelladella Csu, è troppo calma”, osserva. Primadi poter siglare un patto di coalizione, ilpartito di maggioranza relativa deve ripo-sizionarsi. Se poi nella navigazione fraMare del Nord e Mar dei Caraibi la Cdudovesse virare troppo a destra e la coali-zione naufragare prima di arrivare in por-to, starà a Merkel trovare una soluzionecreativa. Poiché l’AfD e la Linke (socialco-munisti) sono considerati “intoccabili” e isocialdemocratici sono tornati all’opposi -zione, l’unica alternativa sarebbe un go-verno Cdu di minoranza, un’opzione che latradizione tedesca non contempla. “Maanche la coalizione Giamaica era sempli-cemente inimmaginabile dieci anni fa”,ricorda Vössing.

    Daniel Mosseri

    Schäuble diventa il presidente del Bundestag, il suo staff alle Finanze losaluta con un enorme zero per celebrare il deficit zero. La cancelliera devegestire due pressioni: per una svolta conservatrice e per aprire a nuovi volti. Laposizione di Verdi e Liberali, mentre i cugini della Csu si tormentano

    Perché il piano economico del governo catalano è un libro di favoleRoma. Le pmi e multinazionali fuggite dal-

    la Catalogna dopo il referendum per l’indi -pendenza dello scorso 1° ottobre e il pasticciopolitico e istituzionale dei giorni successivisono più di 1.300. I dati, aggiornati a venerdìdella scorsa settimana, sono stati elaboratidal Colegio de Registradores de España e mo-strano che il suicidio economico della Catalo-gna secessionista, dopo i grossi colpi dellemultinazionali come Banco Sabadell e Caixa,si è trasformato in uno stillicidio continuo incui, a partire dal 9 ottobre, ogni giorno hannotrasferito la loro sede legale fuori dalla Cata-logna tra le 100 e le 200 imprese, che temonoper la sicurezza giuridica dei loro affari. Leconseguenze economiche della sfida indi-pendentista di Barcellona contro il governodi Madrid sono peggiori di ogni previsione, esono una smentita palese del discorso rassi-curante con cui il governo catalano – e in par-ticolare il vicepresidente Oriol Junqueras,responsabile dell’agenda economica – cercadi convincere comunità internazionale e im-

    prese della bontà del progetto secessionista.Oltre alla fuga delle società catalane,

    preoccupa anche il blocco degli investimenti:secondo un sondaggio commissionato qual-che giorno fa dalla Pimec, l’associazione del-le piccole e medie imprese catalane, il 19 percento delle società interpellate ha fermatoogni progetto di investimento (10 per cento) ointende farlo (9 per cento) a causa dell’insicu -rezza finanziaria. Secondo lo stesso sondag-gio, il 54 per cento delle pmi catalane ha pau-ra che l’instabilità della situazione politicapossa provocare danni economici al loro bu-siness. Poi c’è il turismo. Se è vero che, ancoraa settembre, i pernottamenti negli hotel dellaCatalogna crescevano (del 2,3 per cento, in ca-lo rispetto al 6,6 per cento di crescita dell’an -no scorso), per il periodo post referenduml’associazione delle compagnie turistichespagnole Exceltur ha previsto una riduzionedelle prenotazioni del 20 per cento con perdi-te per 1,19 miliardi di euro, che potrebberoarrivare al 30 per cento e a perdite per 1,8 mi-

    liardi in caso di “disordini in strada”.Fino a questo momento, tutti i tentativi di

    Junqueras di porre riparo alla situazione so-no andati falliti. I giornali spagnoli sono pienidi retroscena su riunioni dell’ultimo minutoin cui il vicepresidente ha cercato invano diconvincere i dirigenti d’azienda a non andar-sene. Nel tentativo di diffondere una visionepiù rassicurante, il 15 ottobre Junqueras hapubblicato un nuovo piano economico intito-lato “La situazione dell’economia in uno sta-to catalano” che ieri il País ha analizzato e ingran parte smontato: la programmazione eco-nomica della Catalogna indipendente si basain gran parte sul whishful thinking. Junquerasper esempio continua a dare per scontato cheuna Catalogna indipendente rimarrà nell’U-nione europea o, quanto meno, nel mercatounico, senza considerare che molti dirigentiUe si sono espressi proprio in senso contra-rio. Sostiene inoltre che il cambiamento disede sociale delle imprese non ha effetti eco-nomici reali: è vero che lo spostamento di se-

    de non trasferisce automaticamente i dipen-denti, ma alcune aziende, a partire da Saba-dell, stanno iniziando a spostare a Madrid an-che buona parte dei propri dirigenti, mentrealtre, come abbiamo visto, congelano gli inve-stimenti in Catalogna. La situazione, dunque,è grave per davvero, e questo è un problemaanche per la Spagna. Il ministro del Tesoro,Cristóbal Montoro, ha ridotto le previsioni dicrescita del pil spagnolo dal 2,6 per cento al2,3 per il 2018, e il crollo del settore turisticocatalano previsto da Exceltur provochereb-be una riduzione della crescita del businessturistico nell’intera Spagna dal 4,1 al 3,1 percento. Ma come ha scritto il giornale El Confi-dencial, le imprese catalane hanno esercita-to il loro “diritto all’autodeterminazione” an -dandosene dalla regione, segno che il busi-ness sa dov’è il rischio maggiore. L’ultimaazienda che, con una lettera interna ai dipen-denti, ha anticipato la possibilità di trasferir-si è Seat, la più grande industria del paese.

    Eugenio Cau

    La trattativa sui tagli fiscali sfugge ancora di mano a TrumpNew York. Donald Trump ha sabotato la

    missione politica che lui stesso aveva orga-nizzato e annunciato, rinfocolando una la-cerante polemica con il senatore repubbli-cano Bob Corker, che dopo essere stato ac-cusato di aver dato manforte all’Ammini -strazione Obama appoggiando lo scelleratoaccordo nucleare con l’Iran ora è anche col-pevole di “combattere i tagli delle tasse”.Domenica Corker aveva detto, a propositodella riforma fiscale, che sperava che ilpresidente “lasciasse la cosa per un po’ nel -le mani dei professionisti, per vedere se sipuò fare qualcosa di costruttivo. Se inizi eli-minando elementi dal tavolo prima ancoradi iniziare le trattative, rendi le cose moltodifficili”. Si trattava, insomma, di un invitoalla Casa Bianca a rimanere per un momen-to ai margini di un dibattito che spetta alCongresso e che ha enormi ricadute sullacoesione della maggioranza repubblicana.

    La riforma fiscale è il grande miraggiounificante in questa fase della presidenza

    dove frammentazione e litigiosità hannoraggiunto livelli inauditi, e così il presiden-te ieri è andato a pranzo a Capitol Hill pertrasmettere ai congressmen l’urgenza di fa-re fronte comune, almeno sulle tasse. Po-che ore prima dell’incontro è partita dal-l’incontrollabile account Twitter la solitaburiana contro un “peso leggero” che “nonè nemmeno in grado di farsi rieleggere inTennessee”, un “incompetente capo dellacommissione Esteri” che dopo avere fattola parte del collaborazionista durante lapresidenza Obama ora rema contro la mag-gioranza repubblicana. Dapprima Corkerha risposto evocando il precedente batti-becco, quando aveva paragonato la CasaBianca a un asilo senza la supervisione de-gli adulti: “Le solite falsità da parte di unpresidente incredibilmente falso”. Davantialle telecamere è stato anche più duro: hadetto che Trump “ha dei grossi problemicon la verità” e che molti hanno provato inquesti mesi a farlo ragionare, ma non c’è

    verso: “Non ha intenzione di comportarsida presidente”. Se potessi tornare indietro,ha detto Corker, “non lo sosterrei più”, per-ché sta facendo cose che “sono dannose peril nostro paese”. La peggiore? “Quando ilsuo mandato sarà concluso, il degrado dellanazione, le falsità costanti e gli insulti sa-ranno ciò per cui sarà ricordato, e questo èdoloroso”.

    Come tutte le risse che il presidente in-gaggia, anche questa ha avuto l’effetto diobliterare la questione politica da cui erapartita. La virulenza twitteriana tende a fa-gocitare qualsiasi tentativo di discussione,confonde la presa di posizione e l’insulto,genera distruzione anche quando si propo-ne di costruire. Il pranzo di Trump si è tra-sformato così in una visita sulle macerie fu-manti della disputa con “liddle Bob”, miti-gata a fatica dallo speaker della Camera,Paul Ryan, che ieri ha annunciato la roadmap: il passaggio di un disegno di legge en-tro il Ringraziamento, con approvazione

    del Senato e firma del presidente entro lafine dell’anno. Vasto programma per unariforma fiscale che fa perno su una drasticariduzione della pressione fiscale per leaziende e importanti tagli anche per la mid-dle class e per i più ricchi. La smisuratacreazione di deficit per sostenere quelloche Trump chiama “il più grande taglio fi-scale della storia” è ciò che fa storcere ilnaso ai repubblicani moderati, e quando sitratta del Senato la fragile maggioranza deirepubblicani non si può permettere defe-zioni. Per questo la reazione di Corker è sta-ta accolta con ira dal presidente. Trumpinoltre ha promesso due giorni fa che nontoccherà le esenzioni sui fondi pensione410(k), tipologia d’investimento molto popo-lare presso la classe media. Tassare questistrumenti era una delle misure consideratedai repubblicani per trovare le coperture auna riforma fiscale altrimenti fatta di slo-gan irrealizzabili.

    Mattia Ferraresi

    Lo staff di Schäuble celebra il deficit zero

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  • ANNO XXII NUMERO 252 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 25 OTTOBRE 2017

    Anna Frank, ok. Ma la memoria della Shoah va difesa fuori dagli stadiAl direttore - Senato in rivolta! Sapranno della

    riconferma di Visco?Giuseppe De Filippi

    Al direttore - La verità diceva Anna Frank ètanto più difficile da sentire quanto più a lungo la siè taciuta. La verità, nel caso del folle gesto dei tifosilaziali, è che ancora oggi in Italia e purtroppo inlarga parte del mondo esiste non un pregiudizio maun odio nei confronti del popolo ebraico. Un odioche si fonda sulla follia di pregiudizi troppe voltetollerati o minimizzati.Non è un gesto di un mani-polo di persone facente parte di una tifoseria. E’qualcosa di più ampio. Sono fortemente convintoche molti tifosi mai avrebbero fatto quel gesto però diquel gesto hanno riso, lo hanno accarezzato, non lohanno ritenuto poi così grave. In fondo è per loroaccomunabile al tifo a cui è permesso lo sberleffo.No. Su queste cose non si scherza. Su una ragazzauccisa per colpa della più grande barbarie dell’uma -nità non si scherza. Su una ragazza che ha lasciatouna testimonianza indimenticabile su quella trage-dia non si scherza. Non si può minimizzare. Lalibertà individuale