IL FOGL IOmartind1/Papers-Documents/Il Foglio 10 Settembre... · suo posto ci abbiamo messo idroits...

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IL FOGLIO quotidiano Redazione e Amministrazione: Via Vittor Pisani 19 – 20124 Milano. Tel 06 589090.1 Sped. in Abb. Postale - DL 353/2003 Conv. L. 46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO DIRETTORE CLAUDIO CERASA ANNO XXIV NUMERO 213 MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019 - e 1,80 y(7HB1C8*QLQKKS( +}!"!;!#!z Il maschio è morto e anche il padre non sta tanto bene. E’ “la fine del dominio maschile”secondo Marcel Gauchet Roma. “L’avvenimento non è di poco conto… stiamo assisten- do alla fine del dominio maschile”. Storico della democrazia moderna e docente all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, Marcel Gauchet apre così il suo libro “La fine del dominio maschile” uscito in Francia per la rivista Débat (Gallimard) e in Italia in questi giorni per Vita e pensiero. Non è un’ode al machismo, ma l’analisi della fine del maschio che, secondo Gauchet, passa dall’esautorazione delle due strutture di base della società occidentale: religio- ne e famiglia. Sulla prima, scrive Gauchet, “ci troviamo al processo di uscita dalla religione giunto al suo termine”. Già nel 1980, Gauchet fece scalpore spiegando che il cristianesi- mo sarebbe stata la religione dell’uscita dalla religione, al- meno in Europa. Sulla famiglia scrive che “la famosa ‘cellula di base’ sulla quale si fondava l’esistenza collettiva è scom- parsa”. La famiglia è stata privatizzata, affidata alla libera disposizione dei suoi membri, sgravandosi di ogni portata collettiva. Gauchet parla di “nuova immaturità maschile” che deriva dall’avvento di una società ultra egualitaria in cui la differen- za tra i sessi è offuscata e vige il “rapido liquefarsi della figura del padre”. Perché perdendo la chiave di volta del principio paterno, il dominio maschile ha perso il suo più solido punto di appoggio. “Un collasso che ci dà la misura della rapidità del processo, se si pensa che mezzo secolo fa l’idea era ancora credibile e verificabile”. Un collasso accolto con sollievo, co- me una liberazione, dagli stessi uomini, che così si sentono sollevati da un fardello, una responsabilità, e possono “infan - tilizzarsi”. Privato di peso nel mondo del lavoro, esonerato dal suo ruolo famigliare, sempre più estromesso anche dalla ripro- duzione, il maschio abbraccia la “controcultura dell’immaturi - ”. Gauchet parte dal presupposto che il dominio maschile non sia un istituto arcaico, chiuso, un relitto della cultura contadina, degenerata, cristiana e anacronistica, ma la sola istituzione che abbia dato continuità fisica e culturale all’occi - dente. La fine del maschio ha portato alla “sessualizzazione dell’identità”. Ieri la Bbc riportava la notizia che nelle scuole inglesi ai bambini delle elementari si spiega che ci possono essere “fino a cento forme di genere sessuale”. Ci vorrà ancora del tempo prima di liberarsene del tutto. “Un’organizzazione pratica e simbolica radicata nei millenni ci mette del tempo a svanire, dietro di sé lascia tracce e strascichi considerevoli, dà luogo qua e là a resistenze più o meno articolate”. Ma l’oriz - zonte è fissato. “Nel mondo occidentale si è ormai voltato pagina. Quello che è fondamentalmente cambiato è il modo in cui le società assicurano la loro traversata nel tempo. Non è certo un caso che le società europee abbiano un problema di natalità”. E questo avrà conseguenze per tutti. “Una società esiste solo a partire dal momento in cui è in grado di assicurare la continuità della propria cultura e l’identità della propria orga- nizzazione al di là dell’avvicendarsi dei suoi membri, che nascono e muoiono”. Tirato giù l’uomo dal suo piedistallo, al suo posto ci abbiamo messo i droits de l’hommisme, i diritti dell’uomo trasformati nei diritti del bambino viziato. Più che l’oppressione maschile, l’impressione è che sia stata demolita l’idea stessa di società. E su questo abbiamo tutti molto poco da festeggiare. Il gigante e le cattive parole Il femminicidio di Piacenza e l’ipocrisia di chi si aggrappa a un titolo che poteva essere migliore, ma che ipocrita non è Il futuro della Crimea Putin perde in casa e riapre il dialogo con l’Ue meno sovranista Macron, attivo ed “esigente”, riprende gli incontri con il Cremlino. Le elezioni mostrano quanto è tossica Russia Unita “L’èra delle opposizioni” Niente scherzi con Nato, euro, Russia, porti, spread. Il primo discorso del BisConte non è il discorso dei sogni ma è un sogno per chi ha a cuore lo stato di necessità. La discontinuità è la sintesi al posto dello scambio. Elogio dei governi senza contratto IL FISIOTERAPISTA DEL POPOLO La Giornata * * * In Italia CONTE HA ANNUNCIATO UNA IMMI- NENTE RIFORMA ELETTORALE. Nel suo discorso alla Camera per il voto di fiducia il premier ha ribadito la vocazione euro- atlantica dell’Italia. Mentre il premier Conte parlava ai deputati, in piazza Monte- citorio si è svolta una manifestazione di protesta promossa da Fratelli d’Italia alla quale hanno partecipato anche Salvini e Giovanni Toti. Secondo fonti europee Paolo Gentiloni sarà il prossimo responsabile degli Affari economici della Commissione europea. (articoli nell’inserto III) *** Facebook e Instagram oscurano i profili ufficiali di CasaPound e Forza Nuova as- sieme alle pagine di numerosi responsabili a livello locale e nazionale. (editoriale a pagina tre) *** La Commissione Ue avvia coordinamento per la ripartizione dei cinque migranti a bordo della nave Alan Kurdi. *** Borsa di Milano. Ftse-Mib +0,19 per cen- to. Differenziale Btp-Bund a 154 punti. L’euro chiude stabile a 1,10 sul dollaro. I l primo discorso di Giuseppe Conte da pre- sidente del Consiglio bis può essere letto attraverso due lenti di ingrandimento diver- se. La prima lente è quella che ci permette di mettere a fuoco la distanza che esiste tra quello che può essere il discorso dei sogni di ciascuno di noi e quello che è stato il discorso di Giuseppe Conte. La seconda lente è quella che ci permette invece di mettere a fuoco la distanza che esiste tra ciò che è stato compre- so all’interno del ragionamento di Conte e ciò che invece dovrebbe prevedere lo stato di ne- cessità. A voler usare la prima lente di ingran- dimento, si potrebbe dire che il discorso del presidente del Consiglio è un discorso noioso, pigro, scontato, monotono e persino banale. A voler usare la seconda lente di ingrandimento, non si può non riconosce- re che il discorso di Con- te è stato invece giusto, onesto, corretto, persino coraggioso, da perfetto fi- sioterapista del popolo. Il fisioterapista, come sa- pete, è un professionista specializzato nel dare a un paziente le indicazio- ni giuste per riabilitarsi e permettergli di tornare a muoversi in modo cor- retto una volta superato un trauma. Conte non passerà alla storia per essere un grande oratore ma potrebbe invece pas- sare alla storia per aver capito in che modo ri- mettere in piedi un pae- se uscito – anche a causa del professor Conte ma anche grazie al professor Conte – da un trauma lun- go quattordici mesi. Os- servato dunque il discor- so di ieri con questa len- te di ingrandimento, si può dire che nel ragiona- mento di Conte c’è tutto quello che serve oggi per superare, a poco a poco, il trauma subìto dall’Italia nei mesi di governo gialloverde. C’è l’idea di non fare più scherzi alla Nato (“il nostro asse”), c’è l’idea di non fare più scherzi sugli Stati Uniti (“il legame agli Stati Uniti è imprescindibile), c’è l’idea di non fare più stupidaggini con l’euro (niente minibot), c’è l’idea di non essere più identificati come il cavallo di Troia della Rus- sia in Europa (citata tre volte un anno fa, con un abbraccio speciale alla “società civile rus- sa”, citata solo una volta ieri, in una parentesi insieme con India e Cina), c’è l’idea di non fare più sciocchezze sullo spread (“la diminu- zione della spesa per interessi pagati sul no- stro debito pubblico non stenterei a definirla una vera e propria riforma strutturale”), c’è l’idea di costruire una manovra da non decla- mare sui balconi di Palazzo Chigi (“nel rispet- to dei vincoli di equilibrio del quadro di fi- nanza pubblica”), c’è l’idea di voler spostare la gestione della politiche migratorie dalle invettive sui social (Conte ha nientemeno che invitato i suoi colleghi ministri a “un uso re- sponsabile dei social network”) alle iniziative in Europa (il governo precedente ha fatto di tutto per non trovare accordi strutturali in Europa per redistribuire i richiedenti asilo, Conte ieri ha ribadito che intenzione dell’Ita - lia su questo terreno è “non prescindere più da un’effettiva solidarietà tra gli stati membri dell’Unione europea”). Intenzioni, progetti, programmi molto vasti, sui quali si potrebbe naturalmente anche a lungo ironizzare (Conte ha promesso, nientemeno, che “un abbatti- mento del divario fra nord e sud del paese”), ma al centro della discontinuità da fisiotera- pista del popolo vi è un dettaglio solo appa- rentemente laterale sul quale vale la pena concentrarsi e che riguarda quello che è in- sieme l’essenza della discontinuità di questo governo: la presenza di una solida cornice eu- ropea (non più antieuropea) e l’assenza di un programma dettagliato (e non più prefissato in par- tenza). Conte, prometten- do di lavorare affinché il suo governo sia nuovo an- che “nella determinazio- ne ad invertire gli indi- rizzi meno efficaci delle pregresse azioni”, ha det- to ieri che “il programma non è una mera elenca- zione di proposte etero- genee che si sovrappon- gono l’una sull’altra” ed è questo forse il punto più interessante presente al- l’interno del disegno po- litico del BisConte. Il Conte Uno è stato più che un avvocato del popolo un notaio dei populisti e più che un premier dedi- cato alla mediazione quello precedente è stato un premier dedicato allo scambio: tu, Lega, ottieni questo, e io M5s non dico nulla, e io M5s ottengo questo, e tu Lega non dici nulla. Le scommesse di Conte oggi – facilitate an- che dal fatto di essere l’u- nico leader in un governo senza leadership – sono quelle di non alimen- tare battaglie identitarie all’interno del go- verno attraverso una politica dello scambio e di tentare in tutti i modi di governare spinto da uno stato di necessità che ha reso visibile quello che in molti per mesi hanno scelto di non vedere: c’è chi vuole governare con l’Eu - ropa, per cambiarla da dentro, e c’è chi vuole governare contro l’Europa, per distruggerla da dentro. Per una fortunata congiunzione astrale, perfettamente visibile osservando i sovranisti scesi in piazza ieri contro un Parla- mento che non ha fatto altro che prendere at- to dello sgambetto che si è fatto da solo il se- natore semplice Matteo Salvini, nel giro di un mese l’Italia si è ritrovata a essere da la- boratorio del nazionalismo a laboratorio dell’antinazionalismo. E se il fisioterapista del popolo riuscirà a portare a termine la fa- se di riabilitazione dell’Italia lo dovrà alla scelta più coraggiosa fatta finora: aver sosti- tuito i “ma anche” del contratto di governo con un programma magnificamente in- centrato non sul compromesso storico ma sullo stato di necessità. Il governo può finire male ma intanto meglio non poteva cominciare. Roma. Emmanuel Macron vuole recupera- re il rapporto con Mosca e ieri i ministri fran- cesi degli Esteri e della Difesa, Jean-Yves Le Drian e Florence Parly, hanno incontrato i loro omologhi russi, i due Sergei: Lavrov e Shoigu. “Credo che dobbiamo costruire una nuova architettura di fiducia e di sicurezza in Europa, perché il continente europeo non sa- rà mai stabile, non sarà mai sicuro se non chiariamo le nostre rela- zione con la Russia”, aveva detto il presidente france- se a fine agosto alla confe- renza annuale degli amba- sciatori. L’arrivo di Le Drian e di Parly a Mosca ha segnato un passo importan- te, riaprendo al format 2+2 ufficializzato negli anni Novanta per rafforzare i le- gami in campo militare con la Russia. Poi il Comitato consultivo per la cooperazione e la sicurezza era stato sospe- so nel 2014 con l’annessione illegittima del- la Crimea, che ha inasprito le relazioni tra occidente e Russia. Il presidente francese aveva cercato di rilanciare l’idea del ritorno al dialogo con Mosca già in estate, “un dialo- go esigente”, come lo ha definito Le Drian. Ma nessun tentativo francese sarebbe stato considerato accettabile senza il ritorno al dialogo tra Russia e Ucraina e senza i gesti di apertura di Vladimir Putin – che indebo- lito internamente non può più permettersi tutto ciò che vuole esternamente – verso Kiev, condizione che si è realizzata con l’ar - rivo di Volodymyr Zelensky alla presidenza ucraina. Lo scambio di prigionieri tra Mosca e Kiev, avvenuto sabato, ha lasciato intrave- dere la possibilità di una fine, forse non troppo lontana, della guerra nel Donbass dove i separatisti filorussi delle regioni di Lugansk e Donetsk combattono contro l’e- sercito regolare ucraino dal 2014. La Russia sembra essere decisa a riprendere gli accor- di di Minsk, la serie di misure concordate nel 2015 per pacificare il Donbass, e per que- sto è previsto un vertice nel formato Nor- mandia (Russia, Ucraina, Francia, Germa- nia) a fine settembre. Lo scambio di ostaggi tra l’Ucraina e la Russia è un buon inizio, an- che se non tutti gli europei, olandesi in testa, sono d’accordo a riprendere il dialogo con Mosca: tra gli ostaggi che Kiev ha rilasciato c’era anche Volodymyr Tsemach, il separa- tista filorusso che secondo gli investigatori olandesi sarebbe tra i responsabili dell’ab - battimento del volo MH17 della Malaysia Airlines in cui morirono 298 persone, 193 cit- tadini dei Paesi Bassi. Per Putin è quindi ar- rivato il momento di riavvicinarsi all’Unio - ne europea. Il putinismo è in un momento di difficoltà, ha bisogno di consensi interni e anche esterni. Domenica ha ricevuto una se- ria sconfitta nelle elezioni locali, dove i suoi candidati hanno mantenuto la maggioranza, ma perso diversi seggi. Nei 45 seggi della Du- ma di Mosca sono entrati 20 deputati di op- posizione: “E’ un risultato importante”, ha detto al Foglio Vitali Shkliarov, ex spin doc- tor di Bernie Sanders, che per le elezioni di Mosca ha seguito la campagna elettorale di Darya Besedina, candidata del partito libe- rale Yabloko. (Flammini segue a pagina quattro) Il termine dello Stato Cantieri abbandonati, progetti mai realizzati. Cosa vuol dire far funzionare la burocrazia in Italia Per completare il “giro d’orizzonte” sul- le istituzioni, passiamo alla burocrazia. Quale è il giudizio corrente sulla burocra- zia italiana? Comincio dall’inizio della storia repub- blicana. Egidio Ortona, in “Anni di Ameri- ca. I. La ricostruzione 1944-1951”, Bologna il Mulino, 1984, pp. 5 e 358, segnalava l’“inade- guatezza della burocrazia” nell’immediato secondo Dopoguerra. (segue nell’inserto II) M assimo Sebastiani, operaio e contadino di 45 anni, ha strangolato in un pollaio a Campogrande di Carpaneto, Piacenza, Elisa Pomarelli, di 28 anni, di cui era innamorato e senza infingimenti non corrisposto. Ha occulta- to il corpo e si è dato alla macchia. Arrestato, reo confesso. Un femminicidio. Della fattispe- cie senza indizi premonitori: non era un “uomo che odia le donne”. Anche se ne ha uccisa una. E’ nata una polemica più strumentale che inutile, scaturita da un titolo del Giornale che poteva essere fatto meglio, ma è l’unico rilie- vo oggettivo che si possa fare: “Il gigante buo- no e quell’amore non corrisposto”. L’accusa è di giustificare un femminicidio. In realtà l’ar - ticolo, come altri pure messi sotto accusa, non dice quello. Racconta una cronaca, per quan- to difficile da decifrare: un omicidio scaturi- to da un amore che non interessava, una don- na che forse ha sbagliato (sbaglio: non concor- so di colpa) a non troncare prima e in condi- zioni di sicurezza quelle illusioni non sane. Ma racconta soprattutto, il titolo, questo mi- stero che non ci spiegheranno di certo le cri- minologhe da talk: che per 45 anni, per tutti, al paese, e per tre anni per Elisa, era stato un omone grosso, forse un po’ strano, ma inno- cuo. E a un tratto si è rivelato un assassino. Il titolo, per essere a prova di tuittarolo scemo o di cantantesse, avrebbe dovuto essere: “Tutti credevano che fosse un ‘gigante buono’ e in- vece non lo era: è un femminicida”. Certo, si può anche essere critici con cognizione di causa, come Luca Sofri che dalle colonne del Post ha chiesto a Marina Berlusconi che ne pensasse del titolo “sull’assassinio di una donna e sul suo presunto assassino, che allu- de ad attenuanti e comprensione, e responsa- bilità della vittima, in una cultura che ancora legittima la pretesa di possesso degli uomini sulle donne e avalla le loro reazioni violen- te”. Però stavolta non è così. Non è necessario avere un master in stilistica e retorica per ca- pire il senso di quelle due parole e il ribalta- mento morale che indicano. Scrivere “non si può dire gigante buono” è solo un atto di posi- zionamento. Significa: “Piuttosto di rischiare di passare per uno che non condanna il fem- minicidio, sono pronto a retrodatare la mia indignazione: non si può dire gigante buono perché evidentemente è sempre stato catti- vo”. C’è caduto anche Matteo Renzi, che pure per esperienza dovrebbe saper distinguere tra giustizia e mostrificazione: “Un uomo che uccide una donna non può essere definito un gigante buono che perde la testa. E’ un assas- sino”. Postato su Instagram, ha l’odore sca- dente dell’omaggio che l’ipocrisia politica rende alla virtù. Perché, per usare il titolo di un bel romanzo dimenticato di Paul Bourget, “i nostri atti ci seguono”, e spesso ci condan- nano: ma, suvvia, ancora non ci precedono. Assassini si diventa dopo. In questa storia de- solata e violenta – in cui c’è un colpevole, e uno solo, di un atto probabilmente più grande di lui: non di una categoria sociologica-giudi- ziaria – c’è la natura di uomini e donne, dan- natamente imperfetta. Una sorella di Elisa, Francesca di 24 anni, aveva detto giorni fa a un giornale: “Mi piacerebbe poter dire di aver conosciuto una cattiva persona, un uomo burbero, enigmatico, dalla personalità con- troversa. Un potenziale assassino, insomma. Ma sarei bugiarda. Perché non è vero”. Qual- che giorno dopo ha aggiunto: “Piangi? Ormai sei il mio incubo”. E forse oggi cova un senso di vendetta, più che di giustizia: ma dopo, non prima. Perché lei ha visto, prima, la natura per come è. Attaccarsi a un titolo magari mal- fatto al solo scopo di assicurarsi un posto dal- la parte giusta, non serve, e non fa giustizia. DI MAURIZIO CRIPPA Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20.30 Nel Mondo KRISTALINA GEORGIEVA SARA’ LA FUTURA DIRETTRICE DEL FMI. Il board del Fondo monetario internazionale, con sede a Washington, ha detto che l’economi - sta bulgara, ex direttrice generale della Banca mondiale, è l’unico candidato e prenderà il posto di Christine Lagarde non appena la francese andrà a guidare la Bce. *** Washington avrebbe esfiltrato una spia da Mosca per paura di rivelazioni di Donald Trump durante un incontro nel 2017 con il ministro degli Esteri russo Lavrov e l’ex ambasciatore Kislyak. Lo ha riferito la Cnn. Casa Bianca e Cia hanno smentito. *** Mark Sanford si è candidato alle primarie del Partito repubblicano. L’ex governatore della South Carolina ed ex deputato è il ter- zo sfidante del presidente Donald Trump. *** C’è stato un attacco aereo in Siria, vicino ad Abu Kamal, dove sono state colpite 8 po- stazioni militari controllate da milizie fi- nanziate dall’Iran. I morti sono almeno 18. Il gruppo terroristico libanese Hezbollah sostiene di avere abbattuto un drone mili- tare israeliano in Libano. Erano scemi prima? /1 Anche con i talebani Trump scopre la realtà brutale: non ha una soluzione migliore delle altre Roma. Il presidente americano Donald Trump procede in politica estera guidato da una convinzione fortissima: che tutti i suoi predecessori fossero troppo stupidi per pren- dere la decisione giusta oppure che fossero trattenuti dal prenderla per motivi inconfes- sabili. E’ un tratto tipico del populismo, di cui lui è il campione americano: la soluzione sa- rebbe facile e a portata di mano, se soltanto i politici non si mettessero di mezzo. Sabato notte però ancora una volta Trump ha fatto in pubblico i conti con la realtà brutale, proprio come i suoi predecessori li avevano fatti pri- ma di lui. Ha detto di avere annullato quasi all’ultimo momento un incontro segreto con alcuni leader talebani a Camp David, luogo storico della diplomazia americana, dove do- menica avrebbe voluto dare il tocco finale ai dieci mesi di negoziati intrapresi dal suo in- viato speciale Zalmay Khalilzad. Il presiden- te vuole ritirare i soldati americani dall’Af - ghanistan il prima possibile e in cambio chie- de ai talebani di tentare una coabitazione pa- cifica con il governo afghano e di prendersi carico della lotta contro i terroristi islamisti (l’America vuole assegnare ai talebani i com- piti di antiterrorismo in Afghanistan: anche soltanto a scriverlo suona poco realistico). Echiaro cosa cercasse di fare Trump, che adora i colpi di scena diplomatici: un incontro al vertice con i talebani e un accordo di pace che era già pronto, approvato da entrambe le parti durante il nono e per ora ultimo incontro a Doha, in Qatar – che sarebbe stato firmato su territorio americano due giorni prima del di- ciottesimo anniversario dell’11 settembre, l’e- vento da cui è iniziato il conflitto. Sarebbe di- ventato il presidente che è riuscito a mettere fine alla guerra più lunga della storia ameri- cana. Sarebbe stato inquadrato assieme ai ta- lebani con i barboni, i turbanti scuri e le vesti bianche, un altro souvenir dal mondo perico- loso che lui affronta in nome dei suoi elettori come aveva già fatto con il dittatore nordco- reano in tuta nera. Il tutto prima del grande colpo a cui non ha ancora rinunciato: un nuovo accordo con gli iraniani, “molto meglio di quello di Obama”. (Raineri segue a pagina quattro) DI GIULIO MEOTTI VLADIMIR PUTIN Ascoltavi Giuseppi, ne avvertivi il tono, coglievi il tentativo tragico- mico di superare l’esame con e- spressioni solenni unite a citazio- ni da Bignami, ti ripassavano nella mente le ipocrisie delle cancellerie europee che ne ri- devano prima e continuavano a farlo ora, nel mentre che lo innalzavano, fissavi la sua po- chette a quattro punte, concludendone in ma- niera sbalordita che perfino un Diego Della Valle è battibile, vedevi, sentivi, chiudevi gli occhi, ti giravi, provavi a spegnere le orec- chie, finché, disperato, trovavi rifugio nella frase formidabile che Churchill dedicò agli e- roici piloti inglesi della battaglia d’Inghilter - ra, era il 1940: “Mai, nell’ambito degli umani conflitti, così tanto fu dovuto da tanti a tanto pochi”. Perché mai, come nel caso nostro, co- sì tanto fu dovuto da tanti a tanto niente. Erano scemi prima? /2 A Londra Boris ferma il Parlamento, rivaluta idee del governo precedente e non spinge più per il “no deal” Milano. Il governo inglese di Boris John- son ha infine deciso di sospendere i lavori del Parlamento fino al 15 ottobre: è l’unico modo per il premier e il suo team di avere il più ampio margine di manovra sulla Brexit. Da quando la sospensione è stata annuncia- ta all’inizio del mese, il Parlamento ha mes- so a punto la sua tattica di ribellione come mai era riuscito prima e lo Speaker, l’ap - passionato e indispensabile John Bercow, ha annunciato che lascerà l’incarico a fine ottobre. In questo momento c’è una legge che impedisce al governo di fare un “no deal” (o c’è un nuovo accordo o si chiede una nuova proroga) e non c’è la maggioran- za necessaria per indire nuove elezioni pri- ma della scadenza dell’ultimo rinvio della Brexit, il 31 ottobre. In altre parole: John- son deve negoziare un nuovo accordo con l’Unione europea o chiedere l’estensione dell’articolo 50 oltre la fine di ottobre. Non è pronto per nessuno delle due, ma doven- do scegliere preferisce la prima opzione, ed è per questo che ieri, in visita a Dublino, Johnson ha detto che un “no deal” sarebbe “un fallimento” – fino a qualche giorno fa il “no deal” era l’esito inevitabile e a tratti persino ottimale per un governo che si com- portava come se avesse pieni poteri e, nono- stante le richieste e le pressioni, non aveva fatto alcuna nuova proposta all’Europa sul- la Brexit. Come molti prima di lui, Johnson ha pensato che con un po’ di decisionismo e toni roboanti fosse possibile siglare il di- vorzio con l’Ue in breve tempo, non ha nem- meno pensato di elaborare un piano B, e il gruppo di lavoro sulla Brexit si è spopolato e ha lasciato spazio agli incontri quotidiani di gestione del “no deal”. Ora invece il pre- mier potrebbe rimpiangere di non aver da- to retta a Theresa May che, sconfitta in Par- lamento, aveva tentato di intestarsi il falli- mento sulla Brexit dando al Regno l’unico accordo finora trovato – il migliore possibi- le? – e consegnandosi ai successori come capro espiatorio. (Peduzzi segue a pagina quattro) Finestre del governo La revisione del Patto di stabilità e la flessibilità sono due opportunità vere e questa volta fallire sarebbe grave L’ economia è tuttora in stagnazione ma il paese ha di fronte a sé una doppia finestra di opportunità, in Europa e in Ita- lia, per uscirne e guardare al futuro con più ottimismo. In Europa innanzitutto stanno maturando le condizioni per il ricorso a po- litiche più espansive sia in campo moneta- rio che, auspicabilmente, in campo fiscale e ciò soprattutto nei paesi che, come la Ger- mania ma non solo, dispongono di spazio di bilancio. Il quadro di debolezza dell’e- conomia europea, Regno Unito compreso, e il quadro di conflittualità globale, soprat- tutto nelle relazioni commerciali dovrebbero rappresentare una pressione molto potente sui governi per l’adozione di un indirizzo espansivo. (segue a pagina quattro) Chi governa la spesa Economia e sviluppo tra nomi e suggestioni. Come orientarsi nelle due partite più pesanti del sottogoverno Roma. Giuseppe Conte, nelle riunioni di questi giorni, lo ha detto chiaro e tondo ai suoi interlocutori. “I partiti discutano pure sui nomi che preferiscono, com’è giusto, ma ricordiamoci che poi viceministri e sottose- gretari passeranno al vaglio mio e del presi- dente della Repubblica”. Raccomandazio- ne perfino banale, non fosse che però, nei conciliaboli più informali tra il premier e i rappresentanti di M5s e Pd, è stato rievoca- to anche il caso di Claudio D’Amico, il con- sigliori salviniano con tendenze filoputi- niane, che il leader della Lega voleva sotto- segretario agli Esteri, un anno fa, e che in- vece fu bocciato dal Quirinale proprio per le sue ambigue relazione con Mosca. Un ri- ferimento alla Farnesina che deve essere suonato sinistro, alle orecchie di Luigi Di Maio. (Valentini segue a pagina quattro) Adorno McCartney O ra che viene il freschetto set- tembrino e la sarabanda da vamos a la playa sovranista di ieri davanti al Parlamento si annun- cia come uno degli ultimi fuochi dell’e- state, si rischia che ci venga persino un po’ di nostalgia per la bellissima stagio- ne al di sotto di ogni credibilità del Pa- peete. Per fortuna qualcosa per tenerci allegri, tra fughe dalla realtà e com- plottismi intesi a svelare le trame oscu- re del mondialismo, rimane ancora: ma bisogna spostarsi di emisfero, là dove l’estate tropicale sta per iniziare. In- somma dalle parti dei guru di Bolsona- ro. Come ad esempio questo Olavo de Carvalho, settantaduenne sociologo e forse filosofo, ma dalla tempra di un Diego Fusaro, già noto alle cronache per suoi stravaganti interventi in video e per essere molto stimato da un figlio di Bolsonaro e dall’entourage. Bene, qualche giorno fa ha esplicitato una nuova teoria in zona complotto globali- sta, che ribalta la storia del rock. Ha detto più o meno questo: “Le canzoni dei Beatles, in verità, le scriveva il so- ciologo e filosofo tedesco Theodor W. Adorno”. Sì, quello della Dialettica del- l’Illuminismo. Perché, spiega De Carva- lho, “i Beatles erano semianalfabeti in musica” e questo, bontà sua, bastereb- be a rendere evidente lo zampino di Adorno, raffinato musicologo, il cui ve- ro obiettivo sarebbe stato, ovviamente, diffondere “l’effetto devastante dei Beatles”, basato sulla diffusione dell’L- sd. Eccetera. Che meraviglia, l’estate non è ancora finita: più mojito sovrani- sta per tutti. CONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA DI PIER CARLO PADOAN LA VERSIONE DI CASSESE

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DIRETTORE CLAUDIO CERASAANNO XXIV NUMERO 213 MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019 - e 1,80

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Il maschio è morto e anche il padre non sta tanto bene. E’ “la fine del dominio maschile” secondo Marcel GauchetRoma. “L’avvenimento non è di poco conto… stiamo assisten-do alla fine del dominio maschile”. Storico della democraziamoderna e docente all’École des Hautes Études en SciencesSociales di Parigi, Marcel Gauchet apre così il suo libro “La

fine del dominio maschile” uscito in Francia per la rivistaDébat (Gallimard) e in Italia in questi giorni per Vita epensiero. Non è un’ode al machismo, ma l’analisi della finedel maschio che, secondo Gauchet, passa dall’esautorazionedelle due strutture di base della società occidentale: religio-ne e famiglia. Sulla prima, scrive Gauchet, “ci troviamo alprocesso di uscita dalla religione giunto al suo termine”. Giànel 1980, Gauchet fece scalpore spiegando che il cristianesi-mo sarebbe stata la religione dell’uscita dalla religione, al-

meno in Europa. Sulla famiglia scrive che “la famosa ‘celluladi base’ sulla quale si fondava l’esistenza collettiva è scom-parsa”. La famiglia è stata privatizzata, affidata alla liberadisposizione dei suoi membri, sgravandosi di ogni portatacollettiva.

Gauchet parla di “nuova immaturità maschile” che derivadall’avvento di una società ultra egualitaria in cui la differen-za tra i sessi è offuscata e vige il “rapido liquefarsi della figuradel padre”. Perché perdendo la chiave di volta del principiopaterno, il dominio maschile ha perso il suo più solido puntodi appoggio. “Un collasso che ci dà la misura della rapidità delprocesso, se si pensa che mezzo secolo fa l’idea era ancoracredibile e verificabile”. Un collasso accolto con sollievo, co-me una liberazione, dagli stessi uomini, che così si sentonosollevati da un fardello, una responsabilità, e possono “infan -

tilizzarsi”. Privato di peso nel mondo del lavoro, esonerato dalsuo ruolo famigliare, sempre più estromesso anche dalla ripro-duzione, il maschio abbraccia la “controcultura dell’immaturi -tà”. Gauchet parte dal presupposto che il dominio maschilenon sia un istituto arcaico, chiuso, un relitto della culturacontadina, degenerata, cristiana e anacronistica, ma la solaistituzione che abbia dato continuità fisica e culturale all’occi -dente. La fine del maschio ha portato alla “sessualizzazionedell’identità”. Ieri la Bbc riportava la notizia che nelle scuoleinglesi ai bambini delle elementari si spiega che ci possonoessere “fino a cento forme di genere sessuale”. Ci vorrà ancoradel tempo prima di liberarsene del tutto. “Un’organizzazionepratica e simbolica radicata nei millenni ci mette del tempo asvanire, dietro di sé lascia tracce e strascichi considerevoli, dàluogo qua e là a resistenze più o meno articolate”. Ma l’oriz -

zonte è fissato. “Nel mondo occidentale si è ormai voltatopagina. Quello che è fondamentalmente cambiato è il modo incui le società assicurano la loro traversata nel tempo. Non ècerto un caso che le società europee abbiano un problema dinatalità”.

E questo avrà conseguenze per tutti. “Una società esiste soloa partire dal momento in cui è in grado di assicurare lacontinuità della propria cultura e l’identità della propria orga-nizzazione al di là dell’avvicendarsi dei suoi membri, chenascono e muoiono”. Tirato giù l’uomo dal suo piedistallo, alsuo posto ci abbiamo messo i droits de l’hommisme, i dirittidell’uomo trasformati nei diritti del bambino viziato. Più chel’oppressione maschile, l’impressione è che sia stata demolital’idea stessa di società. E su questo abbiamo tutti molto pocoda festeggiare.

Il gigante e le cattive paroleIl femminicidio di Piacenza e l’ipocrisiadi chi si aggrappa a un titolo che potevaessere migliore, ma che ipocrita non è

Il futuro della Crimea

Putin perde in casa eriapre il dialogo conl’Ue meno sovranistaMacron, attivo ed “esigente”, riprende gli

incontri con il Cremlino. Le elezionimostrano quanto è tossica Russia Unita

“L’èra delle opposizioni”

Niente scherzi con Nato, euro, Russia, porti, spread. Il primo discorso del BisContenon è il discorso dei sogni ma è un sogno per chi ha a cuore lo stato di necessità. Ladiscontinuità è la sintesi al posto dello scambio. Elogio dei governi senza contratto

IL FISIOTERAPISTA DEL POPOLO La Giornata* * *

In Italia

CONTE HA ANNUNCIATO UNA IMMI-NENTE RIFORMA ELETTORALE.Nel suodiscorso alla Camera per il voto di fiducia ilpremier ha ribadito la vocazione euro-atlantica dell’Italia. Mentre il premierConte parlava ai deputati, in piazza Monte-citorio si è svolta una manifestazione diprotesta promossa da Fratelli d’Italia allaquale hanno partecipato anche Salvini eGiovanni Toti.

Secondo fonti europee Paolo Gentilonisarà il prossimo responsabile degli Affarieconomici della Commissione europea.

(articoli nell’inserto III)* * *

Facebook e Instagram oscurano i profiliufficiali di CasaPound e Forza Nuova as-sieme alle pagine di numerosi responsabilia livello locale e nazionale.

(editoriale a pagina tre)* * *

La Commissione Ue avvia coordinamentoper la ripartizione dei cinque migranti abordo della nave Alan Kurdi.

* * *Borsa di Milano. Ftse-Mib +0,19 per cen-

to. Differenziale Btp-Bund a 154 punti.L’euro chiude stabile a 1,10 sul dollaro.

Il primo discorso di Giuseppe Conte da pre-sidente del Consiglio bis può essere letto

attraverso due lenti di ingrandimento diver-se. La prima lente è quella che ci permette dimettere a fuoco la distanza che esiste traquello che può essere il discorso dei sogni diciascuno di noi e quello che è stato il discorsodi Giuseppe Conte. La seconda lente è quellache ci permette invece di mettere a fuoco ladistanza che esiste tra ciò che è stato compre-so all’interno del ragionamento di Conte e ciòche invece dovrebbe prevedere lo stato di ne-cessità. A voler usare la prima lente di ingran-dimento, si potrebbe dire che il discorso delpresidente del Consiglio è un discorso noioso,pigro, scontato, monotono e persino banale. Avoler usare la secondalente di ingrandimento,non si può non riconosce-re che il discorso di Con-te è stato invece giusto,onesto, corretto, persinocoraggioso, da perfetto fi-sioterapista del popolo.Il fisioterapista, come sa-pete, è un professionistaspecializzato nel dare aun paziente le indicazio-ni giuste per riabilitarsie permettergli di tornarea muoversi in modo cor-retto una volta superatoun trauma. Conte nonpasserà alla storia peressere un grande oratorema potrebbe invece pas-sare alla storia per avercapito in che modo ri-mettere in piedi un pae-se uscito – anche a causadel professor Conte maanche grazie al professorConte – da un trauma lun-go quattordici mesi. Os-servato dunque il discor-so di ieri con questa len-te di ingrandimento, sipuò dire che nel ragiona-mento di Conte c’è tuttoquello che serve oggi per superare, a poco apoco, il trauma subìto dall’Italia nei mesi digoverno gialloverde. C’è l’idea di non fare piùscherzi alla Nato (“il nostro asse”), c’è l’ideadi non fare più scherzi sugli Stati Uniti (“illegame agli Stati Uniti è imprescindibile), c’èl’idea di non fare più stupidaggini con l’euro(niente minibot), c’è l’idea di non essere piùidentificati come il cavallo di Troia della Rus-sia in Europa (citata tre volte un anno fa, conun abbraccio speciale alla “società civile rus-sa”, citata solo una volta ieri, in una parentesiinsieme con India e Cina), c’è l’idea di nonfare più sciocchezze sullo spread (“la diminu-zione della spesa per interessi pagati sul no-stro debito pubblico non stenterei a definirlauna vera e propria riforma strutturale”), c’èl’idea di costruire una manovra da non decla-mare sui balconi di Palazzo Chigi (“nel rispet-to dei vincoli di equilibrio del quadro di fi-nanza pubblica”), c’è l’idea di voler spostarela gestione della politiche migratorie dalleinvettive sui social (Conte ha nientemeno cheinvitato i suoi colleghi ministri a “un uso re-sponsabile dei social network”) alle iniziativein Europa (il governo precedente ha fatto ditutto per non trovare accordi strutturali in

Europa per redistribuire i richiedenti asilo,Conte ieri ha ribadito che intenzione dell’Ita -lia su questo terreno è “non prescindere piùda un’effettiva solidarietà tra gli stati membridell’Unione europea”). Intenzioni, progetti,programmi molto vasti, sui quali si potrebbenaturalmente anche a lungo ironizzare (Conteha promesso, nientemeno, che “un abbatti-mento del divario fra nord e sud del paese”),ma al centro della discontinuità da fisiotera-pista del popolo vi è un dettaglio solo appa-rentemente laterale sul quale vale la penaconcentrarsi e che riguarda quello che è in-sieme l’essenza della discontinuità di questogoverno: la presenza di una solida cornice eu-ropea (non più antieuropea) e l’assenza di un

programma dettagliato (enon più prefissato in par-tenza). Conte, prometten-do di lavorare affinché ilsuo governo sia nuovo an-che “nella determinazio-ne ad invertire gli indi-rizzi meno efficaci dellepregresse azioni”, ha det-to ieri che “il programmanon è una mera elenca-zione di proposte etero-genee che si sovrappon-gono l’una sull’altra” ed èquesto forse il punto piùinteressante presente al-l’interno del disegno po-litico del BisConte. IlConte Uno è stato più cheun avvocato del popoloun notaio dei populisti epiù che un premier dedi-cato alla mediazionequello precedente è statoun premier dedicato alloscambio: tu, Lega, ottieniquesto, e io M5s non diconulla, e io M5s ottengoquesto, e tu Lega non dicinulla. Le scommesse diConte oggi – facilitate an-che dal fatto di essere l’u-nico leader in un governo

senza leadership – sono quelle di non alimen-tare battaglie identitarie all’interno del go-verno attraverso una politica dello scambio edi tentare in tutti i modi di governare spintoda uno stato di necessità che ha reso visibilequello che in molti per mesi hanno scelto dinon vedere: c’è chi vuole governare con l’Eu -ropa, per cambiarla da dentro, e c’è chi vuolegovernare contro l’Europa, per distruggerlada dentro. Per una fortunata congiunzioneastrale, perfettamente visibile osservando isovranisti scesi in piazza ieri contro un Parla-mento che non ha fatto altro che prendere at-to dello sgambetto che si è fatto da solo il se-natore semplice Matteo Salvini, nel giro diun mese l’Italia si è ritrovata a essere da la-boratorio del nazionalismo a laboratoriodell’antinazionalismo. E se il fisioterapistadel popolo riuscirà a portare a termine la fa-se di riabilitazione dell’Italia lo dovrà allascelta più coraggiosa fatta finora: aver sosti-tuito i “ma anche” del contratto di governocon un programma magnificamente in-centrato non sul compromesso storicoma sullo stato di necessità. Il governopuò finire male ma intanto meglio nonpoteva cominciare.

Roma. Emmanuel Macron vuole recupera-re il rapporto con Mosca e ieri i ministri fran-cesi degli Esteri e della Difesa, Jean-Yves LeDrian e Florence Parly, hanno incontrato iloro omologhi russi, i due Sergei: Lavrov eShoigu. “Credo che dobbiamo costruire unanuova architettura di fiducia e di sicurezza inEuropa, perché il continente europeo non sa-rà mai stabile, non sarà mai sicuro se nonchiariamo le nostre rela-zione con la Russia”, avevadetto il presidente france-se a fine agosto alla confe-renza annuale degli amba-sciatori. L’arrivo di LeDrian e di Parly a Mosca hasegnato un passo importan-te, riaprendo al format 2+2ufficializzato negli anniNovanta per rafforzare i le-gami in campo militare conla Russia. Poi il Comitato consultivo per lacooperazione e la sicurezza era stato sospe-so nel 2014 con l’annessione illegittima del-la Crimea, che ha inasprito le relazioni traoccidente e Russia. Il presidente franceseaveva cercato di rilanciare l’idea del ritornoal dialogo con Mosca già in estate, “un dialo-go esigente”, come lo ha definito Le Drian.Ma nessun tentativo francese sarebbe statoconsiderato accettabile senza il ritorno aldialogo tra Russia e Ucraina e senza i gestidi apertura di Vladimir Putin – che indebo-lito internamente non può più permettersitutto ciò che vuole esternamente – versoKiev, condizione che si è realizzata con l’ar -rivo di Volodymyr Zelensky alla presidenzaucraina. Lo scambio di prigionieri tra Moscae Kiev, avvenuto sabato, ha lasciato intrave-dere la possibilità di una fine, forse nontroppo lontana, della guerra nel Donbassdove i separatisti filorussi delle regioni diLugansk e Donetsk combattono contro l’e-sercito regolare ucraino dal 2014. La Russiasembra essere decisa a riprendere gli accor-di di Minsk, la serie di misure concordatenel 2015 per pacificare il Donbass, e per que-sto è previsto un vertice nel formato Nor-mandia (Russia, Ucraina, Francia, Germa-nia) a fine settembre. Lo scambio di ostaggitra l’Ucraina e la Russia è un buon inizio, an-che se non tutti gli europei, olandesi in testa,sono d’accordo a riprendere il dialogo conMosca: tra gli ostaggi che Kiev ha rilasciatoc’era anche Volodymyr Tsemach, il separa-tista filorusso che secondo gli investigatoriolandesi sarebbe tra i responsabili dell’ab -battimento del volo MH17 della MalaysiaAirlines in cui morirono 298 persone, 193 cit-tadini dei Paesi Bassi. Per Putin è quindi ar-rivato il momento di riavvicinarsi all’Unio -ne europea. Il putinismo è in un momento didifficoltà, ha bisogno di consensi interni eanche esterni. Domenica ha ricevuto una se-ria sconfitta nelle elezioni locali, dove i suoicandidati hanno mantenuto la maggioranza,ma perso diversi seggi. Nei 45 seggi della Du-ma di Mosca sono entrati 20 deputati di op-posizione: “E’ un risultato importante”, hadetto al Foglio Vitali Shkliarov, ex spin doc-tor di Bernie Sanders, che per le elezioni diMosca ha seguito la campagna elettorale diDarya Besedina, candidata del partito libe-rale Yabloko. (Flammini segue a pagina quattro)

Il termine dello StatoCantieri abbandonati, progetti

mai realizzati. Cosa vuol dire farfunzionare la burocrazia in Italia

Per completare il “giro d’orizzonte” s u l-le istituzioni, passiamo alla burocrazia.Quale è il giudizio corrente sulla burocra-zia italiana?

Comincio dall’inizio della storia repub-blicana. Egidio Ortona, in “Anni di Ameri-ca. I. La ricostruzione 1944-1951”, Bologna ilMulino, 1984, pp. 5 e 358, segnalava l’“inade -guatezza della burocrazia” nell’immediatosecondo Dopoguerra. (segue nell’inserto II)

Massimo Sebastiani, operaio e contadino di45 anni, ha strangolato in un pollaio a

Campogrande di Carpaneto, Piacenza, ElisaPomarelli, di 28 anni, di cui era innamorato e

senza infingimenti non corrisposto. Ha occulta-to il corpo e si è dato alla macchia. Arrestato,reo confesso. Un femminicidio. Della fattispe-cie senza indizi premonitori: non era un “uomoche odia le donne”. Anche se ne ha uccisa una.

E’ nata una polemica più strumentale cheinutile, scaturita da un titolo del Giornale chepoteva essere fatto meglio, ma è l’unico rilie-vo oggettivo che si possa fare: “Il gigante buo-no e quell’amore non corrisposto”. L’accusa èdi giustificare un femminicidio. In realtà l’ar -ticolo, come altri pure messi sotto accusa, nondice quello. Racconta una cronaca, per quan-to difficile da decifrare: un omicidio scaturi-to da un amore che non interessava, una don-na che forse ha sbagliato (sbaglio: non concor-so di colpa) a non troncare prima e in condi-zioni di sicurezza quelle illusioni non sane.Ma racconta soprattutto, il titolo, questo mi-stero che non ci spiegheranno di certo le cri-minologhe da talk: che per 45 anni, per tutti,al paese, e per tre anni per Elisa, era stato unomone grosso, forse un po’ strano, ma inno-cuo. E a un tratto si è rivelato un assassino. Iltitolo, per essere a prova di tuittarolo scemo odi cantantesse, avrebbe dovuto essere: “Tutticredevano che fosse un ‘gigante buono’ e in-vece non lo era: è un femminicida”. Certo, sipuò anche essere critici con cognizione dicausa, come Luca Sofri che dalle colonne delPost ha chiesto a Marina Berlusconi che nepensasse del titolo “sull’assassinio di unadonna e sul suo presunto assassino, che allu-de ad attenuanti e comprensione, e responsa-bilità della vittima, in una cultura che ancoralegittima la pretesa di possesso degli uominisulle donne e avalla le loro reazioni violen-te”. Però stavolta non è così. Non è necessarioavere un master in stilistica e retorica per ca-pire il senso di quelle due parole e il ribalta-mento morale che indicano. Scrivere “non sipuò dire gigante buono” è solo un atto di posi-zionamento. Significa: “Piuttosto di rischiaredi passare per uno che non condanna il fem-minicidio, sono pronto a retrodatare la miaindignazione: non si può dire gigante buonoperché evidentemente è sempre stato catti-vo”. C’è caduto anche Matteo Renzi, che pureper esperienza dovrebbe saper distingueretra giustizia e mostrificazione: “Un uomo cheuccide una donna non può essere definito ungigante buono che perde la testa. E’ un assas-sino”. Postato su Instagram, ha l’odore sca-dente dell’omaggio che l’ipocrisia politicarende alla virtù. Perché, per usare il titolo diun bel romanzo dimenticato di Paul Bourget,“i nostri atti ci seguono”, e spesso ci condan-nano: ma, suvvia, ancora non ci precedono.Assassini si diventa dopo. In questa storia de-solata e violenta – in cui c’è un colpevole, euno solo, di un atto probabilmente più grandedi lui: non di una categoria sociologica-giudi-ziaria – c’è la natura di uomini e donne, dan-natamente imperfetta. Una sorella di Elisa,Francesca di 24 anni, aveva detto giorni fa aun giornale: “Mi piacerebbe poter dire diaver conosciuto una cattiva persona, un uomoburbero, enigmatico, dalla personalità con-troversa. Un potenziale assassino, insomma.Ma sarei bugiarda. Perché non è vero”. Qual-che giorno dopo ha aggiunto: “Piangi? Ormaisei il mio incubo”. E forse oggi cova un sensodi vendetta, più che di giustizia: ma dopo, nonprima. Perché lei ha visto, prima, la naturaper come è. Attaccarsi a un titolo magari mal-fatto al solo scopo di assicurarsi un posto dal-la parte giusta, non serve, e non fa giustizia.

DI MAURIZIO CRIPPA

Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20.30

Nel Mondo

KRISTALINA GEORGIEVA SARA’ LAFUTURADIRETTRICE DELFMI. Il boarddel Fondo monetario internazionale, consede a Washington, ha detto che l’economi -sta bulgara, ex direttrice generale dellaBanca mondiale, è l’unico candidato eprenderà il posto di Christine Lagarde nonappena la francese andrà a guidare la Bce.

* * *Washington avrebbe esfiltrato una spiada

Mosca per paura di rivelazioni di DonaldTrump durante un incontro nel 2017 con ilministro degli Esteri russo Lavrov e l’exambasciatore Kislyak. Lo ha riferito la Cnn.Casa Bianca e Cia hanno smentito.

* * *Mark Sanford si è candidatoalle primarie

del Partito repubblicano. L’ex governatoredella South Carolina ed ex deputato è il ter-zo sfidante del presidente Donald Trump.

* * *C’è stato un attacco aereo in Siria, vicino

ad Abu Kamal, dove sono state colpite 8 po-stazioni militari controllate da milizie fi-nanziate dall’Iran. I morti sono almeno 18.

Il gruppo terroristico libanese Hezbollahsostiene di avere abbattuto un drone mili-tare israeliano in Libano.

Erano scemi prima? /1Anche con i talebani Trump

scopre la realtà brutale: non hauna soluzione migliore delle altre

Roma. Il presidente americano DonaldTrump procede in politica estera guidato dauna convinzione fortissima: che tutti i suoipredecessori fossero troppo stupidi per pren-dere la decisione giusta oppure che fosserotrattenuti dal prenderla per motivi inconfes-sabili. E’ un tratto tipico del populismo, di cuilui è il campione americano: la soluzione sa-rebbe facile e a portata di mano, se soltanto ipolitici non si mettessero di mezzo. Sabatonotte però ancora una volta Trump ha fatto inpubblico i conti con la realtà brutale, propriocome i suoi predecessori li avevano fatti pri-ma di lui. Ha detto di avere annullato quasiall’ultimo momento un incontro segreto conalcuni leader talebani a Camp David, luogostorico della diplomazia americana, dove do-menica avrebbe voluto dare il tocco finale aidieci mesi di negoziati intrapresi dal suo in-viato speciale Zalmay Khalilzad. Il presiden-te vuole ritirare i soldati americani dall’Af -ghanistan il prima possibile e in cambio chie-de ai talebani di tentare una coabitazione pa-cifica con il governo afghano e di prendersicarico della lotta contro i terroristi islamisti(l’America vuole assegnare ai talebani i com-piti di antiterrorismo in Afghanistan: anchesoltanto a scriverlo suona poco realistico). E’chiaro cosa cercasse di fare Trump, che adorai colpi di scena diplomatici: un incontro alvertice con i talebani e un accordo di pace –che era già pronto, approvato da entrambe leparti durante il nono e per ora ultimo incontroa Doha, in Qatar – che sarebbe stato firmato suterritorio americano due giorni prima del di-ciottesimo anniversario dell’11 settembre, l’e-vento da cui è iniziato il conflitto. Sarebbe di-ventato il presidente che è riuscito a metterefine alla guerra più lunga della storia ameri-cana. Sarebbe stato inquadrato assieme ai ta-lebani con i barboni, i turbanti scuri e le vestibianche, un altro souvenir dal mondo perico-loso che lui affronta in nome dei suoi elettori –come aveva già fatto con il dittatore nordco-reano in tuta nera.

Il tutto prima del grande colpo a cui nonha ancora rinunciato: un nuovo accordocon gli iraniani, “molto meglio di quello diObama”. (Raineri segue a pagina quattro)

DI GIULIO MEOTTI

VLADIMIR PUTIN

Ascoltavi Giuseppi, ne avvertivi iltono, coglievi il tentativo tragico-mico di superare l’esame con e-spressioni solenni unite a citazio-

ni da Bignami, ti ripassavano nella mente leipocrisie delle cancellerie europee che ne ri-devano prima e continuavano a farlo ora, nelmentre che lo innalzavano, fissavi la sua po-chette a quattro punte, concludendone in ma-niera sbalordita che perfino un Diego DellaValle è battibile, vedevi, sentivi, chiudevi gliocchi, ti giravi, provavi a spegnere le orec-chie, finché, disperato, trovavi rifugio nellafrase formidabile che Churchill dedicò agli e-roici piloti inglesi della battaglia d’Inghilter -ra, era il 1940: “Mai, nell’ambito degli umaniconflitti, così tanto fu dovuto da tanti a tantopochi”. Perché mai, come nel caso nostro, co-sì tanto fu dovuto da tanti a tanto niente.

Erano scemi prima? /2A Londra Boris ferma il Parlamento,rivaluta idee del governo precedente

e non spinge più per il “no deal”

Milano. Il governo inglese di Boris John-son ha infine deciso di sospendere i lavoridel Parlamento fino al 15 ottobre: è l’unicomodo per il premier e il suo team di avere ilpiù ampio margine di manovra sulla Brexit.Da quando la sospensione è stata annuncia-ta all’inizio del mese, il Parlamento ha mes-so a punto la sua tattica di ribellione comemai era riuscito prima e lo Speaker, l’ap -passionato e indispensabile John Bercow,ha annunciato che lascerà l’incarico a fineottobre. In questo momento c’è una leggeche impedisce al governo di fare un “nodeal” (o c’è un nuovo accordo o si chiedeuna nuova proroga) e non c’è la maggioran-za necessaria per indire nuove elezioni pri-ma della scadenza dell’ultimo rinvio dellaBrexit, il 31 ottobre. In altre parole: John-son deve negoziare un nuovo accordo conl’Unione europea o chiedere l’estensionedell’articolo 50 oltre la fine di ottobre. Nonè pronto per nessuno delle due, ma doven-do scegliere preferisce la prima opzione, edè per questo che ieri, in visita a Dublino,Johnson ha detto che un “no deal” sarebbe“un fallimento” – fino a qualche giorno fa il“no deal” era l’esito inevitabile e a trattipersino ottimale per un governo che si com-portava come se avesse pieni poteri e, nono-stante le richieste e le pressioni, non avevafatto alcuna nuova proposta all’Europa sul-la Brexit. Come molti prima di lui, Johnsonha pensato che con un po’ di decisionismo etoni roboanti fosse possibile siglare il di-vorzio con l’Ue in breve tempo, non ha nem-meno pensato di elaborare un piano B, e ilgruppo di lavoro sulla Brexit si è spopolatoe ha lasciato spazio agli incontri quotidianidi gestione del “no deal”. Ora invece il pre-mier potrebbe rimpiangere di non aver da-to retta a Theresa May che, sconfitta in Par-lamento, aveva tentato di intestarsi il falli-mento sulla Brexit dando al Regno l’unicoaccordo finora trovato – il migliore possibi-le? – e consegnandosi ai successori comecapro espiatorio. (Peduzzi segue a pagina quattro)

Finestre del governoLa revisione del Patto di stabilità e laflessibilità sono due opportunità vere

e questa volta fallire sarebbe grave

L’economia è tuttora in stagnazione mail paese ha di fronte a sé una doppia

finestra di opportunità, in Europa e in Ita-lia, per uscirne e guardare al futuro con più

ottimismo. In Europa innanzitutto stannomaturando le condizioni per il ricorso a po-litiche più espansive sia in campo moneta-rio che, auspicabilmente, in campo fiscale eciò soprattutto nei paesi che, come la Ger-mania ma non solo, dispongono di spaziodi bilancio. Il quadro di debolezza dell’e-conomia europea, Regno Unito compreso,e il quadro di conflittualità globale, soprat-tutto nelle relazioni commerciali dovrebberorappresentare una pressione molto potentesui governi per l’adozione di un indirizzoespansivo. (segue a pagina quattro)

Chi governa la spesaEconomia e sviluppo tra nomi e

suggestioni. Come orientarsi nelle duepartite più pesanti del sottogoverno

Roma. Giuseppe Conte, nelle riunioni diquesti giorni, lo ha detto chiaro e tondo aisuoi interlocutori. “I partiti discutano puresui nomi che preferiscono, com’è giusto, maricordiamoci che poi viceministri e sottose-gretari passeranno al vaglio mio e del presi-dente della Repubblica”. Raccomandazio-ne perfino banale, non fosse che però, neiconciliaboli più informali tra il premier e irappresentanti di M5s e Pd, è stato rievoca-to anche il caso di Claudio D’Amico, il con-sigliori salviniano con tendenze filoputi-niane, che il leader della Lega voleva sotto-segretario agli Esteri, un anno fa, e che in-vece fu bocciato dal Quirinale proprio perle sue ambigue relazione con Mosca. Un ri-ferimento alla Farnesina che deve esseresuonato sinistro, alle orecchie di Luigi DiMaio. (Valentini segue a pagina quattro)

Adorno McCartneyOra che viene il freschetto set-

tembrino e la sarabanda davamos a la playa sovranista di ieridavanti al Parlamento si annun-

cia come uno degli ultimi fuochi dell’e-state, si rischia che ci venga persino unpo’ di nostalgia per la bellissima stagio-ne al di sotto di ogni credibilità del Pa-peete. Per fortuna qualcosa per tenerciallegri, tra fughe dalla realtà e com-plottismi intesi a svelare le trame oscu-re del mondialismo, rimane ancora: mabisogna spostarsi di emisfero, là dovel’estate tropicale sta per iniziare. In-somma dalle parti dei guru di Bolsona-ro. Come ad esempio questo Olavo deCarvalho, settantaduenne sociologo eforse filosofo, ma dalla tempra di unDiego Fusaro, già noto alle cronacheper suoi stravaganti interventi in videoe per essere molto stimato da un figliodi Bolsonaro e dall’entourage. Bene,qualche giorno fa ha esplicitato unanuova teoria in zona complotto globali-sta, che ribalta la storia del rock. Hadetto più o meno questo: “Le canzonidei Beatles, in verità, le scriveva il so-ciologo e filosofo tedesco Theodor W.Adorno”. Sì, quello della Dialettica del-l’Illuminismo. Perché, spiega De Carva-lho, “i Beatles erano semianalfabeti inmusica” e questo, bontà sua, bastereb-be a rendere evidente lo zampino diAdorno, raffinato musicologo, il cui ve-ro obiettivo sarebbe stato, ovviamente,diffondere “l’effetto devastante deiBeatles”, basato sulla diffusione dell’L-sd. Eccetera. Che meraviglia, l’estatenon è ancora finita: più mojito sovrani-sta per tutti.

CONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA

DI PIER CARLO PADOAN

LA VERSIONE DI CASSESE

Page 2: IL FOGL IOmartind1/Papers-Documents/Il Foglio 10 Settembre... · suo posto ci abbiamo messo idroits de l hommisme , i diritti dell uomo trasformati nei diritti del bambino viziato.

ANNO XXIV NUMERO 213 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019

LEONE D ’ORO A “ JOKER” , QUELLO D ’ARGENTO A “ J ’ ACCUSE”

A Venezia tutti i premi sono azzeccati: anche le giurie rinsaviscono, per fortunaNeanche le giurie son più quelle di

una volta. Per fortuna. Fanno procla-mi sconsiderati – le dichiarazioni dellapresidente Lucrecia Martel su un film in

gara, anche se non fosse stato “J’accuse”di Roman Polanski, erano da impea-chment. Poi rinsaviscono e alla Mostra diVenezia azzeccano quasi tutti i premi. Di-menticando perfino le quote rosa. Il pre-mio Marcello Mastroianni per il miglioreattore emergente è andato a Toby Wallaceper “Babyteeth”, opera prima della regi-sta australiana Shannon Murphy (in cop-pia con la più rodata scrittrice di copioniteatrali Rita Kalnejais: ragazze da tenered’occhio). Bravo, ma era altrettanto brava,e altrettanto emergente, la co-protagoni-sta Eliza Scanlen.

Il Leone d’oro è andato a “Joker” diTodd Phillips, già regista della trilogia“Una notte da leoni” (il titolo originaleera “The Hangover”, il cerchio alla testadopo la sbronza). Ha accettato una sfidagigantesca – raccontare l’origine dell’arci-nemico di Batman – e l’ha vinta con l’aiutodi un geniale Joaquin Phoenix che sicura-mente vincerà l’Oscar (ci sarebbero anchele tre statuette scioccamente regalate a“The Green Book” da far dimenticare, gra-zie). Critici contenti, in parte perché han-no abboccato alle letture sociopolitiche e

anticapitaliste, sempre il vecchio vizio delcinema come pretesto. Lo sarà anche ilpubblico: lo sfigato che non riesce a farsicomico sghignazzerà in sala dal 3 ottobre.

Era successo l’anno scorso con “Roma”di Alfonso Cuarón, e due anni fa con “Laforma dell’acqua” di Guillermo del Toro.La Mostra di Venezia, sotto la direzione diAlberto Barbera, ha smesso di considera-re “cinema da festival” solo quello cheannoia. Magari da mettere in concorso –quest’anno c’era il confuso e infelice“Ema” di Pablo Larraín, a rappresentarela nuova ondata cinefila, e uno stancoAtom Egoyan portavoce della vecchia. Maè il primo festival senza pregiudizi verso ilcinema americano. Anche quello giratoda registi che non arrivano dal Messico.

A Roman Polanski è andato il Leone

d’argento, per un film magnifico che rac-conta il caso Dreyfus visto da Georges Pic-quart, l’ufficiale che fece riaprire il caso.E chiese a Émile Zola di scatenare lastampa contro le gerarchie militari cheavevano falsificato le prove. Scelta astuta,evita la commozione e punta il faro sullemacchinazioni e l’antisemitismo in Fran-cia tra Ottocento e Novecento. “J’accuse”uscirà nelle sale italiane a novembre, conil titolo “L’ufficiale e la spia” (come il ro-manzo di Robert Harris da cui è tratto,pare sia stato scritto su istigazione del re-gista). Oltre ai pregiudizi vinti, non si sa seper amor del film o per il fatto che i pro-duttori erano sul piede di guerra, grazieper aver premiato un titolo che possiamoconsigliare.

Ariane Ascaride ha avuto la Coppa Vol-

pi come migliore attrice, dedicandola alnonno immigrato da Napoli a Marsiglia suuna nave. Il film è “Gloria Mundi”, ennesi-mo grido di dolore del regista Robert Gué-diguian per i suoi poveri. Con un cast sem-pre dolente, e la premiata non fa eccezio-ne. Aveva già evocato navi e migranti evaria umanità – dopo aver minacciato“non sarò breve” – Luca Marinelli con laCoppa Volpi per il migliore attore (ha pro-testato il Codacons: proprio vero che sia-mo tutti allenatori della Nazionale e criti-ci cinematografici). Premio sudato, conPietro Marcello che in “Martin Eden” glifa dire battute, fare gesti e sfoggiare mè-che che avrebbero stroncato un attore me-no bravo. Il film – già in sala – resta vellei-tario e “alchemico” (mai un buon segno,quando nelle note di regia girano parolein libertà).

Premio Speciale della Giuria al film diFranco Maresco (che al Lido non ha messopiede): “La mafia non è più quella di unavolta”, nelle sale da giovedì. Dopo lo scro-scio di applausi a fine proiezione, serpeg-giava la paura: “I giurati stranieri non ca-piranno”. Hanno capito benissimo. Nessu-no potrebbe resistere a un giovanotto fini-to in coma dopo un incidente, che aFalcone e a Borsellino attribuisce il suorisveglio: “Mi sono apparsi in sogno e mihanno detto: ‘Alzati e canta’”.

Mariarosa Mancuso

I RAGAZZ I D I HONG KONG HANNO UN NUOVO NEMICO : I L PATERNALISMO

Altro che Luca Marinelli. Il più politico a Venezia è stato il cinese YonfanRoma. Nato a Hong Kong, cresciuto a Tai-

wan, il registra e fotografo cinese Yonfan hastudiato cinema negli Stati Uniti. Sulla cartanon ha certo il profilo del conservatore cine-se. Eppure in questo mondo confuso gli ste-reotipi valgono ben poco. Alla 76esima edi-zione del Festival del Cinema di Venezia illungometraggio “N°7 Cherry Lane” ha vintoil premio come migliore sceneggiatura: “E’la mia dichiarazione d’amore nei confrontidi Hong Kong”, ha detto durante la conferen-za stampa al Lido il regista Yonfan del suofilm d’animazione. Poi ha aggiunto chequando è arrivato nella colonia inglese nel1964, dopo anni di “esilio” a Taiwan, ha per-cepito l’aria di libertà, insomma gli è venutavoglia di fare l’artista, e così si sente moltoriconoscente nei confronti del luogo “che miha dato la libertà di creare”. Se per parecchidegli addetti ai lavori il premio “miglior sce-neggiatura” al film è esagerato, c’è un detta-glio che non vi dovrebbe stupire. “N°7 Cher-ry Lane” è infatti ambientato durante le ri-volte di Hong Kong del 1967 – facile fare ilparagone, no? E invece no, dice il regista. “E’una pura coincidenza” che il film sia uscitoora, cioè dopo le più grandi manifestazioni

di protesta che l’ex colonia inglese abbia vis-suto nella sua storia (ma la coincidenza nondev’essere sfuggita ai giurati). Per Yonfanquelle di allora erano proteste, mica quelledi oggi: “In questi giorni Hong Kong è statamessa sottosopra dalla violenza. Abbiamoperso il senso delle leggi, della libertà, e lagente è impazzita. Questa forza ha scoper-chiato un vaso di pandora, e gli spiriti mali-gni sono usciti”. E poi si lamenta: “Vorreiche non fosse uscito adesso questo film: oratutti mi domandano la stessa cosa”. CaroYonfan, c’è una ragione: “Se la città non ènuova a manifestazioni di massa – l’occupa -zione del centro di Hong Kong nel 2014 perchiedere una maggiore democrazia, nota co-me movimento degli Ombrelli, è durata 79giorni – l’unica volta in cui nella città ci sonostati gravi disordini è stata più di cinquan-t’anni fa”, ha scritto Ilaria Maria Sala suQuartz, “Nel ’67 le proteste vennero alimen-tate dal malcontento popolare, scatenate dallicenziamento degli operai da una fabbricadi fiori di plastica. Ma furono anche un ri-flesso della Rivoluzione culturale di Mao,iniziata un anno prima: il Partito voleva con-trastare le critiche contro le politiche eco-

nomiche fallite e spacciarle come un tentati-vo di ‘purificare’ il comunismo cinese dalleinfluenze borghesi”. Fu quindi una grandeprotesta contro l’amministrazione colonialebritannica, che si concluse con “una serie dibombardamenti che portarono a 51 morti ecentinaia di feriti”. “La nostalgia sentimen-tale non arriva mai a certi livelli di sontuosi-tà e di kitch”, scrive Screendaily nella re-censione di “No. 7 Cherry Lane”, e anche seil film parla in realtà di accoppiamenti conserpenti, di corteggiamenti e di amori noncorrisposti, tutta la sceneggiatura si muovein quella che secondo Yonfan è la più ro-mantica delle proteste, quella del 1967. Micai ragazzini del 2019, che sono costretti allebarricate e alle catene umane per chiederepiù democrazia, ma anche un’indagine indi-pendente sull’operato della polizia di HongKong. Non è difficile, nelle ultime settima-ne, trovare questo genere di paternalismonelle parole di chi ha beneficiato delle “li -bertà” in qualche modo finora garantite aHong Kong ma che oggi ha tutto l’interesse dimantenere lo status quo con la Cina conti-nentale, e quindi considera i giovani tutti“rioters”, “facinorosi” e “radicali”, che si

spingono oltre, mettendo “a ferro e fuoco lacittà”. E questo nonostante la maggior partedi loro esprima il proprio dissenso pacifica-mente – ieri migliaia di studenti hanno boi-cottato le lezioni in classe e hanno parteci-pato a una catena umana, con addosso le ma-schere antigas, in segno di solidarietà con leproteste antigovernative che ormai vannoavanti da mesi. Se la società civile è quellache dovrebbe più parlare dell’esigenza didemocrazia manifestata dalle giovani gene-razioni, e prendere una posizione decisa suPechino, le posizioni come quelle di Yonfansono frequenti. Come per il settore della mo-da, anche nell’arte è difficile condannarePechino. Il mercato cinese è il principaleobiettivo della distribuzione di “No. 7 Cher-ry Lane”, e se il regista avesse avuto paroledi critica nei confronti di chi cerca di limita-re le libertà personali e di espressione aHong Kong, probabilmente l’accesso a quelmercato gli sarebbe precluso. A difendere iragazzi restano gli anziani per strada, gentecomune, che dicono come ieri a Repubblica:“Preferirei che uccidessero un anziano piut-tosto che colpire un giovane”.

Giulia Pompili

A PROPOSITO D I “LA PARATA” E CERT I PARAGONI DA EV ITARE

Scorretta ma didascalica, la distopia di Dave Eggers non ha profonditàSarebbe curioso sapere cosa ha spinto

l’editor Feltrinelli che si è occupatodell’ultimo libro di Dave Eggers a scri-vere quel che ha scritto nel risvolto del-la quarta di copertina. Il cinquantennescrittore americano – diventato famosoper “L’opera struggente di un formida-bile genio” vent’anni fa, e oggi ancorapigramente definito enfant prodige dallepagine culturali dei giornali italiani –ha da poco pubblicato “La parata”. Nei23 agili capitoli, che si leggono in pocheore, Eggers racconta il lavoro di duecontractor occidentali che devono asfal-tare una lunga strada che unirà il sud eil nord di un imprecisato paese del Ter-zo mondo appena uscito da una deva-stante guerra civile (la parata del titoloè quella che il presidente farà una voltacompletata la strada per sancire la pa-ce). Per ragioni di sicurezza – e per scel-ta facilmente ammiccante al genere di-stopico – i due non utilizzano i loro verinomi, ma scelgono due numeri per iden-tificarsi, Quattro e Nove. Quattro è l’uo -mo di esperienza, ha già fatto questo

lavoro con successo in molti paesi, portaavanti il suo compito con fredda razio-nalità attenendosi a tutte le regole chela sua azienda impone ai propri dipen-denti: nessun contatto con la popolazio-ne locale, niente perdite di tempo, evita-re qualunque rischio possa rallentare lastesura dell’asfalto, fatta con una mac-china di nuovissima generazione chepuò essere guidata e manovrata da unasola persona. Nove è alla sua primaesperienza, ha l’entusiasmo idealista eavventato di chi invece delle regole vuo-le fare a meno. Il suo compito è quellodi fare da avanguardia a Quattro, muo-vendosi in fretta con un quad per libera-re la strada da eventuali ostacoli, manon perde occasione per parlare con lagente che incontra, provare ad aiutarli,mescolarsi con loro e corteggiare le ra-gazze del posto. Prevedibile e terribil-mente didascalico, “La parata” è unalunga metafora sui danni del neocolo-nialismo – di cui Quattro e Nove perso-nificano le due anime, opposte maugualmente “sbagliate” – che si arric-

chisce a spese dei paesi più poveri, lo faraccontando e raccontandosi di agireper il bene del progresso ma non calcolale conseguenze negative di questo ap-proccio. Certamente scorretto rispetto acerto volontarismo che va di moda tra iprogressisti (le ong ne escono malissi-mo, così come gli entusiasti che pensanobasti andare nei paesi poveri a portareil proprio impegno e un po’ di tecnolo-gia per avere fratellanza e pace nelmondo), “La parata” non riesce peròquasi mai a pescare in profondità. E’ unromanzo breve, non un saggio, nessunopretende completezza di analisi su unproblema così complesso, ma se i prota-gonisti della storia fossero stati perso-naggi e non macchiette stereotipateavremmo colto lo stesso la “potente alle-goria”, per dirla con lo scrittore bulgaroGeorgi Gospodinov, citato nell’edizioneFeltrinelli. E qui veniamo al già citatorisvolto della quarta di copertina:“Grande protagonista de La parata è l’at -tesa. Quattro è a modo suo simile al no-stro Giovanni Drogo de Il deserto dei Tar-

tari di Buzzati: la sua fortezza è la mac-china asfaltatrice in cui passa le giorna-te e i suoi Tartari sono il collega Nove ela popolazione locale”. Al di là del fattoche potremmo considerare circonven-zione di ignaro lettore l’improponibileparagone tra l’impalpabile Quattro e ilgigante Drogo, protagonista di “La para-ta” non è affatto l’attesa, ma il solitosenso di colpa occidentale (e, in fondo,tra le righe, un cinico complesso di su-periorità che potrebbe essere bollatocome razzismo, se solo Dave Eggers nonfosse un antitrumpiano doc, quindi dal-la parte dei buoni). Occupato dallapreoccupazione di spiegarci il mondo,l’autore si dimentica dei personaggi,delle loro attese appunto, delle loro do-mande – e quando lo fa cade in clichéche rendono prevedibile lo sviluppodella storia, persino i suoi colpi di sce-na. C’è un altro paragone citato nei ri-svolti dell’edizione italiana. Lo fa loscrittore australiano Richard Flanagan,ed è con Philip K. Dick. Non cascateci.

Piero Vietti

C SM P LITICS

Non leviamo gli occhi dal Sudan, c’èanche una tunica bianca nel palazzodel governo che sembra che luccichi

PREGHIERAdi Camillo Langone

Quota 100? Quota 102?No, quota Marzeno. Stavoguidando da Faenza a Modiglianaquando, in frazione Marzeno, vedo uninsegna con scritto “Barbiere”. Unaparrucchiere, hair stylist, barber-shop:barbiere. Freno. Parcheggio. Entro.Mentre mi faccio dare una spuntatina(non avevo bisogno di farmi tagliare icapelli, avevo bisogno di farmi crescerei pensieri), mentre ammiro il classicocalendario con la donna nuda, memoriadi tempi virili, sollecito il barbiere araccontarsi: ha aperto il locale nel 1959,giusto sessant’anni fa, dopo un periodo diapprendistato presso il padre e in botte-ghe altrui, adesso di anni ne ha 79 e nonintende andare in pensione. Finché puòvuole lavorare, non sa immaginarsi in ca-sa a fare niente, qui incontra tante perso-ne, chiacchiera, si rende utile, è vivo. AMarzeno, prima collina romagnola allie-tata da vigne e frutteti, pesche e soprat-tutto kiwi, anche un politico capirebbeche il lavoro nobilita l’uomo e la pen-sione ne fa uno zombi da televisione (ol-tre che un peso per il contribuente). Siaun esempio il barbiere di Marzeno.

Per il giuramento AsmaMohamed Abdalla ha

scelto il simbolo più potentedelle rivolte sudanesi controil regime dell’ex dittatore

Omar el Bashir: la tunica bianca. Le tantedonne che hanno animato la piazza diKarthoum con i loro canti indefessiindossavano la tunica bianca che nellastoria sudanese vuol dire fierezza eresistenza e tradizione, e Asma l’haportata fin dentro al palazzo del governo,laddove si è celebrato il primo passo dellatransizione del Sudan, tre anni diconvivenza tra militari e civili perritrovare un equilibrio nella guida di unpaese straziato da dittatura, violenza eterrore. Pareva commossa, Asma, dietroagli occhiali e al sorriso: quel giuramentosignifica molto per il suo paese ma ancheper lei, che da tanti anni non potevanemmeno vivere nel suo Sudan. Classe1946, Asma era stata la prima donnaall’inizio degli anni Settanta a entrare nelcorpo diplomatico del Sudan: arrivaronoin quegli anni altre due colleghe e questotrio spiccava in tutti gli incontri, vivace,secchione, orgoglioso. Con l’arrivo di elBashir nel 1989 la carriera di Asma inSudan si è interrotta: in due anni, il nuovouomo forte di Karthoum avevarivoluzionato ogni cosa, per Asma e le sueidee progressiste e occidentaliste nonc’era alcun posto. Fu cacciata dalladiplomazia e ben presto dal paese: hacontinuato a lavorare nelle istituzioniinternazionali, in particolare nell’Unicef,ma ha scelto di vivere in Marocco, perché aKarthoum le pressioni erano troppo grandiper Asma, per suo marito e per sua figlia.

Il suo ritorno oggi è uno dei simboli delnuovo governo che si è insediato in questigiorni in Sudan, non perché è una donna(ce ne sono altre tre, ma non è questo ilpunto) ma perché una come lei,competente e tosta, oggi è di nuovobenvenuta in Sudan, e sarà il volto delladiplomazia del paese nel mondo. Quel chesembrava impossibile per lei – Asma ha 73anni, non ha mai perso la speranza ditornare a casa ma si era abituata all’ideache forse non ce l’avrebbe fatta: ora è ilministro degli Esteri – e per il suo paese èdiventato realtà e no, non se lo aspettavanessuno. Quando le proteste sono iniziatenel dicembre dello scorso anno dopo cheel Bashir aveva imposto nuove tasse suibeni di prima necessità, il governo hainizialmente fatto finta di niente, poi hatentato la repressione, poi di fronte a unaprotesta che non si scioglieva – ladisperazione è più forte della paura – hapensato di far fuori el Bashir e di portareavanti la dittatura con altri nomi, volti estellette, un ricambio di potere tuttointerno alle gerarchie militari. Perqualche mese la giunta è riuscita, grazieagli sponsor nella regione, a fingereaccondiscendenza mentre arrivavano lemilizie in città, facevano raid mortiferi manon eccessivi per non attirare troppaattenzione, mentre si consumavano scontridi potere – la piazza non c’entrava nulla –tra intelligence, esercito e le Forze diazione rapida, cioè i janjaweed che peranni hanno assalito, derubato, violentatoil Darfur. I militari non hanno trovato unasoluzione alle loro lotte, i manifestantinon hanno abbandonato le stradenonostante le uccisioni, i negoziatoridell’associazione dei professionisti che haradunato tutte le sigle dell’opposizione alregime hanno insistito nel dialogo (Asmaera tra loro) e alla fine sono riusciti adavere un primo ministro “tecnico”,l’economista Abdalla Hamdok, un governodi esperti, un calendario di incontri pergestire i vari dossier con i militari e lapromessa di elezioni tra tre anni, nel 2022.Tutto è bene quel che finisce bene? No.Tra i militari nominati nel Consiglio c’èanche Muhammad Hamdan Dagalo detto“Hemedti”, che è il capo delle paramiliziee sogna di diventare il nuovo el Bashir;l’economia è al collasso, mancano cibo,elettricità, carburante e sicurezza; il paesedipende dagli sponsor dell’ex regime e imilitari, nonostante la facciata, presidianoi centri di controllo del Sudan. Ma quelche sembrava impossibile è successo, el’urlo di gioia che ha accompagnatol’annuncio del primo governo con civili èda guardare e riguardare, come la tunicabianca di Asma: sembra che luccichi.

DI PAOLA PEDUZZI

Dal dito medio al pubblico allesportellate con Nadal. Che bravo il

nuovo numero 4 del tennis mondiale

Credo che questa sera tu abbia di-mostrato come mai sei il numero

quattro del mondo a soli 24 anni”. Do-po avere conquistato gli Us Open e ilsuo diciannovesimo Slam in carriera,le prime parole di Rafa Nadal sonostate per il suo avversario. “E’ statauna finale fantastica anche grazie aDaniil, che ha contribuito a crearequesto momento”. Ci si aspettava (e sisperava) un nuovo scontro tra Federere Nadal, nella notte tra domenica elunedì però, tra il pubblico dell’ArthurAshe nessuno ha sentito la mancanzadel giocatore svizzero. Al suo posto,Medvedev ha giocato una partita per-fetta; con un piede ormai dentro glispogliatoi, all’inizio del terzo set stavacominciando mentalmente a preparar-si il discorso da pronunciare alla finedel match. Gli è bastato un doppio fal-lo del suo avversario per capire chenon era finita, che a tennis bisognagiocare ogni punto come se fosse l’ulti -mo, che il dolore dell’avversario è co-me ossigeno per i propri muscoli. Cosìè stato, da due set a zero il giocatorerusso è riuscito a portarsi sul due pari,correndo come non immaginava di po-ter fare, con il braccio che ormai pro-cedeva per inerzia e per abitudine. Epoi la paura, questa sconosciuta. Di-ciassette anni di tennis che finalmenteregalano qualche ricompensa e un po-sto tra i grandi del presente e del futu-ro. Ha fatto tutto ciò che ha potuto perrovinare la festa di Nadal, dopo quat-tro ore e cinquantuno minuti a perso ese ne farà una ragione, non vuole di-menticarsi niente di ciò che ha provatodentro il campo. Il futuro è dalla suaparte. “Mentre guardavo il video di tut-ti i successi di Rafa mi chiedevo checosa avrebbero trasmesso se avessivinto io”, ha scherzato Medvedev, con-quistandosi finalmente gli applausidel pubblico.

Il numero quattro del mondo è arriva-to a Flushing Meadows dopo avere vintoil torneo di Cincinnati (sconfiggendo insemifinale Novak Djokovic) ed esserestato finalista a Montreal e a Washin-gton, sconfitto rispettivamente da Nadale da Kyrgios. All’inizio del torneo, piùche del suo gioco si è parlato dell’atteg -giamento in campo. Durante il terzo tur-no contro Feliciano Lopez, Medvedev hamostrato il dito medio al pubblico che lostava fischiando per avere trattato maleuno dei raccattapalle. Alla fine dellapartita, vinta 7-6 4-6 7-6 6-4, ha rincaratola dose. Il gestaccio non gli bastava:“Grazie per il vostro atteggiamento – hadetto sarcasticamente rivolgendosi aglispettatori – senza di voi non avrei maivinto, siete stati voi a darmi la motivazio-ne per continuare a lottare”. E alloraecco nuovo fischi, buu all’unanimità euna multa di novemila dollari per con-dotta antisportiva. Dopo avere vinto iquarti di finale contro Stan Wawrinka,prima di scusarsi in maniera poco con-vinta per il suo atteggiamento, ha detto:“Ciò che ho fatto non è giusto, alcuni misupportano, ad altri non piaccio. Io cer-co soltanto di essere me stesso. Scusateragazzi, e grazie ancora”. Ha carattere, ilragazzo. John McEnroe, che di spettacoliextra tennistici dentro al campo se neintende, ha voluto fargli i complimenti:“Il suo modo di giocare è fantastico. Haaccettato di essere il cattivo ma non cre-do che vorrà comportarsi così per tuttala sua carriera”. Contro Nadal è stato alsuo posto e ha lasciato parlare il tennis.Il pubblico se n’è accorto e invece deifischi meritati sono arrivati applausi an-cora più meritati. Ora è il numero quat-tro del mondo, i tre cannibali sono fermial loro posto, oltre a loro si intravede unfuturo finalmente under 30.

Giorgia Mecca

Medvedev “il cattivo”

DATING , LA APP D I INCONTRI D I FACEBOOK FA R IMPIANGERE LE ALTRE

Tutto l’universo obbedisce all’amore, tranne l’algoritmo. Viva Tinder!Ci ritroveremo, non come le star ma

come le zie del signora mia, apostoledel bel tempo andato, a rimpiangereTinder, la app di incontri definitiva –almeno così credevamo.

Accadrà prima del previsto, e cioè do-mani, stanotte, adesso, qui, nostalgicopresente. E sì che non abbiamo ancorafinito di schifarlo, Tinder, commiserandole amiche che lo usano, sia che lo faccia-no troppo bene (qualcuna ci si è sposata)sia che lo facciano malissimo (qualcunaci si è spappolata il cuore per uno che lestava comodo, vicino casa, e poi le man-dava poesie di Neruda, una cosa che, fuo-ri dal virtuale - le abbiamo ricordatoasciugandole le lacrime – l’avrebbe fattafuggire in commissariato). E sì che noinon l’abbiamo neppure mai usato, maimai mai tranne una volta per provare, oper gioco, o per tedio, registrandoci connome finto e foto di gatto, perché noifigurarsi se ci stiamo a infilarci in undatabase a disposizione di sconosciutiche per trovare una partner con cui an-dare a letto prendono il telefono e sfo-gliano un menù di femmine geolocalizza-te a pochi chilometri da loro. Per carità.Noi crediamo ancora nella realtà, e neisuoi casi, nel culo, al limite negli orosco-pi, e vogliamo che chi ci sceglie si avvici-ni a noi assumendosene il rischio e laresponsabilità, mettendoci la faccia enon la foto, la parola e non la bio, pompa-ta e non verificabile. Eppure, a tutto que-sto romanticismo, Tinder è assai più fe-

dele di quello che pensiamo e ce ne ren-diamo conto soltanto adesso che lo con-frontiamo con Dating, la app di incontridi Facebook. Dating funziona già negliStati Uniti, in Cile, in Vietnam e buonaparte dei paesi al di là dell’Atlantico. Pernoialtri del vecchio continente ci sarà daaspettare qualche altro mese e poi saràpossibile usare “il servizio che aiuta atrovare l’anima gemella” (così ha scrittoIl Fatto – brivido su “servizio”). E qui stala prima fondamentale differenza: suTinder si punta al sesso, su Dating all’a-more. Ferrea scissione cartesiana, im-previsti a parte, che tuttavia sono l’incon -veniente che Facebook vuole evitarci: laseconda fondamentale differenza è cheTinder non ricorre all’algoritmo, mentreDating sì. La prima vi propone gallerie dipersone che, semplicemente, si trovanovicine al posto in cui siete e sulla cuifaccia dovete anche avere la prontezza di

esprimere gradimento in pochi minuti onon vi scorreranno più davanti, la secon-da tiene conto dei vostri interessi, e ditutto quello di cui lasciate traccia su Fa-cebook, compresi i Mipiace alle foto divostri amici che, se molto numerosi, ven-gono recepiti come un amore segreto chesiete troppo timidi per esplicitare e quin-di potreste ritrovarvi, tra i consigliati, unex compagno di scuola che non vorrestemai e poi mai rivedere e con il quale,tuttavia, avete sempre interagito perchéadorate il suo cane – meglio: le foto delsuo cane. Il profilo di Dating è separatoda quello del social network, tant’è cherichiede una compilazione a parte, tutta-via ne immagazzina le informazioni, do-podiché le unisce, mescola, combina e vidice dove (da chi) dovete andare per se-guire il vostro cuore. Comodo, no? E ter-ribile. Tre miliardi di iscritti su Face-book hanno meno possibilità di variare,

esporsi al caso, alla sorte, e liberarsi divecchi errori, e gusti, e fissazioni, dei cin-quanta milioni di iscritti su Tinder. Natu-ralmente, dipende da cosa credete sial’amore, da cosa volete vi regali. Unacompagnia rassicurante, sempre uguale,dalla quale scappare ogni tanto, raccat-tando sesso facile altrove (e cioè su Tin-der), insomma qualcuno in cui specchiar-vi e che assomigli alla versione miglioredi voi, quella che limate sui social net-work. Oppure l’inatteso, l’ineguale, l’im -perfetto, lo sconosciuto, qualcuno con cuilitigare e, litigando, costruire e certe vol-te magari distruggere, per finire poi aricostruire.

Della concorrenza tra le due App, ov-viamente, si stanno già preoccupandotanto i rispettivi vertici quanto i giornali,più o meno divisi tra quelli che ritengonoche Tinder abbia le ore contate e quelliche, invece, ricordano che, ossessionatidalla privacy e sfiduciati da CambridgeAnalytica come siamo, difficilmente affi-deremo a una costola di Facebook il no-stro destino sentimentale. A noialtre chechiediamo per le amiche, questo aspettonon interessa. Ci chiediamo semplice-mente cosa stia diventando l’amore, e se imodi di cercarlo e trovarlo ne cambino lanatura, e speriamo proprio che non siacosì, e che rimanga sempre quel verso diLuca Carboni che fa: “L’amore che cos’è?Bravo chi lo sa capire. Ma l’amore cosafa? So solo che mi fa morire”.

Simonetta Sciandivasci

PICCOLA POSTAdi Adriano Sofri

Sono passati più di tre anni daquando Paola Regeni raccontò co-

me suo figlio Giulio era stato restituitodall’Egitto. “Al posto del suo viso sola-re e aperto – disse – c’è un viso piccolopiccolo piccolo… Su quel viso ho vistotutto il male del mondo e mi sono chie-sta perché tutto il male del mondo si èriversato su di lui”. Soprattutto mi col-

pì, delle sue parole, un dettaglio: “L’u-nica cosa che ho ritrovato di quel suoviso felice è il naso. L’ho riconosciutosubito dalla punta del naso”. Lo ricor-do oggi, e ne faccio un saluto rinnovatoai signori Regeni, perché ho trovato inuna pagina di diario di Franz Kafka,1911, questa breve interrogazione:“Termina dunque la giovinezza sullapunta del naso e là incomincia la mor-te?”.

VENEZIA 2019

INNAMORATO FISSOdi Maurizio Milani

Il racconto di quest’estate sulFoglio avrà il titolo “Il Lambrosito Unesco… ma neanche”. Ci

siamo mossi come promotori per faravere al fiume Lambro la famosa dici-tura “sito Unesco”. L’Unesco si è offe-so! “Come vi permettete!”. In via pre-ventiva hanno mandato una lettera in-vito a alcuni posti per non fare doman-

da per essere sito Unesco. A Milano iposti sono: nel Parcheggio Lampugna-no Terminal Bus; distretto militareabbandonato; casa di Emiliano Zapa-ta (che abitò a Milano per 25 anni invia Melzi d’Eril); vecchio canile co-munale stile liberty del 1902; I titola-ri di questi siti hanno risposto all’U-nesco: “Ma nessuno aveva di noi inten-zione di far domanda!”. Allora lo fac-ciamo adesso.

Page 3: IL FOGL IOmartind1/Papers-Documents/Il Foglio 10 Settembre... · suo posto ci abbiamo messo idroits de l hommisme , i diritti dell uomo trasformati nei diritti del bambino viziato.

ANNO XXIV NUMERO 213 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019

LIBRIEric Vuillard

LA GUERRA DEI POVERIedizioni e/o, 96 pp., 9 euro

Thomas Müntzer ce l’aveva con tutti.Con il Papa, con la chiesa, con il lati-

no, con principi, re e baroni vari. Perfinocon Martin Lutero, che pure non dicevacose troppi dissimili da quelle che urla-va lui, nelle piazze e nei pulpiti. Ha fattouna brutta fine, come tanti rivoluzionaridel suo calibro, martire direbbe qualcu-no. Eric Vuillard ne racconta la breveesistenza terrena, lo fa con maestria earguzia. D’altronde ha vinto un PremioGoncourt (“L’ordine del giorno”, nel2017) sa come si fa. Il risultato è godibile.E’ il racconto di un uomo che ha vagatoin mezzo alle masse esasperate, uomini edonne che si decisero a lottare per piùpane e libertà, due costanti delle rivolu-zioni che hanno attraversato l’Europanei secoli. L’epicentro qui è l’attualeGermania, allora divisa in mille e piùprincipati, terreno fertile per rivolte chemischiavano la fame alla religione, Cesa-re e Dio. Rivolte quasi tutte finite male.“La guerra dei contadini era cominciatain Svevia, vicino al lago di Costanza, poi

si era spinta verso il Tirolo e il nord. Erastata una successione di sommosse, enon solo contadine, anche urbane e ope-raie. Müntzer si era rivolto al povero, eper un attimo aveva cercato di unire lafolla degli scontenti”. Quella di Müntzerè dopotutto la lotta per un’utopia, lo sicapisce bene quando Vuillard – che par-teggia per lo sciagurato protagonista, fintroppo verrebbe da dire – sottolinea lasua rabbia, l’impeto di scrivere letteresevere, la foga ingenua con cui risponde-va ai nobili che volevano spiegazioni ai

suoi gesti così clamorosi e irriverenti,l’innocente dichiarazione che nulla sa-rebbe potuto cambiare “in via amichevo-le”. Sapeva insomma che la sua lotta –non ideale, ma concreta, perché “Mün -tzer è un violento”, “delira”, “invoca ilRegno di Dio qui e ora”, è “impaziente” –sarebbe finita sotto la mannaia del boia.Eppure non si sottrae al destino: riscatta-re l’uomo comune è il suo orizzonte ter-reno. Predicare (in tedesco) la Parola diDio, sfidare dogmi e sacramenti, redi-mere il più possibile. E liberare, anchea costo di usare – come farà – il gladio.“Immaginate quindi la brutta impres-sione che devono aver fatto le parole po-veri laici e contadini in mezzo a terminicome scellerati, gladio, rovine o sgozza-teli. I principi non apprezzano”. Ha per-so la guerra, senza dubbio. Ma ha lascia -to un segno che altri – molti altri – dopodi lui avrebbero raccolto. Proletari ditutto il mondo unitevi è uno slogan genia-le che sulla sua bocca sarebbe stato per-fetto. (mat.mat)

EDIT ORIALI

La libertà secondo ZuckerbergFacebook oscura i partiti di estrema destra. Riflettere prima di esultare

Facebook ha cancellato decine di siti le-gati a CasaPound e ai suoi dirigenti sia

sulla piattaforma principale sia su Insta-gram, proprio il giorno dell’insediamentodel nuovo governo. L’azienda ha spiegatoche la decisione rappresenta l’esito di unlungo processo di analisi, che ha convinto igestori che si tratti di un soggetto politicoche diffonde odio e violenza e per questo èin contrasto con i princìpi della piattafor-ma. Di fronte a questo avvenimento ci si tro-va a dover commisurare due princìpi, en-trambi rilevanti: la difesa della libertà diespressione, che deve essere garantita an-che a chi suscita disgusto per le sue opinio-ni, e l’esigenza di evitare che campagne diodio favoriscano l’instaurarsi di un clima diviolenza, per giunta in nome di un’ideologiaalla quale la Costituzione (la stessa che ga-rantisce la libertà di espressione) precludel’organizzazione in forma di partito. Non è ilcaso, naturalmente, di esaminare il messag-gio di CasaPound, appunto perché non sipuò e non si deve misurare la libertà con-cessa secondo l’accettabilità delle opinioniespresse. Non siamo in uno stato etico, e na-

turalmente non ci piace l’idea che a intro-durlo a livello globale sia l’azienda di Zuc-kerberg. Invece ci si può interrogare sullaquestione dell’incitazione all’odio dell’a-pologia di fascismo. Si tratta di reati varia-mente considerati nel codice penale italia-no, per i quali, per la verità, negli ultimi cin-que anni la magistratura ha emesso unaventina di ordini di arresto. Ma non sonomai state applicate nei confronti di un’orga -nizzazione le norme delle leggi di MarioScelba e di Nicola Mancino contro la rico-stituzione del partito nazionale fascista.Non c’erano prove sufficienti o il reato nonè stato commesso? Spetta alla magistraturadeciderlo, nel corso di regolari processi.Può però un’organizzazione privata comeFacebook anticipare eventuali sentenze,applicare una specie di principio di pre-cauzione che renda il sospetto o gli indizisufficienti a comminare la sua “pena”, cioèl’esclusione dalla piattaforma, con gli effet-ti di limitazione della libertà di espressioneche ne conseguono? Non è una domandaoziosa o retorica e interroga senza facili ri-sposte le nostre coscienze di democratici.

Occhio però al governo No TrivBloccare il settore estrattivo è l’unica “priorità” chiara dei rossogialli

In un discorso di richiesta di fiducia cheun tempo si sarebbe definito doroteo –

elencare promesse e riforme senza fornirealcun dettaglio, specie sull’economia –Giuseppe Conte ha sentito la necessità diannunciare due punti in apparenza con-creti. Il primo è che il governo “porterà acompletamento il procedimento in tema diconcessioni autostradali a seguito del crol-lo del ponte Morandi senza nessuno scontoper gli interessi privati”, tirando in balloAutostrade ma è preceduto da due righeche prevedono “la revisione di tutto il si-stema”. Il secondo punto annuncia “unanormativa che non consentirà più il rila-scio di nuove concessioni di trivellazioneper estrazione di idrocarburi. Chi verràdopo di noi, se mai vorrà assumersi l’irre -sponsabilità di far tornare il paese indie-tro, dovrà farlo modificando questa legge”.Si tratta di tributi pagati soprattutto al M5s,punti che nella vita precedente di Conteerano stati oggetto di contrasti tra grillini eleghisti senza che, sul secondo, il premier,mediando, avesse dato la sensazione di av-vertire alcuna “irresponsabilità”. A ben

vedere neppure il divieto di nuovi permes-si di trivellazione appare dirompente. Inèra gialloverde i 5s chiedevano lo stop alleconcessioni esistenti; il compromesso delgennaio scorso stabilì 18 mesi di moratoriae un aumento di 25 volte dei canoni. Dun-que Conte fotografa l’esistente, nell’evi -dente tentativo di sminare il terreno aigrillini assediati dai movimenti del No.Smentendo i propositi di traghettare l’Ita -lia, specie del sud, in un mondo di concor-renza, crescita imprenditoriale e innova-zione, non si disturbano i due enti pubblicienergetici, l’Enel che non fa trivellazioni el’Eni per il quale nulla cambia in Val d’A-gri, mentre si alza il dito contro i “poteri”stranieri. Eppure non più tardi del 2016 ilreferendum No Triv è fallito per clamoro-sa la mancanza del quorum, segno che gliitaliani non si sentono minacciati dalle tri-velle, mentre lo stesso segretario del PdNicola Zingaretti non sapendo che fare trasvolta green e difesa dei posti di lavoro nel-l’estrazione di gas fa ripiegare il partito suposizioni filogrilline, ben distanti da quel-le sostenute in epoca di referendum.

C’è una scossa alla VolkswagenL’auto elettrica per le masse è un segnale di vitalità nella recessione tedesca

Sotto i cieli della recessione l’indu -stria tedesca cerca una scossa. Il

gruppo Volkswagen presenta al Salonedi Francoforte la Id.3, la vettura desti-nata nei piani di Wolfsburg a diventarel’elettrica di massa capace di ripetereil successo del Maggiolino e della Golf ecosì ribadire, anche dopo il tramontodel motore a scoppio, la leadershipd’oltre Reno nel settore a quattro ruote.Per sostenere la controffensiva decisadopo la disfatta del Dieselgate, l’ammi -raglia dell’auto tedesca non ha badatoa spese. La migrazione all’elettrico deimarchi del gruppo comporterà investi-menti per 33 miliardi di euro entro il2023. Oltre all’Id.3 (prezzo attorno ai 30mila euro, consegne dall’anno venturo)al Salone esordisce Taycan, la Porscheelettrica che sfiderà la Tesla S. Poi toc-cherà ai modelli degli altri marchi cheverranno sviluppati sulla Meb, la piat-taforma chiave del piano per arrivare avendere 15 milioni di veicoli elettricientro il 2025 grazie agli 80 modelli elet-trificati attesi nei prossimi 11 anni. Un

obiettivo tanto ambizioso quanto costo-so che ha convinto il gruppo a condivi-dere l’uso della piattaforma con laFord. Anche questo è una prova deglioneri della rivoluzione elettrica per unsettore già alle prese con il rallenta-mento della congiuntura e con numeriche non fanno dormire sonni tranquilliai protagonisti, nemmeno quelli che,come Volkswagen, possono sostenereuna transizione fatta più di spese che diricavi (nella prima parte del 2019 l’elet -trico ha rappresentato solo il 2,7 percento del fatturato). Rivoluzione chetra i costi ha quello di comportare laperdita di posti di lavoro. La Germania,una volta presa la decisione, ha accet-tato di pagare dazio pur di conservarealmeno in parte la sua leadership ri-spetto all’Asia e alla riscossa tecnologi-ca americana. E l’Italia? Fca, mentresvanisce almeno per ora la prospettivadi un asse con Renault, gioca le sue (po-che) carte sulla 500 elettrica in uscitanel 2020, ovvero da quando non sarà piùprodotta in America.

L’Europa è tutto meno che una festa di condominio. Note per il BisConteCHIEDERE DI CAMBIARE LE REGOLE EUROPEE SENZA SAPERE CHE LA FLESSIBILITÀ È GIÀ AMPIA VUOL DIRE (ANCORA) RENDERSI INAFFIDABILI

Cambia il governo ma la musica rimanela stessa. Anche l’esecutivo Conte ros-

sogiallo ha posto come obiettivo quello dimodificare le regole fiscali europee. Lo hascritto nel punto 2 del programma: “Il go-verno si adopererà per promuovere le mo-difiche necessarie a superare l’eccessivarigidità dei vincoli europei”. Da questopunto di vista non c’è davvero nessuna di-scontinuità con il Conte gialloverde chenel Contratto al punto 29 prometteva di ri-vedere “insieme ai partner europei (maquali?) l’impianto della governance euro-pea”. L’unica differenza con il passato èche questa volta l’appello è arrivato anchedal Capo dello stato Sergio Mattarella che,attraverso un messaggio al Forum Ambro-setti di Cernobbio, ha auspicato “il riesa-me del Patto di stabilità e crescita”. L’ap -pello ha ottenuto il plauso della stragrandemaggioranza dei partecipanti al Forum maanche del mondo della politica. Cambiarele regole è certamente possibile ma non èun’impresa facile visto che richiede il con-senso di tutti gli stati dell’Unione. Eccoperché, prima di monopolizzare il dibattitopubblico su un tema, quello della revisionedei vincoli europei, che rischia come giàavvenuto di arenarsi sul nascere, sarebbepiù utile cercare di capire a cosa servonoqueste regole, cosa succederebbe se venis-sero ammorbidite e – davvero – sono cosirigide.

Le regole fiscali sono state introdotteperché l’area dell’euro è un’unione mone-taria ma non è un’unione fiscale: i paesiche ne fanno parte condividono la stessavaluta ma non la stessa politica fiscale. Al-l’interno dell’area, la politica monetaria èunica e viene decisa dalla Banca centraleeuropea a Francoforte, mentre quella fi-scale varia da paese a paese e viene decisadai diciannove ministri delle Finanze. Inuna simile situazione, le regole servono arafforzare la convergenza delle diverseeconomie e a garantire la stabilità dell’in -tera zona: chi non le rispetta crea un dannoa tutti. Per spiegare questa interconnessio-ne tra paesi appartenenti alla stessa areavalutaria, il presidente Ciampi usava lametafora del condomino dove il comporta-mento di un singolo ha inevitabilmente unimpatto anche sugli altri. Se l’inquilino delsecondo piano organizza feste tutte le sere,

oltre al disagio della musica tenuta a altovolume, vi è il rischio concreto che si rom-pa l’ascensore a causa dell’uso eccessivo.A quel punto, il guasto dovrà essere pagato

non solo da chi le feste le ha organizzatema anche da chi le ha sopportate. Lo stessotipo di ricaduta (“spillover effect”) avvienetra stati di un’unione monetaria, quandoun paese non rispetta le regole e mantienedebito e disavanzo alti e crescenti. I merca-ti potrebbero decidere di non finanziarepiù il governo spendaccione per il timoredi non essere rimborsati. Potrebbero, pe-rò, decidere di penalizzare anche altri pae-si, in particolare quelli con finanze pubbli-che non in ordine, chiedendo rendimentisempre più elevati in cambio dell’acquistodi debito pubblico. Questo è ciò che è acca-duto subito dopo lo scoppio della crisi inGrecia quando il disavanzo (che, fino adallora, era stato truccato) superò il 15 percento del pil. La crisi ellenica contagiò inpoco tempo l’Irlanda, il Portogallo, la Spa-gna. Fu necessario ricorrere a programmidi aggiustamento e finanziamenti europeipari a – rispettivamente – 78 miliardi, 82miliardi e 40 miliardi di euro. In soccorso aquesti paesi sono venuti tutti i membri del-l’area dell’euro inclusi i più deboli, comela Slovenia e la Lituania che hanno unaricchezza pro capite inferiore a quella deigreci: un risultato davvero paradossale.L’Italia, in quanto terzo più grande stato,ha contribuito con oltre 60 miliardi che og-gi pesano sul debito pubblico. Con regolepiù flessibili, questo conto potrebbe diven-tare più salato perché potrebbero aumen-tare i paesi in situazioni di difficoltà.

Pertanto, chi come il premier GiuseppeConte che ieri alla Camera, al dibattito sul-la fiducia, ha chiesto meno regole ancheper evitare effetti prociclici (anche se Con-te dovrebbe sapere che il parametro di ri-ferimento è il disavanzo strutturale che de-purato dell’effetto del ciclo economico) de-

ve anche essere pronto a chiedere più sol-di ai contribuenti europei – e ovviamenteitaliani –, in caso di una nuova crisi. Eccoperché sul tema delle regole sarà davvero

difficile trovare alleanze: la maggior partedei leader politici eletti hanno avuto ilmandato di non cambiare queste regoleper non pagare per l’irresponsabilità al-tri.

Peraltro, basterebbe leggere con atten-zione il Fiscal compact e il Patto di stabili-tà e crescita per rendersi conto che questeregole, come dice il Presidente della Ban-ca centrale europea Mario Draghi, dispon-gono di “tutta la flessibilità necessaria”.

Le regole – ben spiegate nelle Linee gui-da pubblicate nel gennaio del 2015 – preve -dono infatti ampi margini di flessibilitàper un governo che volesse fare maggioredebito per attuare riforme o finanziare in-vestimenti. La logica è la seguente: un pae-se può aumentare il proprio indebitamen-to se serve a crescere di più e, quindi, ariportare i rapporti debito/pil e deficit/pilsu una traiettoria coerente con il rispettodelle norme europee. La flessibilità, inol-tre, può essere ottenuta in caso di eventieccezionali legati a emergenze nel campo,per esempio, della sicurezza o della salva-guardia del territorio. Fino ad ora, il paeseche ha avuto più flessibilità è stato propriol’Italia. La Commissione Juncker ha con-cesso ai governi Renzi-Gentiloni oltre 30miliardi di maggiore indebitamento rispet-to agli obiettivi concordati (tabella III.4 delDocumento di economia e finanza 2019).

Purtroppo, il margine fiscale accordatonon è stato utilizzato per nuovi investimen-ti, bensì per erogare bonus e disinnescareclausole di salvaguardia e, pertanto, l’im -patto sulla crescita è stato assai modesto:inutile dire che quella scelta non ha giova-to alla credibilità del paese in sede euro-pea. Il governo Conte gialloverde ha otte-nuto per il 2019 quasi 4 miliardi di flessibi-

lità “in relazione ad un piano di interventitesi a contrastare il dissesto idrogeologicoe a misure volte alla messa in sicurezzadelle reti di collegamento italiani”. Peral-tro, come spiegato nel Def, ulteriore flessi-bilità sarebbe stata probabilmente ottenu-ta anche per gli anni successivi (“la Com-missione ha preso atto della richiesta di-mostrandosi aperta ad accoglierla”). Oltreai margini per l’obiettivo del disavanzo,Bruxelles ha concesso anche margini perquello del debito. Nel luglio scorso, al finedi evitare una procedura d’infrazione perdeficit eccessivo causato dalla violazionedel criterio del debito, l’esecutivo Contegialloverde ha attuato una manovra corret-tiva per oltre 7 miliardi di euro. Inoltre, si èimpegnato a implementare un piano di pri-vatizzazioni per 18 miliardi di euro nel2019 e 5 nel 2020 pari all’uno e allo 0,3 percento del pil: una cifra mai realizzata insoli sedici mesi. Eppure, la Commissioneha deciso di chiudere un occhio (anzi due)nonostante nel Rapporto del 5 giugno scor-so prevedeva al riguardo entrate pari allo0,1 per cento per l’anno in corso e nulle peril 2020 – stime che si stanno rivelando assaiottimistiche visto che di privatizzazioniper ora non c’è traccia. A conti fatti, la fles-sibilità è stata sempre abbondantementeaccordata ai governi italiani, inclusi aquelli considerati “ostili all’Europa” comeil Conte gialloverde. Pertanto, bisognereb-be smettere di pensare che l’esecutivoConte rossogiallo beneficerà di ampi spazidi flessibilità fiscale solo perché “è amicodell’Europa”. La flessibilità verrà conces-sa in cambio di un programma credibile –almeno sulla carta – di riforme e investi-menti. Inoltre, verrà concessa – come giàavvenuto in passato – in presenza di unafase negativa del ciclo.

Da questo punto di vista, il neo ministrodell’Economia Roberto Gualtieri dovreb-be fare – sin da subito – un’operazione veri-tà e spiegare che la flessibilità ha poco ache fare con i rapporti di amicizia. Il ri-schio è di fare passare il messaggio chel’Europa premia “chi è amico”, alimentan-do, cosi, l’attuale dibattito sulla revisionedel Patto di stabilità e crescita. Un dibatti-to davvero non prioritario considerando lasituazione in cui versa il paese.

Veronica De Romanis

L’appello di Mattarella a rivedere il Patto di stabilità e crescita è piaciuto al clubdi Cernobbio e Conte l’ha rilanciato nel discorso per la fiducia. La musica deirossogialli non è cambiata rispetto a quella gialloverde. Ancora si chiede ai partnereuropei di derogare alle regole comuni che servono come garanzia reciproca

La flessibilità non è un pasto gratis, ci dice Daveri (Bocconi)Milano. “Dal discorso del premier Conte si

capisce che questo è un governo destinato afar crescere il deficit. Il che è abbastanza nor-male in periodi di rallentamento economicoma quel che conta è spendere bene questodeficit aggiuntivo sapendo giocare la cartadella flessibilità con Bruxelles. Finora l’ese -cutivo giallorosso ha guadagnato 50-60 puntidi spread (in meno) ma il differenziale con ilBund si è fermato a 150 punti base. Non è uncaso: scenderà ulteriormente solo di fronte amisure che siano in grado di invertire la ten-denza alla bassa crescita dell’Italia”. L’eco -nomista Francesco Daveri dell’UniversitàBocconi ha appena finito di leggere i resocon-ti del discorso con cui il capo del governo hachiesto la fiducia al Parlamento e nota un ele-mento di discontinuità con il precedente ese-cutivo gialloverde che pure era presieduto daGiuseppe Conte. “Una delle idee espresse daConte è quella di valorizzare il sistema dellepiccole imprese, caratteristica peculiare del-l’Italia ma anche un limite perché a livello

globale si compete con le grandi aziende noncon le piccole. Ecco, mi pare che il governoCinque Stelle-Pd, rispetto al precedente, am-metta che occorra superare la retorica del'piccolo è bello' creando le condizioni peruna crescita dimensionale del sistema pro-duttivo”. In effetti, Conte ha detto che occorreintrodurre misure che incentivino le pmi arafforzare la propria compagine sociale e a“dimensionarsi in modo sempre più struttu-rato e consistente”. Insomma, per il governopiccolo è bello ma se è messo in condizioni dicrescere e diventare internazionale “è anco-ra più bello”. “Mi pare che in questo passag-gio ci sia un cambio di vedute rispetto all’ideadi stampo leghista di fare crescere il popolodelle partite Iva incoraggiando il manteni-mento di una dimensione ridotta in cambio diuna fiscalità agevolata – prosegue Daveri –Detto questo, non sarà facile promuovere lacrescita dimensionale delle aziende italianené intervenire per legge sugli assetti societa-ri come citato dal premier”. Nessuno ha fatto

finora il conto di quanto occorrerebbe rilan-ciare una politica industriale per andare ol-tre Industria 4.0, introdotta sotto il governoGentiloni e poi prima smontata e poi rimonta-ta da Lega-Cinque Stelle quando si sono resiconto che è l’unica misura a favore del siste-ma produttivo che funziona. “Si potrebbe an-che ripristinare qualcosa di simile all’Ace –l’aiuto fiscale alla crescita economica – che èstata abolito dalla legge di Bilancio del 2019 eche va proprio nella direzione auspicata dalnuovo governo – propone Daveri – Ma per tut-te queste cose bisognerà trovare le risorsenella legge di Bilancio per il 2020. Il rischio èche la coperta risulti corta nonostante la di-sponibilità di Bruxelles a concedere maggio-re elasticità nella spesa pubblica”. In effetti,prima bisogna trovare le risorse per disinne-scare i 23,2 miliardi delle clausole di salva-guardia impedendo l’aumento dell’Iva, paresenza toccare (a sentire il sottosegretariogrillino Riccardo Fraccaro) reddito di citta-dinanza e quota 100. Già un bel rebus di per

sé. In ogni caso solo dopo aver messo a postoqueste voci si aprirà la possibilità di aiutarela crescita. Certo non un problema solo dell’I-talia. Come riportato dall’agenzia Reuters, laGermania sta prendendo in considerazionela creazione di un ‘bilancio ombra’ che con-sentirebbe a Berlino di incrementare gli in-vestimenti pubblici oltre le restrizioni sul de-bito previste dalla costituzione. “E' una stra-da percorribile ma bisogna stare molto atten-ti – prosegue Daveri – Si potrà fare crescere ildeficit fin quando i mercati lo consentiranno,cioè fino a quando lo spread non ricominceràcrescere e lo stato dovrà offrire un rendimen-to più elevato per incentivare l’acquisto deititoli del debito pubblico. Il credito conqui-stato finora sui mercati dal governo rossogial-lo deve essere mantenuto nel tempo, solo cosìil risparmio derivante dai minori costi per in-teresse potrà essere messo a disposizionedella crescita. Ma se il differenziale torna adaumentare si ricomincia tutto daccapo”.

Mariarosaria Marchesano

Lagarde vuole piacere troppoEssere “umani”non vuol dire abbracciare il popolo ma mostrare i propri limiti

Un banchiere che tra i primi ha provatosulla sua carriera gli effetti di un go-

verno interventista come Raghuram Ra-jan, defenestrato dal primo ministro india-no Narendra Modi nel 2016, aveva dato unfondato suggerimento ai banchieri centra-li che sono oggetti di attacchi da parte deipolitici eletti. I politici chiedono misurecapaci di sostenere l’economia per mante-nere il consenso popolare, come Trumpcon Powell alla Fed, i banchieri centralidovrebbero provare a resistere mostran-dosi “umani”, scriveva Rajan su ProjectSyndicate. Secondo il banchiere indianoessere umani significa ammettere i proprilimiti, ammettere di non essere supereroi:la politica monetaria non può essere unapanacea e che i governi devono fare lamaggior parte del lavoro con una politicafiscale efficace e con indirizzi di politicaeconomica e industriale capaci di racco-gliere gli stimoli monetari. Il messaggionon sembra essere stato colto in quei ter-mini dalla Banca centrale europea che danovembre sarà guidata da Christine Lagar-de. Per Lagarde la Bce avrà come obiettivo

quello di recuperare popolarità agli occhidei cittadini che, pur affezionati all’euro,non si fidano delle istituzioni europee co-me la banca di Francoforte. Per farlo, La-garde ha detto che i cittadini devono senti-re la Bce come la “loro” banca e si è dettadisposta ad accogliere suggerimenti dallasocietà civile, dalle ong e dai sindacati, oda chiunque possa dare un contributo.Qualche analista comincia già a parlare di“People’s Bce” (la Bce del popolo) non soloper questa ragione. La Bce potrebbe an-nunciare giovedì 12, con Mario Draghi an-cora presidente, nuove misure di stimolo. Imercati si aspettano un nuovo round di ac-quisti di titoli pubblici, il Quantitative ea-sing, l’anno prossimo. Ma all’interno delboard non c’è concordia. A queste attese,già alte, Lagarde ha aggiunto l’estrema at-tenzione agli investimenti per l’ambientein passato si è parlato anche di acquisto dititoli in Borsa come ipotesi. Se Lagardevuole fare dell’Eurotower la casa del po-polo europeo per mostrarsi “umana” con -tinua però a pretendere di avere i super-poteri per risolvere ogni problema.

Come ammainare la bandiera di quota 100. Parla CodognoRoma. Se il governo Lega-M5s era comin-

ciato con la promessa di consacrare il pro-gramma alla propria base elettorale, cioè achi aveva lavorato e a chi non lavora, il go-verno Pd-M5s dovrebbe cominciare a smon-tare gradualmente quell’impianto per recu-perare margini per ridurre la spesa pubbli-ca prima di chiedere flessibilità di bilancioa Bruxelles. Eppure nel programma di go-verno di quota 100 e di reddito di cittadinan-za non si parla, anzi per il sottosegretarioalla presidenza del consiglio del M5s Ric-cardo Fraccaro le misure “non si toccano”.Il reddito di cittadinanza era la bandieradel M5s e, anche se alcuni membri del Pderano critici sulla possibilità che il sistemadei navigator consentisse di permettere ditrovare un lavoro ai destinatari del sussidio,è difficile al momento prevedere modificheradicali. “E’ più facile agire sul reddito dicittadinanza e trasformarlo in qualcosa didiverso; è uno schema mal disegnato, ma conil tempo può esser trasformato in un model-lo di flex-security in linea con i più avanzatipaesi europei, con politiche attive nel mer-

cato del lavoro veramente efficaci”, dice Lo-renzo Codogno, ex capo economista del mi-nistero dell’Economia e oggi a capo dellasua società di consulenza e analisi LC MacroAdvisors. E’ possibile, per esempio, che ilgoverno vada a incidere sulle sanzioni perchi beneficia del sussidio, fino a 780 euro almese, ma non rispetta le condizioni per otte-nerlo come presentarsi agli incontri per l’o-rientamento alla ricerca di impiego perden-do così il beneficio. Più complicato iniziarea smontare la misura bandiera della Lega diMatteo Salvini, lo schema di anticipo pen-sionistico a 62 anni con 38 anni di contributi,in scadenza nel 2021 dopo tre anni di speri-mentazione, perché ha un indice di gradi-mento alto nella popolazione. “L’abbassa -mento dell’età pensionabile è stato un prov-vedimento malsano viste le tendenze demo-grafiche di una popolazione in rapidoinvecchiamento e una riduzione della forzalavoro in ingresso. C’è ovviamente la corret-ta tentazione di modificarlo subito. Questotoccherebbe però interessi specifici di unafascia di elettori – dice Codogno – e quindi

politicamente è una cosa molto delicata”. Ledomande per l’anticipo pensionistico sonostate molto ridotte rispetto alle attese e po-trebbero essere risparmiati 4 miliardi su 8.Tuttavia smontare quota 100 già l’anno pros-simo spiazzerebbe chi sta già progettandol’uscita dal lavoro. E’ più probabile che cisarà una modulazione dello schema comesuggerito su questo giornale da AlbertoBrambilla, presidente del Centro Studi e Ri-cerche Itinerari Previdenziali che è statoconsigliere di Salvini per la riforma pensio-nistica salvo poi bocciarla per come è statarealizzata. Secondo Brambilla, una modifi-ca sarà necessaria con la previstione del-liinnalzamento dell’età minima di uscita a64 anni dal 2021, motivo per cui quota 100diventerebbe quota 102. Lorenzo Codogno èdella stessa opinione: “Si possono fare mo-difiche in maniera cauta; sarebbe utile tra-sformarla in quota 102 o in quota 105, ma do-vrebbe essere fatto spiegandolo con chia-rezza agli elettori, possibilmente senza stra-volgere l’attuale logica della riforma. Essainfatti garantisce alcuni vantaggi rispetto al-

la situazione precedente, come ad esempiola maggiore flessibilità in uscita e una mag-giore omogeneità di trattamento tra le cate-gorie di lavoratori. Comunque prima questoverrà fatto e meglio è; il problema è squisita-mente politico”. D’altronde sono pochi i sog-getti che a 62 hanno già versato contributiper 38 anni. E’ possibile innalzare il requisi-to anagrafico di uscita a 64 anni e lasciareflessibilità, ovvero opportunità di scelta, achi vuole uscire più tardi, anche a 70 anni,sempre con 38 anni di contributi. “A mio av-viso, in Italia ci dovrebbero essere iniziativeche dovrebbero essere condivise da tutti ipartiti politici, secondo criteri oggettivi co-me la demografia. Solo in Italia accade chequando cambia il governo si cambia radical-mente atteggiamento e politiche; altrove sistudiano i problemi con commissioni tecni-che per anni e poi arrivano soluzioni ampia-mente condivise. Con la condivisione si puòtrovare l’equilibrio. Le regole del sistemapensionistico non dovrebbero essere né didestra e né di sinistra”, conclude Codogno.

Alberto Brambilla

Page 4: IL FOGL IOmartind1/Papers-Documents/Il Foglio 10 Settembre... · suo posto ci abbiamo messo idroits de l hommisme , i diritti dell uomo trasformati nei diritti del bambino viziato.

ANNO XXIV NUMERO 213 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019

Finestre del governo

Il processo a Pell è un insulto al diritto più che alla chiesa. L’analisi di FinnisRoma. John Finnis è un filosofo del dirit-

to dell’università cattolica di Notre Dame eprofessore emerito di Oxford, dove ha inse-gnato dal 1989 al 2010, producendosi in unarifondazione del diritto naturale che lo hareso popolare specialmente fra i conserva-tori. E’ un convertito al cattolicesimo, e nelcorso della sua carriera ha articolato posi-zioni sul rapporto fra l’autorità statale e l’o-mosessualità che gli sono valse aspre criti-che da parte della chiesa del progressismo.Qualche mese fa un gruppo di studenti diOxford ha lanciato una petizione per spo-gliarlo del titolo di professore emerito, sul-la base del fatto che le sue posizioni “disu -manizzano gli omosessuali”. Finnis non hafatto leva su nessuna delle sue convinzionipolitiche, filosofiche e religiose per conte-stare la condanna del cardinale australianoGeorge Pell a sei anni di reclusione perabusi sui minori, sentenza confermata qual-che settimana fa da un panel di giudici del-la corte d’appello dello stato di Victoria, in

Australia. In un commento alla sentenzapubblicato sulla rivista Quadrant, Finnisspiega con argomenti esclusivamente legaliperché la condanna di Pell è un disastrogiudiziario che dovrebbe fare inorridirenon già i sostenitori del cardinale, ma tuttiquelli che hanno a cuore lo stato di diritto,il giusto processo, la presunzione di inno-cenza e altri istituti civili ritenuti sacri finoa quando non vengono usati contro i nemicipolitici del caso.

Finnis si concentra sui dettagli di un casocostruito attorno a una violenza commessada Pell su due giovani coristi – uno dei qualinel frattempo deceduto – nella sacrestiadella cattedrale di Melbourne alla fine diuna messa nel 1996, circostanza nella qualel’allora arcivescovo avrebbe avuto uno spa-zio di cinque o sei minuti per appartarsi coni due. La critica al processo si articola in trepunti. Nel primo, il giurista parla di una“sequenza logica ribaltata” da parte del-l’accusa: l’improbabilità e l’impossibilità

del fatto, su cui si poggiava la tesi difensivadi Pell – che asseriva di essere in un altropunto della chiesa durante quei cinque osei minuti – vengono inopinatamente scol-legate dalla protestata falsità dell’accusa.Un ingente numero di testimonianze corro-bora l’improbabilità e perfino l’impossibili -tà del reato, ma queste non vengono usateper confermare o smentire ciò che i difenso-ri del cardinale sostengono, cioè che le ac-cuse sono false: “Considerando la falsità co-me un argomentazione distinta (e non comela conclusione di altre argomentazioni) lasentenza mostra una profonda confusioneriguardo alla logica fondamentale del caso,nega la considerazione razionale della dife-sa e di fatto ribalta l’onere della prova”.

Il ribaltamento dell’onere della prova è ilsecondo punto di Finnis, il più problemati-co dal punto di vista delle garanzie proces-suali. “La sentenza di Pell – scrive Finnis –dichiara che i suoi autori sono persuasi del-la veridicità e dell’accuratezza degli accu-

satori, e lo fa prima di verificare le contro-prove”. In sostanza, i giudici sono a prioripersuasi che gli accusatori dicano la verità– fatto bizzarro per gli standard legali vigen-ti – e impongono al cardinale il compito diprovare la sua innocenza. Quando i suoi av-vocati presentano le prove che lo scagione-rebbero, questa vengono raccolte e ordina-te in modo incoerente – e questo è il terzopunto – indebolendo un impianto difensivoche si basava, appunto, sulla dimostrazionedell’improbabilità – fino all’impossibilità –che Pell fosse effettivamente dove i suoi ac-cusatori dicono fosse in quei cinque o seiminuti. Il tutto rappresentato con inferenzeindebite, salti logici e molti “of course” neiquali il giurista ravvisa la disinvoltura dichi sta estendendo una sentenza già scrittanella sostanza. Una procedura che dovreb-be far inorridire i sostenitori della presun-zione d’innocenza, principio che a parolepiace a tutti, of course.

Mattia Ferraresi

Ne beneficerebbe tutta l’Europa e an-che il nostro paese.

Dall’Europa arrivano segnali anche sualtri due temi (tra loro collegati). L’avviodi un processo di revisione del Patto distabilità e crescita e segnali relativi allapossibile flessibilità di bilancio per il no-stro paese in vista della legge di Bilancio.Quanto al primo aspetto l’Italia è di nuovonelle condizioni per giocare un ruolo pro-positivo molto rilevante. Il Patto di stabi-lità e crescita va rimodulato identifican-do maggior spazio al secondo termine maquesta revisione va inserita in un quadroin cui l’Europa ridefinisca una strategiacomplessiva per la crescita che prevedaun progresso verso una autentica capaci-tà fiscale. Le riforme al bilancio europeoin discussione in questi mesi vanno nelladirezione giusta per migliorare conver-genza e competitività dell’Europa. Mancaperò un impegno alla introduzione di unostrumento di stabilizzazione, magari lun-go le linee dei meccanismo di assicurazio-ne contro la disoccupazione ciclica, pro-posta già avanzata dai governi italianinella passata legislatura e richiamatadalla presidente von der Leyen nel suodiscorso inaugurale.

Quanto alla flessibilità, già sono opera-tive le modalità con cui questa viene con-cessa. Ma non è un meccanismo automati-co. Come dimostra l’esperienza della legi-slatura passata la flessibilità premia ipaesi di cui sono chiari gli impegni per leriforme, per gli investimenti pubblici eper una composizione della spesa orien-tata alla crescita sostenibile.

Finestre di opportunità dall’Europadunque, che devono e possono esseresfruttate. Ma il paese può beneficiare diun’altra finestra di opportunità, rappre-sentata dal giudizio positivo dei mercatifinanziari, chiaramente espresso dallacaduta dei tassi di interesse e dalla salitadei valori di obbligazioni e titoli in Borsa.I benefici in termini di minore spesa perinteressi e maggiori spazi di bilancio sonoevidenti.

Si sta verificando l’opposto di quantoavvenuto all’inizio dell’esperienza del go-verno gialloverde. Allora, come tutti ri-cordano, i tassi di interesse raggiunserolivelli molto elevati (e lo spread vide piùche raddoppiare il suo livello) a fronte diuna politica ritenuta insostenibile e dan-nosa per il paese. Tutto ciò conduceva alparadosso che una politica di bilancio di-segnata per essere espansiva producevaeffetti restrittivi. E non solo tramite il piùalto costo del finanziamento per famiglie,banche e imprese, ma anche per la cadutadel livello di fiducia che ha portato a unacontrazione della spesa, soprattutto quel-la per investimenti.

Oggi il giudizio dei mercati è di segnoopposto. I tassi di interesse sui titoli de-cennali sono ai minimi storici e lo spreade pressoché tornato ai valori di quindicimesi fa.

Quelle che offrono l’Europa e i mercatisono finestre di opportunità ampie. Il go-verno ha l’obbligo politico, nei confrontidel paese, di utilizzarle al meglio. E utiliz-zarle al meglio significa costruire, anchegrazie a queste finestre, una prospettivadi crescita sostenibile e creatrice di occu-pazione. Sottolineo la parola prospettiva.Ciò che serve è un orizzonte temporale dimedio termine, un credibile programmadi legislatura che influenzi positivamenteil grado di fiducia delle imprese invo-gliandole a investire. Un programma cre-dibile di riduzione del carico fiscale, inprimo luogo per i lavoratori, un program-ma credibile di trasformazione verso unaeconomia verde, ma anche un programmacredibile che affronti i sempre presentiostacoli strutturali agli investimenti,ostacoli nella Pubblica amministrazione,nella giustizia civile, nel sistema formati-vo e nella scuola, ostacoli che si sono tra-dotti in scarsa propensione alla crescita ealla innovazione delle imprese, ostacoliche riducono la possibilità di creazionedi occupazione.

E’ invece indispensabile, per usciredalla stagnazione, che gli investimenti ri-prendano a crescere, quelli privati, maanche quelli pubblici, in primo luogoquelli per i quali si dispone già di coper-ture.

Si avvicina rapidamente la scadenzaper la preparazione della legge di Bilan-cio, e prima ancora della Nota di aggior-namento al Def. Gli spazi di bilancio per il2020 sono assai ristretti, visto anche l’im -pegno a impedire l’attivazione dellenuove aliquote Iva e dati gli impegni dispesa già in bilancio. Se ne discuteràdiffusamente nelle prossime settimane.Ma il quadro di finanza pubblica offrepiù spazio se collocato in un’ottica dimedio periodo. In quest’ottica, inoltre,la crescita favorisce la ripresa della ca-duta del debito, con impatti positivi sulrischio paese e ulteriori guadagni inconto interessi. Offrire al paese una cre-dibile prospettiva di medio termine in-nescherebbe un circolo virtuoso chepermetterebbe di sfruttare al meglio lefinestre di opportunità oggi disponibili.Sta al governo evitare che queste finestresi chiudano senza che il paese ne abbiaapprofittato.

Pier Carlo Padoan

(segue dalla prima pagina)

Quelle partite incrociate su Mefe Mise. Nomi e storie. Quanto

pesano le divisioni interne al M5s

Il quale, però, pressato a sua volta dalle ri-chieste assillanti di chi mendica una poltro-na di sottogoverno, ha messo le mani avanti.“Ora tutti dicono che abbiamo dato troppi po-sti al Pd”, ha sbottato il capo politico del M5s.“Ma al momento fatidico della trattativa,Grillo e Conte mi hanno sparato alle spalle”.Un modo, insomma, per scaricare preventi-vamente dalle sue spalle la responsabilitàper eventuali delusioni di chi, nei prossimigiorni, vedrà sfumare il sogno di un incaricogovernativo. Alessandro Di Battista, ad esem-pio, le sue ambizioni da ministro, o vice, le hagià deposte qualche giorno fa. “Io ero contra-rio a questo accordo col Pd – ha confessato aisuoi interlocutori il barricadero guatemalte-co –e l’ho detto in tutte le salse. E’stato Luigi apropormi di far parte della squadra di gover-no. Ma tempo ventiquattr’ore, mentre ancoraci riflettevo su, mi chiama Stefano Patuanelli:‘Se entri tu’, mi dice, ‘il Pd pretende di inseri-re la Boschi’. Manco morto”. Dibba a parte,molti altri aspiranti sottosegretari dovrannoattendere fino a venerdì prossimo, termineultimo per definire tutte le caselle dell’ese -cutivo rousseaugiallo. A pretendere celerità,sono i ministri economici, che più di tutti te-mono lo stallo della macchina. Motivo per cui,ad esempio, Laura Castelli confida di potermantenere il suo incarico di viceministro.“C’è stato un veto del Pd su un mio incarico diministro, ma a Via XX Settembre – dice lacontabile grillina ai deputati che s’informanosul suo futuro – serve continuità e conoscenzadelle strutture. Non è questione di andarepiù o meno d’accordo con Tria o con Gualtie-ri, è questione di avere lavorato per mesi auna legge di Bilancio che non può attendereancora molto, e di conoscerne bene ogni capi-tolo”. E quasi se lo gode, la Castelli, il garbocon cui Renato Brunetta le offre il baciama-no, in mezzo al Transatlantico, emulato di lì apoco anche da Luigi Marattin, juventino co-me lei, che potrebbe andare ad affiancarla, inquota renziana, al Mef. Dove, alla corte diGualtieri, per il Pd si fa anche il nome di Mau-ro Marino per le deleghe fiscali, o di AntonioMisani, responsabile economico della segre-teria di Nicola Zingaretti che però potrebbeanche usufruire di un piano B: e, cioè, la pre-sidenza della commissione Bilancio alla Ca-mera, che rimarrebbe orfana del grillino Da-niele Pesco qualora fosse lui a ottenere lapromozione a Via XX Settembre.

E poi c’è il Mise. Patuanelli, titolare delloSviluppo economico, mercoledì pomeriggioha convocato deputati e senatori delle com-missioni competenti. “Voglio confrontarmicon loro”, dice il neo ministro, che però dovràrinunciare alle deleghe sul Commercio este-ro che Di Maio ha rivendicato per sé alla Far-nesina. “D’altronde – dice il deputato AndreaColletti – l’aver lasciato i ministeri del Lavoroe dello Sviluppo è stato un errore di Luigi: dàl’impressione di voler scappare, anziché ri-vendicare i buoni risultati che pure avevaconseguito. Alla Farnesina dovrà inevitabil-mente giocare un ruolo più politico, ora: oc-cupandosi anche di migranti e di sostegno al-le imprese attraverso la cooperazione inter-nazionale”. Verrà affiancato da Manlio DiStefano, che per mantenere il suo incarico disottosegretario sta facendo anche valere ilbuon punteggio ottenuto nelle “graticole” in -terne fatte dai parlamentari grillini (“Il mas-simo dei voti: 10/10”, esulta). E in corsa per unposto alla Farnesina c’è anche Marta Grande,attuale presidente della commissione Esteri,che potrebbe così cedere la sua poltrona a undeputato del Pd. Quanto al Mise, Di Maio hasuggerito a Patuanelli di conservare le dele-ghe sulle Telecomunicazioni, anche se l’excapogruppo al Senato, pare ritenga più irri-nunciabili quelle all’Energia. E anche dall’e-sito di questo confronto, dipenderà il risikodei nomi per Via Veneto, dove potrebbe ap-prodare Stefano Buffagni, il milanese checontinua a sognare un posto da sottosegreta-rio a Palazzo Chigi, ma che potrebbe dovereaccettare un ruolo che lui pare non gradiretroppo. Lo si capisce dal contegno con cui ac-coglie l’invito che gli rivolge Federica Zanel-la, deputata di Forza Italia, lombarda, appe-na fuori dall’Aula: “Stefano non fare il pirla.Fai un bel respiro e accetta l’incarico di vice-ministro ai Trasporti”. Lui nicchia, fa il ritro-so: “Tutti mi vogliono dovunque ma poi nonfaccio mai niente”, sorride. E poi, velenosa,arriva la frecciata: “Quasi quasi, vado a fare ilpresidente della nuova Banca per il Mezzo-giorno”, dice, con riferimento vagamente po-lemico alla Banca pubblica per gli investi-menti nel mezzogiorno annunciata da Conte.“Sento che il nuovo ministro del Sud, comeprima mossa, ha annunciato nuove assunzio-ni nella Pa. Non è il massimo. Dobbiamo capi-re che il tema del nord e delle imprese è fon-damentale, per il bene del paese, e tra l’altro,anche per la tenuta di questo governo”.

Ma più che a quella, i grillini sono interes-sati alla spartizione delle poltrone. E alloraecco che mentre infuria il dibattito alla Ca-mera a seguito del discorso di Conte, i deputa-ti siciliani si riuniscono in conclave per pro-porre “i nomi da spingere”. E riescono a divi-dersi anche in quel consesso ristretto, se è ve-ro che i catanesi perorano la causa di LauraPaxia o Mario Giarrusso, ma i messinesi glirinfacciano che loro un ministero già l’hannoottenuto, con Nunzia Catalfo, e che semmaibisognerebbe valorizzare adesso FrancescoD’Uva, capogruppo uscente alla Camera chepuntava ai Rapporti col Parlamento, senzacontare che però i palermitani vorrebberoimporre Giorgio Trizzino, amico di Mattarel-la, alla Sanità. E intanto anche gli abruzzesi,improvvisano un summit in Transatlantico,coinvolgendo pure gli odiati colleghi del Pd.Un dibattito così convulso che Di Maio provaa riprenderne le redini, e alle otto di serachiama a raccolta i capigruppo delle variecommissioni, per imporre un metodo. Cheprevede nuove riunioni, oggi, per ciascunacommissione: e da queste verrà fuori una ro-sa di nomi di possibili sottosegretari su cui,poi, partirà il lavoro di vaglio. E sarà, c’è dascommetterci, un gioco al massacro.

Valerio Valentini

La flessibilità premia i paesi conchiari impegni per le riforme. Cosa

fare per non perdere occasioni d’oro

Chi governa la spesa

Gli impulsi di Trump in politica estera e le correzioni all’ultimo minutoE invece con due tweet ha annunciato di

avere cancellato tutto perché giovedì i tale-bani avevano ucciso un soldato americano inAfghanistan con un attacco suicida.

La giustificazione non regge molto. I taleba-ni avevano ammazzato un soldato americanoanche il 29 agosto, quindi due giorni prima del-l’approvazione dell’accordo a Doha. E avevanoucciso altri due soldati americani il 21 settem-bre. E un altro a luglio. Su quelli si poteva so-prassedere e sull’ultimo no? In realtà c’è un al-tro tema che è sempre fortissimo dentro al-l’Amministrazione Trump, quello del doppiogoverno, ovvero del tentativo da parte di moltidi correggere o mitigare gli impulsi del presi-dente. Il governo americano si comporta come

se due fazioni si contendessero le leve del po-tere. In questo caso le fazioni sono esplicite. Dauna parte ci sono il segretario di stato MikePompeo e l’inviato speciale Khalilzad e lo stes-so Trump con il suo desiderio immenso di farequalcosa di storico. Dall’altra ci sono il consi-gliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton,e alcuni consiglieri esterni che remano control’accordo, come il senatore Lindsey Graham el’ex comandante dei soldati americani in Af-ghanistan e in Iraq, David Petraeus. Quelli chesi oppongono lo fanno con parole semplici:possiamo davvero fidarci dei talebani? Voglio-no soltanto che ce ne andiamo, sanno che nes-sun presidente americano manderà di nuovosoldati se non in casi straordinari perché i co-sti politici sono altissimi, poi saranno liberi di

proseguire la loro campagna per riprendersi ilpaese. In quanto al ruolo di antiterrorismo deitalebani, chi ci crede è un illuso. L’attentato digiovedì ha fatto tentennare Trump: e se nel mo-mento del trionfo diplomatico faccio la figuradi quello che si è fatto fregare?

Così l’America ora procede in politica este-ra sospesa tra gli impulsi del presidenteTrump e le correzioni successive. Un ibridoche produce situazioni bizzarre. Da tre giornisono cominciate le pattuglie miste di soldatiamericani e soldati turchi in Siria, lungo il con-fine che era controllato dai curdi. In teoria iduemila soldati americani avrebbero dovutoritirarsi tutti entro gennaio –lo diceva un tweetdi metà dicembre 2018 – ma poi qualcuno deveaver convinto Trump a un compromesso. Così

in Siria restano mille soldati americani e se ar-rivano più soldati in un luogo perché c’è biso-gno allora altrettanti devono subito varcare ilconfine e andare in Iraq, per mantenere l’illu -sione che il contingente sia sempre soltanto dimille uomini. L’Iran ha appena annunciatoche alzerà il livello delle violazioni dell’accor -do sul nucleare, da cui Trump ha deciso di riti-rarsi – ma si aspetta l’Assemblea generale del-le Nazioni Unite tra pochi giorni per vedere seci saranno aperture. E la Corea del nord, chedoveva essere la storia di successo della diplo-mazia di rottura del presidente per ora non hafatto nessun passo reale nella direzione che leera stata chiesta. Incontri storici finché se nevuole, ma i risultati scarseggiano.

Daniele Raineri

Viva il doppio turno. Ma viva il proporzionale contro il maggioritario farloccoAl direttore - Elezioni subito! (Per il seggio

che lascia Gentiloni).Giuseppe De Filippi

Al direttore - Non trovo convincente l’indi -cazione di Paolo Gentiloni a commissario eu-ropeo. Non metto in discussione i titoli conqui-stati sul campo negli ultimi anni da Paolo. Mainvito a riflettere. L’Italia è scossa da una lottapolitica spietata. Incombono rischi di nuovelacerazioni. Occorrono gesti che dimostrinoagli italiani che il nuovo governo non intendestrafare, accaparrarsi tutte le posizioni di po-tere magari per risolvere dispute e ambizioniinterne ai partiti. Nella scelta del candidatocommissario occorreva tenere anche conto chele elezioni per il rinnovo del Parlamento diStrasburgo erano state indiscutibilmente vin-te dalla Lega. Non a caso più volte lo stessoConte aveva sostenuto che alla Lega sarebbetoccato indicare un nome per Bruxelles. Ac-qua passata. Le idiozie e la condotta dissenna-ta di Salvini hanno reso impossibile muoverein questa direzione. C’era un nuovo governocui toccava la scelta. D’accordo. Andava fattatuttavia considerando la complessità della si-tuazione politica italiana. La scelta più oppor-tuna sarebbe stata indicare una personalitàche desse ampie garanzie di impegno nel rilan-cio della integrazione europea e mostrasse for-te competenza e professionalità. Non un capopolitico. Nomi non mancavano: Veronica DeRomanis, Lucrezia Reichlin, Dario Scanna-pieco. Personalità di indiscusso valore con unforte profilo europeista e sicura competenza.Avrebbero saputo difendere gli interessi dell’I-talia. Una scelta del genere avrebbe contribui-to a migliorare il clima politico interno e sa-rebbe stata apprezzata a Bruxelles. Si è sceltoinvece il presidente del Pd. Una operazione po-litica miope, chiusa nei calcoli di partito. Pic-cole storie, di questi tempi.

Umberto Ranieri

Persona giusta al posto giusto. Un ab-braccio.

Al direttore - Vengono ripetutamente pub-blicati da taluni organi di stampa, da ultimosul Foglio a firma di Giuseppe Sottile, articoliriportanti notizie infondate in ordine al censi-

mento del patrimonio immobiliare regionaleche, a partire dal 2006, è stato commissionatodalla regione siciliana alla società partecipataSpi. Le notizie ivi riportate ignorano gli atti ele attività poste in essere dall’amministrazio -ne regionale, dapprima dal Dipartimento Bi-lancio e, dal 2016, dal Dipartimento delle fi-nanze e del credito dell’assessorato all’Econo -mia. In particolare, dal 2018, sono state avvia-te e portate a compimento le complesseprocedure per l’acquisizione della password disistema, detenuta dalla Spi, in liquidazionedal 2017. Quanto sopra per consentire l’imple -mentazione e l’aggiornamento della banca da-ti già in possesso dell’amministrazione, al fine,anche, della ricognizione straordinaria previ-sta dal D.L.vo 118/2011. L’Amministrazioneregionale, infatti, detenendo la password di“utente”, è sempre stata nelle condizioni di ac-cedere alla visualizzazione ed estrapolazionedei dati rilevati e informatizzati dalla Spi, chene curava la gestione. Circostanze tutte igno-rate dall’autore del predetto articolo. I daticontenuti nella Banca dati realizzata dallaSpi (relativi a circa 3.000 aggregati tipologicida cui derivano le schede degli immobili patri-moniali) e quelli aggiornati e implementatiscaturenti dall’attività di ricognizione straor-dinaria, che sarà effettuata dagli uffici regio-nali del genio civile competenti sul territorio econ la collaborazione dell’Agenzia del dema-nio (protocollo d’intesa sottoscritto da Agenziadel demanio e dal dipartimento delle Finanzee del Credito nel novembre 2018), costituiran-no la rete informativa, comprendente tutti idati aggiornati degli immobili di proprietà del-la regione siciliana. Infine, corre l’obbligo pre-cisare che gli importi riportati con apparenteprecisione, non trovano rispondenza nei corri-spettivi, a suo tempo, convenuti e fissati neirelativi contratti di servizio tra la regione e lasocietà partecipata Spi, e corrisposti in ragio-ne del censimento tra il 2008 e il 2015. L’ammi -nistrazione regionale delle finanze non puòche manifestare profondo disappunto per l’ap -prossimazione con la quale la materia in que-stione viene, reiteratamente, affrontata dagliarticoli di che trattasi, ingenerando presso l’o-pinione pubblica convincimenti denigratorinei confronti della Pubblica amministrazioneche, quotidianamente, è chiamata ad affron-

tare e risolvere complesse problematiche risa-lenti negli anni. Pertanto, l’amministrazionenon mancherà di avviare le opportune e dove-rose iniziative nelle competenti sedi a tuteladegli interessi e dell’immagine della stessa.Gaetano Armao, vicepresidente e assessore

all’Economia della regione siciliana

Risponde Giuseppe Sottile. In questoscandalo ci sono poche ma sostanziali cer-tezze. Un censimento che la regione potevafare con i propri mezzi è stato affidato auna società controllata da un avventuriero:Ezio Bigotti, da Pinerolo, ora agli arrestidomiciliari per corruzione in atti giudizia-ri. Che il censimento non offra una mappacompleta dei beni immobili della regione,nonostante i novanta milioni versati e poifiniti in gran parte nel paradiso fiscale delLussemburgo, si è saputo il mese scorsoquando la Corte dei conti ha chiesto i datiper quantificare in sede di parifica del bi-lancio l’ammontare del patrimonio regio-nale. Che la regione non avesse la pas-sword per accedere ai pochi dati del pre-sunto censimento lo ha dichiarato in as-semblea regionale lo stesso assessore alBilancio (ed ex consulente di Bigotti). Cheuna settimana dopo, incalzato e sbeffeggia-to in Aula dai grillini, ha ammesso però diaverla recuperata in extremis.

Al direttore - Se i democratici inseguisserola demagogia antiparlamentare dei Cinquestelle barattando il taglio di senatori e deputa-ti con un sistema elettorale proporzionale,commetterebbero un duplice errore che la de-mocrazia italiana pagherebbe a lungo, e ilPartito democratico si autocondannerebbe al-la definitiva marginalità. Tagliare le “poltro -ne”, come vanno ripetendo il “capo” 5s e i suoiseguaci per risparmiare 50 milioni l’anno,non significa altro che accreditare l’equiva -lenza del Parlamento a un poltronificio secon-do le idee che la canea anti istituzionale varipetendo senza che le persone dabbene d’ognicolore reagiscano come dovrebbero. Tornare aun sistema proporzionale, comunque cucina-to, solo perché deve essere impedito a Salvini ecompagni sovranisti di conquistare un giornoo l’altro la maggioranza, porterebbe inevita-

bilmente alla perenne debolezza degli esecuti-vi che è proprio ciò di cui l’occidente, a ragio-ne, ci accusa. Uno dei nostri maggiori guai èche fin qui l’Italia della “prima”, “seconda” e“semiterza” Repubblica non è stata capace didarsi una riforma matrice di un esecutivo for-te e stabile a fronte di un Parlamento altret-tanto forte. La proporzionale è la mina peren-ne sotto la stabilità del governo: fino al 1992era la strada obbligata perché a causa del Pcinon era possibile un’alternanza secondo i ca-noni liberali: chi vince anche con un solo votogoverna, e chi perde fa l’opposizione. Comeognuno può facilmente osservare, il trasformi-smo è oggi al cuore della politica italiana so-prattutto nel momento in cui i partiti conun’anima sono estinti. Vogliono i democraticidiventare i principi del trasformismo per acco-darsi ai conti dell’antidemocrazia digitale?Un saluto.

Massimo Teodori

Ora però non esageriamo. Il maggiorita-rio, quello vero, quello a doppio turno,quello sul modello francese, è quanto dimeglio un paese democratico possa avere,perché costringe gli elettori a scegliere dache parte stare e perché permette agli elet-tori di costruire alleanze tra culture diver-se alle urne prima ancora che in Parlamen-to. Oggi però occorre essere pragmatici emettere in fila un po’ di fatti. Il 4 dicembredel 2016 votando contro il referendum co-stituzionale si è votato anche contro il si-stema elettorale collegato, a doppio turno,e si è votato contro un modello di paeseimpostato sul maggioritario. Per parlare dimaggioritario bisognerebbe ripartire da lìe non inventarsi nuove alchimie senza sen-so per spacciare un compromesso strategi-co, l’alleanza tra Pd e M5s, in un possibilecompromesso storico. Se deve essere mag-gioritario, che sia maggioritario vero. Senon deve essere maggioritario vero, meglioil pragmatismo e meglio dare al Parlamen-to, con un proporzionale sul modello tede-sco, il potere di decidere chi deve go-vernare, specie in una fase storica incui vi è un leader antisistema capacedi usare i suoi voti per far uscire l’Ita -lia dall’euro e dall’Europa.

(segue dalla prima pagina)

Che cosa può fare ora Boris Johnson? Le varie ipotesi (poca allegria)Nelle ultime settimane del governo May

ci chiedevamo tutti: perché la premier insi-ste? Forse la risposta è visibile oggi: nonpotendo più salvare se stessa, la May prova-va a salvare il suo partito ed evitare il “nodeal”. Era convinta – come tanti altri – chenon ci fosse alternativa al suo bistrattatoaccordo: non è un caso che in questi giornisi parli della possibilità di rimettere ai votidel Parlamento per la quarta volta proprioquel testo già ampiamente bocciato (duevolte su tre anche dallo stesso Johnson). Enon è un caso che abbia ripreso quota an-che una proposta che la May era stata co-stretta a scartare perché la maggioranza in

Parlamento dipendeva dal partito nordir-landese Dup: una frontiera non tra Irlandae Irlanda del nord, ma nel canale che divi-de l’isola irlandese da quella inglese. Oggiil governo Johnson non dipende più da nes-suna maggioranza – non ce l’ha e basta – eper evitare il backstop sul confine tra Irlan-da e Irlanda del nord, che suona agli occhidei brexiteers come una resa inaccettabile,potrebbe scegliere una variante che era giàstata della May. C’è chi vede in questo rin-corrersi di vicende già viste una vendettapostuma del passato, ma è più una fissazio-ne dei commentatori inglesi che altro, ilpercorso della Brexit, già parecchio acci-dentato, ora sembra riservare soltanto ulte-

riori strappi, al punto che il New York Ti-mes di recente si è chiesto se non siamo difronte a un caso unico e inedito: la demo-crazia non può gestire un affare come laBrexit.

In realtà, senza farla troppo grossa, ba-stava dare seguito e credito alle alternativefattibili invece che alle ideologie e alle lot-te di potere, ma intanto le alternative a oggivalutabili dal governo inglese sono: non ap-plicare la legge appena approvata dal Par-lamento rischiando conseguenze giuridi-che pesanti; scrivere la lettera di rinvio al-l’Ue chiedendo ai paesi europei di non ac-cettarla: dopo che la Francia ha fattosapere che una proroga senza giustificazio-

ni chiare (vedi elezioni o referendum) nondovrebbe essere accettata, il team Johnsonha pensato di poter far leva sulle divisionidell’Ue esausta; chiedere una mozione disfiducia contro se stesso, in modo da rende-re le elezioni non soltanto inevitabili maanche urgenti; dimettersi. Nulla di cui gioi-re troppo, insomma: restano soltanto i son-daggi che ancora danno il Partito conserva-tore vincitore anche se i margini diminui-scono e non tutte le proiezioni sono concor-danti. Mica poco, se non fosse che anchequesta è una vicenda già vista e confermache il problema, con la Brexit, non era laMay: è la Brexit stessa.

Paola Peduzzi

(segue dalla prima pagina)

(segue dalla prima pagina)

L’apertura di Putin a Kiev per riavvicinarsi all’Ue e dimenticare le sanzioni“L’ingresso di Darya, una ragazza, un’opposi -

trice, in Parlamento è un segnale per il Cremli-no che se vuole andare avanti dovrà dialogarecon l’opposizione. Si è creata una nuova entitàdentro alla Duma e dovrà iniziare una nuovaèra”.

Fuori dalla Russia la rete di amicizie cheMosca era riuscita a tessere in questi ultimi an-ni si sta lacerando. I sovranisti filorussi europeiche promettevano di togliere le sanzioni a Mo-sca sono meno importanti. La Lega è uscita dalgoverno italiano, Marine Le Pen in vista delle

elezioni municipali non punta alle grandi città,si muove nei paesini lasciati un po’ fuori dallecampagne elettorali degli altri partiti. L’AfDche avrebbe dovuto conquistare l’est della Ger-mania ha sì raddoppiato i voti rispetto a cinqueanni fa, ma è un partito in cerca di autore chenon sa se spingersi ancora più a destra o norma-lizzarsi – e comunque non governa. L’Ungheriache chiamava gli europei i nuovi sovietici haammorbidito la sua russofilia a favore di unapiù ostentata, seppur di comodo, eurofilia. So-no caduti i sovranisti pro Mosca e restano inpiedi quelli che, come i polacchi del PiS, dell’a-

tlantismo hanno fatto invece una bandiera. Inquesto scenario internazionale Vladimir Putinvuole, deve, stare nei tavoli che contano e lenuove amicizie, più stabili, più forti, in Ue sonoindispensabili. “La gente in Russia è stanca dipagare per le sanzioni –dice Vitali Shkliarov –ese il Cremlino vuole essere pragmatico sa chedeve riavvicinarsi all’occidente per vedere ungiorno eliminate le sanzioni”.

Macron è determinato, vuole che il rapportocon Mosca diventi saldo, condizione che, spera,aiuterà a risolvere i rapporti con l’Iran e magaria togliere un alleato alla Cina. “E’tempo di rico-

struire la fiducia tra Russia e Europa – ha dettoLe Drian in conferenza stampa – Non è ancoraarrivato il momento di revocare le sanzioni mastiamo assistendo a un nuovo stato d’animo diMosca”. Tutto questo avrà un costo. Non soltan-to per il Cremlino, ma anche per Bruxelles chedovrà probabilmente rinunciare a una sua bat-taglia: la Crimea. Dall’annessione nel 2014 sonoiniziate le sanzioni e le ostilità. Ricominciare aparlare con Putin, il leader pragmatico senzapiù amici sovranisti in Ue, vuol dire: dimenti-chiamo il passato. Ricominciamo da zero.

Micol Flammini

(segue dalla prima pagina)

Alta Società

“Trench coat” significa cappotto datrincea. Ma ora il trench è stato esauto-rato in Italia, purtroppo, da giaccotti egiacconi. Comunque a Londra, NewYork, Chicago, se ne vedono in giro an-cora molti. Per fortuna dell’ele -ganza femminile e maschile.

Page 5: IL FOGL IOmartind1/Papers-Documents/Il Foglio 10 Settembre... · suo posto ci abbiamo messo idroits de l hommisme , i diritti dell uomo trasformati nei diritti del bambino viziato.

ANNO XXIV NUMERO 213 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019

il pensiero dominantedi Mattia Ferraresi

C’è una guerra fra conservatori americanicirca il modo di condurre la guerra, nel

senso – naturalmente – della guerra culturale,con tutte le complessità e le contraddizioni dicui l’espressione è carica. La faida è di vecchiadata, ma è riesplosa alla fine di maggio quandoSohrab Ahmari, intellettuale ed editorialistadel New York Post, ha scritto sulla rivista FirstThings un vibrante saggio intitolato “Contro ilDavid French-ismo”, rapidamente ripreso, vivi-sezionato, commentato, criticato, usato comespada oppure scudo da un ampio numero dicommentatori della destra. L’obiettivo polemi-co di Ahmari è una strategia, o meglio una per-suasione, come da terminologia kristoliana, in-carnata a suo dire da David French, intellettua-le e avvocato in forza alla National Review, dal-le cui colonne guida ormai da anni una serrata,perfino feroce critica a Donald Trump, al trum-pismo – qualunque cosa sia – e a tutti i conserva-tori che sono cascati nella falsa promessa che ilpresidente potesse essere un valido, benchélargamente inconsapevole, rappresentante del-le loro istanze. La settimana scorsa Ahmari eFrench si sono sfidati in un faccia a faccia allaCatholic University of America, una specie di fi-nale degli US open del conservatorismo, arbi-trata dall’editorialista del New York TimesRoss Douthat. La dimensione personale di que-sta disputa è totalmente irrilevante: il “Pensie -ro dominante” preferisce misurarsi con le ideeche con le loro incarnazioni storiche, pur sapen-do che separare perfettamente le une dalle al-tre è compito impossibile.

Il cuore del disaccordo fra Ahmari e Frenchriguarda la possibilità per i conservatori, e inparticolare per i cristiani, di prendere partein modo significativo ed efficace al dibattitopubblico su alcune questioni rilevanti chevengono normalmente raccolte sotto il termi-ne-ombrello culture war: protezione della vi-ta, matrimonio e famiglia, espressione dell’e-sperienza religiosa nello spazio pubblico ecosì via. Ahmari dice che questo tipo di pre-senza conservatrice e cristiana nelle societàliberali così come sono organizzate nel pre-sente non è più possibile; French sostiene in-vece che si può. Il primo invoca una strategiadi rottura, uno scontro frontale; il secondovuole invece una restaurazione dei principiliberali, correttamente intesti, che garanti-scono la libertà anche dei cristiani di manife-stare, in parole e opere, il loro credo. Il primolegge l’emergere di Trump come segno dellecontraddizioni interne al conservatorismo,un invito a superarle per cercare una nuova

sintesi; il secondo come un temporaneo im-pazzimento del sistema che va curato ripor-tando lo status quo ante, quando la compositafamiglia conservatrice era unita nell’abbrac -cio del paradigma reaganiano. La questioneha ricadute politiche immediate: una parteappoggia la rottura trumpiana come segno in-coraggiante e possibile apertura di una nuovafase – certamente belligerante – mentre l’al -tra la avversa come supremo tradimento di unimpianto che garantiva le possibilità espres-sive di una minoranza culturale che era stata,un tempo, maggioranza. Ma la dimensione po-litico-strategica poggia, in fondo, sulla dispu-ta intorno alla compatibilità o meno fra il cri-stianesimo e la società liberale. Ahmari so-

stiene la radicale incompatibilità, French po-stula una naturale armonia. A questo livello,non si tratta di un problema esclusivamenteamericano, né legato al fattore contingente dichi abita la Casa Bianca: è tema di portata oc-cidentale. Notare bene: i duellanti sono so-stanzialmente d’accordo sul merito delle que-stioni cruciali, dall’aborto all’eutanasia, dalmatrimonio gay alla prospettiva del poliamo-re, dalla libertà religiosa ai cosiddetti dirittiriproduttivi. Dissentono su come portareavanti certe idee nell’arena. Eppure – e quista la complicazione – nello svolgersi del di-battito si scopre che metodo e merito non sipossono completamente distinguere.

Ahmari scrive che l’unica via possibile è

“combattere la guerra culturale con lo scopodi sconfiggere il nemico e di godere del botti-no nella forma di una piazza pubblica riorien-tata verso il bene comune e, in ultima istanza,verso il Bene Supremo”, mentre il suo avver-sario della National Review “crede che le isti-tuzioni di una società tecnocratica di mercatosiano zone neutrali che dovrebbero, in teoria,accomodare tanto il cristianesimo tradiziona-le quanto i modi libertini e le ideologie paga-nizzanti che vi si oppongono”. E’ in nome diquesta posizione che French ha passato unavita a difendere nei tribunali cristiani discri-minati in ambienti ultra-secolarizzati per leloro convinzioni. Altro che istituzioni neutra-li, ribatte Ahmari, l’impianto di garanzie del-

la società liberale sta rivelando il suo pregiu-dizio nei confronti di certe idee, e questo stamodellando una società che incoraggia l’edu -cazione all’ideologia transgender nelle bi-blioteche pubbliche e impedisce ai pasticceridi obiettare alle richieste nuziali di coppieomosessuali. Il dubbio di Ahmari è che questopregiudizio fosse già scritto nell’origine del-l’impianto liberale, e la recente accelerazio-ne verso nuove sensibilità sociali abbia sol-tanto svelato ciò che già c’era.

Si può perimetrare, se non addirittura af-ferrare, il contenuto di questa specie di pre-giudizio? Ahmari lo fa, scandalizzando tutti idavidfrenchisti espliciti o latenti: l’autono -mia individuale. “Anche se è culturalmenteconservatore – scrive – French è politicamen-te liberale, il che significa che la sua stella po-lare è l’autonomia individuale: considera laprotezione dell’autonomia come il principa-le, se non l’unico scopo dello stato. E qui sta ilproblema: anche il movimento con cui ci scon-triamo esalta sopra tutto la libertà individua-le. Il suo scopo ultimo è assicurare il massimospazio alla volontà soggettiva di definire ciòche è vero, buono e bello, contro l’autoritàdella tradizione”. Perciò, prosegue Ahmari,dicono: “Per realizzare la piena autonomiadovete affermare le nostre scelte sessuali, lenostre trasgressioni, il nostro potere di sfigu-rare i nostri corpi e ridefinire cosa significaessere umani, e la vostra disapprovazione inquesto ci impedisce di sentirci compiutamen-te autonomi”. Ed ecco squadernato il corto-circuito che ha dato origine alla disputa: “Illiberalismo che massimizza l’autonomia ènormativo, a suo modo. Perciò rappresental’interiorizzazione, e il compimento, della vi-sione del mondo di French. Ed è così che ildavidfrenchismo finisce in trappola”.

La conseguenza più immediata è che Fren-ch e i frenchisti credono di potere combatterela culture war in termini, appunto, di cultura,ponendo nel libero mercato delle idee che sitrovano in questo momento storico in posizio-ne di minoranza. Ahmari e i suoi seguaci vo-gliono invece opporsi all’intera struttura delmercato delle idee. Criticano il campo da gio-co e il regolamento, non il punteggio dellapartita. La loro obiezione è radicale: l’autono -mia individuale che è il fulcro della strutturaliberale contiene già una visione del mondoincompatibile con quella di chi intende rifon-dare il conservatorismo. E’ una divergenza fraparadigmi antropologici e politici, non sol-tanto un litigio sulle strategie.

DUE IDEE DI DESTRA PER FARELA NUOVA CULTURE WAR

Il dilemma dei conservatori americani: sgomitare nel perimetro liberaleo armarsi per la rivoluzione? Appunti sullo scontro Ahmari-French

Secondo Sohrab Ahmari e i suoi sodali Donald Trump ha seppellito un consenso conservatore che era già morto, schiacciato sotto il peso delle sue contraddizioni (foto Reuters)

Riportiamo l’introduzione dell’appello “Against the Dead Consensus”uscito a marzoe firmato da decine di intellettuali conservatori americani che contestano la strategiasterile con cui la destra ha accettato di fatto la capitolazione nella battaglia culturale.

Le elezioni del 2016 hanno mostrato divisioni ideologiche profonde, e a lungonascoste, fra gli intellettuali conservatori americani. Alcuni di noi hanno soste-nuto con convinzione l’ascesa di Trump. Altri sono stati sostenitori riluttanti. Al-tri ancora si sono opposti alla sua candidatura, hanno adottato l’etichetta di “Ne -ver Trump” e in alcuni casi hanno appoggiato Hillary Clinton. Eppure due annipiù tardi diciamo a una voce: non si può ritornare al consenso pre-Trump che ècollassato nel 2016. Ogni tentativo di rivitalizzare il fallimentare consenso repub-blicano che ha preceduto Trump sarebbe scellerato e dannoso per la destra. Dia -mo onore al merito: il consenso conservatore ha avuto un ruolo eroico nella scon -fitta del comunismo nel secolo scorso, promuovendo la prosperità interna e l’e-spansione di un ordine internazionale basato sulle regole. Nella sua stagione mi-gliore, il vecchio consenso ha difeso i diritti naturali degli americani e la“trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibi -le” (Giovanni Paolo II,Centesimus Annus) contro i soprusi dei regimi totalitari. Ma

anche durante la Guerra fredda, il conservatorismo troppo spesso ha seguito lastessa stella polare del liberalismo – l’autonomia individuale. L’idolatria dell’au -tonomia ha paradossalmente alimentato la stessa tirannia che i conservatori di-cono di detestare. La filosofia pubblica dell’America oggi si fonda sul “diritto diciascuno di definire il proprio concetto del mistero della vita umana”, come hascritto il giudice Kennedy, il conservatore libertario per eccellenza, nel confer-mare il diritto costituzionale all’aborto [...].. Certo, il vecchio consenso ha formal-mente professato la sua fede nei valori tradizionali. Ma non è riuscito a ritardare,figurarsi ad invertire, l’eclissi di verità permanenti, la stabilità della famiglia, lasolidarietà nelle comunità e molto altro. Si è arreso alla pornificazione della vitaquotidiana, alla cultura della morte, al culto della competizione. Troppo spesso siè inchinato a un velenoso multiculturalismo. Di fronte allo squillante “No!” deglielettori a queste forze centrifughe, i conservatori del consenso si sono irrigiditisulle loro certezze. Hanno elevato giudizi prudenziali a sacri dogmi. Questi dogmi– libero commercio, libertà di movimento attraverso ogni confine, small gover-nment come fine in sé, avanzamento tecnologico come panacea – hanno impeditoil dibattito sulla natura e lo scopo del vivere comune. I conservatori del consensohanno smesso di indagare le questioni ultime. Ma noi non smetteremo.

La destra ha smesso di occuparsi delle cose ultime: noi noL’APPELLO ALL’ORIGINE DEL DIBATTITO ATTACCA IL “CONSENSO MORTO” CHE IDOLATRA L’AUTONOMIA INDIVIDUALE

Il valore del dibattito fra i giornalisti pensantiSohrab Ahmari e David French – un terzo dispu -

tatio medievale, un terzo tribuna televisiva e unterzo panel di Cernobbio – non è nello scambio insé, che non esaurisce alcuno dei problemi che po-ne né offre all’uditorio una chiara ipotesi inter-pretativa intorno alla destra che verrà. No: il valo-re è nella profondità delle questioni che hanno su-scitato un dialogo poi inevitabilmente imperfetto.Se sia legittimo, doveroso oppure disdicevole perun conservatore americano sostenere DonaldTrump (ogni conservatore può fare l’analogia conil populista che gli tocca in sorte) è in fondo unaquestione transitoria e che ha una data di scaden-za elettorale piuttosto ravvicinata. Più interessan-te, invece, indagare il rapporto fra vocazione con-servatrice e sensibilità libertaria, valutare se e aquali condizioni l’abbraccio al libero mercato puòessere stretto mentre si professa una smodata pas-sione per la tradizione, oppure se può una sensibi-lità cristiana convivere con l’elezione dell’auto -nomia individuale a stella polare nel firmamentoantropologico e politico. In questo campo, distin-guere i giudizi prudenziali dai dogmi è cruciale,ma occorre imbarcarsi in un lungo percorso a ri-troso per recuperare i fondamentali della posizio-ne conservatrice. Si tratta di miele per le orecchiedel “Pensiero dominante”, sempre alla ricerca ditracce di definitivo nel mare increspato del prov-visorio. Ahmari e French muovono il primo passodi un percorso di revisione tortuoso ma necessa-rio per inquadrare i tormenti delle destre di oggi,strette fra discipline tradizionali interiorizzate eil chiaro senso, certificato nelle urne, che i pilastridi una certa persuasione conservatrice si stianosgretolando, e l’intero edificio traballi pericolosa-mente. Il consenso conservatore, in un certo sen-so, è “morto”, come dicono gli estensori dell’ap -pello che ha dato via al dibattito, e che riportiamoparzialmente qui sotto. Si tratta di capire se allamorte seguirà una resurrezione.

In morte del movimentoconservatore (per la

resurrezione si vedrà)L’ILLUSIONE DI RIPORTARE LE LANCETTE

ALL’ERA IDEOLOGICA PRE-TRUMP

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ANNO XXIV NUMERO 213 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019

Emilio Sereni, messo a capo di un mini-stero, quello dell’assistenza postbellica, dinatura particolare, perché non nato comeorganismo burocratico, definì la relativa

burocrazia “inesperta e incontrollata” (E.Sereni, “Diario (1946-1952)”, Roma, Caroc-ci, 2015, p. 21). Vanoni trovò gli uffici dellefinanze in “condizioni miserevoli”: “Po -chissimi uffici avevano il telefono; moltinon avevano macchine da scrivere né dacalcolo e, quando vi erano, si scopriva cheerano state date in prestito da qualche dit-ta locale o da qualche associazione di ope-ratori economici” (secondo il resoconto diG. Stammati, “La finanza pubblica italianaraccontata da un testimone (1945-1975)”,Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1990,p. 97). Fanfani, all’atto del trasferimentodegli uffici della presidenza del Consigliodei ministri a Palazzo Chigi, nel 1961, scris-se “trovo conferma [di] quanto lenta e ar-rugginita sia la nostra amministrazione”(A. Fanfani, “Diari”, vol. IV 1960-1963, So-veria Mannelli, Rubbettino, 2012, p. 226).

Mali antichi.Tanto antichi. Francesco de Sanctis, nel

programma elettorale del 1865, lamentava:“E’ mancato il vigore dell’esecuzione”. Eaggiungeva, con parole di straordinaria at-tualità, “perché le lotte politiche hannotolto il tempo alle riforme amministrative;perché nessun ministero è durato tanto dacompiere e attuare tutto il suo programma;perché le discussioni sono state intermi-nabili, le interpellanze infinite; perché i

ministeri uscenti da certi gruppi dellaMaggioranza ed insidiati da altri, non han-no avuto l’autorità e la forza di spezzaretutti gli ostacoli che alle riforme oppongo-no gl’interessi coalizzati, le abitudini inve-terate, la resistenza passiva, la rilassatez-za delle amministrazioni. Vede quello cheavviene ne’ municipi. Le idee ci sono, leriforme si propongono; i progetti si è facilia farli; ma quando si tratta di eseguirli,quanti ostacoli! Quante passioni! Quantaresistenza nelle abitudini, ne’ pregiudizi,negli interessi! Ingrandite l’esempio, ecomprenderete perché nella Camera allebelle intenzioni non ha sempre corrispo-sto l’esecuzione” (il discorso è ora ripro-dotto in F. De Sanctis, “L’Italia sarà quelloche sarete voi. Discorsi e scritti politici(1848-1883)”, Sant’Angelo dei Lombardi,Delta edizioni, 2014, pp. 91-92). Nel 1918Oscar Sinigaglia va al ministero delle Ar-mi e munizioni e osserva: “Ho trovato uncaos fantastico: i contratti erano fatti aprezzi pazzeschi, i fornitori non venivanopagati per arenamento di tutte le praticheamministrative”. E continua osservandoche lo Stato firmava i contratti senza entra-re affatto nel merito dei costi di produzione(si veda L. Villari, “Le avventure di un capi-tano d’industria”, Torino, Einaudi, 1991, p.34). Di qui le proposte di agire al di fuoridell’amministrazione (ivi, pp. 41, 42 e 44).

Ma quali sono state le ragioni di questa si-tuazione?

Lo spiega ancora un uomo di governo:“E’ una manchevolezza di cui si deve farcarico la classe politica dirigente di allora:la restitutio in integrum del vecchio appara-to dello Stato. Non solo degli uomini, moltoadusi alla routine d’uno Stato ormai remo-to rispetto alle esigenze di un mondo nuo-vo, molto viziati di nostalgia per un regimeche aveva dato alla burocrazia un poteredivenuto, un po’ alla volta, la struttura por-tante e spesso condizionante se non deci-sionale come di solito avviene nei sistemiautoritari” (M. Rumor, “Memorie (1943-1970)”, Vicenza, Neri Pozza, 1991, p. 131,riferendosi implicitamente a una respon-sabilità del “continuismo” degasperiano).Tentativi di modificare la situazione nonsono mancati, come testimoniato da An-dreotti, che scrive nei suoi diari nel 1977

che in Consiglio dei ministri “si discutecome snellire le procedure nella macchi-na statale. Controlli anche più severi, magli interventi debbono attuarsi tempesti-vamente” (G. Andreotti, “Diari 1976-1979”,Milano, Rizzoli, 1981, p. 97).

E le valutazioni dei socialisti, quando en-trano nella “stanza dei bottoni”?

Pietro Nenni nel volume “Gli anni delcentro sinistra. Diari 1957-1966”, Milano,Sugarco, 1982, fa oggetto di riflessioni laPubblica amministrazione quasi ogni an-

no. Nel 1963, scrive che la Democrazia cri-stiana ha “modellato a propria immaginegli alti gradi della Pubblica amministra-zione” e creato “una infinità di enti”. Eaggiunge che non si sa se la Dc li controllio sia da questi controllata e che compitodel Partito socialista è “liberare i fermentiriformatori” (pp. 311-312). Nel 1964 lamen-ta la “subordinazione degli uffici pubbliciai monopoli” per “l’inefficienza tecnicadei servizi pubblici di tutela e controllo” ele “insufficienze organiche dell’ammini -

strazione dello Stato” (pp. 324-325 e 327).Nello stesso anno, riferisce che Tremello-ni giudica l’amministrazione che guida, ilministero delle Finanze, “vecchia, ammuf-fita, con amanuensi all’epoca della mecca-nografia, non corrotta, ma tale è” (p. 332). Eaggiunge: “Ogni ministero vede il suo set-tore e basta” (p. 322). Per giungere alla con-clusione, nel 1966, che “la riforma delloStato, della finanza locale, del sistema pre-videnziale, è ormai il maggiore problemadel paese” (p. 677).

E quello dei comunisti, quando anche essientrano nella stanza dei bottoni?

Altrettanto negativo. Fernando Di Giu-lio, “Un ministro ombra si confessa”, Mila-no, Rizzoli, 1979, pp. 101-104, 39-40, 150-155,lamentava l’“assoluta incapacità di dire-zione del governo” e lo “scollamento deivari ministeri”, l’“inadeguatezza dell’ap -parato statale”, la “profondità dei guasti”.Singolare, però, che la sinistra, tanto criti-ca dello Stato, andata al potere, invece dicambiarlo, lo accettò e vi convisse.

In anni più vicini a noi?Il giudizio non cambia: Matteo Renzi si

vanta ripetutamente delle sue lotte controla burocrazia, lamentandone lo “spezzatinodi competenze, a compartimenti stagni” (M.Renzi, “Un’altra strada. Idee per l’Italia didomani”, Venezia, Marsilio, 2019, p. 191).

Insomma, un vizio di origine.Si assicurò la discontinuità costituzio-

nale e si accettò la continuità amministra-tiva. Lo Stato venne artificiosamente divi-so in due, cambiando una parte, lasciandoimmutata l’altra parte. Si può fare un’ipo -tesi per spiegare questa singolare scelta.Politici da lungo tempo lontani dalla real-tà italiana, alcuni esuli da dieci – venti an-ni, da un lato sottovalutavano, per assenzadi conoscenza diretta, la crescita dello Sta-to italiano durante il fascismo; dall’altraritenevano che bastasse una diversa guidapolitica per orientare l’amministrazione.Solo pochi, come Massimo Severo Gianni-ni, sapevano quale potente forza si nascon-de nella burocrazia, nelle incrostazioniamministrative, nel principio di continui-tà dello Stato, affidato principalmente allaburocrazia. Infatti, Giannini, con Barbara,preparò per la commissione Forti, nel pe-riodo preparatorio della Costituente, unaproposta che avrebbe portato alla elimina-zione dei ministeri. Non va sottovalutatoun altro elemento, che spinse Togliatti afrenare l’epurazione: il timore che potes-sero prevalere forze contrarie al rinnova-mento politico-costituzionale e il deside-rio di pace sociale, di evitare una divisionedella società civile.

Ma da allora sono passati settant’anni.E si sono fatte cure palliative. Le ragioni

sono molte. Una cultura amministrativa diavvocati, che non studia la realtà degli uf-fici. Una burocrazia nello stesso tempo ti-mida, inconsapevole dei difetti della mac-china che guida, timorosa nel propornemodifiche. Politici sempre transeunti alvertice delle amministrazioni. Più tardi,con la istituzione delle regioni, che hannoormai mezzo secolo di vita, la difficoltà dipadroneggiare e persino conoscere unarealtà tanto differenziata.

Ma i tentativi sono stati molti, e molti vihanno partecipato.

Sì, ma sono stati tutti di breve durata,mentre per lasciare un segno di cambia-mento nell’amministrazione serve un’azio -ne continua di durata almeno quinquen-nale. Il risultato è che abbiamo da un latoun enorme bisogno di un’amministrazionemigliore, dall’altro tanti cantieri abbando-nati all’inizio dell’opera con progetti la-sciati incompiuti, alcuni buoni, altri sba-gliati. Il difetto di molti di questi disegniriformatori è di essersi fermati all’“attivi -tà legislativa, dimenticando la fase attuati-va, che è quella più importante. Da ultimo(primo governo Conte), il paradosso è statoquello di aver impostato l’azione legislati-va in termini di “concretezza” rimanendoalla sola proclamazione legislativa dellaconcretezza, quindi all’astratto.

Ma è corretto buttare tutte le colpe sullaburocrazia?

Giusta domanda. La burocrazia è il ter-minale ultimo dello Stato, quello a contat-to con la comunità, con i cittadini, quelloche dà concreta attuazione a molte deci-sioni prese “a monte”. Tutti gli errori chesi fanno prima, vengono scaricati sulla bu-rocrazia. Quest’ultima ha la sua parte diresponsabilità, ma finisce per portare ilpeso anche delle responsabilità di moltialtri “attori” del processo di decisione: ilParlamento che decide senza misurare ri-sorse ed effetti concreti delle leggi, gover-no che crea condizioni difficili per gli am-ministratori, ponendo sulle loro spalletroppe responsabilità, pluralismo ammi-nistrativo che complica i processi di deci-sione, controllori ciechi e sempre avidi dinuovi compiti, che spaventano, mettono ibastoni tra le ruote, bloccano, e così via.

“Le lotte politiche hanno tolto il tempo alle riforme amministrative”, scriveva Francesco de Sanctis (foto LaPresse)

“Zingaretti sembra Kutuzov, ma ora il Pd deve difendere l’equilibrio raggiunto”ARTURO PARISI CI SPIEGA COME POSSONO MUOVERSI I DEMOCRATICI PER NON FARSI IMBRIGLIARE DAI CINQUE STELLE, “CHE RESTERANNO BARBARI ANCORA PER UN PO’”

Roma. Una questione ancora tutta dachiarire è come riuscirà il Pd a gestire ilrapporto con i Cinque stelle, governan-doci insieme, senza snaturarsi. Senzadunque farsi dettare l’agenda dall’allea -to molto ingombrante, come dimostranoi rapporti di forza in Parlamento. “Seavessi un’idea più chiara sulla naturaattuale del Pd forse qualche consigliomi verrebbe in mente”, motteggia ilprofessor Arturo Parisi parlando con ilFoglio.

“Se invece mettendola piatta e chie-dendoci in che modo il Pd può evitare difinire sotto, più o meno come i 5 stellefinirono sotto Salvini, mi verrebbe dadire, difendendo semplicemente l’equili -brio raggiunto. Un signor equilibrio. Astare ai risultati finora incassati dovreiinfatti riconoscere che mi sono sbagliatodi brutto. Partito ricordando, da uomoqualunque, che ‘presto e bene raro av-viene’, reindossati gli abiti diciamo dapolitico saputo dovrei infatti prendere

atto del fatto che questa volta per il Pdsarebbe finita ‘prestissimo e benissimo’.Cosa che rarissimo avviene. Con un par-tito apparentemente unito come mai inpassato, un consenso tra gli elettori di-chiarati largo oltre ogni aspettativa, e untrattamento nella ripartizione dei postigovernativi da pari a pari nonostanteche i rapporti di forza vedano ancora ilpartito più o meno con la metà dei seggi5 stelle. E se è vero come è vero che laquestione Europa è quella dirimente colPd, con il controllo diretto di tutte leposizioni che contano nel rapporto conl’Unione. A Bruxelles dal Presidente delParlamento Europeo alla Commissione.E a Roma dal ministro dell’Economia aquello degli Affari europei. Tutte perso-ne esperte, e riconosciute autorevoli. Eil tutto in pochissimi giorni, se non addi-rittura in ore”. Mentre l’anno scorso, ri-corda Parisi, “i due populisti ci hannomesso più di due mesi. E in GermaniaDemocristiani e Socialisti che pure era-

no già stati alleati ci avevano messo piùdel doppio. Per non parlare della Spa-gna dove Socialisti e Podemos rischianodi far saltare il confronto per la pretesadi dare stabilità al futuro grazie a unaccordo negoziato punto per punto. Do-vrebbero venire a lezione da noi. Unmiracolo”. Verrebbe quindi da dire, ag-giunge Parisi, “‘calma e gesso’. Cammi-nare in punta dei piedi e misurare leparole. E’ vero che San Matteo ha inter-cesso su entrambi i fronti di sua compe-tenza alla grande. Ma è difficile che imiracoli capitino due volte di seguito.Anche perché, mi faccia tornare cittadi-no qualunque, vedo tutto incollato con losputo. Con lo sputo”.

E’ possibile secondo lei che il Pd rie-sca a ‘romanizzare i barbari’? “Più dicosì per ora mi sembra difficile. E’ veroche a osservarlo da fuori Zingaretti sem-brerebbe aver seguito la linea di ritiratastrategica adottata da Kutuzov durantela disastrosa campagna napoleonica in

Russia. Partito con la parola d’ordine‘non c’è alternativa al voto’, per poi pas-sare a ‘accordo serio o voto’, e, dopo averabbandonato nel negoziato la minacciaarmata del voto, ripiegare su ‘accordoma con discontinuità nella premiershipe nel programma’ per approdare infinein pochi giorni ad accettare ‘la continui-tà nella premiership e nel programma’.Va pure bene il ripiegamento strategico,ma il contrattacco mi sembra decisa-mente fuori dal tempo. Anche perchéanche Grillo pensa di essere Kutuzov epensa il Pd nella parte dei francesi.Quanto al romanizzare i barbari, è benericordare che romani non sono soloquelli che sono nati a Roma, ma quelliche si sono romanizzati in proporzioneal tempo che nei palazzi romani hannovissuto”.

Insomma, dice Parisi, “sconsigliereiperciò di provocare i 5 stelle perché ri-spetto al Pd che non vive semplicementea Roma ma nel centro del sistema, da 25

anni politicamente accampato attorno ein difesa del fatidico Colle, i grillini re-stano e resteranno ‘barbari’ ancora perun po’. Barbari e, a differenza di nemme-no un mese fa, di nuovo vincenti. Bastaripassarsi la foto di Di Maio con i suoiministri, leggere i titoli che ricordanoche un fidanzamento come quello con laLega basta e avanza, e, soprattutto, dareun occhio ai sondaggi che suggerisconoche gli elettori grillini che si erano rifu-giati nell’astensione, frustati dalla subal-ternità al vero barbaro, vanno tornandoa casa e riportando il Movimento in se-conda posizione. Ancora dietro la Legama di nuovo avanti al Pd”.

Il Pd, come partito, deve cambiarequalcosa? Di recente ho partecipato auna festa dell’Unità, a Milano, e i mili-tanti sembravano disorientati dall’assen -za di parole chiave e identità precise (adifferenza della Lega per esempio).“Tutto dipende dalla definizione chediamo dell’incontro tra 5 stelle e Pd. E’

come dice Renzi null’altro che una tre-gua con le armi ancora imbracciate traforze che restano profondamente diver-se? O, esattamente e ancora una voltaall’opposto, come dice D’Alema, si trattadell’inevitabile ritorno del suo popolonella casa paterna?”. Nel primo caso,sottolinea Parisi, “lo vedremo presto. Co-sì come, se fosse vero il secondo, cresce-ranno ogni giorno di più le pressioni aformalizzare in una qualche unione civi-le quella che ora è al massimo una con-vivenza di fatto”.

Di certo, dice il professore, “ho diffi-coltà a immaginare i grillini accogliere ilsegretario Pd al canto di Bandiera Ros-sa, come è capitato ieri (domenica, ndr) aRavenna, e riconoscersi nel vice segreta-rio vicario che, come ogni anno, appenapoche settimane fa si è recato per ribadi-re la continuità di una storia sulla tombadi Palmiro Togliatti, primo segretariodel partito”.

David Allegranti

LA BUROCRAZIA MALATAGrandi cantieri abbandonati, progetti incompiuti, idee mai realizzate e un giudizio unanime da studiare:

“inadeguatezza”.Come affrontare il tema dei temi: l’utopia di un’amministrazione migliore. Spunti e falsi amici(segue dalla prima pagina)

LA VERSIONE DI CASSESE

Molti disegni riformatori sisono fermat i a l l ’a t t iv i tàlegislativa, dimenticando la faseattuativa, quella più importante

Solo pochi uomini politicisapevano quale potente forza sinasconde nella burocrazia, nelleincrostazioni amministrative

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ANNO XXIV NUMERO 213 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019

LA CONVERSIONE DI CONTELa discontinuità con il passato, la cornice europea, la scelta tra Stati Uniti e Russia,

le tasse da abbassare, lo spread come riforma strutturale. Cos’è la svolta del BisContedi Giuseppe Conte

E’ durato un’ora e venti minuti l’intervento del premier Giuseppe Conte ieri alla Camera dei deputati (foto LaPresse)

Pubblichiamo stralci dell’intervento pronun-ciato ieri alla Camera dal presidente del Consi-glio Giuseppe Conte, nel corso della giornata incui ha chiesto il primo voto di fiducia al nuovogoverno.

Il programma che mi accingo ad illustrarenon è una mera elencazione di proposte ete-

rogenee che si sovrappongono l’una sull’altra,né tantomeno è la mera sommatoria delle di-verse posizioni assunte dalle forze politicheche hanno inteso sostenere questa iniziativa; è,al contrario, una sintesi programmatica che di-segna l’Italia del futuro, è un progetto di gover-no del Paese, fortemente connotato sul pianopolitico, che preannuncia specifiche rispostealle attese e ai bisogni dei cittadini, risposteche ci impegniamo a realizzare con il lavoro el’impegno delle donne e degli uomini che quimi affiancano; è un programma che ha l’ambi -zione di delineare la società in cui vogliamo vi-vere noi stessi, che abbiamo già un po’ di annisulle spalle, ma soprattutto la società che vo-gliamo consegnare ai nostri figli e ai nostri ni-poti, nella consapevolezza che il patto politico

e sociale che oggi proponiamo a voi e ai cittadi-ni italiani si proietta necessariamente, per es-sere sostenibile, in una dimensione intergene-razionale.

Questo progetto politico segna l’inizio diuna nuova, che confidiamo risolutiva, stagio-ne riformatrice. Come più volte hanno solle-citato le stesse forze di maggioranza, è un pro-getto che presenta elementi e caratteristichedi forte novità: nuovo nella sua impostazione,nuovo nel suo impianto progettuale, nuovonella determinazione ad invertire gli indiriz-zi meno efficaci delle pregresse azioni, nuovonelle modalità di elaborazione delle soluzio-ni ai bisogni dei cittadini e alle urgenze cheassillano la società, nuovo nel suo sforzo di af-frontare, con la massima rapidità, le questio-ni più sensibili e più critiche.

Nello stesso tempo questo progetto, perquanto ben avanzato sul terreno dei contenu-ti, ambisce a recuperare, con umiltà, contan-do sull’aiuto di tutti, un metodo di condottapolitica che valorizzi, traendo ispirazione dalpassato, dal nostro migliore passato, equili-brio e misura, sobrietà e rigore, affinché i no-stri cittadini possano guardarci con rinnova-ta fiducia, quella fiducia nelle istituzioni cheè presupposto imprescindibile affinché l’a-zione di Governo, e più in generale le iniziati-ve di tutti i pubblici poteri possano rivelarsirealmente efficaci.

E’ un progetto politico di ampia portata, semi permettete anche culturale. Vogliamo vol-gerci alle spalle il frastuono dei proclamiinutili, delle dichiarazioni bellicose e ro-boanti. Io e tutti i miei Ministri prendiamo ilsolenne impegno, oggi, davanti a voi, a curarele parole, ad adoperare un lessico più conso-no, più rispettoso. (…)

La lingua del Governo sarà una lingua mi-te, perché siamo consapevoli che la forza del-

la nostra azione non si misurerà con l’arro -ganza delle nostre parole. I cittadini ci guar-dano, ci ascoltano, attendono da noi una pa-rola e un’azione all’altezza della funzionealla quale siamo chiamati. Si attendono danoi consapevolezza del ruolo e anche un sup-plemento di umanità. Non possiamo delude-re le loro aspettative. Faccio mie le parolepronunciate da Giuseppe Saragat nella sedu-ta inaugurale dell’Assemblea Costituente:“Fate che il volto di questa Repubblica sia unvolto umano. Ricordatevi che la democrazianon è soltanto un rapporto fra maggioranza eminoranza, non è soltanto un armonico equi-librio di poteri sotto il presidio di quello so-vrano della nazione, ma è soprattutto un pro-blema di rapporti fra uomo e uomo. Dove que-sti rapporti sono umani, la democrazia esiste;dove sono inumani, essa non è che la masche-ra di una nuova tirannide”. (…)

Lavoriamo dunque insieme, ogni giorno,nelle Aule parlamentari, nelle Commissionie nel Governo per promuovere una democra-zia autenticamente umana. In questa pro-spettiva il nostro Governo si richiamerà co-stantemente a un quadro consolidato di prin-cipi e valori in grado di offrire respiro e oriz-

zonte alle proprie politiche. Sono principiche ritengo non negoziabili, perché universa-li. Essi si collocano in una dimensione sovra-governativa, non hanno colore politico (…)

All’interno di questi valori, in questa cor-nice di riferimento costituzionalmente carat-terizzata, si ascrive la nostra azione riforma-trice, racchiusa in un programma del qualesarò il garante, il primo responsabile, e checercherò di tratteggiare nelle sue linee es-senziali in questo mio intervento. Gli obietti-vi che abbiamo posto a fondamento di questaazione di Governo sono elementi essenzialidi un progetto riformatore che mira a far rina-scere il Paese nel segno dello sviluppo, del-l’innovazione, dell’equità sociale. (…)

Non possiamo limitarci a porre in essereazioni che intervengano marginalmente nel-la struttura del nostro sistema Paese. Abbia-mo l’opportunità storica di imprimere unasvolta profonda nelle politiche economiche esociali che restituisca una prospettiva di svi-luppo, di speranza ai giovani, alle famiglie abasso reddito, oltre a tutto il sistema produtti-vo. Da troppi anni l’Italia fatica ad esprimereil proprio potenziale di sviluppo, cresce a rit-mi molto inferiori rispetto a quelli che po-trebbero garantire sul piano sociale, ambien-tale ed economico uno sviluppo armonico esostenibile. Ne ha risentito la qualità della vi-ta dei cittadini, la capacità dei giovani di per-seguire con piena fiducia i propri progetti divita, la garanzia di una terza età serena, la ca-pacità stessa della mano pubblica di fornirebeni collettivi di qualità, senza i quali non èpossibile coltivare nessuna prospettiva diprogresso. Occorre dunque invertire questatendenza, attraverso un’azione coordinatasul piano interno ma anche a livello europeo.(…)

Il primo immediato intervento sarà sugliasili nido, non possiamo indugiare oltre. Raf-forzare l’offerta e la qualità dell’educazionefin dal nido è un investimento strategico peril futuro della nostra società, perché combat-te le diseguaglianze sociali che purtroppo simanifestano sin dai primissimi anni di vita efavorisce una più completa integrazione del-le donne nella nostra comunità di vita socialee lavorativa. Dobbiamo contrastare la falsamitologia per cui la cura della comunità fami-liare, dei figli e degli anziani possa essere diostacolo a una più intensa partecipazione almercato del lavoro. Il simultaneo persegui-mento di questi obiettivi è possibile; è possi-bile con adeguate politiche di offerta di servi-zi alle famiglie, coerente distribuzione delcarico fiscale, lotta alla discriminazione di

genere, in particolare nei luoghi di lavoro.Questo Governo, come prima misura di in-

tervento a favore delle famiglie con redditibassi e medi, si adopererà con le regioni perazzerare totalmente le rette per la frequenzadi asili nido e micro nidi. (…)

La rivoluzione dell’innovazione non puòrealizzarsi tuttavia senza un’adeguata rete diinfrastrutture tradizionali, dei trasporti, del-le reti dei servizi pubblici essenziali, senzaun’attenta politica di difesa del territorio edell’ambiente. È necessario per questo ravvi-vare la dinamica degli investimenti, sia pro-seguendo nell’azione di supporto alle pubbli-che amministrazioni, sia nella definizionedelle priorità fondamentali su cui concentra-re nuove risorse. Le infrastrutture in questaprospettiva sono essenziali per avviare unanuova strategia di crescita, fondata sulla so-stenibilità. Abbiamo bisogno di un sistemamoderno, connesso, integrato, più sicuro chetenga conto degli impatti sociali e ambientalidelle opere. (…)

Renderemo più efficiente, più razionale ilsistema delle concessioni dei beni e dei servi-zi pubblici, operando una progressiva mainesorabile revisione di tutto il sistema. (…)

Quanto al procedimento in tema di conces-sioni autostradali avviato a seguito del PonteMorandi, voglio chiarire che questo Governoporterà a completamento il procedimentosenza nessuno sconto per gli interessi privatiavendo quale obiettivo esclusivo la tuteladell’interesse pubblico e con esso la memo-ria, la memoria delle quarantatré vittime,una tragedia che rimarrà una pagina indele-bile della nostra storia patria. Nella prospet-tiva di un’azione riformatrice coraggiosa e in-novativa, obiettivo primario del Governo saràla realizzazione di un green new deal, chepromuova la rigenerazione urbana, he pro-muova la rigenerazione urbana, la riconver-sione energetica verso un progressivo e sem-pre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili,la protezione delle biodiversità e dei mari, ilcontrasto ai cambiamenti climatici. Siamodeterminati ad introdurre una normativa chenon consenta più il rilascio di nuove conces-sioni di trivellazione per estrazione di idro-carburi. (…)

Dobbiamo creare le premesse e le condi-zioni affinché chi voglia crescere, competerepiù a largo raggio, possa farlo consolidando lapropria posizione anche nei mercati globali.(…)

Tutte le evidenze empiriche ci dicono d’al -tra parte che, quando l’impresa cresce, tendea retribuire meglio i propri lavoratori; offre

loro migliori condizioni di lavoro, maggiorioccasioni di crescita professionale. Le im-prese che crescono mediamente investono dipiù nella ricerca, nello sviluppo; offrono op-portunità di lavoro anche ai nostri giovani al-tamente qualificati che, purtroppo, oggi sonocostretti ad emigrare favorendo Paesi con-correnti. Quindi consolidare e strutturaremeglio le nostre imprese significa favorirnel’internazionalizzazione e, quindi, incentiva-re anche il nostro export. Su questo fronte ilGoverno perseguirà una strategia di integra-le rafforzamento di tutti gli strumenti checonsentono alle nostre aziende di navigaremeglio nella competizione globale. Promuo-veremo ancor più intensamente il nostro ma-de in Italy universalmente apprezzato; coin-volgeremo tutte le nostre ambasciate in que-sta articolata strategia; porremo le basi perpotenziare tutte le connesse attività di soste-gno alle nostre imprese esportatrici. (…)

In primo luogo, va riconosciuto che gli ita-liani hanno il pieno diritto a confrontarsi conun fisco chiaro, trasparente, amico dei citta-dini e delle imprese. Per questa ragione oc-corre perseguire una riforma fiscale che con-templi la semplificazione della disciplina,una più efficace alleanza tra contribuente eamministrazione finanziaria. L’obiettivo pri-mario qui è alleggerire la pressione fiscalenel rispetto dei vincoli di equilibrio del qua-dro di finanza pubblica. Questo Governo per-seguirà una strategia molto chiara: tutti devo-no pagare le tasse ma proprio tutti. Questo af-finché tutti possano pagare meno. Nella pro-spettiva di una graduale rimodulazione. (…)

Occorre procedere finalmente all’appro -vazione di una legge sulla rappresentanzasindacale ,ovviamente sulla base di indicimolto rigorosi. Vogliamo individuare il giu-sto compenso anche per i lavoratori non di-pendenti al fine di evitare forme di abuso e disfruttamento che solitamente affliggono i piùgiovani professionisti. Ci prefiggiamo di in-trodurre una legge sulla parità di genere nel-le retribuzioni. (…)

Realizzeremo questa visione tenendo con-to dei vincoli di finanza pubblica e della so-stenibilità del debito che avvieremo lungo unpercorso di riduzione. In questo modo noi po-tremo arrivare a liberare anche nuove risor-se da reinvestire, per realizzare a fondo, nelmodo più incisivo, questa complessiva e arti-colata stagione riformatrice.

Come dimostra la sensibile riduzione deitassi rispetto ai livelli dello scorso ottobre, imercati finanziari stanno investendo con fi-ducia su questa nuova fase che l’Italia sta at-

traversando. La diminuzione della spesa perinteressi pagati sul nostro debito pubbliconon stenterei a definirla una vera e propriariforma strutturale, perché ci permette di al-lentare quello che oggi è stato il maggior fre-no alla crescita del nostro Paese negli ultimidecenni. (…)

Ogni euro risparmiato sulle prossimeemissioni dei nostri titoli di Stato consente,infatti, di eliminare, direi immediatamente,automaticamente, il capitolo più improdutti-vo della nostra spesa pubblica, in modo da li-berare risorse pronte per essere investitenelle infrastrutture, nella scuola, nella sani-tà, nella riduzione stessa del carico fiscaleche grava su cittadini e imprese. Il nostro è unprogetto ambizioso, di lungo periodo, che in-tendiamo perseguire già con la prossima ma-novra economica, sulla quale le forze politi-che che compongono l’Esecutivo hanno giàavviato con me proficue interlocuzioni. (…)

Siamo consapevoli che questa prossimamanovra sarà impegnativa. La sfida più rile-vante per quest’anno sarà evitare l’aumentoautomatico dell’IVA e avviare un alleggeri-mento del cuneo fiscale. (…)

Per quanto riguarda il tema delle riformecostituzionali, è nostra intenzione chiederel’inserimento nel primo calendario utile del-la Camera dei deputati del disegno di leggecostituzionale che prevede la riduzione delnumero dei parlamentari Questa riforma do-vrà essere affiancata da un percorso volto aincrementare le garanzie costituzionali e dirappresentanza democratica, anche favoren-do l’accesso democratico alle formazioni mi-nori e assicurando, nello stesso tempo, il plu-ralismo politico e il pluralismo territoriale.In particolare, occorrerà avviare un percorsodi riforma quanto più possibile condiviso qui,in sede parlamentare, del sistema elettorale.Contestualmente il nostro obiettivo è proce-dere a una riforma dei requisiti di elettoratoattivo e passivo per le elezioni del Senato edella Camera, nonché avviare una revisionecostituzionale volta a introdurre istituti cheassicurino maggiore equilibrio al sistema econtribuiscano a riavvicinare i cittadini alleistituzioni. (…)

Nel quadro delle riforme istituzionali è in-tenzione del Governo completare il processoche possa condurre a un’autonomia differen-ziata, che abbiamo definito giusta e coopera-tiva. È un progetto di autonomia che deve sal-vaguardare il principio di coesione naziona-le e di solidarietà, nonché la tutela dell’unitàgiuridica ed economica. (…)

Sul piano europeo la nostra azione di Go-

verno potrà avviarsi in corrispondenza del-l’insediamento di una nuova Commissione acui il nostro Paese ha contribuito in modo pri-mario. L’Italia sarà protagonista di una fasedi rilancio di rinnovamento dell’Unione chepunti a costruire un’Europa più solida, più in-clusiva, più vicina ai cittadini, più attenta al-la sostenibilità ambientale, alla coesione so-ciale e territoriale. Peraltro, non si tratta diindicazioni astratte, ma di obiettivi fondantidelle istituzioni euro-unitarie richiamatidall’articolo 3 del Trattato sull’Unione euro-pea, che intendiamo attuare pienamente. Perfarlo è essenziale migliorare le politiche, raf-forzare gli strumenti, la governance economi-ca dell’Unione europea per favorire la cre-scita, l’innovazione, la sostenibilità sociale eambientale, la coesione interna e la competi-tività nel quadro delle sfide globali. Il Gover-no si impegnerà nelle sedi europee per rea-lizzare un piano di investimenti sostenibili,per riformare l’unione economica e moneta-ria, l’unione bancaria, a partire dall’istituzio -ne di un bilancio dell’area euro, di uno sche-ma di assicurazione europeo contro la disoc-cupazione, di una garanzia europea dei depo-siti. In questo quadro occorre anchemigliorare il Patto di stabilità e di crescita e

la sua applicazione per semplificarne le re-gole, evitare effetti pro-ciclici e sostenere gliinvestimenti, a partire da quelli legati alla so-stenibilità ambientale e sociale. Un’imposta -zione di bilancio pro-ciclica, infatti, rischiadi vanificare gli importanti sforzi compiutisul piano interno per rilanciare la crescitapotenziale del Paese, deprimendo la crescitaeffettiva.

Solo con un rigoroso impegno, con la postu-ra propria che si addice a uno Stato fondato-re, possiamo ambire ad ottenere quei risulta-ti verso i quali tutti aspiriamo. Penso ancheall’epocale fenomeno migratorio, che va ge-stito con rigore e con responsabilità, perse-guendo una politica modulata su più livelli,basata su un approccio non più emergenzia-le, ma strutturale, che affronti la questionenel suo complesso, anche attraverso la defini-zione di un’organica normativa che perseguala lotta al traffico illegale di persone e l’immi -grazione clandestina, ma che, nello stessotempo, si dimostri capace di affrontare benpiù efficacemente i temi dell’integrazioneper coloro che hanno diritto a rimanere e deirimpatri per coloro che non hanno titolo perrimanere…

Quanto più in generale alla politica estera,ritengo che l’Italia debba proseguire lungo itre assi fondamentali che storia, geografia,tradizione politico-culturale ci impongono,senza con questo perdere di vista le opportu-nità, le sfide offerte dai nuovi assetti interna-zionali. Tali assi, oltre alla nostra responsa-bilità di Stato membro fondatore dell’Unioneeuropea, sono, come è noto, le relazioni tran-satlantiche, con il corollario della nostra ap-partenenza alla NATO e l’imprescindibile le-game con gli Stati Uniti e la stabilizzazione elo sviluppo del Mediterraneo allargato. Que-st’ultima regione è segnata da crisi umanita-

rie e crescenti conflitti, ma rimane anche ter-ra di grandi opportunità, la cui realizzazionein termini di sicurezza, prosperità è nostrocomune interesse. Il mio incessante persona-le impegno a favore della stabilizzazione del-la Libia ha rappresentato la conferma del li-vello di priorità attribuito da noi a quest’areadel mondo, peraltro da me diffusamente visi-tata allo scopo di promuovere proficui incon-tri, proficue relazioni politiche.

Chiedo che il confronto sui temi, sulle pro-poste, sugli indirizzi da perseguire si svolgasempre nelle sedi istituzionali, nelle Auleparlamentari, nelle Commissioni, nei Consi-gli dei ministri perché dobbiamo dimostrareai cittadini che siamo sinceramente e inten-samente impegnati a cambiare davvero ilPaese, senza lasciarci distrarre da ragioni al-tre, che non meritano di essere ricomprese inuna schietta e onesta, se del caso anche viva-ce, dinamica politica… è una sobrietà che miauguro possa risultare contagiosa e orientarepositivamente anche i comportamenti di tuttii cittadini, a iniziare da un uso responsabiledei social network, che, non di rado, diventa-no ricettacoli di espressioni ingiuriose e diaggressioni verbali …

“Il programma non è una meraelencazione di proposte eterogeneeche si sovrappongono l’unasull’altra”

“La diminuzione della spesa perinteressi pagati sul nostro debitopubblico non stenterei a definirlauna vera riforma strutturale”

“Ci impegneremo per riformarel’unione economica, monetaria,bancaria, a partire dall’istituzionedi un bilancio dell’area euro”

“Gli assi del governo sarannol’appartenenza alla Nato el’imprescindibile legame con gliStati Uniti”

Trenta secondi posson bastare. Quello che Conte non ha detto sulla giustiziaRoma. Trenta secondi. E’ il tempo che il

premier Giuseppe Conte ha dedicato allariforma della giustizia durante il suo di-scorso programmatico di un’ora e venti-cinque minuti pronunciato lunedì alla Ca-mera. Trenta secondi in cui Conte si è limi-tato a leggere lo scarno rigo e mezzo dedi-cato alla giustizia contenuto nella bozzadel programma di governo M5s-Pd, sottoli-neando la necessità di “una riforma dellagiustizia civile, penale e tributaria, ancheattraverso una drastica riduzione dei tem-pi, e una riforma del metodo di elezionedei membri del Consiglio superiore dellamagistratura”, con la piccola aggiunta diun messaggio distensivo rivolto alle toghe:“Questo piano riformatore dovrà salva-guardare il fondamentale principio di in-dipendenza della magistratura dalla poli-tica”. Insomma, il governo rossogiallo ènato, ma ancora non è chiaro come i duepartiti di maggioranza intendano interve-nire su un terreno così delicato e scivolosocome quello della giustizia, in particolareattorno alla riforma approvata dal prece-

dente governo che abolisce la prescrizionedopo una sentenza di primo grado, e cheentrerà in vigore il primo gennaio 2020.

Ciò che è certo, però, è che negli ultimigiorni sono aumentati i (preoccupanti) se-gnali di apertura del Pd al M5s proprio sul-la riforma della prescrizione. Sabato scor-so in un’intervista alla Stampa, il vicese-gretario del Pd (ed ex ministro della Giu-stizia) Andrea Orlando ha definito “unerrore” la drastica cancellazione dellaprescrizione, aggiungendo però che “den -tro un percorso processuale si possono tro-vare equilibri compensando con altre ga-ranzie”. Il giorno prima, il capogruppo Pdin Commissione Giustizia alla Camera, Al-fredo Bazoli, aveva auspicato al nostrogiornale il rinvio dell’entrata in vigoredella prescrizione in salsa grillo-leghista(“non possiamo lavorare con questa spadadi Damocle sulla testa”), ma aveva anchelasciato intendere che nel caso in cui neiprossimi mesi si riuscisse ad approvareuna riforma complessiva del processo pe-nale, in grado di garantire tempi brevi e

certi ai procedimenti, allora i dem potreb-bero anche accettare di mantenere la“bomba nucleare” (come la definì il mini-stro Bongiorno) della revisione della pre-scrizione, che a quel punto sarebbe teori-camente disinnescata. Magari con qualchecorrettivo che preveda, ad esempio, la suaapplicazione solo in caso di condanna del-l’imputato.

Un simile scenario, però, darebbe vita auna contraddizione forse ancora più gran-de: se i processi in Italia diventassero fi-nalmente rapidi ed efficienti, abolire laprescrizione avrebbe ancora meno senso,dato che la sua funzione sarebbe proprioquella di intervenire per “sanare”, dalpunto di vista del diritto, i pochi casi diprocessi che dovessero protrarsi per tantianni, oltre una durata ragionevole. Senzadimenticare che per definire una riformaveramente radicale del processo penale,capace di “disinnescare” la bomba dellaprescrizione, i dem dovrebbero convince-re i grillini (e l’Associazione nazionale ma-gistrati) a intervenire su alcune distorsio-

ni della giustizia che chiamano in causal’operato delle toghe (dalle priorità nell’e-sercizio dell’azione penale all’iscrizioneeffettiva delle persone nel registro degliindagati).

Chi nel frattempo mantiene una lineadura sulla prescrizione è l’Unione delleCamere Penali, che in vista del voto di fi-ducia al governo ha inviato una lettera atutti i parlamentari nella quale si ribadi-sce che la “sostanziale abolizione” dell’i-stituto rappresenta “un vulnus profondoai principi costituzionali del giusto pro-cesso”. “La prescrizione è istituto di ga-ranzia, necessario anche per determinarela ragionevole durata del processo, a tute-la non solo dell'imputato ma anche dellapersona offesa”, affermano i penalisti nel-la lettera, ricordando tra l’altro che oltre150 accademici di tutte le università italia-ne hanno sottoscritto un appello al presi-dente della Repubblica in occasione dellapromulgazione della legge segnalandone igravi profili di incostituzionalità”.

Ermes Antonucci

Page 8: IL FOGL IOmartind1/Papers-Documents/Il Foglio 10 Settembre... · suo posto ci abbiamo messo idroits de l hommisme , i diritti dell uomo trasformati nei diritti del bambino viziato.

ANNO XXIV NUMERO 213 - PAG IV IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2019

Viene pubblicato oggi, nel prestigiosoperiodico internazionale di modelli

economici Games and Economic Beha-vior, un articolo di tre insigni economisti:l’italiano Pierpaolo Battigalli della Boc-coni, Martin Dufwenberg dell’Universitàdell’Arizona, e Alec Smith del VirginiaTech. Il titolo, assai rivelatore quando tra-dotto in italiano, è “Frustrazione, aggres-sione e rabbia in giochi tra leader e rice-vente”. Una premessa qui si impone. Davari anni, economisti e psicologi hannoprogettato ed eseguito un gran numero diesperimenti sui cosiddetti giochi a ultima-tum. In essenza, si offre una somma dadividere tra un proponente (leader) e unricevente. Supponiamo si tratti di diecieuro. Il proponente decide una ripartizio-ne di tale somma. Se il ricevente accetta,ciascuno ottiene l’importo, ma se invecerifiuta, nessuno dei due riceve alcunché.Ovviamente tutti accettano una divisionedi cinque e cinque. Molti ancora accetta-no quattro di contro ai sei del leader. Nonmolti accettano tre contro sette. Pochi ac-cettano due contro otto, nessuno in prati-ca accetta uno contro nove. Ebbene, inastratto, secondo una fredda considera-zione economica, dato che un euro o dueeuro sono meglio di niente, il riceventedovrebbe sempre dire di sì. Invece, sde-gnati da una proposta non equa, i riceven-ti mandano al diavolo i due o tre euro,oltre al leader iniquo, e rifiutano.

Alcuni anni or sono, il neuroscienziatoAlan Sanfey, mediante risonanza magneti-ca funzionale, ha visto attivarsi nei rice-

venti un centro cerebrale, chiamato insulaanteriore, quando ricevono e rifiutanouna divisione iniqua. Questo centro cere-brale è notoriamente correlato alla sensa-zione di disgusto (cattivi odori, cibi nau-seabondi e simili) e tanto più si attivaquanto più iniqua (unfair) è la divisione,massimamente per uno contro nove. In ul-teriori lavori, cofirmati da Martin Dufwen-berg, risultati analoghi sono stati ottenutinei cosiddetti giochi di fiducia (trust ga-mes), nei quali il senso di colpa insorge nelproponente quando capisce che le aspet-tative del ricevente sono frustrate.

Negli anni, le principali varianti di que-sti giochi a ultimatum sono state: conferireal leader uno status superiore e speciale,noto al ricevente; dire al ricevente che illeader ha una storia passata di generosità,o altrimenti di egoismo; immaginare chela somma da dividere sia di diecimila eu-ro, o un milione di euro. Chi manderebbeal diavolo il proponente e centomila euro,anche sapendo che lui se ne tiene nove-centomila?

Nel caso del lavoro oggi pubblicato, so-no state messe nel collimatore, appunto,le sensazioni di sdegno, frustrazione, rab-bia e aggressività nelle diverse situazionisperimentali create a bella posta. L’arti -colo è zeppo di formule matematiche e disottili analisi dei risultati. Si citano anchecasi tipici dell’insorgere della rabbia edei suoi effetti. Nel 2015, una casa farma-ceutica aumentò il prezzo di un farmacoda 12 a 750 dollari per ogni dose. I pazien-ti, inferociti, mandarono letteracce di pro-testa e subito chiesero al medico curantedi prescrivere un’alternativa. Quella casafarmaceutica non l’aveva previsto? Stra-no! Altro caso: come noto, a seguito deltracollo economico del 2008-2009, moltenazioni europee adottarono disposizionidi austerità. Ne seguirono tumulti di piaz-za, l’ultimo dei quali in Francia, quellodei gilet gialli. Non l’avevano previsto?Strano! Un caso assai sorprendente, maben documentato: le polizie ricevono unmaggior numero di denunce di violenzaconiugale quando la squadra del cuore

del marito ha appena subìto un’inattesasconfitta casalinga.

Ma citano anche un caso nel quale di-sappunto e rabbia furono previsti e tam-ponati. Nel 2007, la Apple uscì con un nuo-vo iPhone a 499 dollari. Poco dopo presen-tò un ulteriore modello a 399 dollari e ilprezzo di quello precedente fu ribassato a299 dollari. Prevedendo disappunto e rab-bia, la Apple offrì di rimborsare la diffe-renza. Forse, a lungo termine, questa poli-tica avrà aumentato i profitti.

Chiediamo a Battigalli, in esclusiva peril Foglio, di sintetizzare i metodi e i risul-tati di questo studio. “L’articolo proponeun modello teorico della rabbia e del con-seguente comportamento aggressivo nellerelazioni tra individui, rappresentate co-me ‘giochi’ – spiega il professore – Ispiran -dosi alla letteratura psicologica, la rabbiaè modellata come l’inclinazione a danneg-giare gli altri provocata dal mancato rag-giungimento di un obiettivo: quando ci sirende conto che il guadagno inizialmente

atteso non è più raggiungibile, si diventatanto più aggressivi quanto maggiore è ladifferenza tra il guadagno inizialmente at-teso e quello che si può ottenere dopo ave-re osservato l’evento avverso, come peresempio una proposta ‘prendere o lascia-re’ sfavorevole. Individui che ragionanostrategicamente tengono conto che le loroazioni possono provocare rabbia e reazio-ni aggressive nei loro confronti e cercanodi evitarle. Quindi – aggiunge Battigalli –tali reazioni non sono molto frequenti.

L’inclinazione alla rabbia dà credibilità a‘minacce’ la cui esecuzione sarebbe con-traria agli interessi materiali di chi reagi-sce. Motivazioni psicologiche differenti,quali la reciprocità positiva e il senso dicolpa, spiegano invece l’alta frequenzacon cui si mantengono le ‘promesse’, cioèreazioni favorevoli alla controparte a sca-pito del guadagno personale, quando lacontroparte si rende vulnerabile, si fidaadottando comportamenti desiderabili.La credibilità delle minacce e delle pro-

messe è essenziale nelle interazioni eco-nomico-sociali. La cosiddetta ‘teoria psi-cologica dei giochi’ studia come tale credi-bilità dipenda anche da emozioni che de-rivano dalle aspettative. Il modello dirabbia dovuta a frustrazione fa parte diquesto programma di ricerca”.

Martin Dufwenberg, che ha una discretaconoscenza dell’italiano, è presente a que-sta intervista (fatta a Tucson), e aggiunge:“Gli economisti hanno tradizionalmentefatto appello a raffinati metodi matemati-ci per analizzare le interazioni sociali, mahanno adottato presupposti troppo inge-nui sulla natura umana. Per esempio ilpuro e semplice desiderio di massimizza-re i profitti. Di contro, gli studiosi dellescienze sociali spesso adottano schemianalitici poco raffinati, anche quando siservono di caratterizzazioni psicologichepiù ricche della natura umana – spiega ilprofessore dell’Università dell’Arizona – Imiei coautori e io, invece, riteniamo chequesti stili d’indagine debbano essere in-tegrati. Inquadrando svariati desideri edemozioni in un quadro formale rigoroso,cerchiamo di ottenere nuove prospettivesulle interazioni tra gli esseri umani. Nel-lo studio oggi pubblicato abbiamo messo afuoco la rabbia, cercando di inquadrarequesta emozione e come essa può essereincorporata nei modelli degli economistiper spiegare alcuni risultati tipici. Inqua-driamo la rabbia in un processo a due sta-di. Nel primo stadio un decisore si sentefrustrato a causa di una brutta sorpresa,quando un esito negativo cozza contro lesue aspettative. Nel secondo, la frustrazio-ne si trasforma in rabbia e il decisore sichiede chi biasimare, perché e come ripa-gare l’affronto con un’aggressione. Soste-niamo che il nostro modello teorico è in

grado di spiegare i conflitti coniugali, letensioni finanziarie, i risultati delle con-trattazioni e i comportamenti legati allerecessioni, agli arbitrati, al terrorismo, al-la rabbia generata da un incidente strada-le e al sostegno politico ai candidati popu-listi”.

Proprio quest’ultimo è un argomento discottante attualità in Italia, negli StatiUniti e altrove. Chiediamo a Dufwenbergun chiarimento. “Il sostegno va a candida-ti o partiti politici che in qualche modofanno promesse che poi non possono man-tenere, una volta eletti. Quindi finisconoper create frustrazione nei loro elettori.Così entrano in scena Donald Trump e davoi Grillo e Salvini, promettendo di ‘boni -ficare la palude’. Quel candidato populi-sta, quindi, può ottenere i voti di chi èfrustrato solo perché vuole colpire chi eraprima in carica. Ciò è in accordo con ilnostro modello, ma non abbiamo sviluppa-to questo aspetto in modo formale”.

Una sezione del lavoro tratta il cosid-detto anger management, cioè la gestione ela modulazione della rabbia. Sottili va-rianti del gioco consentono di verificaresperimentalmente questo aspetto. Di fon-damentale importanza sono le aspettative.Se un ricevente, per vari motivi e circo-stanze, non si aspetta di ricevere molto,accetta anche modeste somme e non svi-luppa frustrazioni, né rabbia, né intenzio-ni di rivalsa.

La teoria dei giochi vanta una lunga sto-ria di modelli di razionalità economicapura e ben cinque Premi Nobel per l’eco -nomia (John Nash, Reinhard Selten eJohn Harsanyi nel 1994; Thomas Schellinge Robert Aumann nel 2005). Ora, nei lorolavori pubblicati in anni recenti, Battigal-li e Dufwenberg hanno introdotto unacomponente psicologica nella teoria: cosapassa per la mente di un giocatore e cosaun giocatore pensa che passi nella mentedell’altro giocatore. Sta qui ciò che decidela prossima mossa e, in ultima analisi, l’in -tero esito della partita. Ma nella mente,appunto, non c’è solo la pura razionalitàmodellata dalla classica teoria dei giochi.

Un candidato populista può ottenere i voti di chi è frustrato solo perché vuole colpire chi era prima in carica. Nella foto: Giorgia Meloni alla manifestazione di Piazza Montecitorio (foto LaPresse)

di MassimoPiattelli Palmarini

LA TEORIA DELLA RABBIALe relazioni tra leader e individui viste sotto la lente matematica. Battigalli e Dufwenberg ci spiegano

il loro nuovo studio di “teoria psicologica dei giochi”. E come la frustrazione sia alla base del voto populista

Molte nazioni adottaronodisposizioni di austerità. Neseguirono tumulti di piazza. Nonl’avevano previsto? Strano!

Il sostegno va a partiti che fannopromesse che poi non mantengono,una volta eletti. E finiscono percreare frustrazione nei loro elettori