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Edizioni:E.M.

Via S. Margherita, 12643036 Fidenza (PR)

Tel. 0523.63152ISBN

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Prima edizione, maggio 2013

In copertina: dipinto di Marco Grignani realizzato in occasioni del 30° anniversario “Casa Lodesana”

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SommarioPresentazione

Introduzione

Una memoria grata

Testi sparsi di don Enrico Tincati

Chi siamo Estratto da identità e Regolamento della Casa di Lodesana del 1983

Casa di lodesana oggi I nostri valori Il legame con la Diocesi Il legame con il territorio Le tessere del mosaico Il volontariato La comunità terapeutica Il cambio di paradigma: il progetto “Casa di Elia” e l’abitare supportato La prevenzione e l’azione sul territorio

Conclusioni

Appendice: le fonti Il Convegno “evangelizzazione e promozione umana” Estratto dalla relazione di don Enrico Tincati su “Evangelizzazione e promozione umana” Colfosco 1976

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“Cercate anzitutto il Regno dei Cieli ed il resto vi sarà dato in aggiunta” Mt. 6,33

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Presentazione

E’ per me un onore “presentare” riflessioni, memorie e testimonianze qui raccolte in occasione del 30° di fondazione di “Casa Lodesana”. Ricordare è un valore umano insurrogabile ed è altresì un valore civile e religioso. Nel caso dell’anniversario di Casa Lodesana diventa un dovere grato verso tutti coloro che ci hanno messo la vita e che risplen-dono ai nostri occhi come veri testimoni, maestri e benefattori. In realtà nel suo cammino trentennale, la Casa è stata una vera testimonianza di fede e di amore, caratterizzata da paziente e amabile accoglienza e dall’investimento di diverse e complementari competenze, accompagnando persone segnate dalla sventura, inten-zionate tuttavia ad essere sostenute in vista di un dignitoso ripristino delle relazioni di normale vita quotidiana. Leggendo questi testi e commenti, sono stato colpito dalla po-tente passione per l’uomo che ha generato e ispirato la fondazione della Casa e così sono stato benevolmente costretto a profonda rifles-sione per “entrare” nel merito della sua storia. Con stupore scopro che Casa Lodesana non è sorta da un’iniziativa privatistica, ma da una illuminata disponibilità che ha radici profonde nel sentire evan-gelico di questa Chiesa di Fidenza e nel virtuoso condividere, spiccata e comune qualità, di questo lembo di terra emiliana: l’una e l’altra comunque generose nella solidarietà e negli affetti, entrambe feconde di “miracoli” d’amore. Ad uno sguardo esterno, com’è il mio, appare la vicenda di Casa Lodesana come emblematica di come un popolo sia capace di interagire con le sofferenze, interpretarle alla luce di un’autentica sensibilità e porvi rimedio con geniali e impensabili slanci di aiuto e di cura. Qui, prima ancora della fede, ci sta l’attenzione all’uomo. L’uomo che incappa nella tragica condizione di bisogno, di grido, di tragica solitudine. E’ questa una propensione originale dell’animo che

di S.E. Vescovo Carlo Mazza

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suscita una dedizione di soccorso, un prendersi carico, chiunque sia l’uomo, ma anche un ricercare cause e rimedi, un chiamarsi in causa, un sentirsi corresponsabili. Dopo di che, si può anche discutere, smarcarsi, definirsi, ma prima di tutto ci sta la condivisione, il mettersi nei panni del povero, identificarsi, sostituirsi, crederci, donarsi fino al consumo di sé, fino a forme segrete di eroismo. Di qui nasce una linfa vitale di straordinaria potenza di bene che produce dapprima un ruscello e poi un fiume di pensieri, di passioni e di opere. Per la verità si tratta di un bene molto concreto, direi sanguigno, con il carattere dell’esclusività, della radi-calità. E si costituisce, come la forza di un magnete carico di energia, per diventare obiettivo da raggiungere a tutti i costi, se è cosa pratica e fattibile. Casa Lodesana ne è la prova provata. Da un inizio così circoscritto a pochi, come un fuoco nascosto sotto la brace, Casa Lodesana è diventata una realtà che ha infiam-mato molti animi, ben disposti a tutto. Non v’è dubbio che all’origine ci sia stato un nucleo di potenza d’amore, una persona carismatica del calibro di don Enrico Tincati. E’ questi un sacerdote fidentino, dono dello Spirito Santo, colto e del tutto immerso nel cuore di Gesù, avvol-to da un ideale appassionato e appassionante. Lui è l’ideatore della Casa e il trascinatore di molti discepoli. In lui e nei suoi scritti si avverte subito che si annidano una visione e un sogno, una spinta profetica e un assillo di missione, un’in-quietudine trascendente e divorante. Non per nulla è riconosciuto come un sacerdote autentico, lungimirante e dallo sguardo idoneo a scorgere i nuovi fenomeni emergenti da una società opulenta e nel contempo generatrice di disperazione, di solitudini, di svuotamento del senso esistenziale. Egli intravede una società ricca di soldi e di piaceri, ma sprovveduta di vera umanità e bruciata da sussulti distruttivi. Come è ben noto, i disastri dello spirito non nascono dalla po-vertà, ma dalla ricchezza mal governata, selettiva, supponente e for-temente imbevuta di sotterranee ingiustizie e violenze. In tale impasto tutta la bruttezza possibile viene a galla e crea un’altrettanta bruttezza che è l’esatto contrario della bellezza dell’anima e del corpo. Quando lo “spirito” dell’uomo viene ferito, ne soffre anche il corpo e insieme vanno curati con interventi adeguati.

Presentazione

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E qui, in questi contesti contraddittori e portatori di sofferenza, Casa Lodesana va controcorrente rispetto ad un pensiero semplice-mente accusatorio. Constata la condizione di diffuso disagio, fa analisi crude sulle cause e sui rimedi e poi decide di creare spazi di speranza, recuperando, riassestando, curando la bruttezza acquisita o la violen-za subita. Così la Casa diventa luogo di riacquisizione di un umano possibile, rivendicazione di una giustizia deturpata, luce per una fuo-riuscita dal tunnel, redenzione rispetto ad una morte annunciata. In tal modo Casa Lodesana assurge ad essere la prova di sal-vezza, di un vangelo accolto e vissuto alla bell’e meglio, anzi alla me-glio dei modi possibili. Proprio lì si apre uno spiraglio di cielo e Don Tincati e i “suoi” – soprattutto Vincenzo e Cristina – ci hanno messo l’anima, anzi il segno vigoroso di anima, che è la totalità della per-sona, per ridare vita a chi se l’è lasciata sfuggire, inseguendo ideali fantasiosi e rischiosi. La figura evangelica che qui viene in mente, perché più si as-somiglia, è quella del “buon samaritano”. Proposto in tale prospettiva, nel fondare Casa Lodesana si è scommesso sulla cura esemplare del samaritano, perché di fronte al percosso iniquamente lui solo si ferma e gli altri no. Perché lui sa vedere e spende la faccia. Egli vede sé pro-iettato nell’altro e per lui l’altro diventa parte di sé. In realtà il samaritano non s’è reso compassionevole perché ha visto Gesù sul volto del malcapitato. Gli è bastato che fosse un uomo a rischio di vita. Siamo noi che l’abbiamo visto, perché Gesù ha detto “fai anche tu lo stesso”. Gesù è il samaritano, ma Gesù è anche sul volto del malcapitato. Perché Gesù è l’uomo, chiunque sia la sua condizione. La parabola del samaritano (Lc 10, 25-37) infatti vuol significare che ogni uomo, bisognoso del nostro aiuto, è nostro prossimo: non possiamo ignorare le necessità e le sofferenze degli altri uomini. Nel discorso del giudizio finale (Mt 25, 31-46) Gesù ulterior-mente spiega il significato dell’amore del prossimo. Qui Gesù solida-rizza personalmente con tutti gli uomini bisognosi ed emarginati, con quelli che patiscono fame e miseria (J. Alfaro). A ben vedere nel fatto parabolico si attua una simmetria spec-chiale per cui l’altro, senza venir meno alla propria identità, diventa parte di me e io sono parte dell’altro. Allora io e l’altro siamo i volti

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sensibili e complementari di Gesù. Per arrivarci, ci è necessaria la tra-sparenza della fede. Da soli ci fermiamo alle apparenze o ai sentimen-ti di pietà. Per questo la mia vera identità è definita dall’incontro con l’altro, come il mio più vero compimento. Così nella vicenda di Casa Lodesana si riscopre tutta l’avven-tura dell’uomo, la sua intima vocazione e il suo destino. Per dirla in breve, si può sintetizzare: se non mi lascio prendere dall’amore verso l’altro che sta male, sono un uomo finito, come un morto in piedi. Don Enrico ha capito questo nell’incontro fortuito con il mendicante alla stazione di Piacenza. Lì s’è aperto l’abisso della sua umanità e della sua fede e ancor più del suo sacerdozio. E ha deciso il suo progetto finale di vita in compagnia della sua Comunità di Santa Maria, la vera origine della sua vocazione solidale, il generoso laboratorio della carità. Non fu dunque solo, tanto più che era seguito dalla premura sapiente del vescovo Mario Zanchin e di sacerdoti amici. Dal suo carisma, sorgente di vera carità e di autentica profezia, molti spiriti furono consolati e ripresero a sperare, molte co-scienze si aprirono a vocazioni radicali al seguito del Signore Gesù. Sono trascorsi trent’anni da allora. A ripensarci, sembra passa-ta un’eternità rispetto ai cambiamenti sopravvenuti. Eppure quel luogo di nome Casa di Lodesana resiste e permane intatto nella sua ragio-ne e integro nei suoi fini, tanto da essere riferimento per i persistenti disagi del vivere, per l’amorevolezza dell’accompagnamento, per la competenza della cura di tutti coloro che sono considerati un peso per la società e costituiscono la coda pesante degli ultimi. Per questo siamo grati ai “Fondatori” e siamo grati ai gene-rosi e saggi “Continuatori” di una così meritoria e geniale intuizione d’amore.

+ Carlo MazzaVescovo di Fidenza

Presentazione

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La nostra società, sempre più veloce ed iperattiva al punto da essere stata definita la “società dell’accelerazione”, rischia di perdere la memoria.

Il rischio è di diventare tutti un po’ “smemorati”, angosciati e in parte pa-ralizzati dal problema dell’oggi, che diventa assoluto, proprio perché privo di quei riferimenti storici che ne costituiscono l’identità.Per vivere il presente e guardare con speranza al futuro noi crediamo che sia necessario fare memoria, una memoria grata per i giganti che ci hanno preceduto perché, come amava dire don Enrico, noi,se riusciamo a concludere qualcosa di buono, siamo dei nani sulle spalle dei giganti.

Per questo,dopo 30 anni abbiamo voluto dedicare tempo per dire che non dimentichiamo… non dimentichiamo Cristina, Vincenzo, Don Enrico, gli ospiti, gli operatori, i volontari che abbiamo incontrato e con cui abbiamo condiviso un pezzo di strada insieme. La memoria va coltivata, non per perdersi nel rimpianto del passato, ma per recuperare ed incarnare oggi quelle motivazioni che hanno ispirato scelte coraggiose, controcorrente, di speranza e di una vita vissuta, perché donata, in pienezza. In dieci anni dalla scomparsa di don Enrico il nostro modo di ricordarlo è stato innanzitutto quello dei fatti, di dare continuità, in una fedeltà crea-tiva all’esperienza di Casa di Lodesana, con i nostri pregi e i nostri limiti, ricordandoci di tutte le volte che Don Enrico ci ha ripetuto che “l’ottimo è nemico del bene”Questo è il senso del testo che segue e che illustra Casa di Lodesana di ieri, di oggi nella ricerca inesausta di costruire il domani. Un oggi in cui, come q uando germinò l’esperienza, ci troviamo in un momento di im-portanti trasformazioni, siamo attraversati da una crisi economica ma non solo, ed abbiamo davanti importantissime sfide.Impegnarsi personalmente, sporcarsi le mani, camminare insieme voglio-no essere ancora i nostri riferimenti per guardare con speranza al futuro che ci attende.

della PresidenteIntroduzione

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Il filo della storiaQuella che segue è la storia di un sogno. Esso però non è il frutto delle fantasie che popolano di notte la mente di un dormiente, ma nasce e si sviluppa alla luce del sole dall’impegno comune di uomini e donne che decidono di dar vita a un progetto ambizioso nel segno della soli-darietà e della speranza. Casa di Lodesana è la realizzazione di que-sto sogno. Ripercorrere a trent’anni di distanza l’itinerario che ci ha portati fin qui non risponde solo a un’esigenza di memoria storica, ma esprime soprattutto il desiderio di valorizzare un patrimonio prezioso di cui vogliamo rendere partecipe l’intera comunità fidentina.L’inizio della storia ci riporta ai primi anni ’80 quando il problema della droga attraversa ormai tutta la società, dalle grandi città ai piccoli cen-tri, fino a diventare emblema di un disagio sociale sempre più diffuso. Sono ancora sotto i nostri occhi le terribili immagini di giovani trovati senza vita sulle panchine di un parco. E quando riescono a sopravvi-vere trascorrono le giornate senza uno scopo o una meta. Le famiglie dal canto loro sono sempre più smarrite davanti ad un problema che rischia di travolgerle e cercano aiuto, ma spesso non lo trovano.A Fidenza l’USL inizia ad organizzare le prime risposte alla tossico-dipendenza. Quanto alle comunità terapeutiche, la più vicina si tro-va a Genova. L’esigenza di dare risposte efficaci ai bisogni di tante persone si fa sempre più pressante e qualcosa comincia a muoversi. Nasce l’associazione di volontariato “Gruppo Amici” che comincia a confrontarsi sul “Che fare?” all’interno della parrocchia di s. Maria Annunziata. Punto di riferimento del gruppo e catalizzatore dei pro-getti è don Enrico Tincati, sacerdote da anni impegnato nell’ascolto dei giovani e nella testimonianza della carità: è lui che, grazie al suo carisma, spinge la comunità a farsi carico del problema mettendosi coraggiosamente in gioco. Ormai i tempi sono maturi per una manife-

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a stazione pubblica e così, il 7 dicembre 1981, viene convocata al teatro Magnani un’assemblea aperta a tutti sul problema della droga. La risposta del pubblico va al di là di ogni aspettativa. Antonella, membro del “Gruppo Amici” fin dall’inizio e attualmente amministratrice alla Casa di Lodesana ricorda così quell’evento indimenticabile: “Ognuno di noi si era munito di foglietti con alcune domande da porre dopo gli interventi iniziali per riempire il silenzio della platea. Invece non ce ne fu alcun bisogno e ancor oggi c’è il rammarico per le tante persone che quella sera non riuscirono ad entrare”. Il fuoco è acceso: si molti-plicano le proposte operative e vengono avviate le prime forme di col-laborazione con altri gruppi di volontariato. Nel frattempo era iniziata la prima esperienza di accoglienza grazie alla disponibilità di Bianca Mussi che aveva aperto le porte della sua casa. A quell’epoca non si parlava ancora di percorsi terapeutici o di recupero; più semplicemen-te si andava alla ricerca di una famiglia che potesse farsi carico di chi si trovava in situazioni di disagio. E così avviene.Nel 1983, sotto la guida di don Enrico, una coppia di giovani sposi, Vincenzo e Cristina, rende possibile l’idea di un primo luogo d’acco-glienza per tossicodipendenti. Non era certamente facile lanciarsi in una simile impresa: Vincenzo lascia il lavoro, Cristina interrompe gli

studi ed entrambi si di-chiarano disponibili ad avviare un’esperienza nuova.Li spinge il forte deside-rio di mettere in pratica quei valori cristiani della carità e dell’ascolto in cui credono fortemente per servire gli altri, i nostri fratelli (da una lettera in-

dirizzata dalla coppia ad un gruppo di amici). Da parte sua la Diocesi di Fidenza, nella persona del Vescovo, mons. Mario Zanchin, concede loro in comodato l’uso del podere (da tempo abbandonato) su cui sorge ancor oggi Casa di Lodesana, sulla strada collinare che porta a Salsomaggiore.

La nascita - 1983

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Tutti ricordano il calore e l’affetto che circondavano i primi ospiti pur nella ristrettezza dei mezzi: si sentono amati, sostenuti e, forse per la prima volta, accarezzano la speranza di rifarsi una nuova vita. Natu-ralmente non basta la disponibilità: Vincenzo e Cristina, da gennaio a marzo dell’anno successivo, frequentano a Lucca un corso di forma-zione promosso dal CeIS (Centro Italiano di Solidarietà) di don Mario Picchi sula base del “Progetto Uomo”. Si tratta di una metodologia che affronta il problema droga sul piano educativo: per uscire dal tun-nel delle dipendenze occorre ricostruire l’essere umano su basi nuove perché, con l’aiuto di altre persone, impari a scegliere per la vita e non per la morte (“Tu solo puoi farcela, ma non da solo”). Questo rapporto di collaborazione, fortemente voluto da don Enrico, si rivelerà partico-larmente fecondo per il futuro dell’accoglienza a Casa di Lodesana: prima con il CeIS di Piacenza (“La Ricerca”) e poi con il CeIS di Parma (“L’Orizzonte”).In pari tempo ha inizio una serie di colloqui con gli operatori pubblici: prima con l’USL n.4 (Parma) e poi con l’USL n.5 (Fidenza) per fissare alcuni tratti di percorso da compiere insieme. Nello stesso periodo vengono avviati i primi contatti con l’Amministrazione comunale di Fidenza grazie ai quali prenderanno forma alcune iniziative sul terre-no della prevenzione e la decisione di concedere all’associazione una nuova sede ubicata presso la Casa Rabaiotti. Ma la vera forza di Casa Lodesana è la presenza costante di genitori, familiari e volontari che , con la loro presenza, 24 ore su 24 si rivelano un supporto insostituibi-le. Con la formazione di tre gruppi (prevenzione, recupero, famiglie) vengono gettate le basi per la costituzione ufficiale dell’associazione: l’atto formale viene registrato presso il notaio Giancarlo Braga il 3 marzo 1983 e come primo presidente viene eletta Iside Germani. An-che per la Chiesa locale è giunto il tempo di riconoscere e sostenere la nuova struttura. Cosa che avviene nel 1987 all’interno del XIII Si-nodo Diocesano con la costituzione n. 152: “Nella nostra Diocesi si manifesta fattiva attenzione per i problemi della tossicodipendenza, con la creazione di un ambiente terapeutico “la Casa di Lodesana”. E’ un’iniziativa concreta e promettente da seguire con amore: Occorre però che altre case e famiglie sappiano aprirsi per accogliere questi giovani in difficoltà, ma disposti al recupero”

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Il 25 giugno 1988 un gravissimo lutto colpisce Casa di Lodesana: in un incidente stradale perde la vita Cristina. Lo shock è terribile, lo smarrimento inevitabile e alcuni cominciano a pensare che l’espe-rienza sia conclusa. Ancora una volta è don Enrico con il suo carisma inconfondibile a infondere fiducia, a ridare speranza e a ripartire dal Fondamento che è stato all’origine di questa meravigliosa avventura. In questa prospettiva anche un’esperienza di morte può generare la vita, anche nel buio più profondo è percepibile una luce: attraverso la fede si possono scorgere quelle che, alcuni anni più tardi, don Enrico chiamerà le “trame invisibili di Dio”.Un mese prima di morire Cristina aveva scritto ad un ospite della Casa:

“Voglio dirti perché ho fatto questa scelta: c’è chi pensa che mi faccio mantenere dal Vescovo, chi pensa che tengo in casa i “tossici” per non lavorare, chi pensa che lo faccia perché sono buona o per volontaria-to, chi pensa per un fioretto o un’ opera buona. Io lo faccio per rico-noscenza. Cioè sento che la mia vita era buia, mi sentivo un niente, facevo fatica a vivere, vedevo davanti solo un futuro nero…Invece ho avuto delle persone che mi hanno fatto incontrare Dio, che mi sono state accanto, che hanno sofferto con me, che facevano una vita sere-na, felice che io invidiavo e che non credevo possibile… Guardando a loro e sentendo il Signore vicino, tenendo duro e fidandomi, cercando di cambiare la mia mentalità, sono arrivata fin qui, incasinata per mol-te cose, ma con dentro al cuore una punta di roccia dove mi appoggio e che mi fa sentire serena. E per riconoscenza cerco di trasmettere agli altri, a chi mi viene vicino, quello che altri hanno fatto scoprire a me.La mia scoperta l’ho fatta a 15 anni, quando è morto Andrea il fratello della Giovanna Paini che ne aveva 16… Al cimitero ho visto per la pri-ma volta una bara con dentro un mio amico, che veniva murata con quattro cazzuolate di cemento… e li mi è crollato tutto: la vita dell’uo-mo finisce così? Morire a 16 anni ed essere chiusi da quattro mattoni? Allora la vita è schifo totale o c’è qualcosa di molto importante da cercare in questo casino… E li è cominciata la mia ricerca. Ti ricordi il Vangelo, quando Gesù ri-sorge e il suo sepolcro è scoperchiato e le donne che vanno là trovano la pietra rovesciata? Questa è la Resurrezione per me: sapere che la

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vita di un uomo vale troppo per essere imprigionata da una pietra o dal cemento… La vita vale , ha un senso, non è uno schifo. Tutte le cose hanno un significato, anche quelle più dolorose, perché sono in un insieme e valgono perché sono in questo insieme dove c’è il riso e il pianto, che hanno un senso… Allora mi sono accorta che nella mia vita c’erano troppe cianfrusaglie… l’unica cosa importante era quella: trovare il senso, il perchè vivere, soffrire, star bene.Io non ti posso dire che il senso della vita è questo perché è un tesoro che ognuno trova pian piano. Però ti posso dire che la vita c’è e che ha un senso. E non è poco. Se hai quello, stai bene: anche in una casa piccola, anche con la tv in bianco e nero, anche senza dolce alla do-menica, anche senza viaggi alle Canarie, anche senza Alfa 75, anche in affitto… Stai bene non perché ridi sempre, ma perché, anche dopo un maremoto, senti sempre dentro di te un punto sereno…Se affidi la tua gioia alle cose, alle persone vuoi sempre di più e non ti basta più nien-te, sei sempre insoddisfatto…Io non so cosa hai sentito qui in questi mesi, cosa cerchi, di cosa senti il bisogno per placare quella insoddisfazione che hai dentro… (so che evadi il problema)… però ripenso a quello che avevi detto all’inizio: “Voglio smettere di farmi per essere una persona più forte, per sentire la voglia di vivere, per amare, ed essere amato, per di-mostrare il mio amore e la mia bontà verso le persone, per essere responsabile ver-so una donna che sarà la mia ragazza…” Queste cose io te le ho sempre sentite dire con sincerità.Non tradirle mai! Se vai in fondo , troverai una pace dentro e ti libererai da quell’ansia con cui fai le cose adesso”.

La struttura sospende temporaneamente l’accoglienza di ragazzi tossicodipendenti

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a continuando ad ospitare ritiri e campi-scuola d’estate, ma non chiude i battenti: Il progetto iniziale prosegue il suo cammino, ma con alcune varianti: da questo momento la Casa dispone di un’équipe composta da volontari, obiettori di coscienza e un operatore che insieme pre-dispongono un percorso adeguate alle richieste delle diverse utenze, nel frattempo divenute sempre più numerose. Il nuovo organigramma prevede inoltre la presenza di un direttore, affiancato da un vice-di-rettore e da un coordinatore. Per un breve periodo viene offerta solo l’accoglienza diurna mentre contemporaneamente nasce una coope-rativa di solidarietà sociale al fine di favorire il reinserimento lavorativo di giovani , meritevoli di essere sostenuti al termine del loro cammino riabilitativo. E all’unanimità si decide di chiamarla “Cristina”.Dal 5 marzo 1990 la Casa riprende ad accogliere gli ospiti 24 ore su 24, negli anni successivi consolida i rapporti con i vari servizi sul territo-rio e si trova ad affrontare nuovi stili di consumo sempre più diffusi (ad esempio cocaina, ecstasy e altre droghe sintetiche). Nello stesso tem-po ha inizio la collaborazione con i CAT (Club Alcolisti in Trattamento).Con il passare del tempo alle figure professionali coinvolte viene richie-sta una competenza sempre maggiore e l’équipe accresce il numero degli operatori. Nel 1995 avviene il passaggio da Casa di accoglienza a comunità pedagogico-riabilitativa (che consiste nella gestione in pro-prio di programmi terapeutici in collaborazione con i Ser.T. di apparte-nenza degli ospiti) mentre nel 1999 viene riconosciuta come Comunità Terapeutico-Riabilitativa, e dal 2008 enta accreditato. La prevenzione, che fin dall’inizio costituisce uno dei punti principali d’impegno del “Gruppo Amici”, si qualifica ulteriormente con progetti innovativi e interventi che si ripetono ogni anno: a) informazione, consulenza e sostegno alla famiglia; b) azione di contrasto di fronte all’abuso di sostanze legali e illegali; c) interventi per combattere i fenomeni di bullismo nelle scuole medie inferiori e superiori; d) allargamento degli spazi di ascolto e di confronto; e) eventi culturale e interculturali.Il 30 maggio 2003 l’associazione è segnata da un’altra gravissima perdita. Muore don Enrico dopo una lunga ed estenuante malattia. Don Enrico era perfettamente consapevole fin dalla diagnosi iniziale della malattia che sarebbe vissuto ancora una decina di anni al mas-simo. La sua reazione fu quella di vivere sempre di più con gli altri e al

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servizio degli altri, in particolare degli ultimi.

Così Casa di Lodesana ha voluto ricordarlo al momento della sua scomparsa sul settimanale diocesano “Il Risveglio”:

“La morte di don Enrico è un nuovo lutto che tocca profondamente la nostra Casa, già segnata in passato dalla morte di Cristina, di Vincenzo, di ex ospiti della Casa, di operatori e vo-lontari. La sua morte lascia un grande vuoto, ma don Enrico ci ha testimoniato che più grande di questo dolore è la Spe-ranza sulla quale egli ha fondato la sua esistenza e nella quale ha vissuto la sua malattia: la Speranza che l’Amore e la Vita sono più forti della morte. Don En-rico è stato il fondatore e la guida della Casa di Lodesana, colui che con tenacia e coraggio ha voluto che l’esperienza ini-ziasse e continuasse, anche nei momenti più difficili, sapendo cogliere i segni dei tempi. Era piuttosto restio alle celebrazioni della sua perso-na e, più che del fondatore, voleva che si parlasse del Fondamento, di un Dio vicino che è Amore e che si è rivelato pienamente in Gesù Cristo.È questo grande abbraccio di Dio che egli ha voluto testimoniare in tutta la sua vita, nella consapevolezza che quello stesso Dio che incon-trava a Messa nella Parola e nell’Eucaristia gli veniva incontro in ogni uomo, in particolare nei più poveri. Don Enrico è stato unico: una per-sona con tanti carismi che ci ha testimoniato che l’incontro con l’altro nella verità e nella carità è fonte di gioia e di beatitudine.Dalla sua fede in Dio nasceva la passione per ogni uomo e la fiducia che ciascuno di noi è chiamato a diventare un capolavoro di Dio. Per questo lo vogliamo ricordare con questa preghiera, da lui composta e a lui molto cara. Si trova nella cappella della Casa di Lodesana, da don Enrico fortemente voluta e considerata il cuore della Casa.

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a “ Ricordati!Sei qui per riscoprire chi sei.Figlio mio, tu non sei la somma dei tuoi errori né il cumulo dei tuoi meriti. Tu sei un figlio che Dio ha avuto da sempre nel suo cuore.Non ritenere mai perduta per sempre la bellezza che Dio ha posto in te! Infatti, se vuoi sapere chi sei, non guardare quello che sei stato, ma l’immagine stupenda che Dio aveva nel crearti.Amico mio, benvenuto in questa casa del restauro; essa è sorta dalla passione di non lasciar perdere nessuno dei capolavori dell’unico Arti-sta che meriti questo nome.Benvenuto a Lodesana”.

Nel suo nome e nel solco da lui tracciato la Casa prosegue il suo cammino: nel 2007 nasce il progetto “La Casa di Elia” grazie alla collaborazione con l’associazione “S. Cristoforo” di Parma; all’interno dello stesso progetto altri punti di appoggio vengono individuati prima con l’associazione “Talita Kum” di Salsomaggiore nel 2008 e poi nel 2012 la Casa di s. Giuliano Piacentino. Quest’ultima è il frutto di una generosa donazione da parte del dott. Mauro Barbieri, psicoanalista e primo supervisore della Casa di Lodesana, deceduto a seguito di una grave malattia. A trentanni di distanza dall’apertura della Casa voglia-mo esprimere la nostra gratitudine e riconoscenza alle tante persone che, in modi diversi, hanno lasciato un segno importante con la loro presenza. Nell’impossibilità di ricordarli tutti vogliamo citare coloro che, soprattutto nel-la fase iniziale e nel-la delicata fase suc-cessiva alla morte di don Enrico, ci hanno lasciato una preziosa testimonianza: Bian-ca Mussi, Cesare Ru-bini, Eugenio Chiusa, Antonio Lucia, Clau-dio Galli.

Foto di gruppo con Mons. Zanchin (al centro) 1994

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Il filo della storiaTesti sparsi di don Enrico Tincati

Don Enrico Tincati nato a Fidenza l’11 febbraio 1945, proviene dalla parrocchia di San Michele Arc. Frequentò nella sua città la scuola me-dia e i primi due anni dell’Istituto di Ragioneria Luca Paciolo. Entrò in Seminario nel 1961 e, dopo l’anno di propedeutica a Cremona, compì a Fidenza i corsi teologici. Ordinato sacerdote il 15 giugno 1969, con-tinuò gli studi sino al conseguimento nel novembre 1972, della laurea in teologia. L’1 ottobre 1970 era stato annoverato trai prebendari del-la Cattedrale e nominato segretario dell’Ufficio Catechistico diocesa-no. Contemporaneamente assume l’incarico di insegnate di religione nell’Istituto Luca Paciolo, dal quale passerà due anni dopo all’Istituto Magistrale Canossiano. Coopera inoltre all’apostolato giovanile nella parrocchia cittadina di S. Maria Annunziata di cui diventa Parroco il 30 giugno 1989.

Vogliamo qui di seguito offrirvi alcuni brevi testi che ci permettono di intuire la ricchezza umana e spirituale di don Enrico Tincati. Innanzitutto lo scritto di don Enrico ad un anno di distanza dalla morte di Cristina sul significato del ricordare le persone che ci hanno lascia-to. E’ una breve ma densissima riflessione che ci aiuta a ricordare Cristina, don Enrico, Vincenzo ma anche gli ospiti, gli operatori e i volontari che hanno condiviso l’esperienza di Lodesana in tutti questi anni e che ci hanno lasciato.Di seguito alcuni brani tratti da testi sparsi e dal testamento spirituale.Il ricordo di don Enrico ancora vivissimo in chi lo ha conosciuto vor-remmo fosse patrimonio della nostra Chiesa, del nostro territorio e di chi ha incontrato la Casa di Lodesana in tempi più recenti.

Due modi di ricordareCi sono due modi di ricordare una persona che ci è stata cara e vicina

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su questa nostra sponda del tempo:un primo modo fondamentalmente paralizzante ce la fa vedere im-prigionata nel passato, fissata dalla morte in un punto della storia 24 giugno 1988 , che si allontana inesorabilmente da noi che avanziamo, per adesso, verso il futuro;il secondo modo, profondamente liberante, ce la mostra davanti a noi, approdata all’altra sponda dell’eterno, immersa nel futuro di Dio verso il quale tutti noi siamo proiettati.Per noi, suoi amici, non si tratta di fare qui gli elogi di Cristina che così sorprendentemente ci ha lasciati; né si tratta di canonizzarla o di farla apparire senza difetti, in una luce irreale.L’affetto e la stima che nutriamo per lei non ci farà commettere que-sto errore di prospettiva.Per noi si tratta di lasciare intravedere quello che in Cristina ha opera-to, quella Forza che l’ha guidata in tutti questi anni; quella Forza che l’ha lentamente trasformata dal di dentro, senza annientare i tratti della sua umanità. Per lei quella Forza è una Persona viva, Colui che ha saputo riconoscere nella fede come ‘il Signore della mia vita, anzi la Vita stessa’.Attraverso lei, cosi unita a Vincenzo ci è venuto un messaggio di Spe-ranza e solidarietà, un invito a pensare a spendere in maniera creativa la nostra unica vita come accoglienza calda e cordiale.E ciò a partire dalla consapevolezza che noi per primi siamo accolti ed amati da sempre e per sempre.Ecco allora la verità profonda della vita: un pellegrinaggio in cui si condivide.Don Enrico Tincati giugno 1989

IncontroOggi, Signore, mi sei passato di fianco in stazione a Piacenza. Eri, sei un povero mendicante (ti chiamavano”Il Professore”)…. accetteresti un alloggio… ma io non ne avevo uno mio da offrirti. Una scusa?Dio mio perdonami e fammi capire. Posso andare avanti così ? Ti in-contro (oggi ho fatto l’Eucarestia) e ti lascio andare via. Ti ho parlato in quell’uomo, ti ho dato qualcosa, ma non ti ho chiamato in casa.

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Dio mio, non posso più reggere così!E intanto facciamo discorsi,sinodi, chiacchiere per vedere come an-nunciarti! Tu ci passi accanto ed io ti lascio andar via… non è possibi-le. Convertimi e dammi spazi nuovi che io possa gestire come tu vuoi. (da un quaderno di appunti in data 16-8-1984)

Riflessione per la comunità di Santa MariaAmare il tuo prossimo è un amore storico, concreto, non un amore dolciastro o falsamente universale.Si può dichiarare di amare tutti e non amare di fatto nessuno. Un amo-re sa rispondere a bisogni concreti,storicamente localizzati ed indivi-duati: è inutile dire “ama il prossimo tuo” se non gli dai un nome,una città , una nazionalità…(da una traccia del 14-7-1989)

Come una madreCome una madre, Signore, non può dimenticare il suo figlio,così Tu non puoi dimenticare l’uomo. A Te, noi stiamo a cuore! Quando al mattino mi sveglio, tu hai già operato nel cuore di ognuno, perché Ti accolga: Ti faccia spazio. Io -servo inutile- arrivo dopo. E non devo agitarmi pensando che, se non dovessi arrivare io. Tu resteresti fuori: Certo siamo servi e dobbiamo servire: guai se non annunciassi il Vangelo; ma siamo servi inutili. (senza data)

Con quanta paceCon quanta pace,gioia,serenità va fatto il nostro lavoro di operai del Vangelo! Quando alla sera mi addormento, io so che Tu ve-gli come sentinella su ognuno di noi perché nessuno vada per-duto. E così continuo con gioia il mio cammino con Te, facen-do il prete con un umile gioia . Rendendoti grazie perché mi hai svelato il mistero del Regno dei cieli. Camminando verso Te, che

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mi concedi – dopo questo breve pellegrinaggio – oltre la morte. (senza data)

Tu sei il centro della mia vitaO Signore sono in chiesa e metto come mia preghiera queste mie pa-role. Vorrei dirti subito che tu sei il centro della mia vita anche se ora sono arido arido.Ho un desiderio di un vivo contatto con…..per….. che anch’io come gli Apostoli ed i Santi possa dire: vi parlo di uno che io ben conosco, con cui ho mangiato assieme , che ho esperimentato, che è vita della mia vita, che io ho assimilato. Ho vissuto con Lui, ho sofferto con Lui: Signore, l’intimità con te è intimità con i fratelli e l’esperienza di te è anche esperienza dei fratelli.Vorrei passare la mia vita a contemplarti, a stare con te, vorrei non dover più amaramente constatare che a volte tu non sei stato il centro della mia vita e che ho bisogno di rituffarmi in te. Ma questo, tu ben lo sai è utopia; mi accetto come mi hai fatto, mi accetto anche quando mi dimentico di te.

Fa della mia vita una diaconia del prossimoSignore, tu hai detto: non sono venuto per essere servito, ma per ser-vire. Stampa anche nel mio cuore e nelle mie azioni questo stampo. Signore mi sono dimenticato di me: non so più a che razza o a che famiglia ap-partengo… per te il mondo è diventato la mia famiglia ed io sono diventato il servo di tutti i miei fratelli. Non mi appartengo più, non so più

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che cosa mi piaccia di più o di meno ma so solo ciò che piace a te: ho perso il senso di giudicare ma tutto ho giudicato come giudichi tu. Non sono più capace di fare ciò che mi piace, ma solo ciò che ti piace. Signore vorrei…. ma quanto sono lontano da ciò. Pure fa della mia vita un servizio, una diaconia del prossimo. Fa’ che mi scordi di tutto e soprattutto di me.Tu, divino modello, ispirami il mio Sacerdozio. A te chiedo la forza di essere fedele all’idea che tu hai su di me, nella Chiesa. Spirito Santo illuminami.

AD DEUM… brani tratti dal testamento spiritualeOggi……. rimetto a Te la mia vita, questo granello pesante, amante, questa goccia dentro ad un Mare immenso ma ricordata per nome ed amata perso-nalmente da Te.…oggi, davanti a Te 1. trasmetto la fede, il dono più prezioso, che a mia volta anch’io ho ricevuto, alle generazioni future che abiteranno in seno della Madre Chiesa.2. ringrazio Te, mio Dio della testimonianza che ho potuto dare, chiedo per-dono a Te e ai fratelli della controtestimonianza che ho dato, mai però volon-tariamente, così credo. Ho cercato, talora con affanno sempre di fare la tua volontà, pur avendola spessissimo confusa con la mia. Questa è la mia grande fragilità.3. voglio dire il mio ardente desiderio che tutti, a partire dai miei amici pìu vicini e dai miei cari, possano giungere alla luce della fede e per questo offro la mia vita. Ho lottato contro il male, la morte e l’incredulità, a volte fino a

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piangerne ed a soffrine acutamente. Ho amato molto coloro che mi sono stati affidati come prete. Li ho amati non ricercando interessi umani, ma deside-rando il bene vero per essi, con una tenerezza immensa. E scongiuro tutti e ciascuno a non perdere il Dono della Fede.………È semplicemente indicibile il riconsegnarti tutto e il renderti grazie per l’av-ventura vissuta con Te e in Te con coloro che mi hai dato come compagni di viaggio. TIBI OMNIA COMMENDO (A TE AFFIDO TUTTO) 29 maggio 2003DON ENRICO

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Chi siamoChi siamo: estratto da identità eRegolamento della Casa di Lodesana del 1983Nel 1983 dopo alcuni anni di gestazione e preparazione personale e comunitaria viene aperta la Casa di Lodesana con una famiglia, Cristina e Vincenzo, un prete, don Enrico, una comunità parrocchiale, Santa Maria, un gruppo di volontari, un Vescovo, Mons. Mario Zan-chin e una Diocesi. Ecco di seguito un ampio estratto da “Identita’ e Regolamento della Casa di Lodesana” (14/01/1985) che ben sinte-tizza le radici, i principi ispiratori, dell’identità della “Casa”:

1) CHI SIAMO 1- Siamo una famiglia che, in nome della fede, intende aprirsi ad accogliere chi è emarginato…

a) in modo qualificato b) come espressione della Chiesa locale c) in collaborazione con l’Associazione “Gruppo Amici” d) aperti a collaborare con tutti gli uomini sinceri.

2- Consci dei nostri limiti, siamo tuttavia, coscienti di essere inseriti nel grande filone della storia della Chiesa la cui fede prende corpo anche nella condivisione dei più poveri.

3- In comunione con chi ci ha preceduto in modo particolarmente “luminoso”, particolarmente in comunione con tutti i Santi che hanno espresso la genialità della carità cristiana; con la forza dello Spirito, trepidanti e limitati, anche noi, nel nostro piccolo quotidiano, deside-riamo vivere insieme questa esperienza di famiglia ‘aperta’

4- Sappiamo che la forma di vita che scegliamo non è l’unico modo di incarnare la fede; gioiamo e ringraziamo per tutte le famiglie che

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si impegnano a vivere il sacramento del matrimonio, particolarmente per quelle che,col loro esempio, sono state per noi un segno nel nostro cammino. Tuttavia abbiamo sentito vera per noi due questa “forma” ed ab-biamo creduto di riconoscervi, per noi, la chiamata del Signore. Essa è giunta a noi attraverso il cammino fatto in Comunità, gli incontri fatti, i bisogni incontrati, la scoperta dei nostri talenti , la preghiera ed il confronto dentro la Comunità cui apparteniamo.

2) PRINCIPI ISPIRATORI1- Rendimento di grazie,impegno e trepidazione

Noi rendiamo grazie ,anzitutto, a Dio perché l’averlo incontrato ci consente di fare questa esperienza fuori da alcuni schemi comuni (ma non fuori dalla “pazzia” della Fede) e ci fa assaporare la libertà dei figli di Dio (“Cercate anzitutto il Regno dei Cieli ed il resto vi sarà dato in aggiunta” Mt. 6,33) E poiché non siamo ancora arrivati alla Patria eterna, la nostra gioia convive con la fatica; la libertà con le paure; l’amore con l’egoi-smo. Anche se piccoli, abbiamo sperimentato come Abramo, Mosè, Geremia, i discepoli la paura e la trepidazione; alcune critiche alla nostra scelta e la constatazione dei ns. limiti ci hanno fatto interroga-re: “vale la pena?”….. “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa ,dunque, ne otterremo? (Mt 19,27). “Mi haI sedotto, Signore….si fanno beffe di me (Ger.20,7). Ma noi ci impegniamo a battere il negativo che c’è in noi ed attorno a noi con la forza di Dio. “Cerchiamo di vivere con impegno in questo mondo nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”. E durante il nostro pellegrinaggio, ci impegniamo a lasciarci riconciliare e riconciliarci tra noi.

2- Ecclesialità e corresponsabilità La ns. esperienza è nata dalla Fede e dentro la Chiesa fidenti-na. Essa è perciò espressione di una Comunità sollecita a riconciliarsi, soprattutto con gli ultimi.

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A questa sollecitudine, noi volgiamo prestare mani e cuore. Deve essere chiaro che:

a) essendo la ns. una scelta personale e di coppia, ne siamo i primi responsabili;b) essendo una scelta dentro la Chiesa, la nostra casa è anche espres-sione della Comunità che condivide. Pertanto la Comunità di S.Maria per un verso e le comunità cittadine e la Diocesi per l’altro sono chia-mate a sentirsi parte e a partecipare all’esperienza di questa Casa.c) L’Associazione “Amici” in cui lavoriamo è l’altro polo chiamato a sostenere ed a partecipare il tentativo che facciamo.

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3- Il Cristo in incognitoCi ispira di continuo il desiderio di riconoscere e di servire il Cristo con-creto nascosto nel ‘sacramento’ dei poveri e degli ultimi (Mt 25,31-46)

4- Il Signore ti dirà:’ Eccomi’ E’ un Dio in carne e ossa quello che viene a noi nei poveri. E’ Lui che ci aiuta a non sentirLo lontano come tante false crisi sembrano sug-gerire. Tentare di condividere in concreto, allontana questo genere di pseudocrisi (Isaia 58,1-12)

5- Onora Cristo nei poveriCrediamo in una religione coinvolgente che ci chiede una coerenza coi gesti e la preghiera che facciamo e che ci evita alienazioni di ogni segno: spiritualista o orizzontalista (cfr. “Omelie sul vangelo di Matteo” di san Giovanni Crisostomo, Vescovo. Om. 50, 3-4; PG 58, 508-509)

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Casa di Lodesana oggiCasa di Lodesana oggiI nostri ValoriLa centralità della personaUn’aspetto essenziale dei percorsi di Casa di Lodesana è considerare l’utente come un individuo complesso, che racchiude una realtà e una profondità non riducibili a ciò che appare. Non ci fermiamo alla punta dell’iceberg, ma cerchiamo continuamente di facilitare l’esplorazione di ciò che la superficie nasconde: bisogna andare al di là delle man-canze, delle debolezze, delle fragilità, per cogliere le potenzialità e le risorse che ognuno può offrire.

La relazione e il gruppoMolto importante per noi è favorire una partecipazione attiva alla vita della Comunità e ai progetti che promuoviamo, cercare la massima condivisione della realtà quotidiana, stimolare le potenzialità della per-sona, del gruppo. I nostri utenti possono trovare aiuto per elaborare ed affrontare paure e incertezze, affidandosi a chi è pronto all’ascolto e alla comprensione.Costruire rapporti attraverso il gruppo permette al soggetto di svilup-pare abilità interpersonali, incrementare la fiducia in se stessi ed ac-quisire una progressiva consapevolezza delle proprie capacità.

Il cambiamento“Il cambiamento non è soltanto necessario per la vita. E’ la vita” scri-veva Alvin Toffler, celebre autore statunitense.Ed è proprio questo l’approccio adottato dai nostri operatori: credere che le persone possano trasformarsi, evolvere, intraprendere nuove strade, maturare. Niente è immutabile o senza speranza: nella nostra Casa ognuno può essere protagonista della propria rinascita.

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La famigliaSostenere e aiutare la famiglia è uno dei più importanti strumenti di lavoro della nostra Comunità e die nostri percorsi e progetti; infatti, il disagio personale viene vissuto e condiviso con i propri familiari, considerati una risorsa fondamentale. Per questo Casa di Lodesana si impegna in un costante appoggio alle relazioni parentali e affettive creando quella rete di supporto in grado di accogliere l’utente al ter-mine del percorso terapeutico.

La collaborazioneCrediamo fermamente che lo scambio reciproco sia alla base della co-noscenza e dello sviluppodelle persone, e che solo attraverso la colla-borazione, il lavoro di squadra e di rete sia possibile rinnovarsi e aprirsi al futuro. Questo non vale solamente all’interno della Comunità, ma anche e soprattutto per il territorio in cui Casa di Lodesana è inserita: i Ser.T, le scuole, il Centro per Famiglie, la Diocesi, il Terzo Settore, il Distretto. Si tratta di interlocutori continuamente in contatto con la no-stra struttura per creare progetti e processi, intrecciare collaborazioni, apportare miglioramenti e proporre nuove idee. Ne siamo fortemente convinti: confrontarsi per condividere un obiettivo comune permette di raggiungere risultati straordinari.

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Casa di Lodesana oggiIl legame con la Diocesi

Riconoscere le proprie origini è molto importante perchè permette di mantenere vive e chiare le motivazioni del nostro agire e non concede allo scorrere del tempo di impolverare le immagini del passato. Per noi è fondamentale ricordare che Casa di Lodesana, come la cono-sciamo oggi, poggia le radici nello spirito cristiano che ha guidato i fondatori della struttura e che lo stesso terreno su cui sorge la comu-nità è stato messo a disposizione dalla Diocesi di Fidenza. Quest’ul-tima ha sostenuto fin dall’inizio il progetto della comunità ecclesiale di S. Maria Annunziata, permettendo a don Enrico di creare la prima famiglia d’accoglienza guidata da Cristina e Vincenzo. Non solo, ha sempre supportato la realtà della Casa. Agli ospiti è regolarmente of-ferta la possibilità di una libera ricerca spirituale e religiosa: ognuno di loro ha la possibilità di confidarsi in colloqui riservati con il prete che frequenta abitualmente la struttura, senza che questi rientrino nella valutazione del cammino terapeutico. I residenti possono partecipare anche a gruppi parrocchiali di formazione cristiana e, accompagnati da volontari, alla Messa festiva. Riteniamo inoltre parte integrante del percorso di crescita proporre momenti di condivisione in cui parlare dell’esperienza di Fede, della Ricerca di Dio o della sua assenza: que-sto spazio infatti non è aperto solo ai credenti, ma a chiunque voglia comunicare ciò che sente per esprimere il proprio punto di vista, senza nessun obbligo o imposizione. Diversi parroci con il passare degli anni hanno collaborato con Casa di Lodesana.Innanzitutto don Mario Fontanelli, fratello di Cristina che è succeduto a don Enrico nella parrocchia di Santa Maria. Don Mario frequenta regolarmente la Comunità celebrando mensilmente l’Eucaristia nella cappella, conducendo il gruppo per ospiti e volontari interessati ad un cammino di fede e per colloqui di accompagnamento spirituale. In

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precedenza aveva svolto per anni lo stesso ruolo don Carlo Delledon-ne.Don Paolo Cacciali ha frequentato la Comunità come volontario quan-do era ancora seminarista fino a ricoprire il ruolo di presidente della nostra Associazione.Padre Mauro Ghidini, presbitero diocesano, presidente dell’Associa-zione Talita Kum con cui da anni si è instarata una feconda collabo-razione.Don Umberto Cocconi, presidente dell’associazione San Cristoforo di Parma con cui abbiamo costruito il progetto Casa di Elia, un progetto particolarmente innovativo che negli ultimi anni ha visto un importan-te sviluppo.In tutti i territori in cui siamo presenti è stata coninvolta la realtà ec-clesiale ed i parroci.Un riconoscimento particolarmente significativo che Casa di Lodesana ha ricevuto dalla Diocesi e che ne evidenzia lo stretto legame è rappre-sentato dal n° 152 del Sinodo Diocesano che qui di seguito riportiamo integralmente.

DAL XIII SINODO DIOCESANO FIDENTINO(1987):”Rricercare le nuove povertà” (n.152)La Chiesa Italiana ha richiamato ogni comunità a ripartire dagli ultimi che sono il segno drammatico della crisi attuale (cfr,. doc. CEI 23 ot-tobre 1981 sulla situazione del paese).

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Casa di Lodesana oggiSono i più poveri fra i poveri coloro che Gesù ha detto “Avrete sempre con voi” (Mt 26,11). È dunque dovere della chiesa ricercare le nuove povertà che accanto alle miserie di ieri non mai sconfitte del tutto, affliggono l’umanità di oggi.Nella nostra Diocesi si manifesta fattiva attenzione per i problemi della tossicodipendenza con la creazione di un ambiente terapeuti-co, “la Casa di Lodesana”. È un iniziativa concreta e promettente da seguire con amore. Occorre però che altre case e famiglie sappiano aprirsi per accogliere questi giovani in difficoltà, ma disposti al recu-pero. mentali, spesso abbandonati a se stessi o lasciati ad aggravio di situazioni familiari incapaci di rispondere adeguatamente ai bisogni.

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In Fidenza viene offerta già una qualificata assistenza da parte di or-ganismi cristiani. Occorre ampliare l’esperienza in atto, imitando gli esempi che ci sono. Ma altre e numerose sono le forme di sofferenza e di disagio, create sopra tutto dall’individualismo e dalla conseguente solitudine, da rotture familiari, dalla mancanza di lavoro e di educa-zione… La meravigliosa fantasia dell’amore cristiano sappia esercitarsi nel dare ad ognuno sollievo.

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Casa di Lodesana oggiIl legame con il territorioMappa degli StakeholdersIl forte legame con il territorio, il radicamento locale, è l’altra carattte-ristica della nostra realtà. La nostra Associazione non opera soltanto nell’ambito dei percorsi terapeutico-riabilitativi, ma si ramifica in un in-sieme di servizi, progetti e strutture diverse. Per questo è utile costruire una mappa degli Stakeholders, ovvero di ogni gruppo o individuo che può influenzare o essere influenzato dalle attività di Casa di Lodesana.

Ser.t della Provincia di Parma e limitrofiSono il nostro interlocutore principale, i nostri committenti. Tutti i per-corsi vengono realizzati in strettissima sinergia con incontri regolari di elaborazione dei progetti e di monitoraggio degli stessi con il coinvol-gimento attivo dell’utente e dei suoi familiari. La vicinanza, la stima reciproca maturata negli anni e la formazione condivisa hanno per-messo di realizzare una reale integrazione che ha favorito l’innova-zione, la qualità e l’appropriatezza e la sostenibilità dei percorsi. Inol-tre partecipiamo regolarmente ai tavoli di monitoraggio dell’ accordo provinciale.

Utenti e familiariGli utenti e i loro familiari sono sitematicamente coinvolti nella defini-zione dei progetti terapeutici e nel processo di miglioramento continuo dei servizi erogati.L’attenzione ai giovani ed alla famiglia è da sempre al centro dei nostri progetti di prevenzione e di consulenza..Comuni (Fidenza e distretto), Provincia, DAISM, Centro per le Fami-glie, Servizi sociali, Carabinieri, SILDSia per la complessità dei percorsi che per le progettazioni nell’ambito della prevenzione e delle azioni di comunità i rapporti con le principali

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istituzioni pubbliche sono attivi da vari anni e sono stati consolidati e sviluppati nel tempo.

Scuole primarie e secondarie del DistrettoLe scuole sono sempre state considerate un interlocutore privilegiato in particolare per i progetti di prevenzione. In questi anni sono stati at-tivati progetti e interventi sia con il gruppo classe che attività di sportel-lo per alunni e docenti nelle principali scuole secondarie del distretto e in alcune scuole primarie.

Parrocchie e movimenti ecclesialiIl nostro legame con la Diocesi ci ha sempre fatto ritenere parroc-chie e movimenti interlocutori particolarmente significativi. Negli anni sono stati realizzati vari incontri di prevenzione e promozione. Alcuni dei nostri volontari hanno maturato la propria scelta proprio in questi contesti.Collaboriamo da sempre con la Caritas parrocchiale di Santa Maria.

Terzo settoreUna collaborazione di stretta sinergia si è realizzata in questi anni con l’ Associazione San Cristoforo di Parma e con L’Associazione Talita Kum di Salsomaggiore Terme.La nostra Associazione aderisce da sempre al coordinamento del vo-lontariato di Fidenza “Associazione Insieme”, alla Consulta del volon-tariato sociosanitario del comune di Fidenza e al Forum terzo settore della Provincia di Parma.Da alcuni anni è attivo un tavolo di incontro con le altre Comunità terapeutiche della provincia di Parma.Da anni collabora in rete e sviluppa progetti con numerose realtà del Terzo Settore del Distretto e della Provincia, con l’associazione Forum e il CSV di Parma.Siamo membri del coordinamento regionale degli Enti Ausiliari (CEA).

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Casa di Lodesana oggiLe tessere del mosaico

All’origine dell’operato della Comunità Terapeutica, del percorso Casa di Elia, della prevenzione, dell’azione sul territorio, troviamo l’Associa-zione “Gruppo Amici”. E’ la base comune di tutte le attività terapeu-tiche, dei progetti, delle inziative, ed è a questa organizzazione che le diverse strutture fanno riferimento per gestire il proprio lavoro.Negli anni, mentre la realtà si andava sviluppando, si è posta una specifica attenzione e cura alla costruzione dell’organizzazione con-siderandola una fattore di fondamentale importanza per la realizza-zione di una sistema dinamico, riflessivo ed in grado di confrontarsi con il cambiamento. Per questo sono stati definiti con chiarezza i ruoli e compiti di ciascuno ed in particolare un sistema di coordinamento, confronto continuo basato sulla partecipazione.

ASSOCIAZIONE GRUPPO AMICI

DIREZIONE

direttore

vicedirettore

responsabile amministrativo

COORDINAMENTO

AREE Comunità terapeutica

Prevenzione

Progetti riabilitativi

OPERATORI

VOLONTARI

SUPERVISIONE

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Distribuzione Bugdetrappresentazione voci spesa 2012

Giorni di presenza nei serviziresidenziali dal 2003 al 2012

Bugdet rette servizio sanitariodal 2003 al 2012

Contenimento costi medi rispettoal numero delle prese in carico

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Casa di Lodesana oggiIl volontariatoPoche cose hanno un valore paragonabile al Tempo. Non può es-sere comprato, non è possibile fermarlo, non si può comandare a nostro piacimento. Per questo quando lo regaliamo a qualcun altro diventa ancora più prezioso, soprattutto se nasce da un sentimento di solidarietà e desiderio di condivisione. Abbiamo voluto dedicare un paragrafo a parte ai volontari di Casa di Lodesana perchè da sempre sono una risorsa fondamentale alla vita stessa della comunità, e ci ricordano ogni giorno l’importanza della gratuità e della capacità di donarsi. Partecipare come “presenza amica” alle attività della nostra struttura non significa solo aiutare chi si trova in difficoltà, ma rappre-senta anche un’occasione di maturazione e di crescita, arricchisce l’ esperienza personale e permette di conoscere meglio se stessi. Rino, uno dei nostri volontari che si occupa della cura dell’orto, afferma di aver iniziato questo percorso per “solidarietà, anche perchè mio nipote ha avuto una vita travagliata come tossicodipendente. Con i ragazzi ho un rapporto tranquillo e piacevole, è un’esperienza molto positiva che consiglierei vivamente.” Walter invece ci racconta che segue la zona di allevamento delle api e “ ...con il tempo si produce il miele. Vado d’accordo con tutti, in più mi piace fare del bene per chi ne ha bisogno.”I volontari sono chiamati a favorire le relazioni e la socializzazione degli ospiti, collaborare nella gestione della Casa. In più è presente una verifica periodica e ad una formazione permanente: siamo molto attenti alla qualità del rapporto con gli utenti, per questo è indispen-sabile essere costantemente preparati e poter contare sul supporto dell’èquipe educativa. Gli operatori stessi sono sempre a disposizione per chiarimenti, colloqui e confronti.

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La Comunità TerapeuticaLa nostra struttura, oggi, offre un articolato servizio d’accoglienza per chi soffre di problemi di dipendenza e intende intraprendere un per-corso di sostegno e cambiamento in un ambiente protetto e sicuro, gestito da operatori formati e competenti, supportati da una preziosa rete di volontari.Innanzitutto, per noi è fondamentale che ogni ospite si senta in prima persona partecipe della vita della Casa: crediamo fortemente nelle potenzialità terapeutiche della condivisione, dell’appartenza e della formazione di relazioni significative. Dopo anni di esperienza siamo ben consapevoli del grande potenziale che hanno gli utenti di soste-nersi l’un l’altro, aiutarsi, confidarsi a vicenda, farsi forza nei momenti difficili. Chiunque deve sentirsi responsabile dell’organizzazione e della buona convivenza, per imparare ad affrontare le piccole sfide quoti-diane con più fiducia e speranza.Per questo l’ammissione alla Comunità è preceduta da alcuni colloqui che hanno lo scopo di sondare le motivazioni del soggetto, di illustrare le regole, gli obiettivi e i metodi adottati, infine di definire e condivide-re il progetto terapeutico. L’ingresso viene sempre decisa dal respon-sabile in accordo, oltre che con l’ospite, con l’équipe e con il Ser.T. competente, che compierà periodiche visite per valutare l’andamento del programma e del percorso riabilitativo.Se ci fosse chiesto qual è l’elemento chiave del nostro intervento, su cosa si basano i nostri stumenti di lavoro, da dove nasce il filo rosso che unisce la nostra azione, non avremmo dubbi: la risposta è la re-lazione e il gruppo. Pensiamo che solo creando legami di fiducia reci-proca e condividendo ogni giorno paure e dubbi con chi può e vuole ascoltare, sia possibile immaginare un reale recupero del controllo della propria vita e del proprio benessere. Ci piace pensare a Casa di

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Lodesana nel duplice ruolo di “genitore”: come “madre sufficiente-mente buona” che sa consolare, scacciare gli incubi notturni, avvertire dei pericoli e richiamare al rispetto reciproco; come “padre presente”, determinato e attivo, che stimola alla riflessione, al cambiamento e al confronto con la realtà.Il periodo residenziale si articola in tre differenti moduli con specifici obiettivi; il primo periodo è quello dell’ accoglienza (della durata -di norma- di tre o quattro mesi), dove si lavora per costruire una soli-da alleanza terapeutica e riuscire ad ambientarsi nella Comunità. E’ molto importante in questa prima fase sviluppare la motivazione al cambiamento e individuare i problemi personali che hanno portato l’utente a rivolgersi a noi. Il secondo passaggio è denominato impron-ta, si prolunga anch’esso di solito per qualche mese, e prevede un più mirato approfondimento della storie di vita dell’utente, che possono concentrasi sulla famiglia, sull’affettività, sul lavoro, ecc... Il momento successivo è il modulo intermedio, che consiste nel consolidamento degli obiettivi raggiunti, attraverso l’assunzione di una maggior respon-sabilità all’interno della Comunità, nonchè il graduale reinserimento sociale con la ricerca, l’inizio e il consolidamento dell’esperienza lavo-rativa. Ognuna di queste fasi comprende la partecipazione a gruppi psicoeducativi e colloqui individuali con l’operatore di riferimento. Set-timanalmente, inoltre, si tiene un incontro per verificare l’andamento della vita comunitaria e lo svolgimento del progetto personalizzato dei singoli e un gruppo di Skills Training cioè di acquisizione di abiltà di mindfulness, efficacia interpersonale, regolazione delle emozioni e tol-leranza della frustrazione. Negli anni sono stati declinati in modo molto chiaro i riferimenti teorici che guidano l’intervento psicoeducativo.Il gruppo è la nostra forza, e cerchiamo di condivere più momenti possibili confrontandoci l’un l’altro.Un celebre proverbio recita:”Non dare pesce, ma insegna a pescare”. Si sa, nei proverbi c’è sempre qualcosa di vero, e questo rispecchia perfettamente l’obiettivo del nostro lavoro: permettere a chi ci chiede aiuto di poter riprendere le redini della propria vita. Quello che offria-mo non è un semplice alloggio temporaneo, ma la possibilità di intra-prendere un percorso di rinnovamento e crescita. Infatti, al periodo

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residenziale, segue quello in cui l’utente è collocato presso un appar-tamento protetto della Comunità (nelle città di Parma, Salsomaggio-re o San Giuliano Piacentino) con presenza periodica dell’operatore di riferimento. Il passaggio successivo è quello del rientro definitivo presso la propria abitazione, con colloqui quindicinali per affrontare gradualmente la fine del percorso terapeutico.Un’altra attività che riteniamo essenziale nella vita di Casa di Lode-sana è sicuramente il lavoro manuale, che rappresenta un momen-to significativo dello stesso percorso terapeutico e viene svolto quoti-dianamente dai nostri utenti. Su indicazione dell’operatore ognuno è chiamato a contribuire alla manutenzione della Casa, dalla cucina, della lavanderia, dell’orto e dell’ampio parco. Sentirsi attivi e produtti-vi, partecipi e utili al bene comune è infatti parte integrante del cam-mino di recupero.Anche l’individuazione di modalità piacevoli e non distruttive nella gestione del tempo libero, nei limiti dei vincoli posti dalla Comunità, attraverso la coltivazione di interessi e relazioni è un obiettivo di fon-damentale importanza.Non meno importante è il costante coinvolgimento della famiglia dei nostri ospiti, che consideriamo un prezioso alleato, fondamentale al trattamento. Cerchiamo infatti di organizzare con costanza e regolari-tà incontri con i familiari, visite alla Casa e uscite programmate.

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Casa di Lodesana oggiIl cambio di paradigma:il Progetto Casa di Elia e l’abitare supportatoIl progetto Casa di Elia prende vita nel 2007, realizzato dall’Associa-zione Gruppo Amici - Casa di Lodesana in collaborazione con Casa Famiglia Associazione ONLUS San Cristoforo, Associazione Talita Kum di Salsomaggiore Terme. Da tempo si sentiva le necessità di cre-are un luogo di supporto a quegli utenti che, compiuto il cammino presso la Comunità terapeutica, avessero la necessità di un ulteriore accompagnamento per diventare nuovamente attivi e autonomi nel proprio contesto sociale. Sono stati così messi a disposizione diver-si appartamenti a Salsomaggiore, Parma e San Giuliano Piacentino dove, con regolari colloqui, gruppi, èquipe e supervisioni viene dato un aiuto concreto nella gestione finanziaria, delle terapie farmacologi-che, dei rapporti con famiglia e amici, del lavoro, oltre che un costante e continuo sostegno psicologico.Questo intervento psicoeducativo è stato pensato in particolare per soggetti che presentano problematiche complesse a livello individuale o sul piano familiare-relazionale, che abbisognino anche di un per-corso terapeutico residenziale breve e di un reinserimento graduale, oppure che a fronte di una ricaduta necessitino di una pausa, con possibilità di mantenere l’attività lavorativa.L’accesso al progetto Casa di Elia viene concordato con il Servizio in-viante e con l’utente; il percorso propone un coinvolgimento costante (incontri, gruppi), ove possibile, con la famiglia (d’origine e acquisita) considerata come collaboratore fondamentale al trattamento.La filosofia che ha guidato sin dall’inizio la stesura del progetto richia-ma ad un approccio di rete, che non releghi la Comunità ad un’isola solitaria e distaccata, ma che crei un’arcipelago di soluzioni e spazi tra le diverse strutture: essenziale infatti per la buona riuscita dell’inter-vento è l’integrazione con i Ser.t. e gli altri Servizi, interlocutori sempre

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presenti nel percorso riabilitativo e di reinserimento dei soggetti.La sfida che vogliamo perseguire è quella di promuovere un’integra-zione completa ed efficace attraverso un costante sostegno strutturale e umano: dobbiamo superare una concezione ghettizzante e segre-gante del recupero sociale, avviando percorsi che consentano la ripre-sa di un progetto di vita soddisfacente e dignitoso.Quindi, Casa di Elia non ha rappresentato un semplice progetto, ma un vero e proprio cambiamento di paradigma nella concezione dei percorsi terapeutici. Da un’impostazione lineare ed unidireziona-le, centrata sulla Comunità, si è passati ad un approccio reticolare, complesso e sistemico. Il reinserimento in questo modo assume un significato sempre maggiore, a differenza del in passato in cui non era vissuto come momento centrale del percorso di recupero. Oggi sappiamo che la costruzione della relazione è una fase decisiva, che non si può ridurre al momento comunitario; abbiamo cercato di co-struire un sistema che fosse focalizzato sulla modulazione dell’intensi-tà terapeutica e sulla continuità assistenziale, sulla prevenzione delle ricadute, nonchè su una loro adeguata rielaborazione in termini di apprendimento.Il sempre più ampio di numero di utenti che ha sfruttato quest’oppor-tunità ed è riuscito a disegnare una nuova prospettiva per il proprio futuro, è l’elemento che conferma l’utilità e l’efficienza delle strutture e degli operatori coinvolti.Una evoluzione naturale di questo approccio è costituita dall’avvio di progetti di abitare supportato finalizzati alla valorizzazione delle mas-sime autonomie possibili in una prospettiva di gradualità e continuità assistenziale.

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Casa di Lodesana oggiPrevenzione e azione sul territorioAlla base del nostro lavoro non c’è solo l’obiettivo di riconsegnare libertà, di-gnità e fiducia in se stessi a chi sente di non poter risalire da solo l’abisso della dipendenza; c’è anche la convinzione che l’abuso di sostanze sia il sintomo più appariscente di un disagio sociale che sta attraversando la nostra società caratterizzato da un indebolimento delle relazioni e della dimensione simboli-ca, dalla morte del desiderio e dalla rimozione del limite.Per questo è urgente creare una cultura basata sull’aiuto reciproco e sull’ascol-to, la generazione e rigenerazoine die legami sociali e la riscoperta della di-mensione generativa del limite per accedere a forme non distruttive della ri-cerca del piacere. Per questo riteniamo fondamentale intervenire con opere di prevenzione su più livelli, attivando iniziative e progetti che si rinnovano di anno in anno.“Informazione, consulenza e sostegno alla famiglia”, offre un servizio inte-grato di orientamento e consulenza individuale e/o familiare ai genitori che incontrano situazioni di difficoltà con i propri figli, seguendo i singoli casi per individuare ed affrontare eventuali condizioni di dipendenza più o meno gravi.“Spazio per Voi” invece opera direttamente nel contesto scolastico (e per chi lo desidera presso i locali della Parrocchia di S. Maria Annunciata a Fidenza), fornendo ai ragazzi una figura professionale competente ed esperta con cui possono discutere di difficoltà nelle relazioni con i coetanei, i genitori, le regole e le aspettative degli adulti, problematiche relative all’uso di sostanze o legate alla sfera del cibo e del proprio aspetto fisico. Per noi è molto importante rendere la comunità stessa dove operiamo consa-pevole e cosciente del tema della tossicodipendenza, per questo organizziamo regolarmente convegni e assemblee aperte a tutti che consentano di confron-tarsi su questo argomento. Per esempio in occasione della Giornata Mondiale della lotta alla droga 2011, in collaborazione con il Ser. T. di Fidenza abbiamo proposto una serata di riflessione sulla seduzione della droga, i giovani e il nichilismo intitolata “Droga: sintomo e metafora della società?”.

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Di fronte al diffondersi sempre maggiore delle dipendenze comportamentali si stanno attivando interventi, coordinati con la rete territoriali, rivolti al gioco d’azzardo patologico ed alle dipendenze teccnologiche.Casa di Lodesana inoltre, soprattutto negli ultimi anni, ha partecipato all’or-ganizzazione di diversi eventi sul territorio che hanno posto al centro i temi della solidarietà, dell’interculturalità, dello scambio reciproco. Un esempio è la Festa dei Popoli (giunta nel 2012 alla sua quarta edizione) che si svolge nel comune di Fidenza in collaborazione con una rete di organizzazioni del Terzo Settor di Fidenza e con il Centro per le Famiglie: tre giorni di musica, spettacoli, cucina multietnica e soprattutto tante occasioni per integrare realtà e modi di vivere differenti. Infine, il nostro gruppo è attivo nel progetto “Beni relazionali”, ovvero in azioni volte ad intercettare in modo precoce situazioni di vulnerabilità sempre più diffuse, prima che queste si trasformino in forme di povertà e marginalità conclamata.Ultimo nato dei progetti volti ad un empowerment individuale e comunitario è il progetto Midfulness di Comunità in collaborazione con la Cooperativa sociale Il Cortile di Salsomaggiore finalizzato alla diffusione ed all’acquisizio-ne di pratiche di consapevolezza quotidiana ampiamente riconosciute come strategie efficaici di gestione dello stress e per vivere in modo più ppieno e significativo.In una realtà in cui la comunicazione si avvale sempre di più delle nuove tec-nologie si inserisce la costruzione del nuovo e più dinamico sito dell’Associa-zione Gruppo Amici – Casa di Lodesana:www.casadilodesana.org

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Mindfulnessl’arte di vivere con consapevolezza

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ConclusioniConclusioni

Alla fine di questo viaggio, ovviamente incompleto, nei 30 anni di storia complessa e profonda di Casa di Lodesana non ci sentiamo arrivati. Siamo contenti di essere arrivati qui. Tanto rimane da fare, da migliorare. In questo cammino non ci sentiamo soli. Come dice un noto proverbio del Sud America: Camminando, s’apre il cammino. Come ci ha insegnato don Enrico: “Ecco allora la verità profonda della vita: un pellegrinaggio in cui si condivide”.Questa piccola pubblicazione è stata sicuramente, per noi che la ab-biamo realizzata, un’occasione per ripensare alla nostra storia ed alle nostre scelte come persone e Associazione.Speriamo che sia anche per chi la sfoglierà uno stimolo per interro-garsi sul senso della propria vita, sui valori, sulle scelte concrete in cui impegnarsi e, caso mai, attivare il desiderio di conoscerci meglio, collaborare e camminare insieme.

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AppendiceLe fonti

Le sollecitazioni della Chiesa italiana, in particolare con il Convegno “Evangelizzazione e Promozione Umana” del 1976 costituiscono lo sti-molo iniziale e il riferimento originale e originante che genererà, dopo alcuni anni di gestazione una frutto concreto: l’avvio dell’esperienza di Casa di Lodeasana.Ecco una breve sintesi del documento redatto dal Comitato preparato-rio del Convegno nazionale su “Evangelizzazione e Promozione Umana” (approvato il 17 aprile 1975). Il testo costituirà il punto di partenza di una riflessione avviata dalla Diocesi di Fidenza (che per l’occasione realizzò un’indagine come contributo per il convegno) ed in particolare per don Enrico come vedremo.

Il convegno sul tema “Evangelizzazione e Promozione Umana” del 1976, deciso dall’Assemblea dei Vescovi nel 1973, nasce nel quadro del pro-gramma pastorale su “Evangelizzazione e sacramenti” I motivi ispiratori del Convegno nascono dall’interesse per il tema “Evan-gelizzazione e Promozione Umana” all’interno del contesto post-conciliare caratterizzato da un vivace dibattito e da scelte operative correlate al pro-blema della promozione e della liberazione umana. La rinnovata rifles-sione sul tema nasce anche da “una società che cambia”, così come il documento preparatorio la definisce (tumultuoso sviluppo economico, dif-fusione del benessere consumistico, persistenza di gravi squilibri territoriali e sociali all’origine di dolorosi fenomeni migratori, concentrazione della popolazione in agglomerati urbani con degradazione economica e sociale di vaste aree, crisi economica che aggrava gli squilibri esistenti e li rende più intollerabili, il fenomeno della secolarizzazione).Le indicazioni dottrinali, evidenziate nella seconda parte del documento preparatorio, richiamano l’evangelizzazione come essenziale missione di tutta la Chiesa. La salvezza compiuta nel Cristo e partecipata a tutti gli

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uomini costituisce il contenuto della evangelizzazione. Una salvezza totale ed integrale, quella nel Cristo, che si estende a tutto l’uomo ed a tutti gli uomini. Una libertà non solo da intendersi in senso negativo come liber-tà “da” servitù interiori e condizionamenti esterni ma, e soprattutto, una libertà “per” agire, amare, “per” una vita nuova e diversa, una vita in comunione con Dio e con gli uomini fratelli. Le modalità, non alternative ma complementari e coessenziali della evangelizzazione sono: la Parola, il Sacramento, la testimonianza… dalla Parola, al sacramento alla vita nuo-va. Il documento ricorda che il Concilio, riaffermando il nesso intrinseco e strettissimo tra evangelizzazione e promozione umana, induce ad operare in quel senso con grande impegno. Sottolinea la necessità della Chiesa di immergersi nella storia, senza tuttavia lasciarsene imprigionare.L’azione della Chiesa in ordine alla promozione umana non è quindi un momento separato dalla sua missione: ne è parte intrinseca ed integrante. E d’altra parte l’apporto specifico con cui la Chiesa concorre alla promo-zione umana non sostituisce o ignora altri apporti.Il suo atteggiamento nei confronti di ciò che viene normalmente definito profano, è positivo secondo quei principi che il Vaticano II ha riproposto pur mantenendo la funzione profetica, critica ed educativa della Chiesa.Si richiama anche il fatto che il discorso assai chiaro sul piano della dottrina si fa più complesso su quello della prassi e delle scelte storiche: il passaggio dalla fede alla prassi implica sempre una mediazione storico-culturale.Cioè non è possibile indicare, una volta per sempre con quali mezzi e in quali modi intervenire nel concreto delle situazione storiche.Nasce da qui la doverosa attenzione al momento storico, ai fenomeni che lo caratterizzano, ai segni che lo rivelano: nasce di qui anche la possibile pluralità delle scelte e dei metodi e l’importanza di vivere questa pluralità delle esperienze in spirito di fiducia, rispetto con uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro.Il documento preparatorio si conclude sottolineando il contributo specifico dei laici alla promozione umana.Il testo del documento base per il Convegno nazionale della Chiesa Italiana “Evangelizzazione e Promozione Umana” è stato ripreso da don Enrico in una articolata riflessione del 1976 a Colfosco, in prossimità del convegno, durante la settimana estiva promossa dalla parrocchia di Santa Maria. Gli ampi passaggi estratti direttamente da una trascrizione integrale della

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registrazione audio ci permettono di cogliere chiaramente i riferimenti e l’elaborazione comunitaria da cui dopo alcuni anni nascerà l’esperienza di Casa di Lodesana. Relazione di Don Enrico Tincati “Evangelizzazione e promozione uma-na” Colfosco 1976… questa relazione è seria e qualificata, e è una relazione impegnata, di studio che suppone poi una discussione e un lavoro anche perché nessuno di noi sia un puro esecutore di progetti altrui, fossero anche quelli della gerarchia ecclesiastica, ma sia un soggetto consapevole di ciò che pensa e di ciò che fa, pur dentro alla prassi della Chiesa e alla comunione della Chiesa….

…“Evangelizzazione e promozione umana”. Per adesso accettiamo il pro-blema impostato in questi termini: evangelizzazione e promozione umana con l’equivoco che questa dicitura comporta, come se da una parte ci fosse l’evangelizzazione cui si assomma, cui si aggiunge la promozione umana. Per adesso l’accettiamo così, ma poi dopo vedremo, la contesteremo que-sta impostazione. Va subito detto che non si tratta di un ennesimo tema di lusso, non si tratta di un tema da studiare, da eruditi o da gente desiderosa di essere alla moda ma è in gioco il modo di essere della Chiesa, è in gioco un certo modo di essere della comunità cristiana, siamo in gioco noi stessi……Questo convegno sarà anzitutto un appello alla conversione cioè all’accettazione della propria vita nel riferimento a Cristo, una mes-sa in questione del nostro essere cristiani, un invito a riferirci esplici-tamente a Cristo nella Chiesa per servire all’uomo…… evangelizzazione indica l’an-nuncio della Parola che è diven-tata concreta nel Sacramento ed

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ndice è diventata testimonianza di vita... dobbiamo cogliere l’annuncio a partire

dall’Eucaristia… il legame sacramento e vita……il gesto sul pane e sul vino svela la verità e la identità di Cristo cioè rispon-de a questa domanda: “Chi è Gesù?, in senso biblico “Chi è?” cioè qual è la dinamica di fondo della sua vita, qual è la logica che conduce, che guida la sua esistenza? E la risposta è questa: Gesù è una esistenza in dono, è un pane spezzato, è un sangue sparso, è un morire per… cioè Gesù è uno che non si appartiene ma appartiene al Padre per noi. Ecco Gesù è questo tipo di uomo, ancora Gesù è un’esistenza aperta, è uno che vive per tutti (la moltitudine la chiama la Bibbia, in senso ebraico cioè tutti) cioè il suo è un amore universale e un amore ostinato, solidale…… la condivisione: “Prendete e mangiate. Fate questo in memoria” cioè il fatto cristologico, che si riferisce a Cristo, diventa un fatto ecclesiale cioè il mio stile di vita deve diventare il vostro. Questo è l’annuncio di Dio: essere per…ed essere in comunione, essere solidali. Questo è l’annuncio svelato in Cristo…… l’Eucaristia è rivelatrice di un progetto messianico preciso cioè l’Eucari-stia dice anzitutto che tipo di Messia è Gesù: Gesù è l’uomo per… e l’uomo con… .E’ l’uomo per… : per il Padre, per Dio perché riconosce che Dio ha il primato della salvezza e nessun altro e nessun’altra cosa e nessun’altra persona, è l’uomo per gli altri ed è l’uomo con…: con Dio, che si rea-lizza soltanto nella comunione con Dio e soltanto nell’incontro e con la comunione con gli altri. Gesù è questo Messia servo per l’alle-anza cioè l’Eucaristia è rivelatrice dell’uomo nuovo, del progetto di uomo antropologico, è il progetto antropologico che Dio ha: l’uomo nuovo,, l’uomo riuscito secondo Dio è Gesù Cristo…… Dio in altri termini, dice l’Euca-ristia, è uno che si rivela dove c’è dono, dove c’è solidarietà, dove c’è comunione… Dio lo puoi pen-

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Appendicesare solo come un dono, come una solidarietà al punto che la grandezza di Dio si rivela nel servizio……Questa cristologia e questa teologia cioè questo modo di pensare Cristo e di pensare Dio, rivela e propone una antropologia nuova cioè un modo di concepire l’uomo, un certo modo di concepire l’uomo, la verità dell’uomo e sull’uomo. Chi è l’uomo? Dall’Eucaristia emerge questo: l’uomo è una realtà di comunione, aperto, l’uomo è con…, aperto a Dio e aperto agli altri. Così si realizza un uomo e così viene promosso: in comunione con Dio e con gli altri e l’uomo è colui che si ritrova perdendosi nel dono di sé…… Pensate a certe forme di religiosità che vengono spacciate per cristiane: io e Dio e gli altri non centrano. Così ancora la via della liberazione, della salvezza è chiara: è la via dell’Eucarestia, è la via del dono, della croce, della solidarietà universale e non di parte (“per voi e per tutti”), di una solidarietà ostinata nonostante il tradimento, che non si arrende di fronte al male, è la via della debolezza, dice S. Paolo, che è la forza di Dio cioè l’amore che è libertà, tante volte alla nostra logica umana sembra per-dente tanto è vero che ci viene voglia di imporlo con la forza, anche noi cristiani a volte l’abbiamo fatto: imporre l’antropologia cristiana, il modo di concepire l’uomo per forza, con l’inquisizione. Allora, in sintesi, l’uomo così come emerge dall’Eucaristia è un uomo per un dono e per una comu-nione, un dono per una comunione……Questo gesto di Dio che in Gesù Cristo si è svelato e donato, uscendo dal suo silenzio, questo gesto la Chiesa celebra nell’Eucarestia. Attenzione che questo gesto è anche l’annuncio del progetto ecclesiologico cioè del pro-getto di Chiesa che Dio ha cioè che tipo di comunità fa Dio: una comunità in cui l’uomo vive una comunione coi fratelli, con Dio, una solidarietà con il Padre e per gli altri, una solidarietà che tocca tutti gli aspetti della vita, ivi compresi quelli materiali. Non esiste la distinzione tra spirituale e materiale e qui basterebbe andare a leggere i sommari degli Atti degli Apostoli…

…noi quindi non parliamo di promozione umana in astratto cioè non si promuove il concetto di uomo in astratto, ma si promuovono gli uomini concreti in un dato ambiente, in una data situazione, in una data storia per cui mi sembra indispensabile tentare un abbozzo di analisi della condizione umana oggi in occidente…

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ndice … A questo punto si pone il problema del rapporto tra i due termini che

abbiamo tentato di illustrare in maniera povera, ma, credo, seria, il proble-ma cioè del rapporto tra evangelizzazione e promozione umana, per dire in altri termini, ma è la stessa cosa sotto aspetti diversi, il rapporto tra il regno di Dio e il regno dell’uomo, tra città di Dio e città dell’uomo, se qualcuno conosce S. Agostino, tra fede e politica, tra fede e cultura, tra dono di Dio e tentativo dell’uomo, tra, per usare una parola biblica, braccio di Dio e mano dell’uomo, tra Chiesa e mondo, tra Parola di Dio e parola dell’uomo.… dobbiamo interpretare bene evangelizzazione e promozione umana cioè non c’è prima l’evangelizzazione con l’aggiunta, più la promozione umana ma evangelizzazione significa necessariamente, costitutivamente, dice il Sinodo dei vescovi del ’71, una certa qualità di promozione umana cioè evangelizzare, portare l’annuncio di Dio non significa fare roba da sacrestia o roba astratta, da culto nel senso deteriore di questa parola, ma significa mandare avanti un certo tipo di uomo…… evangelizzazione, non si identifica con nessuna cultura e nessuna politi-ca e, tanto meno, con nessuna ideologia e nessuna partitica…

Ora vediamo alcune linee di azione per un impegno concreto e coerente…… no a una Chiesa narciso, sì a una Chiesa, a una comunità (siamo in causa noi) che vive dove scorre il fiume della vita e non in paludi stagnanti e asfittiche, attenta al mondo: mondo del lavoro, mondo dei giovani, pro-blema della donna, attenta, in ascolto critico sì, ma in ascolto, in ascolto…… la necessità di impegnarsi concretamente, attivamente in campi in cui c’è bisogno urgente, soprattutto in quello dell’educazione… dobbiamo ri-scoprire il ruolo squisitamente politico del lavoro educativo… Così in altri campi, quello dell’assistenza soprattutto dove l’uomo è emarginato..…La Chiesa non è per il tempio, nel senso del culto, nel senso peggiore della parola cioè uno spazio sacro avulso dal mondo ma la Chiesa è per il mondo. Limitare l’evangelizzazione cioè l’annuncio della fede al culto è il

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Appendicesuicidio della Chiesa, della fede……sarà decisivo che tutti, tutti ci impegniamo a mandare avanti in maniera radicalmente democratica, ma ferma nella nostra società quei valori che discendono dalla fede, in particolare che ci prepariamo ad elaborare cultu-ralmente un’interpretazione cristiana e moderna della vita…… dobbiamo stimolare la partecipazione diretta, nostra personale ed al-trui, alla gestione di quella che abbiamo chiamato la società politica: è un ruolo di tutti. Ecco, occorre superare l’istituto della delega che spesso non è che uno scarica barili……Ecco questi giorni secondo me dovrebbero proprio aiutarci a questo: a riconfermare o a prenderci degli impegni in cui la fede diventa concreta e non astratta. Ecco, se mi permettete, vorrei dare tre regolette… proprio perché la fede cristiana non sia astratta.La prima regola è questa: che ognuno di noi abbia un impegno concreto, preciso, che ci porti via tempo ed energia. Pensate al rischio di continuare a discorrere anche in questi giorni di promozione umana e di cristianesimo senza impegnarsi per l’uomo. Io sto pensando a quante riunioni ho fatto io della promozione umana, è un rischio enorme. Un impegno che sia con-siderato come facente parte integrante, integrante della propria giornata, della propria vita, non come un riempitivo: se ho tempo, se ho voglia, se non sono stanco, se non ho altro da fare. Ancora un impegno considerato almeno alla pari come importanza al lavoro, al tempo libero, al ragazzo, alla ragazza, tutto quello che volete voi, allo studio, alla famiglia e se vi tro-vate in necessità di scegliere, non scegliete sempre a sfavore dell’impegno preso, altrimenti sarà un impegno puramente astratto.Seconda regoletta: questa stessa roba, questa stessa cosa dicasi dei ge-sti comunitari essenziali: preghiera, sacramento e incontro e servizio, che devono essere dei riferimenti essenziali, non marginali, di un’esperienza comunitaria…E ultima regoletta: ognuno viva il confronto fraternoLa conclusione generalissima è questa. Che cosa implica questo discorso? Implica un serio ripensamento personale e comunitario… per verificare le nostre prassi, le nostre comunità e per cambiarle.

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