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Centro di Ricerca, Formazione, Consulenza Filosofica M32 Vicolo della Caccia, 6 – Novara http://ricercafilosofica.wordpress.com http://associazionefinisterrae.wordpress.com La bellezza, estrema difesa. Materiali da Milan Kundera, Cristina Campo, Jean Genet, Albert Camus13 febbraio 2011 1

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Centro di Ricerca, Formazione, Consulenza Filosofica M32

Vicolo della Caccia, 6 – Novara

http://ricercafilosofica.wordpress.com

http://associazionefinisterrae.wordpress.com

“La bellezza, estrema difesa.

Materiali da Milan Kundera, Cristina Campo, Jean Genet, Albert Camus”

13 febbraio 2011

· Milan Kundera

· Agnes, protagonista de L’immortalità, pensa:

“Si disse: quando un giorno l’assalto della bruttezza fosse diventato del tutto insostenibile, si sarebbe comprata dal fioraio una violetta, una sola violetta, quello stelo delicato col suo minuscolo fiorellino, sarebbe uscita per strada e tenendolo davanti al viso l’avrebbe fissato spasmodicamente, per vedere solo quello, per vederlo come fosse l’ultima cosa che voleva conservare, per se stessa e per i suoi occhi, di un mondo che oramai aveva smesso di amare.

Sarebbe andata così per le strade di Parigi, la gente presto avrebbe cominciato a conoscerla, i bambini l’avrebbero rincorsa, derisa, le avrebbero tirato oggetti addosso e tutta Parigi l’avrebbe chiamata: la pazza con la violetta.”

[Immortalità, p. 33]

· Sul ruolo salvifico della bellezza nei testi ( e nei protagonisti) di Kundera:

“ Sì, si era imposta la bellezza come la gente si impone dei comandamenti morali; se nella sua vita avesse visto la bruttezza, sarebbe caduta nella disperazione.”

[Amori ridicoli, pp. 154/155]

Sulla bellezza, perseguitata e a stento sopravvissuta nel nostro tempo:

“Ciò che lei aveva incontrato all’improvviso in quella Chiesa non era Dio ma la bellezza.[…] La messa era bella perché le era apparsa di colpo e clandestinamente come un mondo tradito. La possiamo incontrare solo quando i persecutori l’hanno dimenticata per errore da qualche parte.”

[L’insostenibile leggerezza dell’essere, p. 116]

Sul ruolo della bruttezza:

“nel nostro mondo la bruttezza ha una sua funzione positiva. Nessuno ha voglia di fermarsi da nessuna parte, la gente ha fretta di lasciare ogni posto che incontra, e in tal modo nasce il ritmo necessario della vita.”

[Amori ridicoli, pp. 60/61]

· Cristina Campo

· Perfezione come ribellione contro l’inesattezza del mondo

“Ci sono usignoli perfetti che tutta la vita del bosco tace per ascoltare”

“Ci sono piccoli usignoli apprendisti, che ripetono a lunghi intervalli la stessa frase – e qualche volta il maestro risponde, da un altro albero. Di tutto questo, infine, il miracolo sono le pause – come il cielo intorno a certe lune abbaglianti.”

[Lettera a Remo Fasani, 3 settembre 1953, in B.M. p. 164]

“I bollettini e i giornali vanno in polvere, un gesto resta, un detto breve risplende.”

[Lett.A.Spina, p. 224]

“La passione per la perfezione viene tardi. O, per meglio dire, si manifesta tardi come passione cosciente. Se era stata una passione spontanea, l’attimo, fatale in ogni vita, del “generale orrore”, del mondo che muore intorno e si decompone, la rivela a se stessa: sola, selvaggia e composta reazione.

In un’epoca di progresso puramente orizzontale, nella quale il gruppo umano appare sempre più simile a quella fila di cinesi condotti alla ghigliottina di cui si è detto nelle cronache della rivolta dei Boxers, il solo atteggiamento non frivolo appare quello del cinese che, nella fila, leggeva un libro.[…] Il cinese che legge, in ogni modo, mostra sapienza e amore alla vita[…]. Sta rispondendo in modo degno di onore alla ghigliottina in attesa.”

[Gli imperdonabili, pp.73/74]

La ricerca della perfezione è – al contempo – passione vibrante per l’apparenza, per il fulgore dell’attimo, ma anche reazione sprezzante di fronte al “generale orrore” delle cose umane, condannate alla rovina, alla combustione, al destino di comete. La passione per la perfezione appare l’esito pratico della “sprezzatura”.

· La sprezzatura

“Con qualche arbitrio si potrebbe dire che chi non abbia mai avuto sopra di sé un sovrano – o sotto di sé un popolo – capace, per un salto d’umore, di fargli saltare la testa dal collo, raramente possederà l’autentico dono della sprezzatura: qualità psicologicamente legata al rischio, all’audacia e all’ironia, qualcosa di affine al gioco d’occhi altero e indifferente tra il domatore e il leopardo pronto a saltare: “saggezza temeraria, prudenza ardimentosa”.

Sprezzatura è ritmo morale, è la musica di una grazia interiore; è il tempo, vorrei dire, nel quale si manifesta la compiuta libertà di un destino, irriflessivamente misurata, tuttavia, su un’ascesi coperta.

Due versi la racchiudono, come un astuccio l’anello:

“Con lieve cuore, con lievi mani/la vita prendere, la vita lasciare …”

[…]

Prima di ogni altra cosa sprezzatura è infatti una briosa, gentile, impenetrabilità all’altrui violenza e bassezza, un’accettazione impassibile – che a occhi non avvertiti può apparire callosità – di situazioni immodificabili che essa tranquillamente “statuisce come non esistenti” (e in tal modo ineffabilmente modifica), ma attenzione. Non la si conserva né trasmette a lungo se non sia fondata come un’entrata in religione, su un distacco quasi totale dai beni di questa terra, una costante disposizione a rinunziarvi se si posseggono, un’ovvia indifferenza alla morte, profonda riverenza per più alto che sé e per le forme impalpabili, ardimentose, indicibilmente preziose che quaggiù ne siano figura. La bellezza, innanzi tutto, interiore prima che visibile, l’animo grande che ne è radice e l’umor lieto.

Ciò significa, tra l’altro, capacità di volare incontro alla critica con impeto sorridente, con la graziosa enfasi dell’incuranza di sé[…].”

[Gli imperdonabili, pp. 99/100]

“Con lieve cuore, con lievi mani …”. Una vita pura è interamente ritmata da questa musica leggera e veemente, tutta oblio e sollecitudine, tutta sorriso e pietà. Un tempo il luogo geometrico, collettivo di tali ritmi ineffabili erano i riti, le liturgie. Nella più semplice delle antiche cerimonie vi era la grande allure della visione. Quell’eleganza di viva fiamma, quel dialogare serrato, rubato, rapito tra le potenze dell’anima e l’invisibile, quel cadere di pause interstellari – altra e più incalzante scrittura del Dio, che apriva nel blocco cieco del mondo mille punti di fuga verso il regno della bellezza soprannaturale: che è il regno degli specchi raddrizzati e dei ceppi caduti, dove prendere e lasciare sono una sola estasi.”

[Gli imperdonabili, p. 111]

· L’attenzione

Esito disinteressato della passione per la bellezza è il fenomeno dell’attenzione, che converge verso il reale e se ne fa pienamente carico:

“qui l’attenzione raggiunge forse la sua forma più pura, il suo nome più esatto: è la responsabilità, la capacità di rispondere per qualcosa o qualcuno, che nutre in egual misura la poesia, l’intesa fra gli esseri, l’opposizione al male.

Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione.

Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equivoco dell’immaginazione, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma.”

[Attenzione e poesia, ne Gli Imperdonabili, p.170.]

· Simbolo, liturgia, fiaba e il rovescio del mondo…

Il simbolo “ dispiega agli occhi dei viventi il rovescio abbagliante del visibile”.

[Il flauto e il tappeto, p.125]

“perché non fallisse quella decifrazione, perché il vedere si mutasse in percepire, […] era ideato, ancora una volta, il giuoco raffinato dei limiti, la rete magica di ore, di divieti e doveri: Vespro e clausura e tono dei Dottori[…].

Sempre meno destini, è vero, intorno a noi. Ma veramente Dio ne sa di più se nei luoghi d’orrore e vasta solitudine che ci sono stati assegnati, un ragazzo, in un colombario di periferia, può ancora vegliare tutta la notte su un testo immemoriale, tra ventimila operaie una fanciulla avere visioni, il drogato affamato di morte finire al Monte Athos. Non sempre chi non ha maestri ha per maestro il diavolo.

Viviamo un’era di sostituzioni e prodigiose supplenze sono ancora concesse.”

[Il flauto e il tappeto, p.139]

“Il destino non si scinde dal simbolo e non è per nulla strano che l’uomo abbia perduto l’uno nell’atto stesso che rinnegava l’altro. Un simbolo, o un discorso di simboli, era l’antico abito, un colpo d’occhio e si sapeva quale destino portava un uomo, voglio dire da quale destino era portato.”

[Il flauto e il tappeto, p.116]

“Spezzati quegli specchi, poteva l’uomo non rimanere privo di volto? Non serve ricordare fino a che punto una folla moderna atterrisca per la totale cancellazione, nel numero, del volto umano e di quelle pure, laceranti figure che i volti umani sanno talvolta comporre. Il volto collettivo è un impossibile e i destini si annullano nelle agghiaccianti tipologie immaginarie che solo ricordare contamina: l’uomo a cui tutte le mura della metropoli gridano quale musica dovrà amare, cosa desiderare, donna sognare, propongono senza tregua la folla babelica dei destini vicari, l’attrice che ha bevuto il veleno, il campione morto in un incidente.”

[Il flauto e il tappeto, p.117]

“Sorgono da ogni lato, come restituiti ai loro corpi visibili, i luoghi di insospettato splendore, le creature adorabili la cui vita è una festa occulta, regolata da circuiti stellari, scortata da invisibili cori, irrorata di gesti espressivi. L’appello del flauto suscita mondi, l’appello del flauto cancella altri mondi.”

[Il flauto e il tappeto, pp.125/126]

“E’ certo che se l’uomo conoscesse la sterminata potenza della sua anima quando un costante movimento verticale l’assicuri come un canapo a Dio, persino un mondo qual è il nostro cesserebbe di atterrirlo e, beninteso, di affascinarlo.”

[Dardi verso il cielo, p.140]

· La speranza che ancora coltiviamo [Ovvero:la speranza dei cervi]

“I cervi chiusi nel parco, smarrito e leggiadro oggetto d’occhi distratti, non si chiedono. Perché non più liberi nella grande foresta, ma. Perché non più cacciati?

Qualche mano di bambini li accarezza: “Re Artù è morto, spiegano ai cervi i bambini, e con lui cacce e tornei, prodigiosi duelli e santi conviti. Mai più un cervo sarà inseguito dai dodici Cavalieri, mai più porterà corona d’oro al collo, o fermerà la muta levando fra le corna la croce del Salvatore. Mai più sarà cibo il suo corpo alla cena del Santo Graal. Niente più vi minaccia, adesso, cari cervi – ed ecco, dalle nostre mani avete il cibo e la bevanda.”

I cervi chinano il capo, battono con le corna leggermente il recinto. Ma di notte si chiamano l’un l’altro, dolcemente febbrili. Odono, o credono di udire, il corno di Artù. “Egli non è morto, si dicono, non è morto, ritornerà. E di nuovo la nostra vita sarà sospesa ad una punta di freccia.”

[Parco dei cervi, p.163]

· Maestra di stile

“Ahi che la Tigre,

la Tigre Assenza,

o amati,

ha tutto divorato

di questo volto rivolto

a voi! La bocca sola,

pura,

prega ancora

voi: di pregare ancora

perché la Tigre,

la Tigre Assenza,

o amati,

non divori la bocca

e la preghiera …”

· Albert Camus

· Sulla bellezza

In quanto pienezza assoluta, essa è emblema del desiderio di sensatezza proprio di ciascun uomo, ma al contempo è cocente testimonianza del suo scacco, del suo destino di finitudine e di assurda imperfezione. La bellezza è - come avrebbe detto Pascal – simbolo della grandezza e della miseria dell’uomo. La bellezza si palesa come un vero assoluto, ma solo al patto di esibire sempre una piena e splendente incoscienza. E’ la consapevolezza della finitudine che innesca la scoperta dell’assurdo e della spietata cecità del bello:

“Agosto: cielo in tempesta. Ardenti folate, nubi nere. Eppure a oriente una striscia azzurra, trasparente, delicata. Impossibile guardarla. La sua presenza mette a disagio gli occhi e l’anima. Il fatto è che la bellezza è insopportabile. Ci riduce alla disperazione, è l’eternità di un minuto che pure vorremmo dilatare nel tempo.”

[Taccuini, 1935-1942, 1935, p.10.]

Jacques, il protagonista de Il primo uomo, ultimo, intenso, incompiuto romanzo di Camus, rievoca un momento della sua infanzia in cui la nonna contemplava lo zio vestito a festa:

“Capì allora che la nonna amava fisicamente suo figlio, che era innamorata come tutti della grazia e della forza di Ernest, e che la sua eccezionale debolezza davanti a lui era in fin dei conti comunissima, in quanto più o meno ci ammorbidisce tutti, piacevolmente del resto, e contribuisce a rendere sopportabile il mondo, ed è la debolezza davanti al bello.”

[Il primo uomo, p.98.]

“Il Mediterraneo ha la propria tragicità solare che non è quella delle nebbie. Certe sere, sul mare, ai piedi delle montagne, cade la notte sulla curva perfetta d’una piccola baia e allora sale dalle acque silenziose un angosciante senso di pienezza . In questi luoghi si può capire come i Greci abbiano sempre parlato della disperazione solo attraverso la bellezza e quanto essa ha di opprimente. In questa infelicità dorata la tragedia giunge al sommo. Invece la nostra epoca ha nutrito la propria disperazione nella bruttezza e nelle convulsioni.[…]

Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci per essa hanno preso le armi. E’ la prima differenza ma risale a molto addietro.[L’esilio di Elena, ne: L’Estate e altri saggi solari, p.79]

· La gioia terrena

Meursault, ne Lo straniero, al chiuso della propria cella, in attesa dell’esecuzione capitale, ricorda la pienezza delle gioie terrene:

“mi hanno assalito i ricordi di una vita che non mi apparteneva più, ma in cui avevo trovato le gioie più povere e tenaci: odori d’estate, il quartiere che amavo, un certo cielo di sera, il riso e gli abiti di Maria. Allora tutta l’inutilità di ciò che facevo in quel luogo mi è rimontata alla gola e ho avuto una fretta soltanto, di farla finita presto e di ritrovare la mia cella ed il sonno”. [Lo straniero, p.129.]

La semplicità elementare della gioia naturale che la natura elargisce:

“ Il mare era dolce e tiepido, il sole leggero sulle teste bagnate, e lo splendore della luce riempiva quei giovani corpi di una gioia che li portava a strillare in continuazione. Regnavano sulla vita e sul mare, e ciò che il mondo poteva dare di più fastoso, lo accoglievano e lo usavano senza moderazione, come gran signori sicuri delle proprie insostituibili ricchezze.”

[Il primo uomo, p.47.]

“Sui pendii mezzo sabbiosi e coperti di eliotropi come da una schiuma che, ritirandosi, avesse lasciata le onde furiose degli ultimi giorni, a mezzogiorno guardavo il mare che a quell’ora si sollevava appena in un moto sfinito e saziavo le due seti che non si possono ingannare per molto tempo senza che l’essere inaridisca: amare, cioè e ammirare.

[…]

a Tipasa riscoprivo che bisogna conservare in sé intatte una freschezza, una sorgente di gioia, amare la luce che si sottrae all’ingiustizia, e con questa luce conquistata tornare a lottare.[…]

Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno, che c’era in me una invincibile estate.”

Ritorno a Tipasa, ne: L’Estate e altri saggi solari, pp.99/100.

“Dirò soltanto il mio amore per la vita. Ma lo dirò a modo mio […].”[1935]

[Taccuini, Milano, Bompiani, 1998, p.15.]

“Ci si crede distaccati dal mondo, ma basta che un ulivo svetti nella polvere dorata, bastano certe spiagge abbaglianti nel sole del mattino, per sentire sciogliere in sé questa resistenza.”[1935]

[Taccuini, p.15]

“Ogni minuto della vita ha in sé un valore miracoloso e un volto eternamente giovane”. [1935]

[Taccuini, p.14]

“Amo questa vita con abbandono e voglio parlarne liberamente: essa mi dà l’orgoglio della mia condizione d’uomo. Pure, spesso, mi è stato detto: non esiste nulla di cui essere fiero. Sì, qualcosa c’è: questo sole, questo mare, il mio cuore che balza di giovinezza, il mio corpo che sa di sale e l’immenso scenario dove si incontrano l’amore e la gloria nel giallo e nell’azzurro.”

[Nozze a Tipasa, ne: L’estate e altri saggi solari. Milano, Bompiani]

“In questo sbocciare dell’aria, in questa fertilità del cielo, sembrava che l’unico compito degli uomini fosse vivere ed essere felici.”

[La morte felice, p.15.]

4.Jean Genet

· L’apparizione trionfante del bello

Il bello, sembra spiegare Genet, crea un mondo la cui semplice apparizione minaccia l’ordine, l’esistenza quotidianamente malsana di uomini inchiodati a valori celesti. La bellezza – nonostante la sua parvenza barocca – ci fa respirare in una libertà creatrice che prelude al lusso della ricolta. Un gesto anarchico, forse, ma perfettamente sensato.

«Certi atti ci abbagliano, illuminano rilievi confusi, a patto che l’occhio sia così abile da coglierli in un lampo, perché la bellezza di ciò che è vivo può essere percepita soltanto per un istante brevissimo. Seguirla nei suoi mutamenti ci conduce inevitabilmente al momento in cui cessa, non potendo durare un’intera vita. E analizzarla, vale a dire seguirla nel tempo con gli occhi e l’immaginazione, significa coglierla nella sua parabola discendente, poiché a partire dall’istante meraviglioso in cui si rivela, la sua intensità non fa che diminuire.»

[Miracolo della rosa, p.27]

« se volevo che fossero belli, poliziotti e teppisti, è perché i loro corpi splendenti si vendicassero del disprezzo in cui voi li tenete. […] poiché la rettitudine è dalla vostra parte, non volevo più saperne, mentre ne riconoscevo spesso il nostalgico richiamo. » [Diario del ladro, p.188]

 «Toute action qui se fait (Je parle des actions révolutionnaires) ne peut s’aider sérieusement d’exemples déjà connus. Aussi tous les actes révolutionnaires ont-ils cette fraîcheur de commencement du monde.»

[Maiday speech, ne l’Ennemi déclaré, testes et entretiens, Gallimard, Paris, 1991, p.50. «Qualsiasi azione si compia (parlo delle azioni rivoluzionarie) non può aiutarsi davvero attraverso il confronto con azioni passate. Così tutti gli atti rivoluzionari hanno la freschezza del cominciamento del mondo.» (Traduzione mia)]

Irma, la tenutaria del bordello nell’opera teatrale intitolata Il balcone, dice:

«Noi abbiamo le nostre coorti, le nostre armate, le nostre milizie, le legioni, i battaglioni, i vascelli, gli araldi, le chiarine, le trombe, i nostri colori nazionali, le nostre orifiamme, i nostri stendardi, i nostri gonfaloni » [Il balcone, p.45]

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