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IL DISEGNO NEL PROGETTO Analisi Semiotica del disegno applicata alla trasformazione delle idee nella progettazione.

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IL DISEGNO NEL PROGETTO

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IL DISEGNO NEL PROGETTOAnalisi Semiotica del disegno applicata alla

trasformazione delle idee nella progettazione.

Guido Chiefalomat. 770190

relatore:Salvatore Zingale

Corso di Laurea Magistrale in Design della ComunicazioneA.A. 2012/2013

Politecnico di MilanoScuola del Design

IL DISEGNO NEL PROGETTOAnalisi Semiotica del disegno applicata alla

trasformazione delle idee nella progettazione.

“La noia è la madre della creatività”

Ron Arad

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INDICE

ABSTRACT INTRODUZIONE

1. PERCHÉ IL DISEGNO

1.1 LE ORIGINI DEL SEGNO

1.1.1 Scomposizione Del Termine

1.1.1.1. La Famiglia Signum

1.1.2 Ontogenesi Del Segno

1.1.3 Filogenesi Del Segno

1.2 CONFORMAZIONE DEGLI

ELEMENTI STRUTTURALI

1.2.1 La Macchia

1.2.1.1 La Macchia Ed Il Contorno Netto

1.2.2 La Traccia

1.2.3 La Linea

1.2.4 Il Contorno

1.2.5 Il Chiaroscuro

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IL DISEGNO NEL PROGETTO

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2. LA MANO vs IL COMPUTER: Il disegno progettuale

2.1 LA MANO VS IL COMPUTER

2.1.1 Tradizione E Progresso

2.1.2 L’immaginazione E La Realizzazione

2.1.3 Tecniche Di Realizzazione:

Disegno Vs Computer

2.2 IL PROGETTO

2.2.1 Pro-Jectus

2.2.2 Il Metodo

2.2.3 Tipi Di Progettazione

2.2.4 Fasi Di Progettazione

2.3 IL PROGETTISTA

2.3.1 “Cercasi Giovane Imprenditore…”

2.3.2 Doveri E Piaceri

3. LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO

3.1 DISEGNARE: La capacità di

andare sulla bicicletta

3.1.1 Disegnare: Magia O Realtà?

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3.1.2 Imparare A Disegnare:

Coordinazione E Osservazione

3.1.3 L’io Creativo

3.1.4 Esercizio N.1: Il Ritratto

3.2 IL CERVELLO:

La parte destra e la sinistra

3.2.1 Il Cervello Umano

3.2.2 I Due Emisferi Del Cervello

3.2.3 Emisferi: Destro, Sinistro

O Tutti E Due

3.2.4 Dalla Funzione “S” Alla “D”:

Come Creare Il Varco

3.3 ESERCIZI PROPEDEUTICI

3.3.1 ESERCIZIO:

Vasi E Profili

3.3.2 ESERCIZIO:

Immagini Capovolte

4. LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO

4.1 LE CINQUE FACOLTA’

DEL DISEGNO

4.1.1 Il Contorno

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4.1.2 Gli Spazi

4.1.3 I Rapporti

4.1.4 Luci Ed Ombre

4.1.5 La Gestalt

4.2 IL DISEGNO, L’OSSERVAZIONE

E LA SEMIOTICA

4.2.1 Disegnare E’ Osservare

4.2.2 Il Triangolo Semiotico

4.2.3 Il Disegno Nella Semiotica

5. CONCLUSIONI5.1 VERSO L’ERA POST-DIGITALE

BIBLIOGRAFIATesti consultati

RINGRAZIAMENTI

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ABSTRACT

Il processo progettuale è una vera e proprio attività di “traduzio-ne” del designer tra l’esecutivo finale ed il fruitore. Il progresso tec-nologico ha contribuito a rendere più veloce ed efficiente l’intero procedimento, generando però dei risultati sempre più simili figli delle stesse tecniche di realizzazione standard. Il disegno è il primo strumento che l’essere umano, grazie a tre organi: cervello, occhi e mano, utilizza per rendere cartacei le idee. Quest’abilità, che alla base ha bisogno dell’osservazione, può aiutare il designer a miglio-rare il processo progettuale e a rendere più eterogenei i risultati fi-nali. Detteremo allora una “guida” per la progettazione futura che tenga conto del giusto vivere tra il disegno ed il computer.

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INTRODUZIONE

Il progettista ha un dovere morale nei confronti dell’utente o di chi usufruisce del suo elaborato; questo significa sostanzialmente che svolge un ruolo di “ponte”, o se vogliamo di “traduzione”, tra il progetto finale e il fruitore di quest’ultimo. Spesso però lo stesso progettista non riesce a districarsi e a trovare un metodo che rie-sca a “tradurre” le sue idee in una forma il più concreta possibile; trova, appunto, difficoltà in quella fase che in termini tecnici viene definito “metaprogetto”. Questa fase ha come obbiettivo la gestione dei processi di transizione tra la parte dove si raccolgono i dati, le informazioni, le suggestioni e le idee, e la parte in cui tutti questi stimoli di vario genere vengono convogliati in una finalizzazione dell’elaborato, detta anche fase esecutiva del progetto. In sintesi, sono le regole che un progettista deve usare per trovare un punto di raccordo tra la fase di “concept” e la fase “esecutiva”.

A partire dal 1970, con la “Terza Rivoluzione Industriale” e con il conseguente sviluppo dell’elettronica e dell’informatica, la nostra vita è cambiata radicalmente sotto molteplici punti di vista. Il cam-biamento ha investito anche il ruolo del progettista, sempre più pa-drone di questi strumenti in grado di poter svolgere il lavoro con estrema velocità e con un incredibile aumento e variazione degli stili, delle forme e delle creazioni. Il computer e i calcolatori elettro-nici hanno aperto orizzonti e mondi nuovi per la costruzione di ar-tefatti: hanno accorciato sempre di più i tempi di sviluppo e di con-

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seguenza quelli di fruizione del prodotto, hanno reso estremamente facile l’utilizzo di macchine sempre più complicate da parte dell’u-tente medio, che con il passare del tempo è diventato sempre più istruito ed esigente. Queste macchine sono diventate lo strumento principale di comunicazione e di scambio tra le persone, in grado di poter condividere concetti, idee, opinioni utilizzando internet. Quest’ultimo permette inoltre di poter accedere ad un’infinità di informazioni e contenuti utili per molteplici scopi, spostando tut-ta la vecchia comunicazione, lenta e macchinosa, su una struttura di natura molto più fluida ed elastica, capace in sostanza di essere molto più veloce e facile da capire per l’utente. Tutti questi grandi cambiamenti hanno mutato irreversibilmente il modo di lavorare del progettista, che in primo luogo ha dovuto studiare e conoscere a fondo i nuovi strumenti di lavoro, e in secondo li ha adoperati in sostituzione del suo “modus operandi” nel sistema progettuale.

Questo processo di modernizzazione e di progresso che investe il progettista non porta con sé solo ed esclusivamente, come tutti i cambiamenti radicali, delle modifiche positive e vantaggiose per il lavoro; ha anche dei risvolti critici che rischiano di minare il per-corso creativo dalla base, ovvero dallo sviluppo del concept. Cosa succede se proprio in questa fase delicatissima e vitale del percorso

Il progettista svolge un ruolodi ponte, o se vogliamo, di traduzione, tra il progetto

finale ed il suo fruitore.

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creativo si utilizzasse il computer come primo traduttore delle idee che si formano nella nostra mente? Che valore avrebbe il primo segno, o la prima traccia o il primo sfogo del nostro “Io” creativo, se il supporto che utilizziamo è standard ed uguale per tutti?

Su questo punto si sviluppa l’elaborato della tesi nonché il nocciolo della questione che intendo proporre. Purtroppo questo problema fa da portabandiera della progettazione moderna, che spesso è ca-ratterizzata da un ipertrofia degli strumenti digitali a discapito di quelli manuali e tradizionali. Quest’ultime, ed in particolar modo il disegno, inteso come schizzo progettuale, sono sempre state con-siderate la prima forma di trasposizione di un concetto, di un’idea o di un pensiero, dalla nostra mente ad un supporto cartaceo. In questo gesto, che coinvolge tre dei nostri organi principali – il cer-vello, l’occhio e la mano –, c’è tutta la passione, l’orgoglio e la finezza che un progettista possiede nel rappresentare un’idea. Non si parla quindi di rappresentazione fine a se stessa intesa come riproduzio-ne di uno schema, una forma, una formula già predefinita, catalo-gata e pronta per essere assemblata su un supporto visivo; si intende invece un vero e proprio “gesto” personale e volontario da parte del progettista libero e scevro da qualsiasi tipo di schema, di griglia o di modulo predefinito. È un atto creativo puro e delicato che vede in gioco molte variabili, come: la coordinazione di più organi umani, il tipo di strumento, il supporto di visualizzazione, la pressione che si esercita su esso e la materia usata.

Questo atto creativo però non è solo rappresentazione su un sup-porto visivo di qualsiasi genere, un bravo disegnatore infatti è pri-ma di tutto un bravo osservatore. Sulla base di quest’ultima abilità si sviluppa l’intero processo di apprendimento umano, e in particolar modo anche quello della rappresentazione delle idee tramite il di-segno. Grazie alle cinque facoltà del disegno – contorni, spazi, rap-porti, luci/ombre e la Gestalt –, che coincidono con le stesse facol-

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tà dell’osservazione, possiamo asserire che imparando a disegnare miglioriamo l’osservazione, e siccome osservazione e disegno sono una alla base dell’altra, è anche vero il contrario. La semiotica in questo caso sarà di enorme contributo e supporto alla tesi proprio grazie al suo enunciato più rappresentativo: il triangolo semiotico. Cercherò infatti di mostrare come il disegno/osservazione e le sue cinque facoltà sopra elencate, siano in realtà una pedina fondamen-tale nello schema del triangolo semiotico. E cercherò di mettere in evidenza quanto queste facoltà possono essere utilizzate come “ca-talizzatori” o “codificatori” tra i vari passaggi che la nostra mente percorre prima tra l’oggetto dinamico ed il segno, poi tra il segno e l’interpretante; con lo scopo di definire così l’importanza del dise-gno e delle sue facoltà nel riconoscimento del processo semiotico, modificando la struttura triadica di questo enunciato.Questo porrà le basi per una presa di coscienza su come la progetta-zione moderna stia cambiando, facendoci riflettere sul valore della tecnologia e del progresso. Nessun ostracismo del computer, quin-di, ma solo il tentativo di capire come far convivere il vecchio con il nuovo, cercando di integrarli nel modo più efficace possibile e non perdendo mai di vista lo scopo principale della progettazione.

Questo porrà le basi per una presa di coscienza su come la

progettazione moderna stia cambiando, facendoci riflettere

sul valore della tecnologia e del progresso.

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1. PERCHÉ IL DISEGNO

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1.1.1 SCOMPOSIZIONE DEL TERMINE

Disegnare è un termine apparentemente semplice nel suo signifi-cato più classico, ma se si procedesse ad un’analisi etimologica del termine, scopriremo quanto in effetti con il passare del tempo si sia “spogliata” delle varie sfumature, distanti ormai dal vero significato. Prima di analizzare l’etimologia della parola, dobbiamo capire cosa percepiamo quando sentiamo la parola “disegnare”. Per la maggior parte di noi il disegno è una tecnica, o un’abilità innata che ci per-mette di rappresentare, a seconda dei casi e più o meno verosimil-mente, la realtà che appare difronte ai nostri occhi. Quest’operazio-ne viene attuata tramite il coinvolgimento di tre organi principali del nostro corpo: il cervello, l’occhio e la mano; che lavorando in sincronia ed in rapporto tra di loro, sfruttano uno strumento in grado di rilasciare una traccia su un supporto che la trattiene. Da un punto di vista etimologico la parola disegno, e in particolar modo l’azione del disegnare, deriva dal latino:

DE-SIGNARE

È composta dalla particella “DE” e dal sostantivo “SIGNUM”, e sta a significare “annotare con segno”, proprio perché viene conside-

1. PERCHÉ IL DISEGNO

1.1. LE ORIGINI DEL SEGNO

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rata una sorta di rievocazione di un’idea, di un concetto o di uno schema mentale tramite una manifestazione segnica. Mediante una traccia (segno) l’essere umano rappresenta un’evocazione menta-le di un suo pensiero, cercando di dare connotazioni materiali e formali ad un qualcosa di astratto e di indefinito, cerca insomma di concretizzare qualcosa di evanescente. La concezione moderna di disegno ha perso quella sfumatura di astrazione che ritroviamo invece nell’etimologia della parola stessa, mantenendo invece una struttura più semplice e facile da assimilare, che ci riconduce ad un tentare di riportare su carta qualcosa che abbiamo visto con i nostri occhi. Non si parla più quindi di un atto evocativo/creativo, ma bensì un atto di riproduzione o trascrizione. Il filosofo contem-poraneo Pier Paolo Ottonello nel suo libro Scudisciate all’estetica (cfr P.P. Ottonello – 2000) prova a dare una definizione molto in-teressante della parola in questione, e promette di “rivestirla” con le sue vecchie sfumature cercando di costruire una definizione che sintetizzi tutta la complessità di questa parola:

Il disegno in questo senso è la determinazione sensibi-le di un’immagine mentale. Niente posso costruire, né comunicare – nessuno strumento, nessuna macchina, nessuna città, nessuna società – se non tramite imma-gini mentali, o idee. Le infinite forme di disegno e le infinite formazioni dei segni e dei simboli sono tradu-zioni sintetiche sensibili delle immagini mentali: hanno anzitutto valenza conoscitiva e comunicativa, in quan-to dicono in modi diversi l’essenza, la struttura e il si-gnificato delle singole realtà.

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1.1.1.1. LA FAMIGLIA SIGNUM

Continuando a scavare nell’etimologia del termine, ci rendiamo conto che nella lingua italiana sono moltissime le parole imparenta-te con “segno”, per l’appunto dal latino “signum” e apparentemente molte di esse non hanno delle analogie di significato o dei rimandi semantici. Esiste però un effettivo quanto nascosto rapporto di re-ciprocità tra le parole “insegnare” e “disegnare” che viene approfon-dito dal prima citato filosofo Pier Paolo Ottonello:

In sostanza il filosofo (cfr P.P. Ottonello – 2000) vuole evidenziare come alla base di tutti i processi di apprendimento e di insegna-mento, che rientrano sotto la sfera più ampia della comunicazione, ci sia il segno e la sua estensione o rappresentazione fenomenica del disegno. Ed è proprio su questo ragionamento e su questa ri-

Il latino designare, da cui il nostro disegnare, associato al docere, che significa orientare ad un fine, ordinare, far sapere, si può fare equivalere appunto al nostro in-segnare. E sia il latino designare, sia l’italiano insegna-re e disegnare, sono evidentemente imperniati sul so-stantivo signum, come lo è pure un’importante famiglia di parole italiane, come ad esempio segnare, contrasse-gnare, consegnare, assegnare, significare, sigillare. Per-ciò si potrebbe sostenere la tesi: non si può insegnare in senso pieno senza il disegno. Evidentemente nel senso per il quale insegnare è individuare, è formare segni, come molteplicità diversamente ordinabile; ed è sigil-larli, ossia fissarli nella loro forma determinata; ed è consegnarli agli altri, assegnando a ciascuno i tipi di se-gni e delle loro elaborazioni che si giudicano più adatti alla crescita di ciascuna persona.

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flessione si deve considerare il noto ragionamento di Michelangelo (cfr G.C. Argan, B. Contardi - 1981) che disse: “Pittura, scultura e architettura culminano nel disegno. Questa è la fonte primaria e l’anima di tutte le maniere di pittura e la radice di tutte le scienze”.

Può allora il disegno, nel senso più ampio e astratto del termine, essere considerato un tassello fondamentale per la conoscenza dell’uomo? Può in effetti quest’abilità essere di aiuto per le persone a migliorare i processi di comunicazione e nel nostro caso di proget-tazione? Proveremo tramite alcune riflessioni semiotiche e logiche a capire come in effetti il disegno sia di grande aiuto nello sviluppo e nella concretizzazione delle nostre idee, in forme e contenuti più materiali.

1.1.2 ONTOGENESI DEL SEGNO

L’essere umano è molto complesso e la maggior parte delle sue abi-lità non seguono uno sviluppo lineare. Alcuni di noi nascono con delle caratteristiche che nella crescita vengono abbandonate; altri invece, anche dopo molti anni a distanza dalla nascita, scoprono quasi per caso di avere qualità particolari che non avevano mai svi-luppato. Tutti noi durante i nostri primi anni di vita ci siamo rap-portati con il disegno, senza mai preoccuparci di come ed in che modo affrontare quest’azione. Secondo il filosofo italiano Giuseppe Di Napoli (cfr G. Di Napoli – 2004) questo fenomeno ha porta-to alla convinzione che il disegno sia un’arte o più propriamente una forma di comunicazione innata nell’essere umano. Si è sempre pensato infatti, quasi come se alcuni di noi fossero prescelti, che il disegno non prevedesse l’apprendimento manuale o l’osservazione da parte di chi lo utilizzava. Tuttavia con la stessa facilità con cui il disegno si era presentato tra le nostre prime facoltà comunicative, scompare, lasciando l’essere umano adulto incapace di rapportarsi con esso. Lo stacco è così repentino che la persona disimpara ad

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impugnare perfettamente lo strumento o ad eseguire movimenti basilari di rappresentazione; gli stessi movimenti che nell’età pueri-le risultavano essere di estrema facilità. L’essere umano però perce-pisce lo spazio in senso-motorio e topologico, anche se l’immagine ottica che gli si presenta davanti è prettamente dominata dalla geo-metria Euclidea, cioè da forme prestabilite che spesso non esistono in natura.

Gli studi condotti da Jean Piaget sullo sviluppo della percezione dello spazio dell’essere umano dalla nascita all’adolescenza hanno dimostrato che un neonato in primo luogo incrementa la capacità di senso-motorio. In successione sviluppa una percezione topolo-gica dell’ambiente che lo circonda basata su alcuni rapporti, come: continuo-discontinuo, interno-esterno, disgiunto-intero, aper-to-chiuso, bucato-non bucato. Solo quando raggiunge l’ottavo anno di età inizia ad espandere il concetto di spazio proiettivo, come: sinistra-destra, avanti-dietro; insieme al concetto di spazio metri-co, come: dimensione, inclinazione, ampiezza, numero di elementi; insieme al concetto di geometria Euclidea.

Piaget (cfr J. Piaget, B. Inhelder, A. Szeminska – 1976) aggiunse:

Questo ci lascia intendere che le nostre abilità possono essere mi-gliorate con lo sviluppo e l’apprendimento di conoscenze esterne in grado di farci perfezionare in modo progressivo e costruttivo. La studiosa di disegni infantili Rhoda Kellogg (cfr R. Kellogg – 1979) si è cimentata nella classificazioni e nell’osservazione dei di-

Lo sviluppo mentale è una costruzione continua, pa-ragonabile a quella di un vasto edificio che ad ogni aggiunta divenga più solido, o piuttosto alla messa a punto di un delicato meccanismo.

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segni creati da bambini di qualsiasi nazione e orientamento cultu-rale ed è riuscita a stilare cinque stadi fondamentali, comuni a tutti. I tracciati di base sono circa venti e si orientano in questo modo (fig.1):

punto, linea verticale, orizzontale, diagonale, curva, verticale multipla, orizzontale multipla, diagonale multipla, curva multipla, ondulata aperta, ondulata chiusa, spezzata, a cappio, a cappio multiplo, a spirale, circolo riempito di linee, circolo con contorno multi-plo, texturizzazione di tracciati circolari, circolo sin-golo con contorno incrociato e cerchio imperfetto .

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Come si può notare, l’evoluzione dei segni va dal punto, alla linea retta, alla curva fino ad arrivare al cerchio; questo crescendo stilisti-co viene definito da molti studiosi, come la liberazione della pres-sione del bisogno. Essendo quindi segni che vengono rappresentati chiusi su se stessi, sono identificati come appagamento individuale. Sono in effetti, gesti molto più simili ad un passo di danza che al ri-produrre un tratto stilistico esistente, vengono attuati con un movi-mento coordinato della mano, che però spesso viene accompagnato dallo spostamento del corpo. Ancora non esiste una progettualità

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grafica, né una consapevolezza di dove si vuol spingere il tratto stili-stico; sono le prove generali e le evoluzioni che la mano, coordinata dall’occhio e dal cervello, compie per capire le proprietà fisiche e tecniche che possiede.

Nello stadio successivo, quello dei sei diagrammi (fig.2) possiamo notare come la fusione dei venti tracciati descritti precedentemente danno vita ad altri sei schemi:

In questa fase il bambino inizia ad assurgere ad un archetipo di modello progettuale, iniziando a piccoli passi a capire come fun-

la croce greca, il quadrato, il triangolo, il circolo, la forma amebica e la croce diagonale.

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zionano i primi meccanismi. Con la fusione dei diagrammi con i tracciati si procede verso il terzo stadio, la combinazione o associa-zione (fig.3); dove il bambino inizia a controllare la gestualità ed i movimenti della mano, iniziando a realizzare forme strutturalmen-te più controllate e definite.

Il quarto stadio viene definito di aggregazioni (fig.4), in questa fase vengono messi in relazione due o più diagrammi tra di loro; anche se costituisce uno schema ancora astratto e precedente ad una vera e propria fase pittorica, è lo stadio d’evoluzione che porta alla quinta fase.

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Quest’ultima si può identificare nelle immagini pittoriche (fig.5); ormai il bambino è padrone dei propri movimenti e riconosce i tipi di linee o elementi che regolano la rappresentazione, quindi è pronto per poter disegnare oggetti, animali, corpi umani e paesaggi quotidiani che riesce a riconoscere e memorizzare. Il bambino nei primi anni di vita ha una percezione degli oggetti e dell’ambiente intorno a sé di tipo fisiognomica, riesce a capire che cosa ha intorno proprio grazie alle caratteristiche fisiche e spaziali che annota nel suo cervello. In sostanza il bambino non percepisce l’oggetto come un qualcosa di esterno, con delle dimensioni delineate e ben preci-

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se, in realtà tutto ciò che lo circonda viene soggettivizzato e diventa parte della coscienza psicofisica del bambino stesso.

Sostenitore di questa tesi è Heinz Werner, (cfr H. Werner – 1970) studioso di psicologia dello sviluppo comparato, che sottolinea come in età adulta questa predisposizione a catalogare gli elementi esterni, come strutture con un’anima, cambi radicalmente. Questa, infatti, viene trasformata in una visione più tecnica ed oggettiva, che tiene conto di parametri morfologici e fisici acquisiti durante la fase della crescita. Tutte le strutture e le conoscenze che usia-mo quotidianamente sono schemi che impariamo ad impiegare a discapito di modi di fare propriamente naturali e appaganti. Il di-segno, in sostanza, all’inizio del nostro cammino evolutivo appare come mezzo per appagare i movimenti che il nostro giovane e mai utilizzato corpo impara a svolgere nell’arco dei primi anni di vita; sia nella sfera meccanica nell’atto manuale del trittico cervello-oc-chio-mano, sia nella parte creativa e realizzativa del segno steso su un foglio bianco.

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1.1.3 FILOGENESI DEL SEGNO

Le origini del segno grafico, o più precisamente della rappresenta-zione usata dai nostri antenati come una delle prime forme di co-municazione scritta, è in continuo cambiamento; questi mutamenti sono dovuti alle continue scoperte storiche e al progressivo miglio-ramento delle tecnologie usate per la datazione fossile. È assodato infatti che il linguaggio grafico risalga a migliaia di anni prima delle pitture parietali di Lascaux e di Altamira; la complessità dei dise-gni, le specifiche abilità manuali e la difficoltà nella produzione dei pigmenti usati per lasciare i segni, sono indice di una cultura già sufficientemente sviluppata da un punto di vista linguistico.

La finezza nella realizzazione ed il grado di dettaglio naturale del-le figure rappresentate ci fa capire l’evoluzione intellettuale che gli uomini di quel tempo possedevano; questo ci porta allora a rista-bilire uno zenit, un punto zero da dove far partire la storia del se-gno grafico e della rappresentazione. La totalià degli studiosi (cft E. Anati – 1989) concorda nel suddividere l’età della pietra, il paleoli-tico, in tre grandi fasi: il periodo Musteriano, quello Aurignaziano e quello Maddaleniano. Il primo viene chiamato anche protografi-co o preiconico proprio perché le prime forme di rappresentazione appartenenti ad esso sono in realtà solchi nella roccia, impronte di mani, tracce negative o positive, perforazioni e tacche. Tutti questi disegni sono pura gestualità, semplici atti grafici che non servono a rappresentare il mondo e gli elementi che circondano l’uomo, ma servono a soddisfare movimenti irrazionali e di stampo istintivo, aiutano a seguire il ritmo interno che si sviluppa e cresce. Possiamo paragonarli ai gesti che il neonato, nella fase dei tracciati di base, compie per imparare a capire e a governare il proprio corpo ed, in un secondo momento, lo strumento che impugna; atti puramente creativi per soddisfare le proprie primordiali abilità di espressione. Lo strumento più utilizzato, escluse alcune schegge di pietra, è la

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mano e le sue dita; con essa l’uomo della pietra scolpisce, incide, e modella la morbida argilla che riveste la superficie frastagliata della caverna. Tracciati lineari, curvilinei, punteggiature, fasci di curve, linee spezzate continue, spirali, archi rigonfi o cerchi e infine le im-pronte colorate delle proprie mani sono la manifestazione gestua-le, l’atto inventivo e viscerale che l’uomo cacciatore-pittore lasciava come dimostrazione del proprio io creativo.

Questa è la prova che la gestualità di questi segni e la naturalezza con cui vengono disegnati è antecedente a qualsiasi forma di lin-guaggio grafico; il vero ed unico protagonista è per l’appunto il ge-sto, puro e libero, svincolato da tutte le logiche di comunicazione conosciute fino ad ora. Un gesto “puramente indicale”. Un movi-mento rapido e preciso, inizia con il polpastrello, si estende con la scia lasciata sull’argilla e termina con l’impronta dell’unghia che si staglia sulla superficie morbida. Alla prima fase dei tracciati e

Geroglifico appartenente al periodo Aurignaziano

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dei segni corrisponde la fase Aurignaziana (dai 34.000 ai 16.000 anni fa), che alcuni studiosi vorrebbero suddividere in altri tre sot-togruppi, proprio per una graduale ed un corrispondente incre-mento tematico, stilistico, morfologico e di carattere iconografico. La costante che troviamo in tutte queste rappresentazioni, oltre a simboleggiare il punto in comune di questa fase, è la presenza di al-cuni ideogrammi; ovvero la prima sintassi linguistica espressa con la composizione di alcuni elementi geometrici, che esprimono una precisa volontà figurativa. Possono essere allora considerati come le prime forme di concetto grafico, i segni e le forme geometriche vengono relazionati, organizzati, separati, uniti, strutturati in una logica formale e d’insieme.

Abbiamo difronte una serie di schemi intrinsecamente prefigurati-vi dove sono presenti come caratteristiche di base la simmetria, la modularità, la suddivisione radiale e concentrica, la scala e la pro-porzione. Una concentrazione di forme e di simboli come: la croce, gli ovali, le chiglie, i circoli, i triangoli, i pentagoni, i quadrilateri, accompagnate da figure di natura morfologica più complessa come: i pettini, i seghetti, le ramificazioni, le figure tettiformi, quelle avi-formi, claviformi, scudiformi, scaliformi, il cui significato associa-tivo è ancora ignoto e sconosciuto agli storici. Dopo questa fase che sul piano ontogenetico corrisponde a quella dei diagrammi, delle combinazioni, e delle aggregazioni nel disegno infantile, passiamo al terzo periodo paleolitico, definito Maddaleniano, dai 16.000 ai 10.000 anni fa.

È questo il periodo più fulgido, più ricco di opere, più noto e famoso dell’arte paleolitica: il primo classicismo della storia della pittura a cui appartengono le grandi opere policrome delle meravigliose pa-reti e volte istoriate della grotta di Lascaux e Altamira. In termini di proiezione ottica, siamo ormai giunti a un’immagine pittorica de-cisamente naturalistica. La precisione anatomica, la sicurezza delle

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sensualità dei contorni lineari, tipiche delle immagini degli animali rappresentati in quel periodo hanno raggiunto una perfezione sba-lorditiva. L’uomo paleolitico, grazie alla sofisticata complessità di queste rappresentazioni, aveva raggiunto un livello di capacità in-tellettuali tale da consentirgli di elaborare il concetto di somiglian-za e di applicarlo nella pratica del linguaggio pittorico sotto forma di codice visuale, o grafico visivo. Anche la terza fase naturalistica dell’arte paleolitica trova un’analogia corrispondente con l’ultimo stadio del disegno infantile. In questa fase il bambino, in parallelo con l’uomo preistorico, arriva a scoprire e a far sua la realizzazione dell’immagina pittorica nella più attuale delle concezioni.

Il percorso analizzato fin ora, iniziato con la fase gestuale, prose-guito con quello iconografica e terminato con quella pittorica o naturalistica, ci ha mostrato quanto il linguaggio visivo sia di tipo universale per l’essere umano. Ogni individuo, di razza, epoca, età, cultura ed appartenenza sociale, ha avuto a che fare con l’esperienza della rappresentazione e della visualizzazione; tutti hanno seguito il medesimo percorso evolutivo, passando dalla gestualità, all’icono-grafia, per poi giungere alla pittorica. Tutto questo percorso è solo la prova lampante che l’espressione grafica abbia avuto un’origine comune a tutti gli esseri umani; evidenziando ancor di più il carat-tere universale del linguaggio grafico.

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1.2. CONFORMAZIONE DEGLI ELEMENTISTRUTTURALI

Delineato il carattere universale dell’esperienza visiva e grafica che accomuna tutti gli esseri umani di qualsiasi genere, è doveroso an-dare a descrivere le componenti e le caratteristiche intrinseche pro-prie della produzione di un segno su un supporto visivo. Studiando quali elementi facciano parte della struttura del disegno potremo capire ulteriormente l’importanza fondamentale di quest’abilità nel processo visivo ed in un secondo momento in quello progettuale.

1.2.1 LA MACCHIA

Nella nostra vita quotidiana spesso produciamo, su vari supporti, delle macchie di qualsiasi genere; per la maggior parte di noi sono semplicemente la rappresentazione di gesti inconsulti ed involon-tari capaci solo di produrre un errore di forma, una figura non geometria, una sagoma morfologicamente incontrollabile. Queste macchie sono provocate da un evento casuale e fortuito, sono la precipitazione di gocce o sostanze liquide viscose che irrompono su una superficie materica corrompendo spesso la struttura dell’og-getto macchiato.

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Il fattore casualità è stato lo stimolo per molti artisti, che vedevano in questa forma originata dal “caos”, un spunto di riflessione sulle potenzialità dell’incontrollabilità degli eventi. Quest’ultimi pos-sono generare dei risultati più artistici di molte rappresentazioni umane; il “magma ottico” privo di contorni, di colore piatto e di una morfologia ben delineata, può essere accostato alla manifestazione finita delle forze cosmiche della materia. Nella storia della pittura e della rappresentazione sono presenti tan-tissimi tentativi di imbrigliare in una forma riproduttiva semplice e ripetibile, la macchia; la maggior parte degli artisti si è cimentata in questa impresa, cercando di imbrigliare in una forma più poe-tica e meno realistica la sua essenza. Plinio il vecchio racconta (cfr Plinio il vecchio – 1946) che Protogene, pittore greco discepolo del più famoso Apelle, stava cercando di riprodurre su una sua opera, la bava di un cane che aveva precedentemente già rappresentato. Le sue infruttuose prove nel ricrearla morfologicamente portaro-no quasi per rabbia a scagliare una spugna sulla sua opera. Il caso volle, dopo vari tentativi, che la spugna all’impatto con la superfi-cie rilasciò una macchia molto simile all’effetto che Protogene stava cercando invano di ottenere con la tecnica tradizionale. L’artista, contento del risultato, decise di lasciare quell’elemento naturale, fi-glio del caos e della casualità degli eventi, proprio per l’incapacità di realizzare tramite tecniche classiche un qualcosa che appartiene alla variabilità del caso.

Il fattore casualità è stato lo sti-molo per molti artisti, che vede-

vano in questa forma originata dal “caos”, uno

spunto di riflessione.

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Anche in estremo oriente alcuni artisti filosofi hanno provato a de-scrivere come riprodurre la casualità della natura. Song-Ti, pittore cinese del XI secolo, suggeriva una tecnica molto suggestiva per usare le crepe di un muro vecchio e trasformarle in una sensazione artistica e naturale.

Anche Leonardo Da Vinci (cfr G.C. Argan, B. Contardi - 1981) ave-va escogitato un esercizio per i suoi allievi volto allo studio e all’ap-profondimento delle varie forme d’ispirazione che una macchia po-teva suscitare ad un artista. Li spronava a fissarle, a contemplarle; li spingeva a farli lavorare sulle similitudini e sulle astrazioni; cercava di fornirgli degli strumenti visivi e degli spunti per la creazione di nuovi sistemi e oggetti che potevano esse di supporto alla loro vita scolastica e all’approfondimento di tecniche di costruzione. Nella macchia un artista usando la sua immaginazione può vedere quel-lo che vuole, può giocare a modificare la morfologia di ciò che gli appare davanti, e a plasmarla a suo piacimento creando e distrug-gendo forme.

Cercate un antico muro in rovina, stendetevi sopra un pezzo di seta bianca. Quindi alla sera e al mattino, con-templatelo, finché riuscite a vedere la rovina attraverso la seta, le sue bugne, i suoi strati, i suoi zig zag, le sue fessure, fissandoli nel vostro spirito e nei vostri occhi. Le prominenze saranno le vostre montagne, le fessure i vostri torrenti, le parti più in luce i vostri luoghi più vicini, le parti più in ombra i vostri luoghi più lontani. Fissate tutto questo nel profondo di voi stessi e presto vedrete uomini, uccelli, piante e alberi, e figure che sono in movimento o in volo. Potrete usare allora il vostro pennello seguendo la vostra fantasia, e il risultato sarà una cosa del cielo e non dell’uomo.

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1.2.1.1 LA MACCHIA ED IL CONTORNO NETTO

La casualità e la natura imprevedibile della macchia gli conferi-scono il valore di intuizione prima come nucleo dell’opera. Que-sto corrisponde in sostanza, alla manifestazione pura della facoltà dell’invenzione e della fantasia del pittore, l’intuizione del senso estetico. Gli stessi pittori riconoscono in questo la primigenia nello loro opere, il nucleo, il mattone o l’atomo su cui si fonda la loro arte. Per il Vasari (cfr G. Vasari – 1986), gli schizzi andrebbero eseguiti sotto forma di macchia, per determinare la naturalezza e l’elasticità del tratto; solo in questo modo diviene possibile osservare il nucleo interiore dell’immagine. Lo schizzo non dovrebbe essere concepi-to ponendo attenzione ai dettagli e alla minuzie, bisogna lasciare libero lo strumento, bisogna far sviluppare sul foglio le macchie in modo che si accostino tra di loro per formare l’idea. Ad una più attenta osservazione però, queste, devono rimanere delle picco-le rappresentazioni assestanti che simboleggiano la gestualità e la casualità dell’artista nell’esprimere il proprio concetto o la propria visualizzazione.

La sostanziale differenza che esiste tra il disegno a macchia e quel-lo lineare può essere ricondotta alla definizione di Raffaello (cfr G.C. Argan, B. Contardi - 1981) di due tecniche artistiche come la scultura e la modellazione della creta. Nella prima l’artista fa un’operazione di rimozione della materia, trasportando il disegno mentale sul blocco di marmo che viene prima scalfito e poi mo-dellato; quest’operazione è molto simile al disegno lineare, dove il disegnatore si sforza di avere già in testa un modello predefinito da trasportare sulla carta. Per questo gli scultori per Raffaello sono definiti gli artisti “del togliere”, scoprono la forma della loro opera “per forza di levare”, rimuovono la materia in eccesso trasformando così un blocco unico in una forma ben definita e levigata. Il disegno a macchie invece ha delle caratteristiche molto più simili al lavoro

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che l’artista compie nel dar vita ad un’opera di creta; modella con le proprie mani una massa di materia, aggiungendone sempre di più, fino ad arrivare al concepimento e alla realizzazione della forma che aveva dentro la sua testa. È un’operazione che procede dall’inte-ro verso l’esterno, un moto espressivo più materico e fluido, libero da schemi mentali che si manifesta come fecondazione espressiva.

Essendo le proprietà visive legate alla conformazione materica della macchia, quest’ultima, non può che vibrare e trasferire la sua essen-za nella composizione del disegno, ma soprattutto nello stimolo che un osservatore avverte nel momento in cui ha difronte a se l’opera. Le caratteristiche cromatiche sono intrinseche nella pigmentazione del colore che si usa per lasciare la traccia sul foglio; questa materia informe allo stato liquido, in virtù delle sue primordiali risonanze, porta il disegno da uno stato liquido ad uno solido sublimando le sensazioni e le emozioni della materia stessa.

“Le ballerine”Edgar Degas 1834

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La macchia è perfetta sia per la visione “espressionista” dell’arte che per quella “impressionista”: nel primo caso è uno strumento per-fetto per fissare su un supporto visivo, i moti interiori dell’artista, la sua sensibilità e la sua intenzione espressiva; un movimento che viene dall’interno e si posa in superficie.

Nel secondo caso invece, funziona anche come fermo per le appa-renze immediate, le impressioni dell’artista cosi come si sviluppano nella mente, senza una lavorazione dall’interno verso l’esterno, ven-gono fissate sulla carta. Le qualità cromatiche e di densità determi-nano quelle che sono le caratteristiche pittoriche e grafiche del flu-ido che si posa sulla superficie, mentre la velocità, la precisione, la fluidità, la pressione, sono le variabili che stabiliscono l’espressività ed il carattere del disegno, detto anche il ductus. Oltre alla gestua-lità e allo stile con cui si crea una macchia, bisogna considerare in modo opportuno anche il diverso grado di recettività dei supporti

“La Danza”Henry Matisse 1910

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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e le proprietà puramente fisiche, come: la ruvidezza, la secchezza, l’umidità e la colorazione. La tecnica finale è semplicemente l’in-terazione e l’incrocio di queste caratteristiche sopraelencate, dan-do vita ad alcune delle tecniche pittoriche di stampo macchiaiolo: lavis, gouache, acquarello, grisaille. Ma cosa definisce allora una macchia, da una forma definita? Esistono criteri per poter giudi-care in effetti come fare a differenziare le due cose? Tutto questo ci porta a capire in maniera definitiva chi è il vero protagonista, l’oc-chio. Quest’organo è il mezzo grazie alla quale possiamo assimilare la percezione di un segno di qualsiasi genere; è proprio la distanza focale, ad essere la discriminante che ci permette di distinguere una macchia da un elemento definito. Aumentando infatti lo spazio che intercorre tra il fruitore e il disegno, ci rendiamo conto che una macchia può diventare un elemento definito, viceversa se ci avvi-ciniamo sempre di più verso il foglio, scopriamo l’effetto contrario. Con questo possiamo dire che il vero autore del disegno in realtà è il nostro occhio, grazie infatti alle sue caratteristiche fisiche riesce a vedere figure sempre più definite man mano che la distanza tra l’osservatore ed il disegno aumentano.

1.2.2 LA TRACCIA

Dal punto di vista grafico e visivo la prima caratteristica per la di-stinzione di una traccia da qualsiasi altro segno, è indiscutibilmen-te lo strumento che la produce, l’impressione che un apparecchio rilascia su un supporto visivo. La traccia però è anche la scia che lascia un oggetto che viene spostato su una superficie morbida e de-formabile, come una sdraio che viene trascinata sulla sabbia o come quando l’aratro dissotterra la terra sotto di lui. Se effettivamente le proprietà di colore, forma e carattere dipendono dalle proprietà materico-tecnologiche dello strumento, possiamo dire che c’è una grossa somiglianza con il timbro nella sfera musicale. Il suono, in-fatti, viene fuori da un insieme di variabili come: la somma della

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struttura, la conformazione, i materiali, e le specifiche tecniche del-lo strumento usato per la riproduzione del timbro. Il passaggio tra la percezione e la rappresentazione delle cose, comporta una sorta di traduzione dall’impressione sensibile in produzione visibile. La traccia (cfr G. Di Napoli – 2004) allora ha il ruolo nel rappresentare l’impronta che le cose lasciano tramite i cinque sensi, ha il compito quindi di produrre dei segni che si rifanno ai segno dell’oggetto. In questo gesto sono presenti delle sfumature ancestrali e legate alla terra, che viene vista in chiave di madre e di sostenitrice di tutti noi; questa acquisisce un significato di supporto dei supporti, dove la materia diventa il luogo della memoria. Anche i fossili possono essere letti come la traccia che l’evoluzione del tempo ha lasciato all’essere umano; la vita ha impresso sulla materia, e con il passare dei secoli, ci ha donato delle impronte della sua stessa evoluzione.

La traccia è il segno della rappresentazione del mondo, l’essere coin-cide con l’apparire, è l’unica ma reale possibilità di poter osservare e capire la natura delle cose. Dal punto di vista grafico la traccia non è che un dialogo incessante tra la punta dello strumento utilizzato e la superficie impiegata per la visualizzazione. Questa danza come

Fossile del Pleistocene. Una creatire marina progenitrice dei nostri moderni pesci.

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tutti i movimenti ha delle regole stabilite, può essere un calco pe-sante, un’incisione che lo strumento infligge al supporto come per marcare con decisione la sua orma; oppure può diventare una ca-rezza che sfiora con la sua grazia il supporto visivo, accarezzandolo e rilasciando una scia soffice e vellutata. In qualsiasi caso però la traccia gioca sempre un ruolo di sconvolgimento per l’uniformità del supporto, come un elemento di disturbo, ma di vita allo stesso tempo, che cambia radicalmente la conformazione della superficie, costringendola però ad assumere un significato ben preciso.

Esistono moltissimi esempi in natura che ci fanno capire lo spiri-to fenomenico della traccia, questi giocano a farci scoprire come l’essenza della manifestazione del mondo sia riscontrabile in mol-ti eventi quotidiani. Un esempio può essere: sull’acqua (materia) del mare (supporto) il vento (strumento) solleva l’onda (segno); oppure: nell’aria (materia) la luce del lampo (strumento) illumina (segno) il cielo (supporto). Per capire meglio le dinamiche di cre-azione bisogna andare a studiare lo strumento ed il supporto sotto l’aspetto tecnico-materiale. Il primo ha una forma convessa e longi-tudinale e con un’estremità più appuntita; ha una funzione maschile ed attiva ed è tutto concentrato nell’attività della punta e del suo movimento. È di fatto proprio quest’ultima che opera sulla superfi-cie rilasciando granuli di colore, tagliando, incidendo, seminando inchiostro sul supporto visivo. Il modo di tracciare dipenderà dalle proprietà materiche del supporto e dalle possibilità tecniche e ma-teriali della punta dello strumento; questi due fattori sono essenzia-li per la forma e la qualità della traccia. L’estremità dello strumento può essere allora duro e tagliente, come il bulino, per l’incisione su lastre metalliche; o come gli scalpelli, per le incisioni sul legno; può essere rigida e secca, come nelle punte metalliche o nelle stilo di piombo; elastica e umida, come le diverse penne dei volatili; gras-sa e friabile, come per alcuni strumenti antichi di origine terrena; umida e morbida, come tutti i tipi di pennelli ed i pennarelli usati

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dai pittori e dai progettisti. Questi strumenti poi vengono catalogati su questi quattro parametri che generalizzano in linea di massima le loro caratteristiche più evidenti:

Lo strumento conferisce alla traccia un valore estetico perché spesso c’è un legame molto profondo tra l’autore della traccia e lo strumen-to stesso; tutta la poetica, lo stile ed il carattere personale dell’artista viene trasferito nell’arnese, che non svolge solo la funzione di ri-portare la traccia, ma si trasforma in un’estensione dell’artista, che sceglie quindi con cura il tipo di tratto adatto. Nel libro “Disegnare e Conoscere” Giuseppe Di Napoli (cfr G. Di Napoli – 2004) ci for-nisce alcuni esempi di continuità stilistica tra strumento e autore:

PENNA: Viene considerato lo strumento principale ed il più eco-nomico per il disegno. All’inizio era ricavato da piccoli bastoncini cavi tagliati in obliquo nell’estremità; nel medioevo vennero sosti-tuite dalle piume d’oca, in grado di riprodurre segni più sottili e molto più lineari. In età moderna è stata sostituita dalla penna a sfe-ra, che utilizza questo componente geometrico sferico, incastrato in un identico spazio negativo, per spargere inchiostro. È in grado di poter riprodurre un tratto sfumato, ma anche uno netto e corposo, utilizzando come pigmentazione e materiale di stesura l’inchiostro.

MATITA: Sono strumenti di differente costituzione, proprio perché custodiscono dentro di loro l’elemento che viene sparso per creare il tratto. All’inizio si trattava di pietra nera, veniva tagliata e usata

- Dimensione: sottile-spessa - Forma: omogenea-variata - Materia: compatta-sgranata, dilavata-nitida - Tono o Colore: chiaro-bianco su nero;

colorato-scuro-nero su bianco.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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durante la fine del ‘400; poi venne scoperta la pasta di grafite che dal 1800 in poi sostituì la vecchia matita. Materiale estremamente duttile, grazie alla pressione della mano può ricreare molti tratti, da quello più leggero e fino, ad un tratto più spesso e marcato. Si riesce a dare luce e a giocare con il chiaro scuro, si possono creare contorni definiti e sfumati ed è possibile riprodurre gli oggetti con estrema precisione.

SANGUIGNA: Viene prodotta dalla frantumazione di una pietra, che una volta sgretolata, produce un rosso molto simile alle mo-derne lacche; un colore pieno e lucido che da molto risalto al di-segno una volta fissato sul supporto. Grazie al suo effetto morbido e sfumato, durante il Seicento, diviene lo strumento preferito per la rappresentazione e per il disegno, riuscendo a diventare predo-minante nella fase preparatoria dell’opera. Nell’età contemporanea questo strumento viene usato solo nelle scuole d’arte, per insegnare agli studenti come gli artisti del passato riuscivano a disegnare con strumenti eterogenei raggiungendo risultati molto convincenti.

STILO: Un’asticciola di forma cilindrica e di materiale metallico, viene utilizzata per scrivere e disegnare già nell’antica Grecia. A se-conda del metallo utilizzato per la produzione di questo strumen-to, lo stilo rilascia un tratto differente; spesso si sparge una polvere d’osso per preparare la superficie ad essere scalfita. Il suo segno, es-sendo di natura esile, non permette di poter giocare con dei contra-sti di chiaro-scuro, rendendo impossibili una resa luministica nel disegno. Viene utilizzato più nella preparazione del disegno, che nella finalizzazione dell’opera stessa.

CARBONE: Questo materiale è di origine antichissima, si produ-ce dalla combustione di un bastoncino di salice o di tiglio. Grazie all’estrema friabilità dell’elemento, è possibile stenderlo sulla super-ficie con molta facilità, ottenendo risultati soddisfacenti nella ri-

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produzione di un oggetto dal vivo. Può essere cancellato con molta velocità, il che lo rende utile a tutti coloro che vogliono imparare il disegno ma che sono ancora alle prime armi. È l’elemento ideale per generare luminosità al disegno, e grazie al chiaroscuro rende molto realistica la rappresentazione finale.

PASTELLI E GESSETTI: Vengono realizzate mescolando tra di loro numerose terre condensate con della gomma e degli olii particola-ri, che rendono l’impasto molto morbido e friabile. La caratteristi-ca principale è che ogni elemento sprigiona un colore differente, questo li rende molto duttili per una realizzazione dal vero molto realistica.

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1.2.3 LA LINEA

Il segno grafico della linea è un concetto visibile, è l’espressione e la concretizzazione di un’astrazione mentale. A tutti gli effetti è un segno in sé, ha un suo specifico significato ed è autonomo nella sua semantica. Con questo segno l’essere umano non attribuisce un valore, o un significato, ad un’entità ben precisa, in realtà delimita e segna il luogo limite ed il confine che esiste.

La linea (M.Leiris 1989) è quell’elemento che permette alle cose in-visibili di essere visualizzate nel mondo reale, grazie ad un semplice tratto che ne delinea per l’appunto, le dimensioni. Possiede due si-gnificati contrari:

Nella realtà (G. Di Napoli – 2004) però è un concetto che non esiste in natura, non ha una vera e propria entità fisica. È in effetti, una cosa mentale che somiglia molto più all’idea pensata che alla cosa vista dal vero e realizzata; è la manifestazione del nostro pensie-ro, la condensazione in tratto del modello che ci passa per la testa. Appartenendo ad un’altra dimensione, tipica dell’astrazione e dei concetti, anche il supporto subisce le stesse modifiche; non ha più le stesse sfumature che aveva in precedenza quando si parlava di traccia, adesso è a tutti gli effetti un piano. Questo è, in tutte le sue caratteristiche, uno sfondo omogeneo, molto spesso liscio o levi-

1) considerata direttamente in sé, lungo il senso del suo divenire movimento, rappresenta l’immagine tempora-le del continuo.2) considerata invece indirettamente, per quel che il suo avvento comporta sul piano spaziale, rappresenta l’im-magine della divisione che separa lo spazio.”

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gato, monocromatico (nella maggior parte dei casi bianco), pronto a ricevere su di esso una linea che ne sconvolge la conformazione grafica, non andando però ad intaccare sostanzialmente la fisicità del piano. La linea quindi segna lo spazio dello sfondo ma non ne modifica la struttura; ha la capacità, invece, di rendere molto più luminoso il piano di supporto, che prima nella sua opacità non riu-sciva ad esprimere nulla.

Il contrasto che viene generato dalla differenza estrema di lumi-nosità tra il bianco dello sfondo ed il nero della linea è di per sé la vibrante fiamma che si accende di significato rendendo visibile il concetto; una lotta necessaria per la trasformazione delle idee in disegno. La disposizione, la continuità, l’intensità, il movimento astratto, la priva esistenza di un dentro-fuori e di un contorno, il suo duplice valore di essenza che sconfina nella realtà, sono tutte le caratteristiche fondamentali della linea, di questo nero che con

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la sua elasticità vibra sul foglio e rende viva un’idea. L’essere umano ha da sempre ammirato l’astratto, che come abbiamo descritto in precedenza è da sempre stata la prima fase di comunicazione e di espressione; questo ha facilitato di molto lo sviluppo del concetto della linea e molto probabilmente è stata la prima fase di concretiz-zazione mentale del concetto.

Va anche detto, però, che l’essere umano, si è ispirato molto alla na-tura e tutte le sue meraviglie: le crepe nella roccia, i ciottoli levigati, le foglie accartocciate, i cerchi concentrici degli alberi, utilizzando l’immaginazione ed estrapolando dal contesto visivo solo il riga-gnolo che scorre tra la materia, si riesce a rievocare il concetto di linea. Attraverso questi processi l’uomo estrae da un oggetto pre-sente in natura i connotati che utilizza per figurarsi un concetto che nella realtà esiste solo nella nostra testa.

Un aneddoto molto suggestivo sulla rappresentazione della linea, viene direttamente da Plinio il Vecchio, che nella sua Storia delle arti antiche (Plinio il Vecchio – 1946) descrive come la sfida alla rappresentazione tra lui e Apelle abbia portato il filosofo a delle ri-flessioni molto importanti e costruttive sul questo elemento. I due si sfidarono a rappresentare, tramite un tratto di pennello, una linea; Apelle ne fece una sottile, da mostrare a Plinio, il quale sentitosi fe-rito nell’orgoglio decise di sfidarlo sul suo stesso campo, disegnan-done una ancora più sottile, sullo stesso foglio. Apelle decise allora di realizzare una terza linea ancora più sottile; Plinio riconobbe di essere stato sconfitto, arrivando però ad una conclusione molto in-teressante. Apelle era riuscito, per l’appunto, a sviluppare una rap-presentazione così sottile che non c’era più spazio all’interno; una linea con una sola dimensione, non c’era più la larghezza, rimaneva solo la lunghezza, ma in uno stato fisico di unidimensionalità. È stato il primo a disegnare una linea invisibile, portando alla visua-lizzazione il concetto stesso.

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L’Art Nouveau aveva come cardine centrale delle sue opere la linea, e ne ha delineato delle caratteristiche che fino a quel momento era-no sconosciute alla maggior parte dei pensatori e filosofi di quel tempo.

Henry van de Velde scrisse, in un articolo del 1902 (cfr H. Van de Velde – 1981), questo sunto sulla linea, che pone l’accento sull’im-portanza di questo segno rendendolo simbolo di forza ed elemen-to fondamentale nel pensiero e nella rappresentazione. Di tutte le linee possibili, quelle fondamentali, da dove poi derivano tutte le altre variabili, sono tre: la retta, l’angolo e la curva.

LA RETTA: La linea visivamente più semplice è la retta, è in asso-luto il primo prodotto visivo concepito dalla nostra mente, dove una forza unica e continua viaggia verso l’infinito separando vir-tualmente una parte dall’altra. Con questo elemento si introduce l’estensione temporale e la direzione nello spazio. Possiamo dire in effetti che se pensiamo alla linea, spesso la identifichiamo, come simbolo stilistico, proprio alla retta, perché meglio rappresenta, con le sue caratteristiche, questo elemento. Nella rappresentazione pia-na la retta delinea il primo codice visivo adatto a rappresentare il piano; utilizzando infatti questo elemento, che idealmente continua la sua estensione all’infinito, è possibile visualizzare la linea di terra

La linea è più parlante della parola scritta…Il più im-percettibile slancio. La più lieve flessione, il più sottile cambiamento di ritmo, la più trascurabile variazione nei supporti d’intervallo e di distanza degli accenti cor-rispondono a cause che sono in stretto rapporto con la mentalità e la psicologia particolari di ogni popolo. Ogni grande periodo storico ha la sua linea sintetica.

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che separa gli oggetti poggiati su di essi da quelli che si trovano in aria. La retta è inflessibilità, calma, sicurezza, certezza, rigore, precisione, esattezza, traiettoria, tangenza, pensiero, idea, infinito, fuga, estinzione, astrazione, perfezione e contemplazione. Ma è an-che direzione, ortogonalità, orizzontalità, verso obliquo, parallelo, convergente o divergente, caduta, gravita e peso.

LA CURVA: La minima flessione, o cambiamento di direzione del-la retta, genera una curva: la manifestazione allegorica della vita e della sua intrinseca caratteristica di casualità che si presenta in un cambiamento repentino di direzione. È proprio la curva che rende attiva e vitale la linea, la costringe a localizzarsi topologicamente, e a disporsi sul foglio; muta la sua direzione in più punti del percorso, e la fa’ interagire con gli elementi intorno ad essa. La linea, proprio come succede in natura con gli animali, tramite la curva, si adatta al cambiamento che il proprio ambiente fisico, gli presenta. Que-sta linea è una forza la cui azione è simile a quella di tutte le forze elementari naturali; varie linee-forza che agiscono in senso contra-rio provocano gli stessi effetti di forze naturali che si oppongono…in tali linee agiscono in senso contrario, provocano gli stessi effetti di forze naturali che si oppongono…in tali linee agiscono le stesse forze che nella natura hanno penetrato il vento, il fuoco e l’acqua. La curva in sostanza è la manifestazione della vita che viene infu-sa nell’immensità della retta; la modifica, la caratterizza e la rende umana e più simili alle cose terrene e fisiche. L’arco della vita, come definivano i greci, è proprio l’allegoria, usata ancora oggi, per espri-mere come questo segno possa ricordare in effetti le varie fasi dello sviluppo del proprio percorso vitale.

L’ ANGOLO: L’angolo misura la quantità di spazio racchiusa da due linee che si incrociano in un vertice. Due piani o due rette, tre pia-ni o tre rette, incontrandosi in un punto, detto vertice, chiudono e delimitano un’estensione spaziale definibile in termini quantitativi.

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La linea allora, in questa fase, inizia a perdere la sua caratteristica di infinito e di linearità per entrare nell’estensione della materia, della fisicità che si erge nello spazio e assume una forma concreta. Questa trasformazione lo rende allora tangibile, misurabile, scomponibile e componibile nelle sue dimensioni; di conseguenza lo spazio perde le sue caratteristiche aleatorie, e diviene più controllato, delimitato e finito nelle sue estensioni sensibili. L’angolo rende lo spazio con-creto, quasi tangibile, oseremo dire quasi lo solidifica. Se la curva appartiene al mondo liquido ed organico, l’angolo appartiene al mondo solido della materia inerte. I lati, le superfici, gli spigoli, le facce, il volume, sono tutte grandezze oggettive e misurabili nello spazio che possono essere riprodotte grazie all’angolo. Diviene al-lora strumento di misurazione e di riproduzione delle astrazioni geometriche che si concretizzano su un supporto fisico. La linea spezzata non è nient’altro che quella figura che si sviluppa in uno spazio, ma cambia repentinamente, grazie all’angolo, la sua direzio-ne, creando una linea continua che si dirama lungo la superficie.

1.2.4 IL CONTORNO

In sostanza il disegno potrebbe essere ridotto ad un unico elemento strutturale: la linea di contorno. Questa, in effetti, è già un disegno allo stato finale, che rappresenta un concetto astratto su un sup-porto fisico; condensa insieme una polisemia di elementi simbolici come il confine, l’orlo, il bordo, il profilo ed il margine, che scon-finano il campo del significato e si estendono in molti altri ambiti disciplinari, come la matematica, la geometria, la biologia, la geo-grafia e la filosofia. In natura però l’essere umano percepisce le cose intorno a lui catalogando macchie, differenze di colori, nitidezze e trasparenze; nella realtà il contorno, nella sua accezione metafisica, non esiste. Tutto ciò che percepiamo, come viene analizzato nel te-sto “Disegnare e conoscere” (G. Di Napoli – 2004), varia a seconda della luminosità; questa regola, grazie alla sua intensità e alla sua

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forza, gli oggetti e le immagini che il nostro occhio può o non può catturare. La realtà, grazie sempre all’illuminazione, non produce in effetti delle line di contorno nette, le stesse che potremmo disegnare su un foglio di carta o su un supporto elettronico. La nostra vista però si è sviluppata per venir in contro alle leggi della sopravviven-za, la distinzione di un contorno e quindi della sua relativa figura, potevano fare la differenza tra la vita e la morte.

Questo ha portato alla sintesi mentale di quello che noi chiamiamo contorno di una figura; in sostanza è una proiezione su un ipotetico piano, dell’immagine che abbiamo difronte ai nostri occhi, che ser-ve a scontornare e a staccare la figura dallo sfondo in cui si trova. Sul piano fenomenico quest’effetto di discontinuità, di cui abbiamo appena parlato, che suddivide la continuità spaziale, le superfici, la forma e la luminosità dell’oggetto, ha due diverse declinazioni: primo è un limite-ottico, mentre il secondo è un margine-ottico. In termini fenomenici il limite corrisponde al punto estremo, il primo

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e l’ultimo dove una cosa ha inizio e finisce, è il confine su cui si misura il definito e su cui si sviluppa lo stesso. Per margine inve-ce si intende l’ultimo spazio, mutevole e cangiante, che con le sue estensioni suddivide gli spazi distinguendo un dentro ed un fuori, un campo disegnabile ed uno non utilizzabile per il disegno.

Questi due concetti corrispondono nella realtà della visualizzazio-ne ottica dell’essere umano, rispettivamente alla visione foveale e alla visione periferica; la prima nitida chiara e distinta, tipica di una visualizzazione concentrata ad estrapolare dettagli dell’immagine, la seconda morbida, sfumata e fluttuante, molto più adatta ad una visione di insieme, adatta a catturate la totalità dell’immagine. Il contorno allora non è che la sintesi di queste due caratteristiche che usiamo per osservare gli oggetti e gli ambienti che ci circondano; cercano di strappare alla totalità dell’ambiente (percepito con una visione periferica) l’oggetto osservato (assimilato da una visione fo-veale), restituendo un oggetto visuale comprensibile tramite il suo contorno. La linea di contorno non è quindi la riproduzione ottica di nessuno dei due aspetti, non esistendo in natura, non rappre-senta nessun tipo di oggetto visibile e reale; è la manifestazione di un simbolismo grafico che serve all’essere umano per rappresenta-re dei concetti mentali. Sono in effetti, delle convenzioni grafiche o dei concetti visibili, che non possono essere ricondotti a nessun esempio presente nella quotidianità delle cose che osserviamo. Il contorno nello specifico va a sostituire sia le sfumature dei margini, sia le superfici cromatiche, andando ad annullare le loro proprietà con una sintetica linea che scorre lungo l’intersezione immagina-ria delle due. Quest’ipotetica linea se venisse realmente posta tra queste due caratteristiche sopra elencate, andrebbe a modificare so-stanzialmente la conformazione dell’immagina, rendendola molto netta e compatta. Tutte le sfumature, i passaggi d’ombra, le differen-ze di tonalità e la profondità dell’immagine andrebbero ad essere vincolate e schiacciate da questo filo nero, che con la sua violenza

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segnica irrigidirebbe tutta la morbidezza dell’immagine. L’essere umano, però non percepisce la linea di contorno nella sua essenza strutturale, ma intuisce le forme che la stessa linea racchiude nella sua essenza; tutto questo nasce da un’esigenza esatta dell’uomo che utilizza questo espediente grafico per fissare la mutevolezza ed il movimento delle figure che osserva.

La psicologia della Gestalt ci ha insegnato che esiste un fenome-no chiamato “costanza nella forma” che permette all’essere umano di catalogare, grazie al contorno, un oggetto, e di riconoscerlo una volta che quest’ultimo si muove nello spazio. In questo modo, oltre al riconoscimento puro dell’oggetto, possiamo soppesare le sue qua-lità materiche, quelle cromatiche e spaziali, in modo da percepire al meglio le cose che ci circondano. Nel momento in cui si disegna la linea di contorno si crea qualcosa di magico per il nostro cervel-lo, questo elabora l’immagine e inizia un processo di separazione tra lo sfondo e l’immagine racchiusa dentro la linea. Questo crea istantaneamente una duplicità di significati per il nostro cervello, come: dentro-fuori, incluso-escluso, concavo-convesso, limitato-il-limitato, denso-rarefatto, chiaro-scuro. Lo sfondo a questo punto si stacca dall’immagine e diventa più lontano, si sposta verso l’ester-no; il contorno invece viene verso l’osservatore, e nel momento in cui ha portato alla luce l’immagine, svanisce, lasciando soltanto il contenuto.

La linea è la manifestazione diun simbolismo grafico cheserve all’essere umano per rappresentare dei concetti

mentali astratti.

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Quando il contorno è invece condiviso da due figure, succede un effetto ottico molto particolare; il cervello non riesce a riconosce-re se appartiene ad una o all’altra figura, questo genere un istan-taneo effetto doppio chiamata anche rivalità di contorno, che non permette all’osservatore di capire quale delle due figure esiste. Un esempio su tutti è l’incisore olandese M.C. Escher che nelle sue opere utilizza questo effetto ottico per dar vita a delle creazioni ar-tistiche molto suggestive; l’accavallamento delle linee di contorno e alcuni effetti ottici derivate da prospettive alterate e fuorvianti, distorcono la percezione naturale dell’immagine, e creano un effet-to molto gradevole.

La discontinuità della linea, secondo il parere del filoso Giuseppe di Napoli (cfr G. Di Napoli – 2004) ci permette di poter rappre-sentare concetti astratti ed invisibili, dando forma ad oggetti che nella realtà non esistono. Avendo appurato l’inesistenza della linea e della consequenziale linea di contorno in natura, possiamo allora catalogare e classificare i vari tipi di linee di contorno che si usano nella rappresentazione grafica.

1) DISCONTINUITà TATTILO-VISIVE: Sono quelle linee che si vedono e si toccano: - Linee-oggetto: fili di ferro, corde, capelli… - Discontinuità del rilievo di superficie dovuto alla presenza di

elementi concavi e convessi: pavimentazioni o incastri di oggetti piani contigui; nervature, ecc.

- Discontinuità delle forme piane: foglie, lame, vetri, lamiere… - Discontinuità delle curvatura di superfici piane e

tridimensionli: curve di un bicchiere, di una tazza, ecc. - Discontinuità di inclinazione o di direzione delle superfici piane

e tridimensionali che formano angoli diedri: tutti i tipi di angoli concavi e convessi.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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2) DISCONTINUITà OTTICHE. Linee che si vedono ma non si toccano:

- Discontinuità di illuminazione: ombre. - Discontinuità di riflesso: riflessi, trasparenze, nuvole e lampi. - Discontinuità di pigmentazione: livrea degli animali, colori dei

tessuti. - Discontinuità di forma delle grandi masse volumetriche viste in

lontananza: profili di montagne, orizzonti ecc. - Discontinuità della profondità dello spazio: contiguità “visiva”

tra due forme poste a distanze diverse.

3) DISCONTINUITà VIRTUALI O POTENzIALI. Linee che non si vedono e non si toccano ma che esistono e si “av-vertono” in virtù di qualche intuizione intermodale: - Traiettorie, rotte, linee sonore e di correnti marine e ventose, vettori di direzione, linee dello sguardo e raggi luminosi, linee di crescita e di sviluppo, tensori e tracciati di movimenti troppo lenti o troppo veloci per essere percepiti, ecc.

4) DISCONTINUITà EIDETICHE E AMODALI. - Linee che non esistono e che visualizzano relazioni e proiezio-ni logiche o immaginarie: alberi genealogici, costellazioni, aureole, meridiani e paralleli, proiezioni di dati astratti, grafi, diagrammi… - Linee impossibili ed invisibili: linee continue che cominciano come spigoli e terminano delimitando superfici e curve, o che deli-mitano una superficie che ha un inizio e non una fine, che comin-ciano come contorno e terminano come linea oggetto, tutti i casi di completamento amodale delle continuità, ecc.

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1.2.5 IL CHIAROSCURO

Il chiaroscuro è una tecnica pittorica di rappresentazione su carta che permette di distinguere e separare, tramite dei tratti ben precisi, la luce dall’ombra. Nel disegno, grazie ad una serie di tecniche dif-ferenti tra loro, si riesce a replicare le proprietà materiche e fisiche dei vari oggetti che troviamo quotidianamente nella nostra vita. In realtà la tecnica permette di riprodurre, tramite zone più scure, le ombre portate o portanti, lasciando degli spazi più chiari per creare punti di luce; questi danno risalto a tutta la composizione, renden-do un disegno piatto, tridimensionale.

Uno dei massimi esponenti del chiaroscuro era il già citato Leonar-do Da Vinci che in un suo scritto sulle tecniche di rappresentazione “Del chiaro e scuro” disse:

In questo modo l’artista definiva il concetto di sfumatura tipica-mente usato nella tecnica del chiaroscuro; la luce per lui è movi-mento perenne, è fusione di masse, è la qualità senza corpo, la ra-gione per cui riusciamo ad osservare delle forme. Per Leonardo (cfr L.M. Batkin – 1988) la cosa più importante era il dialogo che c’è tra l’ombra e la luce, che si suddivide in quattro categorie: luce uni-versale (la luce diffusa dal cielo); luce particolare (luce che da una finestra penetra illuminando parzialmente uno spazio chiuso) luce riflessa e luce rifratta. Rispetto alla forma la luce è causa di lustro (riflesso), lume (parte illuminata e chiara), trasparenza e ombra. Ri-

Il chiaro e lo scuro, cioè il lume e le ombre, hanno un mezzo, il quale non si può nominare né chiaro né scuro, ma egualmente partecipante di esso chiaro e scuro; ed è alcuna volta egualmente distante dal chiaro e dallo scuro, ed alcuna volta più vicino all’uno che all’altro.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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spetto allo spazio, la prima cosa che dei colori si perde nella distan-za è il lustro, la seconda è il lume, la terza le ombre principali e per ultimo l’oscurità confusa. Nella pittura, secondo l’artista esistono tre tipi di prospettiva: la prospettiva lineare (relativa alla diminu-zione o rimpicciolimento della grandezza dei corpi con l’aumentare della distanza); la prospettiva di colore (relativa al cambiamento dei colori man mano che si allontanano dall’occhio); la prospettiva di speditione (relativa alla perdita di definizione delle figure, dei ter-mini e dei particolari dei corpi quando si allontanano).

Tutte le proprietà del disegno, come il colore, la posizione, i profili hanno un valore nel contesto solo a seconda dell’importanza che ha l’ombra; l’oscurità infatti può nascondere e avvolgere in sé gli og-getti che si trovano sulla scena. Leonardo infatti non utilizza quasi mai, nei suoi disegni, il colore, per lui la pittura è ombra; l’oscurità ha un potere enorme rispetto la luce, nella rappresentazione il bu-glio può oscurare tutto, mentre la luce non riesce ad illuminare la

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totalità della scena. Il tratteggio, lo sfumato, il retinato e la macchia rappresentano le quattro tecniche principali per la realizzazione di un’ombra in un disegno cartaceo, questo può essere definito allo-ra un repertorio di tecniche di grafia delle ombre. La linea di trat-teggio intesa in questo modo, è un’ottima tecnica per riprodurre il chiaroscuro su un foglio, e sicuramente dà vita a dei risultati molto simili alla realtà; grazie alla variazione della modulazione, della fre-quenza e della pesantezza del tratto è possibile ricreare i gradienti di tessitura studiati da Gibson. Grazie a questi gradienti è possibile riconoscere i vari gradi di inclinazione di un piano, o la sua curva-tura, i margini, la continuità e la sua distanza da un determinato punto. Il tratteggio può essere suddiviso in quattro tipologie:

ALLINEATO E PARALLELO: Tratti più o meno brevi, allineati a varie distanze, paralleli tra di loro e prevalentemente inclinati o trasversali alla direzione assiale delle forme. Questo tipo di modu-lazione riesce a trasformare il segno in un’ampia varietà di grigi, in questo modo luce e ombra riescono a rendere più tridimensionale il disegno, esaltandone i volumi e rendendo tutto con un effetto molto più pittorico. Si possono considerare come esempi storici: Mantegna, Bellini e Pisanello.

INCROCIATO: Una serie di reticoli regolari e sovrapposti, a più strati in diverse direzioni ed orientamenti, consentono, mediante la diversa densità dei tratti, di produrre una ricca e variata scala di valori tonali. Sono molto funzionali per i passaggi dalla luce all’om-bra. I maestri che hanno utilizzato nella storia questa tecnica sono: Rembrandt, Piranesi e Morandi.

SOLIDALE: La distribuzione e la separazione tra le zone illumina-te e quelle buie si attua per mezzo di un tratto lineare e parallelo, che raramente si incrocia, ma spesso in sintonia con la curvatura e l’inclinazione dei piani. Questo tipo di stile, che evidenzia le forme

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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concave (più scure) da quelle convesse (più chiare), svolge anche una funzione plastica delle forme. Alcuni esempi si possono trovare nelle opere di Durer, Goltzius, Michelangelo.

VARIATO: Sono tratti di vari grandezza, forma e direzione, che vengono accostati tra di loro con grande libertà di espressione. Il risultato finale esula un po’ dal canonico significato del chiaroscu-ro, ma fa leva su alcune impressioni e suggestioni che l’autore vuo-le tirar fuori all’osservatore. Alcuni autori che si sono cimentati in questa tecnica sono, Giacometti, Piranesi, Gogh e Tiziano.

Le ombre portate o portanti, lasciado degli spazi più chiari per creare puti

di luce; questi danno risalto a tutta la composizione, rendendo un disegno

piatto, tridimensionale.

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2. LA MANO VS IL COMPUTER: Il disegno progettuale

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2. LA MANO VS IL COMPUTER: Il disegno progettuale

2.1.1 TRADIZIONE E PROGRESSO

Il progettista ha un compito molto importante: deve controllare lo sviluppo del progetto in modo che il risultato finale sia soddisfa-cente per l’utente e per il designer stesso. Solo in questo modo un determinato prodotto, rispondendo a specifiche caratteristiche di mercato, può essere introdotto e commercializzato. Tutto ciò che di artefatto e di virtuale o informatico viene prodotto dall’uomo, quindi, nasconde dietro un progetto definito che mira proprio ad un corretto sviluppo dell’elaborato.

A partire dal 1970 con la “Terza Rivoluzione Industriale” e con il conseguente sviluppo dell’elettronica e dell’informatica, la vita dell’essere umano è cambiata radicalmente sotto molteplici punti di vista (cfr D. Baroni, M. Vitta – 2003). Il cambiamento ha inve-stito anche il ruolo del progettista, sempre più padrone di questi strumenti in grado di svolgere il lavoro con estrema velocità e con un incredibile aumento e variazione degli stili, delle forme e delle creazioni. Il computer e i calcolatori elettronici hanno aperto oriz-zonti e mondi nuovi per la costruzione di artefatti: hanno accor-ciato sempre di più i tempi di sviluppo e di conseguenza quelli di

2.1. LA MANO VS IL COMPUTER

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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fruizione del prodotto, hanno reso estremamente facile l’utilizzo di macchine sempre più complicate da parte dell’utente medio, che con il passare del tempo è diventato sempre più istruito ed esigen-te; e sono diventate lo strumento principale di comunicazione e di scambio tra le persone, in grado di poter condividere concetti, idee, opinioni utilizzando internet.

Quest’ultimo permette inoltre di poter accedere ad un’infinità di informazioni e contenuti utili per molteplici scopi, spostando tut-ta la vecchia comunicazione, lenta e macchinosa, su una struttura di natura molto più fluida ed elastica, capace in sostanza di essere molto più veloce e facile da capire per l’utente. Tutti questi grandi cambiamenti hanno mutato irreversibilmente il modo di lavorare del progettista, che in primo luogo ha dovuto studiare e conoscere a fondo i nuovi strumenti di lavoro, e in secondo li ha adoperati a sostituzione del suo “modus operandi”.

Quest’evoluzione assomiglia sempre di più ad una vera e propria invasione da parte della tecnologia; il progettista si trova ormai cir-condato da questi strumenti che lo rendono sempre più dipendente

I primi calcolatori risalgono agli inizi degli anni settanta.

La Apple inc. fù tra le prime a lanciare sul mercato

il personal computer.

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e passivo nel ruolo della progettazione. Come tutte le rivoluzioni, anche questa ha portato oltre agli effetti positivi già elencati, mol-tissime sfumature negative che tendono ad appiattire il livello fi-nale dell’elaborato in modo quasi irreversibile. L’esempio evidente di questa trasformazione è il rapporto che si è istaurato tra l’esse-re umano ed il computer; una relazione ossessiva e maniacale che ci rende totalmente alienati, proiettandoci con violenza dentro lo schermo lampeggiante.

Il progetto sta andando incontro ad un progressivo e irreversibile appiattimento della resa finale; questo è dovuto alla standardizza-zione dei modelli e dei programmi utilizzati per riprodurre forme, colori, suoni, materia e dimensioni. La tecnologia doveva rendere più agevole e veloce la fase di progettazione di un artefatto, aiutan-do e aprendo nuovi orizzonti al designer. Questo però si trova sem-pre più spersonalizzato, sempre meno attivo, sempre meno creativo nei confronti del suo lavoro; si pone in balia di un pensiero fluido ed elastico, vincolato da un mezzo espressivo rigido, standard ed inattivo. Tutta la manualità, l’abilità della rappresentazione, l’io cre-ativo e la capacità e la tecnica esecutiva tradizionale non esiste più; al posto del tratto e del guizzo espressivo, c’è un ticchettio frenetico di tasti da computer, che realizza un elaborato o un artefatto dalle proprietà fenomeniche simile a tutti gli altri. È proprio la mano che impugna la matita, che utilizza uno strumento adatto alla tradizio-nale rappresentazione, che può essere d’aiuto nella fase di realizza-zione di un progetto.

Non si tratta di demonizzare e massacrare la tecno-logia e le sue estensioni, si tratta di riscoprire delle abilità che in campo progettuale sono fondamentali, perché si sviluppano apposta per dare supporto crea-tivo e tecnico.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Bisogna riscoprire il valore della mano, come primo strumento in grado di tradurre un’idea astratta in una visualizzazione concreta; tramite la mano, che impugna un arnese disegnatore, possiamo re-almente controllare la progettazione e la sua evoluzione. Bisogna trovare il giusto punto d’incontro tra il computer e la mano, rendere questo ponte più accessibile a tutti coloro che realmente vogliono inserire il loro genio creativo in un processo progettuale atto alla re-alizzazione di un artefatto. Prima di capire perché il disegno è dav-vero così importante in questa fase, occorre rilevare cosa c’è dietro il concetto di tradizione e di progresso, solo in questo modo infatti, potremo approfondire la vera missione del progettista nell’evolu-zione del progetto.

Bisogna riscoprire il valore della mano, come primo strumento in

grado di tradurre un’idea astratta in una visualizzazione concreta.

2.1.2 L’IMMAGINAZIONE E LA REALIZZAZIONE

L’essere umano è una creatura in grado di poter costruire utensili ed arnesi capaci di poterlo aiutare, nella vita quotidiana, a superare i vari limiti che la natura gli ha posto di fronte. Nessun’altro essere presente sul pianeta terra, a parte l’uomo stesso ed alcuni esemplari di scimmie, possiede l’abilità di poter costruire degli strumenti uti-li allo sviluppo e alla sopravvivenza della propria specie. Soltanto l’uomo ha affinato queste tecniche, che con il progredire del tem-po, sono diventate sempre più indispensabili ed insostituibili, di-

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venendo spesso una vera e propria estensione dei propri arti (cfr B. Munari – 2006). Il primo strumento, nonché l’esempio più lam-pante, che è stato inventato è la ruota: un’oggetto apparentemente banale, che però ha rivoluzionato la vita dell’uomo delle caverne, e che tutt’ora, avendo subito solo delle piccole modifiche materiali, ha ancora la stessa forma e la stessa funzionalità di allora.

Ma quale è stato il meccanismo che ha fatto nascere nell’essere uma-no l’idea di dover costruire una cosa del genere? Sicuramente, per quanto riguarda la ruota, proviene dal bisogno che aveva di tra-sportare degli oggetti che con le sue gambe non poteva portare. Ma come ha fatto a concepire un’oggetto di quella forma? Qual è stato il meccanismo che ha dato alla luce uno strumento del genere? La risposta a questo quesito è nella maniera più assoluta l’immagi-nazione. Per definizione l’immaginazione è la facoltà di creare nella mente immagini che configurano una realtà possibile o vagheggia-ta o anche prive di ogni senso logico. Quest’abilità, unica nel suo genere, appartiene solo all’uomo, e ci differenzia da tutte le altre creature esistenti sul pianeta; possiamo in effetti dire che è forse l’emblema o la parte più importante dell’essere umano stesso.

Siamo convinti, quindi, di immaginare nella nostra testa tutto ciò che vogliamo, dalla cosa più semplice e lineare, al pensiero più

Per definizione l’immaginazione è la facoltà di creare nella mente im-magini che configurano una realtà

possibile o vagheggiata o anche prive di ogni senso logico.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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estremo e svincolato; abbiamo la facoltà di immaginarci oggetti di qualsiasi forma, dimensione, peso, misura e colore, senza esse-re preoccupati di qualsiasi conseguenza logica. Nella nostra mente qualsiasi cosa è valida, tutte le proprietà e le leggi fisiche che gover-nano il mondo, lì non esistono, ma vengono spazzate dall’esistenza di un flusso o di un’energia che si trasforma in continuazione, dan-do alla luce un’infinità di pensieri.

Questa transizione porta con sé tutte differenze che esistono tra i due mondi, quello mentale e quello reale: il primo come già accen-nato, è un mondo libero da leggi ferree, il secondo è invece gover-nato da strutture che molto spesso ci vincolano. Il progettista deve trovare un metodo che gli permetta di poter controllare questa tra-duzione; un mezzo in grado di poter riassumere la maggior parte delle caratteristiche e delle sfumature presenti nella versione ideale dell’oggetto.

Il vero problema avviene però quando bisogna tra-durre l’immaginazione in una realizzazione, trasfor-mando un’idea in un oggetto concreto e reale.

Idea nella nostra testa

Operazione di traduzione

Elaborato finale

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Il pensiero è fluido, è in fieri e si trasforma con il passare del tempo, è in continuo movimento e si espande in uno spazio/tempo figura-le, il mezzo è invece oppressivo, ha un carattere riduttivo, sottostà a delle leggi fisiche ed è vincolante; i due mondi sono agli opposti ed è arduo compito del progettista trovare un modo per renderli più vicini, un modo che serva a lui per aiutarlo nella rappresentazione delle sue idee. Deve trovare un mezzo in grado di potergli restituire la fedele riproduzione della propria idea, un mezzo capace di essere il più possibile fluido, elastico ed in grado di essere controllato ap-pieno, senza barriere o limiti tecnici.

2.1.3 TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE: Disegno vs Computer

Abbiamo appurato che il ruolo del designer è quello del tradutto-re, sia nei confronti delle esigenze tra l’utente ed il suo prodotto, sia in special modo nel passaggio che avviene tra un’idea astratta e la sua realizzazione materiale. Questa trasposizione deve essere la più fedele possibile, e dare la possibilità al designer di unire i due mondi, quello mentale e quello fisico, e cercare di abbattere le leggi strutturali che governano questi due luoghi. Il designer ha bisogno di un mezzo che non lo vincoli, ma che lo lasci libero di esprime e di rappresentare ciò che ha partorito dalla sua mente.

Esistono tante soluzione per portare a termine questo scopo, ma oggi possiamo dividere le tecniche di rappresentazione in due ti-pologie: il disegno a mano, ed il disegno CAD (Computer Aided Drafting). Con lo svilupparsi delle nuove tecnologie e con il pro-gressivo miglioramento delle capacità di calcolo dei computer mo-derni, il progettista si trova tra le mani un potentissimo strumento in grado di poter rivoluzionare radicalmente il proprio lavoro. I tempi di produzione e di realizzazione di qualsiasi elaborato sono crollati vertiginosamente, ed insieme a questi anche la comunica-

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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zione interna ed esterna ha subito lo stesso trattamento. Questo ri-dimensionamento del tempo non ha giovato però sulla qualità degli elaborati; ha generato invece un aumento del carico di lavoro, che inficia direttamente sul risultato finale del prodotto. Si dedica molto meno tempo allo sviluppo e alla produzione dell’artefatto, mentre il numero di progetti da portare a termine aumenta sempre di più; il designer, quindi, si trova a dover progettare artefatti differenti, avendo a disposizione lo stesso tempo che una volta sarebbe bastato per definirne la metà.

Programmi CAD, utilizzati dagli utenti

per sviluppare con più facilità soluzioni lavo-

rative o di progetto.

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Oltre al fattore temporale, il computer ha portato dei cambiamenti anche sul risultato finale dei vari elaborati, andando ad appiattire sempre di più il livello di diversificazione progettuale. Tutta la ge-stione del progetto ruota, a seconda del campo creativo preso in esame, su una serie di applicativi e programmi informatici identici e presenti su tutti i terminali di lavoro; questi programmi inacces-sibili o quasi per chi non fa parte del mestiere, una volta acquisite le varie competenze, rendono il flusso di lavoro molto veloce e per-formante.

Essendo però dei programmi basati su delle funzioni matematiche e costruiti su una visualizzazione reale e tangibile come il pixel, danno la possibilità a tutti coloro che lo possiedono di generare prodotti finali molto simili, e soprattutto morfologicamente vin-colati dagli stessi programmi. Se la tecnologia per semplificare le operazioni di lavoro riduce tutto l’iter progettuale nell’utilizzo di un programma computerizzato standard ed uguale per tutti gli utenti, anche il risultato finale degli elaborati sarà sicuramente sempre più standard, piatto e semplificato.

Questa povertà progettuale la si può notare nella maggior parte dei lavori contemporanei, e nella differenza che questi hanno con dei vecchi lavori prodotti con le tecniche tradizionali di lavorazione. Prendiamo ad esempio al rivalità commerciale che esiste tra due famosissime bibite, una figlia dell’altra, che tutti noi conosciamo e consumiamo: la Coca-Cola e la Pepsi (cfr Patrizia Rodi – 2010). Queste due aziende hanno politiche di comunicazione molto si-mili, ma su una cosa differiscono categoricamente: il logo. Tutt’e due hanno attuato nella loro lunga storia politiche di branding e di restyling del logo, in sostanza però Coca-Cola è sempre rimasta fedele al suo logo originale, mentre la sua rivale Pepsi, nell’arco del-la sua evoluzione, ha cambiato il suo aspetto moltissime volte, con risultati altalenanti.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Se esaminiamo le due versioni più recenti, ci renderemo conto dell’unicità morfologia di quello di Coca-Cola, disegnato nel 1887 da Frank Robinson, e di come la sua forma calligrafica sia realmen-te il frutto di un lavoro manuale e di vecchia tipografia dell’autore.

Questo logo non ha subìto grandissime modifiche strutturali, se tralasciamo alcuni ammodernamenti e alcune aggiunte di piccoli elementi caratterizzanti e puramente ornamentali, ed è rimasto lo stesso fino ai giorni nostri. Si può tutt’ora apprezzare l’armonia delle forme e delle curve che ne rivelano il nome, come una piccola opera moderna di calligrafia; tutto è perfettamente bilanciato, ma spro-porzionato abbastanza per essere attribuito non ad un calcolatore, o ad un applicativo standard, ma bensì alla mano di un professio-nista.

La Pepsi invece ha agito nel corso della sua evoluzione in maniera completamente opposta al suo rivale storico, ha preferito punta-re sull’innovazione tecnologica e sulle mode stilistiche che si sono susseguite nei vari anni. Il primo logo è stato disegnato nel 1898 e

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Pepsi e Coca-Cola sono le rivali storiche delle bibite gasate. Spesso però l’immagi-nario collettivo, con l’aiuto del web, è riuscito a creare delle fusioni tra i vari loghi, molto divertenti, come nel caso delle due figure.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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rappresenta una scritta in corsivo dai tratti e dalle forme tipicamen-te caratteristici per quel tempo; la disarmonia delle proporzioni è tipica di un elaborato sperimentale, che prova ad entrare nel mon-do del mercato cercando di instaurare un effetto sorpresa nei con-fronti dei consumatori. Questo effetto però con il passare del tempo viene sempre di più a scemare; per questo motivo il logo viene ri-disegnato e nel 1940 la sua morfologia lo rende molto più semplifi-cato delle versioni precedenti. Le successive due rappresentazioni, quella del 1963 e 1973, rendono il logo estremamente semplificato, eliminando la parte di scrittura corsiva, che apparteneva alla ver-sione originale, ed introducendo una font per il logotipo Pepsi, ed un simbolo vettoriale per la parte del tappo.

Da questa versione fino all’ultima contemporanea del 2008 ci ren-diamo conto che il computer è diventato parte integrante del pro-cesso evolutivo, ha manipolato fino alla struttura principale il logo stesso, che modificando la sua essenza si è trasformato in un risul-tato semplice, piatto e spersonalizzato rispetto le versioni iniziali. Questo processo è quindi la prova lampante che la tecnologia ed un suo utilizzo smodato, possa trasformare gli elaborati finali in strutture sempre meno complesse, ma sempre più spersonalizzate e prive di artisticità. Questo appiattimento rende la maggior parte dei lavori simili tra di loro, e toglie al progettista la possibilità di potersi esprimere e di poter interagire con le forme e con i contenuti del proprio elaborato.

Coca-Cola è sempre rimasta fedele al suo logo ori-ginale, mentre la sua rivale Pepsi, nell’arco della sua evoluzione, ha cambiato il suo aspetto moltissime volte, con risultati altalenanti.

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Che cosa si può fare per frenare questo processo di impoverimento? Cosa può fare il designer per far vedere la propria mano nei suoi elaborati? Non esiste, nella realtà, una soluzione esatta che possa mettere tutti d’accordo; il progettista però può riprendersi parte del suo lavoro rimettendo in discussione l’arte del disegno e della rappresentazione tramite carta e matita. Utilizzando questa forma di rappresentazione, il designer ha il pieno controllo delle proprie idee, che vengono prima disegnare per essere poi visualizzate su un supporto reale. Il disegno diventa il miglior mezzo per poter trasportare le idee immaginarie del progettista, su un supporto re-ale cartaceo; questo potrà essere poi consultato e visualizzato per una migliore comprensione del processo progettuale. Il gesto dovrà ritornare ad essere il protagonista principale, dovrà simboleggiare l’unicum per il progettista, il suo io creativo si esprimerà in prima istanza tramite questa tecnica e dovrà conferirgli l’abilità di essere di nuovo padrone della progettazione.

L’artigiano fà della sua manualità la caratteristica fondamentale del suo lavoro.L’abilità e la maestria con cui lavora un oggetto lo contraddistingue dagli altri.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Solo in questo modo il progettista stesso potrà osteggiare questo processo di appiattimento e di impoverimento dei contenuti, cer-cando di integrare sempre di più le abilità manuali nel disegno con la velocità realizzativa del computer e della tecnologia in generale.

Per essere quindi dei bravi progettisti bisogna sforzarsi di impo-stare di nuovo il nostro modo di progettare, cambiare l’iter ed il processo di progettazione e modificare il passaggio finale di rea-lizzazione dell’oggetto. Tutto questo processo deve essere attuato facendo lavorare insieme l’abilità del disegno tradizionale con la ve-locità di realizzazione della tecnologia e del computer. È essenziale una rieducazione alla rappresentazione piana, mirata a valorizzare l’osservazione dei dettagli, per rendere il progettista più attento a veicolare il proprio messaggio nel suo elaborato. Bisogna quindi capire come funziona il processo progettuale per andare ad analiz-zare le fasi principali della progettazione, impostata nello scoprire il vero ruolo del progettista e del significato intrinseco del suo ruolo.

Questo appiattimento rende la maggior parte dei lavori simili tra loro,

e toglie al progettista la possibilità di potersi esprimere e di poter

interagire con le forme e con i contenuti del proprio elaborato.

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2.2.1 PRO-JECTUS

La parola progettare deriva dal latino ed è scomponibile in pro-jectus. Letteralmente significa “gettare o porre in avanti” e sta ad intendere ciò che si ha voglia di fare nell’immediato futuro.

Continuando ad approfondire, è utile fare riferimento più in ge-nerale alla nozione greca di techne, cui corrisponde quella latina di ars: il design è una techne (una ars) che, secondo la definizio-ne aristotelica, “riguarda la produzione, e il cercare con l’abilità e la teoria come possa prodursi qualcuna delle cose che possono sia esserci sia non esserci e di cui il principio è in chi crea e non in ciò che è creato; infatti l’arte (la techne) non riguarda le cose che sono o che si producono necessariamente, né per natura, in quanto queste hanno il loro principio in sé stesse” (Etica Nicomachea, VI, 1140 a). Questo concetto ci indica che questa cosa non si è ancora realizzata, ma che si sta attuando una strategia concreta per poterla rendere reale in un prossimo avvenire.

Non essendoci spazio per fattore caso, l’essere umano tende a valu-tare e a controllare tutte le variabili che sono in gioco per la riuscita e la realizzazione di questo progetto. Precostruiamo delle struttu-re logiche o delle procedure standard che ci permettono di poter realizzare un oggetto virtuale o concreto, e di poterlo replicare in

2.2. IL PROGETTO

È proprio questa stessa strategia a catturare la nostra attenzione, perché ci fa capire che c’è un atto volon-tario di consapevolezza dall’essere umano, che utiliz-zando le sue abilità, prova a compiere questa cosa.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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serie. Queste strutture una volta approvate divengono standard e vengono usate come linee guida alla progettazione, diventando par-te stessa e nucleo pulsante dell’elaborazione tecnica.

2.2.2 IL METODO

Il termine progettazione, che in inglese si identifica con la paro-la design, indica l’attività, promossa dal progettista, che è alla base della realizzazione di qualsiasi oggetto complesso; attraverso lo svi-luppo di un’azione progettuale, si mette in piedi un elaborato vir-tuale o un oggetto reale, che verranno usati quotidianamente nella nostra vita. È un processo che a partire da norme tecniche, calcoli, specifiche e disegni, perviene alla definizione dei dettami, linee gui-da e specifiche necessarie alla produzione e alla realizzazione di un manufatto, un edificio, un componente, un apparato, o in generale di un prodotto o un servizio (per esempio un’abitazione, un pon-te, una strada, una sedia, un’auto veicolo, un software, un sistema elettronico) riassunte all’interno di un progetto. In senso più esteso per progettazione si intende l’insieme delle fasi di pianificazione e programmazione di un insieme di attività che porteranno ad un risultato atteso, il quale potrà essere raggiunto in maniera totale, parziale o anche essere mancato.

In definitiva quindi quasi tutte le attività umane ricorrono, più o meno efficacemente, ad una progettazione cioè a mezzi, strategie e azioni più opportune per raggiungere determinati fini. In genera-le essa è possibile grazie ad un concentrato di conoscenze, azioni, metodologie e strumenti che tendono razionalmente a organizza-re e produrre specifiche per l’esecuzione materiale di manufatti di svariati tipi, dalle grandi strutture (ponti, dighe ecc.) a quelle di medie dimensioni (edifici, piazze ecc.), ai manufatti d’uso comune quali mezzi di trasporto, arredi, utensili, sino alla progettazione di attività economiche e ludiche e quella legata all’informatica e alla

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comunicazione visuale (cfr Wikipedia). La progettazione cambia quindi denominazione e diventa architettonica, urbanistica, design industriale, design degli interni, progettazione ergonomica, design visuale, design della moda. Nasce il bisogno di dover pianificare come agiremo nella realizzazione di un determinato oggetto; il pro-fessionista deve infatti, essere in grado di poter controllare le varie fasi che si presenteranno per lo sviluppo di questo elaborato. Non può agire sperando che il caso e la fortuna lo aiutino in questa rea-lizzazione, ha bisogno di un metodo valido, e già sperimentato, per poter continuare nel suo scopo. Questo porta ad uno studio e ad un consolidamento della metodologia di progettazione che si colloca un gradino prima della progettazione stessa.

La fase progettuale sviluppata durante la lavorazione di un interno architettonico.I progettisti lavorano in team per la stesura di tutto il progetto.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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La prima fase, serve a generare quelle leggi fondamentali, basate sullo stesso metodo scientifico, adatte a poter governare l’iter creati-vo nello sviluppo progettuale. Senza questi punti saldi, il progettista si troverebbe non agevolato nel compiere il suo lavoro, rischiando di commettere errori sulla valutazione finale del progetto.Utilizzando un metodo collaudato e funzionale, il progettista elimi-na completamente i problemi legati alla gestione del tempo, riduce la probabilità di incappare in errori iniziali e riesce a modulare con più facilità le variabili progettuali.

La progettazione viene anche definita un’operazione di sintesi pro-prio perché tende a rendere lineare i processi interni, provando a chiarificare i vari passaggi di informazione e di tecnica utilizzati per lo svolgimento dell’opera. Quest’attività in alcuni casi può procede-re a ritroso, rispetto il suo normale corso di sviluppo; ovvero si fissa generalmente il tipo di sistema da realizzare per soddisfare deter-minate specifiche o servizi e si cercano le soluzioni tecniche, note o innovative, in termini di sottosistemi per soddisfare i requisiti del sistema scelto. Non sono i progetti innovativi a dar vita, quindi, a nuovi macchinari di produzione, ma accade il processo inverso; si utilizzano le nuove tecnologie disponibili per affrontare lo sviluppo di un elaborato in modo da rendere sempre più efficiente e valido

Gestione del tempoadeguata

Realizzazione perfettadel progetto

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il metodo produttivo. In questo modo non c’è una vera e propria innovazione nella parte finale del progetto, ma più tosto un rias-setto alle leggi che governano il mercato produttivo, che tendono sempre a migliorare l’aspetto economico e del profitto a discapito della qualità sensibile del prodotto. Gli elaborati odierni hanno la particolare caratteristica di essere estremamente facili nell’utilizzo per l’utente m edio; si tende quindi a semplificare continuamente le interfacce ed i comandi in modo da instaurare un contatto reale tra quest’ultima e la macchina e generare un rapporto di fiducia e sicu-rezza. Se tutto l’impianto progettuale viene costruito per l’utente, il progettista deve gestire una variabile di problemi che possono esse-re controllati solo con un adeguato metodo di sviluppo. Possiamo dire quindi che più il progettista semplifica un oggetto per l’utente, più i problemi della gestione del tempo e dello sviluppo della pro-gettazione aumentano, rendendo estremamente caotico il percorso d’evoluzione. Per risolvere al meglio questo enorme questione, si decide di suddividere i problemi progettuali in tanti piccoli parti distinte tra loro; si risolvono parte per parte tutte le questioni tecni-che e temporali, e in fine si riuniscono per creare il vero e proprio flusso di progettazione. Questa tecnica viene anche denominata di-vide et impera cioè suddividere l’intera opera di progettazione e le sue fasi in più parti distinte, per agevolare e semplificare l’attività, per poi infine rimontare ciascuna parte nel tutto finale.

La progettazione viene anche definita un’operazione di sintesi

proprio perché tende a rendere lineare i processi interni,

provando achiarificarei vari passaggi di informazione.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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2.2.3 TIPI DI PROGETTAZIONE

La fase progettuale, come abbiamo già accennato in precedenza, è un passaggio obbligato per tutti gli oggetti e gli artefatti virtuali o materiali che vengono prodotti dall’uomo. Ogni oggetto, nel mo-mento in cui viene messo in produzione, porta con sé uno schema ben preciso che ci indica le caratteristiche di produzione, enume-rando informazioni vitali come: il tempo occupato per la messa in opera, il materiale usato, i supporti impiegati, gli strumenti adope-rati e le varie resistenze ad agenti fisici e chimici. Tutte queste infor-mazioni vengono immagazzinate dai vari database utilizzate per lo stoccaggio delle informazioni delle aziende produttrici.

La tecnologia in questo aspetto è il vero valore aggiunto, e contribu-isce a migliorare notevolmente l’archiviazione e la registrazione di queste enormi banche dati. Le tipologie di progettazione vengono divise in tre macro gruppi (cfr Wikipedia), in questo modo possia-mo analizzare e capire il rapporto che esiste tra il computer ed il disegno:

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IL PROGETTO INNOVATORE: Viene considerato tale quel pro-dotto che si inserisce in una fetta di mercato non ancora esistente, andando a modificare spesso le abitudini sociali dell’utente. Lo svi-luppo di questo nuovo prodotto predispone il progettista ad una completa e totale ridefinizione del processo progettuale; essendo infatti un artefatto che nasce dal nulla, la manualità e l’abilità nella rappresentazione tramite la gestualità del disegno, possono essere determinanti per la riuscita di un prodotto differente da altri suoi simili. La tecnologia può dare un sostanzioso contributo proces-suale, d’informazione, d’ingegnerizzazione e di logistica; ma la fase creativa e puramente inventiva dovrebbero essere lasciate a stru-menti meno vincolanti del computer, come carta e matita. La tec-nologia ha un peso inferiore rispetto l’abilità manuale del disegno a mano.

Ipad, Apple, 2010Oggetto nuovo nel mercato dei device portatili

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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IL PROGETTO DI ADATTAMENTO: Questo tipo di progetta-zione si utilizza quando l’oggetto già esiste sul mercato, deve esse-re revisionato per adattarsi ai vari cambiamenti che appartengono alla vita dell’utente. Spesso lo sviluppo di questi elaborati prevede a monte uno studio sui cambiamenti sociali, ed economici che pos-sono essere ben affrontati dal progettista utilizzando la tecnologia e i mezzi digitali a sua disposizione. Anche in questo caso il progetto può diventare migliore della sua versione precedente se il designer decidesse di lavorare sulla morfologia e sulla struttura utilizzando il disegno. Spesso però le modifiche, per problemi di natura tem-porali, ma soprattutto economici, non prevedono una sostanziale trasformazione dell’elaborato. Questo porta quindi ad un risultato finale che spesso differisce dal vecchio per alcune accortezze che non fanno leva però sul vero significato di progettazione. L’utilizzo della tecnologia è equiparata all’abilità manuale del disegno.

Lampadina ad incandescenza è stata riprogettata, per rispettare dei canoni energetici, con la lampadina a risparmio energetico. Lo stesso oggetto con la stessa funzione, rappresentato con due forme differenti.

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IL PROGETTO VARIANTE: Il prodotto in questo caso già esiste sul mercato, ma presenta quella che si può definire una flessione nella parte delle vendite. Questo fenomeno spinge allora le azien-de produttrici ad introdurre un elemento che possa differenziare, o portare dei minimi cambiamenti al prodotto, in modo da risolleva-re la parte economica. Il progettista in questo caso si trova a dover cambiare aspetti marginali e non determinanti del proprio lavoro, come il colore, le finiture, le dimensioni, il peso, ecc. L’abilità ma-nuale e del disegno del progettista spesso non serve in questi casi; la tecnologia riesce a compensare quelle che vengono definite ope-razioni di riparazione del prodotto. L’utilizzo della tecnologia sarà predominante rispetto l’abilità manuale del disegno.

I vecchi cacciaviti avevano il manico in legno. L’avvento e lo sviluppo delle materie plastiche, ha cambiato il modo di progettare questo strumento.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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2.2.4 FASI DI PROGETTAZIONE

Come abbiamo già accennato, la progettazione è un’operazione di traduzione da parte del designer, che cerca di trasformare un’idea immaginaria in un oggetto reale. Questo passaggio è molto deli-cato e richiede la massima attenzione da parte del progettista, che nella trasposizione, tramite le sue abilità, deve riuscire ad essere il più possibile fedele alla visione originale. Può avvalersi di qualsiasi tecnica di rappresentazione, cercando di mediare il più meticolo-samente possibile, la convivenza tra le vecchie tecniche di rappre-sentazione, come il disegno a mano libera, con quelle più tecnolo-gicamente avanzate, come CAD o applicativi simili. Bisogna capire però che la disputa tra le nuove e le vecchie tecniche di rappresenta-zione andrebbe affrontata cercando di studiare in modo cadenzato tutte le fasi di progettazioni, solo in questo modo sarebbe possibile capire in che modo il riutilizzo del disegno a mano libera può ri-tornare un valore aggiunto per la progettazione. Questa è formata da cinque fondamentali punti (cfr Wikipedia), uno attaccato al suo successivo, che si evolvono per trovare la strada esatta nella realiz-zazione di un elaborato; e sono composti da: analisi delle specifiche; studio di fattibilità; progettazione logico-funzionale; dimensiona-mento; testing.

Realizzazione Carta e Matita

Realizzazione Computer

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ANALISI DELLE SPECIFICHE: La prima fase è quella più deli-cata, il progettista deve riuscire a trovare informazioni sul lavoro che deve effettuare svolgendo una prima analisi sul mondo a cui appartiene l’oggetto. Questa ricerca può essere condotta in molti modi differenti tra di loro, si può attuare uno studio specifico su alcune caratteristiche strettamente tecniche o morfologiche dell’og-getto, oppure ricercare elementi simili appartenenti alla stessa clas-se. L’utilizzo della tecnologia ha dato un enorme contributo per la catalogazione e la consultazioni d’immagini, questo ha permesso l’accesso ad un pacchetto d’informazioni enorme, in grado di cam-biare sensibilmente la qualità della ricerca e di velocizzare i tempi di analisi. Il disegno a mano libero non può essere di grande supporto in questa fase e non contribuisce a migliorare la qualità del lavoro da svolgere.

STUDIO DI FATTIBILITà: Questa fase prevede uno studio eco-nomico sulla fattibilità della produzione dell’oggetto. Dopo aver decido e analizzato il mercato con uno studio specifico sul setto-re, si affronta un’analisi dei costi di produzione, cercando di tarare l’oggetto su una fascia di prezzo il più possibile concorrenziale per il mercato. Non si è ancora entrati nella fase vera della progettazio-ne, ancora non esiste l’artefatto nella sua morfologia, esiste soltanto l’atto di voler fare, la volontà di dare vita a qualcosa e il desiderio

Realizzazione Carta e Matita

Realizzazione Computer

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di generare. Anche in questa fase la parte della tecnologia ne fa da padrone, l’analisi del marcato e degli scenari possibili può essere effettuata con grande capacità dai calcolatori e dai vari programmi adatti al settore. Il disegno a mano libera non supporta questa fase con un contributo decisivo; anche in questo caso, non essendo an-cora entrati nella parte creativa della progettazione, questa tecnica non riesce a risolvere questo passaggio.

PROGETTAzIONE LOGICO-FUNzIONALE: Possiamo de-finirla come la sezione principale nella progettazione, in effetti è la parte dove il designer, utilizzando le abilità tecniche unite alla fase di ricerca precedentemente spiegata, decide di operare e di dar vita all’oggetto. In questa fase il progettista si preoccupa di capire come può operare sull’aspetto formale e morfologico dell’elaborato rispettando gli studi e le analisi svolte precedentemente; oltre all’a-spetto logico e del suo sviluppo, il designer si dedica anche alla par-te funzionale dell’oggetto, cercando di assodare la parte puramente meccanica e tecnica. In questa fase c’è la vera e propria operazione di traduzione descritta fino ad ora, è proprio in questo punto che il progettista deve trasformare l’idea immateriale in un oggetto finito e materico. Qui l’utilizzo del disegno a mano libera può essere de-terminante per la caratterizzazione del prodotto, il progettista può controllare meglio il risultato di traduzione ed essere più fedele alla

Realizzazione Carta e Matita

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versione ideale. L’utilizzo della tecnologia è molto importante per la riuscita del prodotto, ma non deve limitare in nessun modo la struttura di progettazione del designer, che deve cercare di essere il più fluido ed elastico possibile ed utilizzare un mezzo di rappresen-tazione che sia in grado di gestire tutti i problemi di una trasposi-zione da un mondo ideale ad un materiale.

DIMENSIONAMENTO: In questa fase il progettista ha già gettato le basi per la stesura dell’oggetto ed ora si appresta a dimensionare tutta la struttura. Per “dimensionamento” non intendiamo solo la parte dove fisicamente il designer decide le misure dell’oggetto, ma è una fase più ampia e con delle sfumature concettuali che servono al progettista per focalizzare e fissare dei punti essenziali del pro-getto. È una fase dove si determinano tutte quelle informazioni fi-siche e si inizia a lavorare sul dettaglio dell’artefatto; si passa da una visione ampia e generale ad una più particolare e precisa. Spesso sono operazioni abbastanza meccaniche, che lasciano pochissimo alla manovra creativa del progettista; in alcuni casi, però, quest’ul-timo si ritrova a dover riprogettare alcuni dettagli, che derivano da una visualizzazione errata nella fase precedente. Le abilità nel disegno a mano libero possono essere di aiuto in questa fase, ma non sono determinanti per la riuscita dell’artefatto; la tecnologia e le sue estensioni possono invece dare un contributo assoluto per il dimensionamento dell’oggetto.

Realizzazione Carta e Matita

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TESTING: Questa fase corrisponde con la parte finale della proget-tazione, l’oggetto è ormai definito nelle sue forme, nella sua funzio-ne e nella sua dimensione. Viene collocato in una fascia di mercato e adesso si appresta per essere testato dall’utente medio, che deve capire senza enorme sforzo mentale il suo utilizzo ed il suo funzio-namento. Questa fase prevede l’utilizzo di alcuni utenti campione che devono capire ed interagire con l’oggetto, cercando da soli di intuire come opera l’artefatto. L’utilizzo del disegno a mano libera in questa situazione è completamente inutile e non apporta nessu-na modifica in quest’ultima fase. Anche il computer e la tecnolo-gia non danno una grossa mano nella risoluzione del compito; in quest’ultima fase i protagonisti assoluti sono l’utente e l’oggetto, e la capacità d’interazione e di comprensione tra i due.

Realizzazione Carta e Matita

Realizzazione Computer

Realizzazione Carta e Matita

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2.3.1 “CERCASI GIOVANE IMPRENDITORE…”

Prima di iniziare a descrive il ruolo del designer e di come si è evo-luto con il passare del tempo, vorrei iniziare con una famosa e al tempo stesso provocatoria inserzione scritta dal noto progettista italiano Enzo Mari; egli prova con poche ma acute parole a descri-vere il grande cambiamento che affliggeva i tecnici di allora, e che tutt’oggi ha ancora molto risalto. Questo annuncio, da lui pubbli-cato a pagamento, è apparso qualche anno fa sulle pagine di una famosa rivista internazionale di design:

2.3 IL PROGETTISTA

PROGETTISTA di grande esperienza e di riconosciu-ta qualità cerca disperatamente GIOVANE IMPREN-DITORE, indipendentemente dall’età, non solo per sé ma anche per consentire un futuro di lavoro dignitoso almeno a qualcuno dei giovani. Si richiedono: il CO-RAGGIO di realizzare progetti strategici quale unica salvezza dalla profonda crisi economica che coinvolge tutti; l’UMILTÀ di non voler progettare anche la for-ma; DI CONOSCERE LA DIFFERENZA: tra design e moda (tra durata ed effimero); tra design, prodotto in-dustriale, arte applicata e karaoke (dal karaoke si pas-sa al Pacinko e quest’ultimo è l’allegoria del Salone del Mobile); tra lavoro alienato e lavoro di trasformazione.

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2.3.2 DOVERI E PIACERI

Il lavoro del designer in Italia spesso viene visto dalla maggior parte delle persone che non fanno parte del settore come una professione priva di serietà, dove lo stesso progettista si diverte a perdere tempo contribuendo a sviluppare parti marginali o estetiche di un proget-to industrializzabile. Spesso si cade nel tranello e si crede che que-sta figura si occupi esclusivamente di ornare o di “vestire” con dei dettagli la struttura di un’oggetto precedentemente ingegnerizzato o semi prodotto da altre figure. La maggior parte degli interventi progettuali sono mirati a sostituire un colore, o ad allargare e rim-picciolire una dimensione, oppure a decidete che tipo di finitura debba avere quel determinato oggetto; tutte decisioni che modifi-cano l’usabilità del prodotto, ma che virtualmente ne cambiano i connotati, “rinfrescandone” solo l’appeal. Se si provasse ad analiz-zare il mestiere del designer ci si renderebbe conto che è un tassello fondamentale per lo sviluppo di un artefatto, senza le sue abilità di progettazione, né la sua capacità di poter affrontare e risolvere pro-blemi di qualsiasi natura tecnica, tutto il progetto probabilmente perderebbe di valore, e si ridurrebbe ad un qualcosa di incompren-sibile e spesso inutilizzabile. Il designer infatti ha il dovere morale e pratico di tradurre i suoi pensieri e le sue idee o intuizioni in un artefatto che soddisfi nel modo più completo possibile le esigenze di un utente medio; funziona come da ponte tra il mondo, spesso chiuso e confuso, del consumatore e quello, più limpido e struttu-rato, della progettazione, dando vita ad un oggetto che non fa altro che sviluppare una mediazione tra questi due sfere distanti.

Per avvalorare tutto questo possiamo parafrasare le parole di uno dei più grandi designer italiani, che ha contribuito a sviluppare nu-merose proposte progettuali, e a cambiare l’assetto ideologico del design in Italia. Enzo Mari ci fornisce la sua definizione di designer. La sua concezione del progettista è legata a dei princìpi di respon-

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Enzo Mari nel suo studio a Milano mentre progetta.Un esempio di pro-gettista nel mondo del design.

“Gioco di incastro 16 Animali” Enzo Mari 1956

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sabilità sociale, prevede una figura produttiva che abbia una visione da proporre, che metta a disposizione se stesso per fornire idee di qualità e prodotti con “contenuti d’onestà progettuale”. Il designer è, secondo Mari, colui che realmente dà origine alla produzione e deve produrre al servizio della società, è colui che funge da tra-mite attivo tra chi materialmente realizza il prodotto (l’artigiano/industriale) e chi poi lo utilizza (la società). Proprio sul concetto di tramite o di ponte che si basa la funzione principale del proget-tista, nonché il suo dovere formale nei confronti del consumatore; quest’ultimo dev’essere visto in chiave di utente, cioè di una persona che ha bisogno di utilizzare uno strumento per migliorare la qua-lità della sua vita. Questo bisogno dev’essere perciò soddisfatto nel miglior modo possibile; l’artefatto deve riuscire ad essere governato e capito senza che chi lo utilizza debba sforzarsi di comprenderne le funzioni principali. “Prima il dovere, poi il piacere”, recitava un famoso proverbio nostrano; spesso però nella progettazione le due cose possono coincidere e rendere la vita lavorativa del designer molto appassionante e coinvolgente. È proprio la passione per que-sto lavoro, percepita spesso quasi come una “missione”, a migliorare i risultati nella parte della costruzione del progetto, e spesso si avva-le di facoltà ed abilità manuali, che contribuiscono con il loro corso a donare felicità a coloro che ne possiedono i segreti. Il disegno e la modellazione manuale sono degli ottimi esempi di passione ap-plicata al dovere; il progettista infatti riesce ad esprimere se stesso e a cosa fondamentale, a controllare il progetto e il suo corso, tra-mite il disegno. In questo caso, perciò, quest’abilità ha una funzione doppia nella vita del designer, da una parta ne migliora la qualità del lavoro, dall’altra invece rende l’intero processo meno pesante. In sintesi il disegno, oltre ad essere importante perché svolge una fun-zione di controllo sul percorso evolutivo del progetto, possiede an-che un lato ludico e creativo che rende il lavoro del designer molto più leggero e appassionante; libero da qualsiasi formalismo sociale legato alla visione del lavoro nella sua accezione tradizionale.

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3. LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO

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3. LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO

3.1.1 DISEGNARE: Magia o realtà?

Disegnare è un processo molto complicato e misterioso, chi pos-siede quest’abilità spesso non sa come sia riuscito a diventarne pa-drone, e non capisce come ha fatto a svilupparla ed affinarla con il tempo. Esistono persone che fino dalla nascita si sono ritrovati con l’abilità di poter rappresentare con carta e matita tutto ciò che ave-vano di fronte; si sono resi conto, inoltre, che potevano rappresen-tare, oltre ai concetti spaziali solidi, anche figure in movimento e di-namiche, in grado di poter restituire a loro stessi e a chi osservava le proprie opere, la magia della vita reale. Alcuni di loro sono in grado di riprodurre minuziosamente e con dovizia di particolari qualsiasi paesaggio, scorcio, panorama e vista che si presenta davanti a loro; sono abilissimi con la maggior parte delle tecniche rappresentative e riescono ad impiegarle a loro piacimento per riprodurre l’oggetto che hanno di fronte. La vera strabiliante operazione è quella d’ani-mare il foglio piatto per plasmarlo in un qualcosa di vivo, di vero e di reale; riescono a trasformare un oggetto a due dimensioni, come la carta, in un qualcosa che sintetizza una tridimensionalità, in ap-

3.1 IL DISEGNO: La capacità di imparare adandare sulla bicicletta

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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parenza fittizia, ma che agli occhi dell’osservatore sembra pura e reale (cfr Betty Edwards – 1979). Il vero problema è che non si ca-pisce come possano sviluppare un’abilità del genere, ma soprattutto: perché alcune persone nascono con questa caratteristica mentre al-tre non sono in grado neanche di impugnare correttamente lo stru-mento di rappresentazione? Perché esiste questa forte discrepan-za tra chi conosce ed utilizza il disegno e chi invece non riesce ad utilizzarlo come strumento di rappresentazione? Apparentemente il disegno sembrerebbe un’abilità quasi magica; solo pochi, rispet-to alla grandezza della popolazione, riescono ad essere padroni di questo strumento, mentre il resto smette di utilizzarlo appena entra nella fase della fanciullezza.

Il disegno in realtà è intimamente legato all’osservazione e alla per-cezione che l’essere umano utilizza per raccogliere informazioni; saper disegnare bene dipende quindi dal saper vedere correttamen-te l’oggetto o il paesaggio che abbiamo difronte i nostri occhi. La persona deve imparare a vedere come vede un artista, e cercare di arricchire la sua vita di particolari e di sfumature che un individuo normale non coglie nel vedere le cose che lo circondano. Per mol-tissimi aspetti imparare a disegnare può essere paragonato all’an-dare in bicicletta: in primo luogo risulta molto difficile spiegarlo a parole, ad una persona che non ne conosce l’utilizzo, ed in secondo luogo l’oggetto di fronte a noi non è di facile comprensione e non risulta intuitivo come può sembrare. Quando vogliamo insegnare a qualcuno come salire in sella ad una bicicletta ed iniziare a peda-lare per muoversi verso lo spazio difronte a noi, semplicemente ci

Che cosa determina quindi il saper disegnare dal non poter utilizzare questa tecnica? Dove si trova il valore aggiunto di quest’abilità?

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saliamo sopra ed iniziamo a pedalare. Solo in questo modo l’ope-razione diventa semplice e a tratti quasi intuitiva. Facciamo infatti leva sull’osservazione e sulla percezione dei movimenti che dob-biamo compiere per riprodurre il gesto fatto da un’altra persona; riproduciamo prima mentalmente e poi fisicamente i movimenti che abbiamo osservato da chi sa già usare l’oggetto.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Anche per il disegno vale lo stesso principio. Molti insegnanti infat-ti esortano il principiante a “guardare le cose in modo nuovo” e ad “imparare a vedere”; ma quando poi si trovano a dover insegnare dal vivo questa tecnica, spesso lo stesso insegnante si spiega così: “Guarda questi esempi e continua a provare: se farai molto eserci-zio, prima o poi, riuscirai”. Eppure la maggior parte delle persone che imparano ad andare in bicicletta, una volta capito il meccani-smo di funzionamento non hanno più bisogno di dover riprodurre le azioni iniziali, memorizzando alla perfezione tutto il processo di esercizio. Mentre tutti però imparano ad andare in bicicletta, la maggior parte della gente non arriva mai a superare le proprie diffi-coltà nel disegnare; per essere più precisi, non riescono ad imparare a vedere sufficientemente bene per poter disegnare decentemente. Poiché sono poche le persone in grado di saper disegnare e di os-servare le cose intorno a loro correttamente, la restante parte della popolazione che non possiede quest’abilità crede che sia il risultato di un enorme talento naturale.

A molti di loro il processo del disegno appare misterioso e com-plicato, come se trascendesse dalla comprensione umana, come se fosse un dono divino per pochissimi eletti. Gli stessi artisti fanno pochissimo per dissipare questa aurea magica intorno a loro. Spes-so quando gli si chiede come fanno a realizzare volti umani, pae-saggi naturali o oggetti artificiali in una maniera così dettagliata che quasi sembrano uscire dal foglio, loro rispondono di non sapere in effetti come facciano. Entrano in una fase particolare che gli per-mette di poter eseguire il proprio lavoro di rappresentazione, senza però rendersi conto del tempo che passa, o delle singole azioni che fanno per disegnare; è una sorta di fase semi-catatonica, dove sono coscienti di cosa stanno facendo, ma non si rendono conto del tra-scorrere del tempo. Oppure rispondono con frasi del genere: “Non lo so; io mi metto a disegnare, poi le cose vengono da sé, man mano che procedono.”, oppure: “Mi limito a guardare la persona o il pae-

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saggio e a disegnare ciò che vedo”.Quest’ultima frase può anche sembrare sensata per la spiegazione di questo processo, in realtà però non rende chiaro come l’artista ri-esce a realizzare la sua opera. Tutti noi guardiamo le cose che ci cir-condano, ma solo alcuni riescono a percepire delle sfumature che riutilizzano per le loro creazioni. Esiste allora un modo per poter vedere come osservano gli artisti? Si può a tutti gli effetti imparare la tecnica del disegno a mano libera per rappresentare ciò che ve-diamo?

“Non lo so; io mi metto a disegnare, poi le cose vengono da sé, man mano che procedono.”, oppure: “Mi limito a guardare la persona o il paesaggio e a

disegnare ciò che vedo.”

3.1.2 IMPARARE A DISEGNARE: coordinazione edosservazione

Continuando il nostro viaggio verso le abilità del disegno a mano libera ci renderemo conto di quanto sia possibile acquistare questa capacità di rappresentazione da parte di qualsiasi persona normale e con una discreta coordinazione oculo-manuale. Tutti noi posse-diamo un rapporto tra la funzione visiva, utilizzando come organi umani gli occhi, e la funzione motoria, che sfrutta le estensioni del nostro corpo come braccia e gambe, che ci permette di poter in-

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teragire con altre forme di vita e con gli oggetti che ci circondano nel nostro quotidiano. La maggior parte di noi è quindi in gradi di poter afferrare una palla al volo, o di poter infilare un filo in una cruna di un ago; tutte queste operazioni, e molte altre simili, deter-minano un corretto rapporto tra l’occhio e la mano ed una giusta coordinazione. Contrariamente a quanto si pensa di solito, l’abilità manuale non è un fattore primario nel disegno, basterebbe per l’ap-punto, una coordinazione base oculo-manuale per poter muovere correttamente la matita lungo il foglio e tracciare dei movimenti corretti. Se si riesce a scrivere in stampatello ed avere una calligrafia leggibile, avete tutte le caratteristiche per poter utilizzare le vostre abilità oculo-manuali a servizio del disegno (cfr Betty Edwards – 1979).

La coordinazione oculo-manuale nei bambini piccoli è molto sviluppata. Con il tempo alcuni di noi tendono a dimenticare quest’abilità.

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Appurata l’importanza della manualità per questo processo, ci dobbiamo soffermare sulla vera e propria abilità necessaria per l’apprendimento ed il funzionamento del disegno a mano libera: l’osservazione. Imparare a disegnare è molto di più che acquisire una tecnica particolare; bisogna imparare a vedere le cose in un modo che appartiene allo sguardo dell’artista, che capta e registra delle informazioni agli altri impercettibili, e le rielabora in dettagli di rappresentazione. È un tipo di elaborazione differente da quello comune, sembra richiedere un utilizzo del cervello differente dalle operazioni che effettuiamo quotidianamente; sfrutta delle compe-tenze specifiche del nostro cerebro che spesso vengono spente o deviate in altre soluzioni.

Capiremo come il cervello elabora le informazioni che registra, e come le organizza e le cataloga a seconda di alcune sovrastrutture; impareremo a governarli e a deviarli in altri e più consoni meccani-smi adatti alla rappresentazione e al disegno.

Come abbiamo già appurato, il magico mistero che circonda chi effettivamente è in grado di disegnare, sembra essere riconducibile ad una differente modalità visivo-percettivo, che le persone comuni

Grazie alle più recenti ricerche scientifiche siamo in grado di capire come il cervello opera e quali aree in-teragiscono e lavorano nel momento in cui ci muo-viamo o compiamo delle operazioni particolari. In questo modo siamo anche in gradi di capire cosa suc-cede quando una persona inizia a disegnare e quali aree del cervello si accendono nel momento in cui compiamo quest’azione.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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non possiedono, o non sono in grado di utilizzare. Quando si ve-dono le cose in quel modo particolare in cui le vede l’artista, allora si sa disegnare. Questo però non deve sminuire le abilità dei grandi disegnatori ed artisti del passato come Leonardo Da Vinci, Picasso, Rembrandt o Monet, che riuscivano con le loro opere a suscitare nelle menti degli spettatori un sentimento di stupore e di piacere derivato proprio dall’osservazione. Le ricerche scientifiche indiriz-zate sulla scoperta delle aree del cervello, dimostrano e avvalorano ancora di più l’unicità del talento di questi maestri dell’arte; la tec-nica e la capacità di vedere oltre l’oggetto sono frutto di meccanismi ancora sconosciuti agli studiosi. Gli stessi luminari però assicurano che la capacità di disegnare a un livello base di rappresentazione, è accessibile a tutti, e chiunque può compiere il salto per appren-dere quest’abilità e usarla a suo piacimento, cercando di acquisire l’occhio dell’artista. Il vero problema come già accennato, è il me-todo con cui vediamo e percepiamo le cose intorno a noi; l’occhio umano dovrebbe passare da un tipo di vista ad un’altra differente perché utilizza un livello di lettura molto più dettagliato. Bisogna entrare in contatto con queste due realtà: da una parte trovare la funzione visivo-percettiva atta a scovare una volontà cosciente, dall’altra dobbiamo imparare a vedere le cose in modo differente; solo unendo questi due concetti l’abilità del disegno può diventare accessibile a tutti coloro che ne desiderano imparare i misteri. Il riferimento allo sguardo dell’artista spesso non riesce ad essere co-dificato per le persone normali, la sua concentrazione altera lo stato di attenzione, e lo trasporta in un limbo dove perde la cognizione del tempo e dello spazio, dove mescola i suoi cinque sensi per farli fluire nella realizzazione del disegno. In questo particolare stato, l’artista si sente trasportato dalle emozioni che l’opera genera in lui, diventa un tutt’uno con il proprio disegno, e non si accorge di tutto ciò che gli accade intorno; vive uno stato di trance cosciente che gli permette di essere efficiente nella realizzazione del suo proget-to. Questo sentirsi trasportati, questo stato di coscienza alterato è

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Questo manuale scritto da Betty Edwards, descrive i processi di apprendimento per imparare a padroneggiare la tecnica del disegno. Tramite esercizi e approfondimen-ti, aiuta il lettore ad imparare a disegnare.

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interpretato come una fase comunemente essenziale per gli arti-sti che operano nell’arte, come la scultura, la pittura ed il disegno. Spesso entriamo in questa particolare fase mentre compiamo delle azioni normali, come quando facciamo jogging, cuciamo, battia-mo a macchina e ascoltiamo la musica. In particolar modo pro-duciamo questo effetto anche quando guidiamo per lunghi o medi tratti; l’azione del condurre una macchina in giro per le strade è, in effetti, un’operazione che produce delle immagini a ripetizione difronte ad uno schermo, il parabrezza dell’utilitaria. Emulando e rievocando queste sensazioni diviene possibile entrare in contatto con una parte del nostro cervello che spesso non viene utilizzata; bisogna quindi creare le condizioni favorevoli per il nostro cervel-lo, per elaborare informazioni sotto un altro aspetto, rintracciando porzioni e sfumature di concetti che prima venivano ignorati dalla nostra mente(cfr Betty Edwards – 1979). Questo processo diverrà possibile tramite un lieve stato di alterazione mentale derivato da un’attività che tende a rilassarci e a liberare il nostro stato creati-vo; sfruttando in seguito questo passaggio, la persona sarà in grado di poter controllare coscientemente questa fase, in modo da poter uscirne ed entrarne a piacimento al fine di determinare al meglio la propria opera artistica.

La sua concentrazione altera lo stato di attenzione, e lo trasporta in un lim-

bo dove perde la cognizione del tem-po e dello spazio, dove mescola i suoi

cinque sensi per farli fluire nellarealizzazione del disegno.

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3.1.3 L’IO CREATIVO

Parafrasando uno dei massimi esponenti della pittura rinascimen-tale tedesca, Albrecht Dürer:

possiamo capire dove si nasconde il significato della parola creati-vità. Quando l’artista parla di “tesoro segretamente accumulato nel proprio cuore” cerca di farci capire quanto le esperienze quotidiane, in tutte le loro estensioni e forme, siano fondamentali come serba-toio per la funzione creativa; siamo in grado di poter immagazzina-re tantissime immagini, che ogni giorno troviamo di fronte i nostri occhi, e ce ne serviamo per poter comporre ragionamenti, idee e visualizzazioni nella nostra testa. Bisogna imparare ad osservare queste immagini in modo totalmente differente e approcciarsi agli oggetti e ai paesaggi che osserviamo con occhi differenti.

Per capire come si riesce realmente ad imparare a disegnare utiliz-zeremo alcuni esercizi presenti nel libro Il nuovo disegnare con la parte destra del cervello scritto dalla studiosa Betty Edwards, che con i suoi studi decennali è riuscita a stabilire un percorso formati-vo che restituisce, a chi ne ha il desiderio, di imparare a padroneg-giare l’arte della rappresentazione con la carta e la matita. Questi esercizi sono mirati a sviluppare il proprio io creativo attraverso l’osservazione e il ragionamento, svincolato dai canoni quotidiani, che il nostro cervello usa per scandagliare informazioni ogni gior-no. Impareremo a ragionare e a vedere le cose con occhio diverso; il cervello dovrà utilizzare un modo differente di analizzare le cose che ci permetta di essere i più inventivi possibili nella realizzazione

Così, il tesoro segretamente accumulato nel proprio cuore diviene manifesto attraverso il lavoro creativo,

IL DISEGNO NEL PROGETTO

109

delle opere cui dedichiamo il nostro tempo. Il libro afferma che l’io creativo è già presente in tutti noi, ma che purtroppo per ragio-ni derivanti dalla crescita e dal tipo d’istruzione che riceviamo da bambini, è trascurata. La maggior parte di noi atrofizza la parte del cervello dedicata al disegno, dedicandosi ad una comunicazione standard che non lascia spazio alla propria interpretazione, ma si sforza di rimanere stringata e piatta per un passaggio di informa-zioni più veloce.

“Head of a Stag,” Albrecht Dürer: c. 1503

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La prima fase per familiarizzare con il disegno ed imparare a pa-droneggiare questa tecnica di rappresentazione, è sicuramente il ritratto di un volto o di un busto umano. Di solito il soggetto non padrone della tecnica crede che il ritratto di un volto umano sia una delle cose più complicate nel disegno; in realtà tutti i sogget-ti si equivalgono e hanno lo stesso peso nella rappresentazione: la natura morta, il paesaggio ed il disegno di una figura semplice han-no tutti lo stesso grado di difficoltà. Facendo svolgere, invece, un esercizio su un volto umano, lo studente capirà di essere in grado di poter affrontare la sfida e prendendo fiducia in se stesso riuscirà ad arrivare a completare l’esercitazione, accrescendo sempre di più l’abilità nel disegnare.

Disegni prima e dopo il corso con l’autrice del

libro: Betty Edwards.Gli alunni dimostrano grandi miglioramenti

nel lavoro.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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3.1.4 ESERCIZIO N.1: Il ritratto

Di seguito riporteremo l’esercitazione descritta nel libro di Betty Edwards Il nuovo disegnare con la parte destra del cervello, dove cercheremo di fornire una serie di esempi e di punti per disegnare un ritratto. Seguendo queste fasi, e utilizzando i materiali e gli stru-menti adatti, riusciremo ad affrontare l’evoluzione di questo per-corso, imparando a capire quali limiti si possono superare e quali scogli rimangono invece apparentemente invalicabili.

I MATERIALI:

- Un foglio di plastica trasparente di cm 20x25 circa dello spessoredi 1,5 mm. Usare un pennarello indelebile per tracciare due linee incrociate, una orizzontale e una verticale che si incontrano al centro del rettangolo

- Due “mirini” fatti con cartone nero di cm 20x25 circa. Da unritagliate un’apertura rettangolare di cm 11x13 e dall’altro uno più grande di cm 15x19 cm

- Un pennarello nero stemperabile con la punta in feltro- Due clip per fissare i mirini al foglio di plastica- Uno stick di grafite n. 4B- Nastro coprente- Un temperamatite- Una gomma di platica

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COSA OCCORRE:

- Fogli di carta bianca- La matita n.2- Il temperamatite- Nastro coprente- Uno specchietto di cm 13x18 circa, da appendere al muro- Una tavoletta da disegno

COSA FARE: Eseguite tre disegni: autoritratto, una persona ritratta a memoria e la propria mano. Disegnare i tre lavori con un ora e mezza di tempo senza essere interrotti. Sedersi ad un tavolo con la distanza esatta tra la mano ed il foglio, ed iniziare a tracciare le li-nee di contorno che si vedono nel ritratto. Di seguito alcune coppie di esempi di ritratti fatti da alcuni alunni appartenenti alla classe della studiosa Betty Edwards; questi disegni vogliono mostrare la differenza di dettaglio che intercorre tra la prima versione e quella più recente.

TEMPO:

1:30”

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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CONCLUSIONI: Le due versioni della stessa persona ritratta sono molto differenti e denotano uno sbalorditivo miglioramento delle prestazioni dell’alunno che le ha eseguite. È normale pensare che il notevole allenamento abbia contributo ad accrescere le sue capaci-tà, ma va detto che la svolta nella realizzazione è stata l’applicazione di un tipo di vista differente da quella quotidiana. Nel capitolo se-guente andremo a capire che operazione compie il cervello umano, quando deve codificare delle immagini e trasformarle in linee, con-torni, sfumature e spazi; andremo alla scoperta dei meccanismi che servono per inibire la parte della nostra mente che ci impedisce di vedere le cose con una sfumatura artistica.

Immagine diBetty Edwards.

Ritratto da eseguire come esercizio

proposto nel manuale

114

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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La testimonianza che dopo il corso si è in grado di patroneggiare la tecnica del disegno a mano libera.

Gli allievi del corso sul disegno di Betty Edward.

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3.2.1 IL CERVELLO UMANO

Il cervello è l’organo più complesso che l’essere umano possiede. Si trova nel sistema nervoso centrale, è presente nella maggior parte degli esseri viventi in forme e dimensioni che differiscono tra di loro; ma in tutti i vertebrati e in tutti gli animali ha una confor-mazione simmetrica bilaterale. Negli esseri umani è posizionato sull’asse centrale dell’estremità superiore del nostro corpo, nel ne-vrasse, all’interno della scatola cranica. Tutto l’apparato organico viene definito encefalo e si occupa insieme al sistema endocrino di sviluppare e regolare le funzioni vitali del nostro organismo. È il centro nevralgico delle nostre azioni, ed è anche l’organo, dove risiedono i nostri pensieri e le nostre emozioni, e dove prendono forma le idee che elaboriamo per comunicare con altri esseri uma-ni, o semplicemente per esprimere noi stessi (cfr Wikipedia).

3.2 IL CERVELLO: La parte destra e la sinistra

“Anatomy of the Brain,” Charles Bell: c. 1802

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Le sue funzioni sono molteplici, ma in sintesi serve per regolare tutte le nostre funzioni vitali: dal più piccolo ed impercettibile spo-stamento, fino al più complicato ed integrato movimento che l’in-sieme dei nostri arti riesce a compiere, tramite il movimento dei muscoli coinvolti. Gli scienziati si sono sempre cimentati nello stu-dio del cervello, proprio perché è l’organo più complicato dell’essere umano, scoprendo tantissime funzioni nascoste o apparentemente “dormienti”; gli stessi studiosi, dopo numerose ricerche sono arri-vati alla conclusione che:

l’individuo medio utilizza soltanto dall’8 all’11 per cento del suo potenziale, e che le capacità di calcolo e di esecuzione di quest’organo sono di gran lunga su-periori all’attuale suo utilizzo.

Cervello umano, con corteccia celebrale.E’ l’organo che regola tutti i nostri movimenti i nostri pensieri.

118

Possiamo solo immaginare quali porte potrebbero essere aperte se potessimo usare anche solo la metà del totale potere di calcolo di quest’organo, chissà quale potere creativo si sprigionerebbe da così tanta abbondanza d’energia.

Rimaniamo tuttora stupiti da moltissime nostre scelte, nella vita quotidiana, che ci permettono di prendere decisioni a volte impen-sabili; ci affidiamo al sesto senso cercando di attribuire a chissà qua-le potere ultraterreno le nostre percezioni più umane, o più natura-li, ma non ci rendiamo conto che questa facoltà deriva dal cervello e dai suoi poteri smisurati ed ancora fuori controllo.Prendiamo ad esempio il riconoscimento dei volti umani, una del-le abilità che riesce a farci ricordare con chi abbiamo o dobbiamo comunicare, ma soprattutto come sono fatti i nostri interlocutori, e che aspetto possiedono, in modo da potergli affibbiare un nome, o un’informazione che renda più facile il processo comunicativo tra i due individui. Quest’abilità è così straordinaria che i migliori e più potenti calcolatori recenti non riescono a portare a termine il lavoro di comparazione e di riconoscimento automatico dei vol-ti; hanno la capacità di poter calcolare infinite variabili, una volta impostata la struttura manualmente da un utente specializzato, ma non possono emulare il paragone che l’essere umano compie tra due individui per il riconoscimento fisionomico. Eppure i nostri volti sono sostanzialmente tutti molto simili tra di loro, tutti posse-diamo: due occhi, una bocca, un naso, dei capelli, e delle orecchie disposte nelle stesse posizioni e rapportati tra di loro alla stessa di-stanza. Riuscire a riconoscere un volto ha dell’incredibile, perché, come già specificato, neanche le più potenti macchine moderne ri-escono a compiere questo lavoro autonomamente; eppure tutti noi siamo perfettamente in grado di capire chi ci sta di fronte e soprat-tutto se ha dei caratteri simili o differenti da un’altra persona.Questa capacità è così sorprendente che in un recente esperimento scientifico, ai partecipanti, sono state mostrate sei foto di madri con

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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i corrispettivi loro sei figli, sistemate a caso in gruppo; è stato chiesto di abbinare correttamente le coppie in modo da ricreare i rapporti corretti tra la madre ed il proprio figlio. Più della metà dei parte-cipanti è riuscita a ricollegare correttamente la madre alla propria prole, utilizzando soltanto dei rapporti di proporzioni derivati dalla similitudine dei due volti. Utilizzando quindi semplici somiglianze di contorni del viso, di posizione degli occhi o grandezza della testa e colore dei capelli, sono riuscite a collegare e a ricomporre le cop-pie. Questa straordinaria abilità appartiene esclusivamente all’esse-

Rapporti antropometrici per il riconoscimento facciale di un individuo.

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re umano, ed insieme a tantissime altre caratteristiche ci permette di poter essere contraddistinti da tutti gli altri esseri viventi presenti sul pianeta terra. Anche l’abilità del disegno è esclusiva dell’uomo, e nessun essere vivente riesce a riprodurre e a dare vita a realizzazioni di questa levatura e finezza artistica; alcuni animali si cimentano a rappresentare con i loro arti delle figure, ma spesso il risultato è talmente divergente dalle opere prodotte dall’uomo che possono benissimo essere considerate più come tracce che come vere e pro-prie rappresentazioni di paesaggi o di oggetti.

3.2.2 I DUE EMISFERI DEL CERVELLO

Il cervello ha una dimensione che si può tranquillamente appros-simare ad una calotta sferica con una protuberanza sull’estremità bassa della figura. Si presenta come una grossa noce costituita da due grossi volumi speculari sull’asse centrale, arrotondati e ricchi di circonvoluzioni, uniti tra loro al centro. Vengono definiti “emisfero sinistro” ed “emisfero destro”; il primo controlla la parte destra del nostro corpo, il secondo viceversa. Controllano la porzione inversa del corpo rispetto a dove sono posti nella calotta cranica; se una persona riceve una forte lesione alla parte destra della testa, per esempio, può rischiare di rimanere paralizzato o di perdere delle abilità motorie nella parte sinistra del corpo. Anche le mani vengo-no regolate sullo stesso principio, se siamo mancini la parte destra del cervello sarà molto più sviluppata della sua antagonista, men-tre se siamo destrimani la parte predominante è la sinistra. Nessun essere vivente del pianeta terra possiede quest’abilita, tralasciando alcuni uccelli, le scimmie più grandi e qualche altro mammifero, solo gli esseri umani hanno questo sbilanciamento nelle dimensio-ni delle due porzioni degli emisferi del cervello.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

121

Questa differenza di forma è per l’appunto presente nella differenza che esiste tra gli esseri umani destrimani o mancini; nessun altro essere, infatti, possiede questa predominanza di un arto rispetto all’altro(cfr Betty Edwards – 1979).

La sezione del cervello ci mostra la suddivisione

interna dell’organo umano.

La funzione invertita del cervello:la parte destra governa la sinistra,

e viceversa.

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3.2.3 EMISFERI: Destro, sinistro o tutti e due

Avendo appurato il funzionamento base del cervello umano, e la sua suddivisione in emisferi, destro e sinistro, ci rendiamo conto che per imparare a padroneggiare la tecnica del disegno la persona deve addestrarsi a guardare le cose in modo differente; deve riu-scire ad acquistare un tipo di vista, quella artistica per l’appunto, che gli permetta di poter effettuare questo passaggio. Purtroppo però questo meccanismo non può bastare per poter padroneggiare la tecnica in questione. Fin da bambini, infatti, siamo stati abitua-ti a pensare e a riflettere secondo alcuni schemi logici prestabiliti, un tipo di istruzione basato su concetti numerico e verbali con-sequenziali che prevedevano lo sviluppo dell’emisfero sinistro del cervello. Tutta la nostra istruzione è fondata su questi concetti che hanno dato modo all’emisfero destro, quello più creativo e adatto per lo sviluppo dell’arte del disegno, di non poter diventare il pro-tagonista nel quotidiano modo di ragionare; il lato sinistro ha preso il sopravvento e proprio per questo motivo la maggior parte delle persone non riesce a padroneggiare il disegno a mano libera. L’emi-sfero destro può essere definito, metaforicamente parlando, come la parte “mancina” del cervello umano; egli non riesce ad operare nel modo tradizionale che noi conosciamo, non è capace di passare da un punto “A” ad un punto “B”, applicando quella che viene definita: logica consequenziale.

A B CLogica consequenziale: il cervello applica dei ragionamenti che passano da un punto “A” ad un punto”B”, e dal punto”B” al punto “C”, e via di seguito.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Non possiede la capacità di classificare e di dare nomi agli oggetti che vede, ma si limita ad ammirare le cose che gli appaiono di fron-te, semplicemente comparando la maestosità della loro complessi-tà; in sostanza non è in grado di estrarre dettagli e aspetti salienti da poter analizzare in un secondo momento.

Per tutto questo tempo, e ancora oggi, la struttura scolastica è stata improntata sullo sviluppo progressivo della parte sinistra del cer-vello; anche se la maggior parte degli educatori premia i ragazzi creativi e che utilizzano l’intuitività per risolvere alcuni problemi complessi. L’insegnamento avviene per fasi e ha un andamento graduale che si sviluppa in progressione alla crescita dell’alunno; quest’ultimo deve assimilare, a seconda della classe di appartenenza ed in riferimento all’anno in cui è nato, le nozioni necessarie per poter avanzare di classe. Questo presuppone che ogni individuo sviluppi le stesse capacità d’apprendimento di un altro suo coeta-neo, nello stesso arco di tempo prestabilito; l’avanzamento e l’ap-prendimento delle informazioni progrediranno in modo standard e allo stesso livello per tutti gli alunni, in modo da uniformare l’in-tera classe. Le materie principali appartengono alla sfera verbale e a quella numerica come la lettura, la scrittura e l’aritmetica; il sistema di giudizi e di voti è stato studiato in modo che l’insegnante esami-ni i lavori eseguiti e gli attribuisca un punteggio numerico che ne classifichi la qualità.Tutta questa enorme struttura che sta in piedi da moltissimo tempo e che forgia le menti future, spesso non funziona correttamente e non riesce a generare dei cervelli brillanti e creativi, ma rischia di

Il tipo di operazione che compie questa parte del cervello è molto differente dalle logiche numeriche, spesso parte da un punto a caso, o da un dettaglio apparentemente insignificante, o addirittura dal tutto.

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dare vita a tanti calcolatori automatici, pronti a ragionare con la parte del cervello sbagliata. La parte creativa, sognatrice ed artefice, viene spesso trascurata nella struttura educazionale, e non si cerca in alcun modo di modificare il sistema scolastico e d’incentrarlo di più su quest’aspetto, che spesso viene ricercato negli alunni dagli insegnati stessi.

“Pensiero laterale”Machary

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Loro sono i primi, infatti, a promuovere le capacità intuitive e crea-tive dello studente, e lo spronano a trovare soluzioni e strade alter-native a quelle insegnate nella scuola, ma sono poi gli stessi che non impartiscono lezioni o non danno suggerimenti su quest’aspetto e su quanto sia importante sviluppare il pensiero laterale o creativo. La scienziata Jerre Levy, parlando del tipo d’istruzione che esiste negli Usa, ha definito l’università statunitense in grado di poter di-struggere completamente la parte creativa ed inventiva (l’emisfero destro) a favore della parte più razionale e strutturale (l’emisfero sinistro). Di certo il disegno può essere un ottimo strumento per imparare a capire come funziona quella parte del cervello ancora nascosto dall’ingombro del suo antagonista; può essere un mezzo sicuro ed efficacie per accedere alla funzioni dell’emisfero destro. È chiaro che non si può utilizzare solo un emisfero ed escludere l’altro, destro o sinistro che sia; è scientificamente provato che l’uso bilaterale delle funzioni non può che aumentare le capacità mentali di un individuo ed elevarlo ad un grado di conoscenza e ragiona-mento superiore a colore che non attuano questo passo.

La scienziata Jerre Levy, parlando del tipo d’istruzione che esiste negli Usa,

ha definito l’università statunitense in grado di poter distruggere

completamente la parte creativa ed inventiva (l’emisfero destro) a favore della parte più razionale e strutturale

(l’emisfero sinistro).

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IL DISEGNO NEL PROGETTO

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3.2.4 DALLA FUNZIONE “S” ALLA FUNZIONE “D”:Come creare il varco

La situazione del cervello e di come funzionano i due scomparti-menti ci restituiscono un’idea chiara sull’apprendimento dei pro-cessi creativi. Ciò che però non risulta ancora chiaro è come sia possibile passare dalla sfera sinistra del cervello a quella destra, in modo da poter sviluppare la creatività ed il cosiddetto pensiero la-terale. Sul libro Il nuovo disegnare con la parte destra del cervello vengono proposti alcuni esercizi molto interessanti mirati a svela-re il passaggio che intercorre tra l’emisfero sinistro e quello destro; utilizzando queste esercitazioni basate sul disegno a mano libera e sulla rappresentazione mediante questa tecnica di oggetti visivi disposti nello spazio intorno a noi, saremo in grado di dominare la parte sinistra del cervello, per sviluppare quella opposta(cfr Betty Edwards – 1979).In natura è lo stesso cervello che decide quale emisfero far interagi-re rispetto a un problema; questa decisione promuove a protagoni-sta una porzione, mentre rende sopita la sua opposta.

La scienza, che in queste occasioni prova sempre a dare un suo con-tributo neutrale e tecnico, ci dice che in realtà il controllo viene

Come facciamo però a capire quale dei due sia più capace ad affrontare il problema? Quali sono le con-dizioni che rendono questo processo esatto? Come possiamo controllare a chi affidare, fra i due emisferi, il problema da risolvere?

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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assunto dall’emisfero che più rapidamente riesce a prendere il so-pravvento impadronendosi del compito da svolgere. Può succedere però, che l’emisfero più “motivato” a portare a termine il processo, ne diventi a tutti gli effetti il controllore, proprio perché possiede le caratteristiche necessarie per svolgere il lavoro senza interruzioni ed incertezze. Se in effetti l’abilità del disegnare appartiene all’emi-sfero destro, dobbiamo cercare di eliminare dal processo cognitivo l’emisfero sinistro, che tende a classificare le informazioni usando parole e numeri (ossia, in termini semiotici, simboli e non icone, deduzioni e non abduzioni). I problemi che nascono nell’impos-sibilità di riuscire a governare la tecnica del disegno sono generati dalla velocità di acquisizione delle questioni da parte dell’emisfero sinistro, che oltre ad essere rapido è a tutti gli effetti, per istruzione infusa durante il periodo della giovinezza, la porzione dominante del nostro cervello.La parte sinistra ha interesse nel classificare le cose che vediamo, e di conferirgli un’etichetta in grado di poter raggruppare in classi e ordinare tutto ciò che viene a contatto con i nostri occhi e tramite in nostri cinque sensi; in più, essendo la parte dominante del nostro cervello, tende a svolgere anche i compiti che meno si ritagliano per il suo ruolo, interpretando attraverso parole, simboli e lettere operazioni che dovrebbero essere trattare con differenti strumenti o schemi. Alla parte sinistra piace comandare e condurre le operazio-ni di acquisizioni di informazioni, a discapito del suo opposto emi-sfero, che spesso preferisce rimanere silente; solo quando ci vuole troppo tempo per un’operazione, o troppa minuzia nei particolari, l’emisfero sinistro concede a quello destro di poter operare in pace senza che il primo intervenga sul lavoro del secondo. Bisogna allora utilizzare delle tecniche che costringano la parte sinistra a rimanere inerme e a far agire la sua antagonista, in modo da mettere in moto un processo creativo adatto ad imparare a disegnare e a rappresen-tare, tramite carta e matite, le forme e gli oggetti che desideriamo.

130

3.3.1 ESERCIZIO: VASI E PROFILI

Risulta molto difficile provare a spiegare, con delle parole o delle supposizioni, in cosa consiste il passaggio dall’emisfero indipen-dente sinistro a quello subordinato destro, risulterebbe tutto mol-to chiaro ed efficacie se venisse sperimentato direttamente con le proprie mani, disegnando ed esercitandosi con particolari elabo-razioni. Questi esercizi, presi dal testo Il nuovo disegnare con la parte destra del cervello serviranno come esempio per chi vuole cimentarsi nella sperimentazione pratica, ma anche come spunto di riflessione e per capire come alcuni risultati siano più o meno soddisfacenti di altri. Questo esercizio tende perciò a mettere in discussione il rapporto conflittuale tra i due emisferi, e a generare un contrasto in grado di sbloccare la parte subordinata del cervello: la destra.

COSA OCCORRE:

- Carta da disegno- Una matita n. 2- Il temperamatite- La tavoletta da disegno e il nastro coprente

3.3 ESERCIZI PROPEDEUTICI

IL DISEGNO NEL PROGETTO

131

Nella figura accanto, noterete una famosa illustrazione chiamata vasi/profili. Questo disegno genera un’illusione ottica e fa “balla-re” il nostro occhio facendogli vedere contemporaneamente da una parte due profili umani uno di fronte all’altro, mentre dall’altra la sagoma di una vaso simmetrico nel suo asse centrale.

È un’immagine molto particolare che deve il suo effetto al mix tra il contorno disegnato ed il contrasto tra il colore bianco, usato per riempire il vaso, e quello nero, che serve invece per i due profili umani. L’esercizio è incentrato sul completamento del disegno, che dovrà essere replicato nella sua metà mancante. Prima di iniziare, seguire questi suggerimenti:

- Copiate il modello, sia se siete mancini o destrimani(sinistrorsi o destrorsi), rispettivamente con la fig. 1 e la fig. 2.

- Tracciate una linea orizzontale sopra e sotto il profilo, per costruire l’orlo e la base del vaso.

- Ripassate il profilo con la matita, nominando volta per volta [ad alta voce] le varie parti del viso: fronte, naso labbra, ecc.

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- Cominciate sull’altro lato a disegnare il profilo opposto, completando la forma del viso.

- Mentre vi troverete in corrispondenza del naso o della fronte, osservate il conflitto mentale che si genera in voi.

- Lo scopo di questo esercizio è quello di osservare se stessi nell’esecuzione di un problema.

Tempo di esecuzione 5-6 minuti circa.

ANALISI: Proviamo a prendere in esame la sensazione che si prova nell’affrontare una prova del genere. Molti alunni, appartenenti alla classe della scrittrice Betty Edwards, hanno provato difficoltà nello svolgimento, fino a rimanere bloccati per il conflitto mentale che si stava generando, dovuto al non riconoscimento di forme che si confondevano nello spazio di rappresentazione.

È proprio questo stato confusionale e di disorientamento che serve per la crescita e per lo sviluppo di quest’arte; le istruzioni fornite si sono scontrate violentemente con il sistema verbale del nostro cervello, controllato per l’appunto dalla parte sinistra. Nel mo-mento in cui andiamo a disegnare i vari profili, il nostro cervello li codifica e li classifica con delle parti del corpo esistenti (come nel caso del mento o del naso); lo stesso cervello poi, tramite la mano, non segue le proporzioni e le forme della curva da disegnare, ma le sostituisce con l’archetipo presente nella nostra mente, che serve a

IL DISEGNO NEL PROGETTO

133

semplificare il linguaggio e la comunicazione tra gli essere viventi. Questo contrasto tra la curva reale e quella mentale, generata dalla semplificazione della parte sinistra del cervello, produce in noi un senso di inadeguatezza che ci blocca nell’evoluzione del disegno, non ci permette di poter progredire con l’evoluzione di questa rap-presentazione. Spesso, chi riesce a proseguire con l’illustrazione, ge-nera delle curve e delle forme totalmente sproporzionate da quelle speculari presenti sempre nello stesso disegno, che rendono l’opera sbilanciata e priva del suo doppio significato vaso/profili. Come si può aggirare questo ostacolo? È possibile per la mente umana riu-scire, allora, ad escludere la parte indipendente del nostro cervel-lo, per dare spazio alla sua opposta? In pratica esistono molteplici modi per poter aggirare l’ostacolo e privilegiare la parte destra del cervello: si possono utilizzare delle griglie per avere dei punti di ri-ferimento, si può non ascoltare la propria mente mentre si disegna, si possono tracciare dei punti su cui poi agganciare delle curve, si può utilizzare il disegno mnemonico e disinteressarsi delle propor-zioni del vaso oppure spostare la propria attenzione o al volto o al vaso. Se però si è generato un senso di inadeguatezza e di blocco nel completamento del disegno, allora siamo sulla strada giusta per compiere il salto da un emisfero ad un altro.

Risultati dell’esercizio, eseguito da alcuni studenti del corso di Betty Edwards. I tre profili presentano degli sbilanciamenti di forma.

134

3.3.2 ESERCIZIO: Immagini capovolte

Anche in questo esercizio proveremo a coinvolgere la parte destra del cervello a discapito della sinistra, per ottenere un risultato rea-lizzativo il più fedele possibile con il disegno preso come modello. Utilizziamo un ritratto fatto da Pablo Picasso (1881-1973) di nome Ritratto di Igor Stravinskij effettuato con matita su foglio bianco. Il disegno modello verrà però capovolto e l’esecuzione verrà effettuata mantenendo in questa posizione l’intero ritratto.

COSA OCCORRE:

- Il disegno di Pablo Picasso (fig 1)- Una matita n. 2- La tavoletta da disegno ed il nastro coprente- Un’ora di tempo senza interruzioni

È estremamente importante ricordarsi della funzione letterale e numerica dell’emisfero sinistro, questo ci permette di poter capire fino a che punto possiamo disegnare un oggetto senza che questa parte del cervello intervenga sul nostro operato. Capovolgere la fi-gura dovrebbe aiutare a far uscire fuori la parte destra del cervello che non riconosce e non cataloga le immagini tramite dei nomi o dei riferimenti fisici, come ad esempio: braccia, gambe, viso, occhi, bocca, orecchie, capelli, ecc.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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“Ritratto di Igor Stravinskij” Pablo Picasso(Il quadro è stato capovolto volutamente per l’esercizio.)

136

- Ascoltate della musica che vi piace mentre effettuate la rappresen-tazione. In questo modo, rilassando il corpo e la mente, cercherete di far prendere il sopravvento alla funzione D. Evitando distrazioni e completando il lavoro nel tempo prestabilito riusciremo ad esclu-dere la parte S, che dovrà ritornare solo alla fine dell’esercizio.

- È possibile cominciare da qualsiasi punto del disegno, dal basso,dall’alto, dal centro. Spesso si inizia dalla parte più in alto, ma l’im-portante e copiare le linee senza farsi domande particolari; e non capovolgendo mai il disegno.

- Non disegnate una linea, per poi riempirla, lasciate che gli errorisi generino. La cosa più interessante del disegno è scoprire che piano piano si assemblano e si ricostruisce la figura per intero. Bisogna essere pazienti e dare tempo al tempo.

- Utilizzate solo il linguaggio visivo, senza far accezione a parti del corpo, o a dettagli di oggetti che possono trarre in inganno la parte destra del cervello e far “ritornare a galla” quella sinistra. Utilizzate solo espressioni riconducibili alla geometria, come cur-va, linea, angolazione, margine, ecc.

- Il disegno inizierà a comparire come un puzzle, che pianopiano prende vita e si compone dei suoi pezzi. Significa che siete nel pieno della funzione D, e che state acquisendo una visione più chiara di tutto il disegno.

- Cercate di non distrarvi e di non complicare il meccanismo diriproduzione, tutte le informazioni che vi servono si trovano nel foglio davanti a voi, e solo li dovete guardare e disegnare.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Svolgere l’esercizio capovolgendo il ritratto, ed eseguendo il disegno nel modo indicato dalla

figura sottostante.

138

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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4. DISEGNO E OSSERVAZIONE

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4. DISEGNO EOSSERVAZIONE

L’analisi verso il disegno, e la sua funzione nella parte progettua-le, non può che vertere sulle facoltà principali che rendono questa tecnica di rappresentazione così utile per poter tradurre le idee in forma visuale. Tramite lo studio di queste caratteristiche andremo a scoprire come possiamo migliorare ed affinare la tecnica, quali sono le strutture primordiali che la governano e come sia possibile eseguire varie tipologia di disegno, adatte ai vari scopi. Le facol-tà essenziali (cfr Betty Edwards – 1979) si possono ricondurre a 5 abilità:

LA PERCEzIONE DEI CONTORNI (il disegno delle linee di contorno “in comune”).

LA PERCEzIONE DEGLI SPAzI (nel disegno vengono chiamati spazi “negativi”).

LA PERCEzIONE DEI RAPPORTI (prospettiva e proporzioni).

4.1 LE CINQUE FACOLTÀ DEL DISEGNO

IL DISEGNO NEL PROGETTO

141

LA PERCEzIONE DELLE LUCI E DELLE OMBRE (spesso chiamata “ombreggiatura”).

LA PERCEzIONE DEL TUTTO (la Gestalt, “l’essenza” degli oggetti).

Di seguito impareremo a capire come possiamo governare e affina-re queste tecniche presenti in tutti noi, e come alcuni esercizi sem-plici ed efficaci possano aiutarci a comprendere meglio il significato di questo percorso.

4.1.1 IL CONTORNO

Nel primo capitolo abbiamo già descritto questo elemento strut-turale, e abbiamo analizzato in profondità com’è fatto e come l’es-sere umano ci si mette in relazione. Abbiamo già definito quindi il contorno, come un’ipotetica linea di confine che viene condi-visa da uno, due o più entità o oggetti, presenti nel campo visivo dell’essere umano. Questa, però, non esiste a tutti gli effetti in na-tura, ma viene resa pertinente dall’uomo per essere utilizzata nella rappresentazione bidimensionale di un oggetto reale. In sostanza è un mezzo artificioso che l’essere umano utilizza per poter vedere meglio e comprendere con più precisione cosa ci sia intorno a lui. Per far comprendere meglio come possiamo riconoscere il contor-no, riproporremo un esercizio presente nel libro già citato, Il nuovo disegnare con la parte destra del cervello, che cerca di “svegliare” la persona ancora incapace a disegnare un oggetto che si presenta davanti ai suoi occhi.

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COSA OCCORRE:

- Fogli di carta bianca.- La matita n. 2.- Il temperamatite.- Nastro coprente.- Una tavoletta da disegno.- Circa 30 minuti di tempo.

COSA FARE: Osservate la vostra mano sinistra, se siete destrima-ni, o la vostra destra se siete mancini, e guardate le pieghe che si formano sul palmo. Unendo le dita al pollice, usciranno fuori, una serie di increspature e di pieghe più o meno grandi. Bisognerà rap-presentare esattamente quelle forme generate dal movimento appe-na descritto. Osservate due regole ben distinte: la prima riguarda il tempo, che dev’essere prestabilito da una sveglia o da un allarme; in questo modo la parte sinistra del cervello non si dovrà preoccu-pare della scadenza incombente, generando quindi una sensazione di pacatezza e di rilassatezza da parte dell’individuo. Nella seconda parte, la persona dovrà disegnare le varie pieghe senza però mai guardare il foglio su cui andrà a rappresentare l’oggetto; dovrà po-sizionare le mano in posizione opposta al disegno, che sarà fissato al tavolo, e guardare sempre la mano. La matita dovrà registrare il movimento puro e semplice, senza essere guidata dallo sguardo della persona. L’impulso di girarsi e guardare come si sta evolvendo il disegno sarà molto forte, il candidato dovrà però resistere fino allo scadere del tempo, in modo da conservare la genuinità dell’e-sercizio.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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RISULTATO: Come si può notare dalle varie figure presenti, ci ren-diamo conto di non aver realizzato una riproduzione fedele delle pieghe generate dalla mano e dal movimento pollice/dita; abbiamo dato vita però ad una rappresentazione astratta, guidata solo dalla nostra matita, e svincolata dalle logiche tipiche del ragionamento della parte sinistra del cervello. Il disegno può apparire approssi-mativo e confusionario, ma ad una più attenta lettura si può capire quanto sia affascinate che la nostra mano abbia prodotto una si-mile struttura, così genuina, così reale e vera che certamente può essere slegata dalla rappresentazione delle pieghe, per divenire un vero e proprio disegno generativo. Questo esercizio è fondamentale per far acquisire all’individuo il modo di vedere dell’artista, e ad aiutarlo nel difficile compito della visualizzazione delle idee; solo imparando a governare gli strumenti e a rappresentare oggetti reali, si potrà in seguito rappresentare concetti astratti.

Risulati dell’esercizio proposto agli studenti del

corsodi Betty Edwards. Pieghe della mano.

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4.1.2 GLI SPAZI

Lo spazio è un concetto molto complicato da spiegare, l’essere uma-no tende a capire poco l’astratto e se non ha di fronte a sé qualcosa di tangibile o di concreto, spesso non riesca a districarsi, andando in confusione. Lo spazio può generare questo tipo di sensazione; spesso lo associamo al vuoto che sta intorno a noi e gli affibbiamo una connotazione negativa, che tende a metterlo in secondo pia-no rispetto ad altri oggetti, materici, che riusciamo a rilevare con maggior facilità. Tendiamo a ragionare in modo da capire tutto ciò che riusciamo a toccare e con cui possiamo interagire, escludendo, di conseguenza, tutto il resto. Nel disegno c’è, proprio per il mede-simo motivo, questa distinzione dualistica: lo spazio negativo e le forme positive; queste due strutture opposte hanno la caratteristica di combaciare perfettamente l’uno all’altra, e di vivere proprio per-ché, ad una forma positiva, corrisponde un preciso ed unico spazio negativo. La mente dell’essere umano tende quindi ad evidenziare molto di più le forme positive, che vengono sempre lette come le figure principali in una scena visiva, mentre esclude gli spazi nega-tivi, definendoli come marginali e secondari rispetto alle figure. In realtà quest’ultime, nel disegno, hanno la stessa importanza delle fi-gure, e spesso possono essere molto più rilevanti di queste; diventa allora fondamentale imparare a valutare con cura gli spazi negativi, per poter comprendere in maniera completa la struttura e la com-posizione dell’immagine. Quest’ultima è il modo in cui l’artista di-spone le varie componenti di un disegno per dare armonia e bilan-ciare l’intera struttura del quadro; quest’operazione unisce tutti gli elementi presenti, in un unico grande livello che li comprende tutti e ne somma le caratteristiche. Disponendo forme positive in rela-zione agli spazi negativi, l’artista dà vita alla struttura del quadro, che vive anche in relazione al bordo, un limite effettivo e materiale, che incide, in primis, su tutta la composizione. Il formato del sup-porto, quindi, è il primo metro per delimitare una composizione,

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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e per valutare la grandezza, la profondità e l’intensità del quadro. In questo esercizio vi mostreremo come sia possibile rappresentare una sedia disegnando esclusivamente gli spazi negativi; saremo in grado di ricomporre, in modo contrario, la scena con l’oggetto al centro, senza però aver effettivamente disegnato la sedia.

COSA OCCORRE:

- Fogli di carta bianca- Il mirino con l’apertura più ampia- Il pennarello con la punta in feltro- Alcuni fazzoletti di carta- La matita n. 2- Il temperamatite- Nastro coprente- Una tavoletta da disegno- Un ora di tempo senza interruzioni

COSA FARE: Prendere il foglio di carta e colorare l’intera superficie con la grafite nera, sfumate la granulosità del gessetto con un fazzo-letto in modo da ottenere una velata espansione di color argento su tutto il foglio. Tracciate due linee perpendicolari tra di loro, avente come punto d’incontro il centro del foglio, in modo da generare dei riferimenti spaziali all’interno di tutta la superficie. Posizionate, a due o tre metri da voi, una sedia di vimini, che abbia lo schienale suddiviso; cercate una composizione che più vi aggrada e che renda il tutto il più soddisfacente possibile. Iniziate a disegnare gli spazi vuoti che si sono creati nella composizioni, ad esempio: la distanza

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tra le asticelle che compongono lo schienale, oppure le zampe della sedia che si dispongono in modo non omogeneo lungo il pavimen-to e tutta l’area circostante alla seduta. Cancellando gli spazzi che consideriamo privi di forme positive, ci accorgeremo che, quasi dal nulla, uscirà fuori l’intera composizione, come se fosse stata assem-blata al contrario.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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RISULTATO: Anche in questo caso proveremo ad aggirare la parte sinistra del cervello, andando a capire come opera il suo opposto. Il disegno, infatti, si formerà come per magia, dal nulla; tutta la com-posizione risulterà essere costituita, non dalla sedia rappresentata, ma da tanti piccoli tasselli, apparentemente senza una forma preci-sa, disposti sulla scena in modo da incastrarsi perfettamente gli uni agli altri. La cosa, però, sbalorditiva è che il risultato finale sarà mol-to simile all’oggetto reale presente nella scena; anche il più scettico, o il meno capace, ad usare il disegno come arte rappresentativa, si renderà conto di aver prodotto, realmente, una bella composizione, con tutte le proporzioni effettive. Questo ci permette di dire quanto il valore degli spazi negativi sia importante allo stesso modo del-le forme positive, e di come il giusto bilanciamento di queste due componenti possa generare una corretta e bilanciata composizione della scena.

4.1.3 I RAPPORTI

Qualsiasi scena che percepiamo con i nostri occhi, ha la caratteri-stica di apparirci distorta rispetto la sua reale dimensione. L’occhio umano tende, grazie alla visione stereoscopica, ad alterare le vere proporzioni che esistono in natura; possono capitare, infatti, situa-zioni, dove la grandezza di un oggetto non è reale rispetto la sua effettiva dimensione, proprio perché si trova troppo vicino, o trop-po lontano dal punto di vista: i nostri occhi. Questo effetto ci per-mette di avere nella nostra testa la percezione reale della profondità di campo, cioè quel fenomeno che rende possibile l’orientamento, in uno spazio tridimensionale, da parte dell’essere umano. Nella percezione, questo fenomeno, è essenziale per la sopravvivenza dell’uomo, la sua funzione però ha degli svantaggi reali per l’indivi-

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duo; questo, infatti, non riesce a calcolare l’altezza, la larghezza o la profondità di un oggetto che si trova di fronte i suoi occhi. Lo stesso oggetto, infatti, se si trova a quaranta centimetri o a sei metri dalla persona, subisce delle notevoli differenziazioni nelle sue proporzio-ni e nei rapporti tra le sue dimensioni. Imparare, allora, a rilevare correttamente le effettive proporzioni di un oggetto, per la riprodu-zione con il disegno a mano libera, diventa essenziale per il corretto svolgimento della trasposizione da reale a cartaceo. Ci permette di poter valutare a che distanza l’osservatore si trova rispetto il suo quadro, e a collegare, di conseguenza, tutti i rapporti volumetrici tra gli oggetti che compongono ed arredano la scena. Imparare a valutare con le proprie mani, o semplicemente con il colpo d’occhio, è un’abilità fondamentale per capire com’è costruito un disegno, e come può esserci d’aiuto nella fase progettuale per la rappresenta-zione delle nostre idee. Riporteremo allora un altro esercizio mirato a sviluppare l’abilità nel riconoscere i rapporti e le misure effettive di un oggetto che si trova ad una distanza fissa da noi.

COSA OCCORRE:

- Fogli di carta bianca- Il mirino con l’apertura più ampia- Il pennarello con la punta in feltro- La matita n. 2- La tavola da disegno

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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COSA FARE: Prendere il foglio di carta e posizionatevi a circa tre metri di distanza da una porta aperta, o da uno scorcio che pos-sa essere adatto ad una rappresentazione in prospettiva. In questo esercizio dovremo rappresentare una porzione di paesaggio, uti-lizzando semplicemente il nostro occhio, e se vogliamo la parte opposta della matita, come oggetto di riferimento per i rapporti delle distanze. Questo esercizio non prevede la costruzione di gri-glie per la riproduzione d’immagini ad uno, due o più punti di vi-sta, impareremo solo a sfruttare la nostra abilità mentale e i nostri occhi. Costruite sul foglio i due assi di riferimento, numerando le quattro suddivisione in modo progressivo; iniziate a disegnare lo stipite della porta, assegnandogli una dimensione arbitraria, il più possibile vicina a quella che visualizzate quando guardate la scena. Utilizzando come misura campione, la porzione appena disegnata, cercate di ricostruire tutti i componenti e le linee che appartengono agli oggetti della scena, in modo da ricomporre piano piano l’intero quadro.

RISULTATO: Il dettaglio della rappresentazione sarà così simile alla realtà che il percorso di crescita, per imparare a disegnare, sarà sempre più vicino al giusto modo di rappresentare le cose. Que-sto esercizio, darà sicuramente degli ottimi risultati da un punto di vista visivo, ma in primo luogo sviluppa la capacità di capire che dimensione, il nostro occhio, percepisce quando guarda un quadra-to. Geometricamente sappiamo che i quattro lati sono tutti uguali e disposti a novanta gradi tra di loro; noi però ne percepiamo una forma distorta, e senza questi accorgimenti, riprodurremo su carta una geometria molto più simile all’idea che abbiamo in testa, che al quadrato di fronte a noi. Imparare a capire il reale rapporto delle grandezze, ci permette sia di ricostruire paesaggi e scorci, il più fe-dele possibile agli originali, ma ci conferisce anche la possibilità di poter governare meglio il disegno immaginativo, quello che nasce dalla nostra testa, e non ha un corrispettivo in natura già esistente.

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Spiegazione dei rapporti visivi tra un riferimento”A” ed il proprio occhio.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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4.1.4 LUCI ED OMBRE

In questa fase andremo a capire come funziona l’illuminazione su-gli oggetti e sui paesaggi che osserviamo. La luce, infatti, una volta irradiata la superficie, la rende luminosa su alcune sue porzioni, ma contribuisce a generare, istantaneamente, delle zone d’ombra che oscurano le stesse. Questo rapporto di luci ed ombre, già prece-dentemente accennato nel capitolo sul disegno, ci serve per capire come il nostro occhio percepisce le immagini; nella realtà infatti, l’essere umano, non vede i contorni o le linee nette. La percezio-ne delle cose avviene attraverso le sfumature di colore, attraverso la luce che illumina e genera l’ombra su due parti divergenti della figura; perciò rendere un disegno piatto, un’opera tridimensionale, è un’operazione che va effettuata utilizzando la tecnica dell’ombreg-giatura. Osservando la figura del ritratto di Heinrich Füssli (Au-toritratto, 1741-1825) sarà più facile spiegare i quattro tipo di luci ed ombre che si generano una volta che l’oggetto viene inondato di luce: la luce massima si trova sulle guance e sulla fronte; l’ombra portata sul naso, sulle labbra e sulle mani; la luce riflessa si trova sul lato sinistro del naso e della guancia; l’ombra di cresta sul dorso del naso, sulla sommità della guancia e sulla tempia.

I valori tonali sono essenziali per capire che tipi di sfumature si possono usare per la rappresentazione; i toni più bassi delineano i colori scuri (come il nero), i toni alti, invece, sono quelli più chiari (come il bianco); perciò si passa dal nero assoluto, al bianco assolu-to, progredendo per tutte le variazioni di tono, fino ad arrivare, nel mezzo, ai vari grigi. La parte destra del cervello è specializzata nel trovare e nel decifrare i rapporti tra luci ed ombre, perciò quest’abi-lità, propria del disegno e del riconoscimento dei volti umani, uti-lizza gli stessi principi d’ombreggiatura per identificare la persona che si trova difronte i nostri occhi. Il volto umano ha delle forme organiche molto complicate da ridisegnare, ma si presta benissimo

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per la tecnica dell’ombreggiatura; grazie a questa tecnica stilistica è possibili riconoscere in maniere accurata le parti del corpo, calco-lando anche la loro effettiva dimensione spazialo, valutando lun-ghezza, altezza e profondità. In questo esercizio proveremo allora a proporre la realizzazione di un volto umano, tramite una tecnica inversa a quella tradizionale.

COSA OCCORRE:

- Fogli di carta bianca- Il foglio di plastica trasparente- Lo stick di grafite- La matita n. 2- La tavola da disegno

COSA FARE: Disegnare il contorno del volto che avete scelto, in modo da avere difronte ai vostri occhi solo le linee principali. Ri-empite di grafite nera il foglio, in modo da uniformare con una lieve sfumatura argentea, l’intera superficie. A questo punto, vi troverete con il contorno del disegno, e con lo sfondo argentato della gra-fite; lo strumento per creare l’ombreggiatura, non sarà la matita, che avete usato fino ad ora, ma bensì la gomma. Utilizzate questo strumento tagliando un’estremità in modo da ottenere una sorta di punta, che possa essere utilizzata per le porzioni più piccole da sfu-mare. Iniziate quindi le operazioni di sfumatura, seguendo, come traccia guida, il disegno del ritratto da cui avete ricavato il contorno del volto. Dovete svolgere l’operazione al contrario, non sarà la ma-tita, tramite una traccia, a delineare un segno; utilizzerete la gomma

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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come se fosse uno strumento incisore, ed andrete a disegnare con essa le sfumature di luce ed ombra che troverete nel disegno di ri-ferimento. Proseguendo per gradi, schiarendo le parti più in vista, e sfumando sempre di più quelle adiacenti, il disegno si comporrà, andando a diventare sempre più simile al suo riferimento.

RISULTATO: Questo passaggio è molto delicato, riuscire a ripro-durre l’ombreggiatura di un oggetto, equivale a saperne leggere vi-sivamente le dimensioni. Solo imparando a modulare lo schiari-mento di una superficie, ed il suo consecutivo scurire nelle parti opposte, ci permetterà di vedere meglio la tridimensionalità di un oggetto. Anche in questo caso, riproducendo il disegno in modo contrario, riusciremo ad aggirare la parte sinistra del cervello, che spesso entra in conflitto con la parte destra, non facendoci vedere come un’ombra si estende su una superficie. Un altro tassello fon-damentale nel viaggio verso il mondo del disegno a mano libera e delle sue abilità specifiche, che ci permette di poter progredire nella visualizzazione della rappresentazione manuale.

Stili differenti di ombreggiatura, usati insieme, possono dare come risultato un ottimo livello di tridimensionalità.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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L’illustrazione spiega le differenze tra le quattro ombreggiature studiate su un oggetto reale.

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4.1.5 LA GESTALT

La Gestalt è una parola di origine tedesca, che si è sviluppata durante il XX secolo, e ha come significato: forma, schema, rappresentazio-ne. Fa parte della branca della psicologia, e viene per l’appunto defi-nita psicologia della forma; tratta in particolar modo la percezione dell’essere umano verso gli oggetti, le strutture ed i paesaggi che lo circondano, andando a studiare, a tutti gli effetti, i processi che si sviluppano nella mente dell’individuo. Coloro che inizialmente introdussero questo termine furono: Kurt Koffka, Wolfgang Köhler e Max Wertheimer; furono i primi a formulare le varie ipotesi, ed in seguito a modellare, i principi dominanti di quest’affascinante fi-losofia del pensiero. I concetti principali si focalizzavano sulla per-cezione e sul ragionamento/problem-solving delle varie questioni che dovevano essere risolte dagli individui nella vita normale, o in ambiti più specializzati.

Questo nuovo modello, quindi, iniziò a sviluppare altre teorie ri-guardanti campi come l’apprendimento, la memoria, il pensiero e la psicologia sociale; il tutto però si fonda sull’idea principale espressa nella famosa frase:

La filosofia di pensiero può essere utilizzata come elemento finale della comprensione delle tecniche per la rappresentazione a mano libera, e per l’utilizzo del disegno a fini progettuali; la visione d’in-sieme suddivisa nei vari processi che compongono un problema generico, semplificazione della teoria della Gestalt, serve per poter essere più abili nello svolgimento del disegno. La tecnica in questio-

Il tutto è più della somma delle singole parti”, che tende a dare una svolta sul metodo che gli individui utiliz-zano per l’approccio e la risoluzione dei vari problemi.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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ne infatti, è utile proprio perché si svincola dalle logiche classiche di pensiero, dove la risoluzione di un enigma viene affrontata trami-te la scomposizione in singole fasi del problema principale; questo modo di pensare porta a far lavorare la parte sinistra del cervello, che pensa in modo schematico, classificando ed interpretando i singoli pezzi del tutto. Affrontando il problema, invece, secondo le logiche della Gestalt, guardando l’enigma nel suo insieme, cercando di capire come funziona senza scomporlo in altri piccoli problemi, dà la possibilità, alla parte destra del cervello, di poter agire indi-sturbata nella risoluzione del quesito, rendendo il percorso creativo e processuale molto meno complicato e lungo.

Disegni dimostrativi della scuola della Gestalt. Mostrano la percezione delle forme tridimenzionali, tramite dei segni piatti.

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Applicando gli stessi concetti nello sviluppo di un disegno, ci ren-diamo conto che possono essere di enorme aiuto per i fini proces-suali e realizzativi; la creatività riesce ad essere imbrigliata da un movimento che non calcola più tutte le singole variabili, ma si la-scia andare verso un flusso di coscienza unico ed impetuoso. Un movimento che permette al disegnatore di seguire la parte destra del cervello, trasformare gli stimoli interni in: relazioni di forma, variazioni di curve e linee ed oscillazioni di chiaroscuro, adatte per lo sviluppo di un disegno a mano libera che deve rappresenta-re un’idea visualizzata all’esterno, o più semplicemente una forma nata dalla nostra mente. Questa filosofia di vita non può essere solo intesa come un’applicazione per imparare a governare l’arte del di-segno, bisogna diventarne padroni molto più a fondo, e scoprire tutti i dettagli e le sfumature che si possono carpire da questa visio-ne. E’ proprio questo lo sguardo d’artista che dobbiamo acquisire, la visione globale delle cose, propria dei pittori e dei disegnatori, che dobbiamo imparare a dominare. Non esistono in questo caso degli esercizi specifici adatti a sviluppare questa caratteristica, in sintesi rappresenta la somma di tutte e quattro le caratteristiche descritte fino ad ora, ma incarna, allo stesso tempo, la quinta e l’ultima fase propria del bravo disegnatore. Possiamo soltanto esercitarci a go-vernare la matita che segna la carta, a capire quale pressione usare per modulare il chiaroscuro e a come delineare una curva, tutto questo sforzo ci deve servire per capire come cambiare sguardo ver-so le cose che ci circondano.

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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4.2.1 DISEGNARE È OSSERVARE

L’abilità del disegno a mano libera, sta iniziando a diventare sem-pre più limpida e trasparente con il procedere della nostra ricerca; dopo aver delineato le cinque caratteristiche, ci rendiamo conto che non è poi così inaccessibile e che nella totalità dei casi può essere padroneggiata. Possiamo in effetti dire di più, il disegno a mano libera è accessibile a tutti coloro che vogliono realmente impara-re ad utilizzarle questa tecnica, e cresce, di pari passo, alle cinque caratteristiche sopra indicate; se sviluppate con un giusto eserci-zio manuale e tecnico, queste cinque abilità, possono diventare la base su cui costruire il proprio futuro artistico. In effetti, alla base di tutta l’esperienza del disegno, c’è l’acquisizione da parte dell’essere umano dello sguardo dell’artista; quest’ultimo, infatti, in modo to-talmente differente dalle persone comuni, guarda ed osserva le cose con occhio molto più critico e curioso. Come abbiamo detto fino ad ora, imparare a disegnare nasce dall’osservazione, perciò possiamo effettivamente dire che disegnare e osservare, in un ambito creativo, possono essere considerate la stessa cosa, o comunque hanno mol-tissimi punti in comune. Come i nostri occhi recepiscono informa-zioni dall’esterno per imprimere, sulla nostra retina, le immagini che osserviamo; così il disegno restituisce sulla carta le forme che percepiamo nella nostra mente o al di fuori di essa. Tutte e due le versioni seguono la regola della percezione e della trasformazio-ne: un’informazione, proveniente dall’esterno o dall’interno, viene recepita dal nostro cervello; questo, una volta analizzata, procede a convertirla in un’altra informazione utile alla nostra mente per l’esecuzione di un compito. Il ciclo si ripete all’infinito, generando

4.1 LE CINQUE FACOLTÀ DEL DISEGNO

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una catena comunicativa in grado di poter produrre una quantità enorme di relazioni utili per i vari scopi che dobbiamo svolgere; è una continua trasformazione, che ci assicura la comunicazione e l’interazione tra l’essere umano e gli oggetti ed i paesaggi che lo circondano. Se quindi l’osservazione è alla base del disegno, e se per alcuni esempi creativi le due facoltà coincidono perfettamente, possiamo asserire, per la proprietà transitiva, che tutte le caratteri-stiche del disegno sono anche alla base dell’osservazione. Andando in profondità, possiamo ulteriormente affermare che le cinque ca-tegorie intrinseche, per imparare a disegnare, non sono nient’altro che le categorie base di un buon osservatore. Un buon occhio infatti deve saper percepire i contorni di una figura che vuole rappresenta-re, o semplicemente deve saper distinguere un confine comune tra due oggetti, in modo da poterli analizzare accuratamente. Lo stesso occhio però, deve anche saper valutare gli spazi: sia da un punto di vista fisico e di relazione dell’essere umano nell’ambiente in cui si trova; ma anche come aria negativa che delimita un oggetto o uno sfondo.

Deve, inoltre, poter analizzare con cura, i vari rapporti che esistono in natura, deve comprendere le proporzioni di una figura umana, animale, o artificiale in modo totalmente intuitivo. Lo stesso occhio percepisce le forme naturali grazie ad una graduazione di colore, riconducibile alla rifrazione della luce su un corpo che genera zone d’ombra e di luce, che rendono tridimensionale e fisico un qual-siasi tipo di oggetto. La capacità di dover distinguere il valore del tutto sopra quello delle parti, propria della Gestalt, è tipica di uno sguardo artistico, che con il suo osservare scandaglia nello stesso tempo i dettagli dell’oggetto e la sua complessa interezza, in modo da poter desumere le informazioni adatte a poter valutare l’oggetto completamente. Tutte le caratteristiche del disegno si possono tro-vare nell’osservazione, proprio perché un bravo disegnatore è pri-ma un bravo osservatore di tutto ciò che lo circonda; prima, infatti,

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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cattura con gli occhi, e poi riproduce con le mani, trasformando uno stimolo in un informazione. Un esempio illustre di questo fe-nomeno è sicuramente Johann Wolfgang Goethe (Francoforte sul Meno, 1749–1832) è stato un drammaturgo, poeta, saggista, scrit-tore, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d’arte e critico musicale tedesco.

Un uomo in grado di poter ricostruire lo spirito rina-scimentale, delle abilità dell’uomo al centro dell’uni-verso, durante gli ultimi anni dell’ottocento.

“Johann Wolfgang von Goethe”Joseph Karl Stieler (1781–1858)

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Goethe’s Deathbed Portrait

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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Egli oltre ad essere un ottimo disegnatore, era un grandissimo os-servatore, ed ispirò moltissimi filosofi del suo tempo, a vedere e a cogliere le cose che circondano l’uomo, in modo totalmente diffe-rente. Era meravigliato e stupito di tutto ciò che lo attorniava, tutto quello che osservava per lui sprigionava bellezza e fascino; tutto era irradiato da una luce aurea che rendeva anche una semplice foglia, un’opera d’arte complessa ed affascinante.

4.2.2 IL TRIANGOLO SEMIOTICO

La semiotica è quella branca della filosofia che studia i segni ed il modo in cui questi formano un senso (significazione) nella mente degli esseri umani. Questa disciplina (cfr M. A. Bonfantini – 2006) approfondisce i rapporti di comunicazione e d’informazione tra gli individui che utilizzano forme di scambio e di relazione di qualsiasi tipo: verbali o scritte. La semiotica opera attraverso la significazio-ne che l’individuo conferisce ad un determinato “oggetto”, mate-riale o metafisico; l’essere umano attiva un operazione mentale per l’assegnazione di un significato ad una forma o più semplicemente un segno, che viene interpretato dal nostro cervello, e trasforma-to in una informazione. Per esempio, quando vediamo il semaforo verde difronte ai nostri occhi, interpretiamo quel colore come se-gnale di via libera per poter procedere con il senso di marcia del nostro veicolo, lo stesso succede per gli altri colori del semaforo, che indicano l’attesa e l’arresto dell’autovettura; ma lo stesso colore verde, applicato come riempimento di un cartello con un teschio e due femori incrociati, indica un pericolo di avvelenamento e di tos-sicità dell’oggetto contenente questo simbolo. Il segno perciò non possiede mai un valore assoluto, viene sempre legato ad uno spe-cifico contesto di appartenenza; c’è perciò un legame indissolubile tra il segno ed il contesto, in qualsiasi forma si presenti. Come per

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l’esempio del colore verde, che dentro un semaforo ha un significato particolare ed inserito in una forma illustrata ne possiede un altro, possiamo procedere con molti altri, aventi come caratteristiche di composizione: forme, colori e segnali visivi, tattili o uditivi.

La significazione di questi segnali che ci circondano viene attuata nella nostra mente grazie ad un meccanismo che è stato sintetiz-zato in un teorema semiotico formulato da Charles Sanders Peirce (1839-1914) matematico, filosofo, semiologo, logico, scienziato e accademico statunitense, che viene comunemente chiamato: trian-golo semiotico. Questo modello è alla base di tutte le teorie sulla significazione nella semiotica (cfr S. zingale – 2009), e viene uti-lizzata dalla mente dell’uomo per la codifica dei segni artificiali o naturali, che si trovano intorno a lui. Per capire meglio come fun-ziona, procediamo con la spiegazione di un esempio: il già citato, semaforo verde. Il cerchio catarifrangente illuminato da una luce

Arresto

Attesa

Partenza

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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verde rappresenta l’oggetto dinamico che gli occhi della persona hanno percepito; l’immagine del semaforo verde viene interpretato dalla nostra mente come un segno. Quest’ultimo viene suddiviso in due parti: l’oggetto immediato che rappresenta l’oggetto “ritagliato” dal suo contesto e su cui vengono evidenziate alcune caratteristiche rilevanti, ed il representamen (il rappresentante) che estrae attra-verso l’oggetto immediato (significato) un particolare punto di vista o un contenuto collegato all’oggetto dinamico (referente). Questo meccanismo però genera l’interpretante, punto fondamentale e ri-voluzionario di Peirce, un ulteriore segno, nato dal rapporto tra il representamen ed l’oggetto immediato, che genera un altro segno tramite un atto interpretativo della mente umana. Un segno che genera un altro segno che ne genera uno a sua volta, e che poten-zialmente può continuare a generare relazioni di questo tipo all’in-finito, sintetizza il valore aggiunto dell’enunciato, e genera un flusso interminabile detto semiosi illimitata.

O

SR

Oi I

Oggetto Dinamico

Segno:

R: Rappresentante

Oi: Oggetto Immediato

Interpretante

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Il triangolo semiotico viene definito un sistema triadico, proprio perché è generato da tre elementi distinti che giocano un ruolo fondamentale per lo sviluppo dello schema. Grazie alla spiegazione semiotica di come percepiamo i segni, siamo in grado di poter sin-tetizzare complesse informazioni in simboli visivi molto più piccoli e più veloci d’apprendere e da riprodurre.

4.2.3 IL DISEGNO NELLA SEMIOTICA

Il triangolo semiotico serve a capire come funziona mentalmente il processo di significazione di un determinato segno che percepiamo con i nostri sensi. Questo segno viene interpretato e trasformato in un’altra informazione, che serve, all’individuo, per poter interagire con altri esseri umani, oppure ad esercitare un determinato lavo-ro. Un progettista deve quindi essere abilissimo nel capire i segni di fronte, ma nello stesso tempo, dev’essere in grado di poterli svi-luppare con maestria e sintetizzando al meglio le informazioni che deve rappresentare.

Dopo tutta quest’analisi sul disegno, sull’osservazione e sulla loro funzionalità nel processo progettuale e nella fase creativa di un ar-

Come può allora rendere migliore e sempre più effi-ciente questo processo? Che tecniche può usare per implementare il meccanismo di sintetizzazione e di percezione di un segno? Può il disegno essere prope-deutico per la significazione semiotica?

IL DISEGNO NEL PROGETTO

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tefatto, basta in realtà unire tutti i tasselli per renderci conto che la padronanza del disegno a mano libera è essenziale nella progetta-zione anche e soprattutto sotto la luce dell’analisi semiotica. Siamo arrivati a dire, nei capitoli precedenti, che le cinque abilità del dise-gno sono nient’altro che le stesse abilità dell’osservazione; quest’ul-tima infatti identifica, grazie all’ausilio degli occhi, le forme, i colori, la profondità e la superficie di un oggetto grazie a: i contorni, gli spazi, i rapporti, le luci e le ombre ed il tutto (Gestalt).

Se disegno e osservazione sono la medesima cosa, e condividono le stesse proprietà, possono queste cinque caratteristiche essere utili nel processo descritto nel triangolo semiotico? In che modo intera-giscono con gli altri elementi? Possono modificare il significato o il risultato finale del modello descritto da Peirce?

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Possiamo sicuramente dire che il loro peso nella teoria semiotica è sicuramente importante, e vanno a definire un ruolo di mediazione e di trasformazione tra un elemento e il suo collegamento immedia-to. Se prendiamo infatti, il primo passaggio del modello, scopriamo che avviene un’operazione nella nostra mente tra l’oggetto dinami-co ed il segno (oggetto immediato/representamen) simile ad una trasformazione; questa a tutti gli effetti viene operata nella nostra mente, ma si appoggia sulle cinque caratteristiche dell’osservazione.

Facciamo un esempio concreto: il semaforo verde e l’automobilista. Quest’ultimo percepisce con i suoi occhi (osservazione) il colore e la luminosità del cerchio presente nel semaforo; la sua mente, allora, utilizzando le cinque caratteristiche, attiva un processo di valutazione sulla forma (contorno), sulla posizione (spazi), sulla composizione (rapporti), sulla luminosità e sul colore (luci/ombre) e sulla totalità del contesto di appartenenza (Gestalt) del semaforo, e lo trasforma, da semplice oggetto, a segno. Ovviamente, tutto ciò, direbbe Peirce, avviene “sotto qualche rispetto o capacità”, ossia in-serendo, in questo caso, l’artefatto “semaforo” all’interno di regole e convenzioni sociali.

Questa fase è una vera e propria trasformazione da uno stato ini-ziale, l’artefatto semaforo, in uno secondario, la “luce verde”; e con-tribuisce ad accrescere e a rendere più completo l’intero processo semiotico. Ma l’interpretazione non è ancora completa. Le cinque caratteristiche operano infatti anche nel passaggio seguente, quel-lo tra il representamen e l’interpretante; questa volta però attivan-do un operazione di traduzione tra la seconda fase e la seguente. Quando nella nostra mente si forma il concetto di “luce verde che indica passare”, sempre attraverso l’osservazione, generiamo un al-tro segno, che si identifica con l’interpretante; questo passaggio è una vera e propria traduzione tra la prima e la seconda fase. Questa duplice operazione, prodotta dalle cinque caratteristiche, serve per

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trasformare la fase precedente in una nuova, e propedeutica per l’evoluzione dello schema; queste abilità possono essere paragonate a degli enzimi catalizzatori per il tipo di lavoro che svolgono all’in-terno dei vari passaggi di fase.

Questi “enzimi” hanno il compito di operare, all’interno del nostro corpo umano, delle trasformazioni tra le varie proteine; il passag-gio serve ad attivare delle funzioni basilari per il nostro organismo, come la digestioni dei cibi, la produzioni di escrementi oppure la formazione di codici di DNA. L’esempio, nell’ambito scientifico de-gli enzimi, serve a farci capire quanto le cinque caratteristiche siano fondamentali per i passaggi tra le varie fasi nel triangolo semiotico; la loro funzione è quindi simile alle stesse proteine che permettono il funzionamento e la regolazione del nostro organismo.

O

SR

Oi I

Oggetto Dinamico

5 Caratteristiche:TRASFORMAZIONE

5 Caratteristiche:TRADUZIONE

Segno:

R: Rappresentante

Oi: Oggetto Immediato

Interpretante

5C.

5C.

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5. CONCLUSIONE

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VERSO L’ERA POST DIGITALE

Il viaggio compiuto fino ad ora per scoprire l’importanza del dise-gno ha dato i suoi frutti; siamo arrivati alla conclusione che l’arte della rappresentazione tramite carta e matita è un abilità fonda-mentale per il controllo e lo sviluppo di un processo progettuale qualsiasi. Abbiamo capito che tramite questa tecnica, che nasce come abilità innata ma può essere controllata da quasi tutti, si ac-quisisce un particolare tipo d’osservazione: lo sguardo artistico. Questo nuovo modo di vedere le cose è il principio fondamentale su cui si costruisce tutto il meccanismo di valutazione di un ogget-to, che sia effettivamente reale o solo un’elaborazione della nostra mente non ha importanza; l’individuo inizia ad acquisire l’abilità per poter realizzare ciò che si visualizza nella sua testa.

Quest’analisi ci ha fatto capire anche il ruolo fondamentale delle cinque facoltà del disegno, uguali a quelle dell’osservazione, nella semiotica; il triangolo semiotico subisce, per così dire, una piccola variazione nella sua forma, mantiene ancora il suo carattere tria-dico, ma si arricchisce, nei passaggi da oggetto a segno e da segno a interpretante, nelle cinque facoltà sopracitate. Il disegno è quin-di fondamentale sia come veicolo realizzativo dell’idea ma anche come identificazione segnica abile a scovare l’accezione di una for-ma che ci troviamo di fronte. Il progettista deve essere in grado di padroneggiare senza nessuno problema questa tecnica al fine di assemblare un determinato artefatto avendo il completo controllo delle azioni che svolge.

Questa fluidità nella realizzazione delle proprie idee viene determi-nata spesso dall’uso eccessivo del computer da parte del progettista. Spesso nel momento principale del progetto questa macchina ci fa-cilita nella realizzazione di schemi o di forme complesse, ma ci ren-de schiavi di un processo che porta ad un risultato piatto ed uguale

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a molti altri elaborati. Il fenomeno è semplice, se uno strumento facilità il lavoro di un individuo, egli troverà il modo di abusarne in maniera sempre più crescente; questo genererà quindi una dimi-nuzione del tempo di esecuzione ma un contemporaneo abbassa-mento della qualità del lavoro, sempre più simile per composizione e struttura alla maggior parte delle opere realizzate con le stesse tecniche. La critica principale al computer si evidenzia nell’appiat-timento della realizzazione degli elaborati, sempre più simili, come abbiamo già detto, per forma, struttura e composizione; l’unico modo per riuscire a contrastare questo fenomeno è il disegno.

Tutto ciò non deve però portare all’eliminazione o alla demonizza-zione del computer o della tecnologia in generale, come abbiamo già detto grazie a questi strumenti riusciamo a realizzare cose che dieci anni fa erano ancora impensabili. Il computer è sicuramen-te il futuro, ed è grazie proprio alla tecnologia che siamo in grado

Codice binario: tutte le informazioni digitali, vengono codificate con questo tipo di schema detto “Alfanumerico”

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di poter essere efficienti e performanti in molti campi: soprattutto nella progettazione. Il vero problema però è che per come è con-cepita adesso, per gli applicativi che utilizziamo e per le funzioni che svolgiamo, non riesce a dare quel valore in più, che invece la rappresentazione tramite carta e matita riesce a conferire al desi-gner. Per alcuni versi, e paradossalmente, il computer è ancora un mezzo che limita la parte creativa del progettista, non gli dà l’op-portunità di potersi esprimere al meglio, senza che venga vincola-to da formule matematiche, da numeri o da parametri, che spesso sfociano nel controllo della parte sinistra del cervello. La fluidità con cui riusciamo a ricreare una curva, una linea o un chiaroscuro non è ancora paragonabile alla realizzazione di queste stesse for-me da parte del computer, ed è un compito del progettista riuscire a governare il mezzo del disegno per poter affinare sempre di più l’azione di traduzione che deve compiere dalla sua testa ad un sup-porto materiale. Non siamo qui per stilare il modus operandi di un designer in campo progettuale, ma vogliamo far capire agli stessi che il processo di crescita tecnologica non porta solo cambiamenti positivi, spesso ha con se delle conseguenze che possono minare realmente l’intera struttura, andando a sconvolgere degli equilibri fondamentali per la riuscita di un adeguato artefatto.

In una recente conferenza al Politecnico di Milano dal titolo Ver-so l’era del post digitale, svoltasi presso l’ateneo il 23/11/2012, si cercava di trovare una linea di congiunzione, o se vogliamo di di-sgiunzione, tra l’era digitale moderna e quella manuale di qualche decennio fa. Molti docenti di vari atenei e professionisti del settore arrivati da tutt’Italia, hanno discusso su come questi cambiamenti avessero influito fino ad ora sul progredire del processo produttivo, e se l’orizzonte di questo percorso avesse ancora nei suoi confini l’abilità manuale e del disegno. Molti si sono schierati a favore del computer ed in generale della tecnologia, altri invece hanno ri-badito l’importanza del disegno e l’assoluta capacità d’espressione

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di quest’abilità; tutti però erano a favore per un’apertura tra i due mondi, un dialogo, un ponte che unisca l’era analogica con quel-la digitale. Ecco perché il titolo della conferenza verteva sulla post digitalizzazione, questa fase della progettazione che nasce proprio dall’abbondante sviluppo delle tecnologia dopo l’era analogica o manuale. Quale sarà il futuro della progettazione? Dove andremo a trovare le risposte per questo percorso evolutivo? Cosa perderemo e cosa guadagneremo dal progresso e dall’evoluzione tecnologica? Sono tutte domande molto importanti ma dalle risposte incerte, perché spesso i meccanismi di evoluzione non si possono predire, si vedono solo i cambiamenti in corso d’opera e la maggior parte delle volte non sono neanche molto chiari.

Sicuramente per cercare risposte sul futuro non possiamo far altro che guardare il passato e capire cosa realmente funzionava, e cosa invece era frutto di quel particolare contesto storico, eliminare il superfluo per salvare la vera essenza della vecchia scuola di pro-gettazione, fatta di maestri che sapevano padroneggiare l’arte del disegno al servizio della rappresentazione. Sicuramente il futuro non potrà non tener conto della tecnologia e del computer, che con il progredire del tempo sta acquisendo sempre più potere nella vita dell’uomo. Il progettista però dovrà creare un varco tra il disegno e la tecnologia, imparando a distinguere quando uno strumento, in una determinata fase della progettazione, sia più o meno adatto per l’esecuzione del compito. Solo la mediazione tra le due abilità, insie-me ad un’adeguata percezione delle idee potrà conferire al designer la giusta dose di creatività per poter realizzare un progetto adatto per il suo campo di sviluppo.

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Sicuramente per cercare risposte sul futuro non possiamo far altro

che guardare il passato e capire cosa realmente funzionava, e cosa

invece era frutto di quel particolare contesto storico.

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relatore:Salvatore Zingale

Politecnico di MilanoScuola del Design