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1. Il discorso contro Pisone 1.1. La data del discorso L'in Pisonem è stata pronunciata nel 55 poco prima che Pompeo, console con Crasso per la seconda volta, celebrasse l'inaugurazione del primo teatro in muratura edificato per sua iniziativa con giochi fastosi. A questi giochi Cicerone allude nel §65: «sono imminenti i giochi a memoria d'uomo più splendidi e magnifici, quali non soltanto non sono mai stati allestiti ma neppure sono in grado di immaginare in qualche modo che possano essere allestiti in futuro» 1 . Che l'avvenimento si collochi nell'estate si deduce sia da altri indizi sia dalla testimonianza di Valerio Massimo che in 2,4,6 informa: «Gneo Pompeo prima di ogni altro si è curato di attenuare il calore estivo facendo scorrere acqua attraverso canali» 2 . In base all'esame di tutti gli elementi utili per precisare la datazione la maggioranza degli studiosi colloca il discorso tra il luglio e il settembre. L'ostilità di Cicerone per Lucio Calpurnio Pisone Cesonino risale all'atteggiamento assunto da Pisone, console con Aulo Gabinio nel 58, in occasione dell'esilio dell'oratore, formalmente imposto da Clodio in qualità di tribuno della plebe ma preteso da Cesare con il consenso di Pompeo. Fino all'inizio del 58 i rapporti tra Cicerone e Pisone, esponente di un'illustre famiglia plebea della Cisalpina pervenuta alle più alte magistrature con il bisnonno e il nonno, erano stati amichevoli. Gaio Calpurnio Pisone Frugi, membro della gens Calpurnia sebbene non della familia Caesonina, aveva sposato Tullia, figlia di Cicerone 3 . Pisone aveva approvato l'azione energica svolta da Cicerone contro i Catilinari (§72) sebbene avesse rapporti di parentela con il congiurato Gaio Cornelio Cetego, ne aveva sollecitato l'appoggio per la candidatura al consolato dopo aver ottenuto al primo tentativo questura, edilità e pretura (§2), nei suoi primi atti di console gli aveva dimostrato deferenza (§11). Tuttavia nel corso di poche settimane all'amicizia era subentrato un rancore velenoso, di cui Cicerone del resto fa oggetto quanti avevano contribuito al suo esilio o non si erano adoperati per evitarlo. Per ricostruire le vicende degli anni tumultuosi in cui Cicerone è condannato all'esilio e poi richiamato a Roma, e che coincidono con la formazione e il rinnovo del primo triunvirato, le fonti sono costituite in primo luogo dall'epistolario; dalle orazioni post reditum e in particolare post reditum in senatu, post reditum ad Quirites, de domo sua, de haruspicum responsis, pro Sestio, de prouinciis consularibus oltre naturalmente all'in Pisonem; dalle biografie di Cicerone, Cesare e Pompeo redatte da Plutarco; dalla biografia di Cesare redatta da Svetonio; dai libri 37-39 della Storia romana di Cassio Dione. 1 Cfr. l'argumentum di Asconio (p.1,1-3 Clark): haec oratio dicta est Cn. Pompeio Magno II M. Crasso II coss. ante paucos dies quam Cn. Pompeius ludos faceret quibus theatrum a se factum dedicauit «questo discorso è stato pronunciato durante il secondo consolato di Gneo Pompeo Magno e di Marco Crasso, pochi giorni prima che Gneo Pompeo offrisse i giochi di inaugurazione del teatro che aveva costruito». 2 Cfr. Valerio Massimo 2,4,6 Cn. Pompeius ante omnes aquae per semitas decursu aestiuum minuit feruorem. 3 In red. in sen. 15 e 17 Cicerone definisce adfinitas il rapporto indiretto di parentela tra sé e Pisone.

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1. Il discorso contro Pisone 1.1. La data del discorso L'in Pisonem è stata pronunciata nel 55 poco prima che Pompeo, console con Crasso per la seconda volta, celebrasse l'inaugurazione del primo teatro in muratura edificato per sua iniziativa con giochi fastosi. A questi giochi Cicerone allude nel §65: «sono imminenti i giochi a memoria d'uomo più splendidi e magnifici, quali non soltanto non sono mai stati allestiti ma neppure sono in grado di immaginare in qualche modo che possano essere allestiti in futuro»1. Che l'avvenimento si collochi nell'estate si deduce sia da altri indizi sia dalla testimonianza di Valerio Massimo che in 2,4,6 informa: «Gneo Pompeo prima di ogni altro si è curato di attenuare il calore estivo facendo scorrere acqua attraverso canali»2. In base all'esame di tutti gli elementi utili per precisare la datazione la maggioranza degli studiosi colloca il discorso tra il luglio e il settembre. L'ostilità di Cicerone per Lucio Calpurnio Pisone Cesonino risale all'atteggiamento assunto da Pisone, console con Aulo Gabinio nel 58, in occasione dell'esilio dell'oratore, formalmente imposto da Clodio in qualità di tribuno della plebe ma preteso da Cesare con il consenso di Pompeo. Fino all'inizio del 58 i rapporti tra Cicerone e Pisone, esponente di un'illustre famiglia plebea della Cisalpina pervenuta alle più alte magistrature con il bisnonno e il nonno, erano stati amichevoli. Gaio Calpurnio Pisone Frugi, membro della gens Calpurnia sebbene non della familia Caesonina, aveva sposato Tullia, figlia di Cicerone3. Pisone aveva approvato l'azione energica svolta da Cicerone contro i Catilinari (§72) sebbene avesse rapporti di parentela con il congiurato Gaio Cornelio Cetego, ne aveva sollecitato l'appoggio per la candidatura al consolato dopo aver ottenuto al primo tentativo questura, edilità e pretura (§2), nei suoi primi atti di console gli aveva dimostrato deferenza (§11). Tuttavia nel corso di poche settimane all'amicizia era subentrato un rancore velenoso, di cui Cicerone del resto fa oggetto quanti avevano contribuito al suo esilio o non si erano adoperati per evitarlo. Per ricostruire le vicende degli anni tumultuosi in cui Cicerone è condannato all'esilio e poi richiamato a Roma, e che coincidono con la formazione e il rinnovo del primo triunvirato, le fonti sono costituite in primo luogo dall'epistolario; dalle orazioni post reditum e in particolare post reditum in senatu, post reditum ad Quirites, de domo sua, de haruspicum responsis, pro Sestio, de prouinciis consularibus oltre naturalmente all'in Pisonem; dalle biografie di Cicerone, Cesare e Pompeo redatte da Plutarco; dalla biografia di Cesare redatta da Svetonio; dai libri 37-39 della Storia romana di Cassio Dione.

1 Cfr. l'argumentum di Asconio (p.1,1-3 Clark): haec oratio dicta est Cn. Pompeio Magno II M. Crasso II coss. ante paucos dies quam Cn. Pompeius ludos faceret quibus theatrum a se factum dedicauit «questo discorso è stato pronunciato durante il secondo consolato di Gneo Pompeo Magno e di Marco Crasso, pochi giorni prima che Gneo Pompeo offrisse i giochi di inaugurazione del teatro che aveva costruito». 2 Cfr. Valerio Massimo 2,4,6 Cn. Pompeius ante omnes aquae per semitas decursu aestiuum minuit feruorem. 3 In red. in sen. 15 e 17 Cicerone definisce adfinitas il rapporto indiretto di parentela tra sé e Pisone.

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1.2. Le cause dell'esilio di Cicerone 1.2.1. I motivi giuridici Il pretesto per l'esilio di Cicerone è fornito dall'esecuzione dei Catilinari senza concedere loro il diritto di appellarsi al popolo4. Come si deduce da numerose fonti antiche e con la maggior ricchezza di particolari dalla quarta Catilinaria e dal de coniuratione Catilinae di Sallustio (50,3-55), il 5 dicembre del 63 Cicerone in qualità di console consulta il senato sulla pena da infliggere ai seguaci di Catilina catturati. Cesare propone di internarli a vita in municipi lontani da Roma e di confiscarne i beni, mentre Catone sostiene l'opportunità di condannarli a morte. Cicerone è indeciso: il suo rispetto per la legalità lo induce a esitare di fronte a una condanna che neghi agli imputati il ius prouocationis, per quanto convinto che i congiurati avessero perduto lo statuto di ciues diventando hostes publici; d'altra parte lo sollecitano alla pena capitale il consenso dei senatori alla tesi di Catone e l'interpretazione del senatusconsultum ultimum del 21 ottobre del 63 quale conferimento dei pieni poteri ai consoli: esso aveva consentito nel passato l'assoluzione sia di Lucio Opimio, che come console nel 121 aveva sterminato i seguaci di Gaio Gracco e ne aveva provocato il suicidio (§95), sia di Gaio Rabirio, accusato nel 63 dai populares di aver ucciso nel 100 il tribuno Lucio Apuleio Saturnino (§4). Ma neppure attribuendo al senato la funzione di arbitro Cicerone si mette al riparo da rappresaglie5, in quanto era controverso il diritto del senato di investire i consoli di pieni poteri sospendendo anche il ius prouocationis. Alla decisione possono aver contribuito anche motivi personali. Secondo il racconto di Plutarco (Cic. 20,1-3) la vigilia della seduta in cui il senato avrebbe dovuto decidere la sorte dei Catilinari Cicerone era incerto sulla posizione da assumere, consapevole che si sarebbe attirato l'ostilità dei populares se si fosse pronunciato in favore della pena di morte, l'accusa di debolezza se avesse avanzato la proposta di un castigo più mite. In quel giorno si celebrava nella sua casa, con la partecipazione delle Vestali e sotto la presidenza di sua moglie Terenzia, la festa annuale della Bona Dea. Narra il biografo che al termine dei sacrifici sull'altare una fiamma si era levata all'improvviso dalle ceneri. Le Vestali, interpretando il fenomeno come un presagio favorevole, avevano esortato Terenzia a incoraggiare il marito a prendere le decisioni più opportune6. Con l'esecuzione Cicerone fornisce agli antagonisti un motivo per perseguirlo. Per il periodo in cui Cesare è pretore e poi governatore in Spagna e Pompeo continua a occuparsi delle province orientali, il pericolo rimane latente; ma alla fine del 62 si verifica un episodio che contribuisce ad aggravarlo. 1.2.2. La vendetta di Clodio Nel dicembre, al termine della pretura di Cesare, scoppia uno scandalo di cui Clodio è il protagonista. Narra Plutarco in Caes. 9s. e in Cic. 28s. che giovanissimo Clodio si era innamorato di Pompea, moglie di Cesare, a propria volta non insensibile al suo fascino. Poiché era difficile avvicinarla per l'attenta sorveglianza esercitata dalla suocera Aurelia, durante la celebrazione della festa della Bona Dea, che nel 62 si svolgeva in casa di Cesare, pontefice massimo oltre che quell'anno pretore, e che escludeva rigorosamente la presenza di uomini, Clodio travestito da donna e con un'arpa in mano si era introdotto di notte nella casa con la complicità di un'ancella di Pompea. Mentre vagava per le stanze, che non conosceva, cercando di evitare le zone più illuminate, era

4 La prouocatio ad populum consisteva nel ricorso a un processo celebrato davanti ai comizi centuriati. 5 Questa consapevolezza emerge nel modo più chiaro da Catil. 4,9 e Sest. 47. 6 A quanto riferisce Servio in ecl. 8,105 nel de consulatu (fr.1 p.240 Soubiran) Cicerone anticipa l'episodio all'epoca che precede l'elezione al consolato, al fine evidente di prospettare tutta la sua azione di console in una dimensione provvidenziale.

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stato invitato a suonare da un'ancella di Aurelia che lo aveva scambiato per un'arpista. Al suo rifiuto l'ancella gli aveva chiesto chi fosse e, identificatolo come uomo dalla voce, aveva dato l'allarme. Aurelia aveva interrotto la cerimonia e scacciato Clodio; le matrone presenti avevano narrato ai mariti l'accaduto e il giorno successivo si era diffusa in tutta la città la notizia del sacrilegio commesso. Accusato formalmente di empietà, Clodio viene sottoposto a processo. Cesare, che aveva ripudiato Pompea con il pretesto che sua moglie non doveva essere neppure sfiorata dal sospetto, citato come testimone, dichiara di non avere alcuna informazione; Cicerone superando le proprie esitazioni per le insistenze di Terenzia, gelosa di Clodia, rende contro Clodio la propria testimonianza, smentendo l'alibi dell'imputato che sosteneva di essere stato fuori Roma nei giorni della festa della dea. L'assoluzione di Clodio, ottenuta per la pressione della folla sui giudici, pare un affronto a Cicerone, che prende a rivolgergli epigrammi insolenti e sia in senato sia nelle assemblee popolari tiene discorsi contro di lui. Clodio è troppo orgoglioso per non reagire e troppo abile per non conferire alla propria disavventura una dimensione politica: organizza riunioni pubbliche tumultuose che richiamavano l'attività dei Catilinari; nel 61 aggredisce Cicerone in senato ma è ridotto al silenzio; nel 60 al ritorno dalla questura in Sicilia rinnova i propri attacchi e soprattutto stringe con Cesare un'alleanza che gli avrebbe consentito di ottenere il tribunato, per quanto di nascita patrizia. 1.2.3. L'imprudenza di Cicerone Negli anni della formazione del triunvirato il comportamento di Cicerone appariva offensivo a molti nobiles, irritati dalla sua vanità e dal suo sarcasmo7. Pompeo in particolare era risentito per la pretesa di Cicerone di emendarlo dalla sua popularis leuitas (Att. 2,1,6), cioè dalla sua demagogia, per la continua esaltazione delle benemerenze verso lo stato acquisite con la repressione della congiura di Catilina e per il paragone tra la propria azione di console e le imprese militari del grande generale (§§72-75). Della scarsa chiaroveggenza di Cicerone, come della volontà di vendetta di Clodio, della diffidenza del senato verso Pompeo e perfino del proprio indebitamento con Crasso Cesare si avvale con scaltrezza. Consapevole che non avrebbe avuto il sostegno del senato per realizzare i propri progetti di riforma agraria e di lottizzazione dell'ager Campanus, rafforza il sostegno di cui godeva presso i populares mediante l'alleanza con Clodio. Per parte sua Pompeo, dopo aver celebrato nel settembre del 61 il trionfo per le vittoriose campagne contro i pirati e contro Mitridate, doveva ottenere dal senato la ratifica dell'assetto conferito alle province orientali e la distribuzione di terre ai veterani. Poiché i senatori erano riluttanti, in quanto i pieni poteri che gli erano stati assegnati nel 66 dalla legge Manilia erano stati in qualche modo imposti, anche per il discorso tenuto da Cicerone al popolo a supporto della legge, a Pompeo appare vantaggiosa l'alleanza con Cesare, che aveva approvato la legge Manilia e, al ritorno dalla propretura in Spagna, lo aveva riconciliato con Crasso, costretto ad assecondare la sua politica per recuperare le somme ingenti che gli aveva imprestato. Quale conseguenza immediata dell'alleanza tra i tre personaggi, ognuno dei quali perseguiva intenti diversi, Cesare ottiene il consolato per il 59. Nell'accordo Cesare compie numerosi tentativi per coinvolgere Cicerone, appartenente alla classe degli equites, di cui aveva l'appoggio sia in Italia sia in senato, e che attraverso le società dei pubblicani, appaltatrici della riscossione delle imposte, detenevano il controllo delle risorse dello stato. Nel dicembre del 60 gli propone la

7 I facete dicta di Cicerone sono editi in Garbarino 1984 pp.128-149.

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partecipazione al direttorio attraverso il comune amico Lucio Cornelio Balbo, assicurandogli che in ogni iniziativa sarebbe ricorso al consiglio suo e di Pompeo. Per quanto lusingato e ben consapevole dei vantaggi, Cicerone rifiuta temendo l'accusa di incoerenza, come chiarisce in una lettera ad Attico (2,3,3s.) in cui cita alcuni versi del de consulatu appena concluso (fr.8 p.246 Soubiran) e riferisce a sé con orgoglio il verso con cui Ettore in Il. 12,243 aveva replicato al consiglio di astenersi dall'assalto alle navi dei Greci in seguito a un presagio sfavorevole: «è stato a trovarmi Cornelio, intendo dire Cornelio Balbo, molto amico di Cesare, affermando che in ogni circostanza si sarebbe avvalso dei suggerimenti forniti da me e da Pompeo e si sarebbe adoperato per stabilire un'intesa tra Pompeo e Crasso. Ecco i vantaggi della proposta: il più stretto accordo con Pompeo e volendo anche con Cesare, la riconciliazione con gli avversari, la concordia con il popolo, la serenità della vecchiaia. Eppure mi turba la conclusione che ho dato al terzo libro del mio poema: "nel frattempo mantieni la rotta che hai seguito con virtù e con coraggio dalla prima giovinezza e fino al consolato e accresci la fama e la stima di cui godi presso le persone perbene". Poiché è stata Calliope in persona a prescrivermi questa condotta nell'opera in cui molti passi sono formulati secondo principi aristocratici, non credo che si possa dubitare che questa sia per me la norma costante: "il solo presagio favorevole è combattere per la patria"»8. Nell'estate del 59 Cesare rinnova a Cicerone gli inviti alla collaborazione, proponendogli prima di accompagnarlo in Gallia come suo legatus, incarico in seguito ricoperto dal fratello Quinto, e offrendogli in alternativa una libera legatio9, poi esortandolo a occupare il seggio resosi vacante nella commissione incaricata di applicare la riforma agraria, che considerava il provvedimento più significativo del suo consolato; e a ogni proposta Cicerone rifiuta per non tradire le proprie convinzioni e nel timore di incorrere nel biasimo dei senatori. Nella previsione che Cicerone, avverso alla sua politica, si sarebbe astenuto da ogni collaborazione con i triunviri, Cesare aveva assunto le contromisure opportune. Il giorno stesso in cui Cicerone nella difesa dell'ex collega Gaio Antonio Ibrida, imputato da Marco Celio Rufo formalmente non si sa di quale reato ma nella sostanza di connivenza con Catilina, deplorava la situazione politica, Cesare in qualità di console e di pontefice massimo e con l'assenso di Pompeo ratifica con la lex curiata il passaggio di Clodio alla plebe mediante un'adozione di comodo per permettergli di candidarsi al tribunato. Con il provvedimento, pericoloso per Cicerone contro cui Clodio avrebbe potuto dar sfogo al proprio rancore, Cesare si procura un prezioso supporto per l'anno successivo, poiché Clodio risulta eletto tribuno per il 58. Le alleanze intessute da Cesare coinvolgono i rapporti privati: all'inizio del 59 Cesare sposa la figlia di Pisone e Pompeo a propria volta sposa la figlia di Cesare. Il matrimonio con Calpurnia assicura a Cesare la fedeltà di Pisone, scelto come console insieme ad Aulo Gabinio per il 58, probabilmente con l'assenso del senato sia per il suo basso profilo politico sia per i suoi buoni rapporti con Cicerone. Per parte sua Gabinio

8 Cfr. Att. 2,3,3s. fuit apud me Cornelium, hunc dico Balbum, Caesaris familiarem. is adfirmabat illum omnibus in rebus meo et Pompei consilio usurum daturumque operam ut cum Pompeio Crassum coniungeret. hic sunt haec: coniunctio mihi summa cum Pompeio, si placet, etiam cum Caesare, reditus in gratiam cum inimicis, pax cum multitudine, senectutis otium. sed me kataklei;~ mea illa commouet quae est in libro tertio: «interea cursus, quos prima a parte iuuentae | quosque adeo consul uirtute animoque petisti, | hos retine atque auge famam laudesque bonorum». hoc mihi cum in eo libro in quo multa sunt scripta ajristokratikw§~ Calliope ipsa praescripserit, non opinor esse dubitandum quin semper nobis uideatur «ei|~ oijwno;~ a[risto~ ajmuvnasqai peri; pavtrh~». 9 La libera legatio consisteva in una missione accordata dal senato che permetteva a senatori con interessi personali in una provincia di recarvisi come legati con imperium, provvisti di un uiaticum per il viaggio e il soggiorno e scortati da lictores. Durante il consolato Cicerone, accogliendo le lamentele dei provinciali, aveva contrastato questo istituto, pubblico ma usato per fini privati.

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era un fedele sostenitore di Pompeo: nel 67 come tribuno aveva contribuito alla revoca a Lucio Licinio Lucullo del comando della guerra mitridatica e all'attribuzione a Pompeo del comando della guerra contro i pirati; alle campagne di Pompeo in oriente Gabinio aveva partecipato come legatus operando sul Tigri e in Giudea e al ritorno a Roma era stato eletto pretore per il 61. In questa situazione complessa l'intransigente rifiuto opposto da Cicerone alle proposte concilianti di Cesare costituisce una prova tanto di coerenza quanto di sottovalutazione del pericolo. Cicerone ritiene temporanea l'alleanza tra Clodio e Cesare, confida nel sostegno di Pompeo e nelle garanzie che aveva ottenuto da Clodio, formula un giudizio positivo sia su Gabinio e Pisone sia sulla maggioranza dei magistrati che sarebbero entrati in carica nel 58. Ma presto è costretto a constatare che Pompeo è impopolare e le sue assicurazioni di aiuto sono poco credibili. Rimane a Cicerone la fiducia nel favore dell'opinione pubblica, nella propria oratoria, nei meriti acquisiti come console. 1.3. La legge sull'esilio Il giorno stesso dell'entrata in carica, il 10 dicembre del 59, Clodio presenta quattro proposte di legge (§8s.). Per assicurarsi il favore della plebe urbana autorizza distribuzioni gratuite di grano (lex Clodia frumentaria); limita l'applicabilità delle antiche leges Aelia et Fufia che regolavano il ricorso all'obnuntiatio, cioè al diritto di un magistrato di vietare o sospendere i dibattiti di un'assemblea in base all'osservazione dei presagi (lex Clodia de auspiciis)10; ripristina il diritto di costituire associazioni private (i collegia), sebbene alcune di esse fossero stato sciolte negli anni precedenti quali strumento di corruzione e di violenza (lex Clodia de collegiis)11; limita il potere dei censori richiedendo l'accordo preventivo e il voto del consesso per radiare un senatore (lex Clodia de censoria notione). Queste misure sono approvate il 4 gennaio con il voto favorevole anche di Cicerone, che si era lasciato ingannare dal tribuno.

Dopo aver istituito nuovi collegia e allestito un arsenale presso il tempio di Castore nel foro (§11), tra gennaio e febbraio Clodio affronta il problema rappresentato da Cicerone, il cui allontamento da Roma era indifferibile in quanto la legislazione di Cesare era messa in discussione dai due pretori Gaio Memmio e Lucio Domizio Enobarbo (§79). Con il consenso di Pompeo, cui stava a cuore che le leggi del 59 non fossero revocate in quanto ne dipendeva la distribuzione di terre ai suoi veterani, Clodio presenta due proposte. Con la rogatio de capite ciuis Romani di valore anche retroattivo prevede l'interdictio aqua et igni e la confisca dei beni per chi avesse condannato o condannasse a morte un cittadino romano senza consentire che la sua colpevolezza fosse accertata dall'intervento popolare12. Con la rogatio de prouinciis consularibus assegna le province ai consoli in carica quando ne fosse scaduto il mandato: a Pisone la Macedonia e a Gabinio la Cilicia, in seguito sostituita con la Siria, in entrambi i casi con poteri straordinari. La contemporaneità delle due rogationes chiarisce la manovra di Clodio, poiché l'assegnazione nominativa delle province, di norma destinate ai consoli

10 Si ignora in quale misura la legge di Clodio abbia modificato le norme previste dalle leges Aelia et Fufia; l'ipotesi più probabile è che i comitia e i concilia plebis decidessero con un voto preliminare che non era possibile ricorrere all'obnuntiatio. 11 I collegia radunavano corporazioni di mestieri, fratellanze religiose e associazioni di quartiere, con frequenti sovrapposizioni tra queste tipologie, per lo più unite dal culto reso alle divinità dei crocicchi e dalla partecipazione alle festività dei Compitalia. 12 La formula dell'interdictio aqua et igni, cioè dei mezzi essenziali di sussistenza, era probabilmente connessa con le antiche pene sacrali di esclusione di un individuo dalla collettività. Essa impediva il ritorno a chi era stato condannato ad allontanarsi dalla propria città.

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dal senato prima della loro elezione, si configura quale ricompensa ai consoli per l'assenso alla presentazione ai comizi plebei della legge sull'esilio (§12). La minaccia esplicita suscita reazioni in senato e tra gli equites a Roma e in Italia. Una gran folla si raduna in Campidoglio e si propone di prendere il lutto e di difendere con ogni mezzo Cicerone, constatando con sdegno che i consoli erano d'accordo con Clodio; anche nella riunione del senato presieduta da Gabinio il tribuno Lucio Ninnio Quadrato esorta i senatori a vestirsi a lutto. Gabinio lo vieta e condanna Lucio Elio Lamia, che incitava gli equites a manifestare in favore di Cicerone, alla relegatio a 200 miglia da Roma (§17s. 23 e 64). Una delegazione di senatori eminenti fa visita a Pompeo, che li rinvia in modo evasivo ai consoli (§77), e Pisone si limita a dichiarare che, se Cicerone non si fosse sottomesso, non sarebbe stato possibile impedire sommosse sanguinose (§78). A Cicerone Pompeo neppure concede udienza, simulando di credere che tramasse per assassinarlo, in realtà rendendosi conto di essere vincolato dall'accordo con Cesare e al fine di evitare una spiegazione imbarazzante (§76). Da Pisone Cicerone è ricevuto con cortesia e tuttavia non dimentica il mercimonio tra l'assegnazione della provincia e l'approvazione della rogatio de capite ciuis Romani. Il voto sulla rogatio è preparato con abilità da Clodio, che convoca una contio nel circo Flaminio, al di fuori del pomerio, per consentire a Cesare di parteciparvi anche se rivestito dell'imperium proconsolare. Richiesti da Clodio del proprio parere sull'esecuzione dei Catilinari, Gabinio e Pisone rispondono di non approvare la crudeltà (§14) e, sebbene Cicerone non lo ricordi, anche Cesare si esprime in termini simili. I senatori, constatando l'impossibilità di opporsi sia ai triunviri sia ai magistrati, rinunciano alla difesa di Cicerone e perfino Catone gli sconsiglia di resistere. La solitudine in cui è lasciato l'oratore si spiega almeno in parte con la gelosia che molti membri dell'aristocrazia provavano per un homo nouus di successo, come riconosce Cicerone in Att. 3,9,2: nos non inimici sed inuidi perdiderunt «sono stati gli invidiosi, non gli avversari a causare la mia rovina». Come Catone gli suggeriva, Cicerone parte spontaneamente per l'esilio per evitare una prova di forza che avrebbe forse comportato molte morti. Un plebiscito gli consente di salire sul Campidoglio per dedicare una statuetta di Minerva cui era molto devoto, con un gesto che in seguito avrebbe assimilato a una deuotio della propria persona, forse il 19 marzo in coincidenza con l'inizio delle Quinquatrus che si celebravano in onore della dea sull'Aventino. La sera del medesimo giorno Cicerone lascia Roma13. La rogatio de capite ciuis Romani è approvata il giorno successivo; la casa sul Palatino e la villa a Tuscolo sono saccheggiate e date alle fiamme (§26) e il terreno su cui sorgeva la domus di Cicerone viene provocatoriamente consacrato alla Libertas. Poco dopo Clodio propone una legge specifica de exsilio Ciceronis (§30) che entra in vigore verso la fine di aprile. Non ancora appagato, provvede ad allontanare anche Catone, l'esponente di maggiore prestigio della fazione conservatrice, con un incarico diplomatico a Cipro considerato da Cicerone come un esilio virtuale. 1.4. Il richiamo dall'esilio Dell'esilio di Cicerone, consentito da Pompeo e voluto da Cesare, che si era affrettato a raggiungere la Gallia, era stato artefice Clodio. Ma la sua politica era opportunistica e la sua alleanza con i triunviri precaria. Già in aprile Clodio manifesta la propria ostilità verso Pompeo favorendo la fuga di un suo ostaggio, il figlio del re d'Armenia Tigrane, affidato alla sorveglianza del pretore Lucio Flavio, con l'intenzione di restituirlo dietro compenso al padre. Nello scontro tra i soldati del pretore e gli uomini di Clodio rimane 13 Sebbene la data della partenza per l'esilio di Cicerone non sia certa, gli studiosi concordano nel collocarla nel marzo del 58.

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ucciso un amico di Pompeo, che ingiunge a Gabinio di dichiarare a Clodio la propria indignazione. La presa di distanza del console dal tribuno rinnova i tumulti: Gabinio viene bastonato e i suoi fasci sono spezzati, mentre le bande di Clodio insorgono contro Pompeo. Il culmine dei disordini si raggiunge l'11 agosto, quando uno schiavo di Clodio armato di un pugnale è arrestato nel vestibolo del tempio di Castore dove il senato era riunito e dichiara il proposito di uccidere Pompeo: Pompeo, che aveva il terrore di essere assassinato, si chiude in casa senza più uscirne fino alla scadenza del mandato dei tribuni (§§16 e 27-29); tuttavia, poiché Cesare non era ancora disposto a consentire il ritorno di Cicerone, i consoli non adottano nessuna misura contro Clodio. Molti senatori si rallegrano della tensione che pareva preliminare alla frattura tra Cesare e Pompeo; eppure si protrae a lungo una situazione di stallo in quanto i consoli, vincolati da una clausola della lex de exsilio che vietava discussioni su Cicerone in senato, non mettono all'ordine del giorno le mozioni presentate dagli amici dell'oratore e i senatori rifiutano di svolgere la consueta attività finché non si fosse preso in esame il caso (§29). Il 1 giugno Lucio Ninnio Quadrato, che nel collegio dei tribuni del 58 era il più favorevole a Cicerone, ne propone il richiamo dall'esilio approfittando dell'assenza di Clodio e probabilmente con il favore di Pompeo. La proposta è approvata all'unanimità dal senato, ma ad essa il tribuno Elio Ligure oppone la propria intercessio impedendo al senato di emanare un decreto che invalidasse la legge di Clodio14; e ancora il veto è opposto o da Clodio o da Elio Ligure a una rogatio in favore di Cicerone presentata il 29 ottobre da otto tribuni e sostenuta apertamente da Pompeo15. Con le elezioni del mese di luglio pare delinearsi per Cicerone una situazione migliore poiché i magistrati che sarebbero entrati in carica nel 57 non gli erano ostili. Dei due consoli designati Publio Cornelio Lentulo Spinther gli era amico e Quinto Cecilio Metello Nepote, che come tribuno aveva impedito a Cicerone di parlare alla fine del consolato, si dichiarava disposto a dimenticare il proprio rancore per il bene dello stato (§6 e 35)16. Inoltre le intimidazioni di Clodio inducono al tentativo di abrogarne o almeno renderne inefficaci le leggi17. Ma per risolvere la difficoltà era necessario l'assenso di Cesare. Publio Sestio, uno dei tribuni designati per il 57, viene incaricato di raggiungerlo e lo incontra nella Cisalpina probabilmente nell'ottobre; sull'ambasciata Cicerone non dà informazioni: si suppone che Cesare si fosse dichiarato disposto a richiamarlo dall'esilio a condizione che non ostacolasse la legge agraria e non operasse per interrompere il suo proconsolato (§80). All'entrata in carica il console Lentulo nella seduta del senato riunito nel tempio di Giove propone di abrogare per legge la lex de exsilio Ciceronis. Il primo oratore, Lucio

14 L'intercessio consiste nel diritto di veto che, su richiesta di un plebeo i cui interessi erano stati violati, permetteva a un tribuno di paralizzare l'attività di ogni altro magistrato fuorché dei censori. Per la par potestas un tribuno dissenziente poteva opporre il veto alle iniziative dei colleghi. 15 L'ampio esame dedicato alla proposta in Att. 3,23 permette di ricostruirne il testo: il primo caput riguardava il ritorno a Roma e la restituzione della cittadinanza e del rango senatorio; il secondo consisteva in una sanctio, cioè in una serie di clausole con cui i proponenti tutelavano il provvedimento sia da leggi anteriori, in particolare dalla lex de exsilio, sia da future iniziative contrarie; il terzo confutava l'ipotesi che la proposta di legge formulata potesse essere illegale. Cicerone critica il testo, sospettandolo un raggiro dei suoi avversari. 16 Dell'episodio Cicerone fornisce un resoconto risentito e al tempo stesso colmo di orgoglio al fratello del console del 57, Quinto Cecilio Metello Celere, in fam. 5,2,7: poiché gli aveva impedito di rivolgere al popolo il consueto discorso di consuntivo e l'aveva costretto a limitarsi al giuramento di rito, egli ne aveva innovato la formula proclamando di aver salvato la patria. E poiché le sue parole erano state sottoscritte con entusiasmo dai presenti, era abilmente riuscito a trasformare una gravissima offesa in un corale attestato di stima. 17 Nell'agosto del 58 il tribuno Quinto Terenzio Culleone definisce illegale la legge di Clodio in cui Cicerone era condannato esplicitamente all'esilio in quanto essa costituiva un priuilegium, un provvedimento ad personam, contrario alla tradizione.

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Aurelio Cotta, sostiene che una legge sarebbe risultata superflua poiché quella di Clodio non era valida e che il richiamo di Cicerone sarebbe potuto avvenire senatus auctoritate, cioè in virtù del potere del senato. Pompeo si dichiara d'accordo, ma richiede una ratifica del decreto senatorio da parte del popolo. Tutti si dimostrano favorevoli; soltanto il tribuno Sesto Atilio Serrano chiede una notte di riflessione e il giorno seguente oppone il veto. Il senato decide di sottoporre ugualmente una proposta di legge al popolo: essa viene formulata dal tribuno Quinto Fabrizio che con un collega convoca per il 23 gennaio il concilium plebis. Clodio aveva riempito di armati il foro e cominciano scontri che degenerano in una sommossa in cui è coinvolto anche Quinto Cicerone. Per qualche mese Roma è in preda ai disordini e Pompeo, che si prospetta come il difensore di Cicerone per l'odio comune verso Clodio, è costretto ad adottare una nuova strategia. L'anno precedente Pisone era stato duunviro a Capua (§24) e Pompeo gli era subentrato all'inizio del 57. Gli abitanti della città erano molto riconoscenti a Cicerone, che nel 63 li aveva difesi con l'invio di un presidio militare dal tentativo dei Catilinari di provocare una rivolta di gladiatori (§25). Pompeo si avvale della circostanza per ottenere dal senato locale una delibera favorevole al ritorno di Cicerone, non tanto per amicizia per l'oratore quanto per dimostrare che le sue difficoltà con i populares di Roma non si riflettevano nelle altre città. Molti municipi seguono l'esempio di Capua e molte associazioni di equites approvano decreti in onore di Cicerone (§41).

Forse all'inizio di maggio Lentulo fa votare dal senato un decreto che raccomanda ufficialmente il richiamo di Cicerone ai governatori delle province e invita i cittadini dei municipi a confluire a Roma per partecipare al voto che avrebbe consentito all'oratore il ritorno (§34). Tra il 6 e l'8 luglio Pompeo in una seduta del senato in Campidoglio fa attribuire a Cicerone il titolo di salvatore della patria e il giorno successivo è redatto un senatusconsultum per eliminare ogni ostacolo alla convocazione dei comizi centuriati, cui Lentulo e Metello presentano la rogatio per il richiamo dell'esule insieme con alcune specifiche misure di tutela. Il 4 agosto i comizi votano all'unanimità la lex Cornelia Caecilia de reuocando Cicerone che, con l'eccezione di un pretore e di due tribuni, tutti i magistrati avevano sottoscritto (§35s.). 1.5. Tra il ritorno dall'esilio e l'in Pisonem Cicerone, sbarcato a Brindisi il giorno dopo la votazione della legge sul suo richiamo, è accolto dalle acclamazioni della folla; le manifestazioni di entusiasmo si rinnovano durante il percorso verso la capitale, che occupa tutto il mese di agosto. Il 4 settembre Cicerone fa il suo ingresso trionfale a Roma dalla porta Capena ricevendo l'omaggio della cittadinanza e dei magistrati. Nei giorni successivi è deliberata la ricostruzione della domus sul Palatino a spese dello stato, con un provvedimento onorifico senza precedenti (§51s.). Nel discorso di ringraziamento al senato, pronunciato il 5 settembre, e in quello rivolto al popolo, di data incerta, si annunciano i temi continuamente ripresi nelle opere posteriori all'esilio fino allo scoppio della guerra civile. In esse, oltre a manifestare la propria riconoscenza, Cicerone si adopera per ricostituire quel movimento basato sull'accordo tra nobiles ed equites che la convergenza di interessi tra i triunviri e Clodio aveva ridotto al silenzio e manifesta il proprio risentimento sia per il tribuno sia per i consoli che lo avevano assecondato. Questi motivi sono comuni a de domo (settembre 57), de haruspicum responsis (aprile-maggio 56), de prouinciis consularibus (maggio-giugno 56) e perfino alla pro Sestio (marzo 56), in cui l'oratore difende con successo il tribuno, che si era adoperato senza risparmio in suo favore, in un processo de ui in cui era accusato di aver organizzato bande armate da opporre a quelle di Clodio. Cicerone

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vuole sia vendicarsi sia recuperare il proprio posto di primo piano nella vita politica, prospettando l'esilio di cui era stato vittima come più glorioso di qualsiasi trionfo (§32 e 35) e i disordini di quegli anni come prodotti soltanto dalle controversie sul suo richiamo, con una deformazione della realtà suggerita dall'intento di porsi come arbitro tra Cesare e Pompeo. Tuttavia la crisi non si esaurisce con il suo ritorno. Clodio continua a perseguire l'oratore opponendosi con la violenza alla ricostruzione della sua casa e organizzando contro di lui autentici agguati; Sestio e il collega Tito Annio Milone replicano alle aggressioni; i senatori si sforzano inutilmente di ristabilire l'ordine. Nel marzo Cicerone ottiene un risultato utile a sé e a Pompeo con l'assoluzione di Sestio; ma quando dichiara la propria ostilità alle misure prese da Cesare in Campania in applicazione della legge agraria, la violazione di una delle condizioni indicate per il suo ritorno operata contando sull'insofferenza di Crasso e sulle difficoltà di Pompeo, incaricato di provvedere all'annona in un periodo di carestia, induce Cesare a reagire con un'iniziativa volta a rinegoziare il triunvirato e ad assumervi una posizione di chiara preminenza. Nell'aprile del 56 a Lucca, dove magistrati e senatori convergono in folla, i triunviri si incontrano: l'accordo prevede che Pompeo e Crasso avrebbero ricoperto il consolato nel 55 e un proconsolato quinquennale, Pompeo nelle due Spagne e Crasso in Siria; a Cesare sarebbe stato rinnovato per cinque anni il proconsolato in Gallia. A Cicerone Pompeo ingiunge di non occuparsi della riforma agraria e Cicerone per quanto amareggiato si adatta, anzi – come dichiara in Att. 4,5,1 – si rassegna a una subturpicula… palinw/diva, a una ritrattazione piuttosto umiliante, del resto attenendosi ai consigli di Attico e del fratello18. Con ogni probabilità la palinodia, se non coincide, almeno è connessa con il de prouinciis consularibus pronunciato in maggio o giugno, in cui è evidente il mutamento della politica di Cicerone, che dimostra il proprio consenso alle decisioni di Lucca e rivolge a Cesare elogi calorosi. Peraltro l'allineamento ai triunviri non gli impedisce di mantenere una certa indipendenza: nel medesimo discorso, mentre si sottomette a Cesare, si vendica di Gabinio e Pisone e, mentre sostiene l'opportunità di prorogare il proconsolato in Gallia, propone di revocare quello dei consoli del 58 tracciandone un ritratto tanto feroce quanto caricaturale. Soprattutto l'attacco a Pisone dimostra al di là del rancore l'insofferenza di Cicerone verso i triunviri e in particolare verso Cesare, che di Pisone aveva sposato la figlia senza dubbio per assicurarsi un console fedele quanto Gabinio a Pompeo, ma forse anche per altri motivi. La parentela con Pisone, seguace dell'epicureismo e patrono di Filodemo di Gadara, esponente prestigioso della scuola e autore sia di epigrammi sia di numerosi trattati, molti dei quali rinvenuti nella villa dei Pisoni a Ercolano19, conciliava a Cesare il favore degli epicurei, che potevano contribuire alla sua propaganda sia per il loro rispetto dei vincoli d'amicizia sia per la sintonia con la sua politica. Sulla scelta di Cesare deve aver influito anche la circostanza che Pisone per parte di madre apparteneva alla borghesia di Piacenza nella Gallia Cisalpina. Sebbene Cicerone schernisca in ogni occasione le origini provinciali di Pisone, la sua famiglia doveva godere di un prestigio sufficiente perché un membro della gens Calpurnia giudicasse utile la parentela; inoltre la romanizzazione della Cisalpina costituiva uno degli obiettivi

18 Dello stato d'animo con cui Cicerone si adegua alla volontà di Cesare e alle imposizioni di Pompeo costituisce un documento eloquente una lettera a Lentulo del gennaio del 54: cfr. fam. 1,9 e in particolare §9s. 19 Nel discorso Cicerone dà prova di misura verso Filodemo (§§68-72a) e distingue con cura tra la versione volgare dell'epicureismo, cui si sarebbe attenuto Pisone, e la versione autentica della dottrina, anche per non offendere gli amici Attico e Lucio Manlio Torquato, governatore in Macedonia nel 64-63.

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prioritari del programma di Cesare, che intendeva procurarsi nell'Italia settentrionale una clientela equivalente a quella di Pompeo nell'Italia centrale. Non diversamente che nell'in Pisonem, anche nel de prouinciis consularibus Cicerone rimprovera con acrimonia ai consoli del 58 sia la collaborazione accordata a Clodio per il suo esilio20 sia l'attività di governatori. La Macedonia era stata assegnata come provincia a Pisone dal concilium plebis e le modalità dell'incarico erano state stabilite dalla lex Clodia de prouinciis consularibus. La circostanza da un lato rendeva difficile la sua destituzione da parte del senato, dall'altro gli impediva di ricorrere al senato per sollecitare un supplemento di fondi o di truppe. Pisone poteva disporre di uno stanziamento cospicuo (§86) e di un esercito ingente (§37 e 57) e gli erano stati attribuiti ampi poteri che Cicerone definisce infinitum imperium in dom. 55; in particolare aveva autorità sulle liberae ciuitates della Grecia (§37 e 90), la cui situazione era mal definita. È possibile che la lex Clodia avesse regolato il diritto di imporre tasse alle città formalmente libere; certo esentava Pisone dal rispetto del divieto ai magistrati di intervenire in favore dei finanzieri romani che volessero recuperare i propri crediti, incluso nella lex Iulia de pecuniis repetundis (prou. 7)21. Sotto il profilo strategico la Macedonia, attraversata dalla uia Egnatia che da Durazzo sulle coste dell'Epiro raggiungeva Bisanzio (§40), non avendo confini definiti era teatro di guerre continue per respingere le incursioni dei popoli circostanti. Le campagne condotte dai governatori precedenti avevano permesso ai Romani di estendere verso oriente la loro rete di alleanze ma non si erano concluse con successi decisivi, nonostante i numerosi trionfi accordati, e l'affermazione di prou. 4s. che la regione era pacifica appare inattendibile. Con una distorsione sistematica dei fatti intesa a vendicarsi ottenendo la destituzione di Pisone e di Gabinio, Cicerone ne attacca il proconsolato sotto ogni aspetto. A Pisone rimprovera in ambito amministrativo di essersi appropriato dei fondi stanziati per allestire l'esercito senza fornirne prove; di aver imposto tributi straordinari sebbene costituisse una prassi usuale in tempo di guerra; di aver incaricato i propri ufficiali di riscuotere le imposte tacendo che in questo modo sottraeva i provinciali alla rapacità dei pubblicani; di aver attinto alle tasse per corrispondere, seppure in misura incompleta e con cadenza irregolare, lo stipendio ai soldati; di aver accettato denaro in cambio del permesso di transito e di soggiorno e perfino della nomina dei centurioni; di aver requisito quantità ingenti di grano per sfamare le truppe e di bestiame per sostituire le parti in cuoio dell'armatura; di aver compiuto razzie spudorate e trattenuto per sé una parte esorbitante del bottino. L'esercizio dell'attività giudiziaria sarebbe stato condizionato dalla corruzione: in questa chiave Cicerone prospetta tanto le condanne del capo della tribù dei Bessi e del suo ospite all'arrivo a Durazzo, probabilmente implicato in attività eversive, quanto la consegna ai cittadini di Apollonia del cavaliere Fufidio cui erano debitori, forse per sottrarli alle sue estersioni22. L'attività militare, considerata da Cicerone disastrosa, deve essersi svolta con alterne fortune. La spedizione contro i Denseleti che abitavano nell'alta valle dello Strimone pare a Cicerone ingiustificata, in

20 Sull'attività consolare di Gabinio e di Pisone le notizie sono scarse: come altri magistrati del periodo essi prendono misure repressive contro i culti egiziani che avevano a Roma una diffusione crescente e in settembre ottengono l'approvazione della lex Gabinia Calpurnia che esentava Delo dai portoria fino a quel momento corrisposti. La legge testimonia l'interesse dei due consoli per le province orientali, in quanto Delo amministrativamente connessa con la Macedonia era coinvolta nei commerci siriani. Per le rispettive province i due consoli partono probabilmente nella seconda metà di novembre (§31). 21 Cicerone critica il provvedimento che danneggiava Attico, creditore verso Sicione di una somma cospicua (Att. 1,19,1), e interviene in suo favore presso l'ex collega nel consolato Antonio mentre era proconsole in Macedonia (fam. 5,5,3). 22 Il Fufidio ricco banchiere di Arpino citato da Cicerone in una lettera al fratello (3,1,3) potrebbe essere identificato con l'usuraio Fufidio presentato da Orazio quale prototipo di stultitia in serm. 1,2,12-22.

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quanto quel popolo era alleato di Roma. Non soltanto priva di risultati ma rovinosa è giudicata la spedizione in cui era stato distrutto il tempio di una divinità della Tracia identificata con Zeus: i Denseleti erano dilagati verso il sud minacciando la uia Egnatia e costringendo i cittadini a evacuare Tessalonica e anche i Dardani, che abitavano lungo il corso superiore dell'Assio, avevano compiuto scorrerie. Alle proposte di aiuto dei Bessi, stanziati nella valle dell'Ebro, Pisone aveva risposto facendone uccidere gli emissari e gli dei per punizione avrebbero decimato l'esercito romano, già stremato dal freddo e dalla fame, con un'epidemia. Dopo un arruolamento di truppe a Bisanzio per colmare i vuoti dell'organico i legati di Pisone avevano ottenuto una grande vittoria: il governatore era stato acclamato imperator e nella provincia erano stati innalzati monumenti trionfali. Dopo questo successo, inutile era stata una spedizione in direzione del mar Nero e si era verificata una sollevazione in Etolia. In queste circostanze la smobilitazione dell'esercito decisa da Pisone al momento del richiamo pare a Cicerone un gesto irresponsabile, mentre con maggiori probabilità può essere intesa come una prova che la provincia non era in pericolo; del resto non si hanno notizie di sollevazioni in Tracia negli anni successivi23. Risulta da Asconio che l'invettiva contro Pisone costituisce una replica al discorso pronunciato dal proconsole al ritorno a Roma, dopo esser stato richiamato dalla Macedonia anche per le pressioni di Cicerone24. Pisone, risentito per la violenta requisitoria del de prouinciis consularibus in cui Cicerone gli aveva rimproverato la condotta tenuta come console e la gestione disastrosa del proconsolato, giunto a Roma chiede conto dell'attacco e, a quanto si può dedurre dai temi sviluppati da Cicerone, istituisce un confronto tra sé e l'antagonista. Opponendo le difficoltà che Cicerone aveva dovuto affrontare come homo nouus alla fluidità della propria carriera sottolinea di essere stato eletto alle cariche pubbliche alla prima candidatura, con una serie di successi impensabile se fosse stato il vizioso che Cicerone pretendeva. Nella giustificazione del proprio atteggiamento durante il consolato denuncia le contraddizioni di Cicerone: se davvero l'opinione pubblica gli fosse stata favorevole, non avrebbe avuto bisogno dell'appoggio dei consoli (§18); e dopo aver fatto l'elogio del consolato di Cicerone (§72), gli rimprovera di attaccare i consoli del 58 e non i veri responsabili del suo esilio. Con un certo compiacimento maligno Pisone insiste sull'irritazione di Pompeo per l'esaltazione del consolato del 63, i cui meriti parevano a Cicerone superiori alle vittorie militari e alla conquista di nuove province (§§72-75); e rinnovando le frizioni tra Cicerone e Pompeo Pisone tende con abilità a impedirne il riavvicinamento, sempre pericoloso per Cesare. Della difesa del proconsolato Cicerone non riproduce gli argomenti; ma almeno un elemento risulta chiaro. Dopo aver ammesso le gravi perdite subite sia per l'azione dei nemici sia per l'epidemia, Pisone dichiara, a quanto è riferito nel §98, non euentis sed factis cuiusque fortunam ponderari «che la sorte di ciascuno si misura non dai risultati ma dalle azioni», sfidando Cicerone a farsi promotore di un processo contro di lui. E Cicerone,

23 Per l'attività di Pisone in Macedonia cfr. in particolare §§83-94a e prou. 3-8. 24 Cfr. Asconio p.1,8-15 Clark che, in disaccordo con un altro interprete che collocava il discorso di Cicerone nel 54, dichiara: ut ego ab eo dissentiam facit primum quod Piso reuersus est ex prouincia Pompeio et Crasso consulibus, Gabinius Domitio et Appio; hanc autem orationem dictam ante Gabini reditum ex ipsa manifestum est. deinde magis quoque naturale est ut Piso recenti reditu inuectus sit in Ciceronem responderitque insectationi eius qua reuocatus erat ex prouincia, quam post anni interuallum «provoca il mio dissenso da lui in primo luogo la circostanza che Pisone è tornato dalla provincia durante il consolato di Pompeo e Crasso [cioè nel 55], Gabinio durante quello di [Lucio] Domizio [Enobarbo] e di Appio [Claudio Pulcro, cioè nel 54]; e che questo discorso sia stato pronunciato prima del ritorno di Gabinio risulta evidente dal discorso stesso. In secondo luogo che Pisone subito dopo il ritorno abbia aggredito Cicerone e abbia replicato all'attacco per cui era stato richiamato dalla provincia è ben più comprensibile che dopo l'intervallo di un anno».

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che aveva minacciato di intraprendere un'azione legale, alla provocazione replica con un certo imbarazzo di attendere la riforma della legge giudiziaria e di voler evitare preoccupazioni a Cesare25. 1.6. Genere e struttura del discorso La deformazione sistematica che Cicerone opera del proprio avversario in sua presenza e di fronte al senato, ben informato dei fatti sebbene a Pisone sia rimproverato più volte di non aver mai inviato a Roma una resoconto del proprio proconsolato, mentre documenta l'acrimonia e il risentimento dell'oratore, non pretende credibilità o almeno credibilità completa. L'esagerazione talvolta spinta fino all'assurdo, l'insulto, la calunnia rientrano nelle norme del genere dell'invettiva in cui, almeno nella redazione scritta, l'in Pisonem si inserisce. I temi convenzionali del genere si possono individuare in ambiente greco nella poesia giambica arcaica e nella commedia di Aristofane ed emergono con evidenza forse maggiore nella tradizione romana, ben prima di essere codificati dalla normativa retorica e poetica. Lo provano l'onomastica dedotta dai difetti fisici, i divieti opposti alla diffamazione dalle XII Tavole, i canti sfrontati in occasione di nozze e trionfi, le maledizioni pittoresche delle tabellae defixionis e in ambito letterario le insolenze colorite di Plauto e di Lucilio. L'invettiva politica raggiunge la maggiore diffusione nella tarda repubblica, come si deduce dai carmi velenosi rivolti da Catullo e da altri neoterici soprattutto contro Cesare e il suo entourage, dallo scambio di libelli feroci attribuiti rispettivamente a Sallustio e a Cicerone, dagli Anticatones con cui Cesare replica all'elogio che dopo il suicidio Cicerone aveva redatto di Catone Uticense. Nel repertorio delle critiche rientra l'ambiente di provenienza: si possono formulare ipotesi di un'origine servile anche senza pretesa di plausibilità, si può rilevare con scherno la provenienza rustica o straniera dell'antagonista, si può denigrare l'attività del padre o, se si tratta di un personaggio ben conosciuto, si possono inventare calunnie sulla madre e ricostruire l'atmosfera corrotta della famiglia. Neppure antenati illustri mettono al riparo da censure, perché la gloria del passato può servire quale termine di paragone sfavorevole al discendente degenere. Motivi di derisione e di biasimo sono forniti dai difetti psichici, dall'aspetto fisico, dalla cura o dalla trascuratezza della propria persona, dal modo di atteggiarsi, dalla professione esercitata, dagli svaghi preferiti. Ma per lo più le accuse si concentrano sulla moralità dell'avversario, cui vengono imputati i vizi più ripugnanti; e quando la sua condotta è comunemente giudicata integerrima, lo si prospetta come un ipocrita e si inventano calunnie senza remora. Se il destinatario dell'aggressione è incolto, se ne schernisce l'gnoranza; se al contrario è provvisto di cultura, si critica la dottrina filosofica professata o la predilezione per un determinato tipo d'arte e di letteratura, o ancora se ne mette in dubbio la competenza insinuando che l'adesione a una scuola e il rispetto per le manifestazioni dell'ingenium si risolvano in ostentazione o peggio servano a dissimulare una natura insensibile e corrotta. Se poi l'obiettivo polemico è un personaggio di rilievo nella vita pubblica, dei suoi progetti e dei suoi atti si propone l'interpretazione più malevola, riconducendo ogni iniziativa al più meschino interesse personale, 25 All'in Pisonem Pisone risponde a propria volta con un'invettiva diffusa tra il 55 e il 54. Poiché Quinto esortava il fratello a replicare, Cicerone in Q. fr. 3,1,11 rifiuta osservando con una certa supponenza che il suo libello sarebbe stato letto; al contrario se non vi avesse risposto, quello di Pisone sarebbe rimasto ignorato: miror tibi placere me ad eam [sc. orationem] rescribere, praesertim cum illam nemo lecturus sit si ego nihil rescripsero, meam in illum pueri omnes tamquam dictata perdiscant «mi stupisco che tu voglia che io replichi al suo libello, soprattutto perché nessuno lo leggerà se io non fornirò una replica; invece il mio libello contro di lui tutti i ragazzini lo impareranno a memoria come i testi dettati dai maestri».

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manifestando soddisfazione maligna per le difficoltà e gli insuccessi e attribuendo ad altri o alla fortuna il merito dei successi. Da questa produzione libellistica, che consentiva manipolazioni di ogni sorta intese non a convincere ma a diffamare, gli scaltriti politici della tarda repubblica raramente subivano discredito sia per assuefazione sia per senso dell'umorismo sia per l'abilità acquisita nel contraccambiare. Del resto anche in questa forma si esercitava la lotta politica, si praticava la virtù repubblicana della libertas, si delineava attraverso la rappresentazione del suo contrario il modello del ciuis Romanus. La topica dell'invettiva nell'in Pisonem è inserita nello schema retorico della suvgkrisi~, del confronto tra locutore e destinatario, che con alcune digressioni si sviluppa dal §3 al §72. Esso è annunciato in forma negativa al §3 («non parlerò per fare un confronto, e tuttavia dovrò considerare insieme cose separate da una distanza abissale») ma è già implicito nel §2, che costituisce una sorta di introduzione particolare alla lunga sezione. Il confronto comprende una serie di temi: 1. i rispettivi consolati 1.1. le condizioni dell'elezione al consolato §3 1.2. la gestione del consolato 1.2.1. di Cicerone §§4-7 1.2.2. di Pisone §§8-30 L'evocazione del consolato di Pisone dà luogo a sviluppi che offuscano la linea generale del discorso, di cui tuttavia si possono distinguere diverse sezioni: 1.2.2.1. «non sto ancora parlando di quello che hai fatto, ma di quello che hai permesso che si facesse» (§10) §§8-11a 1.2.2.2. atteggiamento verso Cicerone §§11b-22 La sezione è interrotta dalla digressione (cfr. §17 «ma adesso ritorno al tuo bel discorso davanti all'assemblea popolare») sull'atteggiamento che Pisone avrebbe assunto se fosse stato console al momento della congiura di Catilina 1.2.2.3. né Pisone né Gabinio hanno esercitato in modo autonomo il consolato 1.2.2.3.1. né prima dell'esilio di Cicerone §§23-25 1.2.2.3.2. né dopo l'esilio di Cicerone §§26-30 La dimostrazione poggia su una sorta di narratio che ripercorre in ordine cronologico gli avvenimenti del 58. Riprende poi il tema del confronto 1.3. la partenza dei due consoli del 58 e quella di Cicerone §§31-33 1.4. l'assenza 1.4.1. di Cicerone §§34-36 1.4.2. di Gabinio e Pisone §§37-50 In questa sezione si colloca un ampio sviluppo sulla punizione, nel presupposto che il proconsolato abbia costituito per Gabinio e Pisone un autentico castigo 1.5. il ritorno 1.5.1. di Cicerone §51s. 1.5.2. di Pisone §§53-55 Sull'evocazione del ritorno vergognoso di Pisone si innesta un'altercatio fittizia (§§56-63) sul trionfo 1.6. la vita quotidiana a Roma di Cicerone e di Pisone §§64-72a Il confronto è appena abbozzato, come se la condotta di Cicerone a Roma fosse troppo nota perché fosse necessario parlarne; per contro l'oratore insiste sull'esistenza miserabile di Pisone, seguace dell'epicureismo e amico di Filodemo (§§68-72a).

Nella sezione (2), dedicata alle cause dell'esilio, l'oratore espone la tesi di Pisone, che ne attribuisce la responsabilità non a sé ma a Cesare e a Pompeo: 2.1. la pretesa gelosia di Pompeo §§72b-78 2.2. la pretesa ostilità di Cesare §§79-82 Nella sezione (3), dedicata alle accuse contro Pisone, l'oratore non soltanto sostiene che Pisone cerca di stornare da sé la sua collera deviandola contro Cesare, ma in qualche modo trasforma il discorso davanti al senato in un'arringa davanti al tribunale (cfr. §82 «domandavi

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per quale motivo non presentassi un'accusa contro di te»). L'apostrofe patres conscripti, ripetuta lungo tutto il discorso, compare per l'ultima volta nel §81, mentre nel §94 Cicerone cita i giudici davanti a cui Pisone sarebbe stato tradotto quando la situazione lo avesse consentito per rispondere di una serie di capi d'accusa puntuali: 3.1. l'incapacità come imperator §83s. 3.2. le malversazioni §§85-91 3.3. l'odio delle truppe §92s. 3.4. pronostico della punizione §94 La sezione (4) che occupa i §§95-99 costituisce la perorazione. Nel discorso alcune idee generali scandiscono un'ampia narratio degli eventi compresi tra l'entrata in carica di Pisone e il suo ritorno dalla Macedonia. L'ordine dell'esposizione è chiaro nella prima sezione impostata sul confronto; che al resoconto ordinato seguano senza transizione l'analisi delle cause dell'esilio di Cicerone (sezione 2) e la rassegna delle colpe di Pisone (sezione 3) forse corrisponde ai diversi momenti dell'intervento di Pisone. Nella perorazione del resto i due discorsi paiono corrispondere: Pisone aveva sfidato l'avversario a presentare un'accusa formale e Cicerone replica che essa, sebbene inutile in quanto la condanna era già stata emessa e Pisone per il discredito di cui era oggetto subiva già la pena dei suoi crimini, sarebbe stata formulata al momento opportuno.

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2. Epilogo dell'esordio La parte continua del discorso pare concludere la sezione proemiale di cui rimangono soltanto frammenti conservati per tradizione indiretta. Nel §1 Pisone, insolentito con violenza mediante il ricorso a luoghi comuni dell'invettiva, è accusato di aver ottenuto il consolato con l'ipocrisia, nascondendo i propri difetti e la mancanza di meriti civili e militari con l'austerità dell'aspetto e l'illustre tradizione familiare:

e adesso vedi, bestia feroce, adesso senti quale sia la deplorazione della gente per il tuo volto? nessuno deplora che non so quale Siriano proveniente dalla schiera degli schiavi appena importati sia diventato console, perché a ingannarci non sono stati né il tuo colorito da schiavo né le guance ispide né i denti guasti; sono stati gli occhi, le sopracciglia, la fronte, in una parola tutto quanto il volto, che è una sorta di linguaggio muto dell'animo, a indurre la gente in errore, è stato questo a ingannare, a fuorviare, a illudere quanti non ti conoscevano. Eravamo in pochi a conoscere i tuoi vizi abietti, l'ottusità della tua mente, il torpore e l'impaccio della tua lingua. Mai si era udita la tua voce nel foro, mai si era messa alla prova la tua capacità di giudizio, nessun'azione non dico famosa ma neppure conosciuta né militare né civile. Sei strisciato in modo furtivo fino alle cariche pubbliche grazie all'errore della gente, alla raccomandazione delle immagini degli antenati annerite dal fumo, con cui non hai nulla di simile all'infuori del colore.

Il primo appellativo con cui l'oratore apostrofa Pisone è belua, che ne evoca l'indole selvatica e feroce1. La sua malvagità si è manifestata nell'esercizio del consolato e i cittadini che glielo avevano conferito, convinti che la sua fisionomia austera costituisse una garanzia di buon governo, lamentano la contraddizione tra il suo aspetto e il suo comportamento (querela frontis tuae). Con un'argomentazione il cui brio dissimula una certa incoerenza, Cicerone rileva come gli elettori siano stati ingannati non dai caratteri fisici (il colorito scuro, le guance non rasate, i denti guasti) che rinviano a un'origine servile e denotano trascuratezza per la propria persona, ma dall'espressione severa del volto, analizzato negli elementi più significativi (gli occhi, le sopracciglia, la fronte)2 e prospettato in conformità con la convinzione comune quale riflesso dell'atteggiamento interiore (sermo quidam tacitus mentis)3. La pelle scura suggerisce l'origine straniera e servile di Pisone4 per analogia con il colorito degli schiavi provenienti dall'oriente o dall'Africa. Nella notazione non ha rilievo tanto l'etnia di Pisone, discendente in linea materna da un Gallo Insubre che

1 L'epiteto è ripetuto nel §8 e altre insolenze attinte al mondo animale ricorrono altrove: nel fr.9 e nel §19 e 72 pecus, nel §19 maialis, nel §34 uulturius, nel §73 asinus. 2 Come il colorito, anche occhi sopracciglia e fronte rientrano nelle caratteristiche somatiche, almeno quanto a conformazione. Forse l'autore intende distinguere tra i lineamenti e l'espressione e la mobilità del volto. 3 Su questo luogo comune cfr. ad es. de orat. 2,148 dove Cicerone raccomanda a chi voglia dedicarsi all'oratoria un esercizio e un impegno costante che consentono non soltanto di comprendere le parole dell'antagonista senza lasciarsene sfuggire i sottintesi ma anche di scrutarne le espressioni del volto, qui sensus animi plerumque indicant «che generalmente sono indizio delle emozioni dell'animo». 4 Cfr. fr.12 dove, mentre nega a Pisone ogni parvenza di nascita e di condizione libera (specimen… ingenui hominis ac liberi), Cicerone constata l'incongruenza tra il suo colorito e la sua nazionalità (colore ipso patriam aspernaris).

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aveva acquisito la cittadinanza di Piacenza5 e paragonato in red. in sen. 14 a uno schiavo cappadoce (Cappadocem modo abreptum de grege uenalium diceres «lo si sarebbe detto un Cappadoce appena prelevato dalla schiera degli schiavi in vendita»), quanto l'aspetto da schiavo6, anzi da schiavo importato di recente (nouicius) e perciò più barbaro. E sia nell'in Pisonem sia nel discorso di ringraziamento al senato alla folla degli schiavi è applicata spregiativamente la denominazione di grex; per di più nell'in Pisonem il disprezzo è intensificato dall'indefinito nescio quis. Tuttavia il rammarico, sottolineato dalla figura etimologica querela… queritur, non è promosso dall'elezione al consolato di un individuo anonimo e di infimo livello, dalla sproporzione tra il prestigio della carica e l'indegnità di chi l'aveva ricoperta. Gli elettori non erano stati tratti in inganno dal color… seruilis, caratteristico della più bassa condizione sociale7, né dalla trasandatezza della persona, non abituata o incurante di radersi8 e di provvedere all'igiene orale9. A indurli a una scelta così infelice sono stati oculi, supercilia, frons, l'espressione e la mimica facciale di Pisone ritratta con la massima vivacità ed efficacia nel §14 dove, alla richiesta di Clodio di esprimere un giudizio sulla condanna a morte dei Catilinari, il console aveva risposto di non approvare la crudeltà «con un sopracciglio levato verso la fronte, l'altro abbassato verso il mento» per conferire grauitas alle proprie parole10. Con questa simulazione di austerità Pisone aveva indotto i cittadini all'errore (in fraudem homines impulit); e sull'inganno Cicerone insiste mediante un'accumulazione di sinonimi per così dire bipartita: in fraudem homines impulit è precisato da decepit fefellit induxit che chiarisce come l'errore di conferire a Pisone il consolato consegua a un volontario raggiro. Il tricolon sollecita l'attenzione di Gellio che a proposito della ratio utendi uerbis pluribus idem significantibus, del ricorso a più termini di identico significato, annota in 13,25,22: «anche quell'accostamento di tre parole operato da Marco Cicerone nel discorso contro Lucio Pisone, sebbene riesca sgradito alle persone di orecchio insensibile, è risultato

5 Cfr. in particolare il fr.14s. dove è delineata l'assimilazione del nonno materno di Pisone, Calvenzio, ai cittadini di Piacenza, municipium di diritto latino, e il §53 in cui Cicerone dichiara che il ritorno pressoché clandestino di Pisone dalla Macedonia aveva disonorato non soltanto la gens Calpurnia ma anche quella Caluentia, non soltanto Roma ma anche Piacenza, non soltanto il genus paternum ma anche la bracata cognatio, i Galli ascendenti della madre che indossavano non la toga ma le bracae. Come Insuber nel §34 è qualificato Pisone. 6 Nella commedia l'etnico Syrus è usato spesso come nome proprio di schiavi; e nelle origines di Catone (fr.88 p.82 Peter = 4 fr.11 Chassignet) Syrus è il nome di uno degli elefanti di Antioco, citato per nome in omaggio al suo valore in battaglia sebbene Catone nell'opera storica avesse intenzionalmente taciuto i nomi di magistrati e generali per sottolineare come lo sviluppo della potenza di Roma fosse merito non di politici e condottieri ma di tutto il popolo. 7 Ad es. Properzio 1,4,13 include tra i motivi del fascino di Cinzia l'ingenuus color, il candore della carnagione che ne attestava la signorilità. 8 Peraltro la cura eccessiva può essere indizio di falsità: ad es. in Q. Rosc. 20 Cicerone deduce dall'accurata depilazione cui l'accusatore Fannio Cherea si sottoponeva l'illegittimità dell'indennizzo preteso dal suo cliente, l'attore Quinto Roscio. 9 Ma anche una dentatura smagliante può essere il risultato di abitudini ripugnanti e indurre a un atteggiamento inopportuno: cfr. lo scherno di Catullo 39 per Egnazio, che quod candidos habet dentes sorride in ogni circostanza, perfino durante la perorazione commovente di un avvocato in tribunale o il funerale del figlio unico di una vedova. Questo sorriso continuo è suggerito dall'intento di ostentare il candore dei denti, conseguenza a propria volta di una consuetudine diffusa in Celtiberia, dove quod quisque minxit, hoc sibi solet mane | dentem atque russam defricare gingiuam «ognuno è avvezzo al mattino a strofinarsi i denti e le gengive fino a renderle rosse con la propria urina»; e cfr. in Catullo 37,19s. l'affermazione che il fascino di Egnazio consiste nella barba scura e nella dentatura strofinata con l'urina (opaca quem bonum facit barba | et dens Hibera defricatus urina). 10 Sulla frons e sui supercilia di Pisone l'autore richiama l'attenzione più volte: cfr. §12. 20. 68. 70; red. in sen. 15s.; Sest. 19s.; prou. 8.

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non soltanto bello per il ritmo, ma ha sferzato l'espressione falsa del viso con più parole a un tempo»11. La connessione semantica dei due segmenti in fraudem homines impulit e decepit fefellit induxit è sottolineata dall'anafora di hic che li introduce. Il pronome, che ha come referente l'enumerazione oculi supercilia frons, uultus denique totus e concorda con l'ultimo soggetto dalla funzione riepilogativa (denique), nella prima occorrenza risulta se non necessario almeno opportuno per l'iperbato, cioè la separazione di parole sintatticamente collegate, prodotto dall'inserimento della relativa qui sermo quidam tacitus mentis est tra la serie dei soggetti e il predicato. Per simmetria e al tempo stesso per uariatio la seconda occorrenza del pronome è seguita dalla nuova relativa quibus eras ignotus: ne risulta la struttura a chiasmo complicata dal poliptoto qui… hic… hic… quibus in cui la sovrapposizione delle figure concorre a confermare la falsità di Pisone, riproducendo con mezzi retorici la molteplicità di espedienti con cui l'avversario aveva ingannato i concittadini. Peraltro la seconda relativa ne circoscrive l'abilità nel raggiro, subito da quanti non lo conoscevano. Mentre in un primo momento anche Cicerone si era lasciato fuorviare dalla grauitas dell'antagonista (nos… deceperunt), in un momento successivo si era reso conto insieme con altre poche persone (pauci) del carattere simulato della sua austerità. Individuare la vera natura di Pisone al di là dell'apparenza autorevole e rassicurante, sebbene non fosse stato facile, come è sottolineato dall'anafora di pauci e dalla figura etimologica ignotus… noueramus12, aveva consentito di mettere a nudo il radicale divario tra il suo aspetto e le sue caratteristiche morali e intellettuali. Pisone si è rivelato uno spregevole vizioso, ottuso e incapace di esprimersi con fluidità. Sui uitia, che per il qualificante lutulenta rinviano al fango, alla melma e richiamano l'immagine del maialis applicata a Pisone tra altre insolenze nel §1913, l'oratore insiste lungo tutto il discorso e in particolare nei §§68-72a dedicati alla vita privata di Pisone, che aveva aderito con entusiasmo alla tesi epicurea della coincidenza tra il sommo bene e la uoluptas, ovviamente intesa nel senso deteriore14. Come l'accusa di immoralità, così rientra nei loci dell'invettiva il biasimo per la mancanza di doti intellettuali. Anche i riferimenti allo scarso ingenium di Pisone sono molto numerosi sia nel discorso rivolto contro di lui sia più in generale nelle orazioni post reditum; ma forse in red. in sen. 14 ricorre una delle l'immagini più pittoresche: cum hoc homine an cum stipite in foro constitisses, nihil crederes interesse «se ti fossi fermato nel foro con quest'uomo o con un pezzo di legno, proprio non avresti avvertito la differenza»15. Allo stesso modo appartiene al repertorio del genere la derisione per l'eloquio stentato, cui si allude ad es. nel fr.20 dove si rimprovera a Pisone di non aver taciuto cum loqui non posset «sebbene fosse

11 Cfr. Gellio 13,25,22 uerba quoque illa M. Ciceronis in L. Pisonem trigemina, etiamsi durae auris hominibus non placent, non uenustatem modo numeris quaesiuerunt sed figuram simulationemque oris pluribus simul uocibus uerberauerunt. 12 Nel latino arcaico il difettivo noui, le cui forme sono supplite dall'incoativo noscere, comportava in posizione iniziale la sequenza consonantica gn- che si è di norma semplificata in semplice nasale; ma il gruppo consonantico si è conservato nei composti quali cognoscere o ignotus < *in-gnotus, in cui la successione nasale + occlusiva dorsovelare sonora + nasale si è semplificata in occlusiva + nasale: cfr. Leumann 19265 (= 1977) §183 e §200.a. 13 Era consueto il paragone tra i seguaci dell'epicureismo e i porci: Orazio in epist. 1,4,16 si definisce Epicuri de grege porcus e nel §37 Cicerone esorta Pisone a mettere a confronto l'esilio da lui subito con il proconsolato in Macedonia con l'apostrofe Epicure noster ex hara producte non ex schola «mio bell'Epicuro, uscito dal porcile, non dalla scuola di filosofia». 14 Cfr. nel fr.11 l'antitesi tra l'immagine di austerità, serietà, autorevolezza che Pisone suscitava, e che anche Cicerone aveva ritenuto veritiera (putaui), e la dissolutezza del suo comportamento, dissimulato nel chiuso della propria casa e con la complicità di amici altrettanto viziosi, che Cicerone constata (uideo… uideo… uideo). 15 Cfr. §19 dove Pisone è paragonato a un truncus atque stipes.

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incapace di parlare». La convenzionalità del rimprovero trova conferma tra l'altro in Phil. 3,16 dove Cicerone, ad Antonio che disprezzava l'origine municipale della nonna di Ottaviano, obietta l'origine municipale di sua moglie Fulvia aggiungendo che, mentre il padre naturale di Ottaviano era stato pretore, il padre di Fulvia era chiamato Bambalio con un soprannome derisorio evocativo dei suoi balbettamenti: «un uomo di nessun conto: nulla è più spregevole di lui che per la sua balbuzie e la sua ottusità ha dedotto il proprio soprannome dalle insolenze che gli erano rivolte»16. La prova della mancanza di qualità intellettuali è fornita nel tricolon successivo scandito dall'anafora di numquam, cui subentra nel terzo segmento il negativo nullum che qualifica factum; e la uariatio coinvolge l'uso di factum, con funzione verbale nel secondo colon e con funzione nominale nell'ultimo17. Nonostante la sua nullità, di cui fornivano la prova il silenzio osservato durante le sedute del senato, l'astensione da ogni proposta o iniziativa che rivelasse capacità di discernimento, l'assenza di qualsiasi azione degna di qualche rilievo compiuta in tempo di pace o di guerra, Pisone aveva percorso l'intero cursus honorum giungendo fino al consolato. E poiché nulla ne giustificava la carriera prestigiosa, Cicerone suggerisce che l'avversario avesse avuto accesso alle magistrature sia per il suo comportamento furtivo e ipocrita, cui rinvia la scelta di obrepere che evoca lo strisciare furtivo dei rettili18, sia per il prestigio del nomen. Con la gloria della stirpe, che gli era servita da commendatio, si connette la menzione delle immagini di cera degli antenati, privilegio delle famiglie i cui ascendenti avevano ricoperto una magistratura curule. Poiché esse erano custodite nell'atrium accanto ai Lari, davanti ai quali era perennemente acceso un fuoco, erano annerite dal fumo19; e con malignità Cicerone riconosce nel colorito scuro l'unico elemento comune a Pisone e ai suoi antenati illustri. Il motivo delle imagines è sviluppato nel §2 in cui Cicerone giudica spudorato il compiacimento di Pisone per aver percorso senza difficoltà il cursus honorum e avvia il confronto tra sé, homo nouus privo della commendatio degli avi, e l'antagonista, che della propria carriera era debitore alla propria ipocrisia e ai meriti della propria gens:

16 Cfr. Phil. 3,16 homo nullo numero: nihil illo contemptius qui propter haesitationem linguae stuporemque cordis cognomen ex contumelia traxerit. Sull'aneddoto cfr. Cassio Dione 46,7,1. 17 Il ricorso alla medesima forma con funzioni sintattiche e perciò con accezioni distinte è catalogato dai retori tra i fenomeni di traductio e si verifica secondo rhet. Her. 4,21 cum idem uerbum ponitur modo in hac, modo in altera re, hoc modo: "cur eam rem tam studiose curas, quae tibi multas dabit curas?". item "nam amari iucundumst, si curetur, ne quid insit amari". item "ueniam ad uos, si mihi senatus det ueniam" «quando si usa la medesima parola ora con un valore, ora con un altro in questo modo: "perché ti preoccupi (curas) con tanto impegno di quella cosa che ti darà molte preoccupazioni (curas)?"; del pari "essere amato (amari) fa piacere se si fa in modo che non ci sia nulla di amaro (amari)"; del pari "verrò (ueniam) da voi se il senato mi concederà il permesso (ueniam)". Cfr. anche Quintiliano inst. 9,3,69-71 che consiglia di evitare questa figura giudicandola insulsa. Esempi simili di traductio costituiscono giochi di parole frequenti nella lingua parlata e nelle espressioni proverbiali e ampiamente documentati nella commedia antica. 18 Per l'uso del verbo in un contesto affine cfr. Planc. 17 doceo Cn. Plancium non obrepsisse ad honorem «dimostro che Gneo Plancio non è arrivato strisciando furtivamente fino alla carica». 19 Sulle imagines oscurite dal fumo cfr. ad es. Seneca epist. 44,5 non facit nobilem atrium plenum fumosis imaginibus «non rende nobile l'atrio colmo di ritratti anneriti dal fumo»; Giovenale 8,6-9 in margine alla vanità degli alberi genealogici: quis fructus, generis tabula iactare capaci | Coruinum, posthac multa contingere uirga | fumosos equitum cum dictatore magistros, | si coram Lepidis male uiuitur? «che vantaggio si trae dall'ostentare un Corvino sul grande quadro della stirpe e poi dal congiungersi attraverso una lunga ramificazione a comandanti della cavalleria anneriti dal fumo insieme con un dittatore, se si vive malamente davanti ai Lepidi?». Quello delle imagines costituisce un motivo ricorrente nel discorso di Mario dopo l'elezione al consolato e l'assegnazione della Numidia quale provincia in Sallustio Iug. 85.

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e mi si vantava perfino di aver ottenuto tutte le magistrature senza alcun insuccesso! questo è legittimo che lo proclami con orgoglio giustificato di me stesso, perché è proprio alla mia persona che il popolo romano ha conferito tutte le cariche. Infatti quando tu sei stato eletto questore, anche quelli che non ti avevano mai visto nondimeno conferivano quella carica al tuo nome. Sei stato eletto edile: un Pisone è stato eletto dal popolo romano, non il Pisone che si identifica con te. Allo stesso modo la pretura è stata conferita ai tuoi antenati. Loro da morti erano ben conosciuti; te vivo non ti conosceva ancora nessuno. Quando il popolo romano eleggeva me questore tra i primi, edile primo tra i due, pretore primo tra tutti i candidati con voto unanime, conferiva quella magistratura alla mia persona, non alla mia stirpe, alla mia condotta, non ai miei antenati, alla virtù che aveva constatato, non alla nobiltà di cui aveva sentito parlare.

Dopo essersi rivolto a Pisone l'oratore, passando all'improvviso dalla seconda alla terza persona sia per uarietas sia in segno di disprezzo, come se provasse ripugnanza a destinare le proprie parole a un individuo tanto spregevole20, esprime il proprio sdegno verso Pisone, che aveva avuto l'impudenza di vantarsi per aver conseguito tutte le magistrature al primo tentativo21. Alla spudoratezza dell'avversario che, evidentemente nella risposta al de prouinciis consularibus aveva addotto a propria difesa la sequenza di successi elettorali rivendicando una gloria non meritata, Cicerone oppone il legittimo orgoglio per essere stato eletto alle cariche pubbliche soltanto per i propri meriti personali (mihi ipsi homini). In questo modo ribalta a proprio vantaggio la condizione di homo nouus proveniente da un municipium che in numerose circostanze gli era stata rimproverata con malignità dagli schizzinosi aristocratici. Ad es. Sallustio in Catil. 31,7 immagina che Catilina nella replica al discorso dell'8 novembre del 63 con cui Cicerone aveva informato il senato della congiura avesse esortato i senatori a non attribuire maggiore attendibilità alle inquietanti rivelazioni del console, inquilinus ciuis urbis Romae, che alle proprie origini patrizie e alle benemerenze della propria nobile famiglia22. E altrettanto feroce, entro il cumulo di accuse e di sarcasmi velenosi di cui è intessuta l'inuectiua in Ciceronem dello pseudo Sallustio, risulta nel §7 l'apostrofe caustica Romule Arpinas, in cui è compendiato lo scherno per la provenienza di Cicerone da una piccola città rurale e per il suo vanto di essersi meritato con la repressione della congiura una gloria pari o superiore a quella del fondatore di Roma. 20 Per simili cambiamenti di destinatario cfr. §16. 22. 31. 78. 21 repulsa costituisce il termine tecnico per designare l'insuccesso di un candidato. Cfr. ad es. Planc. 51 uidit… pater tuus Appium Claudium… aedilem non esse factum et eundem sine repulsa factum esse consulem «tuo padre ha visto Appio Claudio bocciato come edile e al contrario eletto console alla prima candidatura»; e in Tusc. 5,54 Cicerone formula a un interlocutore fittizio una domanda che rimane in sospeso dal punto di vista sintattico, ma il cui senso è chiarito dal contesto, se cioè si debba preferire l'unico consolato di Lelio ai quattro consolati di Cinna: similemne putas C. Laeli unum consulatum fuisse, et eum quidem cum repulsa… «consideri equivalente l'unico consolato di Gaio Lelio, e per di più dopo una bocciatura…». Il coinvolgimento emotivo dell'autore trova espressione linguistica sia nel dativo etico mihi sia nell'avverbio etiam. 22 Cfr. Sallustio Catil. 31,7 Catilina, ut erat paratus ad dissimulanda omnia, demisso uoltu, uoce supplici postulare a patribus coepit ne quid de se temere crederent; ea familia ortum, ita se ab adulescentia uitam instituisse ut omnia bona in spe haberet; ne existumarent sibi patricio homini, cuius ipsius atque maiorum pluruma beneficia in plebem Romanam essent, perdita re publica opus esse, cum eam seruaret M. Tullius, inquilinus ciuis urbis Romae «Catilina, pronto a negare ogni addebito, a capo chino e con voce supplichevole, cominciò a scongiurare i senatori di non dar credito a dicerie infondate su di lui: era nato da una tale famiglia e fin dall'adolescenza aveva organizzato la sua vita in modo da riporre le sue speranze soltanto nel bene; non dovevano credere che a un patrizio, che di persona e la cui famiglia avevano reso innumerevoli benefici alla plebe di Roma, fosse necessario distruggere lo stato perché lo salvasse Marco Tullio, che la cittadinanza di Roma l'aveva presa in affitto».

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La confutazione complessiva del diritto dell'avversario di vantarsi si sviluppa nella rassegna della conquista delle singole cariche, questura edilità pretura, attribuita al nomen illustre, ai maiores famosi e benemeriti di Pisone, votato anche da quanti non lo conoscevano di persona (qui te numquam uiderant) per il prestigio della gens cui apparteneva. Nel passo al carattere inizialmente ripetitivo delle enumerazioni (quaestor es factus… aedilis es factus) sottolineato da item subentra un dettato più sostenuto per la presenza di alcune figure che confermano il contrasto tra Pisone e i suoi antenati. In Piso est a populo Romano factus, non iste Piso Cicerone si avvale della redditio ripetendo la medesima forma all'inizio e alla fine del segmento testuale; in noti erant illi mortui; te uiuum nondum nouerat quisquam all'antitesi si salda la figura etimologica noti… nouerat. Non soltanto Pisone non aveva alcun merito per le magistrature ricoperte, ma non le aveva conseguite con la coralità di consensi riscossi da Cicerone che, mentre era entrato nel novero dei primi eletti (in primis) come candidato alla questura per il 75, era risultato primo (priorem) dei due edili per il 69 e ancora primo (primum) degli otto pretori per il 66 e per di più cunctis suffragiis, cioè a quanto si deduce da Manil. 2 dai voti di tutte le centurie fino al raggiungimento della maggioranza23. Che le elezioni trionfali costituissero un tributo alle qualità del candidato, non un omaggio alla nobiltà della sua stirpe è confermato dalla triplice antitesi tra l'homo e il genus, i mores e i maiores (e i due dativi moribus e maioribus sono paronomastici), la uirtus perspecta e l'audita nobilitas (con disposizione chiastica di sostantivo e qualificante). Pare che Cicerone fornisca un'applicazione puntuale della normativa sull'elogium: poiché in esso occorre tener conto anzitutto del genus, se l'individuo da elogiare è humili genere, l'oratore in coerenza con la raccommandazione dell'anonimo ad Herennium 3,13 deve sottolineare ipsum in suis, non in maiorum uirtutibus habuisse praesidium «che ha trovato supporto nelle proprie e non nelle virtù degli antenati». La rassegna delle cariche ricoperte introduce il confronto tra i rispettivi consolati che si conclude con il §30. Sebbene l'oratore simuli ripugnanza nel misurarsi con Pisone, quasi tutto il discorso si risolve nel paragone tra i due antagonisti, in conformità con una prassi retorica di ampia diffusione in cui si esercitavano gli studenti nella preparazione all'oratoria24. Nel §3 Cicerone rievoca le modalità antitetiche in cui a Pisone e a lui il consolato era stato conferito:

23 Cfr. Manil. 2 cum propter dilationem comitiorum ter praetor primus centuriis cunctis renuntiatus sum, facile intellexi, Quirites, et quid de me iudicaretis et quid aliis praescriberetis «quando a causa del rinvio dei comizi per tre volte sono stato proclamato pretore come primo con il voto di tutte le centurie, non ho avuto difficoltà a comprendere, Quiriti, sia quale fosse il vostro giudizio su di me sia quali indicazioni forniste ad altri». Per l'accenno all'elezione trionfale alla pretura cfr. anche Brut. 321. 24 Ad es. Prisciano GL 3,437,10-28 (= pp.44,9-45,6 Passalacqua) precisa che la comparatio o suvgkrisi~ si può applicare a esseri animati o inanimati di valore simile o difforme; in questo caso al fine di sottolinearne il dislivello si ricorre alla topica dell'elogio o del biasimo. Al di fuori di situazioni discorsive concrete le comparationes costituivano un esercizio cui si dedicavano doctissimi oratorum.

In ambito giudiziario la conlatio costituisce una delle partes del genus coniecturalis, cioè delle cause promosse in base a indizi: come in 2,6 chiarisce l'anonimo ad Herennium, se si avvale della tecnica del confronto l'accusatore deve ad es. sostenere che soltanto l'imputato avrebbe potuto commettere il crimine contestato o che soltanto l'imputato ne avrebbe tratto vantaggio e al contrario il difensore che anche altri avrebbero potuto commettere il crimine o avvantaggiarsene. A propria volta Quintiliano in inst. 7,2,22 osserva che si può confrontare la causa patrocinata nella sua globalità con la causa dell'avversario oppure mettere a confronto singolarmente gli argomenti dell'accusa o della difesa; e ancora in 3,10,3 spiega che la tecnica del confronto può essere sufficiente in alcuni tipi di procedimenti, ad es. per scegliere quello più affidabile tra diversi accusatori di una medesima persona o quello più meritevole tra quanti si contendevano un'eredità.

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che cosa dire del consolato, di come è stato ottenuto o preferisci di come è stato esercitato? povero me! adesso mi metto a paragone con questa peste e con questa rovina? Non parlerò per fare il confronto; e tuttavia dovrò considerare insieme cose separate da una distanza abissale. Tu sei stato dichiarato console (non farò un'affermazione più grave di quanto tutti riconoscono) in momenti di difficoltà per lo stato, quando i consoli erano in disaccordo, senza contestare a coloro da cui eri definito console (il diritto) di non ritenerti meritevole della luce del sole se non fossi risultato più spregevole di Gabinio. Me l'Italia intera, me tutte le classi sociali, me la cittadinanza compatta hanno proclamato primo dei due consoli non prima con il voto che con le acclamazioni. Ma lascio da parte come ognuno di noi sia stato eletto; sia pure la fortuna la padrona del campo! Dà maggior gloria dire in che modo abbiamo esercitato il consolato che in che modo l'abbiamo ottenuto.

Simulando di lasciare all'avversario la scelta tra la ricostruzione della conquista e quella della gestione del consolato (parto uis anne gesto?), Cicerone fa intendere che si sarebbe occupato di entrambi gli aspetti e comincia ordinatamente a ripercorrere le circostanze dell'elezione di Pisone e sua. Ma prima di entrare in tema manifesta disgusto (miserum me) per il confronto cui si accinge perché in esso avrebbe dovuto indugiare sull'antagonista, identificato con un malanno distruttivo25. E subito chiarisce di non aver alcun intento di dar prova di abilità oratoria sviluppando una suvgkrisi~, ma di essere costretto dall'esigenza di replicare a Pisone all'esame comparato di situazioni e comportamenti longissime disiuncta, quelli relativi a una pestis atque labes e quelli relativi a sé, cui con ogni evidenza spettavano le definizioni più lusinghiere26. Il dato oggettivo della conquista del consolato, espresso dopo il pronome personale enfatico con renuntiare, termine tecnico per la proclamazione dei risultati elettorali, è oggetto di un immediato ridimensionamento, prospettato non come un'interpretazione soggettiva e maligna ma come un'opinione comunemente condivisa e pubblicamente dichiarata: nihil dicam grauius quam quod omnes fatentur. Alla convinzione concorde contribuiscono tanto le difficoltà dello stato determinate dalla discordia tra i consoli, che peraltro Cicerone presenta come fatti concomitanti e non in rapporto causale, quanto i motivi della scelta, la certezza che Pisone assicurava a Cesare e a Clodio, che lo avevano fatto eleggere, di essere docile esecutore della loro politica; e nell'impegno di assecondare i garanti del proprio successo Pisone avrebbe dovuto competere con il collega Gabinio, rappresentante degli interessi di Pompeo, per superarne il servilismo27. Mentre nel discorso cita con frequenza tanto Gabinio quanto Clodio, Cicerone nella ricostruzione tendenziosa ma lucida degli intrighi sottesi alle elezioni consolari per il 58 non nomima né Cesare né Pompeo.

25 Per le definizioni ingiuriose di labes e pestis cfr. §56 o scelus, o pestis, o labes! labes in senso proprio vale 'caduta, crollo' e si applica per metonimia a chi causa rovina. 26 La sproporzione tra Pisone e Cicerone è analoga a quella tra Verre e Marcello messi a confronto in Verr. 2,4,121 a proposito dei furti di opere d'arte compiuti da Verre in provincia e del trasporto di opere d'arte da Siracusa a Roma disposto da Marco Claudio Marcello per adornarne edifici pubblici dopo la conquista della città nel 211: conferte Verrem, non ut hominem cum homine comparetis, ne qua tali uiro mortuo fiat iniuria, sed ut pacem cum bello, leges cum ui, forum et iuris dictionem cum ferro et armis, aduentum et comitatum cum exercitu et uictoria conferatis «mettete a paragone Verre, non per mettere a confronto un uomo con un altro uomo – perché non voglio che sia arrecata offesa a un morto di tale levatura – ma per mettere a paragone la pace con la guerra, le leggi con la violenza, il foro e l'amministrazione della giustizia con il ferro e le armi, l'arrivo di un governatore con il suo seguito con l'ingresso in città di un esercito vittorioso». 27 Per il confronto nella scelleratezza tra i due consoli del 58 cfr. anche §18 e 27 e prou. 12 Piso autem alio quodam modo gloriatur se breui tempore perfecisse, ne Gabinius unus omnium nequissimus existimaretur «per parte sua Pisone si vanta di un altro merito, cioè di aver ottenuto in breve tempo che Gabinio non fosse giudicato di gran lunga il peggiore di tutti».

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Il tenore del testo suggerisce che il silenzio si configuri non soltanto come un'ovvia cautela ma anche come una sorta di mimesi degli accordi intessuti nell'ombra dai triunviri. All'andamento sintattico fino a questo punto impostato prevalentemente sulla paratassi subentrano due ablativi assoluti in asindeto (impeditis rei publicae temporibus, dissidentibus consulibus) cui è accostata una narrativa (cum hoc non recusares eis); essa introduce con eis anaforico la relativa a quibus dicebare consul e con hoc prolettico la subordinata quin te luce dignum non putarent in funzione di apodosi della protasi nisi nequior quam Gabinius exstitisset. Il carattere paradossale dell'accondiscendenza di Pisone verso i suoi referenti politici, che lo induce ad accettarne il disprezzo se non fosse prevalso sul collega nella malvagità, è segnalata sul piano linguistico da un arcaismo morfologico e da un'innovazione sintattica. Sul piano morfologico in dicebare il morfema -re di seconda persona si riconduce al morfema medio-passivo indoeuropeo *-so, con la regolare evoluzione in /r/ di /s/ intervocalico e il mutamento timbrico di /o/ in /e/ favorito dal contatto con la vibrante. Il morfema -re che in origine era applicato all'imperativo, dove è conservato dal latino per tutta la tradizione, è stato esteso in età arcaica anche agli altri modi: una forma quale dicere valeva sia come imperativo passivo 'sii detto' sia come indicativo passivo 'sei detto'. Per evitare questa ambiguità si è coniato un morfema di seconda persona in -ris in base alla proporzione con le forme attive, lege : legis = legere : legeris che si è diffuso ed è prevalso in tutti i modi diversi dall'imperativo28. Sul piano sintattico Cicerone dopo recusare preceduto da negazione introduce la subordinata con quin, ricorrente con verbi ed espressioni di forma negativa che indicano impedimento rifiuto astensione dubbio. Poiché quin, che risale all'antico strumentale qui dell'interrogativo-indefinito quis + la negazione ne, valeva in origine 'come non, perché non?', di norma non è seguito da un'altra negazione; tuttavia nella dipendente da non recusares la negazione è ripetuta (quin te luce dignum non putarent) secondo un uso, peraltro non frequente, attestato a quanto risulta a partire da Cicerone. Esso, mentre documenta l'appannamento del valore etimologico di quin, inteso soltanto come congiunzione subordinante29, appartiene sotto il profilo stilistico a un registro opposto a dicebare: l'arcaismo costituisce un elemento caratteristico della lingua d'arte30; il pleonasmo delle negazioni è tipico della lingua colloquiale. E non si può escludere che in autore così scaltrito nell'uso dei mezzi espressivi l'accostamento di uno stilema elevato e di un colloquialismo alluda al ricorso ai mezzi più disparati per assicurare la magistratura a Pisone. Con gli accordi sotterranei che avevano portato Pisone al consolato Cicerone mette a confronto la propria elezione trionfale con un tricolon aperto dall'anafora di me che si oppone a tu d'apertura del periodo precedente; esso è scandito da soggetti che precisano in modo progressivamente più puntuale gli elettori (Italia, ordines, ciuitas) e sono uniti a qualificanti pressoché sinonimici che ne sottolineano la volontà concorde (cuncta, omnes, uniuersa). L'elezione plebiscitaria è confermata sia dalle acclamazioni che avevano preceduto il voto sia dal risultato, che attribuiva a Cicerone un numero di preferenze superiore a quelle ottenute dal concorrente eletto, il collega Antonio Ibrida31.

28 Cfr. Leumann 19265 (= 1977) §397.2. 29 Sull'origine e sulle funzioni assunte da quin cfr. Szantyr (1962 [= 1975] §373s.) che cita quale esempio parallelo fam. 2,17,5 nunc mihi non est dubium quin… uenturae [sc. legiones] non sint «ora non ho alcun dubbio che… [le legioni] non verranno». 30 Cfr. de orat. 3,153 dove Cicerone identifica la massima parte dei uerba inusitata con le parole arcaiche e le parole arcaiche a propria volta con le parole poetiche. 31 Sull'elezione trionfale al consolato, in cui Cicerone aveva riscosso maggiori consensi di Antonio poiché nei fasti il suo nome compare per primo, cfr. leg. agr. 2,3s. e in particolare nel §4 meis comitiis non tabellam uindicem tacitae libertatis sed uocem uiuam prae uobis indicem uestrarum erga me uoluntatum ac studiorum tulistis «nei comizi in cui sono stato eletto avete levato non la scheda del voto segreto, garanzia di libertà, ma la vostra viva voce quale indizio della vostra buona disposizione e della

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Cicerone interrompe la rievocazione del proprio successo con una preterizione (sed omitto) seguita da un'interrogativa indiretta (ut sit factus uterque nostrum) e da una sententia che attribuisce alla sorte le vicende elettorali32; ad esse rinvia la metonimia Campus, per antonomasia il Campus Martius dove si riunivano i comitia centuriata che eleggevano i magistrati33. Peraltro il sintetico esame delle rispettive modalità di elezione è suggerita certo non da modestia o dal timore di soverchiare l'avversario ma dalla constatazione, enunciata da due interrogative indirette in rapporto di comparazione e vincolate dall'anafora della congiunzione e dall'omeoteletuo dei verbi (quem ad modum gesserimus consulatum quam quem ad modum ceperimus), che un motivo di gloria maggiore per sé e di discredito per Pisone sarebbe emerso dall'analisi della rispettiva gestione della magistratura.

vostra simpatia verso di me». L'entusiasmo per la candidatura di Cicerone appare molto attenuato nel resoconto di Sallustio, che in Catil. 23,6 ricorda come, prima che si diffondessero voci sul pericolo di azioni eversive, gli aristocratici romani fossero restii all'elezione di un homo nouus: namque antea pleraque nobilitas inuidia aestuabat, et quasi pollui consulatum credebat, si eum quamuis egregius homo nouus adeptus foret «infatti in precedenza la maggior parte dei nobili ardeva di gelosia e credeva che il consolato avrebbe subito una sorta di contaminazione se lo avesse ottenuto un uomo nuovo, per quanto eccellente». 32 Per l'applicazione ricorrente alla fortuna del qualificante domina cfr. tra gli innumerevoli esempi Marcell. 7 quin etiam illa ipsa rerum humanarum domina, Fortuna, in istius se societatem gloriae non offert «neppure la ben nota signora delle vicende umane, la Fortuna, si fa avanti per partecipare alla tua [sc. di Cesare] gloria». 33 Per la metonimia Campus (Martius) = comitia cfr. de orat. 3,167 ex eo genere haec sunt, Martem belli esse communem, Cererem pro frugibus, Liberum appellare pro uino, Neptunum pro mari, curiam pro senatu, campum pro comitiis, togam pro pace, arma ac tela pro bello «in questo tipo [sc. di tropo] rientra dire che la sorte della guerra è incerta e nominare Cerere in luogo delle messi, Libero in luogo del vino, Nettuno in luogo del mare, la curia in luogo del senato, il campo Marzio in luogo dei comizi, la toga in luogo della pace, le armi da difesa e da offesa in luogo della guerra».

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3. Il consolato di Cicerone Al proprio consolato Cicerone dedica i §§4-7 passando in rassegna prima i meriti acquisiti (§4s.) scanditi dall'anafora di ego ripetuto ben nove volte, poi i riconoscimenti ricevuti (§6s.). Gli episodi più significativi sono enunciati nel §4:

io alle calende di gennaio ho liberato il senato e tutti i cittadini perbene dal timore della legge agraria e di elargizioni ingentissime. Io il territorio campano, se non era opportuno lottizzarlo, l'ho conservato integro; se era opportuno, l'ho conservato per chi presentasse proposte migliori. Io nel processo contro Gaio Rabirio accusato di alto tradimento l'autorità del senato fatta valere quarant'anni anni prima del mio consolato l'ho sostenuta contro l'ostilità e l'ho difesa1. Io giovani perbene e meritevoli ma che si trovavano in una condizione per cui era prevedibile che, se avessero ottenuto le magistrature, avrebbero sovvertito lo stato, procurandomi inimicizie personali senza causare impopolarità al senato li ho esclusi dallo svolgimento dei comizi.

Non a caso, sia perché la discussione era coincisa con l'inizio del suo consolato sia perché una nuova legge agraria era stata imposta da Cesare nel 592, Cicerone ricorda quale primo atto compiuto in qualità di console la battaglia condotta contro la legge agraria di cui era stato latore il tribuno della plebe Publio Servilio Rullo. Essa prevedeva la vendita di gran parte delle terre demaniali in Italia e nelle province e l'acquisizione dei bottini delle campagne militari, ad eccezione di quelle condotte da Pompeo, per destinare i proventi all'acquisto di fondi che con altri di proprietà statale, quali l'ager Campanus, avrebbero dovuto essere sede di nuove colonie, lottizzati e distribuiti ai nullatenenti di Roma e dell'Italia. Alle complesse operazioni avrebbe sovrinteso una commissione di dieci membri destinati a rimanere in carica per cinque anni, provvisti del medesimo imperium dei propretori e con competenze finanziarie e giudiziarie amplissime e senza controllo. La proposta che aveva una forte valenza demagogica, in quanto avrebbe privato lo stato delle entrate provenienti dall'affitto dell'ager publicus, intendeva bilanciare la potenza e il prestigio conquistati da Pompeo con le vittorie in oriente conferendo poteri pressoché assoluti a Cesare e Crasso, che sarebbero stati inclusi tra i decenviri. Al disegno si opponevano sia i senatori, preoccupati per un esautoramento di fatto, sia i cavalieri, privati del lucroso incarico di riscuotere l'affitto delle terre demaniali; e forse non eccessivo entusiasmo dimostravano i nullatenenti, abituati a sopravvivere con le periodiche elargizioni. Del resto alla rogatio di Rullo un altro tribuno aveva opposto il veto e l'assemblea popolare l'aveva rispettato; ma sebbene la proposta fosse decaduta, Cicerone aveva pronunciato i discorsi de lege agraria, che lo avevano esposto al risentimento dei populares.

Nella rievocazione dei fatti, in cui assume rilievo centrale la lottizzazione del fertile ager Campanus, da assegnare ai cittadini più disagiati con una munificenza dispendiosa 1 Le traduzioni risultano diverse in base all'accezione più astratta (autorità, autorevolezza) o più concreta (manifestazione autorevole di volontà > decreto, deliberazione) di auctoritas. Nisbet, con cui all'incirca concorda Bellardi, traduce «the authority of the senate, which had been brought into play forty years before my consulship», e Grimal «une décision du Sénat intervenue quarante ans avant mon consulat». Per un uso analogo di auctoritatem interponere cfr. Verr. 2,3,124 litteras ait se misisse et confirmasse, suam se interposuisse auctoritatem «afferma di aver mandato lettere, di aver fornito assicurazioni, di aver fatto valere la propria autorità»; Phil. 13,15 quodsi auctoritatem interponis sine armis, magis equidem laudo «e se vuoi far valere la tua autorità senza ricorrere alle armi, per parte mia ti lodo di più». 2 Sulla legge agraria di Cesare cfr. Att. 2,16,1 e 2,18,2; Svetonio Iul. 20,3-5; Velleio 2,44,4; Cassio Dione 38,1,1-7,3.

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che si configurava come corruzione3, l'oratore allude alla successiva lex Iulia de agro Campano, da lui disapprovata4 e che nel marzo del 56 aveva cercato di rimettere in discussione, ma sulla quale dopo il convegno di Lucca gli era stato ingiunto di non intervenire5. Al rapporto istituito tra la proposta del tribuno e la legge di Cesare è sottesa la consapevolezza che a Cesare, sebbene se ne fosse formalmente dissociato, risaliva anche il provvedimento di Rullo. E la contiguità tra le due misure trova puntuale espressione linguistica nella disposizione chiastica di protasi e apodosi dei due periodi ipotetici in asindeto, nell'omeoteleuto che coinvolge il periodo iniziale (liberaui… conseruaui… reseruaui), nella figura etimologica cui danno luogo i due composti di seruare, nell'implicito confronto ironico tra Rullo e Cesare, definito con un plurale cautamente generalizzante meliores auctores. Né Cicerone rinuncia a manifestare le proprie riserve sulla riforma agraria di Cesare, presentando l'opportunità (oportuit ripetuto in forma di epifora) di dividere in lotti e di distribuire l'ager Campanus come un'ipotesi equivalente a quella che la misura risultasse dannosa. In modo analogo fornisce prova di rispetto per il senato e di ostilità verso i populares l'intervento che Cicerone ricorda al secondo posto. La difesa di Gaio Rabirio si connette con un momento di acuto conflitto sociale. Nel 100 come tribuno della plebe al secondo mandato Lucio Apuleio Saturnino aveva imposto con la violenza esercitata dai veterani di Mario, che ne sarebbero stati i beneficiari, una legge agraria che prevedeva la distribuzione di terre a quanti avessero prestato servizio militare per sette anni, ai reduci cioè della guerra contro Giugurta e delle campagne contro Cimbri e Teutoni6. I terreni dovevano essere scelti in colonie di nuova fondazione nelle province e assegnati non soltanto ai cittadini romani ma anche agli Italici, che molto numerosi avevano combattuto nell'esercito di Mario e che avrebbero acquisito la cittadinanza romana o latina in base allo statuto delle colonie. I senatori erano stati costretti a giurare il rispetto della legge sotto pena di radiazione. Tra i tumulti si erano svolte le elezioni per il tribunato, in cui Saturnino era stato eletto per la terza volta; in un'atmosfera di scontri anche più violenti erano avvenute le elezioni per il consolato, durante le quali uno dei candidati era stato ucciso. Il senato aveva reagito proclamando lo stato di emergenza e affidando a Mario l'incarico di ristabilire l'ordine con le armi. Mario aveva cercato di salvare i capi dei populares suoi alleati trasferendoli sotto scorta nella curia; ma un gruppo di giovani aristocratici tra cui Rabirio aveva dato l'assalto alla sede del senato e aveva ucciso tra altri Saturnino. Poiché Rabirio non era stato perseguito in quanto l'assassinio era stato commesso in un contesto di guerra civile e dopo l'emanazione del senatusconsultum ultimum, nel 63 il tribuno Tito Labieno, con l'intento evidente di diminuire l'autorità del senato mettendo in discussione la legittimità del senatusconsultum, lo aveva accusato di alto tradimento (perduellio) per aver ucciso un tribuno, cui spettava l'inviolabilità. Ne era seguito un processo tumultuoso, in cui Cesare sorteggiato tra i giudici aveva ottenuto la condanna di Rabirio, che tuttavia difeso da Cicerone aveva presentato appello al popolo7. Il processo, cui ineriva un evidente carattere politico in quanto motivo di contesa era non la colpevolezza accertata di Rabirio ma il valore del senatusconsultum e quindi, come si esprime Cicerone, la senatus auctoritas, con ogni probabilità era stato promosso da Cesare. Il suo coinvolgimento, sospettato da molti, è presentato come sicuro da Svetonio, che in Iul. 12 scrive con una certa malignità verso il biografato: «con metodi

3 largitio si definiva un donativo interessato inteso ad assicurarsi consenso ed era usato molto spesso come equivalente di corruzione. 4 Cfr. Att. 2,16,1 dove la legge è definita largitio agraria. 5 Cfr. fam. 1,9,8-10. 6 Su Saturnino cfr. har. resp. 41 e 43; Sest. 37-39 e 101; Vatin. 23. 7 Cfr. Cassio Dione 37,26-28.

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dubbi indusse anche un tale [sc. Labieno] a intentare un processo di alto tradimento contro Gaio Rabirio, grazie soprattutto al cui supporto alcuni anni prima il senato aveva messo fine al tribunato sedizioso di Lucio Saturnino; sorteggiato come giudice contro quell'imputato, mostrò tale desiderio di condannarlo che, quando Rabirio si appellò al popolo, nulla gli risultò tanto utile quanto l'accanimento del giudice»8. Rievocando il processo, che aveva segnato uno dei tanti momenti di scontro con Cesare, Cicerone rinuncia a ogni espediente retorico vistoso; e tuttavia non manca di esaltare la propria funzione di difensore delle istituzioni repubblicane, che proprio nella senatus auctoritas avevano l'espressione più significativa, non tanto con il ricorso alla coppia pressoché sinonimica di sapore arcaico sustinui… atque defendi9 quanto con la formula ante me consulem. Il suo consolato, assunto a termine di riferimento cronologico, si configura come episodio centrale della storia di Roma rispetto al quale collocare gli altri eventi: pare che nella prospettiva egocentrica dell'autore al metodo di datazione usato da tutti, ante o post urbem conditam, subentri il computo personale ante o post me consulem10. Il terzo titolo di merito che l'oratore rivendica consiste nella difesa della disposizione di Silla che vietava ai figli dei proscritti di candidarsi alle cariche pubbliche. Un tribuno ne aveva proposto l'abrogazione con il consenso di Antonio Ibrida e forse per iniziativa di Cesare11, che fin dall'esordio nella vita pubblica si era adoperato per abolire i provvedimenti del dittatore e per riabilitare Mario. Cicerone si era opposto per evitare che in caso di elezione i figli dei proscritti smantellassero l'intera costituzione sillana, di impianto rigidamente conservatore e filosenatorio. Del discorso perduto, che l'autore elenca tra le orazioni consolari in Att. 2,1,3 (quinta de proscriptorum filiis) e che Plinio (nat. 7,117) ricorda in tono elogiativo, Quintiliano conserva in inst. 11,1,85 l'unico frammento superstite cui fa seguire un commento colmo di ammirazione: «"che cosa più crudele che escludere dalla vita politica individui i cui genitori e i cui antenati erano rispettabili?". Con questa frase quell'artista impareggiabile nella manipolazione degli animi ammette che la misura era dolorosa; eppure sostiene che la compagine dello stato era resa talmente compatta dalle leggi di Silla che, se esse fossero state abrogate, non avrebbe potuto reggersi. In questo modo è riuscito a dar l'impressione di agire anche in favore di coloro contro cui parlava»12. Ricordando la pozione assunta verso un'iniziativa che avrebbe eliminato un'ingiusta discriminazione, Cicerone ammette di essersi procurato molti nemici (meis inimicitiis) ma al tempo stesso rivendica il merito di non aver coinvolto nell'ostilità il senato. Tuttavia il suo orgoglio ostentato non dissimula un certo imbarazzo: l'eventualità che i 8 Cfr. Svetonio Iul. 12 subornauit etiam qui Gaio Rabirio perduellionis diem diceret, quo praecipue adiutore aliquot ante annos Luci Saturnini seditiosum tribunatum senatus coercuerat, ac sorte iudex in reum ductus tam cupide condemnauit, ut ad populum prouocanti nihil aeque ac iudicis acerbitas profuerit. 9 Per l’uso delle sequenze di sinonimi coordinati da atque cfr. ad es. il periodo iniziale della pro Rhodiensibus di Catone (orat. fr.118 Sblendorio Cugusi = orig. 5 fr.3a Chassignet): scio solere plerisque hominibus rebus secundis atque prolixis atque prosperis animum excellere atque superbiam atque ferociam augescere atque crescere «so bene che di solito quando le circostanze sono favorevoli e propizie e fortunate l'animo degli uomini si esalta e la superbia e l'orgoglio aumentano e si accrescono». 10 Cassio Dione 46,21,4 riferisce che un seguace di Antonio aveva attribuito polemicamente a Cicerone l'intento di esporre tutta la storia di Roma a ritroso, cominciando da suo consolato e concludendo con la fondazione della città. 11 Cfr. Velleio 2,43,4. 12 Cfr. Quintiliano inst. 11,1,85 «quid enim crudelius quam homines honestis parentibus ac maioribus natos a re publica summoueri?». itaque durum id esse summus ille tractandorum animorum artifex confitetur, sed ita legibus Sullae cohaerere statum ciuitatis adfirmat ut iis solutis stare ipsa non possit. consecutus itaque est ut aliquid eorum quoque causa uideretur facere contra quos diceret. Sull'episodio cfr. Plutarco Cic. 12,2 e Cassio Dione 37,25,3; sul discorso Crawford 19942 pp.201-207. Alla restituzione ai proscriptorum liberi del diritto di accedere alle magistrature avrebbe provvisto Cesare, come in Cassio Dione 44,47,4 aveva ricordato Antonio nell'elogio funebre del dittatore.

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figli dei proscritti, del resto definiti adulescentes boni et fortes, abolissero l'impianto costituzionale sillano è espressa in un periodo ipotetico la cui apodosi è costituita da una consecutiva messa esplicitamente in rapporto con la sorte (ea condicione fortunae ut… rei publicae statum conuolsuri uiderentur) e in cui uideri rinvia non a una constatazione ma a un'impressione, per quanto verisimile. Il disagio si esprime nel ricorso al sintagma piuttosto raro mala gratia13 e alla formula non limpida comitiorum ratio che si può mettere in rapporto con il nesso ricorrente rationem habere alicuius 'tener conto di qualcuno' > 'accettare la candidatura di qualcuno'; oppure intendere come 'ambito dei comizi, delle elezioni' in base a passi quali Sex. Rosc. 149 fori iudicique rationem <M.> Messalla… suscepit «Marco Messalla si è assunto le questioni relative al foro e ai processi»; oppure come 'svolgimento dei comizi, comportamento degli elettori nei comizi' come ad es. in Mur. 35 quantas perturbationes et quantos aestus habet ratio comitiorum? «a quali sconvolgimenti e a quali marosi è soggetto lo svolgimento dei comizi?», e di nuovo in Mur. 36 nihil est incertius uulgo, nihil obscurius uoluntate hominum, nihil fallacius ratione tota comitiorum «nulla è più oscillante del popolo, nulla più indecifrabile della volontà degli uomini, nulla più ingannevole del comportamento dei comizi nel suo insieme». Dopo gli interventi contro la proposta di Rullo, in favore di Rabirio e contro la riammissione alla carriera politica dei figli dei proscritti da Silla, coerentemente orientati verso la difesa delle istituzioni in vigore e degli interessi degli optimates, Cicerone dedica il §5 all'impresa più gloriosa e memorabile del suo consolato, la repressione della congiura di Catilina:

io il collega Antonio, bramoso di una provincia e implicato in molti intrighi politici, con la mia pazienza e il mio riguardo l'ho indotto a miti consigli. Io alla provincia di Gallia, ben provvista di un esercito e di mezzi finanziari per decreto del senato, che ho scambiato con Antonio perché ritenevo che questo il momento politico comportasse, ho rinunciato davanti all'assemblea, nonostante le proteste del popolo romano. Io a Lucio Catilina, che non nell'ombra ma alla luce del sole tramava la strage del senato e la distruzione della città, ho ordinato di andarsene da Roma, perché le mura potessero difenderci da colui da cui non potevano difenderci le leggi. Io nell'ultimo mese del mio consolato le armi puntate alla gola dei cittadini le ho strappate dalle mani scellerate dei congiurati. Io le torce già accese per dar fuoco alla nostra città le ho afferrate, portate alla luce, estinte.

La rivendicazione del merito di aver sventato i progetti eversivi di Catilina non a caso è preceduta dal ricordo della tattica usata con Antonio, figlio del celebre oratore Marco Antonio, uno dei protagonisti del de oratore, e zio del triunviro, collega dell'oratore già nella pretura del 66, sospettato di complicità con i congiurati e attaccato con violenza da Cicerone durante la campagna elettorale del 64 in cui aveva stretto un accordo con Catilina14. Antonio, che era orientato verso i populares, nel 70 era stato radiato dal senato per reati finanziari e non era ostile al programma di Catilina di ridurre

13 In ThlL 6,2222,65-68 quali esempi anteriori a Cicerone sono citati Terenzio Phorm. 620-622 quor non – inquam – Phormio, | uides inter nos sic haec potius cum bona | ut componamus gratia quam cum mala? «perché – dico – Formione, non vedi se possiamo sistemarla tra noi questa faccenda con le buone piuttosto che con le cattive?» e Catone orat. fr.111 Sblendorio Cugusi utrubi bona, utrubi mala gratia capiatur «da una parte si otterrebbe favore, dall'altra ostilità». E in entrambi i passi mala gratia ricorre in antitesi con bona gratia. 14 Cfr. l'aggressiva oratio in toga candida, pronunciata da Cicerone come candidato: Crawford 19942 pp.159-199.

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se non cancellare i debiti15, costituiva un collega scomodo per Cicerone, che non a torto diffidava di lui per la sua condotta politicamente spregiudicata16. Alla sue difficoltà economiche l'oratore allude definendolo cupidus prouinciae, in quanto il governatorato costituiva per i politici romani il mezzo consueto per rifarsi delle spese elettorali e per saldare i debiti a qualunque fine contratti. Alla sua disinvoltura nella gestione delle magistrature e nella scelta delle alleanze accenna la seconda definizione in asindeto multa in re publica moliens, applicata in Planc. 33 a Marco Livio Druso, esponente dell'ala riformatrice del senato, disposta a trattative per la concessione della cittadinanza agli Italici, e tribuno della plebe nel 91, il cui misterioso assassinio nel medesimo anno era considerato causa immediata dello scoppio della guerra sociale17. Per staccare il collega da Catilina e indurlo a non ostacolare la propria gestione conservatrice del consolato, Cicerone gli aveva proposto uno scambio delle province, lasciando a lui la Macedonia, più ricca e ambita, che gli sarebbe spettata per sorteggio, e riservando a sé la meno lucrosa Cisalpina18, per quanto il senato avesse stanziato un finanziamento adeguato per l'esercito e i funzionari al seguito del governatore19.

15 Sallustio in Catil. 21,3 scrive, esponendo le rassicurazioni fornite da Catilina ai complici prima delle elezioni per il 63: petere consulatum C. Antonium, quem sibi collegam fore sperare, hominem et familiarem et omnibus necessitudinibus circumuentum «si candidava al consolato Gaio Antonio, che sperava gli sarebbe stato collega, che gli era amico ed era assediato da necessità di ogni genere»; e in 26,1 annota, precisando che nonostante i preparativi di insurrezione Catilina aveva rinnovato la propria candidatura per il consolato del 62: Catilina nihilo minus in proxumum annum consulatum petebat, sperans, si designatus foret, facile se ex uoluntate Antonio usurum «tuttavia Catilina si candidava al consolato per l'anno successivo con la speranza, se fosse stato eletto, di poter disporre di Antonio a suo arbitrio senza alcuna difficoltà»; cfr. inolre Plutarco Cic. 11,1 e Cassio Dione 37,30,3. 16 Cfr. Sest. 8 dove a proposito di Antonio Cicerone dopo aver segnalato i sospetti di Sestio, questore nel 63, dichiara: atque ego de Antonio nihil dico praeter unum: numquam illum illo summo timore ac periculo ciuitatis neque communem metum omnium nec propriam nonnullorum de ipso suspicionem aut infitiando tollere aut dissimulando sedare uoluisse «e in merito ad Antonio non voglio dir altro che questo: non ha mai voluto in un momento di gravissimo timore e pericolo per lo stato o eliminare con le smentite o placare con la dissimulazione né il panico generale né i sospetti che alcuni nutrivano su di lui». E in Sest. 12 Cicerone ricorda le esortazioni rivolte da Sestio ad Antonio, cui il senato aveva affidato l'incarico di guidare l'esercito consolare contro i rivoltosi (Sallustio Catil. 36,3; Plutarco Cic. 16,6; Cassio Dione 37,33,3), per indurlo ad attaccare Catilina in Etruria prima dell'inverno; del resto Antonio avrebbe affidato il comando a un legato, adducendo un attacco di podagra (Sallustio Catil. 59,4 e Cassio Dione 37,39,2-4). Sull'iniziale partecipazione di Antonio alla congiura cfr. Plutarco Cic. 12,3 e Cassio Dione 37,32,3. 17 moliri per la sua accezione negativa è riferito poco dopo a Catilina, talmente spudorato da tramare non obscure sed palam. Per contro nihil in re publica moliens è applicato in Vatin. 21 a Marco Calpurnio Bibulo, il collega di Cesare nel consolato del 59, di orientamento filosenatorio. 18 In seguito Cicerone avrebbe rinunciato al proconsolato nella Cisalpina dove si sarebbe recato in qualità di propretore Quinto Cecilio Metello Celere (fam. 5,2,3); per la rinuncia aveva riscosso grandi elogi per il proprio disinteresse, sebbene il suo intento fosse quello di rimanere a Roma (Planc. 66).

Lo scambio delle province secondo Cicerone (leg. agr. 2,103 ex concordia quam mihi constitui cum conlega «in seguito alla sintonia raggiunta con il mio collega») e secondo Plutarco (Cic. 12,4) risalirebbe a gennaio, secondo Cassio Dione (37,33,4) sarebbe successivo alla fuga di Catilina da Roma. Poiché esso deve precedere le elezioni consolari per il 62, pare attendibile la data che risulta sia da Att. 2,1,3 dove Cicerone, mandando all'amico perché provvedesse a copiarle e a diffonderle le orazioni pronunciate durante il consolato, indica come anteriore alla prima contro Catilina quella cum prouinciam in contione deposui; sia dalla collocazione della notizia in Sallustio Catil. 26,1 (collegam suum Antoniun pactione prouinciae perpulerat ne contra rem publicam sentiret «aveva indotto il collega Antonio con un accordo sulle province a non mettersi contro lo stato»). 19 Proprio il proconsolato in Macedonia dal 62 al 60, durante il quale Antonio aveva subito gravi disfatte militari che avevano suscitato indignazione a Roma e si era reso responsabile di un governo crudele e rapace, aveva fornito a Marco Celio Rufo il pretesto per esordire clamorosamente nel foro intentandogli all'inizio del 59 un processo forse per concussione. In realtà con l'accusa contro Antonio Celio intendeva stornare da sé il sospetto di essere stato a propria volta implicato nella congiura; o almeno Cicerone presenta l'iniziativa di Celio come prova della sua ostilità a Catilina in Cael. 15: non modo si socius

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I difficili rapporti con Antonio, se non conquistato alla causa del senato almeno indotto a non favorire i Catilinari, sono presentati con alcuni eufemismi: sebbene accenni agli aspetti equivoci del personaggio, Cicerone qualifica come patientia atque obsequium da parte propria la permuta delle province, che enuncia in una relativa (quam cum Antonio commutaui) chiarita da causale + oggettiva molto generiche (quod ita existimabam tempora rei publicae ferre); e le dipendenti sono inserite in un periodo aperto dal soggetto e chiuso del predicato della principale (ego prouinciam Galliam… in contione deposui). Per mettere in rilievo la generosa rinuncia al proconsolato Cicerone ricorre ad altri espedienti: amplia la locuzione tecnica prouinciam ornare, che indicava lo stanziamento votato dal senato per il governatore, precisando in modo analitico che la provincia era exercitu et pecunia instructa et ornata; menziona la senatus auctoritas; per ricordare le proteste popolari che avevano accolto la sua decisione, pospone al verbo della sovraordinata un ablativo assoluto di valore concessivo. E perfino la singolarità dello scambio forse trova espressione nella rarità del costrutto commutare aliquid cum aliquo, attestato prima che in Cicerone, e in accezioni alquanto diverse, soltanto in Terenzio Andr. 409-411 crede, inquam, hoc mihi, Pamphile, | numquam hodie tecum commutaturum patrem | unum esse uerbum, si te dices ducere «credimi, Panfilo, te lo ripeto: tuo padre oggi non scambierà una parola con te, se dirai che la sposi», e in Lucilio 669s. Marx = 26 fr.34 Charpin at libertinus, tricorius, Syrus ipse ac mastigias, | quicum uersipellis fio et quicum commuto omnia «ma è uno schiavo affrancato, uno con la pelle spessa, un vero e proprio Siriano, un tipo da frustate il personaggio in cui devo trasformarmi e con cui devo scambiare tutto quanto»20. Della repressione della congiura Cicerone ricorda gli episodi salienti con le immagini drammatiche che il tema costantemente gli suggerisce. Catilina lascia Roma dopo il discorso pronunciato da Cicerone l'8 novembre per informare i senatori dei movimenti di gruppi armati in molte zone d'Italia, dell'occupazione dei punti strategici della città da parte dei rivoltosi, del progetto di appiccare un incendio, del tentativo di assassinarlo organizzato la notte precedente21. La sua partenza almeno simbolicamente avrebbe dato sicurezza ai Romani, difesi da lui, ribelle alle leggi quale sovversivo, dalle mura coniurationis, sed nisi inimicissimus istius sceleris fuisset, numquam coniurationis accusatione adulescentiam suam potissimum commendare uoluisset «se fosse stato non dico complice della congiura ma non fosse stato risolutamente ostile a un simile misfatto, mai avrebbe scelto come titolo di merito della propria giovinezza proprio un'accusa di partecipazione alla congiura»; e cfr. Cael. 74 accusauit C. Antonium, conlegam meum, cui misero praeclari in rem publicam benefici memoria nihil profuit, nocuit opinio malefici cogitati «ha accusato il mio collega Gaio Antonio, un poveretto al quale non è riuscito di alcun vantaggio il ricordo delle sue benemerenze insigni verso la stato, mentre è riuscito di danno il preconcetto di un progetto criminale». L'atteggiamento benevolo verso Antonio dipende dalla circostanza che Cicerone ne aveva assunto la difesa; tuttavia Antonio era stato condannato (cfr. ancora Cael. 18 dove di Celio Cicerone ricorda: cum et ex publica causa iam esset mihi quidem molestam, sibi tamen gloriosam victoriam consecutus… «dopo aver riportato in un processo politico una vittoria per me certo spiacevole ma per lui gloriosa…») e si era ritirato in esilio a Cefalonia su cui esercitava una sorta di potere assoluto. Richiamato a Roma da Cesare, Antonio aveva ripreso l'attività politica giungendo nel 42 alla censura. Sul processo, di cui attribuisce l'iniziativa a Cesare, cfr. Cassio Dione 38,10. 20 In ThlL 3,1990,79-84 non sono citate altre occorrenze del costrutto. 21 Per l'invito perentorio a lasciare Roma cfr. Catil. 1,10 egredere aliquando ex urbe; patent portae; proficiscere «esci infine da Roma; le porte sono spalancate; vattene». Per la partenza di Catilina, dopo la replica al discorso di Cicerone, alla volta dell'Etruria dove Manlio, un ufficiale di Silla, aveva raccolto e organizzato l'esercito dei rivoltosi, cfr. Sallustio Catil. 32,1 se ex curia domum proripuit. ibi multa ipse secum uoluens, quod neque insidiae consuli procedebant et ab incendio intellegebat urbem uigiliis munitam, optumum factu credens exercitum augere ac, prius quam legiones scriberentur, multa antecapere quae bello usui forent, nocte intempesta cum paucis in Manliana castra profectus est «dalla curia si precipitò a casa. Là agitando tra sé e sé molti pensieri, poiché l'attentato al console era fallito e si rendeva conto che la città era difesa dall'incendio da corpi di guardia, ritenendo che la soluzione migliore consistesse nel rafforzare l'esercito e prendere in anticipo molte misure utili alla guerra prima che le legioni fossero arruolate, nel cuore della notte con pochi uomini partì per il campo di Manlio».

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Serviane, che rivestivano ancora un valore militare nella tarda repubblica, soprattutto nelle guerre civili. La struttura del periodo è sostenuta. Nella sovraordinata, aperta dalla menzione dei due antagonisti e chiusa dal predicato, si inserisce una nuova costruzione ad anello: l'oggetto dei preparativi insurrezionali in asindeto (caedem senatus, interitum urbis), come se la strage dei senatori coincidesse con la distruzione di Roma, si inserisce tra il nome di Catilina e il participio connotato da due avverbi in antitesi (non obscure sed palam molientem), cui segue immediatamente l'infinito egredi richiesto da iubere; questa dispositio illustra la tempestività del console, che ordinando a Catilina di lasciare la città ne interrompe i preparativi. Il comando è giustificato da una finale annunciata da ut ma preceduta da una relativa; e le due subordinate a incastro sono strettamente vincolate dall'ellissi nella relativa di defendi, dal poliptoto (poteramus e possemus), dall'omeoptoto in omeoteleuto (legibus e moenibus). Cicerone ottiene soltanto in dicembre le prove documentali della congiura con uno stratagemma fortunato e ingegnoso. Era venuta a Roma una delegazione di Allobrogi per chiedere al senato una riduzione delle imposte o una dilazione del versamento e uno dei Catilinari rimasto in città aveva preso contatto con loro per incitarli alla rivolta. Gli ambasciatori avevano esitato a lungo tra la proposta di aderire all'insurrezione e la prospettiva di assicurarsi il praemium previsto per quanti ne avessero fornito notizie22: «da una parte c'erano i debiti, la propensione per la guerra, una grande ricompensa nella prospettiva di vittoria; dall'altra parte mezzi maggiori, decisioni esenti da rischi, premi sicuri in luogo di una speranza incerta»23. Infine si erano rivolti a Quinto Fabio Sanga, discendente del Quinto Fabio Massimo che nel 121 aveva riportato il trionfo sul loro popolo; il patronus ne aveva informato Cicerone, che aveva consigliato agli Allobrogi di simulare adesione alla congiura, di incontrare quanti più cospiratori possibile e soprattutto di farsi rilasciare documenti con il pretesto di sottoporli ai propri concittadini per convincerli a collaborare. Quando nella notte tra il 2 e il 3 dicembre gli Allobrogi erano ripartiti per la Gallia scortati da alcuni Catilinari Cicerone, al corrente delle intese e dell'itinerario, aveva mandato due pretori con molti soldati ad attenderli al ponte Milvio. Il mattino seguente aveva pronunciato nel foro la terza Catilinaria per esibire le lettere consegnate agli ambasciatori, prove inconfutabili della congiura, e condurre l'interrogatorio degli arrestati24. Durante le trattative con gli Allobrogi i Catilinari avevano progettato di appiccare il fuoco in dodici punti strategici di Roma per poter avere più facilmente accesso alla casa di Cicerone e di altri notabili ostili approfittando del tumulto25. La sintesi di questi avvenimenti è affidata a due coordinate di struttura semplicissima, il cui patetismo si esprime nelle immagini drammatiche dei tela… intenta iugulis ciuitatis e delle faces iam accensae ad huius urbis incendium; nell'ipallage de coniuratorum nefariis manibus in cui l'aggettivo, che a senso qualifica i congiurati, è sintatticamente concordato con manus; nella concitazione degli eventi, concentrati extremo mense del consolato di Cicerone, che in un tempo così breve trionfa degli avversari. Il segno della vittoria consiste nel cumulo reso incalzante dall'asindeto dei predicati comprehendi, protuli, exstinxi che condensa le fasi della scoperta, della rivelazione e della repressione del crimine. Alla rievocazione delle benemerenze acquisite con il consolato Cicerone fa seguire nel §6s. quella dei pubblici riconoscimenti che gli erano stati tributati. La continuità del tema pur nel mutamento di prospettiva è segnalata dalla scansione di ogni periodo mediante il pronome di prima persona, in forma non più di anafora del nominativo ma

22 Cfr. Sallustio Catil. 30,6. 23 Cfr. Sallustio Catil. 41,2 in altera parte erat aes alienum, studium belli, magna merces in spe uictoriae; at in altera maiores opes, tuta consilia, pro incerta spe certa praemia. 24 Sulla funzione svolta dagli Allobrogi cfr. Sallustio Catil. 40s. e 44s. 25 Cfr. Sallustio Catil. 43,2.

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di poliptoto con prevalenza delle forme flesse (me… mihi… mihi… ego… mihi… e nel periodo conclusivo che ha esplicito valore di riepilogo a me preceduto da atque ita):

me Quinto Catulo, il primo dei senatori e autorevole ispiratore delle decisioni di interesse comune, davanti al senato al completo ha chiamato padre della patria. A me il personaggio molto illustre che ti siede accanto, Lucio Gellio, ha detto in presenza dei senatori che lo stato era debitore di una corona civica. Per me, magistrato in toga, non come per molti per essersi resi meritevoli ma come per nessuno per aver salvato lo stato il senato ha fatto aprire i templi degli dei immortali con un genere inedito di cerimonia di ringraziamento. Io, quando nell'assemblea popolare al momento di deporre la magistratura mi veniva impedito di riferire quanto avevo disposto da un tribuno della plebe che mi autorizzava soltanto a prestare giuramento, senza alcuna esitazione ho giurato che lo stato e la nostra città erano salvi esclusivamente per opera mia. 7. A me il popolo romano unanime nel corso di quella assemblea ha tributato non un ringraziamento effimero ma un'immortalità senza fine quando, dopo aver a propria volta giurato, ha confermato con acclamazioni e applausi corali il mio giuramento qual era formulato e per il valore che aveva. In quella circostanza il mio ritorno a casa dal foro è stato tale da dare l'impressione che nessuno, se non chi era con me, si annoverasse tra i cittadini. E il consolato è stato gestito da me in modo che nulla ho compiuto senza il parere del senato, nulla senza l'approvazione del popolo romano, che ho sempre difeso sui rostri la curia e in senato il popolo, che ho messo in accordo la folla con i maggiorenti, l'ordine equestre con il senato. Ecco la sintesi del mio consolato.

Gli omaggi di cui con orgoglio Cicerone ricorda di essere stato oggetto gli erano stati resi tanto dai senatori più rappresentativi quanto dal popolo. Con l'appellativo di parens o pater patriae era stato apostrofato da Quinto Lutazio Catulo, console nel 78 e censore nel 65, figlio del Catulo collega di Mario nel consolato del 102 e protagonista della vita politica e culturale di Roma tra la fine del II e l'inizio del I secolo; come il padre era esponente autorevole degli optimates ed è citato spesso da Cicerone con espressioni d'elogio. Per il prestigio di cui godeva tanto per i meriti personali quanto per la gloria del padre era stato incaricato di ricostruire il tempio di Giove Capitolino distrutto da un incendio ed era stato insignito del titolo onorifico di princeps senatus, attribuito dai censori al senatore più autorevole cui spettava votare per primo dopo i magistrati e che nei dibattiti poteva prendere la parola per primo in alternativa ai consoli designati26. Indicativi della sua difesa intransigente della costituzione sillana e delle prerogative del senato risultano, prima della posizione del massimo rigore assunta contro i Catilinari27, i suoi interventi nel 70 contro il ripristino della tribunicia potestas proposta dai consoli Pompeo e Crasso per abolire le forti limitazioni imposte da Silla; nel 67 contro la lex Gabinia che investiva Pompeo di poteri straordinari per debellare i pirati; nel 66 contro la lex Manilia che estendeva i poteri di Pompeo, dopo il trionfo sui pirati, alle province orientali perché portasse a termine la guerra mitridatica e conferisse un assetto più stabile alla regione. Sebbene sostenitore di tesi per lo più minoritarie28, Catulo è definito per il rispetto che riscuoteva auctor publici consili, uno dei responsabili della politica

26 Alcune prerogative del princeps senatus si deducono da Gellio 4,10,1s. 27 Cfr. Att. 12,21,1 e Plutarco Caes. 8,1 e Cic. 21,4. 28 Anche nelle elezioni del 63 per il pontificato massimo Catulo, sebbene omnium confessione senatus princeps «primo dei senatori per unanime riconoscimento» come lo definisce Velleio (2,43,3), soccombe a Cesare, che ottiene la carica di fortissima valenza politica con una propaganda spregiudicata e costosissima: cfr. Svetonio Iul. 13 e Plutarco Caes. 7,1-4.

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nazionale29. Per la sua autorevolezza è indicato quale latore della proposta di conferire a Cicerone il titolo di parens patriae, attribuito a lui per primo dopo che a Romolo quando, poiché all'improvviso si era sottratto ai loro sguardi durante una tempesta, i concittadini avevano creduto che fosse asceso al cielo30. Questo appellativo onorifico, che assimila Cicerone a Romolo e che l'oratore cita in innumerevoli testi, è ricordato sia dagli ammiratori sia dagli avversari: ad es. Plinio lo apostrofa con entusiasmo in nat. 7,117 salue primus omnium parens patriae appellate «salute a te, che per primo hai ricevuto il nome di padre della patria», mentre l'anonimo autore dell'invettiva in Ciceronem lo apostrofa con scherno nel §7 Romule Arpinas, prospettandone il maggior titolo di gloria quale sacrilega identificazione con il fondatore di Roma31. Alla menzione di Catulo segue quella di Lucio Gellio Publicola, console nel 72 e censore nel 70. La citazione di un personaggio non particolarmente famoso presso i posteri e, se l'identificazione è attendibile, aggredito da Catullo per la sua immoralità32, forse risale ai suoi stretti legami con Pompeo e alla sua avversione per i seguaci di Catilina: durante il consolato Gellio aveva proposto una legge per attribuire a Pompeo il diritto di assegnare la cittadinanza romana a singoli individui33 e, in qualità di legato navale di Pompeo nella guerra mitridatica, nel 65 aveva represso un tentativo di ammutinamento della flotta collegabile con la cosiddetta prima congiura di Catilina, contro cui era intervenuto con violenza in senato il 5 dicembre34. Cicerone ne riferisce in red. ad Quir. 17 una considerazione in sommo grado elogiativa volgendola alla prima persona: si ego consul, cum fui, non fuissem, rem publicam funditus interituram fuisse «se io non fossi stato console nell'anno in cui lo sono stato, la repubblica sarebbe rovinata dalle fondamenta». E poiché era convinto che Cicerone avesse salvato lo stato, Gellio lo aveva giudicato meritevole della ciuica corona, una corona di foglie di quercia che veniva conferita a chi avesse salvato la vita di un cittadino35. L'omaggio di singoli senatori confluisce in quello dell'intero senato, che su proposta del console del 65 Lucio Aurelio Cotta36, ottenute le prove della congiura, aveva deliberato il 3 novembre in onore di Cicerone una supplicatio, un solenne rendimento di grazie che comportava l'apertura dei templi, di norma chiusi. Come l'oratore sottolinea, 29 Sulla formula cfr. de orat. 1,211 e 215 e 3,63; fam.12,2,3. 30 Cfr. ad es. Livio 1,16,3 a paucis initio facto, deum deo natum, regem parentemque urbis Romanae saluere uniuersi Romulum iubent «dopo che pochi avevano preso l'iniziativa, tutti esortano a salutare Romolo come un dio nato da un dio, come re e padre della città di Roma». 31 A chi risalga l'iniziativa di attribuire a Cicerone il titolo di parens o pater patriae è incerto. Mentre nel passo in esame l'oratore la assegna a Catulo, in fam. 15,4,11 la ascrive a Catone e in Sest. 121 afferma che sia Catulo sia multi alii saepe in senatu patrem patriae nominarant «molti altri mi avevano chiamato spesso in senato padre della patria». Analogamente Plutarco nella biografia di Cicerone sostiene in 22,5 che con la formula swth;r kai; ktivsth~ th§~ patrivdo~ "salvatore e fondatore della patria" l'avevano salutato i cittadini mentre tornava a casa la sera del 5 dicembre e in 23,6 che l'appellativo era stato usato da Catone in un discorso al popolo. 32 L'identificazione tra il Gellio citato da Cicerone nel passo in esame e il Gellio oggetto degli attacchi feroci di Catullo in una serie di carmi (74. 80. 88-91. 116) pare probabile ma non è sicura. 33 Cfr. Balb. 19 e 33. 34 Cfr. Att. 12,21,1. 35 Sulla corona ciuica e sulla proposta di conferirla a Cicerone cfr. Gellio 5,6,11s. e 15 ciuica corona appellatur quam ciuis ciui a quo in proelio seruatus est testem uitae salutisque perceptae dat. ea fit e fronde quernea, quoniam cibus uictusque antiquissimus quercus capi solitus… hac corona ciuica L. Gellius, uir censorius, in senatu Ciceronem consulem donari a re publica censuit quod eius opera esset atrocissima illa Catilinae coniuratio detecta uindicataque «si chiama corona civica quella che un cittadino assegna a un altro da cui era stato salvato in battaglia come testimonianza di averne ricevuto la vita e la salvezza. Si fa con fronde di quercia, perché comunemente la quercia era assunta come il cibo e il nutrimento più antico… di questa corona civica Lucio Gellio, che era stato censore, ha proposto in senato che lo stato facesse dono al console Cicerone, perché per opera sua era stata scoperta e debellata la terribile congiura di Catilina». 36 Cfr. Phil. 2,13.

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la peculiarità che rendeva singularis la supplicatio consisteva nel destinatario, non come in precedenza un generale che si fosse reso benemerito verso lo stato con conquiste e vittorie, ma un magistrato da cui lo stato era stato salvato. Nella formulazione si saldano l'antitesi tra multis… e nemini e la gradatio ascendente tra bene gestae e conseruatae rei publicae37; ma l'immagine su cui il periodo fa perno consiste in togatus, che rinvia al motivo della superiorità delle magistrature civili sui comandi militari, dell'oratoria sulle armi, introdotto nelle Catilinarie e svolto in innumerevoli occasioni. La motivazione della supplicatio accordata a un togatus è fornita in Catil. 3,15: «e anche una cerimonia di ringraziamento agli dei immortali è stata deliberata: essa è indetta in mio nome per quanto loro sia questo merito senza paragone. Dalla fondazione della nostra città è la prima volta che tale onore è toccato a un magistrato in toga quale io sono ed è stato deliberato con questa motivazione: "perché ho salvato la città dagli incendi, i cittadini dall'eccidio, l'Italia dalla guerra". Se si mette a confronto questo rendimento di grazie con tutti gli altri rendimenti di grazie, questa è la differenza: gli altri sono stati decisi perché lo stato aveva riportato successi militari, soltanto questo perché lo stato è stato salvato»38. Perfino una gravissima offesa Cicerone era riuscito a trasformare in manifestazione di entusiasmo collettivo. Era consuetudine che alla scadenza del mandato il console tracciasse davanti all'assemblea popolare una sorta di bilancio della propria gestione; alla prassi si era opposto il tribuno Quinto Cecilio Metello Nepote che, per compiacere Pompeo infastidito dalla popolarità raggiunta da Cicerone, gli aveva impedito di tenere il consueto discorso imponendogli di limitarsi a giurare di aver rispettato le leggi. Con abilità Cicerone aveva innovato la formula giurando di aver salvato lo stato; poiché il popolo all'unanimità aveva ripetuto il giuramento, il meschino espediente di Metello aveva innescato una testimonianza di gratitudine e di stima che a giudizio di Cicerone gli avrebbe assicurato una fama imperitura. L'episodio, cui Cicerone allude più volte quale prova dell'ostilità di Metello Nepote39, è riferito in una lettera all'amico Metello Celere, fratello di Nepote (fam. 5,2,7), in forma molto affine: «lui – e so per certo che ne sei stato informato – il giorno precedente alle calende di gennaio ha inflitto a me console, sebbene avessi salvato lo stato, un'offesa che mai nessuno che rivestisse la più modesta delle magistrature ha subito, fosse pure il più spregevole dei cittadini, e nell'atto in cui deponevo la carica mi ha privato del diritto di tenere un discorso. Eppure la sua offesa è riuscita per me di grandissimo onore; poiché null'altro mi permetteva se

37 Mentre Nisbet accoglie la lezione non ut multis bene gesta sed ut nemini conseruata re publica con due ablativi assoluti di valore causale, sia Grimal sia Bellardi scelgono bene gestae e conseruatae rei publicae della maggioranza dei manoscritti e in quanto lectio difficilior. Il genitivo si può giustificare soltanto quale determinante del genitivo supplicationis: alla lettera "per me, magistrato in toga, il senato ha fatto aprire i templi degli dei immortali con un genere inedito di cerimonia di ringraziamento, non come per molti dello stato gestito con successo, ma come per nessuno dello stato salvato". Nella medesima formula i codici oscillano tra ablativo e genitivo in Catil. 3,15 dove gli editori scelgono in maggioranza l'ablativo (ceterae bene gesta, haec una conseruata re publica constituta est [sc. supplicatio]) e 4,20 dove del pari gli editori preferiscono l'ablativo (ceteris enim bene gesta, mihi uni conseruata re publica gratulationem decreuistis). Per l'ablativo cfr. fam. 15,4,11 a Catone: tu idem mihi supplicationem decreuisti togato non ut multis re publica bene gesta sed ut nemini re publica coseruata. Per il genitivo cfr. Phil. 2,2 qui ordo [sc. senatus] clarissimis ciuibus bene gestae rei publicae testimonium multis, mihi uni conseruatae dedit e Att. 2,1,6 sibi enim bene gestae, mihi conseruatae rei publicae dat [sc. Pompeius] testimonium, passi in cui il genitivo determina testimonium. 38 Cfr: Catil. 3,15 atque etiam supplicatio dis immortalibus pro singulari eorum merito meo nomine decreta est, quod mihi primum post hanc urbem conditam togato contigit, et his decreta uerbis est: quod urbem incendiis, caede ciues, Italiam bello liberassem. quae supplicatio si cum ceteris supplicationibus conferatur, hoc interest, quod ceterae bene gesta, haec una conseruata re publica constituta est. 39 Cfr. §35 e red. in sen. 5. 9. 25; dom. 7; Sest. 130; prou. 22.

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non di giurare, io ad alta voce ho pronunciato il giuramento più veritiero e più nobile e il popolo a propria volta ad alta voce ha giurato che quanto avevo giurato era vero»40. Alla solennità della circostanza, ultimo atto formale del magistrato al vertice delle istituzioni, corrisponde lo sviluppo ampio e solenne del periodo. Nel primo, conclusivo del §6, entro la principale ego… sine ulla dubitatione iuraui, in cui come di consueto il soggetto e il predicato danno luogo a un fortissimo iperbato, si inseriscono due narrative coordinate con diverso soggetto: cum in contione… dicere a tribuno plebis prohiberer contiene la subordinata implicita con valore temporale abiens magistratu, mentre l'oggetto di dicere è costituito dalla relativa quae constitueram, che allude tanto al discorso preparato quanto alle misure assunte dal console; in cumque is mihi tantum modo… permitteret si inserisce la dipendente formulata con ut + congiuntivo ut iurarem41. Alla sovraordinata segue in forma di oggettiva il contenuto del giuramento. Più semplice risulta la struttura del secondo periodo, iniziale del §7, in cui la principale è seguita da una temporale introdotta da cum; nella sovraordinata unius diei è in antitesi con la coppia sinonimica aeternitatem immortalitatemque, mentre nella subordinata la figura etimologica formata da ius iurandum e iuratus sviluppa il poliptoto iurarem e iuraui del periodo precedente42. Il consenso incondizionato del popolo si traduce in una nuovo tributo d'onore: Cicerone è scortato a casa da una folla tanto numerosa da dare l'impressione che tutti i cittadini lo accompagnassero. E la formula polivalente ciuium esse in numero può sia indicare gli abitanti di Roma sia costituire una valutazione etico-politica: il console era scortato da quanti risiedevano in città e al tempo stesso erano provvisti di senso dello stato43. La connessione tra il plauso al giuramento di Cicerone e il corteo che si avvia dal foro è segnalato dal nesso relativo quo quidem tempore; nella principale is costituisce l'antecedente della consecutiva ut nemo… ciuium esse in numero uideretur, apodosi del periodo ipotetico in cui si inserisce la protasi in forma di relativa nisi qui mecum esset. La sintetica rassegna dei momenti giudicati più significativi del consolato è non tanto conclusa quanto giustificata dall'indicazione dei principi cui il console si era attenuto, il rispetto delle istituzioni e la concordia ordinum. Essi sono enunciati in tre consecutive introdotte da ita e scandite dall'anafora di ut. Nella prima ut nihil sine consilio senatus, nihil non approbante populo Romano egerim all'anafora della congiunzione si associa l'anafora dell'oggetto e i due cola, sebbene diversamente espressi (sine + ablativo e ablativo assoluto), condividono forma e senso negativi; il predicato egerim dà luogo a 40 Cfr. fam. 5,2,7 ille, quod te audisse certo scio, pridie kalendas Ianuarias, qua iniuria nemo umquam in minimo magistratu improbissimus ciuis adfectus est, ea me consulem adfecit, cum rem publicam conseruassem, atque abeuntem magistratu contionis habendae potestate priuauit. cuius iniuria mihi tamen honori summo fuit; nam, cum ille mihi nihil nisi ut iurarem permitteret, magna uoce iuraui uerissimum pulcherrimumque ius iurandum, quod populus idem magna uoce me uere iurasse iurauit. Sull'episodio cfr. anche Plutarco Cic. 23,2s. e Cassio Dione 37,38 che lo prospetta in modo del tutto diverso: sarebbe stato il popolo, con il consenso di Metello Nepote, a togliere la parola a Cicerone e a consentirgli soltanto di prestare il giuramento di rito, sdegnato per la condanna a morte dei congiurati. Di fronte alle due versioni contraddittorie, è senza dubbio attendibile quella di Cicerone, che non potrebbe deformare i fatti scrivendone a Metello Celere e parlandone davanti a contemporanei e forse testimoni. 41 Per l'alternativa tra ut + congiuntivo o semplice congiuntivo e accusativo + infinito o semplice infinito, più frequenti con permittere, cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §195.A e §90. 42 Il valore attivo di iuratus, come di altre forme in -to- quali cenatus pransus potus, dimostra che in origine il suffisso serviva a dedurre aggettivi da temi verbali e che soltanto in una fase relativamente recente della lingua questi aggettivi sono stati integrati nella coniugazione come participi di tempo passato e di diatesi passiva; tuttavia alcuni di essi sono rimasti estranei al tempo o alla diatesi: cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §162.c.e. 43 Analoga polisemia non si riscontra nell'accenno al trionfale ritorno a casa di Att. 1,16,5 – dove Cicerone ricorre al termine frequentia 'folla, gran numero' – e nel racconto di Plutarco Cic. 22,5s., che riferisce l'episodio alla sera dell'esecuzione dei congiurati.

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una figura etimologica con il predicato della sovraordinata est… peractus. Nella seconda Cicerone insiste sulla garanzia costantemente (semper) assicurata alle legittime aspettative delle classi sociali, bipartite in populus e senatus in cui erano rappresentati sia i grandi proprietari terrieri di origine patrizia sia gli imprenditori, i commercianti e i finanzieri di origine equestre. Al populus rinvia rostra, per una catena metonimica in accezione circoscritta la tribuna ornata con i rostri, speroni di metallo che armavano la prua delle navi da guerra catturate ai nemici, da cui l'oratore parlava, in accezione ampia la zona del foro circostante la tribuna dove si svolgevano le assemblee popolari; al senatus rinvia curia che ne era la sede: e i sintagmi paralleli in rostris curiam, in senatu populum sotto il profilo semantico risultano chiastici. Nella terza alle denominazioni generiche multitudo e principes, che includono i cittadini comuni e le personalità più influenti nella vita pubblica, subentrano nel secondo colon quelle tecniche equester ordo e senatus, le due categorie i cui interessi Cicerone si auspicava di far convergere sul piano politico-istituzionale (coniunxerim)44.

44 Sull'ideale della concordia ordinum cfr. in particolare Sest. 96-98 dove Cicerone definisce boni quelli qui neque nocentes sunt, nec natura improbi nec furiosi, nec malis domesticis impediti «che non fanno del male, che non sono per natura malvagi né squilibrati, che non sono ostacolati da difficoltà familiari», quelli qui et integri sunt et sani et bene de rebus domesticis constituti «quelli che sono moralmente integri e di buon senso e provvisti di un patrimonio adeguato», quelli che si propongono cum dignitate otium «una vita tranquilla e dignitosa».

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4. Il consolato di Pisone 4.1. La tolleranza di Pisone I §§8-11a sono dedicati all'esordio del consolato di Pisone, prima che avesse inizio l'aggressione contro Cicerone.

8. Abbi il coraggio adesso, Furia, di parlare del tuo! Inizio di esso sono stati i giochi dei Compitali, celebrati allora per la prima volta dopo il consolato di Lucio Giulio e Gaio Marcio contro un decreto di questo consesso; quei giochi Quinto Metello (arreco offesa a un morto di grandissimo valore nel mettere a confronto con questa bestia spudorata un personaggio di cui la nostra città ne ha avuti pochi di tale rilievo), ebbene lui come console designato, poiché un tribuno della plebe aveva ordinato ai capi dei quartieri di celebrare i giochi con il suo aiuto contro il decreto del senato, sebbene privato cittadino, ha impedito che si svolgessero, e ciò che non poteva ancora con il suo potere l'ha ottenuto con il suo prestigio. Tu, poiché il giorno dei Compitali era coinciso con le calende di gennaio, hai tollerato che Sesto Clodio, che prima non aveva mai indossato la toga pretesta, celebrasse i giochi e scorrazzasse in pretesta, quell'uomo corrotto e in tutto degno non soltanto del tuo volto ma anche del tuo sguardo.

aude nunc, o Furia, de tuo dicere :: principale all'imperativo. Mentre nel fr.3 Pisone è incalzato dalle Furie, nel passo è identificato in modo iperbolico con una Furia, divinità che perseguitava i colpevoli con rimorsi che toglievano loro il senno. Per la definizione cfr. §91 o Poena et Furia sociorum «castigo e furia per gli alleati» e §46s. dove, sviluppando il tema della follia quale punizione, l'oratore definisce Pisone uaecors… furiosus… mente captus… demens «insensato… forsennato… pazzo… demente». cuius fuit initium ludi Compitalicii tum primum facti post L. Iulium et C. Marcium consules contra auctoritatem huius ordinis :: principale aperta dal nesso relativo, che ha come referente il consulatus di Pisone, implicito nel possessivo tuo, e il cui esordio è messo sotto il segno della ribellione alla senatus auctoritas. I ludi Compitalicii sono i giochi che si svolgevano in occasione dei Compitali, cioè della festività dei Lari dei crocicchi, che si celebravano in date diverse fissate dal pretore urbano. Vi partecipavano le persone modeste, tra cui liberti e schiavi, riunite in associazioni presiedute dai uicorum magistri. Nel 64 sotto il consolato di Lucio Giulio Cesare e di Gaio Marcio Figulo il senato aveva sciolto per ragioni di ordine pubblico questi e altri collegia e proibito i giochi connessi con i Compitali. Il 4 gennaio 58 Clodio aveva fatto approvare una legge che ripristinava i collegia e Sesto Clodio ne aveva anticipato l'applicazione1. quos Q. Metellus… sed ille designatus consul… priuatus… uetuit :: prima principale aperta dal nesso relativo, il cui soggetto è richiamato dal pronome ille e dalle apposizioni designatus consul dopo la congiunzione sed, che non ha il consueto valore avversativo ma serve a riprendere il discorso interrotto dalla parentesi2, e priuatus. fieri :: infinitiva che integra uetuit e il cui soggetto concide con quos iniziale del periodo. Quinto Cecilio Metello Celere, console nel 60 e fratello del Metello Nepote che in qualità di tribuno aveva vietato a Cicerone di parlare al popolo alla fine del consolato, poiché aveva sposato Clodia, era cognato di Clodio. Metello come pretore urbano nel 63 aveva impedito la condanna di Rabirio, processato da una giuria irregolare in quanto 1 Cfr. supra §1.3. 2 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §260.a.

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non eletta dal popolo, facendo ammainare il vessillo sul Gianicolo e perciò indicando secondo la prassi antica che l'assemblea, non più al sicuro, doveva essere sciolta3. Dopo aver collaborato con Pompeo in Asia quale legatus, Metello gli era diventato ostile quando Pompeo nel 62 aveva divorziato dalla cugina Mucia per la sua relazione con Cesare4. Come console designato nel dicembre del 61 si era opposto al tentativo di un anonimo tribuno (quidam tribunus) seguace di Clodio di celebrare i ludi Compitalicii nonostante il divieto del senato: Cicerone sottolinea come Metello ancora priuatus avesse ottenuto il rispetto del senatusconsultum con la sua sola auctoritas; al contrario Pisone quale console in carica ne aveva tollerato la violazione5. cum quidam tribunus pl(ebis)… iussisset :: causale. suo auxilio magistros ludos contra senatus consultum facere :: infinitiva richiesta da iubere. atque id… obtinuit auctoritate :: seconda principale in cui il pronome anaforico anticipa enfaticamente la relativa. quod nondum potestate poterat :: relativa in cui potestate è in omeoptoto e in omeoteleuto con auctoritate della sovraordinata e determina una figura etimologica con poterat. facio iniuriam fortissimo uiro mortuo :: principale. qui illum… cum hac importuna belua conferam :: relativa al cui congiuntivo si può attribuire valore causale. Cicerone si giustifica per l'offesa arrecata a un uir fortissimus mettendolo a confronto con una belua importuna. Designazioni e qualificanti di Metello e di Pisone sono in forte antitesi: a uir si oppone belua6; il coraggio e il rigore impliciti in fortissimus sono contrari all'impudenza e alla mancanza di senso dell'opportunità cui rinvia importunus; mortuus designa una condizione polare alla presenza segnalata da hic. cuius paucos paris haec ciuitas tulit :: relativa. tu… passus es :: principale aperta dal pronome soggetto enfatico in fortissimo iperbato con il predicato. cum in kalendas Ianuarias Compitaliorum dies incidisset :: causale. Sex(tum) Clodium… ludos facere et praetextatum uolitare… hominem impurum ac non modo facie sed etiam oculo tuo dignissimum :: oggettive seguite dalla connotazione del soggetto. Sesto Clodio discendeva da un liberto della gens Claudia ed era segretario di Clodio, che nel 58 gli aveva fatto affidare la sovrintendenza all'annona7 e ricorreva a lui per la stesura delle proposte di legge8. In Cael. 78 Cicerone rievoca le azioni scellerate di Sesto Clodio, talvolta confondendole con quelle del patronus: egli non solo era stato promotore e partecipe di ogni sommossa, ma di persona aveva incendiato le aedes nympharum, un tempio in cui si custodivano i registri dei censori e gli elenchi dei cittadini beneficiari delle distribuzioni di grano, il portico fatto erigere da Catulo padre sul Palatino e le case ad esso contigue di Cicerone e del fratello Quinto. Il nome del personaggio è incerto nei manoscritti e Nisbet accoglie Sextus Cloelius. Con una sequenza simile a quella in cui esprime il proprio sdegno verso Sesto Clodio Cicerone in red. in sen. 16 nomina di Pisone oculus frons supercilium opponendoli a animus uita e res gestae. Nisbet accoglie la correzione osculo («in tutto degno non

3 Cfr. Cassio Dione 37,27,3. 4 Sul rapporto tra il numero crescente degli amanti di Mucia e la potenza crescente del marito cfr. Catullo 113. 5 Per l'amicizia di Cicerone verso Metello cfr. Cael. 59 dove ne è rievocata la morte, di cui l'oratore insinua che fosse responsabile la moglie. 6 Sulla designazione cfr. §1. 7 Cfr. dom. 25s. 8 Cfr. dom. 47s. e 83; har. resp. 11; Sest. 133.

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soltanto del tuo volto ma anche dei tuoi baci») nell'ipotesi che Cicerone alluda a rapporti omosessuali tra Pisone e Clodio, peraltro non testimoniati altrove. qui numquam antea praetextatus fuisset :: relativa al congiuntivo di valore concessivo con cui Cicerone allude alla circostanza che Sesto Clodio non era libero di nascita: la sottolineatura maligna ha il fine di indicare il basso profilo dell'entourage di Pisone. La toga orlata di porpora (praetexta) era indossata fino alla maggiore età dai figli dei cittadini liberi e nobili, e costituiva il contrassegno dei magistrati, dei sacerdoti e degli organizzatori di ludi. Sesto Clodio, che ostentava un abbigliamento cui non aveva diritto, risulta in piena sintonia con il console di cui imitava l'austerità esteriore per dissimulare ipocritamente la vita corrotta.

9. Dunque poste queste basi del tuo consolato, tre giorni dopo, sotto i tuoi occhi e senza che tu aprissi bocca, dal fatale flagello e mostro dello stato è stata abrogata la legge Elia e Fufia, difesa e baluardo della tranquillità e della pace; sono state ripristinate le associazioni, non soltanto quelle che il senato aveva abolito, ma ne sono state promosse innumerevoli nuove con tutta la feccia e gli schiavi della città. Dal medesimo individuo, abituato ad atti di libidine inauditi e sacrileghi, è stata abolita la censura, l'antica maestra di ritegno e di moderazione, mentre nel frattempo tu, sepolcro dello stato, che vai dicendo di essere stato in quel tempo console a Roma, mai indicavi con una parola il tuo pensiero in un naufragio così catastrofico dello stato.

ergo… triduo post… a fatali portento prodigioque rei publicae lex Aelia et Fufia euersa est, propugnacula murique tranquillitatis atque oti :: principale. Cicerone rievoca la rogatio presentata il 4 gennaio (triduo post rispetto alle calende)9 con cui Clodio non aboliva ma ridimensionava le leges Aelia et Fufia10, promulgate almeno prima del 130 in quanto da Vatin. 23 risulta che erano sopravvissute ai Gracchi. Esse stabilivano che per tutti i comizi con funzione legislativa si potessero prendere gli auspici e, se fossero risultati sfavorevoli, un magistrato curule o un tribuno ne desse notizia (obnuntiatio) per sospenderli. Poiché di queste leggi gli optimates avevano abusato per paralizzare le iniziative dei populares, Clodio aveva avanzato con la lex Clodia de auspiciis una proposta di riforma, forse prevedendo che i comitia e i concilia plebis decidessero volta per volta con un voto preliminare se si poteva o no ricorrere all'obnuntiatio11.

Sia i lessicografi Festo (p.122,7-17 Lindsay) e Nonio (pp.435,27-436,9 Mercier = p.701s. Lindsay) sia Isidoro (orig. 11,3,2s.) attribuiscono la medesima funzione di esprimere la volontà degli dei al prodigium, forma di origine oscura che connettono in modo erroneo Festo con praedicere 'predire' e Nonio con praedicare 'annunciare', e al portentum, che collegano con portendere 'preannunciare'. Tra i termini monstrum ostentum portentum prodigium, di cui i due ultimi spesso accostati in nesso allitterante, Nonio istituisce una gerarchia: ostentum sarebbe l'iperonimo, la designazione sotto il profilo semantico più comprensiva, dei tre iponimi monstrum 'ammonimento', prodigium 'ammonimento minaccioso e adirato', portentum 'annuncio di un evento imminente'. his fundamentis positis consulatus tui… inspectante et tacente te :: ablativi assoluti di valore temporale. Le forme del participio inspectante e inspectantibus sono lo uniche dell'intensivo inspectare usate da Cicerone e da Cesare. Da Vatin. 18 risulta che Pisone era presente ai concilia del popolo che avevano approvato la legge di Clodio.

9 In sintagmi di questo genere il metodo di calcolo non è inclusivo. 10 Cfr. supra §1.3. 11 Cfr. red. in sen. 11; Sest. 33. 56. 114; Vatin. 5. 18. 23. 37; prou. 45s.

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collegia non ea solum… restituta, sed innumerabilia quaedam noua ex omni faece urbis ac seruitio concitata :: principali in rapporto avversativo con cui Cicerone allude alla lex Clodia de collegiis12. L'indefinito quidam assume funzione intensiva13. quae senatus sustulerat :: relativa. ab eodem homine, in stupris inauditis nefariisque uersato, uetus illa magistra pudoris et modestiae censura sublata est :: principale. Cicerone mette in rapporto con evidente sarcasmo la lex Clodia de censoria notione, che non aboliva la censura ma richiedeva che i provvedimenti di espulsione dal senato fossero concordati dai censori e ratificati dall'assemblea14, con la condotta spregiudicata di Clodio, che si attendeva una nota censoria per la violazione dei misteri della Bona Dea nel 6215 e per i rapporti incestuosi con le sorelle, in particolare con Clodia-Lesbia16. Le allusioni all'incesto hanno particolare trasparenza nella pro Caelio dove Cicerone nel §36 in un'apostrofe a Clodia dice del fratello: «che ti vuole un gran bene e che per non so quale timidezza, credo, e per inconsistenti timori notturni, come un bambino, ha sempre avuto l'abitudine di dormire con te, la sorella maggiore»17; e nel §32 con altrettanta malizia afferma che si opporrebbe con maggior vigore agli accusatori di Celio «se non mi fosse d'ostacolo l'inimicizia verso il marito di questa donna, verso il fratello volevo dire: commetto sempre lo stesso errore»18. Secondo Cassio Dione 40,57 in seguito all'abrogazione nel 52 delle leggi di Clodio era diventato difficile trovare candidati alla censura, evitata per non attirarsi l'ostilità o dei senatori indegni radiandoli o dei benpensanti ignorando l'immoralità di alcuni senatori. La definizione della censura quale uetus illa magistra pudoris et modestiae costituisce un luogo comune e al tempo stesso un omaggio dell'oratore ai censori in carica. cum tu interim, bustum rei publicae… uerbo numquam significaris sententiam tuam tantis in naufragiis ciuitatis :: temporale di concomitanza. bustum riferito a una persona è del tutto inconsueto e non trova riscontro almeno in Cicerone; a Pisone è rimproverato un silenzio inopportuno, mentre nel fr.20 gli è ascritto per derisione un discorso inopportuno. L'immagine del naufragium, suggerita da quella abusata dello stato come nauis, è resa ancora più patetica dal plurale. qui… dicis :: relativa. te consulem tum Romae… fuisse :: oggettiva. Attribuendo a Pisone l'affermazione di essere stato console, Cicerone introduce il tema sviluppato nei §§23-30: Gabinio e Pisone non potevano essere considerati consoli in quanto durante il loro mandato il potere era stato esercitato contro ogni legge da Clodio.

10. Dico non ancora che cosa hai fatto ma che cosa hai tollerato che si facesse. E in verità non fa molta differenza soprattutto a proposito di un console se di persona strazi lo stato con leggi rovinose e con assemblee temerarie o tolleri che altri lo strazino. Forse può esserci una giustificazione per un console non dirò con pessimi principi ma che se ne sta seduto, esitante, sonnolento nel massimo sommovimento dello stato? Per circa cent'anni ci eravamo tenuti la legge Elia e Fufia, per circa quattrocento il diritto di giudicare e di indagare dei censori. Quelle leggi che qualche sciagurato ha cercato con audacia ma nessuno è riuscito ad abrogare, quell'autorità che nessuno con tanta

12 Cfr. supra §1.3 e Sest. 55. 13 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §107.d. 14 Cfr. supra §1.3; inoltre Sest. 55 e prou. 46. 15 Cfr. supra §1.2.1 e Pis. 95 oltre a numerosi passi delle orazioni post reditum. 16 Cfr. §28 oltre a numerosi passi delle orazioni post reditum. 17 Cfr. Cael. 36 qui te amat plurimum, qui propter nescioquam, credo, timiditatem et nocturnos quosdam inanis metus tecum semper pusio cum maiore sorore cubitauit. 18 Cfr. Cael. 32 nisi intercederent mihi inimicitiae cum istius mulieris uiro, fratre uolui dicere; semper hic erro.

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sfrenata sfrontatezza ha tentato di menomare per impedire che ogni cinque anni si giudicasse della nostra condotta, 11a. tutto questo, carnefice, è stato sepolto all'esordio del tuo consolato. Esamina a uno a uno i giorni contigui a questi funerali. Davanti al tribunale Aurelio, senza che tu neppure chiudessi gli occhi (che sarebbe di per sé un delitto) ma mentre guardavi con un'espressione più soddisfatta del solito, si svolgeva una leva di schiavi per iniziativa di quell'individuo che nulla ha mai considerato per sé una vergogna fare o subire. Armi si ammassavano nel tempio di Castore sotto i tuoi occhi, traditore di tutti i templi, per iniziativa di quel brigante per cui durante il tuo consolato quel tempio è stato la fortezza dei cittadini disperati, il rifugio dei veterani di Catilina, la roccaforte del brigantaggio forense, il sepolcro di tutte le leggi e di tutti i culti.

nondum… dico :: principale. quae feceris, sed quae… passus sis :: interrogative indirette avversative. fieri :: infinitiva il cui soggetto quae è al tempo stesso oggetto di passus sis. Poiché, sebbene formato da una radice diversa, fieri sotto il profilo semantico è usato come passivo di facere, feceris e fieri costituiscono un poliptoto almeno di senso. neque uero multum interest praesertim in consule :: principale. Per il luogo comune secondo cui chi non impedisce una colpa è responsabile quanto chi la commette cfr. ad es. Seneca Troad. 291 «chi non impedisce di commettere un delitto, sebbene ne abbia la possibilità, lo ordina»19. utrum ipse perniciosis legibus, improbis contionibus rem publicam uexet an… patiatur :: interrogative indirette disgiuntive. alios uexare :: infinitiva il cui oggetto si deduce dalla prima interrogativa indiretta. In poliptoto sono uexet e uexare, patiatur e passus sis del periodo precedente.

L'uso di uexare in ecl. 6,75-77 per rievocare lo scempio dei compagni di Odisseo, il cui regno si estendeva sull’isola di Dulichio, operato da Scilla – a quanto riferisce Gellio 2,6,1s. – era giudicato sbiadito da alcuni esegeti di Virgilio: «censurano in questi versi una parola quasi fosse stata inserita per trascuratezza e corrività: "[sc. la fama narra che Scilla] con i fianchi candidi cinti da mostri latranti straziò le navi dulichie e nel profondo gorgo, ahimè, fece dilaniare da cani marini i marinai atterriti". Ritengono che uexare sia una parola inespressiva, propria di un disagio lieve e di poco conto, e non si addica a un evento tanto atroce in cui all’improvviso uomini sono stati ghermiti e sbranati da una belva di inaudita ferocia»20. Per confutare l'obiezione Gellio, dopo aver osservato che uexare, ritenuto forse a torto intensivo di uehere, designa un’azione energica con cui il soggetto impone la propria volontà e che la pregnanza del verbo era andata perduta nell’uso contemporaneo ma era intatta nei ueteres, in 2,6,7s. adduce a conferma due passi. Nel primo Catone (orat. fr.142 Sblendorio Cugusi) applica uexare alle devastazioni compiute da Annibale in Italia e nel secondo Cicerone (Verr. 2,4,122) alla depredazione compiuta da Verre ai danni del tempio di Minerva a Siracusa: «queste sono le parole di Marco Catone dal discorso sugli Achei: "quando Annibale dilaniava e straziava la terra d’Italia"; Catone ha definito l’Italia uexata da Annibale in quanto non è possibile trovare un genere di sciagura o di crudeltà o di ferocia che in quel periodo l’Italia non abbia sofferto. Marco Tullio nel quarto discorso contro Verre: "che [sc. il tempio di Minerva] è stato saccheggiato e depredato da costui in modo da dare l’impressione di essere stato straziato non da un nemico, che se non altro in guerra

19 Cfr. Seneca Troad. 291 qui non uetat peccare, cum possit, iubet. 20 Cfr. Gellio 2,6,1s. reprehendunt quasi incuriose et abiecte uerbum positum in his uersibus: «candida succinctam latrantibus inguina monstris | Dulichias uexasse rates et gurgite in alto | a! timidos nautas canibus lacerasse marinis». uexasse enim putant uerbum esse leue et tenuis ac parui incommodi nec tantae atrocitati congruere, cum homines repente a belua immanissima rapti laniatique sint.

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avrebbe rispettato il sentimento religioso e il diritto consuetudinario, ma da predoni barbari"»21. Le considerazioni e gli esempi di Gellio confermano il drastico giudizio negativo che con uexare Cicerone formula sull'operato di Pisone e dei suoi complici. an potest ulla esse excusatio, non dicam male sentienti sed sedenti, cunctanti, dormienti in maximo rei publicae motu consuli? :: interrogativa diretta in cui a non dicam si oppone sed per rettificare una formula inadeguata con una più pertinente22. Dei quattro participi in omeoptoto il primo e l'ultimo sono collegati anche da un forte omeoteleuto, attenuato in sedenti, pressoché paronomastico di sentienti. L'inerzia attribuita a Pisone pare corrispondere non tanto a un atteggiamento di pigrizia e di disinteresse quanto al disegno di lasciar agire Clodio, di non intralciarne le iniziative dannose per lo stato e per Cicerone. centum prope annos legem Aeliam et Fufiam tenueramus, quandringentos iudicium notionemque censoriam :: principali in asindeto il cui predicato comune è espresso soltanto nella prima. L'istituzione della censura è collocato nel 443 da Livio 3,3,9 che la attribuisce a Tito Quinzio, uno dei vincitori degli Equi: «quindi Quinzio tenne il censimento e celebrò il sacrificio espiatorio»23. In origine le incombenze essenziali dei censori consistevano nella redazione dell'elenco dei cittadini tenuti al servizio militare e soggetti alle imposte e, concluso il censimento, nella lustratio, la solenne cerimonia di purificazione dell'esercito24. Progressivamente le funzioni dei censori sono state estese allo sfruttamento dei terreni demaniali, alla costruzione delle opere pubbliche, all'assegnazione degli appalti; è rimasta loro prerogativa peculiare la vigilanza sulla condotta dei cittadini non sotto il profilo penale ma per gli aspetti che si riflettevano sulla vita della comunità: i censori segnalavano e punivano le infrazioni del mos maiorum con sanzioni che incidevano sulla posizione sociale. Una legge popolare del IV secolo attribuiva ai censori la facoltà di scegliere i senatori (lectio senatus) dall'elenco degli ex magistrati e di controllare periodicamente la lista25. quas leges ausus est non nemo improbus, potuit quidem nemo conuellere :: prima coppia di relative in rapporto avversativo (quidem)26 cui è comune l'infinito connesso con il verbo servile e nella prima delle quali, per conservare l'enfatica identità di soggetto, nemo è negato27. Con non nemo il parlante allude a un individuo determinato

21 Cfr. Gellio 2,6,7s. M. Catonis uerba sunt ex oratione quam de Achaeis scripsit: «cumque Hannibal terram Italiam laceraret atque uexaret»; uexatam Italiam dixit Cato ab Hannibale, quando nullum calamitatis aut saeuitiae aut immanitatis genus reperiri queat quod in eo tempore Italia non perpessa sit. M. Tullius IV in Verrem: «quae ab isto sic spoliata atque direpta est non ut ab hoste aliquo, qui tamen in bello religionem et consuetudinis iura retineret, sed ut a barbaris praedonibus uexata esse uideatur». 22 Cfr. oltre a Szantyr 1965 (= 1972) §284, ad es. fin. 2,92 an id exploratum cuiquam potest esse quo modo se hoc habiturum sit corpus, non dico ad annum, sed ad uesperum? «forse qualcuno può avere la certezza di come sarà il suo corpo non dico tra un anno ma alla sera?». 23 Cfr. Livio 3,3,9 census deinde actus et conditum ab Quinctio lustrum. 24 Poiché il censimento, che in un primo tempo non aveva scadenze regolari, ha assunto in seguito cadenza quinquennale, il lustrum che lo concludeva ha assunto il valore di 'quinquennio'. 25 Sul nesso di notio e iudicium in riferimento ai censori a proposito delle leggi di Clodio cfr. Sest. 55 latae quidem sunt [sc. leges] consulibus illis – tacentibus dicam? immo uero etiam adprobantibus – ut censoria notio et grauissimum iudicium sanctissimi magistratus de re publica tolleretur «mentre erano consoli – devo dire con il loro silenzio? al contrario, piuttosto con la loro approvazione – sono state presentate leggi per abolire dallo stato l'indagine dei censori e il giudizio della massima autorevolezza di quella venerabile magistratura»; prou. 46 uobis statuendum est… censorium iudicium ac notionem et illud morum seuerissimum magisterium non esse nefariis legibus de ciuitate sublatum «dovete decidere… che il giudizio e l'indagine dei censori e la severissima sorveglianza sui costumi non sono stati eliminati dalla nostra comunità in base a leggi rovinose». 26 Sul valore avversativo che talvolta quidem assume cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §259. 27 Per l'equivalenza di non nemo e aliquis cfr. Szantyr 1965 (= 1972) Stil. §43.II.A.b.

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che non intende nominare ma che l'uditorio riconosce28. Il personaggio che ha compiuto senza riuscirvi il tentativo di abrogare le leges Aelia et Fufia e di indebolire la censura con ogni probabilità è Vatinio, che come tribuno della plebe nel 59 non soltanto era stato il più attivo collaboratore di Cesare ma anche il latore della maggior parte delle proposte di legge, fatte votare ignorando l'obnuntiatio opposta sistematicamente da Bibulo. quam potestatem minuere… nemo tam effuse petulans conatus est :: seconda relativa in asindeto che ha in comune con la coppia precedente il soggetto nemo e la struttura verbo servile + infinito. quo minus de moribus nostris quinto quoque anno iudicaretur :: poiché il tentativo di limitare il potere dei censori intendeva impedire la valutazione della condotta dei senatori, con la seconda relativa si collega una subordinata introdotta da quo minus come in dipendenza dai uerba impediendi e recusandi29. haec sunt, o carnifex! in prooemio sepulta consulatus tui :: principale in cui il neutro haec ricapitola le leges e la potestas oggetto delle relative e si inserisce l'apostrofe carnifex ricorrente soprattutto nel linguaggio comico. prooemium, termine tecnico del linguaggio letterario che designa la sezione iniziale di un testo, assume il valore tropico di 'inizio, esordio' del consolato e per questa accezione risulta in sintonia sia con le indicazioni cronologiche fornite sulle leges Aelia et Fufia e sulla censura sia con l'invito a passare in rassegna gli avvenimenti dei giorni successivi. A propria volta sepelire sviluppa l'immagine del bustum rei publicam con cui nel §9 è identificato Pisone. persequere continentis his funeribus dies :: principale all'imperativo che continua con i funera la metafora della sepoltura. continere, cui in senso proprio inerisce il valore spaziale di 'tenere insieme, tenere unito', è applicato al participio con valore mediale ai dies 'che si tengono uniti' ai funera, cioè 'temporalmente contigui, successivi'30. La scarsa frequenza dell'uso è sottolineata dall'uscita in -is dell'accusativo plurale. Esso è regolare nei temi in -i-, in cui il morfema -ns si salda alla vocale del tema che assume quantità lunga per la semplificazione del gruppo consonantico (ad es. *puppi-ns > puppis), ed è esteso episodicamente anche ai temi in consonante, in cui la nasale del morfema trovandosi in posizione postconsonantica diviene sonante, cioè sviluppa una vocale d'appoggio che assume quantità lunga per la semplificazione del gruppo consonantico (ad es. *patr-ns > *patr-ns > *patr-ens > patres)31. pro Aurelio tribunali… dilectus seruorum habebatur ab eo :: principale. Non si conosce la collocazione esatta di questa tribuna fatta erigere da un Aurelio Cotta nel foro intorno al 75. Clodio, dopo aver abolito la norma del 64 che scioglieva i collegia,

28 Cfr. ad es. Catil. 4,10 uideo de istis, qui se popularis haberi uolunt, abesse non neminem «vedo che tra costoro, che vogliono passare per amici del popolo, manca qualcuno» con allusione a Metello Nepote o forse a Crasso; Mur. 84 hostis est… in urbe, in foro… non nemo etiam in illo sacrario rei publicae, in ipsa, inquam, curia, non nemo hostis est «il nemico è… in città, nel foro… qualcuno dei nemici si trova anche nel sacrario dello stato, qualcuno – ripeto – si trova perfino nella curia» con allusione ai Catilinari. 29 Per quest'uso, non raro in Cicerone, oltre a Szantyr 1965 (= 1972) §376, cfr. ad es. con conari Terenzio Andr. 196s. si sensero hodie quicquam in his te nuptiis | fallaciae conari, quo fiant minus… «se mi accorgerò che oggi a proposito di questo matrimonio tenterai qualche imbroglio per impedire che avvenga…»; con formulazioni diverse §36 «è da voi che sento dire che a nessun cittadino nessuna giustificazione è parsa abbastanza valida da impedirgli di essere presente»; dom. 82 si nihil de me tulisti, quo minus essem… in ciuium numero «se non hai presentato nessuna proposta per impedire che io… fossi annoverato tra i cittadini»; fin. 4,64 nihil igitur adiuuat procedere et progredi in uirtute, quo minus miserrimus sit ante quam ad eam peruenerit? «dunque avanzare e progredire nella virtù non serve a impedire che si sia ancora più infelici prima di averla raggiunta?». 30 Cfr. ThlL 4,710,61-72. 31 Cfr. Leumann 19265 (= 1977) §61 e §346 Akk.

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ne promuove la ricostituzione32. L'attività è identificata paradossalmente con una leva militare, per di più destinata al reclutamento di schiavi, assenti dall'esercito33. ne coniuente quidem te… sed etiam hilarioribus oculis… intuente :: ablativi assoluti di valore temporale. coniuere vale 'chiudere gli occhi' sia per la luce o il sonno o la stanchezza sia per fingere di non vedere e in questo caso è indizio di complicità, di connivenza. La serenità di norma manifestata da Pisone costituisce un accenno al suo epicureismo. quod ipsum esset scelus :: relativa parentetica con congiuntivo irreale del presente. quam solitus eras :: comparativa. qui nihil sibi umquam… duxit :: relativa. nec facere nec pati turpe esse :: oggettiva. Attenendosi alla redazione fornita da Asconio e all'uso prevalente, Nisbet espunge esse. arma in templo Castoris, o proditor templorum omnium… constituebantur ab eo latrone :: principale in cui è inserita l'apostrofe o proditor templorum omnium suggerita dalla menzione del tempio. Cfr. nel §24 e 31 la qualifica di proditores assegnata ai consoli del 58; nel §64 quella di proditor… dignitatis attribuita a Pisone; nel §28 la sarcastica definizione di Pisone quale homo religiosus et sanctus. Clodio aveva scelto il tempio di Castore nel foro quale centro di raccolta per le sue bande armate e ne aveva fatto rimuovere i gradini d'entrata per impedire l'accesso agli avversari34. uidente te :: ablativo assoluto di valore temporale, in antitesi a coniuente… te. cui templum illud fuit… arx ciuium perditorum, receptaculum ueterum Catilinae militum, castellum forensis latrocinii, bustum legum omnium ac religionum :: relativa. Cicerone accusa spesso Clodio di stretti rapporti con Catilina, che peraltro non sono provati e nel §23 sostiene che l'accusa di concussione, per cui Catilina era stato processato nel 65 dopo la propretura in Africa, era stata presentata da Clodio con l'intenzione di farlo assolvere. te consule :: ablativo assoluto nominale. 4.2. La visita a Pisone Nei §§11b-13 Cicerone rievoca la visita resa con il genero a Pisone per sollecitarne l'aiuto.

11b. Non soltanto la mia casa ma tutto il Palatino erano colmi di senatori, di cavalieri romani, di cittadini di ogni categoria, dell'Italia intera quando tu non soltanto all'amico Cicerone (lascio da parte i rapporti privati che si possono contestare; ricordo i fatti che sono di pubblico dominio), non soltanto – ripeto – a colui cui nei comizi che ti hanno eletto avevi affidato il primo elenco dei voti della centuria che votava per prima e cui in senato domandavi il parere al terzo posto, non hai fornito alcun sostegno; al contrario non soltanto hai collaborato a tutti i piani che si preparavano per annientarmi ma anche ne sei stato il primo e crudelissimo promotore.

erat non solum domus mea sed totum Palatium senatu, equitibus Romanis, ciuitate omni, Italia cuncta refertum :: principale. Quando Cicerone nel 58 era minacciato, la sua casa sul Palatino era sorvegliata dai suoi sostenitori. La loro presenza è dilatata con una climax cui si sovrappone una serie di metonimie (gli astratti senatus per senatores,

32 Cfr. supra §1.3 e il commento al §8. 33 Sulla sovrapposizione cfr. dom. 54 e Sest. 34 seruorum dilectus habebatur pro tribunali Aurelio nomine collegiorum «si arruolavano schiavi davanti al tribunale Aurelio con il pretesto delle corporazioni». 34 Cfr. §23; red. in sen. 32; dom. 54 e 110; har. resp. 28.

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ciuitas per ciues, Italia per Italici) che per il carattere generalizzante che le connota conferiscono dimensione di solidarietà corale alla vigilanza di un numero certo elevato ma pur sempre circoscritto di persone. E all'attestazione plebiscitaria di consenso e di affetto contribuiscono gli aggettivi, che modulano la nozione di totalità. cum tu non modo ad eum Ciceronem… non modo – inquam – ad eum… numquam adspirasti, sed omnibus consiliis… non interfuisti solum, uerum etiam crudelissime praefuisti :: temporali in rapporto avversativo diversamente espresso (non modo ripetuto prima di inquam parentetico… sed e non… solum uerum etiam). L'uso di Cicero in luogo del gentilizio accenna all'amicizia o almeno ai buoni rapporti tra l'oratore e Pisone e per questo suo valore Grimal e Bellardi conservano nel testo Ciceronem, che Nisbet espunge in quanto offusca la simmetria con il successivo ad eum. adspirare alla lettera vale 'respirare su' e quindi 'essere vicino', tanto per portare aiuto quanto per nuocere35. Non isolata in Cicerone risulta la figura etimologica con i due composti di esse cui si associa l'omeoptoto36. mitto enim domestica :: principale che sotto il profilo retorico si configura come preterizione. quae negari possunt :: relativa. haec commemoro :: principale. quae sunt palam :: relativa in cui l'avverbio assume funzione predicativa37. Nella parentesi, costituita da due principali e due relative simmetriche, Cicerone assicura di omettere tutto quello che non si poteva provare per accrescere il valore della propria testimonianza38. cui primam comitiis tuis dederas tabulam praerogatiuae :: prima relativa. Cicerone allude a una prassi consueta durante le elezioni nei comitia centuriata: votava per prima la centuria praerogatiua sorteggiata tra quelle della prima classe censitaria; poiché il suo voto influenzava quello delle altre centurie39, i candidati affidavano a un amico la tabella su cui erano registrati i voti ottenuti da ogni candidato al fine di prevedere l'andamento della votazione. Pisone nelle elezioni consolari del 59 aveva scelto per questo incarico Cicerone in segno di grande stima. La circostanza è ricordata anche in red. in sen. 17 «tu sei stato misericordioso verso di me… che nei comizi in cui sei stato eletto avevi scelto quale primo custode dei voti della centuria che votava per prima»40. quem in senatu sententiam rogabas tertium :: seconda relativa in asindeto. Il console che presiedeva la seduta dava la parola, dopo che ai magistrati, per primo al princeps senatus e poi ai senatori più influenti. Forse Cicerone intende dire che Pisone nella seduta inaugurale del suo consolato lo aveva interpellato dopo Cesare e Pompeo quali ex consoli più autorevoli. Anche questo episodio è rievocato in red. in sen. 17 «tu sei

35 Per l'accezione negativa cfr. ad es. Tusc. 5,27 omnisque aditus tuos interclusi, ut ad me adspirare non posses «ti ho sbarrato ogni accesso per impedirti di starmi vicino». 36 Cfr. ad es. fam. 1,8,1 qui non solum interfuit iis rebus, sed etiam praefuit «che non solo ha partecipato a quegli affari ma anzi ne ha preso la direzione»; fam. 13,29,4 non modo ut non praeesset illo negotio sed etiam ut ne interesset quidem «non soltanto per evitare che assumesse la direzione di quella vicenda ma perché non vi partecipasse neppure»; Att. 9,6,7 melioris medius fidius ciuis et uiri putabam quouis supplicio adfici quam illi crudelitati non solum praeesse uerum etiam interesse «ritenevo davvero che fosse meglio in quanto cittadino e in quanto uomo subire qualunque supplizio piuttosto che non soltanto prendere l'iniziativa ma anche aver parte di quella crudeltà». 37 Sull'uso cfr. ad es. red. in sen. 18 nondum palam factum erat occidisse rem publicam «non era ancora divenuta pubblica la notizia che lo stato era venuto meno»; inoltre Szantyr 1965 (= 1972) §101.a. 38 Sul metodo cfr. ad es. Verr. 2,1,62 omnia quae negari poterunt praetermittam «tralascerò tutto quello che si potrà negare». 39 Cfr. Mur. 38; Planc. 49; diu. 1,103. 40 Cfr. red. in sen. 17 tu misericors me… quem comitiis tuis praerogatiuae primum custodem feceras.

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stato misericordioso verso di me… cui alle calende di gennaio avevi domandato il parere al terzo posto»41. quae… parabantur :: relativa. ad me opprimendum :: finale formulata con il gerundivo inclusa nella relativa.

12. che cosa hai avuto il coraggio di dire direttamente a me davanti a mio genero, tuo parente? che Gabinio si trovava in difficoltà, era carico di debiti, non poteva reggersi in piedi senza una provincia; che otteneva qualche speranza da un tribuno della plebe, se avesse concordato i propri progetti con lui, mentre non ne otteneva più alcuna dal senato; che tu accondiscendevi al suo desiderio, come io avevo fatto con il mio collega; che non c'era motivo che invocassi la protezione dei consoli; che ciascuno doveva provvedere a sé. E quel che segue ho appena il coraggio di riferirlo; temo che ci sia qualcuno che ancora non discerna la straordinaria malvagità di costui coperta dalla maschera della sua fronte. Nondimeno lo dirò: lui certo lo riconoscerà vero e se ne rammenterà con qualche rammarico per il proprio comportamento vergognoso.

mihi uero ipsi coram genero meo, propinquo tuo, quae dicere ausus es? :: principale interrogativa. Genero di Cicerone e parente di Pisone era Gaio Calpurnio Pisone Frugi, marito di Tullia; Pisone non apparteneva al medesimo ramo della gens Calpurnia identificata dal soprannome Frugi, portato dal genero di Cicerone, che tuttavia rileva i suoi rapporti con il console per presentarne sotto una luce peggiore la condotta42. egere, foris esse Gabinium, sine prouincia stare non posse; spem habere a tribuno pl(ebis)… a senatu quidem desperasse; huius te cupiditati obsequi… nihil esse… sibi quemque consulere oportere :: serie di infinitive in cui nel discorso indiretto introdotto da dicere sono riferiti gli argomenti di Pisone. Nisbet accoglie l'espunzione di egere, sbiadito sinonimo del colloquiale foris esse, che si può intendere nel senso di 'non farsi trovare in casa' dai creditori o più probabilmente 'non aver più casa' per il cumulo dei debiti, perché isolato si opporrebbe in modo più efficace a stare43. Proprio per la sua gravissima situazione finanziaria Gabinio aveva bisogno dei proventi di una provincia per stare, per 'reggersi', come in Catil. 2,21 dove il verbo è riferito a quanti avevano aderito alla congiura perché indebitati. Poiché contrariamente alla prassi le province da assegnare ai consoli del 58 non erano state scelte dal senato prima della loro elezione, Gabinio, inviso al senato per la propria devozione a Pompeo (a senatu quidem desperasse), doveva ricorrere a Clodio, che gli aveva dato speranze di aiuto, certo non gratuite (spem habere a tribuno plebis): il mercimonio si traduce nell'antitesi tra aspettive legittime riposte nel senato e aspettative illecite affidate a un tribuno della plebe, del tutto incompetente in materia, e nella figura etimologica determinata da spes e dal denominativo desperare. si sua consilia cum illo coniunxisset :: protasi, al congiuntivo piuccheperfetto richiesto da ausus es, la cui apodosi è costituita dall'oggettiva spem habere a tribuno pl(ebis). Evidentemente Clodio per favorire l'elezione di Gabinio e l'assegnazione di una provincia redditizia aveva formulato condizioni.

41 Cfr. red. in sen. 17 tu misericors me… quem kalendis Ianuariis tertio loco sententiam rogaras. Sull'ordine degli interventi dei senatori cfr. Gellio 4,10,1-7 e 14,7,9 che riferisce notizie attinte a Varrone. 42 In proposito cfr. fr.12 e 16; red. in sen. 17 e 38; Sest. 68. 43 Per foris esse cfr. Att. 4,18,3 candidati consulares omnes rei ambitus; accedit etiam Gabinius, quem P. Sulla, non dubitans quin foris esset, postularat contra dicente et nihil obtinente Torquato «tutti i candidati al consolato sono imputati di broglio; si aggiunge anche Gabinio che Publio Silla, senza avere il minimo dubbio che fosse oberato di debiti, aveva citato in giudizio, nonostante le inutili proteste di Torquato».

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sicuti ego fecissem in collega meo :: comparativa al congiuntivo richiesto dal discorso indiretto, in cui è riferito non tanto il gesto compiuto da Cicerone quanto l'interpretazione che esso riceve da Pisone. quod praesidium consulum implorarem :: relativa al congiuntivo di tipo consecutivo. A Cicerone che, minacciato da Clodio, ricorreva ai consoli, Pisone assicura che non correva pericoli. Nel segmento nihil esse quod praesidium consulum implorarem; sibi quemque consulere oportere si forma una figura etimologica tra consul e consulere, che gli antichi mettevano in rapporto44. Il gioco di parole, che Pisone potrebbe dedurre da Cicerone, è rinnovato nel §23 e in de orat. 2,165: consul est qui consulit patriae «console è colui che provvede alla patria». atque haec dicere uix audeo; uereor :: principali. ne qui sit :: ne + congiuntivo esprime il timore che qualcosa si verifichi. Sebbene la forma dell'interrogativo-indefinito sia quis, davanti alla fricativa alveolodentale /s/, spesso per eufonia è sostituita da qui. qui istius insignem nequitiam frontis inuolutam tegumentis nondum cernat :: relativa al congiuntivo di tipo consecutivo45. dicam tamen. ipse certe agnoscet et cum aliquo dolore flagitiorum suorum recordabitur :: principali. Sebbene nel latino classico recordari di norma sia costruito con l'accusativo o con de + ablativo, Cicerone usa il genitivo per analogia con gli altri verbi di memoria46.

13. ricordi, fango, che quando ero venuto da te con Gaio Pisone verso le undici tu uscivi da non so quale bettola con il capo coperto e i sandali ai piedi e dopo averci investito con il tuo alito che conservava il fetore dell'osteria più disgustosa, adducevi a giustificazione la salute, dicendo che avevi l'abitudine di curarti con medicamenti a base di vino? Dopo aver accettata per buona quella motivazione (e che altro potevamo fare?) ci siamo fermati per un po' nelle fetide esalazioni delle tue bevute, da cui ci hai messo in fuga sia con le tue risposte spudorate sia con i tuoi rutti incivili.

meministine, caenum :: principale interrogativa segnalata da -ne enclitico. caenum, cui si possono accostare nel §59 «quest'ometto foggiato d'argilla e fango», nel 62 lutum, nel §72 l'affermazione che Filodemo si era lasciato insozzare «dal fango e dalla lordura di questa bestia immonda e senza freni», è un insulto pittoresco come tanti altri cui Cicerone ricorre47. cum ad te quinta fere hora cum C. Pisone uenissem :: prima narrativa. Poiché il tempo diurno veniva ripartito in dodici ore a partire dalla levata del sole, in inverno la

44 Il rapporto corretto tra consul e consulere è chiarito da Varrone ling. 5,80: consul nominatus qui consuleret populum et senatum «il console ha assunto questo nome perché consultava il popolo e il senato»; per contro Pisone, come del resto Cicerone, collega al sostantivo il verbo nell'accezione di 'provvedere, prendersi cura di'. 45 Sull'immagine cfr. red. in sen. 16 non frons [sc. Gabinii] calamistri notata uestigiis in eam cogitationem adducebat ut, cum illius re similis fuisses, frontis tibi integumento, ad occultanda tanta flagitia, diutius uti non liceret? «la fronte di Gabinio segnata dalle bruciature del ferro da riccioli non ti induceva a pensare che, quando fossi diventato di fatto simile a lui, non avresti più potuto servirti della maschera della fronte per nascondere vergogne così ripugnanti?»; Q. fr. 1,1,15 multis enim simulationum inuolucris tegitur et quasi uelis quibusdam obtenditur unius cuiusque natura «infatti la vera natura di ciascuno è coperta da molti strati di finzioni e per così dire è nascosta da una sorta di veli». 46 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §60.a. 47 L'uso disinvolto di ingiurie quando la situazione lo suggerisce dimostra quanto sia strumentale il rimprovero mosso da Cicerone a Catone, che aveva definito Murena saltator 'ballerino', in Mur. 13: cum ista sis auctoritate, non debes, Marce, adripere maledictum ex triuio aut ex scurrarum aliquo conuicio «per il prestigio di cui godi non dovresti, Marco, attingere un'insolenza dalla strada o da qualche insulto dei buffoni».

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prima hora cominciava all'incirca tra le 7.30 e le 8.15 e la quinta si può collocare intorno alle 11. La notte era divisa in quattro uigiliae, ognuna delle quali corrispondeva a un turno di guardia militare. Bere al mattino o nel primo pomeriggio era ritenuto sconveniente48. nescio quo e gurgustio te prodire inuoluto capite soleatum :: prima oggettiva. Pisone è rappresentato all'uscita da una bettola con il capo coperto per evitare di essere riconosciuto, poiché per persone di rango elevato era del tutto disdicevole frequentare osterie49; questa sorta di anonimato gli consente di uscire con le soleae, i sandali, in luogo dei calcei, calzari chiusi fino alla caviglia di rigore in pubblico. Proprio perché in particolare per un magistrato era sconveniente mostrarsi soleatus o crepidatus, Cicerone rileva il particolare nel racconto del ritorno di Pisone dalla provincia: §92 «nel cuore della notte si imbarcò con i sandali e vestito da schiavo»; §93 «gli abitanti di Durazzo rivelarono che il generale di notte se ne era fuggito in sandali»50 et cum isto ore foetido taeterrimam nobis popinam inhalasses :: seconda narrativa. foetidus non occorre altrove in Cicerone. excusatione te uti ualetudinis :: seconda oggettiva con ripetizione del soggetto. La malattia di Pisone può essere attendibile e spiegherebbe l'affermazione di Sest. 26 che, quando i senatori supplicavano Gabinio di evitare la condanna all'esilio di Cicerone, «l'altro console, quello irsuto e austero, se ne stava di proposito a casa»51. Per contro la notizia di Cassio Dione 38,16,6 sui malanni di Pisone può essere dedotta dal passo dell'in Pisonem in esame. quod diceres :: dichiarativa al congiuntivo che chiarisce il contenuto dell'excusatio. uinulentis te quibusdam medicaminibus solere curari :: oggettiva. quam nos causam cum accepissemus :: narrativa introdotta dal nesso relativo. quid enim facere poteramus? :: interrogativa parentetica in cui quid facere equivale aquid aliud facere52. paulisper stetimus in illo ganearum tuarum nidore atque fumo :: principale. nidor non occorre altrove in Cicerone. unde tu nos cum improbissime respondendo, tum turpissime ructando eiecisti :: relativa in cui le correlative cum… tum introducono due gerundi strumentali. Soltanto per l'indignazione dell'autore la descrizione, densa di volgarismi adeguati alla trivialità della situazione (gurgustium che gli antichi connettevano con gurges 'gozzo' e guttur 'gola', popina termine di origine osca cui corrisponde in latino coquina, ganea di origine ignota e di cui è attestato l'allomorfo ganeum, nidor con cui si può mettere in rapporto knivsh 'odore di grasso bruciato', ructare), si differenzia da scene comiche quali quella di cui sono protagonisti lo schiavo ubriaco e il vecchio padrone in Plauto Pseud. 1295-1304: «PSEUDOLO Perché mi malmeni? SIMONE Perché tu, sciagurato, mi rutti in faccia, ubriaco come sei? PS. Piano, ti prego, sorreggimi; attento che non cada. Non vedi come 48 Cfr. ad es. Giovenale 1,49 exul ab octaua Marius bibit «in esilio Mario beve dalle tre pomeridiane». 49 Cfr. ad es. la rappresentazione di Antonio in Phil. 2,77 delituit in quadam cauponula atque ibi se occultans perpotauit ad uesperam; inde cisio celeriter ad urbem aduectus domum uenit capite obuoluto «si rintanò in una piccola osteria e là cercando di passare inosservato sbevazzò fino a sera; poi fattosi portare rapidamente in città su un carretto, arrivò a casa con il capo incappucciato». 50 Altrettanto censurabile disprezzo per il galateo dimostrano Verre quando si presenta alla flotta (Verr. 2,5,86 stetit soleatus praetor populi Romani cum pallio purpureo tunicaque talari «ecco ritto in piedi il pretore del popolo romano in ciabatte, con una mantellina di porpora alla greca e una tunica lunga fino ai piedi») e Antonio, con il cui ritorno da Narbona Cicerone mette a confronto il proprio ritorno dal viaggio verso la Grecia intrapreso e interrotto nell'estate del 44 in Phil. 2,76: quod quaerebas quo modo redissem, primum luce, non tenebris; deinde cum calceis et toga, nullis nec Gallicis nec lacerna «quanto alla tua domanda sul modo in cui ero tornato, in primo luogo alla luce del giorno e non nel buio della notte, poi con i calzari e la toga, non con gli zoccoli dei Galli e il mantello con il cappuccio». 51 Cfr. Sest. 26 alter ille horridus et seuerus consulto se domi continebat. 52 Per un uso simile cfr. Virgilio ecl. 1,40 e 7,13; Orazio serm. 2,1,24; Ovidio her. 8,50; Persio 1,12.

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sono zuppo di vino? SI. Che sfrontatezza è questa, andartene in giro in questo stato, in pieno giorno, con una ghirlanda in testa, ubriaco? PS. Mi piace. SI. Cosa, ti piace? E continui a ruttarmi in faccia? PS. Ruttare è un piacere; lasciamelo fare, Simone. SI. Sono sicuro che saresti capace, disgraziato, di scolarti quattro vendemmie delle più abbondanti del monte Massico in un'ora. PS. Aggiungi: d'inverno»53. 4.3. La contio al circo Flaminio Nel §14 Cicerone rievoca l'assemblea convocata da Clodio nel circo Flaminio, in modo che anche Cesare potesse prendervi parte, per preparare il voto sulla rogatio de capite ciuis Romani.

14. Sempre tu uno o due giorni dopo, introdotto nell'assemblea da colui cui mettevi a disposizione con la strada così spianata il tuo consolato, alla domanda su come giudicassi il mio consolato, ebbene tu, autorevole modello, un Calatino immagino o l'Africano o un Massimo e non il Cesonino mezzopiacentino Calvenzio, rispondi con un sopracciglio levato verso la fronte e l'altro abbassato verso il mento di disapprovare la crudeltà. A questo punto quell'uomo, proprio adatto a fare il tuo elogio, di elogi ti ha coperto. Di crudeltà tu, pendaglio da forca, in qualità di console accusi il senato nell'assemblea popolare? Non me, che al senato ho obbedito: perché il rapporto salutare e scrupoloso era stato del console, ma il giudizio di condanna del senato. E quando lo censuri, fai vedere quale console saresti stato tu in quella circostanza, se così il caso avesse voluto: senza dubbio avresti ritenuto opportuno aiutare Catilina con denaro e con viveri.

idem illo fere biduo productus in contionem ab eo… grauis auctor, Calatinus credo aliquis aut Africanus aut Maximus, et non Caesoninus Semiplacentinus Caluentius, respondes :: principale. in contionem producere costituisce la formula usata quando il magistrato o il tribuno che indiceva un'assemblea chiamava altre persone alla tribuna a parlare o a rispondere alle domande. Lo scherno verso Pisone si manifesta prima nella definizione antifrastica di grauis auctor che simula di attribuirgli per negarle grauitas e auctoritas, poi nel confronto sarcastico istituito con protagonisti prestigiosi della storia, un eroe della prima guerra punica, Aulo Atilio Calatino (citato anche nel §58), e due della seconda, Scipione Africano e Quinto Fabio Massimo.

Pisone è apostrofato con l'agnomen Caesoninus dedotto dal nonno paterno, passato per adozione alla famiglia dei Pisoni, un ramo della gens Calpurnia; il nonno è definito nel fr.15 homo furacissimus, cioè un ladro, e forse è identificabile con il Pisone console nel 112 citato in de orat. 2,265 per una condanna per concussione. Caluentius e Semiplacentinus rinviano al nonno materno, mercante e banditore, un Gallo Insubre che dopo aver acquisito la cittadinanza di Piacenza si era trasferito a Roma54. cui sic aequatum praebebas consulatum tuum :: relativa. aequatum, da alcuni interpreti considerato corrotto e variamente emendato, ad altri appare metaforico. Si tratterebbe di un'immagine dedotta dal linguaggio militare, in particolare della cavalleria, come si deduce da Curzio Rufo 4,9,10 opportuna explicandis copiis regio

53 Cfr. Plauto Pseud. 1295-1304 PS. cur ego adiflictor? SI. quid tu, malum, in os igitur mihi ebrius inructas? | PS. molliter, sis, tene me; caue ne cadam. | non uides me ut madide madeam? | SI. quae istaec audaciast, te sic interdius | cum corolla ebrium ingrediri? PS. lubet. | SI. quid, lubet? pergin ructare in os mihi? | PS. suauis ructus mihi est; sic sine, Simo. | SI. credo equidem potis esse te, scelus, | Massici montis uberrumos quattuor | fructus ebibere in hora una. PS. hiberna, addito. 54 Sull'origine e la professione del nonno materno cfr. fr.13-18; red. in sen. 13; Sest. 21; prou. 7. Per i luoghi paralleli sul nome cfr. il commento al §1.

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erat, equitabilis et uasta planities «la zona era adatta a dispiegare l'esercito, una pianura ampia dove la cavalleria poteva manovrare»: il consolato di Pisone sarebbe un percorso in piano, privo di ostacoli per le attività di Clodio55. cum esses interrogatus :: narrativa. quid sentires de consulatu meo :: interrogativa indiretta. crudelitatem tibi non placere :: oggettiva. altero ad frontem sublato, altero ad mentum depresso supercilio :: ablativi assoluti di valore descrittivo. Questa mimica facciale, che ricorda la maschera del senex iratus56, è giudicata del tutto sconveniente a un oratore da Quintiliano inst. 11,3,79: «quanto alle sopracciglia, costituisce un difetto che siano assolutamente immobili o troppo mobili oppure, come ho appena detto a proposito della maschera comica, appaiano difformi per la diversità della postura»57. hic te ille homo dignissimus tuis laudibus collaudauit :: principale. Il personaggio adatto a tessere le lodi di Pisone e che lo elogia è Gabinio secondo Nisbet e Bellardi, che rinviano a Cassio Dione 38,16,6; ma lo storico scrive: «quando Clodio gli [sc. a Pisone] domandò quale opinione avesse sulla sua proposta di legge [sc. la rogatio de capite ciuis Romani], rispose che non gli piaceva un'azione crudele o promossa dall'ira; anche Gabinio interrogato sul medesimo tema non soltanto non elogiò Cicerone ma per di più mosse critiche ai cavalieri e al senato». Del resto sotto il profilo linguistico sarebbe singolare l'allusione a referenti diversi con formule non idonee a distinguerli (ab eo cui sic aequatum praebebas consulatum tuum e ille homo dignissimus tuis laudibus) e dal punto di vista semantico, mentre si spiega l'elogio tributato a Pisone da Clodio, che aveva ricevuto la risposta desiderata, non si spiegherebbe un elogio di Pisone da parte di Gabinio, per buona parte del consolato obbediente a Clodio quanto il collega. crudelitatis tu, furcifer, senatum consul in contione condemnas? non enim me… nam relatio illa salutaris et diligens fuerat consulis, animaduersio quidem et iudicium senatus :: principali. Per un console era del tutto riprovevole muovere critiche al senato davanti all'assemblea popolare e l'indignazione dell'autore è affidata alla formulazione enfatica della domanda, aperta da crudelitatis con cui allitterano consul… contione condemnas. Una situazione simile è rievocata ad es. in de orat. 3,2 in riferimento allo scontro tra il tribuno Livio Druso e il console del 91 Lucio Marcio Filippo, ostile a ogni trattativa per la concessione della cittadinanza agli Italici: «Druso dopo essersi molto lamentato di Filippo riferì al senato proprio sul fatto che il console aveva inveito con

55 Sull'applicazione di aequare al terreno cfr. ad es. Verr. 2,4,107 Henna… est loco perexcelso atque edito, quo in summo est aequata agri planities «Enna… si trova in un luogo molto elevato e dominante, alla cui sommità c'è un terreno in piano»; Cesare ciu. 2,2,4 antecedebat testudo pedum LX aequandi loci causa «davanti c'era una testuggine [macchina bellica] di sessanta piedi per spianare il terreno». 56 Cfr. Quintiliano inst. 11,3,74 in comoediis… pater ille, cuius praecipuae partes sunt, quia interim concitatus, interim lenis est, altero erecto, altero composito est supercilio «nelle commedie il padre, che ha una parte di grande rilievo, poiché talvolta è infuriato, talvolta tollerante, ha un sopracciglio levato in alto e l'altro spianato». Deformando in una smorfia da commedia la fisionomia di Pisone l'autore evoca l' aijscrovn o turpe comico ottenendo come risultato il geloi§on o ridiculum. 57 Cfr. Quintiliano inst. 11,3,79 uitium in superciliis, si aut immota sunt omnimo aut nimium mobilia aut inaequalitate, ut modo de persona comica dixeram, dissident; inoltre 1,11,10. Prescrizioni simili ancora nel tardo IV secolo si leggono nel retore Fortunaziano 3,21 pp.164,13-165,3 Calboli Montefusco. Su questa caratteristica di Pisone cfr. anche Sest. 19 quid ego de supercilio dicam, quod tum hominibus non supercilium, sed pignus rei publicae uidebatur? tanta erat grauitas in oculo, tanta contractio frontis, ut illo supercilio annus ille niti tamquam uade uideretur «che cosa dire del suo sopracciglio, che allora alla gente sembrava non un sopracciglio ma la garanzia dello stato? Tale severità c'era nel suo sguardo, tali rughe sulla sua fronte da far credere che quell'anno poggiasse su quel sopracciglio come su un garante».

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tanta violenza contro l'ordine senatorio in un'assemblea del popolo»58. Di crudelitas Cicerone era accusato dagli avversari per l'esecuzione dei Catilinari59; e forse anche per confutare il rimprovero l'oratore, che spesso rivendica a sé le uirtutes dell'humanitas e della clementia opposte a questo uitium politico, già in Catil. 4,11 dichiara che, anche se il senato avesse deliberato la condanna a morte dei Catilinari, facile me atque uos crudelitatis uituperatione populus Romanus liberabit «il popolo romano non avrà difficoltà a liberare me e voi dal rimprovero di crudeltà». Con furcifer, insulto frequente soprattutto nella commmedia, Cicerone apostrofa l'antagonista per sottolineare la contraddizione tra la sensibilità morale che simula e il modo con cui agisce, che gli varrebbe una punizione definitiva e infamante.

Cicerone distingue abilmente tra la relatio e l'animaduersio. La relatio coincide con il resoconto dell'arresto di alcuni Catilinari, quelli che scortavano gli Allobrogi con le prove documentali della congiura e altri sorpresi a Roma, pronunciato il 5 dicembre in senato; ed è possibile che salutaris et diligens costituisca la citazione del giudizio espresso dai senatori subito dopo il suo discorso. L'animaduersio coincide con la sentenza di condanna, la punizione, come risulta in modo anche più chiaro ad es. da Phil. 2,18: comprehensio sontium mea, animaduersio senatus fuit «l'arresto dei colpevoli è stata opera mia, la punizione del senato». L'attribuzione al senato della responsabilità per la condanna a morte dei Catilinari è inesatta, in quanto il senato poteva fornire sostegno al console ma era privo di potere esecutivo e giudiziario; tuttavia con questa imprecisione l'oratore storna da sé l'accusa di crudelitas e confonde la propria causa con quella del senato. qui senatui parui :: relativa. quae cum reprehendis :: temporale introdotta dal nesso relativo che rinvia tanto al rapporto del console quanto alla decisione del senato. ostendis :: principale. qualis tu… fueris illo tempore consul futurus :: interrogativa indiretta con funzione di apodosi. In un periodo ipotetico in dipendenza congiuntiva prospettato come irreale, la protasi è al congiuntivo imperfetto per indicare contemporaneità o, come nel caso in esame, piuccheperfetto per indicare anteriorità (accidisset) rispetto all'apodosi; l'apodosi nel caso di contemporaneità alla sovraordinata si esprime al congiuntivo imperfetto, nel caso di anteriorità assume la forma perifrastica di participio futuro attivo + fuerim. si ita forte accidisset :: protasi. mehercule… putasses :: principale in forma di irreale del passato. stipendio… et frumento Catilinam esse… iuuandum :: oggettiva al gerundivo che integra putasses. stipendium e frumentum costituiscono i termini usati nei decreti che assegnavano a un generale regolarmente investito di un comando i mezzi per compiere la propria missione. 4.4. Clodio e Catilina

L'ipotesi sul comportamento che Pisone avrebbe assunto se fosse stato console nel 63 apre una digressione che occupa il §15s. sull'affinità tra Catilina e Clodio e tra i rispettivi seguaci. 58 Cfr. de orat. 3,2 cum Drusus multa de Philippo questus esset, rettulit ad senatum de illo ipso, quod in eum ordinem consul tam grauiter in contione esset inuectus. 59 Cfr. ad es. Sull. 93 falsam a nobis crudelitatis famam repellamus «allontaniamo da noi la reputazione infondata di crudeltà»; dom. 75 me patria sic accepit… ut crudelem tyrannum, quod uox, Catilinae gregales, de me dicere solebatis? «la patria… mi ha accolto come un tiranno crudele, come voi, del gregge di Catilina, avevate l'abitudine di chiamarmi?»; soprattutto [Sallustio] in Cic. 5 tu perturbata re publica metu perculsos omnes bonos parere crudelitati tuae cogebas «mentre lo stato era sconvolto costringevi tutte le persone perbene atterrite a sottostare alla tua crudeltà».

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15. Che differenza c'era tra Catilina e l'individuo cui tu hai venduto l'autorità del senato, la salvezza della cittadinanza, lo stato intero al prezzo di una provincia? Quello che come console ho proibito a Lucio Catilina di tentare, i consoli hanno aiutato Publio Clodio a farlo. Lui avrebbe voluto massacrare il senato, voi l'avete soppresso; lui dar fuoco alle leggi, voi le avete abrogate; lui terrorizzare la patria con la violenza, voi l'avete tolta di mezzo. Che cosa è stato fatto sotto il vostro consolato senza ricorrere alle armi? Quella banda di congiurati avrebbe voluto incendiare la città, voi la casa di colui grazie al quale la città non è stata incendiata. E se avessero avuto un console simile a voi, non avrebbero neppure pensato a incendiare la città, perché non volevano privarsi di case; piuttosto ritenevano che, finché la nostra città fosse rimasta in piedi, non ci sarebbe stato posto per il loro delitto. Loro aspiravano alla strage dei cittadini, voi alla loro schiavitù. In questo voi siete anche più crudeli, perché prima del vostro consolato la libertà era così connaturata nel nostro popolo che la morte sarebbe stata preferibile alla schiavitù.

quid enim interfuit inter Catilinam et eum :: principale interrogativa. cui tu senatus auctoritatem, salutem ciuitatis, totam rem publicam prouinciae praemio uendidisti :: relativa in cui al chiasmo senatus auctoritatem, salutem ciuitatis è accostato l'oggetto (res publica) che costituisce in qualche modo l'iperonimo di senato e popolo. La presentazione contemporanea della rogatio de capite ciuis Romani e della rogatio de prouinciis consularibus rendeva evidente il disegno di Clodio di assicurarsi il consenso dei consoli all'esilio di Cicerone60. quae enim L. Catilinam conantem consul prohibui :: relativa. ea P. Clodium facientem consules adiuuerunt :: principale. Risulta evidente la simmetria con cui il periodo è costruito: sia Catilina sia Clodio sono preceduti dal praenomen e seguiti dal participio, che conserva valore verbale, equivalendo a 'nel momento in cui tentava' e 'nel momento in cui faceva' e conari è antitetico a facere; consul si oppone in poliptoto a consules e prohibui indica azione contraria ad adiuuerunt. uoluit ille senatum interficere, uos sustulistis; leges incendere, uos abrogastis; ui terrere patriam, uos ademistis :: serie di principali che a coppie antitetiche hanno in comune l'oggetto e sono legate da un triplice omeoteleuto. Nel tricolon alle azioni dannose progettate da Catilina (ille) si oppongono quelle ancora più dannose compiute da Clodio con il consenso di Gabinio e Pisone (uos in triplice anafora). Il testo in qualche punto incerto è stato variamente ricostruito. In Nisbet si legge: uoluit ille senatum interficere, uos sustulistis; leges † incendere, uos abrogastis; ui terrere patriam, [uos adiuuistis] quid est uobis consulibus gestum sine armis?; e in Grimal: uoluit ille senatum interficere, uos sustulistis; leges incendere, uos abrogastis; ui terrere patriam, uos adiuuistis. Nel secondo segmento Nisbet contrassegna con la croce l'espressione inconsueta leges incendere perché non risulta dalle fonti che Catilina avesse progettato l'incendio del tabularium, l'archivio in cui si conservavano le leggi. Tuttavia in Vatin. 18 Cicerone usa l'immagine simile leges… conflagrauerunt «le leggi… sono andate a fuoco»; e in Planc. 95 rievocando le persecuzioni subite per iniziativa di Clodio, non diversamente che nel passo in esame, indica quali vittime del fuoco leggi, senato, cittadini onesti, Roma e l'Italia intera: «allontanandomi da quell'incendio delle leggi, del diritto, del senato, di tutte le persone perbene, sebbene la mia casa con le sue fiamme minacciasse di appiccare il fuoco alla città e all'Italia

60 Sul foedus prouinciarum citato molto spesso nelle orazioni post reditum cfr. supra §1.3.

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intera…»61. Poiché inoltre al fuoco, sebbene della cremazione, rinviano la definizione di Pisone nel §9 quale bustum rei publicae e di Clodio nel §19 quale bustuarius gladiator, gladiatore che si esibisce nel luogo dove era avvenuta la cremazione, il sospetto di Nisbet non pare motivato. Nell'ultimo segmento ui terrere è la correzione di parte dei manoscritti accolta dagli editori; altri testimoni danno interire, inaccettabile in quanto 'morire' non può avere oggetto, ma già dai codici recentiores emendato in interimere 'annientare' e forse preferibile a ui terrere sia perché in omeoteleuto con gli altri infiniti sia perché non comporta uno strumentale che altera il parallelismo dei cola: oggetto + infinito nella prima, pronome soggetto + predicato nella seconda parte. adiuuistis dei manoscritti, conservato da Grimal, pare agli altri editori inaccettabile perché i consoli hanno dato aiuto non alla patria ma a Clodio; peraltro un cambiamento di oggetto, che Grimal ammette («vous l'y avez aidé» cioè avete aiutato Clodio a terrorizzare la patria con la violenza), contraddice la studiata simmetria dell'espressione. Nisbet espunge uos adiuuistis per collegare con la prima parte del terzo colon la domada che segue (quid est uobis consulibus gestum sine armis?) giudicando leggitimo il mutamento di struttura e riconoscendo un nesso tra la prima e la seconda parte nell'uso di uis e di arma. Bellardi accoglie la congettura ademistis paleograficamente vicina alla lezione dei codici; essa rispetta la simmetria dei cola e lascia indipendenza all'interrogativa, che con il valore di pausa di riflessione conclude lo sviluppo precedente e prepara quello successivo. Con la ricostruzione uoluit ille 1) senatum interficere, uos sustulistis; 2) leges incendere, uos abrogastis; 3) interimere patriam, uos ademistis «lui avrebbe voluto massacrare il senato, voi l'avete soppresso; lui dar fuoco alle leggi, voi le avete abrogate; lui annientare la patria, voi l'avete tolta di mezzo» si conservano il ricercato parallelismo dei tre cola in cui a ogni intenzione eversiva di Catilina si oppone una realizzazione più grave di Clodio e dei consoli e si ottiene, accanto all'omeoteleuto dei tre perfetti, l'allitterazione sillabica dei tre infiniti assonanti. quid est uobis consulibus gestum sine armis? :: interrogativa. incendere illa coniuratorum manus uoluit urbem, uos eius domum :: principali in antitesi cui è in comune l'infinito richiesto da uelle62. quem propter urbs incensa non est :: relativa con pronome e preposizione in anastrofe. ac ne illi quidem… de urbis incendio cogitassent :: apodosi di un periodo ipotetico irreale. si habuissent uestri similem consulem :: protasi. non enim se tectis priuare uoluerunt, sed… putauerunt :: principali. his stantibus :: ablativo assoluto di valore temporale-suppositivo. Nisbet e Bellardi riferiscono l'ablativo assoluto ai tecta di Roma e per metonimia alla res publica in base a espressioni quali Catil. 4,16 seruus est nemo… qui non haec stare cupiat «non c'è neppure uno schiavo… che non desideri che il nostro stato rimanga in piedi»; Sull. 76 neque enim est quisquam qui arbitretur, illis inclusis in re publica pestibus, diutius haec stare potuisse «e non c'è nessuno convinto che, finché quelle pesti [sc. i Catilinari] fossero rimaste all'interno dello stato, esso avrebbe potuto continuare a reggersi». Poiché hic è deittico di prima persona Grimal lo riferisce alla domus di Cicerone, che Clodio aveva incendiato, in base a passi quali dom. 143 hanc unam domum quasi acerrimi propugnatoris sibi delendam putauit «[sc. Clodio] ha ritenuto di dover distruggere soltanto la mia casa poiché era quella del più accanito difensore [sc. dello stato]».

61 Cfr. Planc. 95 ex illo incendio legum, iuris, senatus, bonorum omnium cedens, cum mea domus ardore suo deflagrationem urbi atque Italiae toti minaretur… 62 Sull'incendio della casa di Cicerone rievocato molto spesso nelle orazioni post reditum cfr. supra §1.3 e Pis. 26a.

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nullum domicilium sceleri suo fore :: oggettiva in cui domicilium si oppone a tecta. La forma fore integrata nel paradigma di esse con il valore di infinito futuro costituisce sotto il profilo morfologico l'infinito presente della radice latina *fu- (> fui) parallela a quella di fuvein 'nascere, crescere' e 'far nascere, far crescere'. Dalla saldatura con il morfema -si dell'infinito attivo è risultato *fusi, soggetto alle consuete evoluzioni fonetiche: /s/ intervocalico ha subito il rotacismo, cui è conseguita l'apertura di /u/ in /o/, mentre /i/ in posizione finale si apre di norma in /e/. Alla medesima radice risalgono gli antichi congiuntivi radicali presente in -a-, di cui sono attestate le forme fuam fuas fuat fuant, e imperfetto, formato con il consueto suffisso -se- *fu-se-m, di cui sono attestate le forme forem fores foret forent63. caedem illi ciuium, uos seruitutem expetistis :: principali in antitesi cui è comune il predicato. hic uos etiam crudeliores: huic enim populo ita fuerat ante uos consules libertas insita :: principali. ante uos consules è parallelo ad ante me consulem del §4, ma quale semplice indicazione cronologica, ovviamente priva di valenze encomiastiche. ut emori potius quam seruire praestaret :: consecutiva introdotta da ita e in cui gli infiniti che integrano praestare sono in rapporto comparativo. Poiché praestare implica superiorità, potius risulta una ridondanza di cui l'autore si avvale per confermare la validità dell'enunciato64.

16. Sta alla pari con i progetti di Catilina e di Lentulo il fatto che abbiate scacciato me dalla mia casa, abbiate recluso Gneo Pompeo in casa sua. Infatti finché io fossi rimasto in piedi a vigilare sulla città e finché avesse fatto resistenza Gneo Pompeo, vincitore del mondo intero, essi hanno ritenuto di non riuscire a distruggere lo stato. Da me in particolare avete preteso una pena con cui placare i mani dei congiurati morti e tutto l'odio racchiuso nell'animo scellerato degli empi l'avete riversato su di me. Se io non mi fossi ritirato davanti al loro furore, sarei stato immolato sulla tomba di Catilina con voi alla testa. Quale prova più convincente vi attendete del fatto che non ci sia stata alcuna differenza tra voi e Catilina della circostanza che avete ridestato la medesima banda dai relitti semidistrutti (dei seguaci) di Catilina, che avete raccolto da ogni parte tutti i disperati, che avete scatenato contro di me gli avanzi di galera, che avete armato i congiurati, che avete voluto gettare in pasto al loro ferro e al loro furore la mia persona e la vita di tutti i cittadini perbene?

illud uero geminum consiliis Catilinae et Lentuli :: principale con ellissi di est. Publio Cornelio Lentulo Sura, pretore nel 75 e console nel 71, era stato espulso dal senato nel 70 per indegnità e per esservi riammesso aveva ricoperto una seconda volta la pretura nel 63. A lui in particolare Catilina, prima di lasciare Roma, aveva affidato l’incarico di reclutare nuovi adepti e di provvedere all’esecuzione dei piani eversivi. Dopo l’arresto degli Allobrogi era stato convocato da Cicerone, che per rispetto verso la sua carica lo aveva accompagnato di persona in senato. Durante l'interrogatorio Lentulo aveva simulato di essere all’oscuro della congiura ma era stato smentito dagli Allobrogi, che avevano mostrato un suo messaggio a Catilina e riferito la sua convinzione di 63 Cfr. Leumann 19265 (= 1977) §49 sull'evoluzione di /us/ in /or/; §97 sull'evoluzione di /-i/ in /-e/; §400.B.1-2 sul suppletivismo delle radici es- per il presente e fu- per il perfetto; §429 sull'infinito presente attivo; §425.B sul congiuntivo presente in -a-; §426 sul congiuntivo imperfetto in -se-. 64 Per la convinzione che i Romani preferiscano la morte alla schiavitù cfr. ad es. Phil. 6,19 aut uincatis oportet, Quirites… aut quiduis potius quam seruiamini. aliae nationes seruitutem pati possunt, populi Romani est propria libertas «è necessario che vinciate, Quiriti… o (che sopportiate) qualunque cosa piuttosto che la schiavitù. Altre popolazioni possono sopportare la schiavitù; del popolo romano è prerogativa la libertà»; 10,19 optanda mors est, quae ciuibus Romanis semper fuit seruitute potior «ci si deve augurare la morte, che per i cittadini romani è sempre stata preferibile alla schiavitù».

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potersi impadronire del potere dopo Cinna e Silla in base alla profezia contenuta nei libri sibillini che tre appartenenti alla gens Cornelia avrebbero comandato a Roma. Dichiarato decaduto dalla magistratura, Lentulo era stato affidato in custodia a un edile, mentre liberti e clienti incitavano il popolo a liberarlo. Condannato a morte, era stato accompagnato da Cicerone al carcere Tulliano e giustiziato. quod me domo mea expulistis, Cn. Pompeium domum suam compulistis :: dichiarative con funzione di soggetto del tutto simmetriche, costituite da accusativo della persona, determinazione di luogo, predicato. L'antitesi tra le due proposizioni in asindeto e in particolare tra i due possessivi giustifica l'uso di suus sebbene Pompeo non sia il soggetto né della dichiarativa né della sovraordinata65. Come domo e domum danno luogo a un poliptoto, così i composti di pellere in omeoteleuto danno luogo a una figura etimologica. Come risulta dal §28s. Pompeo si era chiuso in casa dopo che nell'agosto era stato arrestato uno schiavo di Clodio armato di pugnale nell'atrio del tempio di Castore dove il senato era riunito66. Della reclusione era responsabile Clodio, forse Pisone ma certo non Gabinio. enim… illi… duxerunt :: principale. neque… me stante et manente in urbis uigilia neque resistente Cn. Pompeio, omnium gentium uictore :: ablativi assoluti di valore temporale-suppositivo con participi di ampiezza crescente. L'omeoteleuto tra manente riferito a Cicerone e resistente riferito a Pompeo e la disposione chiastica di elementi nominali ed elementi verbali paiono alludere alla convinzione o almeno alla speranza dell'autore di avere in Pompeo un alleato nella difesa delle istituzioni repubblicane. Nel sintagma in urbis uigilia l'uso di in + ablativo equivale a uelut urbis uigilia 'quale sentinella della città' e costituisce uno sviluppo della formula in persona alicuius 'nella parte di, con la funzione di qualcuno'67. umquam se… rem publicam delere posse :: oggettiva. a me quidem etiam poenas expetistis :: principale. quibus coniuratorum manis mortuorum expiaretis :: relativa al congiuntivo con valore finale. Alla tradizione dei sacrifici umani alludono passi quali Flacc. 95 «ora si pretende per mezzo vostro da Flacco la pena per la morte di Lentulo», in un contesto in cui Cicerone ricorda come, quando nel 59 il collega Antonio era stato condannato, i Catilinari superstiti avessero ornato di fiori la tomba di Catilina e celebrato un banchetto68; Phil. 13,35 «Dolabella non avrebbe offerto un sacrificio espiatorio per la morte del suo generale prima che lo facesse anche Antonio per la morte del suo collega»69. L'uso di expiare nell'accezione di 'placare' è raro70. omne odium inclusum nefariis sensibus impiorum in me profudistis :: principale. quorum ego furori nisi cessissem :: protasi di un periodo ipotetico prospettato come irreale introdotta dal nesso relativo. in Catilinae busto… mactatus essem :: apodosi. mactare 'onorare' in particolare gli dei e 'immolare' una vittima agli dei > 'sacrificare, uccidere'71 è termine del linguaggio religioso che si applica alle vittime sacrificali. uobis ducibus :: ablativo assoluto nominale. quod autem maius indicium exspectatis :: principale interrogativa. nihil inter uos et Catilinam interfuisse :: oggettiva.

65 Sull'uso originario di suus, che nel senso di 'proprio di, appartenente a' non era circoscritto al soggetto, cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §103.a.b. 66 Cfr. red. in sen. 4 e 29; red. ad Quir. 14; dom. 67 e 110; har. resp. 6. 49. 58; Sest. 69; Mil. 18. 67 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §156.b Zus.g. 68 Cfr. Flacc. 59 nunc a Flacco Lentuli poenae per uos expetuntur. 69 Cfr. Phil.13,35 non Dolabella prius imperatori suo quam Antonius etiam collegae parentasset. 70 Cfr. ThlL 5.2,1708,4-11. 71 Sull'accezione cfr. ThlL 8,22,45-55.

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quam quod eandem illam manum ex intermortuis Catilinae reliquiis concitastis, quod omnis undique perditos collegistis, quod in me carcerem effudistis, quod coniuratos armastis, quod eorum ferro ac furori meum corpus atque omnium bonorum uitam obicere uoluistis :: serie di dichiarative con funzione comparativa. L'anafora dei cinque quod introduce cola di ampiezza prima decrescente e poi crescente vincolati da omeoptoti alternati (concitastis e armastis di fronte a collegistis, effudistis, uoluistis). Nel secondo segmento carcer è usato metonimicamente per 'delinquenti'; nell'ultimo l'allitterazione ferro ac furori in qualche modo anticipa l'uso pressoché sinonimico di corpus e uita. 4.5. Il luctus per il bando di Cicerone Con i §§17-18a riprende contro i consoli del 58 la requisitoria di Cicerone, che ritorce contro di loro l'accusa di crudelitas.

17. Ma adesso ritorno al tuo nobile discorso in quell'assemblea. Tu sei quello a cui la crudeltà non piace? Tu che, quando il senato aveva deciso di manifestare il proprio lutto e il proprio dolore cambiando abito, al vedere che lo stato era in lacrime per il lutto del consesso più elevato, o mio uomo misericordioso, che cosa fai? Quello che nessun tiranno in nessun paese barbaro. Non parlo del fatto che un console ordini di non ottemperare a un decreto del senato, atto di cui né si può fare né immaginare nulla di più orrendo; torno alla misericordia di colui cui pare che il senato sia stato troppo crudele nel salvare la patria. 18a. Ha avuto il coraggio di ordinare con il suo compare, che peraltro ambiva a superare in tutti i vizi, che il senato in contrasto con quanto aveva deliberato riprendesse gli abiti consueti. Quale tiranno in qualche paese della Scizia si è comportato in modo da non permettere di piangere a coloro che colpiva con il lutto? Lasci la mestizia, elimini le manifestazioni della mestizia; togli le lacrime non con il conforto ma con le minacce. Se i senatori avessero cambiato abito non per una decisione pubblica ma per un omaggio privato o per compassione, sarebbe stato anche in quel caso di una crudeltà intollerabile che a loro non fosse lecito per i divieti del tuo potere; sebbene il senato in gran numero lo avesse deliberato e tutte le altre classi l'avessero già fatto in precedenza, tu, un console tirato fuori dal buio di una taverna, con quella ballerina depilata hai vietato al senato del popolo romano di lamentare la caduta e la morte dello stato.

sed iam redeo ad praeclaram illam contionem tuam :: principale in cui Cicerone riprende il tema della crudelitas interrotto dal confronto tra Catilina e i consoli del 58.

L'uso di contio nel senso di 'discorso' pronunciato in un'assemblea è oggetto del capitolo 18,7 di Gellio in cui il filosofo Favorino, maestro carissimo dell'autore, si rivolge a un grammatico per accertarsi della corrispondenza tra dhmhgoriva 'discorso al popolo' e contio. Il grammatico, di carattere bisbetico, non fornisce una risposta; tuttavia manda a Favorino un libro del lessicografo di età augustea Verrio Flacco (fr.31 p.522 Funaioli) di cui nei §§5-8a è riferita l'opinione: contio denota la tribuna da cui l'oratore parla, l'assemblea cui si rivolge e il discorso che pronuncia. Della prima e della seconda accezione Verrio adduce esempi di Cicerone attinti rispettivamente all'orazione perduta contra contionem Q. Metelli (fr.2 p.221 Crawford) e al §168 dell'orator; dell'ultima accezione, per cui non sono fornite testimonianze, un esempio potrebbe essere costituito dal passo in esame: «quanto a contio, ha tre accezioni: il luogo e la tribuna da cui si parla, come (in) Marco Tullio nel discorso dal titolo contra contionem Q. Metelli: "salii sul palco e il popolo accorse"; inoltre indica l'adunanza della folla che assiste, come dice ancora Marco Tullio nell'orator: "ho visto spesso le assemblee prorompere in

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esclamazioni quando le frasi si erano concluse con una cadenza adeguata, perché le orecchie si attendono che il pensiero sia strettamente connesso alle parole"; e ancora (designa) il discorso rivolto al popolo»72. tu es ille :: principale interrogativa segnalata soltanto dall'intonazione; per la formula in cui al pronome è saldata l'enclitica interrogativa cfr. dom. 4 tune es ille… cui crudelitas displicet :: prima relativa. qui… o noster misericors! quid facis? :: seconda relativa in cui si inserisce l'apostrofe sarcastica o noster misericors. Sul possessivo cfr. §39 Paule noster dove Pisone è assimilato per scherno a Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Pidna nel 168. Poiché il possessivo, soprattutto se preceduto dalla particella vocativa e premesso al nome proprio, è indizio di affetto, è evidente il sarcasmo della formula. cum senatus… censuisset :: prima narrativa. luctum ac dolorem suum uestis mutatione declarandum :: oggettiva formulata con il gerundivo e con ellissi di esse. La proposta, avanzata in senato sotto la presidenza di Gabinio dal tribuno Lucio Ninnio Quadrato dopo che Clodio aveva presentato la rogatio de capite ciuis Romani è ricordata più volte73. uestis mutatio è un eufemismo per indicare l'assunzione del lutto. cum uideres :: seconda narrativa. maerere rem publicam, amplissimi ordinis luctu :: oggettiva. Che lo stato si affligga per il dolore del senato pare singolare a Nisbet, che segnala pur senza accoglierla nel testo la congettura maerere rem publicam in amplissimi ordinis luctu «lo stato soffriva in concomitanza con il lutto del consesso più elevato». Ma nel passo Cicerone limita il proprio rimprovero al divieto opposto ai senatori di assumere il lutto e accenna soltanto marginalmente all'analoga iniziativa degli altri ordines (§18 cum… omnes ordines reliqui iam ante fecissent) cui Gabinio aveva replicato con la relegatio dell'eques Elio Lamia74.

Nelle due narrative cum senatus luctum ac dolorem suum uestis mutatione declarandum censuisset, cum uideres maerere rem publicam, amplissimi ordinis luctus e nel §18 ut eos quos luctu afficeret lugere non sineret? maerorem relinquis, maeroris aufers insignia e poi lugere uetuisti ricorrono termini che rientrano nell'ambito semantico della sofferenza e che spesso sono associati. Secondo la dottrina delle passioni esposta nelle Tusculane il dolor appartiene alle aegritudines, alle alterazioni dell'equilibrio interiore, e si connota come psicologicamente lacerante (4,18 dolor aegritudo crucians «il dolore è un'afflizione tormentosa»). Cicerone, convinto che a torto da un lato gli stoici non lo considerino un male, dall'altro gli epicurei lo giudichino come il sommo male e che si debba assumerne il controllo con la forza d'animo (2,36-41) e con la razionalità (2,42-64), ne fa con l'esilio un'esperienza condivisa non soltanto dai familiari e dagli amici, ma dall'intera collettività. luctus, che designa in particolare la perdita di una persona cara, per il passaggio metonimico dalla causa all'effetto indica la passione dolorosa prodotta da un evento penoso (4,18 luctus aegritudo ex eius qui carus fuerit interitu acerbo «il lutto è un'afflizione che deriva dalla morte penosa di chi ci era stato caro») e per un'ulteriore metonimia designa con lugere le manifestazioni esteriori e rituali della sofferenza. Questo aspetto prevale nelle orazioni post reditum dove, intendendo il lutto pubblico come espressione di dolore autentico e non come mezzo di 72 Cfr. Verrio Flacco fr.31 p.522 Funaioli contionem autem tria significare: locum suggestumque, unde uerba fierent, sicuti M. Tullius in oratione, quae inscripta est contra contionem Q. Metelli: «escendi – inquit – in contionem, concursus est populi factus»; item significare coetum populi adsistentis, sicuti idem M. Tullius in oratore ait: «contiones saepe exclamare uidi, cum apte uerba cecidissent. etenim exspectant aures, ut uerbis conligetur sententia»; item orationem ipsam, quae ad populum diceretur. 73 Cfr. supra §1.3 e inoltre red. in sen. 12; red. ad Quir. 13; Sest. 26-29 e 32s. 74 Per le manifestazioni di dolore delle altre classi sociali cfr. in particolare red. in sen. 12 e Sest. 26 e 32.

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pressione politica, l'oratore lo mette in antitesi con la soddisfazione degli avversari per il suo bando ed esalta in modo iperbolico la partecipazione della comunità alla sua sventura. Anche il maeror si applica soprattutto alle manifestazioni esterne del dolore e in particolare al pianto (4,18 maeror aegritudo flebilis «la mestizia è un'afflizione che induce al pianto») e nei discorsi posteriori all'esilio definisce tanto lo stato d'animo dei familiari quanto alla mestizia dei boni, degli equites, del senato, dello stato intero per il suo esilio. Con un'iperbole l'oratore afferma in Sest. 128 «tutto per la mia partenza è rimasto nell'abbandono, nello squallore, nel silenzio, colmo di lutto e di mestizia»75. quod nulla in barbaria quisquam tyrannus :: relativa con ellissi del predicato (fecit). L'indefinito quisquam, che occorre in contesti negativi (nulla in barbaria), di norma è usato come pronome, cui corrisponde come aggettivo ullus. omitto enim illud :: principale che si risolve nella figura della preterizione. consulem edicere :: oggettiva. edicere ha il valore tecnico di 'ordinare': cfr. edictum. ut senatus consulto ne obtemperetur :: proposizione con ut… ne in dipendenza da un uerbum iubendi; l'uso delle due congiunzioni in luogo di ne soltanto imita gli stilemi arcaici delle leggi e dei contratti76. quo foedius nec fieri nec cogitari quisquam potest :: relativa di valore comparativo. ad misericordiam redeo eius :: principale. cui… uidetur :: relativa. nimis… senatus in conseruanda patria fuisse crudelis :: infinitiva al nominativo nella costruzione personale di uideri. nimis è collocato a notevole distanza dal determinato crudelis con un forte iperbato. edicere est ausus cum illo suo pari :: principale. Il par è Gabinio. quem tamen omnibus uitiis superare cupiebat :: relativa77. ut senatus… ad uestitum rediret :: proposizione con ut in dipendenza da un uerbum iubendi. contra quam ipse censuisset :: comparativa al congiuntivo in quanto riferisce la delibera del senato di cui i consoli avevano imposto la violazione78. quis hoc fecit ulla in Scythia tyrannus :: principale con aggettivo interrogativo e sostantivo in iperbato. Il senso negativo della proposizione comporta l'uso di ullus in luogo di aliquis. La Scizia, denominazione piuttosto vaga dei territori nord-orientali intorno al mar Nero e al Caspio, era considerata una delle regioni più barbare. Con un'accusa abituale nell'invettiva, Pisone per la sua crudeltà è paragonato a un tiranno, per di più della Scizia, famosa per il suo carattere selvaggio. Sull'avversione dei Romani per la tirannide cfr. in particolare rep. 2,48 dove al buon re prospettato come un padre per il proprio popolo è opposto il tiranno: «appena questo re si è piegato a una dominazione priva di giustizia, subito si trasforma in tiranno, di cui non si può immaginare un essere più disgustoso, più ripugnante, più odioso agli dei e agli uomini; e sebbene abbia aspetto di uomo, per la ferocia della sua condotta supera le belve più mostruose. Chi a ragione potrebbe chiamare uomo un individuo che non voglia alcuna comunanza di diritti, alcuna solidarietà di sentimenti umani con i suoi concittadini e perfino con l'intero genere umano?»79. 75 Cfr. Sest. 128 omnia discessu meo deserta, horrida, muta, plena luctus et maeroris fuerunt. 76 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §348.III. Per il veto opposto dai consoli alla delibera che i senatori si vestissero a lutto cfr. in particolare Sest. 32 edicunt duo consules, ut ad suum uestitum senatores redirent. quis unquam consul senatum ipsius decretis parere uetuit? «i due consoli ordinano ai senatori di ritornare all'abbigliamento consueto. Ma quale mai console ha proibito al senato di obbedire ai propri decreti?». 77 Sulla gara nel uitium tra Gabinio e Pisone cfr. §3. 78 Per l'uso di contra quam cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §320.II.b. 79 Cfr. rep. 2,48 simul atque enim se inflexit hic rex in dominatum iniustiorem, fit continuo tyrannus, quo neque taetrius neque foedius nec dis hominibusque inuisius animal ullum cogitari potest; qui quamquam figura est hominis, morum tamen inmanitate uastissimas uincit beluas. quis enim hunc hominem rite

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ut… non sineret :: esplicativa introdotta da ut, che in questa funzione alterna con quod, da cui è chiarito hoc fecit80. La litote non sineret, in luogo di uetaret o simili, introduce la convinzione che il culmine della crudeltà consista nel divieto di manifestare il dolore, espressa più volte nelle orazioni post reditum in termini simili81. eos… lugere :: infinitiva in dipendenza da un uerbum uetandi. quos luctu afficeret :: relativa al congiuntivo di valore ambiguo, o genericamente consecutivo o concessivo ("sebbene fosse stato lui a farli soffrire") o anche causale ("proprio perché era stato lui a farli soffrire"). In quanto corradicali, lugere e luctus danno origine a una figura etimologica. maerorem relinquis, maeroris aufers insignia; eripis lacrimas non consolando, sed minando :: principali in asindeto costruite le prime due sull'antitesi tra relinquere e auferre e sul poliptoto di maeror, l'ultima sull'antitesi tra consolari e minari e sull'omeoptototo e omeoteleuto dei due gerundi strumentali. quod si uestem non publico consilio patres conscripti sed priuato officio aut misericordia mutauissent :: protasi di un periodo ipotetico prospettato come irreale in cui il publicum consilium si oppone al priuatum officium, e a propria volta all'ossequio doveroso suggerito dall'urbanitas subentra con misericordia la partecipazione emotiva. tamen … crudelitatis erat non ferendae :: apodosi all'indicativo sia in quanto esse ne è il predicato sia in quanto la crudeltà dei consoli non dipende dal verificarsi dell'ipotesi espressa nella protasi. id his non licere per interdicta potestatis tuae :: infinitiva con funzione di soggetto. cum uero id senatus frequens censuisset et omnes ordines reliqui iam ante fecissent :: concessive. tu ex tenebricosa popina consul extractus, cum illa saltatrice tonsa… uetuisti :: principale. Mentre Pisone è schernito per l'austerità ostentata con cui dissimula comportamenti censurabili, tanto più per un console82, Gabinio è deriso per l'aspetto e le abitudini effeminate esibite senza alcun imbarazzo83. In red. in sen. 10 Cicerone lo definisce amante di Catilina; nel §11 avanza l'ipotesi che a causa dei debiti contratti per soddisfare le sue voglie immonde Gabinio sarebbe diventato un pirata se nel 67 non fosse stata approvata la sua proposta di legge di conferire a Pompeo pieni poteri nella guerra contro i pirati; nel §13 lo descrive nell'assemblea tenuta al circo Flaminio convocata per discutere la rogatio de capite ciuis Romani: «pieno di vino, di sonno, di lascivia, con la chioma stillante di unguenti e ben ravviata, con gli occhi appesantiti, le guance cascanti, la voce arrochita da avvinazzato, ebbene il fatto che si fossero giustiziati cittadini che non avevano subito una condanna quell'autorevole modello disse che gli procurava la più profonda indignazione. Dove ci è rimasta nascosta tanto a lungo questa autorità tanto grande? Perché la virtù così fuori del comune di questo ballerino con i capelli arricciati è rimasta per tanto tempo appartata nei bordelli e nelle

dixerit, qui sibi cum suis ciuibus, qui denique cum omni hominum genere nullam iuris communionem, nullam humanitatis societatem uelit? 80 Su quest'uso di ut cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §349.II. 81 Cfr. red. in sen. 12 fecitque quod nemo umquam tyrannus, ut, quo minus occulte uestrum malum gemeretis nihil diceret, ne aperte incommoda patriae lugeretis ediceret «e fece [sc. Gabinio] ciò che nessun tiranno mai, cioè non disse nulla perché non piangeste di nascosto la vostra sciagura ma ordinò di non piangere pubblicamente le sventure della patria»; Sest. 32 quis tyrannus miseros lugere uetuit? «quale tiranno vietò agli infelici di piangere?»; Planc. 87 recordare qui tum fuerint consulum nomine hostes, qui soli in hac urbe senatum senatui parere non sierint edictoque suo non luctum patribus conscriptis, sed indicia luctus ademerint «ricorda quali erano allora i nemici con il nome di consoli, loro che soli in questa città non hanno permesso al senato di obbedire al senato e con il loro editto hanno tolto ai senatori non il lutto ma le manifestazioni del lutto». 82 Per l'abitudine di Pisone di frequentare bettole cfr. §13. 83 Cfr. §22.

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gozzoviglie?»84. Anche la definizione di saltator è ricorrente85 e Macrobio, forse attingendo a Cicerone, in Sat. 3,14,15 cita Gabinio accanto a Celio e al figlio di Crasso quali i tre più famosi e abili danzatori dell'età di Cesare. Si tratta di accuse non soltanto eccessive ma probabilmente convenzionali, che Cicerone respinge quando sono rivolte al suo cliente in Mur. 13: «Catone chiama Lucio Murena ballerino. È la maldicenza di un accusatore accanito, se il rimprovero è vero, di un calunniatore maligno, se è falso»86. Per accrescere il tono spregiativo Cicerone usa il femminile (saltatrix tonsa): cfr. in prou. 9 Semiramis detto di Gabinio; in Verr. 2,2,192 impura… muliercula detto di Verre; in Phil. 13,25 la definizione di Decimo Bruto quale uenefica formulata da Antonio. senatum populi Romani occasum atque interitum rei publicae lugere :: infinitiva in dipendenza da un uerbum uetandi. La propria condanna all'esilio è costantemente identificata da Cicerone con il crollo dello stato. L'arroganza di Pisone che si manifesta nell'editto emanato con Gabinio è tanto più grave in quanto i consoli che hanno proibito di piangere il tramonto del senato e la morte della repubblica sono privi di ogni dignità: l'uno ex tenebricosa popina… extractus, l'altro una saltatrix tonsa. 4.6. Il titulus consulatus Nei §§18b-19 Cicerone replica alla tesi enunciata da Pisone che il ricorso dell'oratore ai consoli era risultato inopportuno poiché in momenti così difficili ciascuno doveva preoccuparsi per sé (§12).

18b. e mi domandava anche poco fa in che cosa avessi avuto bisogno del suo aiuto, perché non mi fossi opposto ai miei nemici con le risorse di cui disponevo. Come se non dico io, che spesso ero stato d'aiuto a molti, ma qualcuno sia mai stato così privo di mezzi da ritenere di essere non soltanto più sicuro con lui come difensore ma anche meglio provvisto con lui come assistente o garante. 19. E davvero io avrei voluto appoggiarmi al consiglio o al sostegno di questa bestia e di questa carne putrida e mi sarei aspettato qualche aiuto o qualche segno d'onore da questo cadavere insepolto? Al console io allora mi rivolgevo, al console – ripeto – non a quello che non avrei potuto trovare in questo maiale, non uno in grado di tutelare con la sua autorità e la sua saggezza una causa così importante per lo stato, ma che come un tronco e un pezzo di legno, se solo fosse stato in piedi, almeno potesse reggere il titolo di console. Poiché la mia causa in ogni aspetto riguardava il consolato e il senato, avrei avuto bisogno dell'aiuto del console e del senato; ma di essi il primo era stato perfino orientato da voi consoli alla mia rovina, il secondo strappato del tutto allo stato. E tuttavia se vuoi sapere la mia intenzione, io non me ne sarei andato e la patria mi avrebbe tenuto tra le sue braccia se avessi dovuto combattere con quel gladiatore da funerale e con te e con il tuo collega.

at quaerebat etiam paulo ante de me :: principale. quid suo mihi opus fuisset auxilio, cur non meis inimicis meis copiis restitissem :: interrogative indirette. Evidentemente la domanda, che Pisone aveva formulato la prima

84 Cfr. red. in sen 13 uini, somni, stupri plenus, madenti coma, composito capillo, grauibus oculis, fluentibus buccis, pressa uoce et temulenta, quod in ciuis indemnatos esset animaduersum, id sibi dixit grauis auctor uehementissime displicere. ubi nobis haec auctoritas tam diu tanta latuit? cur in lustris et helluationibus huius calamistrati saltatoris tam eximia uirtus tam diu cessauit? 85 Cfr. dom. 60 e Planc. 87. 86 Cfr. Mur. 13 saltatorem appellat L. Murenam Cato. maledictum est, si uere obicitur, uehementis accusatoris, sin falso, maledici conuiciatoris.

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volta nel 58 in occasione della visita di Cicerone, era stata ripetuta nella replica in senato al de prouinciis consularibus (paulo ante). Cicerone cerca di dissimulare la verità per lui penosa della propria ricerca d'aiuto con un cumulo di insulti violenti e con un'argomentazione ricercata. quasi uero non modo ego… sed quisquam tam inops fuerit umquam :: comparativa ipotetica il cui carattere ironico è segnalato dalla formula introduttiva quasi uero. L'uso di quisquam si connette con il senso negativo dell'enunciato: né Cicerone né altri avrebbero fatto ricorso a Pisone. qui multis saepe auxilio fuissem :: relativa al congiuntivo con valore causale (non parlo di me, perché io che avevo aiutato molte persone potevo rivolgermi a una di loro per esserne a mia volta aiutato). Quanto al tempo, i codici oscillano tra fuissem e fuerim. qui isto non modo propugnatore… sed aduocato aut adstipulatore… putaret :: relativa al congiuntivo con valore consecutivo segnalato da tam. aduocatus in età repubblicana si definiva chi assisteva un imputato in tribunale con consigli legali o con il suo supporto morale, senza intervenire nel dibattimento; adstipulator era il garante di un contratto che in caso di necessità poteva intervenire come difensore o testimone per esigere il rispetto della promessa che lo stipulator aveva ottenuto dal promissor. tutiorem se… paratiorem fore :: oggettiva. Nel periodo introdotto da quasi uero Cicerone sostiene di non aver chiesto auxilium, come Pisone si era espresso, ma, come è chiarito subito dopo, un consilium o un praesidium. Pisone aveva volontariamente o involontariamente fatto passare la richiesta di Cicerone per una petitio auxili, mentre Cicerone la prospetta come ops e ornamentum. Egli argomenta questa possibilità per mezzo dello schema retorico del passaggio dal maggiore al minore: dichiarando che non lui, che aveva benemerenze verso tante persone, ma nessuno si sarebbe sentito tutelato da Pisone, squalifica l'avversario come debole e inetto. ego istius pecudis ac putidae carnis consilio scilicet aut praesidio niti uolebam, ab hoc eiecto cadauere quicquam mihi aut opis aut ornamenti expetebam? :: principali interrogative. Bellardi e Grimal intendono pecus come 'montone', di cui i Romani consideravano nauseante la carne. eiectum è il cadavere abbandonato, cui è negata sepoltura, come risulta ad es. da Sull. 89 «la vita gli è stata sottratta dalla sentenza precedente; adesso ci adoperiamo per evitare che il suo cadavere sia lasciato insepolto»87. Questa sequela di insulti, da pecus a putida caro a eiectum cadauer, serve a chiarire per quale motivo Cicerone si fosse rivolto a Pisone sebbene avesse di lui un giudizio drasticamente negativo. Come è indicato dal periodo seguente, l'oratore aveva interpellato Pisone in quanto console. consulem ego tum quaerebam, consulem, inquam, non illum quidem :: principale, in cui per enfasi ricorre la geminatio dell'oggetto e si inserisce un'incidentale. quem in hoc maiali inuenire non possem :: relativa al congiuntivo potenziale del passato. maialis costituisce un insulto in cui forse si può riconoscere un'allusione derisoria all'epicureismo di Pisone; inoltre ne nega la virilità alla luce del chiarimento della denominazione fornito da Varrone in rust. 2,4,21: «i verri si castrano nel momento più opportuno intorno a un anno di età… dopo questo intervento cambiano nome e da verri si chiamano maiali»88. qui tantam rei publicae causam grauitate et consilio suo tueretur, sed qui tamquam truncus atque stipes… posset sustinere tamen titulum consulatus :: relative al congiuntivo di valore consecutivo. Un console avrebbe dovuto sostenere lo stato con la sua grauitas e il suo consilium; se è una nullità come Pisone dovrebbe almeno star

87 Cfr. Sull. 89 uita erepta est superiore iudicio, nunc ne corpus eiciatur laboramus. Sull'uso cfr. ThlL 5.2,303,83-304,9. 88 Cfr. Varrone rust. 2,4,21: castrantur uerres commodissime anniculi… quo facto nomen mutant atque e uerribus dicuntur maiales.

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drittto come un tronco o un palo e poter reggere l'iscrizione 'consolato'. Mentre delinea l'immagine comica di un console ridotto a supporto inerte di un titulus, Cicerone evoca l'ottusità dell'avversario in quanto nel linguaggio colloquiale sia truncus sia stipes sono usati nel senso di 'stupido'89. si stetisset modo :: condizionale, cui è sottesa la convinzione che Pisone sia legno fradicio, abbattuto dal peso di un'iscrizione tanto impegnativa. In questo modo è presentato come un'entità priva di vita, da cui non si può pretendere non soltanto che eserciti una magistratura ma neppure che regga un cartello per poter essere identificato. cum enim esset omnis causa illa mea consularis et senatoria :: causale. auxilio mihi opus fuerat et consulis et senatus :: principale. Diversamente da Grimal e Bellardi, Nisbet sceglie la variante consulum. quorum alterum etiam ad perniciem meam erat a uobis consulibus conuersum, alterum rei publicae penitus ereptum :: relative. Alle battute indignate e ai paragoni comici segue, secondo il procedimento caratteristico dell'invettiva, l'argomentazione. Poiché la sua sventura riguardava un console e un senatore, Cicerone aveva bisogno dell'auxilium – come ora lo definisce ricorrendo al termine di cui si era servito Pisone – dei consoli e del senato; purtroppo non c'erano né consoli né senato. ac tamen si consilium exquiris meum :: condizionale che introduce un periodo ipotetico. Si può supporre che l'espressione rinvii a un'osservazione di Pisone, cioè che Cicerone avrebbe dovuto misurarsi nello scontro con i nemici. I motivi che avevano indotto Cicerone a scegliere l'esilio sono esposti in modo articolato soprattutto in Sest. 36-50, da dove emerge con la massima evidenza la consapevolezza, per quanto prospettata come opinione calunniosa, che Clodio e i consoli del 58 agivano d'intesa con i triunviri. neque ego cessissem et me ipsa suo complexu patria tenuisset :: apodosi di un periodo ipotetico prospettato come irreale. si mihi cum illo bustuario gladiatore et tecum et cum collega tuo decertandum fuisset :: protasi espressa con il gerundivo. bustuarius era il gladiatore che combatteva nei giochi funebri celebrati da privati nel luogo in cui il cadavere era stato cremato; la definizione si riferisce a Clodio, la cui attività è collocata in un'atmosfera di morte e che viene identificato un gladiatore di categoria infima90. 4.7. Il discessus di Cicerone Nei §§20-22 Cicerone prospetta la propria decisione di allontanarsi da Roma alla vigilia dell'approvazione della rogatio de capite ciuis Romani come un sacrificio per evitare una guerra civile, festeggiato dai consoli con scomposta esultanza.

20. Ben diversa era la situazione dell'incomparabile Quinto Metello, un cittadino che a mio giudizio metto alla pari nella gloria con gli dei immortali; lui ha giudicato opportuno cedere a Gaio Mario, un personaggio del più grande valore e console, anzi console per la sesta volta, e alle sue legioni invitte, per evitare uno scontro armato. Quale conflitto del genere si sarebbe prospettato per me? con Gaio Mario, com'è evidente, o con qualcuno del suo livello o piuttosto con due consoli di cui uno un

89 Cfr. red. in sen. 14 e nat. deor. 1,84 qui potest esse in eius modi trunco sapientia? «come potrebbe esserci saggezza in un simile pezzo di legno?». 90 Cfr. Servio nel commento a Aen. 10,519 mos erat in sepulchris uirorum fortium captiuos necari: quod postquam crudele uisum est, placuit gladiatores ante sepulchra dimicare, qui a bustis bustuarii appellati sunt «era consuetudine che prigionieri fossero uccisi sui sepolcri degli eroi coraggiosi; quando quest'uso apparve crudele, si decise che davanti ai sepolcri si scontrassero gladiatori che dal termine bustum si sono chiamati bustuarii».

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barbaro epicureo, l'altro un tale che regge la lanterna a Catilina? Certo non sono fuggito davanti al tuo sopracciglio e ai cembali del tuo collega né sono stato tanto pauroso io, che avevo governato la nave dello stato nelle tempeste e tra le onde più spaventose e l'avevo condotta salva in porto, da temere la nuvoletta della tua fronte o il soffio impuro del tuo collega.

alia enim causa praestantissimi uiri Q. Metelli fuit :: principale. Oggetto dell'elogio e del confronto è Quinto Cecilio Metello Numidico, console nel 109 e comandante della guerra contro Giugurta fino al 107, quando gli subentra Mario. Esiliato nel 100 in seguito al rifiuto di giurare rispetto alla legge agraria proposta da Saturnino, che nel 102 come censore aveva radiato dal senato, viene richiamato a Roma l'anno successivo. Cicerone ricorda spesso questo aristocratico intransigente e integerrimo, cui spesso si paragona, tanto che in Q. fr. 3,1,11 designa il proprio avversario Pisone con il nome di Caluentius Marius91. quem ego ciuem meo iudicio cum deorum immortalium laude coniungo :: relativa in cui è inserita l'apposizione (ciuem) secondo un uso attestato dalla tarda repubblica92. Con una sorta di comparatio compendiaria (ad es. in de orat. 1,197 hominum nostrorum prudentiam ceteris omnibus et maxime Graecis antepono «antepongo la saggezza dei nostri compatrioti a quella di tutti gli altri e in particolare dei Greci» in cui ceteri omnes e Graeci si trova all'ablativo come secondo termine di paragone) alla lettera Cicerone dice "cittadino che io a mio parere collego con la gloria degli dei immortali" intendendo "cittadino la cui gloria a mio parere metto alla pari con quella degli dei immortali"93. qui… duxit :: principale introdotta dal nesso relativo. C. illi Mario, fortissimo uiro et consuli et sextum consuli, et eius inuictis legionibus… cedendum esse :: oggettiva espressa con il gerundivo. L'avverbio numerale nel passo è in accusativo; ma Gellio in 10,1 testimonia i dubbi sulla forma. Gli annalisti Celio Antipatro (fr.59 p.176 Peter = fr.32 p.59 Chassignet) e Quadrigario (fr.82 p.235 Peter) avevano usato l'ablativo per indicare il numero dei consolati, mentre Catone (orig. fr.84 p.81 Peter = 4 fr.9 Chassignet) aveva usato l'accusativo per indicare il numero delle violazioni di un trattato. Secondo il racconto di Tirone (fr.7 p.399 Funaioli = fr.21 p.148s. Cugusi) di fronte alla divergenza Pompeo, dedicando nel 52 il tempio della Vittoria la cui scalinata costituiva la cavea del teatro che nel 55 aveva fatto edificare, incerto se far incidere nell'iscrizione consul tertio o tertium, si era rivolto a Cicerone, che gli aveva suggerito l'abbreviazione tert. La soluzione diplomatica era stata censurata da Varrone (fr.218 p.258 Funaioli), che aveva approvato l'uso di Ennio (ann. 295 Vahlen = 290 Skutsch Quintus pater quartum fit consul «il padre Quinto è eletto console per la quarta volta») e distinto il valore dei due casi: «una cosa è essere eletto pretore quarto, una diversa quartum, perché quarto ha valore locale e significa che tre sono stati eletti con un numero maggiore di preferenze, quartum ha valore temporale e significa che si è già stati eletti tre volte… Pompeo (si è comportato) con timidezza in quanto nel teatro, per evitare di scrivere consul tertium o tertio, ha omesso i caratteri finali»94. ne armis confligeret :: finale.

91 Su Metello Numidico cfr. red. in sen. 25 e 38; red. ad Quir. 9 e 11; dom. 82; Sest. 37. 101. 130; Balb. 11; Planc. 69. 92 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §304 Zus.a. 93 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) Stil. §54.I. 94 Cfr. Varrone fr.218 p.258 Funaioli aliud est quarto praetorem fieri et quartum, quod quarto locum adsignificat ac tres ante factos, quartum tempus adsignificat et ter ante factum… Pompeius timide, quod in theatro, ne adscriberet consul tertium aut tertio, extremas litteras non scripsit.

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quod mihi igitur certamen esset huius modi? cum C. Mario scilicet aut cum aliquo pari, an cum altero barbaro Epicureo, cum altero Catilinae lanternario consule? :: principale interrogativa al congiuntivo dubitativo riferito al passato; nell'alternativa di replica scilicet ha un valore fortemente ironico.

L'antico uso di barbarus nel senso di 'non greco' è testimoniato già in Plauto che qualifica barbarus Nevio e con una sorta di ossimoro accosta l'epiteto al grecismo poeta con cui nell'epitafio attribuitogli dalla tradizione (p.73 Blänsdorf) Nevio si definiva. La formula poeta barbarus occorre in mil. 209-212 dove sono descritti gli atteggiamenti assunti da uno schiavo immerso nella riflessione: «ma ecco che adesso si mette a costruire: sotto il suo mento dispone un pilastro. Alla larga, quel tipo di costruzione non mi va affatto a genio, perché ho sentito dire che ha il volto puntellato un poeta barbaro ai cui piedi giorno e notte senza interruzione se ne stanno accucciati due custodi»95. La conferma dell'identificazione del poeta barbarus con Nevio, incarcerato in seguito allo scontro con i Metelli e rappresentato mentre medita con il mento sulla mano (os columnatum) e vincolato dai ceppi (bini custodes), è fornita da Paolo Diacono (p.32,14-16 Lindsay), epitomatore di Pompeo Festo, a propria volta autore di un compendio del de uerborum significatu di Verrio Flacco: «anticamente si chiamavano barbari tutti i popoli ad eccezione dei Greci; per questo Plauto ha chiamato barbaro il poeta latino Nevio»96. Applicato a Pisone, designato come Epicureus, il qualificante risulta doppiamente derisorio: come non Greco Pisone non può per statuto raggiungere la profondità dottrinale di Epicuro; inoltre, poiché per parte di madre è di origini galliche, Pisone risulta barbarus anche dal punto di vista romano. Sebbene contraddica la lezione pressoché concorde dei manoscritti, è suggestiva la congettura Epicuro proposta da Nisbet in base all'apostrofe Epicure noster del §37.

Per i rapporti di Gabinio con Catilina cfr. red. in sen. 10 dove l'oratore afferma che Gabinio «mi richiedeva… davanti a molti testimoni il suo amante Catilina»; dom. 62 dove ricorda i legami con i congiurati che alla sua partenza i consoli vantavano con i Catilinari ricevendone le congratulazioni: «i consoli banchettavano e si compiacevano dei rallegramenti dei congiurati: uno proclamava di essere stato l'amante di Catilina, l'altro cugino di Cetego»; Planc. 87 dove Gabinio è definito saltator… Catilinae consul «il console di Catilina cui piace ballare»97.

Poiché le vie di notte erano buie, per rischiararle ci si serviva di lanternarii, schiavi che accompagnavano con fiaccole il padrone. Definendo Pisone lanternarius di Catilina Cicerone non soltanto ne mette in rilievo la posizione subalterna, ma allude alle loro comuni avventure giovanili98. neque ego, hercule, supercilium tuum neque collegae tui cymbala fugi, neque tam fui timidus :: principali. cymbala erano piatti concavi d'ottone che si battevano l'uno contro l'altro, usati soprattutto nelle feste orgiastiche di Bacco e di Cibele. Parte dei codici in luogo di cymbala ha crotalia, lezione erronea per crotala adottato da Nisbet, sorta di nacchere con cui si accompagnavano nella danza soprattutto le ballerine. La scelta si addice all'effeminatezza di Gabinio e al suo amore per la danza, passatempo che l'Emiliano (orat. fr.30 p.133 Malcovati) giudicava disonorevole per i giovani di buona famiglia: «quando fui condotto in una scuola di danza, vidi in essa, che il dio della 95 Cfr. Plauto mil. 209-212 ecce autem aedificat: columnam mento suffigit suo. | apage, non placet profecto mihi illaec aedificatio; | nam os columnatum poetae esse inaudiui barbaro, | quoi bini custodes semper totis horis occubant. 96 Cfr. Paolo Diacono p.32,14-16 Lindsay barbari dicebantur antiquitus omnes gentes, exceptis Graecis. unde Plautus Naeuium poetam Latinum barbarum dixit. 97 Cfr. red. in sen. 10 me Catilinam amatorem suum, multis audientibus… reposcebat; dom. 62 consules epulabantur et in coniuratorum gratulatione uersabantur, cum alter se Catilinae delicias, alter Cethegi consobrinum fuisse diceret. 98 Sulle intemperanze e sui delitti cui Catilina abituava i suoi seguaci cfr. Sallustio Catil. 14,1-16,3.

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buona fede mi aiuti, più di cinquanta fanciulli e fanciulle e tra questi un ragazzino con ancora il ciondolo al collo, cosa che in particolare mi ha indotto a compiangere lo stato, figlio di un candidato alle elezioni e che aveva non meno di dodici anni, danzare accompagnandosi con le nacchere una danza che uno schiavetto spudorato non avrebbe potuto danzare salvando il decoro»99. ut… frontis tuae nubeculam aut collegae tui contaminatum spiritum pertimescerem :: consecutiva. qui in maximis turbinibus ac fluctibus rei publicae nauem gubernassem saluamque in portu collocassem :: relative al congiuntivo di valore temporale-consecutivo con predicati in omeoteleuto. Alla consueta allegoria della nave rinviano il paragone tra le sopracciglia aggrottate di Pisone e una nuvola tempestosa, ironicamente al diminutivo, e tra l'alito di Gabinio, greve per le gozzoviglie, e lo spirare del vento. L'immagine della nube, che ha ascendenti nei tragici greci, ritorna in autori più tardi100.

21. A ben altri venti ho assistito, ben altre tempeste ho previsto in cuor mio, davanti all'incombere di ben altre bufere non mi sono ritirato; ma a questi mi sono offerto io solo per la salvezza di tutti. E così per la mia partenza tutte quelle spade sacrileghe allora sono cadute da mani di indicibile crudeltà, quando tu, pazzo dissennato, mentre tutte le persone perbene nascoste e rinchiuse erano in pianto, i templi gemevano e perfino le case della città erano in lutto, hai stretto tra le braccia quell'essere funesto, che ha preso forma da atti di lascivia contro natura, dal sangue dei concittadini, dalla crudeltà di delitti e dall'abiezione di colpe di ogni genere, e proprio in quel luogo consacrato, esattamente in quel luogo e in quel momento hai riscosso il prezzo del funerale non soltanto mio ma della patria.

alios ego uidi uentos, alias prospexi animo procellas, aliis impendentibus tempestatibus non cessi, sed his unum me pro omnium salute obtuli :: serie di principali di cui le prime tre, scandite dal poliptoto di alius e vincolate da allitterazioni (uidi uentos e prospexi… procellas) e omeoteleuti (impendentibus tempestatibus), sviluppano l'allegoria dello stato quale nave che il console governa tra le difficoltà della vita politica. Mentre Nisbet e Bellardi intendono aliis impendentibus tempestatibus come un dativo, Grimal lo interpreta come un ablativo assoluto «comme d'autres orages s'annonçaient». Sebbene paia contraddetta dalla struttura sintattica del passo, questa esegesi rende esplicita la distinzione tra due categorie di pericoli: con uenti e procellae Cicerone alluderebbe alla congiura di Catilina che aveva affrontato con energia; con tempestates impendentes alle minacce talvolta esplicite, talvolta sotterranee di Cesare. Nell'ultimo segmento, impostato sull'antitesi tra unus e omnes, his dei codici, conservato da Grimal e Bellardi, che riconoscono al pronome funzione di riepilogo e traducono rispettivamente «à ces menaces» e «a tutto questo», Nisbet giudicando il deittico troppo enfatico lo espunge; in alternativa propone iis o eis sostitutivo di tempestatibus.

99 Cfr. Scipione Emiliano orat. fr.30 p.133 Malcovati cum ductus sum in ludum saltatorium, plus medius fidius in eo ludo uidi pueris uirginibusque quinquaginta, in his unum, quod me rei publicae maxime miseritum est, puerum bullatum, petitoris filium, non minorem annis duodecim, cum crotalis saltare quam saltationem impudicus seruulus honeste saltare non posset. 100 Cfr. ad es. Orazio epist. 1,18,94 deme supercilio nubem «cancella le nubi dalla fronte»; Silio Italico 8,610s. nella descrizione del Bruto comandante dei popoli della Cisalpina e del Veneto durante la II guerra punica: non ille rigoris | ingratas laudes nec nubem frontis amabat «non amava la gloria sgradevole procurata dall'intransigenza né la fronte offuscata da nubi»; Quintiliano inst. 11,3,75 in ipso uultu plurimum ualent oculi, per quos maxime animus emanat, ut citra motum quoque et hilaritate enitescant et tristitiae quoddam nubilum ducant «nel volto risultano particolarmente espressivi gli occhi, dai quali soprattutto traspare l'animo, tanto che senza neppure muoversi possono splendere di gioia o velarsi di una nube di tristezza».

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L'oratore si presenta quale vittima che si immola volontariamente (me… obtuli) per il bene comune, non per il timore di misurarsi con Clodio o con i consoli ma – come chiarisce in Sest. 36-41 – per il silenzio dei triunviri che Clodio gli proclamava ostili. Mentre nel §39 afferma la propria amicizia costante con Crasso («con cui avevo vincoli d'amicizia sotto tutti i punti di vista»101) e con Pompeo, seppure non esente da transitorie incrinature («un personaggio celeberrimo e sia ora sia finché è stato possibile legato a me dalla più grande amicizia»102), di Cesare Cicerone si limita a constatare che «non aveva motivo di essermi ostile per qualcosa che io avessi fatto»103. E ancora nel §41 dal disimpegno di Pompeo e di Crasso, che demandavano ai consoli la difesa di Cicerone da Clodio, l'oratore distingue la presenza minacciosa di Cesare e del suo esercito, del cui stato maggiore faceva parte il fratello di Clodio, Gaio Claudio Pulcro: «era alle porte di Roma, era investito del potere militare, era in Italia il suo esercito e in quell'esercito aveva assegnato funzione di comando proprio al fratello del tribuno della plebe, del mio nemico»104. itaque discessu tum meo omnes illi nefarii gladii de manibus crudelissimis exciderunt :: principale. Nella proposizione introdotta da itaque conclusivo, e in cui l'avverbio temporale tum si riferisce con maggiori probabilità al predicato che allo strumentale (non "per la mia partenza di allora" ma "allora sono cadute"), è enunciata la conseguenza positiva del discessus. Il sacrificio di Cicerone ha evitato uno scontro armato se non una guerra civile, come l'oratore dichiara con enfasi pari all'orgoglio in dom. 99 «due volte ho salvato lo stato poiché, come console, in toga ho vinto nemici in armi, come cittadino privato ho ceduto a consoli armati» e in Sest. 49 «da solo due volte ho salvato lo stato, la prima volta con il mio trionfo, la seconda con la mia pena»105. cum quidem tu, o uaecors et amens… complexus es funestum illud animal ex nefariis stupris, ex ciuili cruore, ex omni scelerum importunitate et flagitiorum impuritate concretum, atque eodem in templo, eodem et loci uestigio et temporis, arbitria non mei solum sed patriae funeris abstulisti :: temporali coordinate da atque e in debole rapporto di subordinazione alla sovraordinata. Cicerone ricorda i fatti negativi concomitanti con la sua partenza e su di essi indugia circoscrivendo la prospettiva a Pisone, come la finalità del discorso comporta. L'antagonista nella sua follia106 si è vincolato a Clodio come a un amico o un amante (complexus es)107, sebbene Clodio fosse un essere ripugnante e rovinoso, in coerenza con i suoi elementi costitutivi (conretum)108: i nefaria stupra, che alludono sia agli accoppiamenti con le sorelle considerati un nefas, una violazione della volontà divina e perciò dell'ordine naturale, sia al sacrilegio dei riti della Bona Dea; il ciuilis cruor, il sangue versato nei conflitti tra i cittadini che rinvia

101 Cfr. Sest. 39 quocum mihi omnes erant amicitiae necessitudines. 102 Cfr. Sest. 39 clarissimus uir mihique et nunc et quoad licuit amicissimus. 103 Cfr. Sest. 39 a me nullo meo merito alienus esse debebat. 104 Cfr. Sest. 41 erat ad portas, erat cum imperio, erat in Italia eius exercitus, inque eo exercitu ipsius tribuni plebis, inimici mei fratrem, praefecerat. 105 Cfr. dom. 99 bis seruaui <rem publicam>, qui, consul, togatus armatos uicerim, priuatus consulibus armatis cesserim; Sest. 49 unus rem publicam bis seruaui, semel gloria, iterum aerumna mea. E cfr. in Pis. 78 la risposta di Pisone, che l'oratore riferisce in discorso indiretto, alla delegazione di personaggi ragguardevoli che intercedevano per Cicerone: «io avrei potuto salvare lo stato una seconda volta se mi fossi ritirato; si sarebbe verificata una strage incalcolabile se avessi opposto resistenza». 106 Sulla follia di Pisone cfr. il commento al §8. 107 Opportunamente nel ThlL il passo è inserito tra gli esempi in cui complecti è usato «de amantibus, amicis, supplicibus sim.» (3,2082,25-52). 108 Per il participio di concrescere nell'accezione di 'composto, costituito da' cfr. ad es. nat. deor. 3,34 aut simplex est natura animantis… aut concretum ex pluribus naturis «o la natura di un essere vivente è semplice… oppure esso è composto da più elementi naturali»; Tusc. 1,60 ex hacne tibi terrena mortalique natura et caduca concreta ea [sc. illa uis quae inuestigat occulta] uidetur…? «ti pare che essa [sc. la facoltà che indaga l'occulto] sia costituita dalla nostra natura terrena e mortale e perciò caduca…?».

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agli scontri tra gli armati delle opposte fazioni; la scelerum importunitas e la flagitiorum impuritas, atti di delinquenza politica e comportamenti dissoluti nell'ambito privato, paiono avere referenti meno precisi e carattere più convenzionale. Tuttavia poiché la scelerum importunitas corrisponde al ciuilis cruor e la flagitiorum impuritas ai nefaria stupra, le colpe di cui Clodio è impastato risultano dilatate e si dispongono a chiasmo; in questo schema si inseriscono l'omeoptoto e omeoteleuto tra importunitate e impuritate e l'ipallage, la divergenza tra la concordanza sintattica e il riferimento semantico dell'aggettivo: omnis che sotto il profilo sintattico qualifica importunitas e impuritas, dal punto di vista del senso connota gli scelera e i flagitia. Non pare che i due sintagmi abbiano riscontro in Cicerone: in har. resp. 4 scelus… importunum è definita la profanazione dei misteri della Bona Dea; impuritas ricorre soltanto nelle Filippiche, dove in 2,6 definisce il comportamento dissoluto di Antonio e in 5,16 la spudoratezza di cui aveva dato prova nella proposta di riforma giudiziaria. L'indignazione suscitata dal connubio tra il console e Clodio è acuita da una serie di coincidenze. L'alleanza è ratificata in un templum, in un luogo consacrato che alcuni identificano con il tempio di Castore dove Clodio aveva presentato la rogatio de capite ciuis Romani, altri con i rostra dove si tenevano assemblee e si prendevano auspici109. L'alleanza comporta la simultaneità tra il consenso di Pisone al bando dell'oratore e la riscossione della ricompensa; e precisamente nel luogo e nel giorno in cui fa approvare la rogatio per esiliare Cicerone Clodio ottiene l'approvazione della rogatio de prouinciis consularibus che assegnava a Pisone il governo della Macedonia. Questa simultaneità, rilevata dal pronome-aggettivo di identità idem, è sottolineata dalla formula inedita et loci uestigio et temporis. Dall'accezione di 'pianta del piede', uestigium assume per sineddoche quella di 'piede', per metonimia quella di 'passo' e dai due valori tropici si sviluppano quelli di 'orma, traccia, impronta'110; l'ablativo uestigio prima in unione con temporis e poi da solo indica contemporaneità, ad es. in Cesare Gall. 7,25,1 in illo uestigio temporis «in quel momento» o ciu. 2,7,3 eodem uestigio «nello stesso momento». Sebbene il nesso di tempus e locus sia frequente111, uestigium loci non è attestato e forse per la mancanza di paralleli il sintagma contribuisce a segnalare l'abiezione senza precedenti dell'accordo. Del resto la ricompensa ricevuta da Pisone è definita arbitria… funeris, in senso proprio la somma corrisposta in base a un arbitrato a chi provvede alla sepoltura112. L'immagine ricorre anche in red. in sen.18 «non era ancora stata diffusa la notizia della morte dello stato che già ti si pagava il prezzo del funerale» e dom. 98 dove Cicerone include tra i propri motivi di sofferenza «vedere i nemici vestiti della pretesta, prima ancora che le lamentazioni funebri fossero concluse, pretendere il prezzo del funerale»113; ma soltanto nel passo in esame gli arbitria funeris sono connessi con il foedus prouinciarum. E un'antitesi senza dubbio intenzionale è istituita mediante una figura etimologica tra il rapace tradimento dello stato commesso da Pisone e il generoso sacrificio compiuto a vantaggio dello stato da Cicerone: i due periodi in cui il §21 si articola sono conclusi da due composti di ferre cui il preverbo

109 Per la prima interpretazione propendono Grimal e Bellardi, per la seconda Nisbet. Che nei rostra (su cui cfr. il commento al §8) si prendessero gli auspici risulta ad es. da Manil. 70 e che i rostra, in quanto luogo consacrato, potessero ricevere la denominazione di templum risulta ad es. da Sest. 75. 110 Cfr. OLD p.2048s. 111 Cfr. ad es. off. 1,144 tanta uis est et loci et temporis «tale è l'importanza del luogo e del momento». 112 Cfr. ThlL che fornisce la definizione «pecunia ex aestimatione alicuius… pro sepultura soluenda» (2,410,61-68) e segnala come unica occorrenza in senso proprio Ausonio epicedion in patrem 59s. (p.18 Green): inter maerentes, sed non ego maestus, amicos | dispositis iacui funeris arbitriis «tra gli amici afflitti, ma senza affliggermi, sono spirato saldato il prezzo del funerale». 113 Cfr. red. in sen. 18 nondum palam factum erat occidisse rem publicam, cum tibi arbitria funeris soluebantur; dom. 98 uidere praetextatos inimicos, nondum morte complorata, arbitria petentis funeris.

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conferisce senso opposto, unum me pro omnium salute obtuli e arbitria non mei solum sed patriae funeris abstulisti. cum omnes boni abditi inclusique maererent, templa gemerent, tecta urbis ipsa lugerent :: la serie di avversative che dalle persone dilata le manifestazioni di dolore agli edifici di Roma estende all'intera città l'antitesi tra l'oratore e Pisone. Il terrore per le violenze di Clodio assecondate dai consoli costringe i boni a nascondersi; ma la loro angoscia si comunica agli edifici in cui cercano protezione, personificati da questa sorta di contagio. L'iperbole ha numerosi luoghi paralleli: Cicerone rievoca in Sest. 53 i giorni in cui «non soltanto gli individui ma le case della città e i templi manifestavano il proprio dolore per quella mia sventura così orribile, così grave, così improvvisa»114, mentre in Pis. 52 rievoca il proprio ritorno dall'esilio «quando ho visto il senato e tutto quanto il popolo uscirmi incontro, quando mi è parso che Roma stessa, per così dire sradicata dalle sue fondamenta, avanzasse per abbracciare il suo salvatore. Essa mi ha accolto in modo da dare l'impressione che fossero felici non soltanto tutti gli uomini e tutte le donne di tutte le categorie, età, classi sociali, di ogni condizione e origine, ma perfino le mura e le case e i templi della città»115.

22. A quale scopo divulgare i banchetti di quei giorni, la tua gioia e il tuo compiacimento, le bevute senza alcuna misura con le tue ignobili comitive? Chi in quei giorni ti ha visto sobrio, chi intento a fare qualcosa che si addicesse a un uomo libero, chi infine ti ha visto in pubblico? Mentre la casa del tuo collega risuonava di canti e di cembali, mentre lui nudo danzava in un banchetto – nel quale mentre lui volteggiava in cerchio nella danza neppure in quel momento temeva la ruota della Fortuna – questo dissipato non altrettanto elegante e appassionato di musica se ne stava sdraiato nel fetore dei suoi Greci e nel vino. E quello di costui in quei giorni di lutto per lo stato passava per un banchetto di Lapiti o di Centauri e nessuno potrebbe dire se (di vino) costui ne abbia più bevuto o vomitato o rovesciato.

quid ego illorum dierum epulas, quid laetitiam et gratulationem tuam, quid cum tuis sordidissimis gregibus intemperantissimas perpotationes praedicem? :: tricolon di principali interrogative dall'ampiezza crescente al congiuntivo dubitativo scandite dall'anafora di quid. Le celebrazioni della sua partenza sono ricordate più volte da Cicerone116, che rileva come Pisone abbia festeggiato con gli amici epicurei citati poco dopo come Graeci e definiti collettivamente e spregiativamente sordidissimi greges. Per l'accenno agli epicurei si è supposto che il banchetto, riferito nel testo alla soddisfazione per la partenza di Cicerone, nell'ipotesi che essa fosse avvenuta il 19 marzo117, in realtà coincidesse con una cena in cui gli epicurei si riunivano al 20 di ogni mese per ricordare il giorno della nascita del maestro118.

114 Cfr. Sest. 53 cum meum illum casum tam horribilem, tam grauem, tam repentinum non solum homines, sed tecta urbis ac templa lugerent. 115 La personificazione non è applicata soltanto alle vicende personali: ad es. in leg. agr. 2,9 alla pace qua non modo ei, quibus natura sensum dedit, sed etiam tecta atque agri mihi laetari uidentur «di cui godono a mio parere non soltanto gli uomini che la natura ha dotato di sensibilità ma anche le case e i campi»; in Marc. 10 alla concessione della grazia da parte di Cesare a Marcello, quando parietes, me dius fidius, ut mihi uidetur, huius curiae tibi gratias agere gestiunt «le pareti della curia in cui ci troviamo, a quanto mi pare, che il dio della buona fede mi aiuti, sono ansiose di renderti grazie»; in off. 2,29 alla consapevolezza che con la dittatura di Cesare la libertà repubblicana aveva avuto fine, poiché parietes modo urbis stant et manent, iique ipsi iam extrema scelera metuentes «si reggono e rimangono soltanto le mura della città, sebbene anch'esse ormai temano il crimine definitivo». 116 Cfr. dom. 62 e Sest. 54 e 111. 117 Cfr. supra §1.3. 118 Sulla consuetudine, prescritta da Epicuro, cfr. Diogene Laerzio 10,18.

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quis te illis diebus sobrium, quis agentem aliquid… quis denique in publico uidit? :: nuovo tricolon di principali interrogative scandite dall'anafora di quis e collegato al precedente dal poliptoto di illi dies. Poiché a marzo i fasci consolari, che i due colleghi portavano a mesi alterni, spettavano a Pisone, è del tutto improbabile che Pisone non fosse comparso in pubblico; se davvero fosse rimasto in casa, prenderebbe consistenza l'ipotesi della malattia addotta nel §13 a giustificazione dei uinulenta medicamina assunti. quod esset libero dignum :: relativa al congiuntivo di valore consecutivo. cum collegae tui domus cantu et cymbalis personaret, cumque ipse nudus in conuiuio saltaret :: narrative che indicano concomitanza. in quo… ne tum quidem Fortunae rotam pertimescebat :: relativa in cui Cicerone ricorre a un'immagine di antica tradizione. cum suum illum saltatorium uersaret orbem :: nuova narrativa di concomitanza. Il gioco di parole tra l'orbis saltatorius e la rota della fortuna è addotto da Apro, difensore dell'oratoria moderna nel dialogus di Tacito (23,1), tra gli esempi di artifici discutibili cui talvolta Cicerone ricorreva. L'interpretazione dell'orbis saltatorius è incerta: si è pensato a un cerchio retto da un danzatore o a una figura di danza: nel primo caso la traduzione risulta "mentre faceva girare il cerchio che reggeva nel ballo"; nel secondo caso si deve considerare orbem oggetto interno di uersare, sebbene non ci siano esempi del costrutto con un termine affine. hic autem non tam concinnus helluo nec tam musicus iacebat in suorum Graecorum foetore atque uino :: principale in cui Cicerone passando dalla seconda alla terza persona sostituisce all'apostrofe il racconto. quod quidem istius in illis rei publicae luctibus quasi aliquod Lapitharum aut Centaurorum conuiuium ferebatur :: principale introdotta dal nesso relativo. Alle proprie nozze con Ippodamia Piritoo, re della mitica popolazione tessalica dei Lapiti, aveva invitato i Centauri, secondo una redazione del mito figli come lui di Zeus. Ma nel banchetto la rivalità tra i fratelli era emersa e la festa era degenerata in un'orgia e in una rissa sanguinosa. in quo nemo potest dicere :: relativa. utrum iste plus biberit an uomuerit an effuderit :: interrogative indirette disgiuntive. Nisbet condivide l'espunzione di an uomuerit considerato una glossa di effuderit; ma mentre uomere ha come referente il vino bevuto in eccesso, effundere può riferirsi al vino versato dal calice retto dalla mano malferma di chi è ubriaco. 4.8. Il consolato fittizio di Pisone 4.8.1. Il consulis nomen Nei §§23-24a Cicerone sostiene che il consolato richiede in chi lo esercita qualità che Pisone non possiede e che di conseguenza Pisone non ha il diritto di affermare di essere stato console.

23. E tu farai ancora menzione del tuo consolato o avrai il coraggio di dire di esser stato console a Roma? E come? Tu credi che il consolato consista nei littori e nella toga pretesta? Queste insegne hai voluto che le portasse anche Sesto Clodio durante il tuo consolato; e credi che il consolato si manifesti nelle insegne dello scagnozzo di Clodio? È con il cuore che bisogna essere console, con la capacità di giudizio, la lealtà, la serietà, la vigilanza, la solerzia, in una parola rispettando con ogni scrupolo tutte le incombenze del consolato e soprattutto, come il significato stesso della denominazione prescrive, provvedendo allo stato. Io dovrei credere console chi non ha

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creduto che nello stato ci fosse il senato e tenerlo in conto di console in assenza di quel consiglio senza il quale a Roma neppure i re potevano esserci? Ma adesso tralascio questi argomenti. Quando si teneva nel foro la leva degli schiavi, si ammassavano armi nel tempio di Castore in pieno giorno e davanti a tutti e quel tempio, cui era impedito l'accesso poiché ne erano stati tolti i gradini, era occupato con le armi dai resti dei congiurati e dall'accusatore compiacente prima, poi dal vendicatore di Catilina, quando i cavalieri romani venivano banditi, le persone perbene scacciate dal foro a sassate, al senato non era consentito non solo operare per il bene dello stato ma perfino prendere il lutto, quando quel cittadino che questo consesso con il consenso dell'Italia e di tutti i popoli aveva giudicato salvatore della patria senza un processo, senza una legge, senza un precedente era scacciato da schiavi in armi non dirò con il vostro aiuto, come in verità potrei dire, ma certo con il vostro silenzio: ebbene qualcuno crederà che allora a Roma ci fossero consoli? 24a. Dunque quali individui saranno chiamati briganti, ammesso che voi siate chiamati consoli, quali predoni, quali nemici, quali traditori, quali tiranni? Grande è il nome, grande la figura, grande il decoro, grande la maestà del console: non li contiene l'angustia del tuo animo, non li accoglie la tua frivolezza; la miseria del tuo cuore, l'ottusità del tuo intelletto, il carattere imprevisto del tuo successo non reggono una parte così autorevole, così seria, così austera.

tune etiam mentionem facies consulatus tui aut… dicere audebis? :: principali interrogative introdotte dall'enclitica -ne. te fuisse Romae consulem :: oggettiva. tu… putas :: principale interrogativa. in lictoribus, in toga praetexta esse consulatum :: oggettiva in cui i due locativi sono in asindeto. quae ornamenta etiam in Sex. Clodio… esse :: oggettiva introdotta dal nesso relativo. Sullo scandalo che la toga praetexta fosse stata indossata dal liberto Sesto Clodio quale organizzatore dei ludi Compitalicii Cicerone si è già soffermato nel §8. Nel passo in esame precisa che i magistri uicorum avevano il diritto di essere preceduti anche dai littori. te consule :: ablativo assoluto nominale. uoluisti :: principale. huius… Clodiani canis insignibus consulatum declarari :: oggettiva. canis non costituisce soltanto un insulto frequente119, ma allude alla fedeltà di Sesto Clodio al suo patronus e alla sua tendenza a mordere. tu… putas :: principale interrogativa. animo consulem esse… consilio, fide, grauitate, uigilantia, cura, toto denique munere consulatus omni officio tuendo maximeque… rei publicae consulendo :: infinitive con funzione di soggetto. Il consolato richiede una serie di qualità intellettuali e morali e un impegno senza riserve nel compimento delle funzioni inerenti alla carica. L'autore li indica prima con una serie di ablativi nominali, poi in funzione riepilogativa (denique) con un gerundivo (toto… munere consulatus… tuendo) precisato da un ablativo di modo allitterante (omni officio), infine con un gerundio + dativo (rei publicae consulendo). Cicerone rivendica a sé in particolare la uigilantia in Catil. 1,8 dove, dopo aver esortato Catilina a meditare sulle informazioni tempestive che gli erano state fornite sull'incontro tra i congiurati avvenuto nella notte tra il 6 e il 7 novembre, conclude: «comprenderai subito che io vigilo per la salvezza con impegno maggiore del

119 Cfr. har. resp. 59 e Att. 6,3,6.

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tuo per la rovina dello stato»120. Il rapporto tra consulere nel senso di 'provvedere, prendersi cura di' e consul, suggerito nella risposta di Pisone a Cicerone che si era rivolto a lui per aiuto (§12 nihil esse quod praesidium consulum implorarem, sibi quemque consulere oportere), è attestato già in Accio, non a caso nella praetexta, tragedia di argomento romano, Brutus dedicata al fondatore della repubblica (39 p.285 Ribbeck = 673 Dangel): qui recte consulat, consul cluat «chi è in grado di provvedere nel modo opportuno [sc. allo stato] abbia il titolo di console». oportet :: principale. id quod uis nominis ipsa praescribit :: relativa parentetica. Sull'argomentazione dedotta dall'etimologia Cicerone si esprime ad es. in top. 35: «anche dall'etimologia si traggono molti suggerimenti. Essa entra in campo quando si ricava un argomento dal significato di un nome. I Greci la chiamano ejtumologiva, cioè alla lettera ueriloquium; quanto a me, per evitare un neologismo poco adatto (al latino), chiamo questa modalità (di indagine) notatio, in quanto le parole sono i segni delle cose. Per questo motivo Aristotele chiama suvmbolon ciò che in latino si chiama nota. Ma quando è chiaro che cosa si intende dire non è il caso di darsi pena per il nome»121. an ego… putem :: principale interrogativa al congiuntivo dubitativo. consulem esse :: oggettiva. qui… non putauit :: relativa. A Pisone e a sé Cicerone applica il medesimo verbo putare che esprime valutazione soggettiva per rilevare con il poliptoto il diverso metro di giudizio applicato da lui e dall'antagonista. Mentre l'autore è convinto che l'esercizio del consolato comporti qualità interiori e rispetto per le istituzioni, Pisone fa consistere la più alta magistratura nei contrassegni esteriori (tu in lictoribus, in toga praetexta, esse consulatum putas?), di cui anche il Clodianus canis può fregiarsi (huius tu Clodiani canis insignibus consulatum declarari putas?). senatum esse in re publica :: oggettiva. La difficoltà di riconoscere un console che viola la volontà del senato rinvia a una constatazione attribuita in de orat. 3,4 a Crasso nel suo ultimo discorso, pronunciato contro Lucio Marcio Filippo, console nel 91 (fr.41 pp.251-253 Malcovati). Opponendosi alla proposta di Druso di ampliare il senato e di trattare con gli Italici per la concessione della cittadinanza, Filippo aveva prospettato l'istituzione di un diverso organo consultivo dichiarando di non poter governare in accordo con quello tradizionale. Alla minaccia «si diceva che Crasso avesse dato una

120 Cfr. Catil. 1,8 iam intelleges multo me uigilare acrius ad salutem quam te ad perniciem rei publicae. Per quanto profondamente convinto della necessità per un console di essere vigile, Cicerone sa anche scherzare su questo requisito. Macrobio riferisce in Sat. 2,3,6 alcuni facete dicta (fr.61s. p.144s. Garbarino e fr.2 p.279 Soubiran) che sviluppano una battuta di fam. 7,30,1 su Gaio Caninio Rebilo, fedele seguace di Cesare. Poiché l'ultimo giorno di dicembre del 45 era morto il collega nel consolato, Cesare aveva nominato Rebilo consul suffectus; sulla brevissima durata della carica si esercita l'ironia di Cicerone: Caninius quoque Rebilus, qui uno die… consul fuit, rostra cum ascendisset, pariter honorem iniit consulatus et eierauit. quod Cicero, omni gaudens occasione urbanitatis, increpuit: «logoqewvrhto~ est Caninius consul». et deinde: «hoc consecutus est Rebilus, ut quaereretur quibus consulibus consul fuit». dicere praeterea non destitit: «uigilantem habemus consulem Caninium, | qui in consulatu somnum non uidit suo» «anche Caninio Rebilo che fu console un giorno soltanto, come salì sui rostri, assunse e depose al tempo stesso la carica di console. Del fatto si prese gioco Cicerone, ben contento di cogliere l'occasione per fare dello spirito: "Caninio è un console percepibile soltanto con l'intelletto"; e poi: "Rebilo questo ha ottenuto, che gli si domandasse sotto quali consoli era stato console". Inoltre non cessava di ripetere: "abbiamo in Caninio un console ben vigile, che durante il suo consolato non ha conosciuto il sonno"». 121 Cfr. top. 35 multa etiam ex notatione sumuntur. ea est autem, cum ex ui nominis argumentum elicitur; quam Graeci ejtumologivan appellant, id est uerbum ex uerbo ueriloquium; nos autem nouitatem uerbi non satis apti fugientes genus hoc notationem appellamus, quia sunt uerba rerum notae. itaque hoc quidem Aristoteles suvmbolon appellat, quod Latine est nota. sed cum intellegitur quid significetur, minus laborandum est de nomine.

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replica ampia e ispirata, dichiarando di non riconoscere console chi non lo riconosceva senatore»122. et sine eo consilio consulem numerem :: seconda principale interrogativa al congiuntivo dubitativo. L'uso a breve distanza del medesimo termine consilium, prima nel senso di 'capacità di giudizio, discernimento, saggezza' che rientra tra le uirtutes di un console, poi nell'accezione metonimica di 'consesso, assemblea di consiglieri' da cui un console deve essere assistito costituisce un esempio di traductio123. sine quo Romae ne reges quidem esse potuerunt :: relativa. La designazione dei re richiedeva sia il voto popolare sia un decreto del senato. La duplice investitura risulta in modo implicito da rep. 2,23 «quando il senato di Romolo, costituito da ottimati cui il re stesso aveva conferito il grande onore di disporre che essi fossero chiamati padri e i loro discendenti patrizi, cercò dopo la morte di Romolo di governare lo stato senza un re, il popolo non lo permise»124. Un'eco delle due ratifiche è riconosciuto da Livio 1,17,9 nell'approvazione sia delle leggi sia della nomina dei magistrati da parte dell'assemblea popolare e del senato: «stabilirono che quando il popolo avesse scelto un re, la scelta sarebbe stata ratificata se i senatori l'avessero approvata. Anche adesso quando si propongono leggi e si candidano magistrati si applica il medesimo principio giuridico, sebbene abbia perso efficacia: prima che il popolo giunga alla votazione, nell'incertezza dell'esito dei comizi, i senatori danno la loro approvazione»125. etenim illa iam omitto :: principale. L'avverbio, di cui alcuni sospettano, sembra segnare il passaggio dal tema dell'inadeguatezza di Pisone al consolato a quello delle sue responsabilità politiche. cum seruorum dilectus haberetur in foro, arma in templum Castoris luce et palam comportarentur, id autem templum… a coniuratorum reliquiis atque a Catilinae praeuaricatore quondam, tum ultore, armis teneretur, cum equites Romani relegarentur, uiri boni lapidibus e foro pellerentur, senatui non… liceret, cum ciuis is… nullo iudicio, nulla lege, nullo more, seruitio atque armis pelleretur, non dicam auxilio uestro… sed certe silentio :: serie di narrative in cui sono citati fatti evocati nel corso dell'in Pisonem o in precedenti orazioni post reditum; ma talvolta Cicerone li precisa con ulteriori particolari.

L'identificazione con una leva di schiavi dell'istituzione di nuovi collegia e la concentrazione di armi nel tempio di Castore sono già ricordate nel §11a, dove inoltre l'oratore sostiene che molti seguaci di Clodio erano stati complici di Catilina. Nel passo in esame Cicerone definisce Clodio prima praeuaricator, accusatore colluso con l'accusato, e poi ultor di Catilina in quanto suo erede politico. Naturalmente l'oratore tace il proposito di difenderlo – espresso in Att. 1,2,1 – quando nel 65 Catilina era stato accusato de repetundis da Clodio, al fine di vincolare a sé un temibile competitore al consolato126: «in questo periodo penso di assumere la difesa di Catilina, che si candiderà con me. Ho i giudici che avrei desiderato con la disposizione migliore dell'accusatore. Spero che, se sarà assolto, mi sarà più favorevole durante la campagna elettorale; se

122 Cfr. de orat. 3,4 multa a Crasso diuinitus dicta esse ferebantur, cum sibi illum consulem esse negaret, cui senator ipse non esset. 123 Sulla figura cfr. il commento al §1. 124 Cfr. rep. 2,23 cum ille Romuli senatus, qui constabat ex optimatibus, quibus ipse rex tantum tribuisset ut eos patres uellet nominari patriciosque eorum liberos, temptaret post Romuli excessum ut ipse regeret sine rege rem publicam, populus id non tulit. Cfr. anche in Phil. 3,9 il rimprovero rivolto ad Antonio per il disprezzo verso il senato, rispettato anche dai re. 125 Cfr. Livio 1,17,9 decreuerunt enim ut cum populus regem iussisset, id sic ratum esset si patres auctores fierent. hodie quoque in legibus magistratibusque rogandis usurpatur idem ius, ui adempta: priusquam populus suffragium ineat, in incertum comitiorum euentum patres auctores fiunt. 126 Cfr. il commento al §11a.

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avverrà diversamente, lo sopporterò da uomo»127. Nel §95 («Catilina fu assoluto due volte») Cicerone ricorda un secondo processo subito da Catilina, celebrato nel 64 per l'accusa di omicidio durante le proscrizioni di Silla128.

Sulla relegatio degli equites, peraltro circoscritta al solo Elio Lamia129, l'oratore si sofferma in modo più puntuale nel §64 rivolgendosi a Pisone: «non ti possono vedere i cavalieri romani, dal cui ordine durante il tuo consolato è stato bandito l'eccellente e ragguardevole Lucio Elio»130. Con l'episodio e più in generale con i tumulti provocati dal progetto di esiliare Cicerone si connettono le sassate contro i uiri boni, che alludono alle violenze delle bande di Clodio contro i sostenitori di Elio Lamia. Agli scontri l'oratore si riferisce ad es. in Sest. 27: «non parlo del comportamento di quel tribuno, profanatore di ogni cosa divina e umana, che ha imposto di presentarsi [sc. all'assemblea] ai giovani della più alta nobiltà e ai cavalieri più illustri che intercedevano per la mia salvezza e li ha esposti alle spade e alle pietre delle sue bande»131.

Sull'illegittimità della procedura con cui era stato costretto all'esilio Cicerone fornisce maggiori informazioni nel §30. Nel sintagma cum seruorum dilectus haberetur in foro Nisbet accoglie la lezione haberentur di alcuni codici, sebbene nei passi paralleli (§11a e Sest. 34) sia attestato il singolare, giudicando il plurale adatto all'enfasi retorica. Nel sintagma arma in templum Castoris luce et palam comportarentur Grimal accetta in templo di parte della tradizione manoscritta sia in base al parallelo di Sest. 34, dove i codici concordi leggono arma in templo Castoris palam comportabantur, sia in base al valore del verbo, in cui sulla nozione di moto può prevalere quella di cumulo. A propria volta Nisbet espunge et nel nesso luce et palam in quanto la formula più usuale è asindetica. L'ampio periodo è articolato da tre cum, cui corrisponde tum nella principale che lo conclude (tum Romae fuisse consules quisquam existimabit?), disposti in modo da distinguere iniziative di Clodio diversamente orientate. Il primo cum introduce le misure assunte per assicurarsi il controllo armato della città: il ripristino dei collegia disciolti e l'istituzione di nuovi, il deposito di armi nel tempio di Castore, la destinazione del tempio a luogo di raccolta degli armati; il secondo i provvedimenti contro le categorie favorevoli a Cicerone colpite dal tribuno attraverso i consoli, gli equites, i uiri boni e il senato; il terzo l'esilio dell'oratore consentito da Gabinio e Pisone. L'intero periodo è percorso da omeoptoti e omeoteleuti, in parte riconducibili a motivi sintattici (la serie di congiuntivi imperfetti haberetur, teneretur, pelleretur e comportarentur, relegarentur, pellerentur con poliptoto nell'ultima forma), ma almeno in parte a una scelta stilistica,

127 Cfr. Att. 1,2,1 hoc tempore Catilinam, competitorem nostrum, defendere cogitamus. iudices habemus quos uoluimus, summa accusatoris uoluntate. spero, si absolutus fuerit, coniunctiorem illum nobis fore in ratione petitionis; sin aliter acciderit, humaniter feremus. 128 Cfr. Catil. 1,18. Sallustio in Catil. 5,2 ricorda che la giovinezza di Catilina era trascorsa durante la guerra tra Mario e Silla e in 5,6s. che dopo la dittatura di Silla Catilina aveva concepito il disegno di impadronirsi con ogni mezzo dello stato inopia rei familiaris et conscientia scelerum, sotto la pressione delle ristrettezze economiche e del rimorso per i delitti commessi. 129 Per enfasi il plurale è usato anche in red. in sen. 32 dixerat in contione consul se cliui Capitolini poenas ab equitibus Romanis repetiturum «un console [sc. Gabinio] aveva detto in assemblea che avrebbe inflitto una punizione ai cavalieri romani per il (sostegno che mi avevano fornito in) Campidoglio»; Sest. 35 cum… alii nominatim relegarentur «sebbene… alcuni fossero condannati alla relegazione nominativamente» e 52 numquam autem erit… tam captus equester ordo ut equites Romani a consule relegentur «mai più l'ordine equestre sarà… così sottomesso che cavalieri romani siano relegati da un console». 130 Sulla relegatio di Elio Lamia cfr. supra §1.3; inoltre sen. 12; Sest. 29; fam. 11,16,2. 131 Cfr. Sest. 27 omitto quid ille tribunus, omnium rerum diuinarum humanarumque praedo, fecerit, qui adesse nobilissimos adulescentis, honestissimos equites Romanos, deprecatores salutis meae iusserit, eosque operarum suarum gladiis et lapidibus obiecerit.

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come conferma la disposizione chiastica di nomi e avverbi in praeuaricatore quondam, tum ultore. Nell'ultima narrativa all'anafora di cum si salda il poliptoto di nullus. Della maggiore concitazione che connota il passo più strettamente autobiografico sono indizio le metonimie ordo per senatores, Italia per Italici e seruitium per serui, inteso a rendere più oltraggiosa la violenza esercitata contro l'autore; la formula enfatica ciuis is quem e la formula correttiva non dicam… sed certe132. Anche sul piano sintattico la struttura è più complessa: mentre nel gruppo di narrative introdotte dal primo cum si insericono soltanto due ablativi assoluti con referente comune e in quello introdotto dal secondo due infinitive in rapporto avversativo (non solum… sed ne… quidem), l'unica narrativa introdotta dal terzo cum comprende una relativa in cui è incluso un ablativo assoluto. Inoltre il predicato, in forte iperbato rispetto al soggetto, interrompe una serie di ablativi che sottolineano l'illegittimità della condanna subita, prima in forma oggettiva (nullo iudicio, nulla lege, nullo more), poi in rapporto alla responsabilità dei consoli (non dicam auxilio uestro… sed certe silentio); e i due segmenti della notazione risultano vincolati alla relativa parentetica che li disgiunge quod uere licet dicere dal poliptoto del verbo e dalla sinonimia approssimativa dell'avverbio. sublato aditu, reuolsis gradibus :: ablativi assoluti. Rispetto alle notizie fornite nel §11a queste informazioni costituiscono un supplemento. non solum iuuare rem publicam, sed ne lugere quidem :: infinitive con funzione di soggetto. Sul divieto opposto da Gabinio al senato di assumere il lutto Cicerone indugia in particolare nel §17s. quem hic ordo… conseruatorem patriae iudicarat :: relativa. Il conferimento del titolo di pater o parens patriae è ricordato da Cicerone nel §6; ma in questo contesto sceglie conseruator, usuale in latino e più affine al titolo onorifico greco swthvr. adsentiente Italia cunctisque gentibus :: ablativo assoluto il cui participio concorda, come di norma, con il soggetto più vicino. quod uere licet dicere :: relativa parentetica. tum Romae fuisse consules :: oggettiva. quisquam existimabit? :: principale interrogativa. qui latrones igitur… qui praedones, qui hostes, qui proditores, qui tyranni nominabuntur :: interrogativa con anafora del plurale di quis. si quidem uos consules :: condizionale in cui il nesso si quidem in correlazione con igitur nella sovraordinata assume un valore intemedio tra l'ipotetico e il causale133. Il medesimo tipo di argomentazione è usato in Phil. 4,8: «se Antonio è console, Bruto è il nemico; se Bruto è colui che ha salvato lo stato, il nemico è Antonio»134. Esempi di questo metodo sono forniti nei paradoxa stoicorum dove Cicerone esamina alcuni enunciati comunemente ritenuti incomprensibili e inaccettabili. Ad es. nel §30 discute la tesi che, mentre ogni stolto è esule, il sapiente non può essere esiliato in quanto nulla può separarlo dai beni interiori che costituiscono l'unico possesso inalienabile. L'assunto risulta ancora più valido se l'esilio è imposto da una città in condizioni di anarchia e in preda alla violenza come Roma durante il tribunato di Clodio, messo a confronto con lo schiavo ribelle Spartaco che aveva suscitato gravi difficoltà allo stato alla fine degli anni 70: «perché Spartaco è un nemico, se tu sei un cittadino? Ma puoi essere un cittadino tu, a causa del quale un tempo lo stato è venuto meno?»135. magnum nomen est, magna species, magna dignitas, magna maiestas consulis: non capiunt angustiae pectoris tui, non recipit leuitas ista; non egestas animi, non infirmitas

132 Su non dicam… sed cfr. il commento al §10. 133 Sul valore della correlazione si quidem… igitur cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §359.II.c.d e §371.f. 134 Cfr. Phil. 4,8 si consul Antonius, Brutus hostis… si conseruator rei publicae Brutus, hostis Antonius. 135 Cfr. parad. 30 cur hostis Spartacus, si tu ciuis? potes autem esse tu ciuis, propter quem aliquando ciuitas non fuit?

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ingeni sustinet, non insolentia rerum secundarum tantam personam, tam grauem, tam seueram :: serie di principali scandite dal poliptoto che subito si converte in anafora di magnus, dall'anafora di non, dalla figura etimologica formata da tantus e tam cui di nuovo subentra l'anafora; all'interno di questa trama si registrano le assonanze tra gli astratti in -tas e costante risulta la disposizione sia di aggettivi e sostantivi sia dei sostantivi e dei genitivi che li determinano. Sull'inadeguatezza alla carica dei consoli del 58 Cicerone si esprime in termini analoghi in red. in sen. 10: «ma c'erano due consoli il cui animo angusto, meschino, ristretto, ingombro di tenebre e di abiezioni non era in grado né di contemplare né di reggere né di contenere neppure il nome del consolato, lo splendore di quella carica, la grandezza di un tale potere»136. L'oggetto di capiunt e recipit è costituito probabilmente dalla serie nomen, species, dignitas, maiestas; l'insolentia rerum secundarum appare parallela alla fortunae rota (§22) del cui volgersi Gabinio non si cura. 4.8.2. Il Campanus consul Nei §§24a-25 Cicerone rievoca i rapporti di deferente riconoscenza che Capua aveva con lui e di ostilità che aveva manifestato a Pisone.

24a. La via Seplasia, a quanto sentivo dire, appena ti ha visto ti ha rifiutato un console campano. Aveva sentito parlare di persone come Decio Magio e aveva avuto qualche notizia del famoso Vibellio Taurea, nei quali, se mancava il senso della misura che di solito si trova nei nostri consoli, almeno c'era una magnificenza, un aspetto, un portamento degno della via Seplasia e di Capua. 25. Insomma se quei vostri profumieri avessero visto come duumviro Gabinio, l'avrebbero riconosciuto prima. Aveva i capelli ben acconciati, sfrangiature di riccioli stillanti di unguenti, le guance cascanti e imbellettate degne di Capua; ma di quella di un tempo, perché quella di adesso è colma di una quantità di persone della più grande signorilità, di uomini pieni di coraggio, di cittadini ottimi e con la più viva amicizia per me. Nessuno di loro ti ha visto in pretesta senza levare gemiti di rimpianto, perché ricordavano bene che dalla mia saggezza sia lo stato tutto quanto sia la loro città erano stati salvati. A me avevano reso onore con una statua dorata, me avevano assunto come unico patrono, a me erano convinti di essere debitori della vita, dei beni, dei figli, me sia avevano difeso, quando ero a Roma, con i loro decreti e con i loro inviati dalla tua azione da brigante sia, durante la mia assenza, hanno richiamato quando Pompeo per primo metteva il problema all'ordine del giorno e strappava dal corpo dello stato i dardi dei tuoi delitti.

Seplasia, mehercule… Campanum consulem repudiauit :: principale. Allo sviluppo patetico sulla dignità del consolato e ai rimproveri indignati rivolti a Pisone segue un passo in cui la condanna dell'antagonista è modulata sui toni dello scherzo, con un mutamento di tono segnalato dall'esclamazione colloquiale mehercule. La via Seplasia, famosa per le botteghe di profumieri137, si trovava a Capua dove nel 58 Pisone era stato duumuir, ricoprendo la più alta magistratura della colonia equivalente in sede locale al consolato138. Il rapporto tra Pisone e la strada, che in una burlesca personificazione è

136 Cfr. red. in sen. 10 sed fuerunt duo consules quorum mentes angustae, humiles, paruae, oppletae tenebris ac sordibus, nomen ipsum consulatus, splendorem illius honoris, magnitudinem tanti imperi nec intueri nec sustinere nec capere potuerunt. 137 Cfr. Varrone Men. 38; inoltre Men. 511 e Petronio 76,6 dove seplasia o seplasium è usato nell'accezione di 'profumo'. 138 Sulla funzione di duumuir svolta nel 58 da Pisone cfr. anche red. in sen. 17 e dom. 60 dove già Pisone è definito con scherno Campanus consul.

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assunta a emblema della città e del suo modo di vivere, si configura come una richiesta di matrimonio rifiutata al primo sguardo (te ut primum aspexit) per l'incompatibilità tra la rozzezza del pretendente e la raffinatezza della sposa scelta: lo chiarisce il ricorso a repudiare che, sebbene indichi ogni diniego, nella lingua giuridica si applica in particolare alla separazione o al divorzio139.

La definizione di Campanus consul attribuita a Pisone e la carica da lui assunta a Capua risalgono alla storia remota e recente dei rapporti tra Roma e la città campana. Insofferente del dominio romano, nel 216 Capua aveva approfittato delle sconfitte subite dai Romani nella guerra con Cartagine per subordinare la propria fedeltà a Roma alla condizione che uno dei due consoli fosse campano; all'ovvio rifiuto del senato si era schierata con Annibale140. Per la defezione la città, riconquistata dopo un lungo assedio, nel 210 era stata ridotta a praefectura governata da un praefectus di nomina senatoria, mentre i suoi cittadini, al pari delle popolazioni sconfitte, sceglievano a Roma uno o più patroni. Nel 59 nel quadro della riforma agraria di Cesare a Capua era stata fondata una nuova colonia con un senato locale costituito da decuriones e presieduto dai duumuiri141. Poiché Pisone ricopriva contemporaneamente il consolato a Roma e il duovirato a Capua, la definizione risulta tanto derisoria quanto pertinente. Sebbene l'antica richiesta avanzata provocatoriamente dai Capuani con Pisone fosse stata soddisfatta, la città aveva rifiutato quel console che per la sua trasandatezza entrava in conflitto con le raffinate abitudini locali. Il contrasto tra l'eleganza di Capua e la fisionomia di Pisone è sottolineato in Sest. 19: «come procedeva arcigno, truce, terribile d'aspetto! Si sarebbe detto di vedere uno dei barbuti di un tempo, un modello del potere di una volta, un ritratto dell'antichità, un pilastro dello stato. Era vestito in modo grossolano della nostra porpora rozza e quasi bruna e aveva i capelli così ispidi da dare l'impressione che avrebbe eliminato la via Seplasia da Capua, in cui allora esercitava la carica di duunviro per poterlo scrivere a titolo d'onore sotto il proprio ritratto»142. ut dici audiebam :: limitativa in cui Cicerone simula di riferire ad altri lo scherzo per evitare che la battuta maligna fosse attribuita al proprio malanimo e al tempo stesso per suscitare l'impressione che il disprezzo per Pisone fosse comunemente condiviso143. te ut primum aspexit :: temporale. audierat Decios Magios et de Taurea illo Vibellio aliquid acceperat :: principali. Decio Magio era nel 216 il capo del partito filoromano. Quando Capua dichiara il proprio favore ad Annibale, viene arrestato e mandato a Cartagine, ma sorpreso da una tempesta si rifugia in Egitto144. Vibellio Taurea era il capo del partito filocartaginese, suicida dopo la riconquista romana della città nel 211145.

139 Cfr. OLD p.1623 punto 1. 140 Cfr. leg. agr. 2,95; Livio 23,6,6s.; Valerio Massimo 4,6,1. 141 Cfr. Cassio Dione 38,7,3. 142 Cfr. Sest. 19 quam taeter incedebat, quam truculentus, quam terribilis aspectu! unum aliquem te ex barbatis illis, exemplum imperi ueteris, imaginem antiquitatis, columen rei publicae diceres intueri. uestitus aspere nostra hac purpura plebeia ac paene fusca, capillo ita horrido, ut Capua, in qua ipsa tum imaginis ornandae causa duumuiratum gerebat, Seplasiam sublaturus uideretur. 143 Si tratta di un espediente usato più volte da Cicerone, soprattutto per non rinunciare a battute di grana grossa. Lo attesta Quintiliano inst. 6,3,4: illa ipsa quae sunt in Verrem dicta frigidius aliis adsignauit et testimonii loco posuit, ut, quo sunt magis uulgaria, eo sit credibilius illa non ab oratore ficta, sed passim esse iactata «quanto poi alle battute di bassa lega sul conto di Verre, le ha attribuite ad altri e le ha usate con il valore di testimonianze, perché quanto più erano volgari tanto più risultasse credibile che non erano state coniate dall'oratore ma generalmente diffuse»; cfr. inoltre 6,3,55. 144 Cfr. Livio 23,7,4-10 e 10,3-13. 145 Cfr. in Livio 23,46,13-47,8 la desrizione della sfida tra Vibellio e un altro cavaliere campano e in 26,15,11-15 il racconto del suicidio di Vibellio.

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in quibus… at fuit pompa, fuit species, fuit incessus saltem Seplasia dignus et Capua :: relative. Con una critica non troppo velata Cicerone rileva l'importanza attribuita dai Capuani alle qualità esteriori piuttosto che alle capacità di governo. si moderatio illa… non fuit :: condizionale. Sull'arroganza e la protervia proverbiali di Capua Cicerone si diffonde in leg. agr. 2,91-97146. quae in nostris solet esse consulibus :: relativa. Gabinium denique si uidissent duumuirum uestri illi unguentarii :: protasi di un periodo ipotetico presentato come irreale. citius agnouissent :: apodosi. agnoscere, applicato in particolare al riconoscimento dell'identità di un individuo, è antitetico a repudiare. Privi entrambi di moderatio, come i tracotanti Campani, Pisone e Gabinio si presentano in modo diverso. L'aspetto curato fino all'effeminatezza di Gabinio l'avrebbe reso ben accetto ai Capuani, che avvertivano estraneo a sé il trasandato e burbero Pisone. erant illi compti capilli et madentes cincinnorum fimbriae et fluentes purpurissataeque buccae, dignae Capua, sed illa uetere; nam haec quidem… splendidissimorum hominum, fortissimorum uirorum, optimorum ciuium mihique amicissimorum multitudine redundat :: principali. Nella descrizione di Gabinio compaiono le caratteristiche, già citate in red. in sen. 13147, adatte a rilevarne la sintonia con le abitudini effeminate di Capua: la capigliatura accuratissima e le guance avvizzite. Ma l'autore fornisce qualche particolare inedito. Grammatici e lessicografi antichi concordano nella definizione di fimbria quale estremità di un tessuto sfrangiato a scopo decorativo148 e il passo in esame risulta l'unico in cui il termine sia direttamente riferito ai capelli149: forse Cicerone intende precisare che nella sua raffinatezza estenuata Gabinio si faceva non tagliare di netto ma scalare i capelli in modo che apparissero più ricciuti (cincinni). In entrambi i ritratti le buccae sono definite fluentes, cascanti per gli stravizi; in questo contesto l'oratore aggiunge che erano imbellettate (purpurissatae), in modo del tutto sconveniente per un uomo e secondo la morale antica anche per una donna. Del resto la descrizione di Gabinio, così stridente con quella di Pisone, richiama una scena di Plauto (truc. 286-291) in cui il protagonista si indigna con una serva che vorrebbe scacciare: «ASTAFIA Perché gridi, pazzo? (il) TRUCULENTO Se non ti sbrighi ad andartene di qui a gambe levate, puoi star certa che ti sradicherò fin dal cervello questi capelli posticci, ben ravviati, ondulati, tutti un ricciolo, intrisi di profumo. AS. E perché mai? TR. Perché hai avuto la faccia tosta di presentarti alla nostra porta sgocciolante di profumo e perché esibisci le guance tutte impiastricciate di belletto»150.

Cicerone distingue tra la Capua uetus e la nuova colonia fondata da Cesare (haec quidem quae nunc est), di cui tuttavia tesse le lodi con un'enfasi caricaturale. La nozione di sovrabbondanza implicita in redundare rinforza multitudo; e questa folla di nuovi coloni è determinata da una serie di genitivi connotata da superlativi in fragoroso omeoteleuto: splendidissimorum hominum, fortissimorum uirorum, optimorum ciuium. 146 Cfr. anche red. in sen. 17 Capuaene te putabas, in qua urbe domicilium quondam superbiae fuit, consulem esse, sicut eras eo tempore, an Romae, in qua ciuitate omnes ante uos consules senatui paruerunt? «credevi di essere console a Capua, città un tempo sede della superbia, come in quel periodo eri, o a Roma, città in cui tutti i consoli prima di voi sono stati ossequienti al senato?». 147 Il passo è citato nel commento al §18a. 148 Cfr. ThlL 6,764,34-47. 149 Peraltro cfr. Titinio 112s. p.149 Ribbeck: quasi hermafroditus fimbriatum frontem | gestas «come un ermafrodito esibisci la fronte sotto una frangia di capelli». Diversa e più esplicita è la ricostruzione di Daviault (115 p.123): quasi hermafroditus fimbriatum frontem gestas feminae «come un ermafrodito esibisci la fronte sotto una frangia di capelli adatta a una donna». 150 Cfr. Plauto truc. 286-291 AS. quid clamas, insane? TR. abire hinc ni properas grandi gradu, | iam hercle ego istos fictos, compositos, crispos, cincinnos tuos, | unguentatos usque ex cerebro exuellam. AS. quanam gratia? | TR. quia ad foris nostras unguentis uncta es ausa accedere, | quiaque bucculas tam belle purpurissatas habes.

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Il sarcasmo sotteso a un giudizio così lusinghiero diventa esplicito nella definizione di amicissimi attribuita anche alla nuova popolazione di Capua, formata dai reduci delle campagne di Pompeo e dai nullatenenti con almeno tre figli che vi si erano stanziati in seguito alla riforma agraria di Cesare, che Cicerone, non particolarmente sensibile alle difficoltà e alle esigenze delle classi subalterne, non si asteneva dal criticare151. quorum Capuae te praetextatum nemo adspexit :: principale introdotta dal nesso relativo. Per evitare di applicare a Pisone la qualifica di consul, usata soltanto per contestarla, Cicerone si serve dell'aggettivo dedotto da praetexta, la toga orlata di porpora indossata dai magistrati. qui non gemeret desiderio mei :: relativa al congiuntivo di valore consecutivo. cuius consilio… meminerant :: relativa all'indicativo, sebbene abbia valore causale in quanto chiarisce il motivo del rimpianto dei cittadini per Cicerone, per sottolineare il carattere oggettivo della constatazione. Attribuendo ai Capuani un ricordo nostalgico della propria attività di console, Cicerone confonde intenzionalmente antichi e nuovi abitanti. cum uniuersam rem publicam tum illam ipsam urbem… esse seruatam :: oggettiva. Poiché i Catilinari intendevano unire alle proprie forze i gladiatori delle scuole di Capua, da cui aveva preso avvio nel 73 la rivolta di Spartaco, Cicerone lo aveva impedito inviando un presidio militare agli ordini del pretore Quinto Pompeo Rufo e del tribuno Publio Sestio152. me inaurata statua donarant, me patronum unum asciuerant, a me… arbitrabantur, me et praesentem contra latrocinium tuum suis decretis legatisque defenderant, et absentem… reuocarunt :: serie di pincipali. Per riconoscenza i Capuani avevano eretto a Cicerone una statua e lo avevano nominato patronus153. Sebbene latrocinium per metonimia possa indicare un'illegalità esercitata con la violenza o con il raggiro, non si può escludere che Cicerone intenda sottolineare la componente di 'rapina' in quanto con l'esilio gli erano stati sottratti patria, famiglia, amici, beni, condizione sociale. Le variazioni di tempo (i piuccheperfetti donarant asciuerant defenderant, l'imperfetto arbitrabantur, il perfetto reuocarunt) in proposizioni coordinate corrispondono a diversi modi di prospettare l'azione passata: in rapporto al perfetto che indica un'azione conclusa, il ritorno in patria dall'esilio, gli onori resi a Cicerone e i tentativi di opporsi alle aggressioni di Clodio e dei consoli quando ancora si trovava a Roma si collocano in un momento anteriore del passato, mentre l'opinione dei Capuani di essere stati salvati da Cicerone è perdurante. se habere uitam, fortunas, liberos :: oggettiva. principe Cn. Pompeio referente et de corpore rei publicae tuorum scelerum tela reuellente :: ablativi assoluti di valore temporale. Come duumuir di Capua nel 57 Pompeo aveva messo all'ordine del giorno nel senato locale la proposta di richiamare Cicerone dall'esilio, prendendo un'iniziativa che numerose città d'Italia avrebbero imitato. Dell'intervento di Pompeo resoconti più articolati si leggono in altre orazioni. In red. in sen. 29 Cicerone accenna all'esigenza di ottenere decreti per il suo richiamo dal senato di ogni città, in quanto a Roma il divieto di mettere il problema in discussione contenuto nella lex Clodia de exsilio Ciceronis forniva ai tribuni a lui ostili il pretesto per opporre il veto, e ringrazia Pompeo «che in una colonia istituita di recente in cui esercitava la suprema magistratura, e dove nessuno era stato comprato per opporre il veto, confermò la violenza e la crudeltà della legge eccezionale contro di me con

151 Cfr. nel §7 la sintesi delle linee programmatiche del proprio consolato che, dopo la menzione generica del populus, dei rostra e della multitudo, Cicerone conclude con la dichiarazione trasparente di aver operato in modo da conciliare gli interessi dell'ordo equester con quelli del senatus. 152 Cfr. Sest. 9 e Sallustio Catil. 30. 153 In Sest. 9 Cicerone ricorda soltanto il conferimento del titolo onorifico di patronus.

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l'approvazione di cittadini molto onorevoli e con un documento ufficiale e per primo espresse il parere che si dovesse invocare il sostegno di tutta l'Italia per la mia salvezza». In Mil. 39 delineando l'antagonismo tra Clodio e la grande maggioranza dei magistrati Cicerone rievoca l'attività dispiegata dal console del 57 Cornelio Lentulo, dai pretori e dai tribuni ostili a Clodio e da Pompeo per ottenere il suo ritorno dall'esilio: «c'era un console molto illustre e molto coraggioso, nemico di Clodio, vendicatore del suo crimine, sostenitore del senato, difensore della vostra volontà, rappresentante del comune volere del popolo, che mi ha reso la vita; c'erano sette pretori e otto tribuni della plebe a lui avversi e a me favorevoli; c'era Gneo Pompeo, artefice e promotore del mio ritorno, a lui ostile, alla cui proposta per la mia salvezza molto autorevole e onorifica tutto il senato ha aderito, che ha rivolto esortazioni al popolo romano, che dopo aver presentato a Capua un decreto in mio favore ha dato all'Italia intera che desiderava e implorava la sua leale garanzia il segnale di accorrere a Roma per reintegrarmi nei miei diritti»154. Intenzionalmente Cicerone vincola con l'omeoteleuto i due participi referente e reuellente che appartengono a registri linguistici distinti. Con referre, termine tecnico per indicare che un problema viene messo all'ordine del giorno, viene sottoposto alla discussione e al voto di un'assemblea, è coordinata la metafora medica dell'estrazione (reuellere) dei tela, a propria volta metafora dei scelera dei consoli del 58 e di Clodio, dal corpo dello stato, prospettato con una personificazione come un essere vivente. E come di consueto l'oratore si identifica con lo stato e giudica i provvedimenti di cui era stato vittima come provvedimenti rivolti contro lo stato. 4.8.3. Il saccheggio della casa Nel §26a Cicerone rimprovera all'antagonista di aver approfittato dell'incendio della sua casa sul Palatino per trafugarne gli oggetti di valore.

eri console quando sul Palatino la mia casa bruciava non per qualche accidente ma perché per tua istigazione vi era stato appiccato il fuoco? Quale incendio di qualche rilievo si è mai verificato in questa città senza che un console accorresse in aiuto? Invece tu proprio in quel momento te ne stavi seduto vicino a casa mia da tua suocera, la cui casa avevi fatto spalancare per vuotare la mia, non per estinguere ma per provocare l'incendio ed eri tu, il console, a fornire quasi di persona torce accese alle furie di Clodio.

an tu eras consul :: principale interrogativa introdotta da an. cum in Palatio mea domus ardebat non casu aliquo, sed ignibus iniectis :: temporale. instigante te :: ablativo assoluto con valore causale. Sul piano linguistico la responsabilità attribuita a Pisone nell'incendio si traduce nell'allitterazione.

154 Cfr. red. in sen. 29 qui in colonia nuper constituta, cum ipse gereret magistratum, in qua nemo erat emptus intercessor, uim et crudelitatem priuilegi auctoritate honestissimorum hominum et publicis litteris consignarit, princepsque Italiae totius praesidium ad meam salutem implorandum putarit; Mil. 39 clarissimus et fortissimus uir consul, inimicus Clodio [P. Lentulus], ultor sceleris illius, propugnator senatus, defensor uestrae uoluntatis, patronus publici consensus, restitutor salutis meae; septem praetores, octo tribuni plebei illius aduersarii, defensores mei; Cn. Pompeius, auctor et dux mei reditus, illius hostis, cuius sententiam senatus omnis de salute mea grauissimam et ornatissimam secutus est, qui populum Romanum est cohortatus, qui cum decretum de me Capuae fecisset, ipse cunctae Italiae cupienti et eius fidem imploranti signum dedit ut ad me restituendum Romam concurreret. Sulla strategia di Pompeo dopo la rottura dell'alleanza con Clodio per ottenere il richiamo di Cicerone cfr. supra §1.4.

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ecquod in hac urbe maius umquam incendium fuit :: principale interrogativa. Il comparativo rinvia alla frequenza con cui a Roma, dove le abitazioni modeste erano di legno, si verificavano gli incendi. cui non consul subuenerit :: relativa al congiuntivo di valore consecutivo. at tu illo ipso tempore apud socrum tuam prope a meis aedibus… sedebas non exstinctor, sed auctor incendi :: principale introdotta da at avversativo. Senza curarsi dei doveri inerenti alla sua carica, anzi sovvertendoli poiché, in luogo di provvedere a spegnerlo, aveva esortato ad appiccare l'incendio, mentre la casa di Cicerone bruciava Pisone se ne stava seduto in casa della suocera. La precisazione assolve due funzioni: Cicerone con sedere mette l'accento sull'inerzia colpevole di Pisone; con apud socrum tuam allude alla scelta non casuale del luogo in cui riposare, poiché dall'abitazione della suocera, contigua a quella dell'oratore, Pisone poteva impartire disposizioni per far salvare dalle fiamme gli oggetti di cui intendeva impadronirsi155. Il saccheggio della casa sul Palatino e della villa di Tuscolo, compiuto da Gabinio, proprietario di una villa confinante, è descritto in dom. 62 dove l'oratore si rivolge a Clodio: «ero anche a tuo giudizio un cittadino nella pienezza dei suoi diritti, quando la mia casa sul Palatino e la mia villa nel territorio di Tuscolo venivano trasferite l'una a un console e l'altra all'altro console – così li chiamavano. Le colonne di marmo dalla mia casa, sotto gli occhi del popolo romano, erano portate in quella della suocera di un console; nel podere del console mio vicino si trasportavano non soltanto gli arredi e gli ornamenti della villa ma perfino gli alberi, mentre la villa non per avidità di bottino – ma che bottino c'era? – era distrutta dalle fondamenta per odio e per crudeltà. La casa ardeva sul Palatino per un incendio non fortuito ma provocato»156. cuius domum… patefeceras :: relativa. ad meam domum exhauriendam :: finale al gerundivo. et ardentis faces furiis Clodianis paene ipse consul ministrabas :: principale. La menzione delle furiae, con cui spesso Cicerone identifica i nemici, nel contesto risulta appropriata in quanto le Furie portavano torce. L'immagine, attenuata da paene per non contraddire l'ignavia che gli viene rimproverata, di Pisone che rifornisce di torce le furie è parallela a quella di Gabinio che regge la fiaccola a Catilina (§20). 4.8.4. Il ricatto di Clodio Nei §§26b-30 Cicerone constata come Pisone avesse tradito i propri doveri di console permettendo che il potere fosse esercitato da Clodio e, dopo aver riconosciuto che Gabinio, sia pure con molte resistenze, aderendo alle direttive di Pompeo aveva preso posizione contro il tribuno, coinvolge i consoli del 58 in una condanna comune per la subalternità a Clodio, che li ricattava con il foedus prouinciarum.

26b. E per il resto del tempo qualcuno mai ti ha considerato console, qualcuno ti ha ubbidito, qualcuno si è alzato in piedi quando entravi in senato, qualcuno ha creduto di doverti rispondere quando gli domandavi il parere? Insomma si deve calcolare nella vita pubblica quell'anno in cui il senato era ammutolito, i tribunali erano rimasti in silenzio, le persone perbene erano amareggiate, la violenza dei vostri briganti

155 Anche se, come pare, Pisone si era limitato a far trasportare nella casa della suocera alcune colonne di marmo prezioso, che in ogni caso sarebbero andate distrutte, l'atto risulta almeno inopportuno. 156 Cfr. dom. 62 eram etiam tuo iudicio ciuis incolumis, cum domus in Palatio, uilla in Tusculano, altera ad alterum consulem transferebantur – sic uocabant – columnae marmoreae ex aedibus meis, inspectante populo Romano, ad socrum consulis portabantur, in fundum autem uicini consulis non instrumentum aut ornamenta uillae, sed etiam arbores transferebantur, cum ipsa uilla non praedae cupiditate – quid enim erat praedae? – sed odio et crudelitate funditus euerteretur; domus ardebat in Palatio non fortuito sed oblato incendio. Cfr. anche red. in sen. 18; dom. 124; Sest. 54.

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imperversava in tutta la città e non un cittadino isolato che apparteneva alla cittadinanza ma la cittadinanza in sé si era arresa alla follia criminale tua e di Gabinio?

an uero reliquo tempore consulem te quisquam duxit, quisquam tibi paruit, quisquam in curiam uenienti adsurrexit, quisquam consulenti… putauit? :: serie di principali interrogative introdotte da an, in asindeto e scandite dall'anafora di quisquam. L'insubordinazione e l'omissione di atti di rispetto formali, quali alzarsi in piedi all'ingresso del console e rispondere alle sue domande, sebbene fosse prescritto, dimostrano che nessuno, tanto meno i senatori, attribuiva a Pisone l'autorità di console, anche dopo la partenza di Cicerone (reliquo tempore). respondendum :: infinitiva con omissione di esse. numerandus est ille annus denique in re publica :: principale interrogativa. L'abdicazione alle proprie prerogative da parte dei consoli, che esercitavano il mandato come esecutori della politica di Clodio, non soltanto attira su di loro discredito ma determina una sorta di interruzione nella vita dello stato. cum obmutuisset senatus, iudicia conticuissent, maererent boni, uis latrocini uestri tota urbe uolitaret neque ciuis unus ex ciuitate, sed ipsa ciuitas tuo et Gabini sceleri furorique cessisset :: serie di avversative che indicano le conseguenze della vacanza di potere, sostanziale se non formale: il silenzio del senato e dei tribunali, il dolore delle persone oneste, le violenze delle bande armate di Clodio, cui non singoli cittadini ma l'intera città, o forse l'intero stato, non erano in grado di reagire. Mentre è certo il clima intimidatorio instaurato dai seguaci di Clodio, la sospensione di ogni attività legislativa e giudiziaria costituisce una forzatura, almeno se estesa a tutto il 58. Peraltro è vero che i senatori per alcuni mesi si erano rifiutati di prendere in esame provvedimenti diversi dal richiamo dall'esilio di Cicerone, di cui una clausola della lex de exsilio vietava di discutere157, ed è verosimile che gli scontri tra fautori e avversari di Clodio influissero anche sui processi, la cui celebrazione dipendeva da opportunità politiche158. Nelle avversative, in cui i tempi possono essere usati in valore proprio, cioè non essere governati – come nel caso in esame – dal tempo della sovraordinata159, le violenze commesse dagli armati di Clodio sono indicate da uis latrocini uestri per mettere in primo piano la responsabilità dei consoli. Nel sintagma latrocinium può essere inteso quale metonimia per latrones, come interpreta Bellardi, o nell'accezione ampia di 'atto illegale e violento', come interpreta Grimal160. Il carattere patetico della rievocazione si esprime nei primi tre cola nell'ordine alterno di soggetto e predicato (obmutuisset senatus, iudicia conticuissent, maererent boni); nei due successivi aperti dal soggetto e conclusi dal predicato nell'allitterazione (uis… uestri… uolitaret) che trova un'eco in ciuis… ciuitate… ciuitas; le tre forme a propria volta determinano una figura etimologica e un poliptoto, mentre il rapporto sintattico tra uis e uolitare accenna a una personificazione.

27. E tu non sei emerso dalle miserabili abiezioni della tua natura, fangoso castrato, neppure quando, dopo essersi finalmente destata, la virtù di un personaggio quanto mai illustre ha reclamato al più presto un vero amico, un cittadino molto benemerito, il proprio comportamento di un tempo e quell'uomo eroico non ha tollerato che nello stato, che aveva reso più glorioso e più esteso, rimanesse più a lungo il flagello dei

157 Cfr. supra §1.4. 158 Il clima violento di Roma e la paralisi della vita civile dopo la propria partenza dell'esilio è rievocato più volte da Cicerone: cfr. §32; red. in sen. 6s.; red. ad Quir. 14; Cael. 78; Mil. 73; soprattutto nuerosissimi passi della pro Sestio. 159 Cfr. Szantyr 1965 (= 1972) §297. 160 Grimal traduce «la violence de vos aggressions».

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vostri delitti; quando l'individuo, comunque lo si giudichi, che da te soltanto è superato in malvagità, a stento è tornato in sé, ma almeno è tornato in sé, e contro il suo caro Clodio ha combattuto prima per finta, poi malvolentieri, ma infine sul serio e con energia in favore di Gneo Pompeo. Davanti a questo spettacolo era ammirevole l'imparzialità del popolo romano: come un maestro di gladiatori davanti a una coppia simile a quella, riteneva che, qualunque dei due fosse caduto, ne sarebbe risultato un guadagno; ma che il vantaggio sarebbe stato incalcolabile se fossero caduti l'uno e l'altro.

ac ne tum quidem emersisti, lutulente caeso, ex miserrimis naturae tuae sordibus :: principale. caeso, suggerito dalla corradicalità con Caesoninus e dall'uscita identica a quella di Piso, ha senso dubbio. Poco illuminante risulta la glossa di Paolo Diacono (p.50,6 Lindsay) «si chiamano caesones quanti sono estratti con un taglio dal ventre materno»161; piuttosto l'accostamento semantico a tomiva~ 'castrato'162 e la presenza nel contesto di emergere, di lutulentus e di sordes inducono a mettere il termine in rapporto con la definizione di maialis applicata a Pisone nel §19163. cum experrecta tandem uirtus clarissimi uiri celeriter et uerum amicum et optime meritum ciuem et suum pristinum morem requisiuit, neque est ille uir passus in ea re publica :: temporali. All'immagine di Pisone quale porco che si rotola nel brago è opposta quella di Pompeo, presentato quale eroe che si ridesta con una personificazione e una perifrasi di sapore epico (uirtus clarissimi uiri) il cui splendore si riverbera sul uerus amicus e optime meritus ciuis. La perifrasi con cui è designato Pompeo, la cui gloria rende tollerabile la pretesa di soddisfazione immediata (celeriter) di una richiesta tardiva (tandem), sottintende un'etimologia di uirtus diffusa nell'antichità e condivisa da Cicerone, che in Tusc. 2,43 afferma: appellata est… ex uiro uirtus164.

La rottura tra Pompeo e Clodio, che nella primavera del 58 aveva provocato la fuga di un prigioniero di Pompeo e la morte di un suo amico nei tumulti che ne erano seguiti e uno dei cui schiavi nell'estate aveva dichiarato il proposito di uccidere Pompeo165, aveva avuto come conseguenza il riavvicinamento di Pompeo a Cicerone. Anche se questo mutamento di politica era determinato da ostilità verso Clodio e sospetto verso Cesare piuttosto che da sollecitudine per Cicerone166, l'oratore lo prospetta come un risveglio (expergisci), e non soltanto come il rinnovamento di un'amicizia e di una stima costanti nel passato quanto piuttosto come il ritorno di Pompeo al proprio mos, alla condotta cui si era sempre attenuto. La sua insofferenza per la politica di Clodio avallata dai consoli e l'identificazione tra il bene dello stato e la salus di Cicerone risultano con la massima chiarezza da Sest. 67: «infine, più tardi di quanto avrebbe voluto, Gneo Pompeo, a dispetto di quanti avevano distolto dalla difesa della mia vita con i loro consigli e con terrori immaginari l'animo di quell'uomo eccellente e valorosissimo, 161 Cfr. Paolo Diacono p.50,6 Lindsay caesones appellantur ex utero matris exsecti. 162 Come presumibilmente caeso e Caesoninus derivano dalla radice di caedere, così tomiva~ deriva dalla radice di tevmnein ed entrambi i verbi valgono 'tagliare'. 163 Per il rapporto tra i porci e il fango cfr. Lucrezio 6,976-978 at contra nobis caenum taeterrima cum sit | spurcities, eadem subus haec iucunda uidetur | insatiabiliter toti ut uoluantur ibidem «al contrario mentre per noi il fango è sporcizia ripugnante, quel medesimo brago sembra piacevole ai porci, tanto che senza saziarsene vi si rotolano tutti». L'immagine dei porci che si rotolano nel brago pare applicata metaforicamente a un individuo da Lucilio 1018 Marx = 30 fr.15 Charpin hic in stercore humi, fimo atque sucerdis «costui (o qui) a terra nello sterco, nel letame e negli escrementi» e 1019 Marx = 30 fr.16 Charpin quid tu istuc curas ubi ego oblinar atque uoluter «per quale motivi ti preoccupi di sapere dove io mi imbratti e mi rotoli». 164 Cfr. anche Varrone ling. 5,73 uirtus ut uiritus a uirilitate. 165 Cfr. supra §1.4. 166 Cfr. Cassio Dione 39,6,1 «Pompeo si adoperava perché fosse votato il ritorno di Cicerone: colui che aveva fatto esiliare per mezzo di Clodio lo faceva ritornare per opporlo a Clodio».

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ridestò la sua abitudine a preoccuparsi del bene dello stato non assopita ma trattenuta da qualche sospetto. Quel personaggio eroico che aveva sottomesso con il suo valore e con le sue vittorie i cittadini più scellerati, i nemici più accaniti, le popolazioni più potenti, re, popoli selvaggi e sconosciuti, un numero sterminato di pirati e perfino schiavi, che dopo aver dato fine a tutte le guerre per terra e per mare aveva delimitato l'impero del popolo romano con i confini dell'universo, non tollerò che fosse abbattuto dal delitto di pochi lo stato che più di una volta aveva salvato non soltanto con le proprie decisioni ma anche con il proprio sangue»167. quam ipse decorarat atque auxerat :: relativa. diutius uestrorum scelerum pestem morari :: oggettiva in cui ricorre l'immagine consueta della pestis. cum tamen ille… collegit ipse se uix, sed collegit tamen et contra suum Clodium primum simulate, deinde non libenter, ad extremum tamen pro Cn. Pompeio uere uehementerque pugnauit :: temporali. La riluttanza di Gabinio, che in sintonia con il mutato atteggiamento di Pompeo, suo referente politico, prende le distanze da Clodio suscitandone la reazione violenta168, si traduce nello sforzo (uix) con cui riacquista lucidità di giudizio dopo essersi lasciato lusingare da Clodio tanto da considerarlo un amico (suus)169, e nella lentezza del distacco: prima finge (simulate) di combatterlo per compiacere Pompeo; poi gli si oppone suo malgrado, come suggerisce la litote non libenter; soltanto infine lo contrasta con una convinzione e con un vigore espressi dagli avverbi allitteranti uere uehementerque. Cicerone rileva come nell'ottica faziosa e nella mancanza di autonomia di Gabinio, cui è necessario avere un capo da servire in mancanza di principi da difendere, la lotta contra Clodio si configura come lotta pro Pompeo. qualiscumque est :: relativa indefinita. Per quanto formuli su Gabinio un giudizio negativo, Cicerone lo lascia indeterminato nel momento in cui ne segnala il distacco da Clodio e l'adesione alle posizioni di Pompeo, interessato al ritorno dell'oratore. qui est ab uno te improbitate uictus :: relativa170. quo quidem in spectaculo mira populi Romani aequitas erat :: principale. Cicerone, sviluppando l'immagine implicita in pugnare, sovrappone allo scontro tra Gabinio e Clodio il combattimento tra due gladiatori cui il pubblico romano era abituato e che costituiva occasione di scommesse. uter eorum perisset :: relativa indefinita in cui uter 'uno / quale dei due' non di rado è usato con il valore di utercumque 'qualunque dei due'. Il congiuntivo è motivato dall'esito incerto del combattimento nella prospettiva degli scommettitori. tamquam lanista in eius modi pari… putabat :: principale. par è termine tecnico per designare una coppia di gladiatori, di cui il lanista era l'istruttore; perché entrambi avessero uguali probabilità di vittoria, dovevano avere forze e abilità equivalenti. Il paragone tra il populus Romanus e un lanista, che esercitava un'attività considerata non meno spregevole di quella dei gladiatori e più in genere delle persone impegnate negli

167 Cfr. Sest. 67 hic aliquando, serius quam ipse uellet, Cn. Pompeius, inuitissimis iis qui mentem optimi ac fortissimi uiri suis consiliis fictisque terroribus a defensione meae salutis auerterant, excitauit illam suam non sopitam, sed suspicione aliqua retardatam consuetudinem rei publicae bene gerendae. non est passus ille uir, qui sceleratissimos ciuis, qui acerrimos hostis, qui maximas nationes, qui reges, qui gentis feras atque inauditas, qui praedonum infinitam manum, qui etiam seruitia uirtute uictoriaque domuisset, qui, omnibus bellis terra marique compressis, imperium populi Romani orbem terrarum terminis definisset, rem publicam euerti scelere paucorum, quam ipse non solum consiliis, sed etiam sanguine suo saepe seruasset. Cfr. inoltre dom. 25. 168 Cfr. supra §1.4. 169 se colligere o colligere animum o mentem e simili o colligi designano il 'riprendere coscienza' dopo uno svenimento o un'emozione così forte da offuscare i sensi: cfr. ThlL 3,1614,52-1615,3. 170 Per la gara nella malvagità tra Gabinio e Pisone cfr. il commento al §3.

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spettacoli, è in sintonia con l'atteggiamento schizzinoso dei senatori all'ascolto di Cicerone, che in un discorso in senato non ha bisogno di usare verso il popolo eccessivi riguardi. La grevità del confronto emerge da Phil. 13,40 dove è Cicerone a essere definito con disprezzo lanista da Antonio. lucrum fieri :: oggettiva. immortalem uero quaestum :: oggettiva con predicato implicito con funzione di apodosi. si uterque cecidisset :: protasi.

28. Ma lui almeno qualcosa faceva: difendeva il prestigio di un uomo grandissimo. Di persona era uno scellerato, era un gladiatore e tuttavia combatteva con uno scellerato e con un gladiatore come lui. Con tutta evidenza tu, devoto e integro, non hai voluto infrangere il trattato che avevi stipulato con il mio sangue nell'accordo sulle province. Infatti quell'individuo che commetteva incesti con le sorelle si era preso la precauzione che, se ti avesse dato una provincia, un esercito, denaro strappato dalle viscere dello stato, ti presentassi come complice e collaboratore di tutti i suoi delitti. E così in quella baraonda i fasci a pezzi, lui colpito, ogni giorno lanci di dardi e di pietre, fughe; infine colto vicino al senato con un'arma colui che si sapeva che era stato appostato per uccidere Gneo Pompeo.

sed ille tamen agebat aliquid: tuebatur auctoritatem summi uiri. erat ipse sceleratus, erat gladiator, cum scelerato tamen et cum pari gladiatore pugnabat :: principali. Con l'osservazione che Gabinio agebat aliquid e con la precisazione che il suo impegno consisteva nella difesa di Pompeo, e che perciò si adoperava per ottenere il suo richiamo dall'esilio, Cicerone in modo implicito rinnova il rimprovero di inertia a Pisone, verso cui prova un rancore più astioso che verso Gabinio in quanto, attenendosi alle direttive di Cesare, non era mai intervenuto in suo favore. L'oratore ammette che Gabinio era spregevole (erat ipse sceleratus, erat gladiator); tuttavia affidandosi al gioco delle allitterazioni, delle anafore e dei poliptoti gli riconosce il merito di essersi opposto a Clodio. tu scilicet homo religiosus et sanctus foedus… frangere noluisti :: principale. L'acrimonia verso Pisone si esprime nel sarcasmo con cui l'oratore lo definisce religiosus et sanctus per lo scrupoloso rispetto degli accordi, simulando di considerare il mercimonio tra Clodio e i consoli come un patto stipulato in modo formale, ratificato con il sacrificio di una vittima il cui sangue costituiva un vincolo sacro tra i contraenti. In base a questo rituale Sallustio riferisce in Catil. 22,1s. che Catilina, tenuto il discorso programmatico ai complici, li aveva indotti a giurare dopo averli fatti bere sangue: «in quel tempo ci furono alcuni che andavano dicendo che Catilina, terminato il discorso, per indurre i complici del suo misfatto a giurare, aveva fatto circolare coppe di sangue umano misto a vino; quando tutti dopo le formule di imprecazione ne ebbero bevuto, come è consuetudine nelle cerimonie solenni, svelò il suo piano»171. quod meo sanguine in pactione prouinciarum iceras :: relativa. Cicerone conferma la convinzione di essere la vittima sacrificale dell'accordo tra Clodio e i consoli, che avrebbero ottenuto province ambite se non si fossero opposti al suo esilio. L'oratore lo dichiara nel §15 e prima ancora lo aveva affermato in pressoché tutte le orazioni post reditum e con la maggiore abbondanza di particolari in dom. 23s. «all'uomo più abietto, più scellerato, più corrotto da che mondo è mondo chi ha assegnato l'opulenta e fertile

171 Cfr. Sallustio Catil. 22,1s. fuere ea tempestate qui dicerent Catilinam, oratione habita, cum ad iusiurandum popularis sceleris sui adigeret, humani corporis sanguinem uino permixtum in pateris circumtulisse; inde cum post exsecrationem omnes degustauissent, sicuti in sollemnibus sacris fieri consueuit, aperuisse consilium suum.

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Siria, chi l'incarico di far guerra a popolazioni del tutto pacifiche, chi il denaro stanziato per acquistare terreni, strappato dalle viscere del tesoro pubblico, chi un potere senza limiti? Sebbene gli avessi assegnato la Cilicia, hai cambiato l'accordo e hai trasferito la Cilicia a un pretore, di nuovo con un provvedimento straordinario, mentre a Gabinio, aumentato il compenso, hai assegnato nominativamente la Siria. E allora? All'uomo più disgustoso, più crudele, più falso, più profondamente contrassegnato dalle macchie di tutti i delitti e di tutte le passioni, a Lucio Pisone, non hai consegnato nominativamente popoli liberi legati e vincolati, sebbene fossero stati liberati da molti decreti del senato e anche da una legge recente di suo genero? E per quanto ti avesse pagato il compenso del tuo beneficio e il prezzo della provincia con il mio sangue, tuttavia non hai spartito con lui il tesoro dello stato? Non è così? Le province consolari che Gaio Gracco, il democratico più avanzato, non soltanto non ha sottratto al senato ma al contrario ha sancito che si dovessero definire anno per anno con una legge senatoria, ebbene tu dopo che erano state stabilite dal senato in base alla legge Sempronia le hai cancellate e le hai assegnate con un provvedimento straordinario senza sorteggio nominativamente non a consoli ma a flagelli dello stato»172. cauerat enim sibi ille sororius adulter :: principale. Per gli incesti di cui era accusato, e che costituiscono imputazioni ricorrenti nelle invettive, Clodio è definito sororius adulter173: la formazione dell'aggettivo con il suffisso -ius caratteristico dei nomi d'agente in -tor (tipo orator : oratorius) ne denuncia il carattere recenziore174. ut… omnium ut suorum scelerum socium te adiutorumque praeberes :: proposizione introdotta da ut, ripetuto per enfasi dopo l'ampia protasi, in dipendenza di cauere con funzione di apodosi. si tibi prouinciam, si exercitum, si pecuniam ereptam ex rei publicae uisceribus dedisset :: protasi scandita dall'anafora della congiunzione. itaque in illo tumultu fracti fasces, ictus ipse, cotidie tela, lapides, fugae, deprensus denique cum ferro ad senatum is :: principali nominali in asindeto. Cicerone rievoca le sommosse dell'estate del 58, quando i fasci di Gabinio erano stati spezzati, ma non risulta che il console fosse stato percosso o ferito (icere), le opposte fazioni si combattevano con armi proprie e improprie mettendo in fuga la popolazione e vicino al tempio di Castore, dove era riunito il senato, era stato arrestato uno schiavo di Clodio che portava un pugnale con cui aveva confessato di dover assassinare Pompeo. Cicerone rievoca più volte i disordini del periodo, forse nel modo più simile al passo in esame in dom. 67: «avete visto le stragi, le lapidazioni, le fughe che costui allora ha provocato, con quale facilità con le armi e con agguati quotidiani, sebbene fosse già stato

172 Cfr. dom. 23s. homini post homines natos turpissimo, sceleratissimo, contaminatissimo quis illam opimam fertilemque Syriam, quis bellum <cum> pacatissimis gentibus, quis pecuniam ad emendos agros constitutam, ereptam ex uisceribus aerari, quis imperium infinitum dedit? cui quidem cum Ciliciam dedisses, mutasti pactionem et Ciliciam ad praetorem item extra ordinem transtulisti; Gabinio, pretio amplificato, Syriam nominatim dedisti. quid? homini taeterrimo, crudelissimo, fallacissimo, omnium scelerum libidinumque maculis notatissimo, L. Pisoni, nonne nominatim populos liberos, multis senatus consultis, etiam recenti lege generi ipsius liberatos, uinctos et constrictos tradidisti? nonne, cum ab eo merces tui benefici pretiumque prouinciae meo sanguine tibi esset persolutum, tamen aerarium cum eo partitus eo? itane uero? tu prouincias consularis, quas C. Gracchus, qui unus maxime popularis fuit, non modo non abstulit a senatu, sed etiam ut necesse esset quotannis constitui per senatum lege [decreta] sanxit, eas lege Sempronia per senatum decretas rescidisti, extra ordinem sine sorte nominatim dedisti non consulibus, sed rei publicae pestibus. Cfr. inoltre red. in sen. 3; red. ad Quir. 13; dom. 55. 60. 70; har. resp. 3; Sest. 24s. 44. 53. 55. L'immagine dei uiscera aerari è applicata in dom. 124 ai fondi pubblici con cui Gabinio si sarebbe costruito una villa sfarzosa a Tuscolo. 173 Sull'accusa che Cicerone ripete malignamente con grande frequenza cfr. Plutarco Cic. 29,4s. e il commento al §9. Poiché l'incesto di Clodio era stato rivelato sotto tortura da uno schiavo della sorella che aveva sposato Lucio Licinio Lucullo (Mil. 73), può essere messo in dubbio. 174 Cfr. Leumann 19265 (= 1977) §278.1.

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abbandonato dal nucleo più saldo delle sue milizie, abbia escluso Gneo Pompeo dal foro e dalla curia e lo abbia costretto in casa»175. quem constabat :: relativa. ad Cn. Pompeium interimendum :: finale al gerundivo.

conlocatum fuisse :: oggettiva il cui soggetto costituisce l'oggetto della relativa.

29. Chi mai ha sentito da te non dico un discorso pubblico o un rapporto ma soltanto una parola o una lamentela? Credi di essere stato console tu, durante il cui governo colui che aveva salvato lo stato con il sostegno autorevole del senato † e anche in Italia, colui che aveva unito con tre trionfi tutte le regioni di tutti i popoli, ha giudicato di non potersi sentire al sicuro in pubblico? Eravate consoli quando, su qualunque argomento vi metteste a parlare o a riferire in senato, tutta l'assemblea protestava e dimostrava che nulla avreste potuto fare se prima non aveste messo all'ordine del giorno il problema che mi riguardava? quando voi, sebbene vincolati strettamente dal patto, tuttavia dicevate di desiderarlo ma che una legge ve lo impediva?

ecquis audiuit non modo actionem aliquam aut relationem, sed uocem omnino aut querelam tuam? :: principale interrogativa. Come prima del consolato Pisone non aveva fatto o detto nulla che fosse degno di nota (§1), così durante il consolato non aveva mai preso la parola per esporre il proprio programma o presentare un'iniziativa176 o per riferire su un argomento da sottoporre a discussione177. E con evidente esagerazione l'oratore sostiene che non soltanto si era astenuto dagli interventi che la magistratura avrebbe comportato, ma non aveva aperto bocca, neppure per lamentare gli atti di violenza che sconvolgevano la vita pubblica. consulem… te fuisse :: oggettiva. tu… putas :: principale interrogativa. Ancora una volta Cicerone conferma che Pisone, poiché si era limitato ad assecondare le direttive di Clodio, non aveva esercitato le sue funzioni di console. Che fosse il solo a credere di esserlo stato risulta sul piano linguistico dal poliptoto tu te in cui le due forme sono accostate e il nominativo è enfatico. cuius in imperio… is… statuit :: relativa. Il testo è corrotto e gli editori concordi segnalano il guasto prima di idemque. Nisbet emenda la forma in is quidem, in cui il pronome riprenderebbe il soggetto della relativa precedente: "colui che aveva salvato lo stato con il sostegno autorevole del senato, proprio lui… ha giudicato di non potersi sentire al sicuro in Italia"; Grimal senza intervenire su idemque integra is in urbe idemque in Italia, riferendo entrambi i pronomi alla relativa che precede: "colui che aveva salvato lo stato con il sostegno autorevole del senato, ebbene lui… ha giudicato di non potersi sentire al sicuro in città e neppure in Italia"178. qui rem publicam senatus auctoritate seruarat :: relativa il cui referente è Cicerone. Una formula simile è usata in Sest. 53: «era stato bandito il cittadino che con l'appoggio autorevole del senato aveva difeso lo stato con tutte le persone perbene»179.

175 Cfr. dom. 67 quas iste tum caedes, quas lapidationes, quas fugas fecerit, quam facile ferro cotidianisque insidiis, cum iam a firmissimo robore copiarum suarum relictus esset, Cn. Pompeium foro curiaque priuarit domumque compulerit, uidistis; inoltre Cassio Dione 38,30,2 e sul'attentato a Pompeo il commento al §16. 176 Sull'accezione tecnica di actio quale 'discorso' tenuto in senato o nell'assemblea popolare cfr. ThlL 1,441,18-46. 177 Su questa accezione tecnica di relatio cfr. il commento al §14. 178 L'integrazione di Grimal è accolta da Bellardi. Nel suo testo dalla nota 3 di p.770 risulta erroneamente che sia Pompeo e non Cicerone a non sentirsi al sicuro in Italia e tanto meno a Roma. 179 Cfr. Sest. 53 ciuis erat expulsus is qui rem publicam ex senatus auctoritate cum omnibus bonis defenderat.

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qui omnis omnium gentium partis tribus triumphis deuinxerat :: relativa il cui referente è Pompeo, che aveva trionfato intorno all'80 per le vittorie in Africa su Iarba di Numidia e sui seguaci di Mario che se ne erano assicurati l'alleanza, intorno al 70 per le vittorie sulle popolazioni della Spagna che avevano appoggiato la rivolta di Sertorio, nel 61 per le vittorie in Asia su Mitridate180. Ai successi ottenuti da Pompeo nei tre continenti allora noti corrisponde un dettato fitto di figure: alle allitterazioni continue (omnis omnium e tribus triumphis) e agli omeoteleuti discontinui (omnis… partis… triumphis) si salda la struttura a incastro omnis omnium gentium partis con inclusione del determinante nel determinato181. se in publico tuto… esse non posse :: oggettiva182. L'oratore presenta come parallele le vicende propria e di Pompeo, verso cui Clodio si era mostrato ugualmente ostile e ingrato. Cicerone, dopo aver salvato lo stato da Catilina, era andato in esilio prima dell'approvazione non solo della lex de exsilio Ciceronis ma anche della rogatio de capite ciuis Romani, giudicando pericolosa la permanenza in Italia; Pompeo dopo tante vittorie per cui aveva celebrato tre trionfi era stato costretto a chiudersi in casa giudicando pericoloso comparire in pubblico. L'analogia delle situazioni si esprime nella sovraordinata e nell'oggettiva comuni alle due relative: is se… tuto statuit esse non posse; peraltro, poiché costituisce un pericolo per Cicerone rimanere in Italia, per Pompeo uscire di casa, all'esilio dell'uno fa riscontro la clausura dell'altro. an tum eratis consules :: principale interrogativa. cum… cunctus ordo reclamabat ostendebatque :: temporali di cui tum è antecedente. quacumque de re uerbum facere coeperatis aut referre ad senatum :: relativa indefinita. L'affermazione smentisce l'enunciato iniziale sul silenzio almeno di Pisone. Ma in un'invettiva le contraddizioni sono tollerate. nihil esse uos acturos :: oggettiva che costituisce l'apodosi di un periodo ipotetico. nisi prius de me rettulissetis :: protasi. Il rifiuto del senato di discutere qualsiasi provvedimento prima che si deliberasse il richiamo di Cicerone è ricordato anche in Sest. 68 «il senato rifiutava ogni attività se prima i consoli non avessero messo all'ordine del giorno il problema che mi riguardava», e in Att. 3,24,2 dove l'oratore riferisce che «il senato non avrebbe emesso alcun decreto prima che fosse discusso il problema che mi riguardava»183. cum uos… diceretis :: narrativa. quamquam foedere obstricti tenebamini :: concessiva. Ancora una volta Cicerone insiste sulla subalternità a Clodio di Gabinio e Pisone, vincolati al tribuno dal foedus prouinciarum. tamen cupere uos… sed lege impediri :: oggettive. Il motivo addotto dai consoli era costituito dal divieto di discutere in senato il richiamo di Cicerone contenuto in una clausola della lex de exsilio. Il carattere pretestuoso della giustificazione risulta ad es. in red. in sen. 4: «i consoli, dotati di senso di misura e di rispetto delle leggi, erano

180 Cfr. ad es. Sest. 129 uir is qui tripertitas orbis terrarum oras atque regiones tribus triumphis adiunctas huic imperio notauit «quell'eroe che ci ha fatto conoscere le tre plaghe del mondo e le regioni aggiunte con tre trionfi al nostro impero». 181 Per una formula simile cfr. Balb. 9 tot habet triumphos quot orae sunt partesque terrarum «ha ottenuto tanti trionfi quante sono le plaghe e le regioni della terra». 182 Per la decisione di Pompeo di non uscire di casa fino alla scadenza del tribunato di Clodio cfr. il commento al §16. 183 Cfr. Sest. 68 omnia senatus reiciebat, nisi de me primum consules rettulissent; Att. 3,24,2 senatum nihil decernere ante quam de nobis actum esset. Inoltre Plutarco Cic. 33,3.

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ostacolati dalla legge, non quella che era stata presentata su di me, ma quella che era stata presentata su di loro»184.

30. Quella legge che non pareva una legge ai cittadini privati, impressa a fuoco da schiavi, incisa con la violenza, imposta da briganti, soppresso il senato, scacciate dal foro tutte le persone perbene, tenuto in scacco lo stato, redatta in contrasto con tutte le leggi senza alcun precedente, ebbene quanti dicevano di temerla possono sopportali come consoli non dirò le persone ma i fasti? Infatti se non consideravate una legge quella che in contrasto con tutte le leggi costituiva la proscrizione voluta da un tribuno e (la confisca) dei beni di un cittadino che non aveva subito una condanna e nella pienezza dei suoi diritti, e tuttavia eravate vincolati strettamente dal patto, chi potrebbe ritenere che siate stati non tanto consoli quanto liberi voi, la cui mente era offuscata da una ricompensa e la lingua legata da un prezzo? Se invece voi soltanto la ritenevate una legge, chi potrebbe ritenere che allora siate stati consoli e adesso siate ex consoli voi, che dello stato in cui pretendete essere annoverati tra i maggiorenti non conoscete né le leggi né le istituzioni né le tradizioni né il diritto?

quae lex priuatis hominibus esse lex non uidebatur, inusta per seruos, incisa per uim, imposita per latrocinium… contra omnis leges nullo scripta more :: relativa. Quattro sintagmi participiali, di cui i primi tre costituiti da participi allitteranti composti con in- e da per + accusativo, motivano la convinzione dei cittadini comuni che la lex de exsilio Ciceronis non fosse valida. Dei tre cola iniziali il primo è il più discusso e il più denso di significato. Mentre non era insolito incidere le leggi di particolare rilievo su tavole di bronzo o su lastre di marmo e non è estraneo a Cicerone il nesso leges imponere, sebbene non in unione con per latrocinium, che in quanto formalmente astratto risulta parallelo a per uim e in quanto equivalente per metonimia a per latrones lo è a per seruos, ben più raro è leges inurere. L'espressione ritorna in Mil. 33 a proposito di leggi che Clodio, candidato alla pretura quando nel gennaio del 52 era stato ucciso in uno scontro con gli uomini di Milone, intendeva proporre: «forse, giudici, voi soltanto ignorate, voi vi trattenete in questa città come stranieri e le vostre orecchie vagano altrove e non si trattengono sui discorsi diffusi in tutta la città sulle leggi, se si devono chiamare leggi e non fiaccole incendiarie della città e flagelli dello stato, che avrebbe imposto a noi tutti e con cui ci avrebbe marchiato a fuoco?»185. In modo analogo la lex de exsilio nei progetti di Clodio avrebbe marchiato a fuoco Cicerone; e che il marchio sia apposto per seruos non soltanto rinvia alla marchiatura degli animali, cui erano schiavi a provvedere, ma allude alla collaborazione che il liberto Sesto Clodio dava al patronus nella stesura delle leggi186. I motivi dell'illegalità (contra omnis leges nullo scripta more) della lex de esxilio sono precisati nel periodo successivo. sublato senatu, pulsis e foro bonis omnibus, capta re publica :: ablativi assoluti di valore temporale con cui è rievocato il clima di violenza e di illegalità coincidente con il tribunato di Clodio. hanc… se metuere :: oggettiva in cui Cicerone ritorna sul pretesto addotto dai consoli per non mettere in discussione in senato il suo richiamo dall'esilio. qui… dicerent :: relativa al congiuntivo di valore consecutivo-ipotetico. 184 Cfr. red. in sen. 4 consules, modesti legumque metuentes, impediebantur lege, non ea quae de me, sed ea quae de ipsis lata erat. Affermazioni simili, ironiche o indignate, sono ricorrenti nelle orazioni post reditum. 185 Cfr. Mil. 33 an uero, iudices, uos soli ignoratis, uos hospites in hac urbe uersamini, uestrae peregrinantur aures neque in hoc peruagato ciuitatis sermone uersantur, quas ille leges, si leges nominandae sunt ac non faces urbis, pestes rei publicae, fuerit impositurus nobis omnibus atque inusturus? 186 Cfr. il commento al §8.

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consules non dicam animi hominum, sed fasti ulli ferre possunt? :: principale interrogativa. Come gli uomini, designati con una perifrasi enfatica che ne sottolinea il carattere di esseri animati in antitesi ai fasti, erano insofferenti di consoli che temevano una legge illegittima, così i fasti, i registri ufficiali dei magistrati, si sarebbero ribellati a portarne inciso il nome. Il rifiuto di inserire nei fasti i nomi di Gabinio e Pisone occorre, senza la grottesca personificazione, anche in Sest. 33: «se si devono chiamare consoli uomini che non c'è nessuno che non creda di dover cancellare non soltanto dalla memoria ma perfino dai fasti»187. nam si illam legem non putabatis :: prima protasi di un periodo ipotetico prospettato come oggettivo. quae erat contra omnis leges indemnati ciuis atque integri capitis bonorumque tribunicia proscriptio :: relativa. Cicerone accenna alle circostanze che rendono la legge illegittima e permettono di identificarla con una proscriptio, definita con una sorta di ossimoro tribunicia poiché, mentre i tribuni avevano sempre reagito alle proscrizioni, della legge contro di lui era stato latore un tribuno. La lex de exsilio, che aveva colpito Cicerone con l'esilio e la confisca dei beni quando godeva della pienezza dei diritti (integrum caput) e senza che avesse subito un processo e una condanna (indemnatus) davanti ai comizi centuriati, contraddiceva una norma delle XII Tavole che invalidava i provvedimenti rivolti contro un individuo nominatim e sine iudicio (priuilegia). Nell'estate del 58 in accordo con Attico il tribuno Quinto Terenzio Culleone aveva compiuto il tentativo di far dichiarare priuilegium la legge di Clodio mediante un decreto senatorio188. Lo ricorda in Att. 3,15,5 Cicerone, che peraltro dichiara di preferire l'abrogazione: «quanto alla notizia che hai discusso con Culleone di una legge ad personam, è qualche cosa; ma sarebbe molto meglio se fosse abrogata»189. ac tamen obstricti pactione tenebamini :: seconda protasi. La formula è pressoché identica a quella usata nel §29 (foedere obstricti tenebamini). quis… putet :: apodosi interrogativa al congiuntivo potenziale del presente. uos non modo consules sed liberos fuisse :: oggettiva in cui Cicerone constata come la subalternità di Gabinio e di Pisone a Clodio ne metta in discussione ben più che la funzione di consoli l'autonomia personale. quorum mens fuerit oppressa praemio, lingua astricta mercede :: relativa al congiuntivo di valore causale. sin illam uos soli legem putabatis :: protasi di un periodo ipotetico prospettato come oggettivo. quisquam… putet :: apodosi interrogativa al congiuntivo potenziale del presente. uos consules tunc fuisse aut nunc esse consularis :: oggettive. qui eius ciuitatis… non leges, non instituta, non mores, non iura noritis :: relativa al congiuntivo di valore causale. in qua in principum numero uoltis esse :: relativa. Per dimostrare la malafede dei consoli, che adducevano la clausola della lex de exsilio per rifiutarsi di aprire in senato il dibattito sul suo richiamo a Roma, e su un piano più ampio che Gabinio e Pisone non potevano essere considerati consoli, Cicerone ricorre allo schema argomentativo del dilemma, una forma di ragionamento sillogistico in cui – secondo la definizione di inu. 1,45 – «qualunque alternativa si sarà ammessa, si va incontro a biasimo, ad es. "se è

187 Cfr. Sest. 33 si appellandi sunt consules, quos nemo est quin non modo ex memoria, sed etiam ex fastis euellendos putet. 188 Con le caratteristiche del priuilegium o come priuilegium Cicerone presenta la legge di Clodio in sen. 8; dom. 26. 33. 43. 51; Sest. 53 e 65. La denominazione delle leggi ad personam è spiegata da Gellio 10,20,4 con l'uso nella lingua arcaica di priuus nel senso di singulus. 189 Cfr. Att. 3,15,5 quod te cum Culleone scribis de priuilegio locutum, est aliquid, sed multo est melius abrogari.

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malvagio, perché lo frequenti? se è buono, perché lo accusi?"»190. Qualsiasi delle due ipotesi incompatibili prospettate si giudichi attendibile, risultano evidenti l'ipocrisia e l'inadeguatezza dei consoli alla magistratura di cui erano investiti. In sintesi o è P o è Q i consoli non consideravano o consideravano valida la lex de exsilio Ciceronis se P, allora X se non la consideravano valida, si dimostrano indegni del consolato:

l'hanno applicata per rispettare il foedus prouinciarum se Q, allora X se la consideravano valida, si dimostrano indegni del consolato:

ignorano il diritto, le istituzioni, le tradizioni di Roma in ogni caso X in ogni caso si dimostrano indegni del consolato

190 Cfr. inu. 1,45 utrum concesseris, reprehenditur, ad hunc modum: si inprobus est, cur uteris? si probus, cur accusas? Analogamente Quintiliano (inst. 5,10,69) afferma che nel dilemma fit etiam ex duobus, quorum necesse est <esse> alterum uerum, eligendi aduersario potestas, efficiturque ut utrum elegerit noceat «è anche data all'avversario la possibilità di scegliere tra due alternative, delle quali una è necessariamente vera, e si fa in modo che, qualunque delle due abbia scelto, torni a suo danno».

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Indice 1. Il discorso contro Pisone 1.1. La data del discorso p. 1 1.2. Le cause dell'esilio di Cicerone 1.2.1. I motivi giuridici p. 2 1.2.2. La vendetta di Clodio p. 2 1.2.3. L'imprudenza di Cicerone p. 3 1.3. La legge sull'esilio p. 5 1.4. Il richiamo dall'esilio p. 6 1.5. Tra il ritorno dall'esilio e l'in Pisonem p. 8 1.6. Genere e struttura del discorso p.12 2. Epilogo dell'esordio p.15 3. Il consolato di Cicerone p.24 4. Il consolato di Pisone 4.1. La tolleranza di Pisone p.36 4.2. La visita a Pisone p.43 4.3. La contio al circo Flaminio p.48 4.4. Clodio e Catilina p.50 4.5. Il luctus per il bando di Cicerone p.55 4.6. Il titulus consulatus p.59 4.7. Il discessus di Cicerone p.61 4.8. Il consolato fittizio di Pisone 4.8.1. Il consulis nomen p.68 4.8.2. Il Campanus consul p.74 4.8.3. Il saccheggio della casa p.78 4.8.4. Il ricatto di Clodio p.79 5. Bibliografia p.90