Come non si uccide Nerone: la congiura di Pisone, 65 d.C.

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La congiura pisoniana

Come non si uccide un tiranno

La congiura dei Pisoni, 65 d.C.

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Il racconto, le fonti

•Tre storici parlano della «congiura dei Pisoni» del 65 d.C.

•Tacito: Annales, libro XV, capitoli dal 48 al 73 (fonti: Plinio il Vecchio e Fabio Rustico)

•Svetonio, un cenno nella biografia di Nerone

•Cassio Dione, Storia romana, libro XLII, capitoli dal 24 al 27

•Per motivi di vicinanza temporale alle vicende rievocate e per l’ampiezza della trattazione, in questa ricostruzione della congiura pisoniana ci avvarremo del testo di Tacito nella traduzione di Mario Stefanoni (Annales, Milano, Garzanti, 1985)

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Un possibile precedente: la congiura che eliminò Caligola, 41 d.C.

• La congiura che eliminò Caligola può essere stata un modello per l’azione del 65.

• Nel 41 si stabilì un’alleanza non consueta tra parte del senato, alcuni equites, parte del pretorio e alcuni funzionari del palazzo imperiale

• Due senatori Annio Vinciano e Valerio Asiatico guidarono la congiura, il secondo per motivi personali, visto che l’imperatore lo aveva offeso pubblicamente

• Il ruolo fondamentale era stato però ricoperto da tribuni della coorti pretorie, Cassio Cherea e Cornelio Sabino, il primo adirato con Caligola che spesso lo scherniva per la sua voce femminea

• Aderirono due liberti molto potenti, il ricco Callisto, timoroso che l’imperatore si sarebbe impadronito del suo denaro; e Narciso

• Caligola fu ucciso durante i ludi Palatini, aggredito e finito a colpi di coltello dai congiurati nel gennaio del 41 d.C.

• I ludi erano momenti critici per gli imperatori, perché si trovavano allo scoperto e quindi erano vulnerabili

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Chi fu C. Calpurnio Pisone•Pisone era membro dell’illustre famiglia romana dei Calpurni Pisoni imparentata con Scipioni e Licini

•Caligola lo mise al bando nel 40 d.C.•Riabilitato da Claudio era stato console e legato militare in Dalmazia•Il poeta Calpurnio Siculo gli dedicò un poemetto Laus Pisonis, per esaltare le sue doti di oratore, le vittorie forensi e la sua eccellenza di protettore delle arti. Inoltre era un appassionato di ludi circensens e talvolta cantava in pubblico.

•Pisone aveva riunito intorno a sé un circolo di letterati, tra cui alcuni senatori, a partire dal 50-52. Dal circolo provennero alcuni dei congiurati: Natale, Scevino e Quinziano

•Pisone era guardato con simpatia da Nerone che lo sentiva come suo affine: amava il lusso e la raffinatezza, era un dilettante d’arte e aveva la fama di gaudente.

•Periodicamente l’imperatore andava a cena da lui nella sua villa di Baia, per di più senza scorta armata, segno di fiducia verso chi lo ospitava.

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• [48] Ineunt deinde consulatum Silius Nerva et Atticus Vestinus, coepta simul et aucta coniuratione, in quam certatim nomina dederant senatores eques miles, feminae etiam, cum odio Neronis, tum favore in C. Pisonem.

• is Calpurnio genere ortus ac multas insignesque familias paterna nobilitate complexus, claro apud vulgum rumore erat per virtutem aut species virtutibus similes. namque facundiam tuendis civibus exercebat, largitionem adversum amicos, et ignotis quoque comi sermone et congressu; aderant etiam fortuita, corpus procerum, decora facies; sed procul gravitas morum aut voluptatum persimonia: levitati ac magnificentiae et aliquando luxu indulgebat. idque pluribus probabatur, qui in tanta vitiorum dulcedine summum imperium non restrictum nec praeseverum volunt.

• 48. [65 d.C.]. Quando iniziarono il loro consolato Silio Nerva e Attico Vestino, aveva già preso avvio e si era consolidata una congiura, cui avevano aderito a gara senatori, cavalieri, soldati e anche donne, sia per odio contro Nerone, sia per simpatia verso Gaio Pisone.

• Discendente dal casato dei Calpurnii e imparentato, per parte di padre, con molte e distinte famiglie, era accreditato tra il popolo di ottime qualità, o piuttosto dava a vedere di averle. Esercitava infatti la sua eloquenza in difesa dei cittadini, generoso verso gli amici, e anche con gli sconosciuti parlava e s'intratteneva affabilmente; e non mancava delle doti che assegna la sorte, quali l'alta statura e la bellezza fisica; assenti, invece, il rigore morale e la moderazione nei piaceri: indulgeva alle frivolezze della mondanità e talvolta allo sfarzo. Ma proprio questo gli attirava le simpatie dei più, i quali, in un clima di viziosità così diffuso, gradiscono al sommo potere uno non rigido e troppo severo.

La personalità di Pisone, secondo Tacito

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[49] Initium coniurationi non a cupidine ipsius fuit; nec tamen facile memoraverim, qui primus auctor, cuius instinctu concitum sit quod tam multi sumpserunt. promptissimos Subrium Flavum tribunum praetoriae cohortis et Sulpicium Asprum centurionem extitisse constantia exitus docuit. et Lucanus Annaeus Plautiusque Lateranus [consul designatus] vivida odia intulere. Lucanum propriae causae accendebant, quod famam carminum eius premebat Nero prohibueratque ostentare, vanu adsimulatione: Lateranum consulem designatum nulla iniuria, sed amor rei publicae sociavit.

at Flavius Scaevinus et Afranius Quintianus, uterque senatorii ordinis, contra famam sui principium tanti facinoris capessivere: nam Scaevino dissoluta luxu menes et proinde vita somno languida; Quintianus mollitia corporis infamis et a Nerone probroso carmine diffamatus contumeliam ultum ibat.

[49] L'origine della congiura non risale all'ambizione di costui: tuttavia non saprei indicare chi ne sia stato il promotore o su ispirazione di chi abbia preso piede un'iniziativa condivisa da tanti. Sostenitori particolarmente decisi furono il tribuno di una coorte pretoria Subrio Flavo e il centurione Sulpicio Aspro, come dimostrò la loro fermezza di fronte alla morte. Anneo Lucano e Plauzio Laterano vi portarono il loro odio implacabile. Spingeva Lucano un motivo personale, dato che Nerone cercava di soffocare la rinomanza delle sue poesie e aveva vietato, perch? soccombente nel confronto, che venissero divulgate. A offrire la propria adesione, il console designato Laterano era stato indotto non da offese particolari, ma dall'amore per lo stato. Al contrario, Flavio Scevino e Afranio Quinziano, appartenenti entrambi all'ordine senatorio, smentirono, contribuendo a dar vita a una iniziativa così grande, la cattiva fama che si aveva di loro: l'animo di Scevino infatti appariva rammollito dalla lussuria e la sua vita era perciò illanguidita da un sonnolento torpore; Quinziano, famigerato per la sua effeminatezza e messo alla berlina da un epigramma infamante di Nerone, voleva prendersi una vendetta.

I congiurati/1:militari, un console, Lucano, aristocratici

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[50] Ergo dum scelera principis, et finem adesse imperio diligendumque, qui fessis rebus succurreret, inter se aut inter amicos iaciunt, adgregavere Claudium Senecionem, Cervarium Proculum, Vulcacium Araricum, Iulium Augurinum, Munatium Gratum, Antonium Natalem, Marcium Festum, equites Romanos. ex quibus Senecio, e praecipua familiaritate Neronis, speciem amicitiae etiam tum retinens eo pluribus periculis conflictabatur; Natalis particeps ad omne secretum Pisoni erat; ceteris spes ex novis rebus petebatur. adscitae sunt super Subrium et Sulpicium, de quibus rettuli, militares manus Gavius silvanus et Statius Proxumus tribuni cohortium praetoriarum, Maximus Scaurus et Venetus Paulus centuriones. sed summum robur in Faenio Rufo praefecto videbatur, quem vita famaque laudatum per saevitiam impudicitiamque Tigellinus in animo principis anteibat, fatigabatque criminationibus ac saepe in metum adduxerat quasi adulterum Agrippinae et desiderio eius ultioni intentum. igitur ubi coniuratis praefectum quoque praetorii in partes descendisse crebro ipsius sermone facta fides, promptius iam de tempore ac loco caedis agitabant. et cepisse impetum Subrius Flavus ferebatur in scaena canentem Neronem adgrediendi, aut cum [ardente domo] per noctem huc illuc cursaret incustoditus. hic occasio solitudinis, ibi ipsa frequentia tanti decoris testis pulcherrima animum exstimulaverunt, nisi impunitatis cupido retinuisset, magnis semper conatibus adversa.

50. Mentre dunque questi lasciavano cadere il discorso, fra loro o in compagnia di amici, sui delitti del principe, sulla prossima fine dell'impero e sulla necessità di scegliere una persona che ristabilisse una situazione così compromessa, si associarono i cavalieri romani Claudio Senecione, Cervario Proculo, Vulcacio Ararico, Giulio Augurino, Munazio Grato, Antonio Natale e Marcio Festo. Fra questi Senecione, poichè, dati i rapporti intimi col principe, continuava a mantenere una facciata di amicizia, era esposto ai rischi maggiori; Natale godeva della piena confidenza di Pisone, gli altri riponevano le loro speranze in un sovvertimento politico. Venne conquistato alla congiura, oltre a Subrio e a Sulpicio, già indicati, il valido appoggio di militari quali Gavio Silvano e Stazio Prossimo, tribuni di coorti pretorie, nonchè i centurioni Massimo Scauro e Veneto Paolo. Ma l'uomo su cui sembravano maggiormente contare era il prefetto Fenio Rufo, oggetto di lodi per la sua vita irreprensibile, ma superato, nella predilezione del principe, grazie alla ferocia e alla immoralità di cui aveva dato prova, da Tigellino, che anzi lo perseguitava con accuse continue e lo aveva allarmato, facendolo passare per amante di Agrippina e smanioso, nel rimpianto di lei, di vendicarla. Quando dunque i congiurati ebbero la certezza, per le sue ripetute dichiarazioni, di averlo dalla loro parte, presero a discutere con maggiore disinvoltura del tempo e del luogo dell'attentato. Si diceva che Subrio Flavo avesse provato l'impulso di assalire Nerone mentre cantava sulla scena o mentre correva nel palazzo in preda alle fiamme, qua e là, di notte e senza scorta. In questo caso l'avrebbe eccitato la fortunata combinazione di essere solo, nell'altro proprio la folla, straordinario testimone di un gesto cos? nobile, ma sempre lo trattenne la preoccupazione dell'impunit?, ostacolo usuale ai generosi propositi.

I congiurati/2: gli equites, il prefetto del pretorio

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Perché la congiura: Senato e esercito• Il circolo di Pisone non era inizialmente sfavorevole a un imperatore che si

era presentato come rispettoso del Senato (discorso di insediamento del 54 d.C.) e si era proposto come protettore delle arti

• La posizione del circolo diventò via via sfavorevole probabilmente dopo il 59, quando Nerone allontanò da sé sia Agrippina, la madre fatta assassinare, sia soprattutto Seneca, che lo aveva spinto verso un atteggiamento di attenzione e collaborazione con la Curia

• La svolta autoritaria del 61 d.C., dopo la quale l’imperatore aveva accentuato l’assolutismo teocratico e il dispotismo a scapito della clementia, aveva alienato molte simpatie al princeps

• Come conseguenza di tale svolta autoritaria, lo spazio politico già notevolmente ridotto del Senato, fu quasi annullato: il Senato era permeato di servilismo verso il princeps, ma non mancavano oppositori che ne sopportavano sempre meno sia la politica, sia gli atteggiamenti e speravano in un cambiamento che passava per la fine dell’esperienza politica neroniana

• Il circolo pisoniano era composto anche di senatori evidentemente intolleranti della situazione

• All’interno dell’esercito e delle coorti pretoriane, lo slittamento di Nerone verso una gestione politica improntata ai costumi orientali e lontana dal mos maiorum, le stravaganze e i delitti erano ormai insopportabili

• Si ipotizza con verosimiglianza che i coinvolti nella congiura fossero una cinquantina

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Come e dove uccidere il princeps ?• Il primo progetto dei congiurati, che volevano affrettarsi per evitare un tradimento, prevedeva l’uccisione di Nerone nella villa di Pisone a Baia, ma Pisone rifiutò «adducendo il malanimo che sarebbe ricaduto su di lui, se si fossero contaminati col sangue la santità della mensa e gli dèi ospitati con l’uccisione di un imperatore, quale che fosse; meglio sopprimerlo a Roma, in quella casa odiata e costruita con le spoglie dei cittadini: in un luogo pubblico sarebbe stato più opportuno compiere quell’impresa che avevano progettato per il bene della repubblica.»

• In realtà sembra che il vero motivo fosse che muoveva Pisone fosse di non apparire come il mandante di un omicidio, cosa che gli avrebbe tolto carisma e rispettabilità e avrebbe accresciuto la stima dell’opinione pubblica più influente verso altri possibili candidati al ruolo di princeps.

• I rivali che più lo inquietavano furono Silano, di nobile stirpe e molto stimato per la sua amicizia con il giureconsulto Cassio; e il console Vestino, «uomo di forte tempra, in grado di rivendicare la libertà»

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Il miglior congiurato è una donna: Epichari.

• Il ruolo della liberta Epichari fu molto importante, anche se costituì la prima crepa della congiura

• Presunta amante del padre di Lucano, essa si distinse per la decisione con la quale cercò di realizzare il progetto della congiura «aggregata alla congiura non si sa come, perché non si era fino allora interessata di problemi di alto e nobile livello, si mise a spronare, anche con rimbrotti, i congiurati; alla fine, nauseata delle loro cautele e trovandosi in Campania, tentò di sobillare e di far aderire alla congiura gli ufficiali superiori della flotta al Miseno.»

• Epichari voleva sfruttare la passione di Nerone per la navigazione, probabilmente per preparare un agguato dalle parti della Campania, coinvolgendo ufficiali della marina militare

• Scelse come anello debole Volusio Proculo, un comandante della flotta che era stato coinvolto nell’omicidio di Agrippina minor, ma ne non ne aveva ricavato nulla, cosa che lo spinse a manifestare la volontà di vendicarsi, sobillata da Epichari.

• Tuttavia Volusio Proculo era deciso a vendicarsi solo a parole: nei fatti informò Nerone che si stava preparando una congiura, ma non conosceva i nomi dei coinvolti perché Epichari non glieli aveva forniti.

• La liberta venne fermata e tenuta in carcere in attesa degli eventi.

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[53] Tandem statuere circensium ludorum die, qui Cereri celebratur, exsequi destinata, quia Caesar rarus egressu domoque aut hortis clausus ad ludicra circi ventitabat promptioresque aditus erant laetitia spectaculi. ordinem insidiis composuerant, ut Lateranus, quasi subsidium rei familiari oraret, deprecabundus et genibus principis accidens prosterneret incautum premeretque, animi validus et corpore ingens; tum iacentem et impeditum tribuni et centuriones et ceterorum ut quisque audentiae habuisset, adcurrerent, trucidarentque, primas sibi partes expostulante Scaevino, qui pugionem templo Salutis [in Etruria] sive, ut alii tradidere, Fortunae Ferentino in oppido detraxerat gestabatque velut magno operi sacrum. interim Piso apud aedem Cereris opperiretur, unde eum praefectus Faenius et ceteri accitum ferrent in castra, comitante Antonia, Claudii Caesaris filia, ad eliciendum vulgi favorem,

53. Stabilirono infine di dare esecuzione al piano nel giorno dei ludi circensi in onore di Cerere,(19 aprile) perché Nerone, che se ne stava rinchiuso, salvo rare uscite, nel Palazzo o nei suoi giardini, frequentava invece gli spettacoli del circo, dove era più facile avvicinarlo nel clima festoso dello spettacolo. L'attentato era previsto secondo questa successione: Laterano, in atto di pregarlo, fingendo una richiesta di aiuto per le sue condizioni economiche, doveva buttarsi alle ginocchia del principe e, coraggioso e aitante com'era, abbatterlo, cogliendolo di sorpresa, e tenerlo fermo; poi, mentre era a terra immobilizzato, i tribuni e i centurioni e chi altri avesse avuto l'ardire, sarebbe accorso a trucidarlo. Chiese per sé un ruolo di primo piano Scevino, che aveva preso un pugnale dal tempio della dea Salute o, secondo un'altra versione, dal tempio della Fortuna nella città di Ferento: pugnale che portava sempre con sé, quasi consacrato ad un grande gesto. Pisone intanto avrebbe atteso presso il tempio di Cerere, da dove il prefetto Fenio e gli altri l'avrebbero preso e portato al campo dei pretoriani, accompagnato da Antonia, figlia di Claudio Cesare, per suscitare le simpatie del popolo..

Il progetto della congiura

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[54] Sed mirum quam inter diversi generis ordines, aetates sexus, dites pauperes taciturnitate omnia cohibita sint, donec proditio coepit e domo Scaevini. qui pridie insidiarum multo sermone cum Antonio Natale, dein regressus domum testamentum obsignavit, promptum vagina pugionem, de quo supra rettuli, vetustate obtusum increpans, asperari saxo et in mucronem ardescere iussit eamque curam liberto Milicho mandavit. (…)Milichum sive gnarum coniurationis et illuc usque fidum, seu nescium et tunc primum arreptis suspicionibus, ut plerique tradidere. de consequentibus [consentitur]. nam cum secum servilis animus praemia perfidiae reptuavit simulque immensa pecunia et potentia obversabantur, cessit fas et salus patroni et acceptae libertatis memoria. (…)

[55] Igitur coepta luce Milichus in hortos Servilianos pergit; et cum foribus arceretur, magna et atrocia adferre dictitans deductusque ab ianitoribus ad libertum Neronis Epaphroditum, mox ab eo ad Neronem, urgens periculum, graves coniuratos et cetera, quae audiverat coniectaverat, docet; telum quoque in necem eius paratum ostendit accirique reum iussit.

54.Sorprende davvero come tra gente disparata per ceto sociale, età e sesso, come tra uomini ricchi e poveri tutto sia stato tenuto in un silenzio totale, finchè il tradimento prese avvio dalla casa di Scevino. Costui, alla vigilia dell'attentato, ebbe un lungo colloquio con Antonio Natale e poi, rientrato a casa, pose i sigilli al proprio testamento; tratto quindi dal fodero il pugnale, di cui si è detto, e constatando, innervosito, che col tempo aveva perso il filo, lo diede da arrotare su una mola, fino a renderne scintillante la punta, assegnando l'incarico al liberto Milico. (…)non si sa se il liberto fosse al corrente della congiura e fino ad allora fedele, o se - e questa è la versione dei più - all'oscuro di tutto, avesse sviluppato allora i primi sospetti. Sui fatti successivi sono tutti d'accordo. Quando infatti, nel suo animo servile, valutò i premi del perfido tradimento e gli balenarono d'innanzi denaro e potenza, svanirono il senso del dovere, il pensiero della sorte del patrono, il ricordo della libertà ricevuta. (…)

La scoperta della congiura: l’ingenuità di Scevino

55. All'alba dunque Milico si diresse agli orti di Servilio. Trovandosi sbarrato il passaggio, insiste nel dire che reca informazioni importanti e terribili finchè i portieri lo conducono dal liberto di Nerone Epafrodito e questi, subito, da Nerone, al quale spiega il pericolo imminente, la serietà della congiura e quant'altro aveva udito e supposto; mostra anche l'arma destinata a ucciderlo e chiede di far venire l'accusato.

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La confessione di Scevino e Natale: spunta il nome di Seneca

• Il liberto menzionò nella sua delazione sia gli incontri tra il suo padrone e Natale, sia l’amicizia che li univa a Pisone

• Natale, costretto a presentarsi a sua volta, venne spaventato dalla visione degli strumenti di tortura e dalle minacce, e offrì una versione dei fatti che non corrispondeva a quella di Scevino, a sua volta terrorizzato dalle minacce. La sperimentata tecnica poliziesca degli interrogatori paralleli aveva dato a Nerone i frutti sperati e addirittura maggiori.

• Natale «confessò per primo il nome di Pisone, poi aggiunse quello di Anneo Seneca», che compare per la prima volta nel racconto di Tacito: era il nome atteso da Nerone, che non aspettava altro che un’accusa grave come quella di congiura per sbarazzarsi del suo scomodo ex precettore e consigliere.

• Scevino, convinto che tutto fosse scoperto e che il silenzio non servisse più, rivelò chi erano gli altri. Fra questi, Lucano, Quinziano e Senecione negarono a lungo; ma poi, corrotti con la promessa dell'impunità, per farsi perdonare il ritardo, Lucano fece il nome della propria madre, Quinziano e Senecione denunciarono i loro amici più cari, rispettivamente Glizio Gallo e Annio Pollione.

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[57] Atque interim Nero recordatus Volusii Proculi indico Epicharin attineri ratusque muliebre corpus impar dolori tormentis dilacerari iubet. at illam non verbera, non ignes, non ira eo acrius torquentium, ne a femina spernerentur, pervicere, quin obiecta denegaret. sic primus quaestionis dies contemptus. postero cum ad eosdem cruciatus retraheretur gestamine sellae (nam dissolutis membris insistere nequibat), vinclo fasciae, quam pectori detraxerat, in modum laquei ad arcum sellae restricto indidit cervicem et corporis pondere conisa tenuem iam spiritum expressit, clariore exemplo libertina mulier in tanta necessitate alienos ac prope ignotos protegendo, cum ingenui et viri et equites Romani senatoresque intacti tormentis carissima suorum quisque pignorum proderent.

57. Intanto Nerone si ricordò di Epichari, trattenuta in carcere dopo la delazione di Volusio Proculo, e, pensando che il corpo di una donna non reggesse alle sofferenze, ordina di straziarla con la tortura. Ma non le sferzate, non i ferri roventi, non l'accanimento dei carnefici esasperati dalla paura di subire uno smacco da una donna, riuscirono a farle ammettere le imputazioni. Così passò, senza nulla di fatto, il primo giorno di interrogatorio. L'indomani, mentre la riportavano alla tortura sopra una lettiga, perchè gli arti slogati non la reggevano, Epichari si tolse una fascia dal seno, la fissò alla volta della lettiga a mo' di cappio, vi introdusse il collo e, lasciandosi andare con tutto il peso del corpo, esalò il debole soffio di vita rimastole: gesto tanto più nobile da parte di una donna, una liberta, la quale, in una situazione così disperata, cercava di salvare persone estranee e a lei quasi sconosciute, mentre uomini nati liberi, dei maschi, cavalieri e senatori romani, non sfiorati dalla tortura, tradivano, ciascuno, le persone più care.

[58] magis magisque pavido Nerone, quamquam multiplicatis excubiis semet saepsisset. quin et urbem per manipulos occupatis moenibus, insesso etiam mari et amne, velut in custodiam dedit. volitabantque per fora, per domos, rura quoque et proxima municipiorum pedites equitesque, permixti Germanis, quibus fidebat princeps quasi externis. continua hinc et vincta agmina trahi ac foribus hortorum adiacere. atque ubi dicendam ad causam introissent, [non stud]ia tantum erga coniuratos, sed fortuitus sermo et subiti occursus, si convivium, si spectaculum simul inissent, pro crimine accipi, cum super Neronis ac Tigellini saevas percunctationes Faenius quoque Rufus violenter urgueret, nondum ab indicibus nominatus et quo fidem inscitiae pararet, atrox adversus socios. 

Mentre col passare del tempo il terrore di Nerone ingigantiva, benchè si fosse trincerato dietro le sue guardie, moltiplicate di numero. E non basta: mise, si può dire, la città stessa in prigione, con le mura occupate da manipoli e col litorale e il fiume tenuti anch'essi sotto controllo. Per le piazze, per le case e anche nelle campagne e nei municipi vicini scorrazzavano fanti e cavalieri, mescolati ai Germani, dei quali il principe, perchè stranieri, si fidava. Era una processione continua di gente trascinata in catene e addossata agli ingressi dei giardini. Una volta introdotti, per lo svolgimento del processo, si vedevano imputare come colpa non solo la simpatia dimostrata verso i congiurati, ma discorsi casuali e fuggevoli incontri, oppure la presenza contemporanea a un banchetto o a uno spettacolo; mentre, oltre agli spietati interrogatori di Nerone e Tigellino, imperversava durissimo anche Fenio Rufo, ancora non nominato dai delatori e implacabile verso i compagni, per dar credito alla sua estraneità.

Il coraggio di Epichari, il terrore di Nerone, Roma «città in prigione»

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[59] Fuere qui prodita coniuratione, dum auditur Milichus, dum dubitat Scaevinus, hortarentur Pisonem pergere in castra aut rostra escendere studiaque militum et populi temptare. si conatibus eius conscii adgregarentur, secuturos etiam integros; magnamque motae rei famam, quae plurimum in novis consiliis valeret. nihil adversum haec Neroni provisum. etaim fortes viros subitis terreri, nedum ille scaenicus, Tigellino scilicet cum paelicibus suis comitante, arma contra cieret. multa experiendo confieri, quae segnibus ardua videantur. frustra silentium et fidem in tot consciorum animis et corporibus sperare: cruciatui aut praemio cuncta pervia esse. venturos qui ipsum quoque vincirent, postremo indigna nece adficerent. quanto laudabilius periturum, dum amplectitur rem publicam, dum auxilia libertati invocat! miles potius deesset et plebes desereret, dum ipse maioribus, dum posteris, si vita praeriperetur, mortem adprobaret. immotus his et paululum in publico versatus, post domi secretus animum adversum suprema firmabat, donec manus militum adveniret, quos Nero tirones aut stipendiis recentes delegerat: nam vetus miles timebatur tamquam favore imbutus. obiit abruptis brachiorum venis. testamentum foedis adversus Neronem adulationibus amori uxoris dedit, quam degenerem et sola corporis forma commendatam amici matrimonio abstulerat. nomen mulieri Satria Galla, priori marito Domitius Silus: hic patientia, illa impudica Pisonis infamiam propagavere.

59. Vi furono alcuni che, scoperta la congiura, mentre Milico era ascoltato e Scevino vacillava, esortarono Pisone a raggiungere il campo dei pretoriani o a salire sui rostri e saggiare gli umori dei soldati e del popolo. Se in questo tentativo - dicevano - fosse accompagnato dai complici, l'avrebbero seguito anche gli estranei e l'eco dell'iniziativa sarebbe stato grande, fatto di rilevanza fondamentale in occasione di rivolgimenti politici. Di fronte a ciò Nerone era impreparato. Anche gli uomini risoluti si smarriscono di fronte all'imprevisto: tanto meno avrebbe saputo dare una risposta con le armi quell'istrione, accompagnato, come ovvio, da Tigellino e dalle sue amanti. Alla prova dei fatti - argomentavano - si rivelano attuabili molte cose che ai pavidi sembrano ardue. Era vano sperare silenzio e fedeltà, contando sulla resistenza fisica e morale di tanti complici: le torture o le ricompense aprono la strada a tutto. Sarebbero venuti ad arrestare anche lui, per poi infliggergli una morte disonorevole. Quanto più glorioso invece cadere, in un gesto di dedizione per lo stato, chiamando a lottare per la libertà! E potevano anche non seguirlo i soldati e il popolo, purchè lui nobilitasse la sua morte, se gli strappavano la vita, dinnanzi agli antenati e agli occhi dei posteri. Queste parole non lo scossero; si fece vedere poco in pubblico e poi si chiuse in casa a preparare l'animo alla prova suprema; giunse infine un gruppo di soldati, che Nerone aveva scelto tra le reclute e tra quelli con poco servizio: non si fidava infatti dei veterani, temendone le simpatie per Pisone. Questi mor?, tagliandosi le vene delle braccia. Lasci? un testamento contenente basse adulazioni verso Nerone, e ci? per amore della moglie, una donna non nobile, pregevole solo per la bellezza, che aveva tolto al matrimonio di un amico. Si chiamava Satria Galla, e Domizio Silo il primo marito: questi con la condiscendenza, quella con l'impudicizia macchiarono per sempre il nome di Pisone.

La fine ingloriosa del princeps mancato

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La congiura pisoniana

Il mistero di Seneca:congiurato, vittima o entrambi ?

• Nerone approfittò machiavellianamente di una circostanza potenzialmente molto sfavorevole, una congiura contro di lui, e la trasformò nell’occasione per eliminare tutta quella parte di aristocrazia senatoriale di cui sospettava da tempo.

• La morte più illustre fu quella di Seneca, l’ex precettore e consigliere, che Nerone intendeva eliminare a causa della sua conoscenza dei segreti più abbietti del princeps, tra cui le vere circostanze della morte di Agrippina.

• «La morte di Anneo Seneca, [era graditissima] al principe: non che fosse provata la sua connivenza coi congiurati, ma Nerone era ansioso, dopo l'insuccesso del veleno, di rivolgergli contro un'arma. Il suo nome, in realtà, l'aveva fatto il solo Natale, limitandosi a dire di essere stato mandato per far visita a Seneca indisposto e per esprimergli il rammarico che non volesse ricevere Pisone, e a formulargli invece la proposta di ravvivare l'amicizia con un incontro privato; la risposta di Seneca era stata che lo scambio di idee in colloqui frequenti non serviva a nessuno dei due, mentre d'altra parte la sua salvezza si basava sull'incolumità di Pisone» (Tac.,Ann, LXI)

• Il princeps gli ordinò di suicidarsi, una morte considerata più onorevole rispetto a quella più vile da incarcerato e anche in linea con i principi dello stoicismo

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La morte di Seneca, «alter Cato»

[62] Ille interritus poscit testamenti tabulas; ac denegante centurione conversus ad amicos, quando meritis eorum referre gratiam prohoberetur, quod unum iam et tamen pulcherrimum habeat, imaginem vitae suae relinquere testatur, cuius si memores essent, bonarum artium famam tam constantis amicitiae [pretium] laturos. simul lacrimas eorum modo sermone, modo intentior in modum coercentis ad firmitudinem revocat, rogitans ubi praecepta sapientiae, ubi tot per annos meditata ratio adversum imminentia? cui enim ignaram fuisse saevitiam Neronis? neque aliud superesse post matrem fratremque interfectos, quam ut educatoris praeceptorisque necem adiceret.

62. Senza scomporsi Seneca chiede le tavole del testamento; di fronte al rifiuto del centurione, rivolto agli amici, dichiara che, poiché gli si impediva di dimostrare a essi la propria gratitudine come meritavano, lasciava loro l'unico bene che possedeva, che era anche il più bello, l'immagine della propria vita, della quale, se avessero conservato ricordo, avrebbero raggiunto la gloria di una condotta onesta e di un'amicizia incontaminata. Frena intanto le loro lacrime, ora con le parole ora, con maggiore energia, in tono autorevole, richiamandoli alla fermezza e chiedendo dove mai fossero gli insegnamenti della filosofia, dove la consapevolezza della ragione, affinata in tanti anni, contro i mali incombenti. Tutti ben conoscevano infatti la crudeltà di Nerone. Al quale non restava altro, dopo l'uccisione della madre e del fratello, che di ordinare anche l'assassinio del suo educatore e maestro.

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La morte per delazione del «pezzo grosso» Fenio Rufo

[66] Ceterum militaris quoque conspiratio non ultra fefellit, accensis [quoque] indicibus ad prodendum Faenium Rufum, quem eundem conscium et inquisitorem non tolerabant. ergo instanti minitantique renidens Scaevinus neminem ait plura scire quam ipsum, hortaturque ultro redderet tam bono principi vicem. non vox adversum ea Faenio, non silentium, sed verba sua praepediens et pavoris manifestus, ceterisque ac maxime Cervario Proculo equite Romano ad convincendum eum conisis, iussu imperatoris a Cassio milite, qui ob insigne corporis robur adstabat, corripitur vinciturque

66. Peraltro, anche la congiura dei militari non rimase più a lungo nascosta, perché chi parlava si sentiva sollecitato a fare il nome di Fenio Rufo, non tollerando il suo doppio ruolo di congiurato e di inquisitore. Perciò, di fronte alle sue pressioni e alle sue minacce, ecco Scevino dichiarare, sogghignando, che nessuno ne sapeva più di lui, e lo invita a dimostrare la sua gratitudine a un principe così buono. A tali parole Fenio non seppe né ribattere né tacere, ma si mise a balbettare qualcosa, tradendo lo sgomento, sicché gli altri, e in particolare il cavaliere romano Cervario Proculo, si impegnarono a fondo per indurlo a confessare, fino a che, per ordine dell'imperatore, fu preso e messo in catene dal soldato Cassio che, per l'eccezionale forza fisica, Nerone si teneva al fianco.

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Le verità scomode dette a Nerone da soldati giustiziati

[67] (Subrius Flavus) interrogatusque a Nerone, quibus causis ad oblivionem sacramenti processisset, "oderam te," inquit. "nec quisquam tibi fidelior militum fuit, dum amari meruisti: odisse coepi, postquam parricida matris et uxoris, auriga et histrio et incendiarius extitisti." ipsa rettuli verba, quia non, ut Senecae, vulgata erant, nec minus nosci decebat militaris viri sensus incomptos et validos. nihil in illa coniuratione gravius auribus Neronis accidisse constitit, qui ut faciendis sceleribus promptus, ita audiendi quae faceret insolens erat.

[67]interrogato da Nerone per quali ragioni avesse potuto dimenticare il giuramento prestato, rispose: «Ti odiavo. Nessun soldato ti è stato fedele più di me, finché hai meritato di essere amato. Ho cominciato a odiarti da quando sei diventato assassino di tua madre e di tua moglie e auriga e istrione e incendiario.» Ho riferito testualmente le parole, perché, a differenza di quelle di Seneca, non sono state rese note, ed era altrettanto giusto che si conoscessero i sentimenti rudi ma forti di un soldato. Non risulta che, in quella congiura, abbiano dovuto ascoltare nulla di più pesante le orecchie di Nerone, il quale, se era pronto a commettere crimini, non era abituato a sentirsi imputare i gesti compiuti.

[68] Proximum constantiae exemplum Sulpicius Asper centurio praebuit, percunctanti Neroni, cur in caedam suam conspiravisset, breviter respondens non aliter tot flagitiis eius subveniri potuisse. tum iussam poenam subiit. nec ceteri centuriones in perpetiendis suppliciis degeneravere: at non Faenio Rufo par animus, sed lamentationes suas etiam in testamentum contulit

68. Un esempio di fermezza, vicinissimo a questo, lo offrì, subito dopo, il centurione Sulpicio Aspro, che a Nerone, il quale voleva sapere perchè avesse cospirato contro la sua vita, rispose secco che era l'unico modo per porre rimedio alle sue infamie. Poi affrontò la pena inflittagli. Anche gli altri centurioni si mostrarono forti davanti al supplizio; ma eguale coraggio non ebbe Fenio Rufo, che riversò i suoi lamenti anche nel testamento. 

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La congiura pisoniana

Le ultime esecuzioni• Nerone finì di eliminare gli ultimi avversari politici e personali,

vendicandosi di quelli che per motivi vari erano per lui insopportabili.• Odiava Vestino, il console che anche Pisone temeva per la stima da

cui era circondato: «L'odio di Nerone verso di lui aveva avuto origine proprio da un'intima frequentazione, perché Vestino disprezzava la viltà del principe a lui ben nota e Nerone temeva la fierezza dell'amico, sentendosi spesso preso di mira dai suoi aspri sarcasmi, che, se fondati sul vero, lasciano il segno. S'era poi aggiunto un motivo recente: Vestino aveva legato a sé in matrimonio Statilia Messalina, pur sapendo che tra i suoi amanti c'era anche Cesare.» Vestino fu costretto a suicidarsi, ma, a differenza di Seneca, non disse nemmeno una parola

• L’ex amico Lucano fu a sua volta costretto a uccidersi, nonostante gli fosse stata promessa l’impunità in cambio di delazioni sui compagni di congiura. Stessa sorte per Scevino e Quinziano e Senecione

• «Comanda, poi, la morte di Anneo Lucano. E allorchè costui, mentre il sangue usciva dalle vene, sentì che i piedi e le mani si facevano freddi e lo spirito vitale se ne andava poco a poco dalle estremità, ma la mente restava ancora lucida e pulsava vitale il cuore, si rammentò dei versi che aveva composto, nei quali aveva descritto un soldato ferito che moriva nello stesso modo; li volle recitare e furono le sue ultime parole. Perirono poi Senecione e Quinziano e Scevino, smentendo le precedenti mollezze della loro vita; in seguito morirono gli altri congiurati, senza fare o dire nulla che meriti ricordo.

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Nerone omaggia chi l’ha aiutato: anche il futuro imperatore Nerva

[71] Sed compleri interim urbs funeribus, Capitoliam victimis; alius filio, fratre alius aut propinquo aut amico interfectis, agere grates dies, ornare lauru domum, genua ipsius advolvi et dextram osculis fatigare. atque ille gaudium id credens Antonii Natalis et Cervarii Proculi festinata indicia impunitate remuneratur. Milichus praemiis ditatus conservatoris sibi nomen Graeco eius rei vocabulo adsumpsit.

[72] Quibus perpetratis Nero et contione militum habita bina nummum milia viritim manipularibus divisit addiditque sine pretio frumentum. quo ante ex modo annonae utebantur. tum quasi gesta bello expositurus, vocat senatum et triumphale decus Petronio Turpi[li]ano consulari, Cocceio Nervae praetori designato, Tigellino praefecto praetorii tribuit, Tigellinum et Nervam ita extollens, ut super triumphales in foro imagines apud Palatium quoque effigies eorum sisteret. consularia insignia Nymphidio

[71]Piena intanto la città di funerali e il Campidoglio di vittime: chi aveva avuto ucciso il figlio o il fratello o un parente o un amico, eccolo rendere grazie agli dei, ornare la casa di alloro, gettarsi alle ginocchia di Cesare e coprirgli la destra di baci. Ed egli, credendoli segni di gioia, premia con l'impunità le sollecite delazioni di Antonio Natale e Cervario Proculo. Milico, reso ricco dalle ricompense, assunse, nella forma greca del vocabolo, il nome di «Salvatore». 

72. Perpetrato tutto ciò, Nerone, adunati i pretoriani, distribuì a ciascuno duemila sesterzi e in aggiunta diede loro, gratuito, quel frumento che prima pagavano a prezzo di mercato. Poi, quasi dovesse riferire su imprese militari, convoca il senato e conferisce l'onore del trionfo all'ex console Petronio Turpiliano, al pretore designato Cocceio Nerva e al prefetto del pretorio Tigellino, esaltando gli ultimi due al punto da far collocare, oltre alle immagini trionfali nel foro, anche le loro statue nel palazzo imperiale. Le insegne consolari furono attribuite a Ninfidio.

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Nerone cerca di raccontare la vicenda a modo suo… ma una congiura ci fu

[73] Sed Nero [vocato senatu], oratione inter patres habita, edictum apud populum et conlata in libros indicia confessionesque damnatorum adiunxit. etenim crebro vulgi rumore lacerabatur, tamquam viros [claros] et insontes ob invidiam aut metum extinxisset. ceterum coeptam adultamque et revictam coniurationem neque tunc dubitavere, quibus verum noscendi cura erat, et fatentur, qui post interitum Neronis in urbem regressi sunt. at in senatu cunctis, ut cuique plurimum maeroris, in adulationem demissis, Iunium Gallionem, Senecae fratris morte pavidum et pro sua incolumitate supplicem, increpuit Salienus Clemens, hostem et parricidam vocans, donec consensu patrum deterritus est, ne publicis malis abuti ad occasionem privati odii videretur, neu compostia aut obliterata mansuetudine principis novam ad saevitiam retraheret.

73. Tornando a Nerone, questi, convocato il senato e tenutovi un discorso, fece seguire un editto al popolo e presentò la raccolta, in vari volumi, delle denunce e delle confessioni degli accusati. Nerone era infatti oggetto di aspri e frequenti attacchi da parte della gente, che lo riteneva responsabile, per gelosia e paura, della morte arrecata a personalità illustri e innocenti. D'altra parte chi s'era dato cura di gettar luce sugli avvenimenti, non ha avuto allora dubbi sul fatto che una congiura si fosse delineata, poi sviluppata e quindi repressa, e del resto la attestano quanti sono rientrati a Roma dopo la morte di Nerone. In senato intanto, dove tutti si abbassavano all'adulazione - e peggio chi più duramente aveva visto colpiti i propri cari - Salieno Clemente aggredì Giunio Gallione, impaurito per la morte del fratello Seneca e implorante salvezza per sé, chiamandolo nemico della patria e parricida, finchè non fu messo a tacere dalla reazione unanime dei senatori, che lo ammonivano a non dare l'impressione che stesse sfruttando i pubblici mali per sfogare rancori personali, e a non lasciare spazio a nuove crudelt? del principe, riaprendo vicende ormai chiuse o dimenticate dalla sua clemenza.

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La congiura pisoniana

Bilancio e conclusioni sulla «congiura dei Pisoni»• Come afferma Tacito, non c’è dubbio che una congiura ci fu e si trattò

di un evento molto pericoloso per Nerone, vista l’ampio numero di persone coinvolte e, cosa per lui ancora più preoccupante, fu trasversale nella partecipazione: senatori, militari, anche della sua guardia personale, aristocratici e uomini politici di primo livello

• In essa si mescolavano: ostilità politica non tanto verso l’impero, ma contro chi lo deteneva; e motivazioni di rivalsa personale

• Punti deboli della congiura: • da una parte l’ampiezza della partecipazione e l’eterogeneità delle

motivazioni, elementi che tolsero compattezza all’azione e la esposero alle rivelazioni e ai tradimenti, specie da parte dei meno forti e decisi

• Dall’altra la scelta di Pisone come futuro imperatore: un uomo che godeva di popolarità e stima in ogni ambiente sociale e politico, ma non dotato né della necessaria risolutezza, né della fondamentale capacità di leadership. Inoltre, almeno da quanto ci racconta Tacito, esistevano fin troppi punti di contatto tra il princeps in carica e colui che avrebbe voluto sostituirlo al potere.

• Per quanto riguarda Nerone• 1. la vicenda fu per lui molto destabilizzante, tanto è vero che la sua

reazione fu violentissima (il numero dei morti fu altissimo, così come numerosi furono gli esiliati), tanto da mettere Roma in una specie di stato d’assedio

• 2. fu abile nel trasformare un rischio nell’occasione di compiere una sorta di repulisti che andò anche al di là dei congiurati: si liberò di tutti quelli che ai suoi occhi per carisma e personalità potevano essere suoi «sostituti» al potere. In questo trovò aiuti e sostegni da persone che per opportunismo preferirono la sicurezza del potere presente rispetto alle incertezze di un nuovo principato