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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Dicembre 2006 Paper numero 59 Arnaldo CANZIANI - Renato CAMODECA IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO 1971-2005 NELL’APPREZZAMENTO ECONOMICO-AZIENDALE

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2006

Paper numero 59

Arnaldo CANZIANI - Renato CAMODECA

IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO1971-2005

NELL’APPREZZAMENTOECONOMICO-AZIENDALE

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO 1971-2005

NELL'APPREZZAMENTO ECONOMICO-AZIENDALE

di

Arnaldo CANZIANI Ordinario di Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia

Renato CAMODECA Associato di Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia

Versione ampliata della Comunicazione presentata al Convegno “Teorie e qualità dell'amministrazione pubblica”

Cagliari, 12 e 13 maggio 2006

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Gasan ammaestrava un giorno i suoi discepoli: «Quelli che condannano l'assassinio,

e desiderano proteggere la vita di tutti gli essere consapevoli, sono nella verità:

è giusto salvaguardare anche gli animali e gli insetti. Ma che dire delle persone che ammazzano il tempo?

Che dire di coloro che distruggono la ricchezza, di chi rovina l'economia pubblica?

Non dovremmo tollerarli.»

(101 Zen Stories)

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Indice

Prefazione....................................................................................................... 1

1. I deficit del bilancio dello Stato fra spese belliche e finti keynesismi ....... 2

2. Disavanzi di bilancio e debito pubblico: natura ragioneristica, significato economico, profili interpretativi............................................. 10

3. Debito pubblico e deficit in prospettiva dinamica: il caso italiano 1971 - 2005 .............................................................................................. 24

4. Alcuni problemi della finanza pubblica italiana ...................................... 29

5. Conclusioni .............................................................................................. 34

BIBLIOGRAFIA ......................................................................................... 35

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Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale

Prefazione*

Agli inizî degli anni Ottanta del secolo XX si ritenevano la base monetaria e il debito pubblico dello Stato italiano essere già tanto drammaticamente cresciuti —a causa dei deficit di bilancio— da originarsene un ampio dibattito in sede accademica, almeno fra gli economisti consci del problema e dunque preoccupati dello stesso anche in quanto filosofi sociali (Franco, 1981, 1983; Demaria, 1982).

Se quel dibattito si estinse rapidamente negli sraffian-keynesismi (e marxismi) all'epoca imperanti, i deficit di bilancio non cessarono tuttavia di cumularsi, e con essi il debito pubblico particolarmente dopo il 1980.

Questo, ormai dal 1991 superiore al 100% del prodotto interno lordo, è giunto nel marzo 2006 all'importo di 1.556.993 milioni di euro, in lire 3.014.758.836.000.000: che Luigi Einaudi si riferisse a fenomeniche consimili quando parlava di "valori impronunciabili"?

Il problema quindi, se costituiva "problema" or è vent'anni, pare non aver perso la propria attualità, e della gravità è inutile dire; peraltro —tranne eccezioni— nella generale trascuranza degli studiosi italiani, vuoi indifferenti al problema vuoi consci della ardua risolubilità attuale del medesimo.

Nondimeno, pare ai co-autori che la trattazione medesima del tema —si tratti poi di politiche economiche, di bilancio di previsione nei suoi effetti anche sociali, di misure di finanza straordinaria— richieda in via previa alcune puntualizzazioni, rispettivamente relative:

1. alla natura sistematicamente economico-aziendale dei processi delle aziende pubbliche — il che può sembrare scontato, ma non certo per gli Autori che usualmente trattano il tema, e lo trattano appunto in forme astrattamente, modellisticamente macro-economiche;

2. alla natura delle quantità economiche rilevanti in tema, natura esclusivamente e perennemente ragioneristica, la quale sola consente successivamente l'eventuale composizione in equazioni di sistema

* I contenuti del presente lavoro sono frutto di riflessioni dibattute fra gli autori, e

condivise. Per quanto riguarda la stesura, sono attribuibili ad Arnaldo Canziani i §§ 1. e 4, a Renato Camodeca i §§ 2. e 3., mentre sono comuni Prefazione e Conclusioni.

Una versione è stata presentata al convegno di <Azienda Pubblica> 2006 Teorie e qualità dell'amministrazione pubblica (Cagliari, 12-13 maggio 2006) e accolta negli Atti del medesimo, mentre una più ridotta è stata pubblicata nella rivista "Azienda Pubblica", n. 6-2006.

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comunque realistiche, né di ipotesi o di convenzione come nelle modellistiche keynesiane (e derivate).

A tali problemi —prima di eventualmente procedere nel campo— sono dedicate le pagine che seguono.

Brescia, dicembre 2006 gli autori

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1. I deficit del bilancio dello Stato fra spese belliche e finti keynesismi

Storicamente, e in particolare poi dal secolo XIX, il deficit del bilancio dello Stato —ancorché noto, e non di rado sperimentato— non era tuttavia favorevolmente percepito dalle mentalità singole e collettive. Esso veniva ricondotto, a parte le guerre, a fatti speciali o eccezionali e comunque transitorî, dunque da risolversi con provvedimenti adeguati in breve volgere d'anni anche per via degli effetti negativi che —in regimi di parità aurea— esso avrebbe potuto nel tempo manifestare.

E per restare all'Italia nei suoi primi ottant'anni di Unità (cfr. Tab 1.), si erano chiusi in deficit i bilanci 1862-1874, in conseguenza dei costi dell'unificazione; erano stati riportati all'avanzo nel 1875-1885 anche grazie ahinoi alla tassa sul macinato; erano tornati in deficit nel 1885-1897 sotto i governi della sinistra ma in concomitanza prima con la nostra ritardata rivoluzione industriale, poi con gli scandali della Banca Romana. Nuovamente in attivo nel 1898-1911, quando —forse non per combinazione— la lira-carta faceva aggio sulla lira-oro, il bilancio dello Stato italiano torna in perdita con la guerra di Libia e, quasi senza soluzione di continuità, con il primo conflitto mondiale e i torbidi ad esso conseguenti (1912-1924). Riportato in avanzo nel periodo 1925-1930 (Volpi di Misurata, Finanza fascista), esso torna al deficit con gli esiti europei della crisi del 1929 e la crisi finale delle grandi banche-miste, con la guerra d'Etiopia e il finanziamento dell'Impero, infine con l'ingresso dell'Italia nel II conflitto mondiale.

Viceversa, è soltanto con i primi anni '60 del secolo XX —quando cominciano a tramontare le generazioni e le mentalità classiche, quando si inizia il processo di disgregazione delle moralità singole e collettive— che possono diffondersi le vulgatae keynesiane modellate da Hicks in Gran Bretagna ed Europa, da Hansen negli Stati Uniti d'America. Si diffonde così il verbo magico del deficit spending, però proposto ed esteso a biografie economiche ben difformi rispetto alla crisi del 1929.

Si iniziano così da quegli anni politiche iterate e continuative —poi veri processi sistematici— di deficit spending, variamente giustificati dal punto di vista ideologico con finalismi produttivi, equilibrativi, redistributivi, di stimolo, di sussidiarietà, di sviluppo, di <pieno impiego> (et al.) generalmente riferibili a <socialità>, se non ben definite nei proprî effetti primi e secondi, comunque ben chiare nei loro esiti immediati e nelle volontà politiche che li promuovevano.

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Tabella 1 – Avanzi e disavanzi del bilancio pubblico 1862 - 19421

Anni Avanzi Anni Avanzi Anni Avanzi Anni Avanzi Anni Avanzi

(Disavanzi) (Disavanzi) (Disavanzi) (Disavanzi) (Disavanzi) 1862 -446 1879 43 1896 -9 1913 -257 1930 170 1863 -382 1880 28 1897 9 1914 -164 1931 -501 1864 -367 1881 53 1898 32 1915 -2.835 1932 -3.867 1865 -270 1882 6 1899 38 1916 -6.891 1933 -3.519 1866 -721 1883 3 1900 69 1917 -12.250 1934 -6.377 1867 -214 1884 5 1901 64 1918 -17.766 1935 -2.030 1868 -266 1885 -24 1902 99 1919 -22.776 1936 -12.686 1869 -149 1886 -8 1903 99 1920 -7.886 1937 -16.230 1870 -215 1887 -73 1904 59 1921 -17.409 1938 -11.174 1871 -47 1888 -235 1905 75 1922 -15.760 1939 -12.277 1872 -84 1889 -74 1906 86 1923 -3.029 1940 -28.039 1873 -89 1890 -77 1907 98 1924 -418 1941 -63.989 1874 -13 1891 -43 1908 62 1925 417 1942 -77.346 1875 14 1892 -19 1909 35 1926 468 1876 21 1893 -99 1910 32 1927 436 1877 35 1894 -30 1911 11 1928 497 1878 16 1895 -66 1912 -112 1929 555

Fonte: A. Confalonieri,G. Gatti, 1986, pp. varie Dall'inizio degli anni Sessanta del secolo XX sono dunque le ideologie

politiche a pervadere anche ambiti naturalmente o strettamente tecnici. Per quanto riguarda la finanza pubblica, esse invadono in particolare i profili relativi i) ai deficit di bilancio, ii) al finanziamento degli stessi con imposte, circolazione o debito, iii) agli effetti delle prime —e dell'ultimo nelle sue varie forme— sulle economie individuali e collettive.

In tema di amministrazione dello Stato si manifestava quindi il diffondersi sulfureo non solo di noti errori keynesiani ormai a un ventennio dalla loro comparsa —fra essi la rilevanza esclusivamente presente del debito—, ma anche di keynesismi, se eterocliti, tuttavia tutti concordi nel concedere, postulare, suggerire nei fatti l'opportunità di chiudere bilancî in

1 I saldi sono riferiti al bilancio di competenza; sono considerati i) gli anni solari

dal 1862 al 1883, ii) gli <esercizi finanziari> (1 luglio – 30 giugno) a muovere dal 1884.

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deficit, e di finanziarli sia moneta, sia soprattutto con emissioni crescenti di titoli del debito pubblico.

Tali teorie —piuttosto irrazionali non solo per De Maistre e Solaro della Margherita ma anche per gli economisti continentali classici— risultavano peraltro ben gradite alle classi politiche, le quali vi trovavano la giustificazione —certo solo formale, né importa qui se colposa o dolosa— per comportamenti economicamente avventurosi, ma in compenso fruttuosi di temporanea contentezza sociale, e soprattutto di favori elettorali anche continuati e cospicui.

Certo, il debito pubblico continuamente cresceva, ma il di lui incombere pareva lontano o allontanabile, mentre —dello stesso— i) i redditi periodici felicitavano grandi e piccoli rentiers, ii) gli importi assoluti favorivano negoziatori sistematici e addirittura specializzati, iii) i costi parevano via via magicamente riassorbiti nel vasto rigiro di partite del bilancio dello Stato.

E quando nel tempo il crescere già significativo dei disavanzi e dello stock del debito diffusero un senso di dubbio non fosse che sensitivo, l'uno e l'altro non indussero però il ritorno ai principî classici della finanza pubblica dei secoli XIX-XX, in particolare tedesca e italiana da Sax a Wagner, da Federico Flora a Marco Fanno. Anzi, essi curiosamente contribuirono a portare in auge teorie denominate lato sensu <new classical macroeconomics> le quali, invece di risultare risolutive, avallarono esse pure — in altro senso— il procrastinamento quando non l'ulteriore degrado delle patologie ricordate.

I principî classici della finanza avrebbero infatti imposto tutt'altro. Breviter data la loro notorietà, essi —una volta commisurata la spesa alla capacità tributaria di medio periodo, ed evitato l'eccesso di circolazione in quanto inflazionista e doloso— statuivano che:

1. si potesse emettere debito fluttuante ma per mere esigenze di cassa; 2. debito ampio e largo, non fluttuante, potesse venire emesso solo per

esigenze straordinarie da limitarsi nel tempo; 3. le emissioni dovessero accompagnarsi a imposte straordinarie (o

anticiparle); 4. il debito dovesse poi venire rapidamente ammortizzato; 5. l'indebitamento dovesse risultare dunque relativo a spese, se talora

purtroppo funzionali alle guerre, però deontologicamente connesse a investimenti in conto capitale produttivi a propria volta di redditi categorici originali (i.e. incrementali).

Tali principî, quand'anche interpretati meno rigidamente, non convenivano certo alle classi politiche per ovvî, intuibili motivi, né convenivano —per speculari motivi altrettanto intuibili— vuoi a soggetti

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attratti da facili banchetti immediati, vuoi agli economisti professionali alla ricerca di pubbliche prebende. E poi, suvvia, quei principî classici erano troppo banali, vieux-jeu, ragioneristici: li si tacciò così di elementari, meccanici, limitati e obsoleti, tanto inadeguati alle nuove funzioni degli Stati quanto ignari dei sofisticati sviluppi disciplinari contemporanei.

La <nuova macroeconomia classica> preferì dunque:

• ricostruire il teorema di Ricardo sull'equivalenza fra debito e imposte, • costruire su questo il teorema della neutralità,

dando così spazio —nei fatti— a (ulteriori) politiche cumulate di deficit-debito.

Il teorema di Ricardo —che il medesimo Ricardo riteneva non-operante

nella realtà— sostiene l'equivalenza logica fra imposte e debiti ai fini della copertura del deficit.

Posti i seguenti a priori:

1. gli individui sono immortali, 2. vi è transitività totale fra i fruitori dell'extra-spesa statale e i detentori

dei titoli del debito dello Stato,

esso conclude che "debt financing and tax financing may exert equivalent effects".

Sulla base del teorema di Ricardo, Barro —ma stava effettuando

proposte alla classe politica? o la stava invece minacciando?— sostenne quanto segue:

1. poiché, come dimostrato dal teorema di Ricardo, le imposte risultano equivalenti all'indebitamento a parte la distribuzione temporale,

2. se il tasso di crescita del debito non è maggiore del tasso di crescita dell'economia,

3. se l’imposizione è una tantum; 4. se i mercati sono perfetti, 5. poiché ogni deficit finanziato con nuovo indebitamento comporterà

incrementi futuri di imposta, 6. poiché gli individui prevedono tale futuro incremento, sono per

carattere <altruisti inter-generazionali> integrali dunque pensosi della propria discendenza, e quindi riducono i consumi e aumentano il risparmio oggi (t0) per far fronte ai pagamenti dello Stato domani (tn+1),

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7. poiché i trasferimenti sono efficienti, cioè i prenditori della spesa in deficit la risparmiano, e con questi risparmî acquistano i titoli che la finanziano,

8. poiché dunque il moltiplicatore non opera, la domanda di moneta è invariata, e i saggi di interesse pure,

dunque gli effetti sulla spesa per consumi e investimenti sono identici in ambedue i casi —indifferenza, neutralità—, sia si impongano imposte sia ci si indebiti (Barro 1974, 1976, 1979).

Quella ri-proposizione ricardiana e questa estensione di Barro in fondo

legittimarono i comportamenti corrivi delle amministrazioni pubbliche, le quali in alcuni casi iterarono i proprî comportamenti spenderecci senza neppure il bisogno di imporre imposte, ma stampando quantità apparentemente senza fine di titoli del debito pubblico "con effetti equivalenti alle imposte".

Sta così di fatto che, dai medesimi anni '60 citati, la classe politica al governo nella gran parte degli Stati, persa la constraining influence delle teorie classiche, prese a chiudere sistematicamente i bilanci con disavanzi, ricorrendo così alla circolazione e al (perenne?) finanziamento in debito anche per finanziare spesa corrente.

La spiegazione, avrebbe detto Schumpeter, è —dato il tema—, congiuntamente economica e politica, né per combinazione così ci ammaestra J.M.Buchanan (Nobel 1986) dal Palgrave2:

"Public Debt is a topic in political economy in which the level of

understanding experienced serious retrogression over the course of the middle decades of the 20th century. Policy-motivated macroeconomic confusion generated political spillovers that remained in the 1980s. Economists seemed unable to contribute to clarification in analysis.

The classical analysis, out of which emerged precepts that offered simple guidelines for governmental fiscal authorities, no longer commanded widespread support, either among political economists or among politicians.

Governments in the 1980s were observed to be financing sizeable shares of their public consumption outlays by interest-bearing debt. The simple logic of compoud interests guaranteed that the budgetary regimes observed in the 1980s were not sustainable.

Public debt, as a revenue-raising instrument, has an appropriate and well-defined use as a means of allowing governments to alter the time streams of payments for extraordinary outlays.".

2 THE NEW PALGRAVE. A DICTIONARY OF ECONOMICS, London, Macmillan

— New York, Stockton — Tokyo, Maruzen, 1987, vol. III, pp. 1044-1047 (da p. 1047)

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Ne nacquero, a conferma, la teoria del <ciclo politico della spesa>, teoria recentemente specificata fino a dimostrare su basi empiriche la manipolazione elettoralistica del debito nelle democrazie sviluppate3.

Tale sistematica —non-patologica solo per keynesiani, barriani e altri—,

equivale in realtà a distruzione di ricchezza nazionale, in tutti i casi in cui si finanzino spese pubbliche non produttive di redditi categorici aggiuntivi (poco importando dunque, a tal fine, che si tratti di distruzioni belliche, o di lavori pubblici dannosi, o inutili, o addirittura di spesa corrente), per via:

1. del carico di interessi passivi susseguenti (il c.d. servizio del debito); 2. delle cessioni patrimoniali —o delle nuove imposte— necessarie

per finanziare successivamente i rimborsi; 3. per lo spiazzamento (crowding out) che esso produce rispetto al

risparmio-investimento privati; 4. per gli ulteriori problemi finanziarî, monetarî e valutarî che il debito

medesimo induce in quanto collocato sull'estero; 5. dunque per i minori redditi categorici futuri (id. per il minore il

valore attuale scontato dei redditi futuri).

(Ne vi sarebbe differenza sistematica —se non di tempi e di modi— ove i rimborsi successivi del debito venissero effettuati monetizzandolo, dunque creando inflazione cartacea prima, di prezzi poi. Possono sostenere il contrario solo macro-economisti non ancora cogniti oggi delle (iper)inflazioni successive al 1915, da Weimar al Sud-America.)

I problemi da studiare sono in realtà differenti. Il bilancio dello Stato,

infatti, va apprezzato come qualsivoglia altro bilancio sia nel succedersi degli esercizî, sia nel vario comporsi di classi di valori che adducono al risultato finale, e inoltre nel plesso interattivo costituito da componenti positive e negative (il termine "deficit da finanziare" è dunque una variabile, e può comparire come dato solo nei modelli econometrici). Non solo quindi il disavanzo rileva, ma prima ancora la politica delle entrate e la qualificazione della spesa pubblica: che esso dunque —transeunte, o viceversa ripetuto, continuato, crescente— derivi da pressione tributaria carente, o da eccesso di spese; che si ecceda in politiche di investimenti pubblici, o in spesa corrente; che le uscite all'uno e all'altro titolo siano responsabilmente orientate all'incivilimento collettivo, o viceversa motivate da più opportunistici fattori causali.

3 R.J. FRANZESE, Electoral and Partisan Manipulation of Public Debt in Developed

Democracies, 1956-1990, Michigan University Paper, 1999

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Gli effetti del disavanzo pubblico dipendono d'altra parte —congiuntamente— e dalla natura del medesimo e dai mezzi prescelti a <copertura>. Non risulta infatti neutrale la preferenza assegnata nel tempo alla circolazione eccedente o all'incremento del debito pubblico, con più rapidi effetti inflattivi nel primo caso, con dinamiche più rallentate —ma talora cumulate e crescenti— nel secondo. Ancora, gli effetti citati dipendono nel tempo dall'interazione fra l'una e l'altra misura, in alcuni casi frutto di lucide scelte aziendali, in altri co-determinate dai mercati, in altri infine sia indotte dalla ricerca di vie di minor resistenza, sia imposte dal sistema di vincoli che i processi in discorso non possono eludere nel lungo periodo (Canziani, 1986).

L'Economia aziendale, pertanto, non è interessata alle leggende

macroeconomiche narrate più sopra, se ignare di tutte le scuole classiche di finanza pubblica, ignare soprattutto delle leggi di comportamento e di sviluppo delle aziende, dunque del vero essere delle cose.

Essa si fonda infatti —da sempre— su ipotesi esclusivamente realistiche, indagate con il metodo sintetico riferito a vaste fenomeniche di soli <fatti scientifici>, per inferirne strutture teoriche dalla sistematicità intrinseca e della ampia validità spazio-temporale.

In particolare, per quanto riguarda la Finanza pubblica —cioè in realtà le branche speciali della Ragioneria Pubblica e dell'Economia delle Pubbliche Amministrazioni—, esse postulano ulteriori canoni veritativi specifici, fondati nella teoria della misura.

Questa richiede di venire applicata:

1. a fatti scientifici espressivi delle fenomenologie indagate, descrivibili tramite variabili effettive (i.e. riscontrabili nella realtà), connotative dei fenomeni oggetto di indagine;

2. variabili manifestate in quantità definite in moneta (misura appunto economica),

3. derivanti da obbligazioni (anche tributarie), 4. riscontrabili in scambi, ove si formano le quantità economiche-

valori.

E poiché è noto (Masini, Valutazioni e rivalutazioni; Lavoro e risparmio) come rilevi: a) identificare il momento nel quale la variazione di moneta o di credito si manifesti, b) misurarla con tecniche adeguate, c) tramite tale misura determinare analiticamente prezzi-costo e prezzi-ricavo, unica tecnica che possa compiere le misurazioni di cui ai nn. 2-3-4 supra è la Ragioneria Generale, la quale sola:

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• identifica i fenomeni caratteristicamente rappresentativi dell’economia delle aziende,

• li coglie nel cuore del sistema al momento del loro manifestarsi misurabile (cioè all’atto dello scambio inter-aziendale, i.e. fra soggetti aziendali),

• li misura nei loro fondi e flussi di moneta assegnandoli sistematicamente a classi di valori,

• li connette in modo altrettanto sistematico —per variazioni singole e per classi—, tramite le sistematiche della partita doppia, dei piani dei conti, delle procedure dei piani dei conti;

• li sintetizza in prospetti unitarî (bilanci) che ne rappresentano i risultati e che servono dunque a fini di controllo, analisi, previsione.

I fenomeni economici così identificati, misurati, sistematizzati, fanno

così emergere le quantità più rappresentative dell’economia delle aziende: a) valori-flusso, i.e. variazioni di esercizio, i.e. costi e ricavi, b) valori-fondo, i.e. attività e passività e loro variazioni (comprese le variazioni finanziarie). I valori realistici della Ragioneria si differenziano dunque rispetto ai valori astratti (i.e. irrealistici) sia della microeconomia classica, sia di molta macro-economia contemporanea.

In particolare, la Ragioneria pubblica consente, per le aziende pubbliche territoriali, sia di vagliare equilibri e squilibri, sia di misurare le <erogazioni di ricchezza> in generale, e in particolare le funzioni pubbliche di i) raccolta di risorse (tributi), ii) spesa corrente e in conto capitale, iii) gestione della moneta e del debito, iv) gestione dei beni pubblici.

2. Disavanzi di bilancio e debito pubblico: natura ragioneresti-ca, significato economico, profili interpretativi

L’andamento della finanza pubblica, e le conseguenti valutazioni di politica economica, trovano fondamentale parametro di misurazione negli indicatori di sintesi dei conti dello Stato. Tali misurazioni —di norma— si fondano su alcune variabili di fondo dell’economia nazionale, le quali costituiscono grandezze —cioè valori— direttamente desumibili dal bilancio pubblico (sia esso dello Stato quale amministrazione centrale, sia del complesso delle amministrazioni pubbliche).

Gli indicatori della finanza pubblica, pertanto, pur se lato sensu oggetto del discorso macroeconomico, costituiscono in realtà grandezze di natura ragioneristica in quanto fondate —direttamente, o indirettamente per il tramite di aggregazioni statistiche— sui valori del bilancio dello Stato, delle amministrazioni locali e degli enti di previdenza.

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Fra tali grandezze —da sempre (Repaci, 1962), ma soprattutto dopo l’approvazione del Trattato di Maastricht (1992) e del successivo <patto di stabilità e crescita> 4—, hanno acquisito rilievo le seguenti:

1. l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, così denominato nel sistema europeo dei conti nazionali, ma in realtà meglio definibile quale avanzo/disavanzo di bilancio, ovvero quale somma algebrica —rispettivamente positiva o negativa— fra entrate e uscite dello Stato, del settore statale o, per l’appunto, delle amministrazioni pubbliche nel loro complesso;

2. il debito pubblico, cioè —in sintesi— l’esposizione finanziaria delle amministrazioni pubbliche nei confronti di terzi, sia esso fruttifero o infruttifero5.

L’indagine che qui si conduce attiene all’analisi economico-aziendale delle quantità-valori ora ricordate:

i. il disavanzo, oggi sovente cronico, del bilancio dello Stato, ii. il debito pubblico, quale modalità particolare di <copertura> del

predetto deficit.

Tale analisi, tuttavia, non pare potersi utilmente condurre senza aver annotato alcune considerazioni preliminari, di ordine per lo più metodologico e tecnico-contabile, appunto in ordine alla natura delle grandezze "disavanzo" e "debito", e al conseguente significato economico che esse possono assumere nel quadro interpretativo del sistema dei conti pubblici nazionali.

Sul punto, allora, occorre in via previa individuare:

a. il perimetro definitorio delle grandezze,

4 Tra i quattro criteri di convergenza necessari per l’accesso alla terza fase del processo

di unione politica e monetaria dell’Europa, l’art. 109 del Trattato di Maastricht includeva la condizione che gli Stati non si trovassero in situazioni definite di <disavanzo pubblico eccessivo>, condizione che —per espressa previsione normativa— non si verificava ove non si fossero registrati valori di deficit annuale non superiore al 3% del PIL e di debito pubblico non superiore al 60% del PIL. Va peraltro ricordato che —ai fini del rispetto di quest'ultimo indicatore— furono da subito assunti margini di discrezionalità, che diedero al Consiglio Europeo la possibilità di valutare se il criterio si sarebbe potuto ritenere comunque soddisfatto ove il debito pubblico, superiore alla soglia del 60% del PIL, fosse "sufficientemente" calato.

5 Il cosiddetto “Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi”, allegato al Trattato di Maastricht, all’art. 2 stabilisce che il “disavanzo” è l’indebitamento netto così come stabilito dal Sistema Europeo dei Conti economici integrati (Sec 95), mentre il “debito pubblico” è il debito lordo al valore nominale in essere alla fine dell’esercizio.

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b. i procedimenti di calcolo relativi agli aggregati in questione, chiarendone la natura ragioneristica e da questa traendo l'effettivo valore segnaletico, poi anche macroeconomico.

I concetti di avanzo-disavanzo del bilancio pubblico si esprimono nell’equazione che definisce l’equilibrio finanziario dell’azienda di erogazione e dunque anche dello Stato, economia complessa ma in fondo sintetizzabile —in logica economico-aziendale— nel plesso <servizi pubblici-imposte>6, il quale si traduce poi nell'altro plesso <uscite/entrate monetarie>, unitario e sempre in divenire nello spazio-tempo.

Pur nella nota complessità dell’economia pubblica, unico è allora il profilo di osservazione della medesima, fondato sulla rilevazione (nella contabilità) e sulla rappresentazione (nel bilancio) delle uscite e delle entrate, suddivise per <categorie-tipo> e variamente articolate in funzione dei risultati differenziali che si intendono misurare ed esaminare7.

L’equazione cui più sopra si è fatto cenno —in forme semplificate, ma non per questo meno rispondenti alla realtà— così si esprime:

(Et + Eet) + (Edis + Ecr ) = Uc + Ucap (1),

ove è:

Et Eet Edis Ecr Uc Ucap

= = = = = =

entrate tributarie; entrate extra-tributarie; entrate da disinvestimenti; entrate da rimborso di crediti; uscite correnti; uscite in conto capitale.

Dalla (1) si evince, in forme altrettanto schematiche, come —dal

confronto fra entrate e uscite monetarie— emerga di volta in volta a) il pareggio del bilancio, b) l’avanzo, c) il disavanzo, esprimibili in forme algebriche come:

• Ef ≥ Uf = avanzo o pareggio; • Ef < Uf = disavanzo;

6 Il binomio <servizi pubblici-imposte> diviene più ampiamente il plesso <servizi

pubblici e sociali- imposte e contributi> nell’ipotesi di allargamento del perimetro della pubblica amministrazione

7 Uscite ed entrate si rilevano nella contabilità pubblica; il bilancio, che ne offre la sintesi periodica, rappresenta le medesime per competenza giuridica (accertamenti/impegni), per cassa (entrate/uscite monetarie effettive), o – da ultimo, con il Sec 95 - per competenza economica.

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ove è:

Ef = entrate finali (in simboli, Et + Eet + Edis + Ecr);

Uf = uscite finali (in simboli, Uc + Uinv +Ucr).

Tali termini, auto-evidenti nel proprio significato logico-aritmetico-

contabile, ove classificati ed esaminati nei valori di sintesi che evidenziano, per tipo ed oggetto, le entrate, le uscite e i relativi risultati differenziali, danno conto di come concretamente si svolga l’economia dell’amministrazione pubblica.

Il disavanzo allora —sia esso misurato ex post nei consuntivi, o ex ante

nei bilanci di previsione— per definizione risulta espressione contabile delle risorse mancanti alla pubblica amministrazione in un tempo definito; esso evidenzia uno squilibrio sul piano finanziario che in termini ragioneristici —forse elementari, ma non per questo meno efficaci nella propria concretezza anche storica— non può che risolversi —in prima battuta, e in assenza della <variabile debito>— alternativamente o unitariamente in:

a) aumento delle entrate, realizzabile sostanzialmente con l’inasprimento della pressione tributaria o con il realizzo, diretto o indiretto8, di attività patrimoniali,

b) riduzione delle uscite, attuabile mediante interventi sulla spesa pubblica, corrente o in conto capitale;

si può risolvere in altre parole —per riprendere le terminologie oggi ampiamente diffuse— solo e soltanto con l’aumento del cosiddetto <avanzo primario>, somma algebrica fra entrate e uscite monetarie che non tiene conto, come nella (1) appunto, della variabile <indebitamento pubblico>.

In questa logica, l’innesto della variabile <debito> —tipicamente

rappresentato dai titoli di Stato— quale via di copertura del disavanzo, completa la (1) e ne consente la rappresentazione seguente:

(Et + Eet) + (Edis + Ecr ) + Eind = Uc + Ucap + (Ur +Uint) (2)

8 La collocazione di attività al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione,

con la costituzione di società veicolo costituisce una forma di realizzo indiretto (sempre che poi si realizzi la cessione a terzi dei titoli azionari).

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ove è:

Et Eet Edis Ecr Eind Uc Ucap Ur Uint

= = = = = = = = =

entrate tributarie; entrate extra-tributarie; entrate da disinvestimenti; entrate da rimborso di crediti; entrate da indebitamento; uscite correnti uscite in conto capitale; uscite per rimborso di debiti; uscite per pagamento di interessi sui debiti.

Dalla (2) si evince come in concreto, e prescindendo per il momento dai

profili normativi e regolamentari, siano oggi in sostanza tre le fonti delle risorse finanziarie destinate a dare copertura alla spesa e agli investimenti pubblici:

1. le entrate tributarie ed extra-tributarie (fra le quali i frutti degli investimenti immobiliari e finanziari);

2. le entrate derivanti dal realizzo di beni patrimoniali o di investimenti finanziari, nonché dal rimborso dei crediti9;

3. le entrate derivanti da indebitamento10.

Ognuno dei suddetti canali, noto in dottrina, assume una propria valenza, sociale ed economica, nel quadro delle azioni di finanza pubblica adottate dal Governo: le entrate, in altri termini, si correlano sistematicamente al complesso delle uscite, queste ultime riferite vuoi alla spesa pubblica —sia di parte corrente, sia in conto capitale— vuoi ai flussi ulteriori relativi al "servizio del debito".

Dalla (2), inoltre, possono ricavarsi molteplici risultati differenziali, tutti di rilievo nei processi interpretativi del sistema dell’economia pubblica:

a) avanzo-disavanzo di bilancio, espresso quale somma algebrica fra i totali delle entrate e delle uscite come definite nella (1); tale valore —si diceva— configura l’<indebitamento netto> nel conto

9 Rilevano, al proposito, alcune operazioni di finanza straordinaria di una certa attualità,

fra cui le privatizzazioni e le cartolarizzazioni. 10 Il riferimento al debito pubblico, quale via tradizionalmente alternativa alla stampa di

carta moneta nel finanziamento dei deficit pubblici, va in questa sede interpretato tenendo presente la distinzione fra emissioni per il settore privato (famiglie, imprese, resto del mondo) ed emissioni per la Banca Centrale, la quali possono determinare un aumento della circolazione monetaria.

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economico consolidato delle amministrazioni pubbliche redatto secondo le metodologie accolte a livello europeo;

b) avanzo-disavanzo primario, espresso quale somma algebrica fra entrate e uscite, al netto delle spese per interessi passivi sul debito;

c) indebitamento lordo e netto (debito pubblico), espresso dal volume lordo di debito, e dal volume stesso al netto dei rimborsi in quota capitale.

Peraltro, la misura dell’avanzo e del disavanzo, sia esso totale o primario, appaiono in sé non sempre significative se confrontate per valori assoluti fra sistemi-Paese; ecco allora che —per convenzione limitativa, e in aderenza alle prescrizioni valide a livello europeo— esse vengono espresse mediante il rapporto percentuale con il prodotto interno lordo, grandezza che, va evidenziato, non è quantità del bilancio pubblico come le altre, ma unicamente aggregato statistico, elaborato nel quadro delle determinazioni di contabilità nazionale.

L’indicatore che ne deriva, il parametro Deficit / P.i.l., pur non essendo sempre soddisfacente vista la natura, l’attendibilità complessiva e il significato economico della grandezza al denominatore11 (Tabella 2), risulta comunque di un certo rilievo per i confronti spaziali e temporali; vale allora considerare, soprattutto nel caso italiano, caratterizzato da disavanzi cronici del bilancio pubblico, il rapporto che segue, con segno algebrico negativo:

(Ef – Uf) /P.i.l. (3)

ove è:

Ef = totale delle entrate; Uf = totale delle uscite, ivi compresa la quota interessi sul debito.

11 Nell’interpretazione del rapporto percentuale fra un dato del bilancio dello Stato,

quale il disavanzo, e un dato meramente statistico, quale il PIL, occorre tenere inoltre presente alcuni ulteriori interrogativi, fra cui: qual è il rilievo del PIL in una nazione con elevati tassi di economia sommersa? Quali sono le tecniche di calcolo dell’aggregato in questione? Quali gli effetti reciprocamente compensatori delle transazioni fra operatori appartenenti al sistema? La risposta, articolata e complessa, apre una tematica di sicuro interesse, ma fuori dal perimetro delle presenti riflessioni.

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Tabella 2 – Il P.i.l. italiano 2000 – 2004 nei dati Istat e del Ministero del Tesoro

Tipologia di documento 2001 2002 2003 2004 2005 Note Ministero del Tesoro: Relazione previsionale e programmatica 2004 1.032.985 1.036.945 1.069.581 1.052.308

"valori a prezzi correnti -milioni di eurolire 1995"

Istat: Conti economici nazionali 1970 - 2005 - nuova serie - marzo 2006 1.248.648 1.295.226 1.335.354 1.338.870 1.417.241

"valori a prezzi correnti -milioni di euro"

Fonte: ISTAT, Conti nazionali, nuove serie storiche, marzo 2006; Ministero dell’Economia, Relazioni generali sulla situazione economica del Paese 1998 - 2004

Il concetto di disavanzo, peraltro chiaro nella sua natura ragioneristica,

non è però grandezza univoca nel sistema dei conti pubblici: esso, infatti, varia nella sua dimensione quantitativa in relazione alla tipologia di entrate e uscite incluse nel perimetro della misurazione.

Sotto questo profilo, e quale corollario metodologico a quanto sinora annotato, occorre infatti distinguere il risultato differenziale di cui si discute a seconda che il riferimento sia:

a) al bilancio dello Stato quale amministrazione centrale, approvato dal Parlamento e tradizionalmente identificato nel <bilancio finanziario, di previsione e consuntivo>, di cui all’art. 2 della legge n. 468 del 5 agosto 1978;

b) al conto consolidato di cassa del settore statale; c) al conto consolidato di cassa del settore pubblico; d) al conto economico delle amministrazioni pubbliche.

Il bilancio di previsione, e il correlato conto consuntivo, identificano tradizionalmente i conti entrate-uscite dell’amministrazione centrale dello Stato: essi sono elaborati dal Ministero del Tesoro, per il tramite della Ragioneria Generale dello Stato, e presentano natura intrinsecamente contabile; in quanto tale, esso è da sempre oggetto di studio della Ragioneria italiana12.

12 Dal Villa, al Cerboni, al Besta, allo Zappa (tramite Arnaldo Marcantonio): in sintesi, dalla seconda metà del Secolo XIX fino agli anni Cinquanta-Sessanta del Secolo scorso, fino cioè alla diffusione delle logiche alla base della contabilità nazionale e alla conseguente impostazione dei conti pubblici su base statistico-economica, con la conseguenza –ancora oggi palese e non sempre soddisfacente– di vedere approvati in Parlamento conti e prospetti (il bilancio dello Stato tradizionale appunto) che in sede europea e addirittura nel DPEF, non vengono di fatto presi in considerazione.

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I valori differenziali dell’avanzo e del disavanzo, desumibili dai prospetti in parola, non sono però neutrali in relazione alla tecnica adottata per redigere i suddetti bilanci.

E’ noto infatti, sul punto, che il bilancio finanziario —di previsione o consuntivo— assume connotati differenti, e dunque diverso significato economico, a seconda della prospettiva con la quale vengono osservate e rilevate, nel sistema di contabilità finanziaria, le entrate e le uscite.

In tale logica, il bilancio di competenza rileva entrate e uscite in relazione alle fasi dell’accertamento e dell’impegno: esso, pertanto, è tipicamente rivolto all’azione di controllo esercitata dal Parlamento ed esalta il criterio della programmazione nel contesto delle azioni di politica economica.

Il bilancio di cassa, viceversa, accoglie direttamente la manifestazione monetaria dei fenomeni, risulta svincolato dall’esercizio amministrativo, e per questi motivi esprime in termini maggiormente realistici la situazione finanziaria dell’ente con riferimento a un periodo dato. Esso dunque, almeno per quanto attiene all’interpretazione delle vicende della gestione nel profilo monetario-finanziario, offre spunti interpretativi di maggior rilievo nel processo di analisi del sistema dei conti pubblici nazionali; esso, in particolare, meglio si presta all’analisi del fabbisogno finanziario dell’ente, nonché delle vie per il suo soddisfacimento.

Ciò posto, l’avanzo-disavanzo del bilancio dello Stato assume allora significato differente a seconda non solo che il riferimento sia al bilancio di previsione dello Stato o, ad esempio, al conto economico delle amministrazioni pubbliche, ma altresì che il primo sia redatto per cassa oppure per competenza.

Il conto consolidato del settore statale è formato dal Ministero del Tesoro

sulla base del criterio di cassa e non è approvato dal Parlamento; esso, tuttavia, esprime l’aggregazione dei valori finanziari riferiti alle gestioni del bilancio (bilancio di previsione e conto consuntivo), della Tesoreria dello Stato, nonché dei conti relativi ai bilanci delle aziende autonome e, sino al 2003, della Cassa Depositi e Prestiti13.

E' questo documento in altri termini il "bilancio di cassa” dello Stato: da esso, infatti, muovono le analisi del fabbisogno finanziario e vengono di

13 Si tratta della definizione da ultimo utilizzata dal Tesoro, che però non coincide con

quella della Banca d’Italia. Nella definizione del Tesoro, il settore statale si costruisce sommando alle gestioni dell’amministrazione centrale dello Stato – gestione di bilancio e gestione di tesoreria – la Cassa depositi e prestiti (sino al 2003), l’Azienda per il Mezzogiorno (sino al 1993, anno di soppressione), le Aziende Autonome (cioè Anas e Foreste Demaniali).

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conseguenza determinate le vie —fra le quali appunto il debito— per il suo soddisfacimento.

Il conto consolidato di cassa del settore pubblico aggrega —sempre e

solo in logica di cassa— sia i bilanci appartenenti al settore statale, sia i conti di tutti gli enti esterni a questo, ma tuttavia lato sensu riferibili alle amministrazioni pubbliche, fra cui gli Enti Locali e di Previdenza.

Il Conto economico delle amministrazioni pubbliche si distingue dai

precedenti per alcuni profili peculiari. Esso infatti:

a) è costruito dall’Istituto Nazionale di Statistica nel rispetto delle regole contenute nel sistema dei conti economici integrati comuni a livello europeo14; per questi motivi, fra l’altro, esso è l’unico sistema di valori preso in considerazione nella determinazione degli indicatori di finanza pubblica oggetto delle presenti note;

b) si riferisce a un aggregato —le amministrazioni pubbliche— sostanzialmente coincidente con il “settore pubblico” come definito dal Tesoro, ma articolato sulla base della tripartizione b)1) Amministrazioni Centrali, b)2) Amministrazioni Locali, b)3) Enti di Previdenza;

c) è fondato sul criterio della competenza economica15, secondo una metodologia di rilevazione —approvata con l’European System of Accounts16— propria della contabilità nazionale17, per natura diversa e dalla competenza giuridica e dal criterio di cassa sui quali si fonda la contabilità finanziaria dell'amministrazione centrale dello Stato18.

14 Regolamento n. 2223/1996. 15 Paragrafo 1.57 del Sec 95. 16 Il Sistema Europeo dei Conti – c.d. Sec 95 – definisce fra l’altro la logica della

competenza economica, avvicinando le rilevazioni del sistema entrate-uscite ai criteri accrual-based utilizzati nelle aziende private.

17 In sostanza, vengono registrate solo le operazioni finali in grado di incidere sulla situazione economica o patrimoniale degli altri soggetti istituzionali; vengono invece escluse le operazioni finanziarie con le quali a una passività di un settore corrisponde un’attività di un altro settore.

18 In sostanza, nell’attuale sistema, l’Istat elabora le stime di contabilità nazionale e determina l’indebitamento della Pubblica Amministrazione; il Ministero dell’Economia calcola invece il fabbisogno di cassa del settore statale e del settore pubblico; la Banca d’Italia, infine, conteggia il fabbisogno con riferimento alle vie di copertura. I problemi di raccordo fra i dati sono in corso di analisi da parte dei soggetti ora ricordati e dovrebbero

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Il prospetto in parola, in quanto redatto secondo regole comuni a livello europeo, è il solo documento che possa oggi venire utilizzato per confronti internazionali significativi19: per questo motivo, è oggi considerato direttamente nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria in sostituzione dei conti consolidati del settore statale e del settore pubblico.

La Tabella 3 che segue, costruita sulla base dei dati al 31 dicembre 2004,

illustra quantitativamente quanto sopra, evidenziando dati di avanzo e disavanzo differenti, e dunque diversamente interpretabili sia in logica ragioneristica, sia soprattutto per quanto attiene alle successive valutazioni di politica economica.

Tabella 3 - Entrate-uscite e risultati differenziali nel sistema dei conti pubblici italiani: i saldi dell’anno 2004

Tipologia di bilancio Entrate Uscite Avanzo/

(Disavanzo) Bilancio dello Stato - gestione di cassa 394.159 -434.960 -40.801 Conto consolidato di cassa del settore statale 356.371 -397.624 -41.253 Conto consolidato di cassa del settore pubblico 631.513 -679.437 -47.924 Conto economico delle amministrazioni pubbliche 612.349 -653.226 -40.877

Fonte: Ministero dell’Economia, Relazione sulla stima del fabbisogno di cassa per l’anno 2005 e situazione di cassa al 31 dicembre 2004

Il rapporto Deficit / P.i.l., oggi di comune dominio nel linguaggio tecnico

in materia di politica economica, pur nella propria indiscutibile rilevanza va allora letto e interpretato sulla base delle premesse di natura tecnica e metodologica sopra illustrate, tenendo in particolare conto, fra l’altro:

a) dell’esistenza di diverse configurazioni del disavanzo pubblico, alcune di esse costruite quali aggregazioni statistiche di dati,

b) della peculiare natura del P.i.l quale parametro di relativizzazione, quantità fondamentale nelle determinazioni di contabilità nazionale,

avviarsi a soluzione anche per effetto dell’utilizzazione e del potenziamento del sistema SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici).

19 La stessa Banca d’Italia, ad esempio, nel Bollettino economico utilizza oggi questo documento in sostituzione del riferimento al conto consolidato di cassa del settore statale.

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ma pur sempre logicamente diversa dalle quantità-valori del bilancio, singolo o aggregato, dell’amministrazione pubblica.

Ai saldi finanziari del bilancio pubblico —avanzo/pareggio/disavanzo—

si associa il dato relativo al debito pubblico, in senso generale definibile quale stock di risorse finanziarie che lo Stato, o l’insieme delle amministrazioni pubbliche, deve rimborsare a terzi a un tempo dato.

Qui pure, come già si è avuto modo di osservare con riferimento ai risultati differenziali del bilancio, il debito pubblico non risulta univocamente individuabile nelle determinazioni della contabilità di Stato.

Le problematiche di definizione, di conseguente valutazione, sono tuttavia sul tema ampie e complesse, e come tali non trattabili in questa sede.

Basti ricordare, sul punto, in primo luogo le divergenze fra le definizioni accolte i) dalla Tesoreria dello Stato, che lo definisce come posizione netta, rispetto al conto di disponibilità del Tesoro, ii) da Eurostat, che lo considera al lordo delle disponibilità presso il Tesoro.

Ancora, va annotato che il concetto in parola include grandezze comuni nella propria natura ragioneristica, ma pur tuttavia dissimili in funzione del significato economico e della rilevanza quantitativa che assumono nel quadro della posizione debitoria complessiva dello Stato all’interno o all’esterno dell’economia: in argomento, ad esempio, si suole distinguere fra a) debito fruttifero, rappresentato dai titoli di Stato e dai debiti generalmente onerosi, b) debito infruttifero, tipicamente la moneta in circolazione e i debiti almeno non esplicitamente onerosi, questi di ampia rilevanza ove la considerazione del deficit di bilancio sia effettuata su base aggregata (ai fini della presente analisi si utilizzerà la grandezza tradizionalmente riferibile al <debito pubblico>, ovvero la consistenza dei titoli di stato in circolazione).

Accanto al problema della definizione vi è poi il problema della valutazione, dunque della quantificazione del debito in essere: per riprendere una terminologia nota in Ragioneria, quale allora deve essere il riferimento quantitativo per lo stock di debito pubblico in essere a un tempo dato, il valore nominale o il fair value ?

Sotto questo profilo, il riferimento delle autorità europee (Eurostat) è al valore nominale, ma va tuttavia osservato che, per esprimere in termini maggiormente realistici la situazione finanziaria dello Stato, meglio sarebbe riferirsi al valore di mercato: basti ricordare, al riguardo, l’operazione di concambio, attuata nel 2002, di titoli di Stato immobilizzati nel bilancio della Banca d’Italia per 39,4 miliardi di euro, scadenza 2044 e rendimento 1%, con titoli di analogo valore di mercato, cioè di minore importo ma con un più elevato rendimento, riducendo così il debito pubblico —a valore

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nominale— di 27 miliardi di euro, ma non mutando, nella sostanza, il fair value del debito stesso20.

Ciò posto in termini generali, va ora annotato che anche per il debito le

misurazioni economiche si fondano per lo più sull’analisi della sua dinamica in rapporto al prodotto interno lordo: qui pure, allora, valgono le considerazioni già svolte sulla prospettiva di crescita dinamica del medesimo, in valore assoluto o appunto in rapporto al P.i.l.

Il modello di evoluzione del debito pubblico, noto in dottrina, unitamente

alla sua espressione relativa in rapporto al P.i.l., consente di porre in evidenza il rilievo critico dell’indicatore in questione per la valutazione —sintetica, ma comunque significativa—, dello stato della finanza pubblica di una nazione.

La relazione che segue esprime il processo di evoluzione del debito pubblico in relazione allo sviluppo delle entrate e delle uscite dello Stato o dell’insieme delle amministrazioni pubbliche; in logica economico-aziendale, infatti, risulta sempre quanto segue:

∆ D = (Ef - Uf) + Uint + Ur (4) ove è: ∆ D = nuove emissioni; Ef = totale entrate; Uf = totale uscite. Uint = uscite per interessi; Ur = uscite per rimborsi in quota capitale.

La (4), se opportunamente rielaborata, esprime —sulla base

dell’equivalenza contabile secondo la quale ceteris paribus l’incremento di debito pubblico da un periodo all’altro dipende dalle uscite legate al servizio del debito in essere (per quote capitale e interesse), nonché dagli ulteriori disavanzi primari che potrebbero generarsi per effetto della gestione—, l’equazione che sta alla base dell’andamento Debito/P.i.l., l’altro indicatore di rilievo per la valutazione dell'equilibrio economico statale.

20 Si ricorda, inoltre, l’ipotesi degli “swap” di tassi fissi e variabili, con riduzione del

debito e invarianza del valore di mercato dello stesso.

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A parità di condizioni, dunque, risulta che il rapporto Debito/P.i.l. dipende fondamentalmente dai fattori che seguono, sempre reciprocamente interagenti:

• dal tasso di interesse, dunque dal costo complessivo del debito, il quale —se aumenta, a parità di P.i.l.—, fa aumentare anche lo stock di debito finale e dunque il rapporto stesso Debito /P.i.l.;

• dalla dimensione programmata dei rimborsi in quota capitale, il cui aumento/riduzione —sempre a parità di altre condizioni e a parità di Pil— aumenta o riduce lo stock di debito finale e dunque ancora il rapporto debito/P.i.l.;

• dalle risultanze della gestione tipica, dunque dall’avanzo/disavanzo primario, il quale —se migliora, come già ricordato— non può che determinare la riduzione dello stock di debito finale e dunque il miglioramento del rapporto debito/P.i.l.;

• dalla dinamica stessa del P.i.l., che di per sé non determina automaticamente un aumento o una riduzione dello stock di debito, ma —nel contesto di un parametro che misura gli andamenti economici della nazione in termini relativi— migliora o peggiora il rapporto in relazione alla sua diminuzione o al suo aumento quale grandezza posta al denominatore di un rapporto, così amplificando o compensando effetti di variazione che invece incidono in termini sostanziali sullo stato del debito pubblico nazionale nel suo complesso.

Il tema della dinamica del debito pubblico è ampiamente trattato anche

nella letteratura macroeconomica21; dal punto di vista appunto macroeconomico, ad esempio, la problematica in questione viene in via previa inquadrata dalla (5) seguente:

G — T (Y) = ∆ M + ∆B (5),

ove è:

G = spesa pubblica, T (Y) = flusso netto di entrate fiscali (imposte meno trasferimenti,

determinato tramite una funzione data di politica economica del Reddito Nazionale Y);

∆ M = variazione dello stock di titoli, ∆B = variazione dello stock di moneta.

21 I riferimenti, sul punto, sono molteplici e non possono essere ripresi in questa sede. Per una sintesi dell’argomento cfr. Ministero del Tesoro, Direzione Generale del Debito Pubblico, Il debito pubblico in Italia 1861 – 1987, Roma, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, 1988.

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E, nell'ipotesi di interessi (tassati) su titoli, la [5] diventa (Blinder e

Solow, 1973, 1974):

G + iB — T (Y + iB) = ∆ M + ∆B (6), giacché in tale modello il pagamento di interessi funge da incremento del

reddito disponibile. Con tale notazione, tuttavia, il rapporto Deficit/P.i.l. diviene i) non solo

grandezza relativa, internazionalmente comparabile in quanto "normalizzata", ma anche, e specificamente, ii) grandezza ottenuta automaticamente dal modello, rendendo quindi superfluo l'apprezzamento effettivo e la misura ragioneristica del flusso netto di entrate fiscali.

Le considerazioni fin qui svolte determinano allora, se analizzate in

prospettiva concreta, dunque economico-aziendale, l’opportunità di valutare le problematiche in questione sia nella dimensione relativa del rapporto “Debito/P.i.l.”, sia in quella assoluta del volume di debito complessivamente considerato.

Dalle identità contabili (1)-(4) antecedenti, infatti, emerge con evidenza che le uniche vie possibili per inquadrare e trattare i problemi c.d. della “sostenibilità” del debito, i quali dipendono solo e soltanto dalle variabili che sintetizzano il sistema del bilancio pubblico, sono sostanzialmente riconducibili a:

1) politica dei saggi e dunque della remunerazione del debito, con i conseguenti ragionamenti in termini di valore di mercato dello stesso,

2) politica dei rimborsi in quota-capitale, e relative conseguenze in termini di possibilità —già riscontrate nel passato— di consolidamento del debito,

3) andamento della gestione tipica dell’Amministrazione pubblica, ovvero dinamica delle entrate e delle uscite, questa però riconducibile ai vari comparti della Pubblica Amministrazione e non semplicemente riferibile allo Stato (nel computo dell’avanzo/disavanzo primario del conto economico delle amministrazioni pubbliche, si è visto infatti più sopra, rientrano sia lo Stato inteso quale amministrazione centrale, sia gli Enti Locali, sia –soprattutto– il comparto previdenziale).

Le relazioni fin qui analizzate, per concludere, evidenziano la necessità

di relazionare disavanzo e debito e dunque di individuare —sulla base non

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di algoritmi ma dei valori espressi dai bilanci pubblici—, gli elementi che possano chiarire la relazione fra crescita dell’uno ed aumento dell’altro.

In questo senso, allo stato attuale, si ravvisa un limite nel sistema delle informazioni prodotte dai conti pubblici nazionali e sovra-nazionali: la misurazione nazionale, che determina il fabbisogno e fa scattare l’esigenza di “nuovo debito”, è basata sull’analisi dei flussi monetari, tipicamente desumibili dai conti di cassa del settore statale e del settore pubblico; la misurazione europea, associata al rapporto Deficit/P.i.l. che completa il quadro dello stato di salute di un’economia meritevole di accedere all’unione monetaria, è invece fondata sui flussi accrual-based del Sec 95, a propria volta costruiti su base statistico-economica e non contabile.

Mancano allora, in questo senso, la ricostruzione e la riconciliazione ufficiale che uniscano il profilo contabile e bilancistico —entrate, uscite e fabbisogno finanziario— con il profilo dell’aggregazione statistica e che consentano di determinare, muovendo dal parametro dell’indebitamento netto (disavanzo) risultante dai conti economici delle amministrazioni pubbliche, il volume di debito al quale si è fatto ricorso quale mezzo di copertura del disavanzo, a propria volta riscontrabile nei conti di cassa che esprimono il fabbisogno finanziario effettivo dello Stato e delle amministrazioni pubbliche nel loro insieme.

3. Debito pubblico e deficit in prospettiva dinamica: il caso italiano 1971 - 2005

Il disavanzo del bilancio pubblico, ma soprattutto il reperimento delle risorse mancanti tramite l’indebitamento dello Stato, pare profilo caratteristico dell’andamento della finanza pubblica italiana non solo per il periodo che qui si prende in esame (1971-2005). Storicamente infatti —seppur con misure differenti, e con motivazioni di base ben spiegabili dagli eventi che hanno caratterizzato l’evoluzione socio-politica ed economica della nazione— il ricorso al debito pubblico è sempre stata opzione costante nelle politiche economiche nazionali.

La Tabella 4 che segue, sotto questo profilo, dimostra quanto ora ricordato giacché pone in luce, per gli anni che vanno dall’Unità d’Italia fino ai primi anni Settanta del secolo scorso, il pressoché costante ricorso al debito quale via per la copertura dei disavanzi di bilancio.

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Tabella 4 – L’evoluzione del debito pubblico italiano 1865 – 1971

Anni Debito/

Pil Anni Debito/

Pil AnniDebito/

Pil AnniDebito/

Pil AnniDebito/

Pil Anni Debito/

Pil % % % % % %

1915 83 1934 98 1953 29

1861 45 1879 92 1897 120 1916 88 1935 96 1954 32 1862 46 1880 87 1898 117 1917 98 1936 93 1955 32 1863 60 1881 104 1899 114 1918 112 1937 90 1956 31 1864 70 1882 107 1900 111 1919 124 1938 90 1957 31 1865 78 1883 114 1901 108 1920 125 1939 88 1958 31 1866 77 1884 110 1902 108 1921 123 1940 93 1959 33 1867 78 1885 107 1903 102 1922 121 1941 106 1960 31 1868 82 1886 104 1904 103 1923 116 1942 117 1961 29 1869 86 1887 106 1905 100 1924 111 1943 118 1962 29 1870 96 1888 111 1906 100 1925 96 1944 77 1963 28 1871 87 1889 116 1907 93 1926 63 1945 91 1964 27 1872 79 1890 111 1908 92 1927 61 1946 32 1965 30 1873 70 1891 109 1909 88 1928 63 1947 24 1966 31 1874 75 1892 114 1910 87 1929 64 1948 28 1967 31 1875 84 1893 115 1911 84 1930 68 1949 30 1968 33 1876 95 1894 116 1912 79 1931 76 1950 31 1969 33 1877 85 1895 118 1913 80 1932 84 1951 27 1970 34 1878 90 1896 119 1914 81 1933 90 1952 29 1971 40

Fonte: Relazione della Direzione Generale del Debito Pubblico, Ministero del Tesoro, 1988, p. 90

L’opzione per l’indebitamento, peraltro, si pone in termini molto diversi

a seconda del periodo preso in considerazione; l’incidenza del debito pubblico, come si è avuto modo di ricordare nel § 1., varia negli anni e ciò sia per motivi di carattere straordinario —ad esempio il finanziamento dell’unificazione nazionale o delle due guerre mondiali— sia più in generale per ragioni di politica economica, variamente fondate sulle logiche del bilancio in pareggio o sul deficit spending, questo a propria volta perdurante o congiunturale.

Tuttavia, e ciò risulta anche dalla Tabella 2, escludendo il periodo del secondo conflitto, gli anni Cinquanta e Sessanta evidenziano una politica di contenimento sia del deficit di bilancio, sia del conseguente ricorso al debito, che per quasi tutto il periodo si assesta intorno al 30% del Prodotto interno lordo; tale dinamica, pare a chi scrive, è spiegata non tanto dall’assenza di politiche di deficit spending, quanto piuttosto dagli effetti

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compensativi dovuti al rilevante tasso di crescita dell’economia nazionale nei due decenni ricordati.

Tabella 5– Disavanzo e rapporto Disavanzo/P.i.l. 1951 - 1971

Anni Disavanzo Disavanzo/Pil Anni Disavanzo Disavanzo/Pil % %

1951 -388 -3,63 1962 -580 -2,00 1952 -584 -5,03 1963 -792 -2,39 1953 -492 -3,84 1964 -817 -2,24 1954 -563 -4,14 1965 -1.546 -3,95 1955 -564 -3,76 1966 -1.831 -4,32 1956 -330 -2,01 1967 -1.269 -2,72 1957 -270 -1,53 1968 -2.028 -4,01 1958 -481 -2,60 1969 -1.720 -3,08 1959 -513 -2,57 1970 -3.234 -4,81 1960 -382 -1,65 1971 -4.777 -6,54 1961 -357 -1,38

Fonte: F. Forte, 1999, p. 104

La situazione economia italiana, a muovere dai primi anni Settanta, muta

profondamente, e con essa mutano gli indicatori di andamento della finanza pubblica e i connessi valori del bilancio dello Stato.

A valle del mutato modello di sviluppo dell’economia, con il passaggio dalla domanda interna alla estera quale vettore della crescita; a valle del biennio 1968-1970 e della sempre maggiore rilevanza delle politiche sociali (Welfare State); a valle infine degli effetti macroeconomici indotti dalla crisi del petrolio e dalle congiunture valutarie internazionali (fra cui l’inconvertibilità del dollaro statunitense), si manifestano pienamente gli effetti del passaggio dalla finanza neutrale alla finanza funzionale (Arena, 1963). Tali effetti, fra l’altro, risultano comprovati anche dall’importante riforma legislativa dettata dalla legge 5 agosto 1978 n. 468, la quale —introducendo la legge finanziaria e il bilancio pluriennale—, ha di fatto avviato il metodo della programmazione finanziaria nelle scelte di politica economica.

I dati riportati nelle Tabelle 6 e 7 che seguono, nell’evidenziare la

dinamica da un lato dei rapporti “Deficit/P.i.l.”, “Debito Pubblico/P.i.l.” e “Spesa Pubblica/P.i.l.” per il periodo 1971-2005, consentono di comprovare quanto ora ricordato in termini generali, ma soprattutto di entrare nel

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merito del caso italiano di questi ultimi quarant’anni di storia, articolando convenzionalmente la scansione temporale prescelta in tre sotto-periodi, dal 1971 al 1992, dal 1992 al 2001, infine dal 2001 ai nostri giorni, tutti rilevanti sia per meglio spiegare l’evoluzione dei valori del bilancio pubblico, sia dunque per meglio focalizzarne le prospettive future.

Tabella 6 – Disavanzo/P.i.l e Debito pubblico/P.i.l. 1971 – 2005

Anni Disavanzo/P.i.l. Debito/ P.i.l. Anni Disavanzo/P.i.l. Debito/ P.i.l.

% % % %

1971 -6,54% 38,27% 1989 -11,22% 96,04% 1972 -7,38% 42,51% 1990 -11,07% 98,69% 1973 -8,29% 43,93% 1991 -10,68% 101,75% 1974 -7,34% 43,95% 1992 -9,50% 108,70% 1975 -10,44% 49,83% 1993 -9,60% 115,90% 1976 -8,50% 48,70% 1994 -9,00% 121,40% 1977 -10,53% 51,27% 1995 -7,70% 124,20% 1978 -13,53% 57,02% 1996 -6,70% 124,00% 1979 -9,81% 56,57% 1997 -2,70% 121,60% 1980 -9,55% 54,82% 1998 -2,80% 116,30% 1981 -11,49% 57,65% 1999 -1,90% 114,90% 1982 -13,35% 62,69% 2000 -1,80% 110,60% 1983 -13,93% 68,25% 2001 -2,60% 109,50% 1984 -13,18% 73,14% 2002 -2,90% 106,70% 1985 -15,13% 80,79% 2003 -3,40% 104,30% 1986 -12,24% 85,19% 2004 -3,40% 103,80% 1987 -11,61% 89,85% 2005 -4,10% 106,4 1988 -11,51% 92,67%

Fonte: elaborazione su dati Bankitalia e Ministero del Tesoro

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Tabella 7 – Spesa Pubblica /P.i.l. 1973 - 2004

Anni Spesa

pubblica/Pil Anni Spesa

pubblica/Pil Anni Spesa

pubblica/Pil Anni Spesa

pubblica/Pil (%) (%) (%) (%)

1973 41,83 1981 46,29 1989 51,89% 1997 50,86% 1974 41,18 1982 48,45 1990 53,59% 1998 49,28% 1975 43,75 1983 50,04 1991 53,41% 1999 48,39% 1976 42,88 1984 50,14 1992 56,10% 2000 46,46% 1977 43,43 1985 51,43 1993 57,34% 2001 48,32% 1978 46,57 1986 51,21 1994 54,37% 2002 47,60% 1979 45,95 1987 50,70 1995 53,16% 2003 48,78% 1980 46,64 1988 50,81 1996 52,89%

Fonte : F. Zaccaria, 2005. Il primo periodo, che muove dal 1971, può convenzionalmente giungere

al 1992, anno di avvio delle politiche di risanamento culminate con l’introduzione dell’Euro e i connessi mutamenti nelle direttrici della politica economica e monetaria anche a livello europeo. E’ questo, si è visto, il periodo della progressiva espansione dei disavanzi del bilancio dello Stato, coperti dapprima prevalentemente con la stampa di biglietti (1971-1980), successivamente con emissione di debito oneroso. E’ questo, ancora, il periodo ove la dinamica della spesa pubblica —in particolare gli interessi sempre crescenti sul debito e la sempre maggiore incidenza delle uscite correnti— in parte spiega l’ampliamento progressivo del deficit, contribuendo altresì ad evidenziare le ragioni che hanno determinato l’incremento del fabbisogno finanziario.

Il secondo periodo, qui pure convenzionalmente tracciabile fra il 1992 e

il 2001, si caratterizza invece per il convergere degli obiettivi di finanza pubblica verso i parametri di Maastricht, con la dinamica dei rapporti Deficit/P.i.l. e Debito/P.i.l. in progressiva riduzione, a livelli giudicati fisiologici per quanto attiene al parametro del deficit, a livelli non accettabili secondo le regole europee, ma comunque più contenuti rispetto agli anni passati, del debito pubblico. Tale risultato, determinato da politiche di contenimento della spesa e non di meno da azioni sul fronte delle entrate, trova altresì giustificazione nell’inversione di tendenza nella dinamica dei saggi di interesse, che ha favorevolmente inciso sulla formazione del fabbisogno finanziario.

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Il terzo e ultimo periodo, che dal 2001 giunge fino ai giorni nostri, non consente di svolgere considerazioni conclusive giacché troppo recente; di certo si ravvisa —nel periodo— – e il significativo rallentamento nella crescita dell’economia e l’inversione di tendenza nella dinamica del deficit, anche spiegata —quest’ultima— dalla ripresa delle spese per investimenti.

4. Alcuni problemi della finanza pubblica italiana

Dalle politiche cumulate di disavanzo-debito derivano noti effetti patologici i) all'economia pubblica, ii) alle psicologie collettive, iii) al sistema produttivo, iv) alla collocazione internazionale.

Per quanto riguarda l'Azienda-Stato essi sono stati in generale già trattati al § 1.; ove si tratti poi di processi attuati per largheggiare in spesa corrente si può soltanto aggiungervi a) la minore qualificazione della spesa pubblica, b) la produttività via via minore dell'apparato e delle istituzioni statuali, c) la corruttela progressiva di govenanti e governati.

Riassumendo brevemente gli altri per gruppi si potrà ricordare quanto segue:

• (per le psicologie collettive): minore propensione al lavoro, o propensione al lavoro pubblico e all'affiliazione partitica; propensione mista al risparmio, mediamente minore; minore propensione agli impieghi privati del medesimo; maggiore propensione ai consumi, oggi ampiamente internazionalizzati; mutamento infine sistematico delle psicologie singole e collettive, con l'originarsi progressivo di una classe di <fruitori della spesa pubblica> —prima diretti poi anche indiretti— dalla produttività discutibile, ma dalla influenza politica anche ampia;

• (per il sistema produttivo): rarefazione dei flussi di risparmio intercettabili; interazione con propagatori pubblici via via meno efficienti; perturbamenti nel mercato del lavoro; maggiori flussi di domanda aggregata per consumi anche voluttuarî ed effimeri, però prontamente aperti alla concorrenza internazionale; eventuali difficoltà finanziarie e valutarie ove il sostegno dello stock richieda l'incremento dei saggi-segnale, o comporti la svalutazione della divisa nazionale;

• (per la collocazione internazionale): modifica artificiale, e via via peggiore, della collocazione internazionale dal punto di vista commerciale, valutario, talora finanziario; favore alterno degli investitori internazionali, almeno fino a che continui il <servizio del debito> né sia dichiarata l'insolvenza (default); degrado progressivo

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del potere negoziale di tipo lato sensu politico nel concerto delle nazioni.

Al fine della soluzione di continuità —o comunque del miglioramento—

del plesso patologico <disavanzo d'esercizio - indebitamento statale> i rimedî sono noti in letteratura sin dal tempo di Massimiliano di Sully (1560-1641), il grande ministro di Enrico IV che risana le finanze di Francia per poi ritirarsi a vita privata, e descriverli nelle proprie memorie (1638).

Del resto anche nella pubblicistica oggi corrente si dice occorra:

- dal punto di vista delle grandezze assolute ristabilire l'<avanzo primario>, - dal punto di vista relativo —e dei giudizî internazionali— migliorare il

rapporto disavanzo/Pi.l. Ora, questa seconda annotazione si ricollega da un lato appunto al

volume del P.i.l., dall'altro, ancora una volta, all'avanzo primario. Tralasciando qui il problema delle dimensioni e della dinamica del Prodotto interno lordo (in parte noto, in parte estraneo a questa sede), si ritorna dunque al suggerimento tante volte oggi predicato —anche con toni dottrinali— quale nuova panacea: <ristabilire l'avanzo primario>.

Il punto, anche alla luce del § 2. supra, è meno immediato di quanto non sia a dire; e potrebbe anche venire descritto nei due tempi denominabili a) azzeramento del fabbisogno primario, b) generazione di avanzo primario.

Al fine di ricostituirlo, d'altra parte (cfr. i §§ 1. e 2.), esistono sostanzialmente i soli modi seguenti, che sono poi quelli tradizionali della Finanza pubblica classica e dell'Economia aziendale di sempre [aprioristicamente escluse dunque le vie pur possibili —storicamente note— i) dell'inflazione della circolazione, ii) del disconoscimento del debito sovrano]:

1. applicazione della struttura impositiva data a un accresciuto volume di P.i.l.;

2. aumenti di gettito tributario per inasprimento delle imposte ordinarie (dirette o indirette) o per imposte nuove;

3. imposte straordinarie una tantum; 4. privatizzazioni-cartolarizzazioni anche speciali, il cui gettito venga

peraltro versato in <Casse di Ammortamento del Debito Pubblico> come nella Francia degli anni Trenta o negli Stati Uniti d'America dei nostri giorni (questo sì ai fini finanziarî, ma complementarmente deontologici, politici, pedagogici e commotivi).

Peraltro, gli esiti delle vie ora ricordate (non di rado, e opportunamente, complementari), andranno poi valutati —negli importi, nelle scadenze,

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negli effetti eventualmente deflattivi sul sistema, nelle conseguenze finanziarie, sociali e politiche— in funzione del rapporto fra le variabili-chiave note in letteratura, fra le quali ci si limita qui a rammentare:

i. l'extra-gettito di cui al n. 1., da acclararsi ragioneristicamente in effettivo, e non astrattamente secondo soluzioni esatte di più o meno plausibili equazioni macroeconomiche;

ii. lo stock esistente di debito, anche nella sua distribuzione per importi, per scadenze, per saggi;

iii. il costo del <servizio del debito>, iv. la potenzialità tributaria di breve e di medio periodo, e gli effetti dei

nn. 2. e 3. citati sia sul gettito effettivo (e sulla sua distribuzione temporale) sia, più ampiamente, sull'efficienza produttiva del sistema (compresa l'eventuale depressione del P.i.l. medesimo).

Nell'attesa, è peraltro noto che importi difficilmente pronunciabili di debito pubblico inducono comunque problemi gravosi, oltre a quanto più sopra variamente ricordato, anche da due specifici punti di vista:

1. della struttura che lo stock del debito viene ad assumere nel tempo nell'incrocio fra scelte politiche, esigenze di finanziamento, volontà tecniche e varia risposta dei mercati;

2. della gestione dello stock medesimo.

Per quanto riguarda la struttura si ricomprendano in essa le seguenti variabili: a) l'ammontare totale del debito, suddiviso per struttura di scadenze, e posto in relazione sia con il P.i.l. sia —per i motivi ricordati— con le entrate tributarie stabilizzate nonché con l'avanzo/disavanzo primario; b) il classamento dello stesso in portafogli interni o internazionali, privati o pubblici, familiari o istituzionali; c) i saggi di interesse nominali, d) la volatilità del medesimo, in funzione delle dinamiche standard (nonché straordinarie) dei flussi finanziarî internazionali, del fattore (c) supra, e degli fattori nazional-tipici.

A) In tema di ammontare assoluto, lo stock italiano ha superato 1.500

miliardi di Euro, ed è uno dei primi tre al mondo; come ammontare relativo, esso è pari al 105% del P.i.l., rispetto al 27-33% del periodo 1948-1969. La struttura di scadenze è preponderantemente accentrata sul breve periodo.

B) Il classamento, largo in precedenza nei portafogli nazionali, ora è per

circa l'80% in portafogli internazionali (stima), eminentemente pubblici o comunque istituzionali.

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C) Il saggio di interesse nominale, già maggiore fino a 200-250 punti-base al tempo della denominazione in lire, riavvia (mentre si scrive) tale tendenza, esso quotando circa 20 punti-base rispetto a prestititi comparabili denominati in Euro emessi da altri Stati sovrani.

D) La volatilità —che necessiterebbe beninteso di informazioni altre per

venire adeguatamente valutata— pare temporaneamente acquetata dalla (ri)denominazione in Euro di vaste masse di investimenti internazionali non-azionarî, ri-denominazione che probabilmente attutisce (occulta?) pro tempore la continua ricollocazione fra emittenti, e fra scadenze relativamente al medesimo emittente (cfr. anche ultra). I ricordati mutamenti nella struttura sia sono produttori autonomi di

ulteriori modifiche strutturali, sia manifestano effetti di rilievo nei processi di gestione dello stock.

La ri-denominazione in Euro del debito dello Stato italiano, se ne ha

favorita la stabilizzazione relativa come pure il minor costo assoluto —vuoi per la stabilizzazione citata vuoi per la sottomissione alle restrittive politiche monetarie dell'Unione—, ne ha anche indotto l'internazionalizzazione ampia e definitiva, questa nondimeno favorita dalle politiche di smobilizzazione delle famiglie italiane per finanziamento di investimenti immobiliari o di consumi effimeri o durevoli (e favorita anche da investimenti estero-vestiti?). Ma con l'ingresso in un mercato secondario infinitamente più ampio, se si è guadagnato in stabilità e liquidabilità, è comunque diminuito, fra l'altro, il potere sovrano —diretto e indiretto— dell'emittente sui sottoscrittori.

Tale internazionalizzazione di prenditori, nel passaggio da residenti a non-residenti, si è inoltre traslata da portafogli generalmente privati (o di istituzioni nazionali) a portafogli degli operatori finanziari internazionali, tipicamente le grandi banche globali.

Questa traslazione non è senza effetti sulla stabilità dello stock medesimo: maggiore per la ri-denominazione ricordata, essa può tornare a volatile giacché gli investitori di cui trattasi sono operatori specializzati, descrivibili anche come marginali nel senso che applicano la logica dell'efficienza marginale (Leporati, 1987).

Essi sono quindi i) acquirenti all'ingrosso, ii) contraenti sistematicamente attenti alla qualità del debito (rating)(e anche più sensibili alla sola qualità percepita?), iii) valutatori anticipati, iper-critici sia delle convenienze comparate sia del rischio di interesse nelle sue varie forme (Leporati, id.).

Essi possono dunque caratterizzarsi, nell'ampliarsi delle partite o nel deteriorarsi del rischio-paese, per preferenze anche rapidamente volatili (ad

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esempio preannunciate sull'interbancario) nonché per pressioni sui prezzi anche con grandi volumi, così anticipando-accentuando-accelerando il rigiro delle partite rispetto al trend.

La distribuzione prevalente sul breve rispecchia condizioni molteplici sia di mercato sia di politica del bilancio pubblico e di soddisfacimento delle esigenze di esso. Rispecchia dunque fra gli altri i fattori seguenti: • la frequente pressione del fabbisogno di cassa; • il <potere di mercato> degli acquirenti per timing-scadenze-volumi-

caratteristiche tecniche (Ranuzzi, 1989); • l'impossibilità (o l'onerosità) di emissioni a medio-lungo termine; • la difficoltà di allungare la durata media del debito e la vita media delle

emissioni anche per i timori di rischio-interesse da parte dei prenditori (i titoli a breve sono senz'altro più flessibili, ma fatalmente plasmati sulla famiglia dei saggi di interesse correnti comparati —più l'eventuale risk premium—, dunque sia forieri di alterni vantaggi al discendere-ascendere e stabilizzarsi dei saggi, sia produttivi di effetti per tutte le famiglie di saggi variamente riconducibili al breve); infine,

• processi di gestione non sempre unificati nel senso di Tobin. Forse, il miglioramento della situazione potrebbe risultare

esclusivamente dalla realizzazione dei nn. 1-4 supra (cfr. p. 29). In realtà, come in tutte le ristrutturazioni economiche d'azienda —in

particolare reddituali-finanziarie—, le misure ricordate ivi potrebbero costituire un unicum strutturale di politica economica (con risvolti anche internazionali) il quale potrebbe apportare vantaggi funzionali (i.e. ai profili di gestione finanziario-monetarî citati) che, a propria volta, contribuirebbero all'ulteriore miglioramento strutturale: per questo le aziende —e fra essi l'Azienda-Stato— sono sistemi unitarî nello spazio e nel tempo.

Si potrebbero quindi ipotizzare, quale effetto congiunto —certo né immediato né semplice, una volta ridotto (o addirittura invertito?) il risk-premium dunque migliorata la famiglia di costi unitarî—:

• l'allungamento della durata media del debito, dunque il miglioramento della sua struttura per scadenze;

• la progressiva trasformazione a saggio fisso per classamento di grandi emissioni "in tendenza", ove sia poi lasciato al mercato —via stripping, strapping, hedging et al.— di costruirsi le sofisticate famiglie di portafogli che così ben corrispondono alla di lui specializzazione.

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5. Conclusioni

I problemi dell'equilibrio —o del minore squilibrio— del bilancio pubblico dello Stato italiano, e dei grandi aggregati della finanza pubblica, costituiscono ormai oggetto quotidiano della cronaca economico-politica, e la complessità della situazione è così nota da consentire di non trattenervisi in questa sede.

Peraltro, pareva rilevante ai co-autori —prima di trattare il tema in modo più organico anche per identificare gli ipotetici rimedî— precisare alcune riflessioni riferibili a due punti prevî, economico-tecnici.

Il primo riguarda le quantità in discorso le quali —siano esse reddituali, patrimoniali, monetarie o finanziarie— sono di natura economico-aziendale e di determinazione ragioneristica, con quanto deve conseguirne dal punto di vista: a. della natura delle grandezze, b. dei principî della loro determinazione, incluso il non irrilevante

problema del perimetro di riferimento, c. dell'analisi di fondi e di flussi e per cassa e per competenza; d. della combinazione —e della manovra— economico-tecniche delle

grandezze medesime. Il secondo concerne la logica di gestione dell'azienda pubblica

territoriale, difficile mixtum —dall'Attica, da Mitridate Eupator Re del Ponto, dalla Roma repubblicana— di economia e di politica, di idealità e ideologie, di altruismi e interessi privati: talora l'incivilimento dei filosofi antichi riproposto poi da Giandomenico Romagnosi, talaltra il sulfureo, non infrequente ladroneccio della cosa pubblica.

Quella gestione va cioè pensata (ri-pensata?) sulla base dei principî propriamente economico-aziendali dell'equilibrio economico (reddituale, patrimoniale, finanziario-monetario) inter-temporale, dello sviluppo, della crescita. Abbandonando così ipotesi macroeconomiche talora insensate nelle loro premesse —dunque nefaste nelle loro conseguenze—, per fondare viceversa proprio in quei principî le prescrizioni (e le progettualità futuribili) della politica economica e della finanza pubbliche.

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commerciali, aprile 2002. 21. Vincenzo CIOFFO, La riforma dei servizi a rete e l'impresa multiutility, maggio 2002. 22. Giuseppe MARZO, La relazione tra rischio e rendimento: proposte teoriche e ricerche

empiriche, giugno 2002. 23. Sergio ALBERTINI, Francesca VISINTIN, Corporate Governance e performance

innovativa nel settore delle macchine utensili italiano, luglio 2002. 24. Francesco AVALLONE, Monica VENEZIANI, Models of financial disclosure on the

Internet: a survey of italian companies, gennaio 2003. 25. Anna CODINI, Strutture organizzative e assetti di governance del non profit, ottobre

2003. 26. Annalisa BALDISSERA, L’origine del capitale nella dottrina marxiana, ottobre 2003. 27. Annalisa BALDISSERA, Valore e plusvalore nella speculazione marxiana, ottobre

2003. 28. Sergio ALBERTINI, Enrico MARELLI, Esportazione di posti di lavoro ed

importazione di lavoratori:implicazioni per il mercato locale del lavoro e ricadute sul cambiamento organizzativo e sulla gestione delle risorse umane, dicembre 2003.

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30. Rino FERRATA, Le variabili critiche nella misurazione del valore di una tecnologia, aprile 2004.

31. Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Co-branding e valore della marca, aprile 2004.

32. Arnaldo CANZIANI, La natura economica dell’impresa, giugno 2004. 33. Angelo MINAFRA, Verso un nuovo paradigma per le Banche Centrali agli inizi del

XXI secolo?, luglio 2004. 34. Yuri BIONDI, Equilibrio e dinamica economica nell’impresa di Maffeo Pantaleoni,

agosto 2004. 35. Yuri BIONDI, Gino Zappa lettore degli Erotemi di Maffeo Pantaleoni, agosto 2004.

∗ Serie depositata a norma di legge

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