IL CROLLO DELLA FECONDITÀ IN ITALIA · industrializzati è stato definito come seconda transizione...

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1 IL CROLLO DELLA FECONDITÀ IN ITALIA CAMBIAMENTI NELLE SCELTE FAMILIARI E PROCREATIVE NELLE REGIONI ITALIANE Romina Gadler Febbraio 2007

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IL CROLLO DELLA FECONDITÀ IN ITALIA

CAMBIAMENTI NELLE SCELTE FAMILIARI E PROCREATIVE NELLE REGIONI ITALIANE

Romina Gadler Febbraio 2007

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Indice

Indice ................................................................................................................................... 2 Introduzione ......................................................................................................................... 3 1. La bassa fertilità, un problema di tutti i Paesi europei post-industrializzati. .................. 4 2. Studiare le scelte procreative. ...................................................................................... 6 3. La bassa fecondità in Italia. Una questione di scelte (non fatte). .................................. 8 4. Fattori influenti sulle scelte familiari e procreative. ..................................................... 11 5. Aspetti socio-economici e TFT nelle regioni italiane ................................................... 13 6. Differenze regionali nelle scelte familiari e procreative. .............................................. 16 7. Appendice ................................................................................................................... 23 8. Bibliografia .................................................................................................................. 25

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Introduzione

Lo studio dei tassi di fecondità è un argomento che ha coinvolto l’interesse di più discipline, prima di tutte la demografia che si è interessata ai cambiamenti strutturali della popolazione in seguito al crollo delle nascite. La questione è altresì entrata a far parte il dibattito sociologico perché riguarda dei comportamenti che nel tempo hanno cambiato soprattutto la struttura famigliare e i tempi di transizione ai ruoli adulti, aspetti entrambi particolarmente analizzati dai sociologi.

La diminuzione del numero di figli medio per donna è un fenomeno che ha interessato tutti i paesi industrializzati a partire dagli anni ’60, causando non pochi problemi per quanto riguarda lo squilibro generazionale e il conseguente problema previdenziale. Molti studi hanno cercato di individuare le cause del crollo delle nascite, ricorrendo a spiegazioni che vanno dall’allungamento delle tappe del divenire adulti, all’entrata nel mercato del lavoro della donna, al cambiamento culturale che vede mutato il valore dato ai figli.

Nel paper verranno considerati diversi approcci teorici per individuare quei fattori responsabili del mutamento delle scelte procreative. In particolare il presente lavoro si focalizzerà sulla spiegazione delle differenze dei tassi di fecondità totale nelle diverse realtà regionali italiane, per capire se i comportamenti legati alla fertilità che si riscontrano nelle regioni italiane si possono ricollegare alle stesse situazioni strutturali legate al contesto socio-economico, oppure ad atteggiamenti culturali differenti presenti nelle diverse realtà regionali, che spingono a fare particolari scelte procreative, o invece se queste difformità sono riconducibili a sistemi di politiche sociali presenti nelle diverse regioni, che favoriscono oppure ostacolare la nascita dei figli all’interno della famiglia.

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1. La bassa fertilità, un problema di tutti i Paesi europei post-industrializzati.

Considerando un arco temporale di oltre 50 anni, si può osservare come il tasso di

fertilità totale1 (d’ora in poi TFT) di nove paesi europei presi in considerazione, sia mutato nel tempo (Figura 1). A partire dalla seconda metà degli anni ’60 si osserva una rapida diminuzione del TFT che scende, dopo gli anni ’70, sotto il valore di sostituzione della popolazione, per tutti i paesi presi in considerazione esclusa la Spagna. Il TFT continua a diminuire fino agli anni ’80 e in particolare a partire dal 1985 si può notare come complessivamente tenda, fino ai nostri giorni, ad essersi stabilizzato tra l’1,5 e l’1,6.

Questo crollo dei tassi di fecondità che ha interessato i paesi occidentali post-industrializzati è stato definito come seconda transizione demografica (Orviati e Candian 1995), fenomeno che inesorabilmente ha cambiato la struttura della popolazione portando con sé non poche problematiche. Di fatti quando il TFT scende al di sotto del livello di sostituzione, come è accaduto in tutti i paesi europei grossomodo a partire dalla seconda metà degli anni ’70, si manifesta uno squilibrio generazionale. In primo luogo con il crollo delle nascite subentra la diminuzione della quota lavoratori attivi e di conseguenza emerge un problema riguardante il pagamento dei contributi previdenziali per una popolazione anziana che diventa sempre più numerosa (Keilman 2003). Altri studi hanno messo in evidenza come la diminuzione del TFT sia associata al declino della famiglia intesa come unità produttiva nella quale tra i suoi membri vengono scambiate una serie di beni e servizi tra i quali la protezione, la sussistenza e il sostegno psicologico (Axim 2001). In questo senso, il crollo dei TFT, sul lungo periodo, rende le persone che decidono di non sposarsi e/o di non avere figli, più soggette ai rischi della povertà poiché prive di quei legami che la famiglia tradizionale può offrire (Keilman 2003). L’instaurarsi di famiglie unipersonali o costituite solo da due persone, mette in crisi il sistema familiare inteso come unità consumatrice di beni, con conseguenti problemi per l’economia dei paesi che vedono precipitare il proprio TFT (Axim 2001).

Osservando l’andamento italiano, emerge come in alcuni periodi, i valori del TFT siano stati sempre particolarmente bassi rispetto agli altri paesi o comunque nell’arco di tempo considerato non hanno mai superato il 2,7. Questo per dire come la bassa fecondità rispetto alle altre realtà nazionali, non è una tendenza emersa in Italia solo negli ultimi anni, anzi tra gli anni ‘50 e ‘60 l’Italia ha avuto dei TFT tra i meno elevati rispetto al resto dell’Unione Europea. Solo tra gli anni ’70 e ’80, ha mostrato valori superiori alla media, ma la tendenza era sempre quella della diminuzione.

Da notare è il fatto che, a partire dagli anni ‘80, mentre gran parte dei paesi europei stabilizzano il loro TFT e in alcuni casi lo vedono aumentare, il TFT dell’Italia, insieme a quello di Spagna e Germania scende notevolmente sotto l’1,5. Solo dopo il 1995 sembra che la situazione si stia stabilizzando e addirittura sembra ci sia una timida ripresa.

1 Il Tasso di fecondità totale (TFT) è la somma dei tassi specifici di fecondità. In particolare il tasso specifico di fecondità è il rapporto tra numero di nati vivi da donne di età x per l'ammontare della popolazione residente femminile (in età feconda 15-49) della stessa età x per 1.000. Fonte:Istat

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Figura 1 Tassi di fecondità totale dal 1950 al 2005 in 9 paesi europei.

Fonte: Eurostat

1

1,5

2

2,5

3

3,5

1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

Tas

so d

i fec

on

dit

à to

tale

Danimarca Germania (inclusa ex DDR) Spagna

Italia Paesi Bassi Finlandia

Gran Bretagna Norvegia Belgio

media

Spostando l’attenzione all’interno del contesto regionale italiano si possono notare

ulteriori differenze. Prendendo in considerazione l’arco temporale che va dal 1999 al 2005, emerge come le regioni che mostrano un TFT significativamente più elevato rispetto alla media siano Trentino Alto Adige, Campania e Sicilia e in misura minore la Puglia. Le regioni invece che esibiscono TFT molto bassi sono l’Abruzzo, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, il Molise, la Sardegna e la Toscana. In particolare sono Sardegna e Liguria a presentare i TFT più bassi nel contesto italiano2.

2 Per verificare se le differenze di TFT sono significative si è effettuato un confronto fra medie attraverso un modello lineare generalizzato prendendo come regione di riferimento il Veneto, perché riportante valori molto simili rispetto alla media nazionale (si veda appendice)

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Figura 2 Tassi di fecondità totale dal 1999 al 2005 nelle regioni italiane.

Fonte: Istat

0,95

1,05

1,15

1,25

1,35

1,45

1,55

1,65

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto

Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria

Marche Lazio Abruzzo Molise Campania

Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

È opportuno sottolineare che il TFT « costituisce una stima del numero di figli che una donna partorirebbe se sopravvivesse sino alla fine del periodo fertile» (Zanier 2001), sotto questo valore possono nascondersi diverse tendenze tra le quali l’aumento delle donne che decidono di non avere figli oppure l’affermazione delle famiglie con un solo figlio. Primo passo sarà pertanto capire quali sono le tendenze a livello nazionale che spiegano la diminuzione del TFT, prendendo in considerazioni le diverse coorti di età e come nelle generazioni sia cambiata l’incidenza delle donne che decidono di non sposarsi e/o di non avere figli.

2. Studiare le scelte procreative.

Il problema delle scelte procreative può essere semplificato con un sistema di opzioni che la donna può seguire in sequenza rispetto alla variabile età. L’analisi pertanto si concentrerà sulle scelte effettuate dalle donne, verranno esclusi gli uomini, poiché come fanno emergere molti studi (De Sandre 1997 e 1999, Bresci Livi Bacci 2003, Mare Maralani 2006) i fattori che maggiormente hanno influenzato la variazione delle scelte procreative, riguardano i mutamenti intervenuti nella popolazione femminile, primo fra tutti l’innalzamento per le donne dei livelli di istruzione e l’entrata nel mondo del lavoro, pertanto l’attenzione si è focalizzata alle scelte effettuate dalla componente femminile.

In questo caso, non si parlerà solo della scelta di avere o meno un figlio, bensì si partirà considerando l’opzione di creare un nucleo familiare attraverso il matrimonio oppure la convivenza; in questo caso si tratta di scelte qui definite familiari. Successivamente a questa scelta c’è il secondo step che riguarda l’avere o meno dei figli.

La sequenza di decisioni è riassunta in uno schema analitico che rappresenta le opzioni familiari e procreative (Figura 3). Il primo passo del processo di scelta, come è

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stato detto, riguarda l’opportunità di creare un nucleo familiare attraverso il matrimonio oppure la convivenza. Sia per le donne che decidono di non legarsi a qualcuno, sia per coloro che decidono di creare un nucleo familiare, c’è la possibilità di avere un figlio, nel primo caso si tratta di figli nati al di fuori di una coppia (sia essa costruita attorno a una convivenza oppure basata sul matrimonio) situazione che come vedremo è poco diffusa in Italia, poiché la gran parte dei figli nascono all’interno di un nucleo familiare; nel secondo caso si ha un figlio all’interno di una coppia sposata/convivente. Successivamente al primo evento di fertilità, la donna può avere diverse gravidanze successive finché la variabile età glielo permette.

Figura 3 Schema analitico della sequenza di scelte familiari e procreative che una donna effettua nel corso della sua vita.

Utilizzando questo modello come schema orientativo, il paper ha le seguenti finalità: – In un primo momento capire con quale incidenza, nelle diverse coorti di età, le donne hanno fatto le diverse scelte sopra elencate, per individuare come i comportamenti legati alle unioni e alla fecondità siano mutati nel tempo, in modo da chiarire quali siano le tendenze che spiegano il crollo dei TFT in Italia a partire dalla seconda metà degli anni ’60. In particolare per comprendere se si tratta semplicemente di un crollo delle unioni, oppure di un aumento delle coppie senza figli, oppure se si tratta di una diminuzione delle famiglie numerose con due o più figli. – In secondo luogo, attraverso alcuni contributi teorici, individuare quali sono i fattori che possono spiegare il mutamento delle scelte familiari e procreative, prendendo in considerazione alcune variabili, che inserite nello schema analitico considerato, possono andare a influenzare le opzioni di scelta. – Successivamente controllare se i fattori che influenzano le scelte procreative, siano correlati con i TFT. Utilizzando dei dati a livello regionale si vedrà se esiste una correlazione significativa tra TFT e alcuni indicatori territoriali. – Una volta individuati i fattori correlati ai TFT, individuare se le differenze a livello regionale dei TFT, sono riconducibili a situazioni socio-economiche simili, oppure riconducibili a differenze culturali oppure legate a diverse politiche sociali per le famiglie presenti sui territori, che orientano le scelte procreative delle donne.

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3. La bassa fecondità in Italia. Una questione di scelte (non fatte).

Si cercherà ora brevemente di ricostruire, attraverso le generazioni di intervistati3,

con quali modalità e frequenze le scelte familiari sopra elencate sono state prese dalle donne italiane. Considerando prima di tutto l’opzione di avere un’unione attraverso un matrimonio oppure una convivenza, emerge che oltre il 90% delle nate fino al ’57 hanno creato un nucleo familiare (Figura 4). Per la coorte ‘58-‘67 questa percentuale scende all’82% fino a superare di poco il 24% per le donne più giovani della coorte ’68-’78. Emerge perciò come sempre meno donne nate successivamente al ‘58, scelgano di sposarsi oppure di intraprendere una convivenza. Una causa potrebbe essere la massiccia entrata nel mondo del lavoro della donna, elemento che rende la componente femminile più autonoma economicamente e anche psicologicamente dall’uomo, per cui il matrimonio non è più una scelta che garantisce alla donna una certa sicurezza materiale (De Sandre et al. 1997). Per quanto riguarda le ragazze della coorte più giovane, le quali al momento dell’intervista avevano dai 20 ai 30 anni, solo il 24% ha scelto di sposarsi oppure intraprendere un matrimonio, questo dato indica come da un lato la scelta di creare un nucleo familiare sia meno appagante per le giovani donne e in secondo luogo come questa opportunità sia probabilmente posticipata più avanti. Questa tendenza ad evitare il matrimonio o la convivenza provoca di conseguenza un calo delle nascite poiché gli episodi di fecondità al di fuori del matrimonio interessano poche donne come confermeranno i risultati emersi. Inoltre, il posticipare il matrimonio/convivenza oltre i 30 anni, potrebbe ridurre il tempo utile a disposizione di una donna per avere uno o più figli.

Figura 4 Donne che hanno creato un nucleo familiare attraverso il matrimonio oppure la convivenza per coorte di nascita (Incidenze %).

Elaborazione dati ILFI 1998 N= 5550

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20

30

40

50

60

70

80

90

100

fino al1927

28-37 38-47 48-57 58-67 68-78Coorti di nascita

%

Le donne che non hanno esperito un matrimonio/convivenza, ma hanno avuto un

figlio, non superano mai il 15% (Figura 5). Inoltre si può notare come per le nate dopo il ’58 la frequenza di nascite al di fuori di un’unione sia particolarmente basso, tendenza probabilmente legata da una parte alla forte diffusione a partire dalla fine degli anni ’60 dei

3 Per le analisi si utilizzano i dati dell’Indagine Multiscopo sulle famiglie dell’ISTAT anno 2003

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contraccettivi orali e dall’altra alla legalizzazione dell’aborto, elementi che hanno fatto sì che ci sia un calo massiccio delle nascite al di fuori di una coppia.

Figura 5 Donne che non hanno creato un nucleo familiare attraverso il matrimonio oppure la convivenza e hanno avuto un figlio per coorte di nascita (Incidenze %).

Elaborazione dati ILFI 1998 N = 1322

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70

80

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fino al1927

28-37 38-47 48-57 58-67 68-78Coorti di nascita

%

Pertanto, nell’arco di tempo considerato, la gran parte di nascite avviene all’interno

di un’unione familiare. Considerando perciò le donne che hanno scelto di sposarsi oppure convivere, è interessante capire quante donne sposate/conviventi decidono di avere un figlio. Dai dati emerge come oltre il 90% di coloro che hanno formato un nucleo familiare e sono nate negli anni precedenti il ’57 hanno avuto almeno un figlio, questo conferma come effettivamente la procreazione per quasi la totalità delle donne delle generazioni precedenti il ‘58, rappresentasse una tappa fondamentale (Figura 6). Diversi i comportamenti per le generazioni successive. Tra le donne della coorte ‘58-‘67, l’87% ha avuto un figlio, mentre la percentuale scende al 72% per la coorte più giovane. Anche in questo caso emerge come da un lato le giovani donne decidano di non avere figli e dall’altro come la scelta potrebbe essere fatta in età più avanzate, in questo caso dopo i 25-30 anni.

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Figura 6 Donne che hanno creato un nucleo familiare attraverso il matrimonio oppure la convivenza e hanno avuto almeno un figlio per coorte di nascita (Incidenze %).

Elaborazione dati ILFI 1998 N= 4147

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

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fino al1927

28-37 38-47 48-57 58-67 68-78Coorti di nascita

%

Spostando l’attenzione invece al numero di figli, è importante vedere, come cambia

nelle diverse coorti di nascita l’incidenza delle donne sposate o conviventi che scelgono di avere due o più figli, per capire se, oltre alle tendenze appena descritte, vi sia anche quella di evitare il secondo figlio. Anche in questo caso emerge che per le nate fino al ’57 la nascita del secondo figlio è stata una scelta effettuata da oltre il 70% delle donne che avevano creato un nucleo familiare. Per le coorti successive questa alternativa riguarda sempre meno donne: il 56% della generazione ‘58-‘67 e solo il 34% delle giovani nate tra il ‘68-‘78. In questo caso i dati potrebbero indicare sia la tendenza a evitare due o più gravidanze, sia che la nascita del secondo figlio venga posticipata.

Figura 7 Donne che hanno creato un nucleo familiare attraverso il matrimonio oppure la convivenza e hanno avuto due o più figli per coorte di nascita (Incidenze %).

Elaborazione dati ILFI 1998 N= 4147

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30

40

50

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90

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fino al1927

28-37 38-47 48-57 58-67 68-78Coorti di nascita

%

Cercando di ricostruire le tendenze delle scelte familiari in rapporto al declino dei

tassi di fertilità totali, si può dire innanzitutto che a partire dalle coorti di nascita del ’58, il matrimonio oppure la convivenza rappresenta una scelta effettuata da sempre meno

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donne, soprattutto nella fascia d’età tra i 20 e i 30 anni, nella quale le giovani donne intervistate hanno creato un nucleo familiare solo nel 24% dei casi. Si può parlare pertanto di declino del matrimonio a partire dalla seconda metà degli anni ‘70 periodo nel quale l’Italia è stata interessata da numerosi fenomeni che indubbiamente hanno influenzato le scelte familiari delle donne. Basta pensare all’entrata massiccia nel mondo del lavoro della donna e quindi alla sua indipendenza economica a psicologica, alla diffusione di una cultura femminista che propone l’emancipazione della donna dall’autorità maschile (e pertanto anche quella di un’eventuale marito), al mutamento del diritto di famiglia che sicuramente ha cambiato sul piano valoriale la visione dei rapporti familiari, inoltre l’espansione dei metodi contraccettivi unita alla diffusione di una certa cultura sessuale piuttosto libera rispetto ai costumi tradizionali imposti dalla Chiesa, ha fatto si che uomini e donne, per avere dei rapporti sessuali, non dovessero per forza sposarsi come probabilmente avveniva prima.

Per quanto riguarda le nascite, i casi di gravidanza al di fuori di un’unione sono sempre stati dei fenomeni piuttosto marginali, riguardanti circa il 10% delle single. Da notare è il fatto che per le ultime coorti diminuiscono ulteriormente questi eventi di fertilità al di fuori di un’unione, probabilmente per la diffusione di anticoncezionali e la pratica legalizzata dell’aborto.

Anche all’interno del matrimonio/convivenza, c’è un calo ulteriore delle nascite. Di fatto per le nate prima del ‘57, una gravidanza interessava oltre il 90% delle donne sposate o conviventi, mentre questa percentuale scende al 70% per le ultime coorti. Ulteriore diminuzione si ha per la percentuale di donne sposate nate dopo il ’48 che hanno avuto due o più figli, questo dato indica che già a partire dalle generazioni degli anni ’50, si andava ad affermare il modello familiare che prevedeva il figlio unico, tendenza che è andata a rafforzarsi notevolmente nelle coorti successive. Riassumendo ciò che è emerso dai dati, si possono individuare le seguenti tendenze che si sono manifestate chiaramente a partire dalle nate nelle generazioni degli anni ‘60:

– Calo di donne che decidono di intraprendere un’unione attraverso il matrimonio o la convivenza. – Calo di donne che hanno una gravidanza al di fuori di un’unione. – Calo di donne sposate o conviventi che hanno un figlio. – Calo di donne sposate o conviventi che decidono di avere due o più figli.

Partendo da queste tendenze che spiegano il crollo dei TFT, si cercherà di individuare quali sono stati i fattori che hanno spinto la maggior parte delle donne ad orientarsi verso le scelte familiari e procreative appena descritte.

4. Fattori influenti sulle scelte familiari e procreative.

L’avere un figlio rappresenta l’ultima tappa di quel percorso, fatto di cambiamenti di status e assunzioni di ruolo, che convenzionalmente viene definito transizione alla vita adulta (Barbagli, Bagnasco e Cavalli 1997, Pisati 2002). Molti hanno osservato come la bassa fertilità sia legata al fatto che i tempi per raggiungere le diverse tappe siano largamente posticipati, in primo luogo perché gran parte degli individui a partire dagli anni ‘60 allungano la loro permanenza nel sistema formativo. Il fatto che una grande percentuale della popolazione, in particolare le ragazze, compiano studi universitari, posticipa la possibilità di trovare un lavoro, di uscire di casa, formare un altro nucleo familiare e successivamente di avere un figlio (Billari 2000, Luchini e Schizzerotto 2001, Barbagli et al. 2003). Inoltre sembra che per le ultime coorti sia venuta meno la prescrittività del passaggio alla vita adulta, pertanto affievolendosi o scomparendo

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quell’insieme di norme e aspettative sociali sull’età del raggiungimento delle tappe della vita adulta, ogni individuo tende a flessibilizzare e personalizzare il proprio corso di vita (Pisati 2002, Luchini Schizzerotto 2001). In parte legato agli aspetti sopra ricordati vi è la posticipazione del matrimonio. Dai dati visti precedentemente è emerso che la gran parte delle nascite avviene all’interno del matrimonio. Se si considera che: 1)l’età mediana del matrimonio è posticipata, sia per effetto della lunga permanenza nel sistema educativo, sia perché l’uscita dei giovani dalla famiglia di origine in Italia è particolarmente difficoltosa (Billari e Ongaro 1999, Dalla Zuanna 2003); 2) la percentuale di chi decide di sposarsi tende a diminuire (De Sandre et. al 1997), si può ipotizzare come anche i tassi di fertilità tendano a diminuire visto che è all’interno del matrimonio che in Italia si hanno figli.

Al titolo di studio elevato si collegano altri fenomeni legati alla fecondità. In particolare le donne laureate hanno una maggiore probabilità di trovare lavoro, hanno maggiore propensione a fare carriera e a far sfruttare nel mercato del lavoro l’investimento di risorse impiegate nella formazione. Inoltre le ragazze con alto livello di istruzione sono probabilmente portatrici di una cultura di emancipazione della donna dai ruoli tradizionali, compresi quelli di madre e moglie (Mare e Maralani 2006).

Altro aspetto che può rappresentare un elemento che influenza le scelte procreative è la condizione lavorativa femminile. In particolare in Italia si è visto come le donne siano costrette a dover scegliere tra figli o lavoro (Bison e Schizzerotto 1996, Bresci e Livi Bacci 2003)sostanzialmente per alcuni motivi:

– politiche sociali che non sostengono attraverso gli opportuni servizi la madre e il bambino; – cultura e organizzazione del lavoro che discrimina le lavoratrici-madri in termini sia di diritti che di segregazione orizzontale e verticale; – disuguaglianza di ruoli all’interno della famiglia, problema meglio noto come doppia presenza, nella quale è la donna che deve occuparsi della cura della casa e dei figli.

Una donna che decide di lavorare, sotto il punto di vista della scelta razionale, vede quindi un figlio come un ostacolo alla propria carriera, da un lato quindi potrebbe decidere di limitare il numero di figli perché non funzionali alla propria attività lavorativa oppure dall’altro scegliere di non averne proprio (Bernardi 1999). Altro aspetto considerato da coloro che hanno studiato le scelte procreative è il mutamento nel tempo del valore dato ai figli, riconducibile a una tendenza che vede la prevalenza di valori che privilegiano l’individuo e non il gruppo (Keilman 2003), atteggiamenti che scoraggiano pertanto le persone a volere dei figli. A questa tendenza individualista si aggiunge il desiderio da parte di una coppia di non vedere le proprie condizioni economiche diminuire (Federici, 1984), perciò molti coniugi decidono di non avere figli per mantenere degli standard di vita elevati. Pertanto alla tendenza attuale che vede la diminuzione dei figli nelle famiglie, si collega una mentalità individualista e la necessità di non vedere il proprio status economico diminuire con l’arrivo di un figlio. Secondo i fattori sopra elencati, le donne con livello di istruzione elevato, che lavorano e vivono una condizione economica soddisfacente, sono le donne che dimostrano di avere meno eventi di fecondità. Cosa ci si aspetta allora dalle donne di classe sociale bassa. Ricerche effettuate dimostrano che per le classi sociali più basse c’é una maggiore propensione ad avere più figli. Questa tendenza è dovuto al fatto che il controllo delle nascite effettuato con metodi contraccettivi è prerogativa soprattutto delle donne con alto livello culturale e di classe sociale medio-alta. In particolare diverse indagini hanno rilevato come sia in contesti di degrado culturale, sociale ed economico che non vengono usati metodi contraccettivi e di conseguenza si hanno fenomeni di fecondità in giovane età e soprattutto un tasso di fecondità elevato (Ongaro 1999)

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Riprendendo quanto detto si può sintetizzare che livello di istruzione elevato, essere occupati, e un atteggiamento valoriale individualistico, rappresentano tutti elementi che disincentivano sia la scelta di sposarsi o intraprendere una convivenza, sia di avere figli. Di conseguenza ne deriva che in contesti tradizionali dove la donna non lavora, non raggiunge livelli di istruzione elevati, con situazioni economiche più precarie ed è inserita in rapporti di coppia asimmetrici, la fecondità è più elevata (De Sandre et al. 1999).

Si potrebbe pensare pertanto che in contesti rurali, dove resiste una mentalità di tipo contadino, è possibile che esista ancora il modello della famiglia numerosa, maggiormente rispetto a contesti urbani dove prevale da un lato le famiglie costituite da single e le coppie senza figli oppure con il figlio unico. In contesti rurali di fatto ci si aspetta che le donne abbiano livelli di istruzione più bassi, opportunità lavorative e di carriera inferiori e che in generale siano legate a un modello di genere tradizionale (Grillo e Pinelli 1999), inoltre può darsi che la prescrittività del passaggio ai ruoli adulti sia maggiormente sentita nei piccoli centri rurali.

Tenendo conto di questi diversi aspetti che possono influenzare i tassi di fecondità si è deciso di operativizzare i concetti sopra citati attraverso alcune variabili che costituiscono, secondo la costruzione fatta dall’ISTAT, degli indicatori territoriali per quanto riguarda la situazione socio-economica delle diverse aree territoriali, utilizzando i quali si ipotizzeranno diverse correlazioni con il TFT. In questo modo si cercherà di capire se a livello macro, esistono effettivamente nelle regioni degli aspetti economici e sociali che influenzano le scelte familiari e di fecondità che vanno poi a determinare il TFT.

5. Aspetti socio-economici e TFT nelle regioni italiane Nel capitolo precedente si sono ricordati alcuni fattori che secondo diversi contributi

teorici basati su analisi empiriche, influenzano le scelte familiari e procreative. Si cercherà ora a livello regionale di individuare quegli indicatori territoriali che possono essere ricondotti ai fattori sopra menzionati. Partendo dal primo elemento considerato, cioè la posticipazione delle tappe del percorso per diventare adulti, riconducibile prima di tutto all’allungamento della permanenza nel sistema educativo, può essere rilevato, a livello regionale, dalla percentuale di donne che a 25 anni sono laureate4. Si ipotizza che in regioni nelle quali questa percentuale è alta, da un lato si avranno meno matrimoni e dall’altro che i tassi di fecondità totale saranno più bassi poiché le ragazze che hanno svolto studi universitari tendono a posticipare le altre tappe del divenire adulti, compresi il matrimonio e la nascita di un figlio, posticipazione che diminuisce il tempo utile per avere più figli. Per quanto riguarda la nuzialità, esperienza che in Italia rappresenta una tappa quasi obbligata prima di avere un figlio, si considereranno tasso di nuzialità femminile5 ed età media al matrimonio6. Il tasso di nuzialità femminile indica in un certo qual modo qual’é la propensione delle donne a sposarsi in una determinata regione, mentre l’età media al matrimonio mostra un elemento che interviene sul tempo utile disponibile alla donna per avere più figli. Pertanto si ipotizza in primo luogo che maggiore è il tasso di nuzialità femminile, maggiore è il TFT e in secondo luogo, maggiore è l’età media al matrimonio per le donne, minore è il TFT.

Tenendo conto della condizione lavorativa della donna, come fattore che influenza la fecondità, si considererà il tasso di occupazione femminile7 a livello territoriale, per capire quanto la presenza nel mondo del lavoro delle donne, va ad incidere 4 Laureati per 100 persone di 25 anni – femmine. Fonte:ISTAT 5 Età media al matrimonio (ponderata con i tassi specifici di nuzialità) – Femmine. Fonte:ISTAT 6 Età media al matrimonio (ponderata con i tassi specifici di nuzialità) – Femmine. Fonte:ISTAT 7 Occupati per 100 persone attive – femmine. Fonte:ISTAT

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territorialmente sul TFT. L’ipotesi è che aumentando la percentuale di donne occupate, cala di conseguenza il TFT, poiché le donne che lavorano, per le questioni sintetizzabili con il problema della doppia presenza, devono rinunciare spesso ad avere figli oppure decidono di averne solo uno.

Le condizioni economiche delle famiglie sono invece misurate tenendo conto della percentuale di famiglie che considerano la propria condizione economica ottima o adeguata8. Secondo la teoria che il crollo delle nascite è legato al bisogno delle famiglie di mantenere degli standard di vita elevati, si ipotizza che proprio dove un gran numero di famiglie dichiarano di essere economicamente soddisfatti, si avranno anche TFT piuttosto bassi.

Per quanto riguarda le differenze territoriali legate a contesti maggiormente rurali, si è considerata la percentuale di aziende agricole a conduzione familiare9, sul totale delle aziende agricole. Si ipotizza infatti che in regioni nelle quali l’incidenza di queste realtà produttive a gestione familiare è molto alta, possa essere presente maggiormente una mentalità contadina che privilegia la famiglia numerosa, pertanto si riscontreranno TFT più alti. Come dati si sono considerati gli indicatori territoriali ISTAT sopra elencati, relativi alle regioni italiane, in un arco di tempo tra il 1999 e il 2005 e sono state verificate le correlazioni tra i diversi indicatori ( Tabella 1).

Per prima cosa si può vedere come il TFT sia correlato positivamente con la percentuale di aziende agricole a gestione familiare. Questo primo dato potrebbe indicare che effettivamente la presenza di un contesto rurale che vede un grande numero di famiglie che gestiscono direttamente le aziende agricole, rappresenti un ambiente culturale che spinge ad avere più figli. In secondo luogo emerge che la percentuale di aziende agricole a gestione familiare è una condizione che influenza a sua volta altri elementi considerati nell’analisi. In particolare al crescere della presenza di queste attività, cala il numero di donne occupate, diminuisce l’età media al matrimonio per le femmine, aumenta il tasso di nuzialità femminile, diminuisce la percentuale di donne laureate a 25 anni e inoltre diminuisce la percentuale di famiglie che si ritengono soddisfatte delle proprie condizioni economiche. Da questi dati si evince che in contesti territoriali caratterizzati da una forte presenza di attività agricole a gestione familiare, si può parlare di contesti tradizionali ancora vicini al mondo contadino, nei quali le donne, in misura maggiore rispetto ad altre realtà, si trovano a seguire dei percorsi di vita tradizionali, pertanto hanno dei livelli di istruzione più bassi, si sposano di più, intraprendono un matrimonio più precocemente, sono meno occupate in attività lavorative, tutti elementi che vanno ad accrescere il TFT. Di fatto osservando i coefficienti di correlazione dei diversi indicatori considerati, tutti risultano essere significativamente correlati con il TFT. In particolare, come si era ipotizzato in precedenza, il TFT diminuisce quando aumenta l’età media al matrimonio per le femmine, aumenta la percentuale di donne occupate, aumenta la percentuale di donne laureate a 25 anni, mentre aumenta in corrispondenza dell’incremento del tasso di nuzialità femminile, tutti fattori strettamente correlati con la presenza di aziende agricole a gestione familiare presenti sul territorio. Solo la percentuale di famiglie che giudicano le proprie risorse economiche adeguate sembra essere non significativamente correlata al TFT, questo potrebbe indicare come la situazione economica non è un fattore che incide sulle scelte procreative, piuttosto sono i contesti socio-culturali a influenzare l’azione.

8 Famiglie che giudicano le proprie risorse economiche ottime o adeguate per 100 famiglie. Fonte:ISTAT 9 Percentuale di aziende agricole a conduzione diretta con manodopera familiare prevalente su totale aziende agricole. (Elaborazione su dati ISTAT).

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Comparando fra loro alcune realtà regionali, ci si aspetta che regioni che presentano simili valori per quanto riguarda gli indicatori considerati, presentino dei TFT simili. Per fare queste comparazioni si sono considerate le tre regioni con i valori relativi al TFT più alti (Trentino Alto Adige, Campania e Sicilia), le tre realtà territoriali con TFT più basso (Sardegna, Liguria e Molise) e una regione che si può considerare in linea con le tendenze medie nazionali (Lombardia) (Tabella 2)10.

Tabella 1 Matrice delle correlazioni osservate tra gli indicatori considerati nella spiegazione dei TFT.

TFT

Età media al matrimonio (femmine)

% donne occupate

% famiglie che giudicano le proprie risorse ec. adeguate

% donne laureate a 25 anni

Tasso nuzialità femminile

% aziende agricole a conduz. fam.

TFT

Pearson Corr

1,000

Sig.

Età media al matrimonio (femmine)

Pearson Corr

-0,392 1,000

Sig. 0,000

% donne occupate

Pearson Corr

-0,250 0,837 1,000

Sig. 0,003 0,000

% famiglie che giudicano le proprie risorse ec. adeguate

Pearson Corr

-0,161 0,484 0,643 1,000

Sig. 0,057 0,000 0,000

% donne laureate a 25 anni

Pearson Corr

-0,419 0,298 0,211 -0,111 1,000

Sig. 0,000 0,000 0,012 0,193

Tasso nuzialità femminile

Pearson Corr

0,414 -0,635 -0,654 -0,628 -0,126 1,000

Sig. 0,000 0,000 0,000 0,000 0,137

% aziende agricole a conduz. fam.

Pearson Corr

0,616 -0,597 -0,631 -0,298 -0,388 0,487 1,000

Sig. 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000

Si può vedere che per quanto riguarda la presenza di aziende agricole a

conduzione familiare, il Trentino Alto Adige mostra valori particolarmente elevati, come del resto, la Campania e la Sicilia, pertanto questo fattore che indica quanto la società sia legata a una struttura produttiva contadina, caratterizza le regioni che mostrano un alto TFT. La stessa cosa non si può dire per le regioni a basso TFT, nelle quali l’incidenza di aziende agricole a gestione familiare non si discostano molto dai valori della Lombardia, salvo nel caso della Liguria, zona dove questo tipo di attività è poco diffusa.

10 Per controllare gli indici territoriali delle altre regioni si veda Appendice.

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Altro elemento che potrebbe spiegare le differenze territoriali è la percentuale di donne laureate a 25 anni. Di fatto Trentino Alto Adige, Campania e Sicilia mostrano dei valori piuttosto bassi, mentre le regioni a basso TFT hanno delle percentuali di donne laureate particolarmente alte, pertanto gli alti livelli di istruzione raggiunti dalle ragazze di queste regioni, potrebbe spiegare il basso valore del TFT.

Tabella 2 Valori medi nell’arco temporale 1999-2005 di alcuni indicatori territoriali per Lombardia, Trentino Alto Adige, Liguria, Campania, Sardegna, Sicilia, Molise.

TFT Età media al matrimonio (femmine)

% donne occupate

% famiglie che

giudicano le proprie

risorse ec. adeguate

% donne laureate a 25

anni

Tasso nuzialità

femminile

% aziende agricole a

conduz. fam.

Lombardia 1,26 28,28 40,09 66,46 22,61 594,92 7,39 Trentino A-A 1,48 28,74 40,49 77,5 17,9 596,66 22,19 Liguria 1,1 29,29 40,11 63,13 29,94 654,03 3,86 Campania 1,47 26,46 29,17 52,46 20,29 766,76 18,82 Sardegna 1,04 28,76 33,19 56,84 26,26 593,74 9,3 Sicilia 1,41 26,35 28,68 50,34 18,1 746,35 13,63 Molise 1,14 27,66 34,62 69,51 29,4 582,59 5,35

Per quanto riguarda l’età media sembra che in Campania e in Sicilia le unioni

vengano effettuate più precocemente rispetto alle altre realtà considerate, fatto tra l’altro che potrebbe spiegare gli alti valori di TFT. Da notare è il fatto che il Trentino, sotto questo punto di vista, presenta dei valori in linea con le altre regioni, pertanto il suo alto TFT non è riconducibile alla precocità del matrimonio. Anche la percentuale di donne occupate, mente in Sicilia e Campania è piuttosto bassa, in Trentino Alto Adige è più alta che altrove, si potrebbe pertanto ipotizzare che le donne trentine e altoatesine, nonostante dimostrino alti tassi di occupazione, riescano a fare più figli perché esiste un sistema di politiche sociali particolarmente favorevole alle madri lavoratrici.

Si potrebbe concludere dicendo che l’alto valore del TFT in Trentino Alto Adige, in Campania e Sicilia, dopo questa analisi dei dati territoriali, potrebbe essere legata alla struttura di tipo contadino di queste regioni, e alla percentuale minore di giovani donne che decidono di fare l’università. Per quanto concerne invece le regioni a basso TFT, questo è dovuto principalmente all’alta percentuale di ragazze con titolo di studio universitario che, come abbiamo visto in precedenza, è una condizione che influenza la posticipazione delle tappe del divenire adulti, facilita l’entrata nel mondo del lavoro della donna e la sua possibilità di fare carriera e tra l’altro presuppone una cultura femminile meno tradizionale.

Partendo da questi risultati che sembrano spiegare attraverso la struttura socio-economica, le variazioni dei TFT, ci si può chiedere se in realtà a livello regionale ci siano altri elementi riconducibili a fattori culturali che sostengono diversi modelli di famiglia, oppure se nei diversi contesti territoriali siano presenti delle politiche sociali che possono avere delle influenze sulle scelte delle persone nello sposarsi e nell’avere figli.

6. Differenze regionali nelle scelte familiari e procreative.

Scopo di questa parte dell’analisi è individuare se a parità delle stesse condizioni sociali ed economiche, nei diversi contesti regionali ci siano differenti propensioni a sposarsi o intraprendere una convivenza, e ad avere dei figli. Le analisi, utilizzando delle

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regressioni logistiche11, permetteranno da un lato di testare gli effetti di alcuni fattori visti in precedenza sulla propensione a fare certe scelte familiari e procreative, e dall’altro di verificare se nei diversi contesti territoriali siano riscontrabili tendenze significativamente diverse riconducibili ad atteggiamenti culturali o a un sistema di welfare per le famiglie più sviluppato.

Cominciando con la scelta di creare un nucleo familiare o meno, si è svolta un’analisi tramite una regressione logistica binomiale, nella quale la variabile dipendente dicotomica è l’essere sposati12. Come variabili indipendenti che concorrono a spiegare la propensione a intraprendere un’unione sono state considerati i seguenti fattori: – livello di istruzione13. Ci si aspetta che a parità di altre condizioni, con l’aumento del livello di istruzione, diminuisca la propensione a creare una famiglia. – frequenza con la quale si va in chiesa. Si tratta di una variabile precedentemente non considerata, ma che può misurare come il condividere dei valori cattolici potrebbe da un lato sostenere l’importanza data dalla religione alla famiglia e dall’altro la pratica religiosa è riconducibile a un’idea tradizionale di moglie e madre che potrebbe avere un effetto positivo sulla propensione a sposarsi (Clerici 1999). Infatti secondo quanto detto, si avanza l’ipotesi che maggiore è la frequenza con cui si va in chiesa, maggiore è la propensione a intraprendere una vita di coppia. – lavoro della donna. Si ipotizza che le donne che lavorano abbiano una minore propensione a sposarsi/convivere, per le ragioni di indipendenza economica precedentemente discussi. – coorte d’età. Attraverso questa variabile si cercherà di capire se effettivamente a parità di istruzione, condizione lavorativa e pratica religiosa, le diverse coorti di donne hanno avuto differenti propensioni a intraprendere un’unione, questo per verificare, da un lato l’effetto età (ovviamente le ragazze più giovani hanno meno probabilità di essere sposate rispetto alle altre donne più anziane) ma anche l’effetto coorte che vede per le nuove generazioni la posticipazione del matrimonio/convivenza. – regione. Considerando tutte le realtà regionali, sarà possibile valutare se, a parità di altre condizioni, nelle diverse regioni italiane ci sia una diversa propensione a sposarsi/convivere, di carattere culturale.

Le modalità di riferimento delle variabili prese in considerazione traccia un modello di donna tra i 29-33 anni, con livello di istruzione alto, che non si reca mai in chiesa, che lavora, residente in Sardegna. Osservando i coefficienti di regressione si osserva che effettivamente rispetto alla categoria di riferimento, chi ha titolo di studio di livello inferiore ha una maggiore propensione a sposarsi. Per quanto riguarda la frequenza con la quale si va in chiesa, emerge come chi la frequenta una o più volte alla settimana, a parità di altre condizioni, ha una probabilità di essere sposato che risulta essere il tripla rispetto a chi non va mai in chiesa. Anche in questo caso viene confermato come la creazione di un nucleo familiare sia legato alla pratica religiosa e probabilmente a una mentalità tradizionale. Dai dati affiora inoltre che chi non lavora ha una maggiore probabilità di essere sposato, questo da un lato perché probabilmente molte donne dopo che si sono sposate decidono di restare a casa a fare le casalinghe e dall’altra si può riscontrare come le donne che lavorano, a parità di altre condizioni, abbiano una propensione a essere sposate molto inferiore rispetto alle altre. Come era prevedibile per le coorti di età più giovani la tendenza a essere sposate

11 Sono stati utilizzati i dati dell’Indagine multiscopo sulle famiglie dell’Istat anno 2003. 12 In questo caso non si considera chi è convivente. 13 In tre modalità: basso (comprendente tutti i titoli uguali o inferiori la licenza media); medio (qualifica professionale e diploma scuole superiori); alto (titoli maggiori o uguali alla laurea).

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diminuisce, mentre di particolare interesse è il fatto che solo in Basilicata e in Molise c’è una propensione a sposarsi blandamente maggiore. Salvo queste due eccezioni, traducendo i coefficienti di regressione in probabilità, una donna della Sardegna, tra i 29-33 anni, con titolo di studio elevato, che lavora e che non va mai in chiesa, ha il 48% di probabilità di essere sposata o di convivere, questa probabilità risulta essere sostanzialmente la stessa per le donne con le stesse caratteristiche residenti nelle altre regioni. Questo fa pensare che nelle stesse condizioni socio-economiche, non ci siano particolari differenze culturali nord/sud nelle diverse regioni italiane.

Tabella 3 Modello logistico binomiale su donne tra i 19 e 43 anni con variabile dipendente E’ sposata? Con modalità di riferimento Non sposata. (Elaborazione dati ISTAT Indagine multiscopo sulle famiglie 2003) N=27618

B Sig. Exp(B) 95,0% C.I.for EXP(B)

Lower Upper

Livello di istruzione Alto (rif.) 0,035 medio 0,192 0,048 1,211 0,979 1,499 basso 0,202 0,001 1,224 0,999 1,500

frequenza con la quale si va in chiesamai (rif.) 0,000 una o più volte alla settimana 1,269 0,000 3,557 2,887 4,383 saltuariamente 0,844 0,000 2,325 1,955 2,765

lavoro della donna non lavora (rif.) 0,933 0,000 2,542 2,161 2,990

regione Sardegna (rif.) 0,000 Piemonte-Valle d'Aosta -0,0640,753 0,938 0,627 1,402 Lombardia 0,133 0,530 1,142 0,755 1,728 Trentino -0,3470,108 0,707 0,463 1,079 Veneto 0,058 0,795 1,060 0,682 1,647 Friuli Venezia Giulia -0,2410,314 0,786 0,491 1,257 Liguria -0,3280,184 0,720 0,444 1,169 Emilia Romagna -0,2310,290 0,794 0,518 1,217 Toscana 0,033 0,886 1,033 0,661 1,614 Umbria 0,134 0,602 1,144 0,690 1,894 Marche 0,239 0,339 1,270 0,778 2,074 Lazio -0,1620,455 0,850 0,556 1,301 Abruzzo 0,139 0,585 1,149 0,697 1,896 Molise 0,746 0,022 2,110 1,116 3,988 Campania 0,233 0,318 1,262 0,800 1,992 Puglia -0,0340,882 0,966 0,612 1,525 Basilicata 0,681 0,039 1,975 1,035 3,767 Calabria 0,466 0,065 1,594 0,971 2,616 Sicilia 0,384 0,099 1,469 0,930 2,319

coorte d’età 29-33' (rif.) 0,000 '19-23' -1,3160,000 0,268 0,179 0,403 24-28' -0,4770,000 0,621 0,495 0,778 39-43' 0,201 0,031 1,222 1,019 1,466 34-38' 0,238 0,010 1,268 1,058 1,521 Constant -0,0920,672 0,912

Spostando l’attenzione alle scelte riproduttive, si è utilizzata una regressione

logistica multinomiale nella quale la variabile dipendente è costituita da tre modalità: non avere figli, avere solo 1 figlio, avere 2 o più figli. La modalità di riferimento utilizzata è avere 1 figlio. Si considereranno nell’analisi solo le donne sposate o conviventi, si

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cercherà di individuare quali sono i fattori che influenzano a)la propensione o meno di non avere figli rispetto ad averne solo 1, b)la tendenza ad avere 2 o più figli rispetto ad averne 1 c)confrontare i diversi effetti delle variabili sulle propensioni ad avere nessuno oppure 2 o più figli anziché averne solo 1.

Le variabili indipendenti considerate nell’analisi in parte sono quelle viste in precedenza, in particolare si sono utilizzate: – livello di istruzione. Si ipotizza che aumentando il livello educativo aumenta la propensione a non avere figli e invece diminuisce la tendenza ad averne 2 o più. – età al matrimonio/convivenza. Utilizzando questa covariata si pensa che aumentando il valore dell’età alla prima unione, cresce la probabilità di non avere figli e diminuisce notevolmente la propensione ad averne 2 o più poiché, in questo caso, si fa sentire maggiormente il problema del restringimento del tempo utile per avere un figlio. – Coorte di età. Anche in questo caso si osserverà come l’effetto età influenzi la propensione ad avere o no dei figli. – Condizione occupazionale della donna, in particolare ci si aspetta che le donne che non lavorano hanno maggiore propensione ad avere 2 o più figli – Soddisfazione economica. Si ritiene, in base alle considerazioni teoriche prese in esame, che l’essere soddisfatti economicamente sia un fattore che aumenta la propensione a non avere figli, mentre diminuisce la tendenza ad averne 2 o più. – Regioni. Anche in questo caso si analizzerà se a parità di condizioni socio-economiche, sussistono dei fattori che a livello regionale influenzano le tendenze a non avere figli oppure di averne 2 o più anziché un solo bambino.

Le modalità prese a riferimento riguardano una donna residente in Sardegna, tra i 29 e i 33 anni, con alto livello di istruzione, che lavora, non soddisfatta delle proprie condizioni economiche. Si procederà adesso ad analizzare l’effetto delle diverse variabili esplicative sulle scelte procreative, mettendo in rilievo i risultati maggiormente interessanti. Osservando i coefficienti di regressione relativi all’età al matrimonio, si vede come all’aumentare della covariata, la propensione a non avere figli aumenta, confermando come il posticipare il matrimonio può rappresentare un fenomeno che riduce il tempo utile per avere un figlio, ma soprattutto si tratta di una scelta culturale che va a braccetto con l’evitare un evento di fecondità. Più forte è però l’effetto dell’età alla quale si intraprende l’unione, sulla probabilità di avere 2 o più figli anziché solo uno. In questo caso infatti si può effettivamente avanzare l’ipotesi che chi si è sposato in età avanzata, abbia meno tempo utile per avere una gravidanza, visto tra l’altro che gli eventi di fecondità oltre i 35 anni sono piuttosto sporadici. Per quanto riguarda la condizione lavorativa, le donne occupate hanno maggiore propensione a non avere figli, come si era ipotizzato. Anche per quanto riguarda il livello di istruzione, maggiore è il titolo di studio, più probabile che una donna non abbia figli anziché averne uno, e allo stesso tempo cala la propensione ad averne 2 o più. Non risulta invece significativa l’influenza della soddisfazione economica, pertanto le scelte di fecondità non sembrano essere collegate alla situazione economica percepita dalle donne. Spostiamo ora l’attenzione alle differenze regionali. Per quanto riguarda non avere figli anziché averne uno, a parità di altre condizioni considerate, non c’é differenza nelle tendenze regionali. Pertanto si può concludere, guardando i dati, che la tendenza delle donne sposate con le stesse caratteristiche socio-economiche, non cambiano sul territorio nazionale. Questo risultato può far pertanto ipotizzare che non ci sono, per le donne con le caratteristiche prese a riferimento, delle differenze culturali legate a dei modelli di famiglia

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che possono influenzare la minore o maggiore propensione all’evitare una gravidanza da parte delle donne considerate.

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Tabella 4 Modello logistico multinomiale su donne tra i 19-43 anni sposate, con variabile dipendente Quanti figli ha avuto? Con modalità di riferimento 1 figlio. N=17301

0 figli VS. 1 2 O Piùfigli VS. 1

B Sig. Exp(B)

INTERVALLO DI CONFIDENZA PER Exp(B)

B Sig. Exp(B)

INTERVALLO DI CONFIDENZA PER Exp(B)

INTERCETTA -3,369 0,000 4,010 0,000

Età AL MATRIMONIO 0,134 0,000 1,143 1,115 1,172 -0,152 0,000 0,859 0,843 0,875

COORTI DI Età '19-23' 1,360 0,000 3,896 2,142 7,085 -1,678 0,000 0,187 0,099 0,352 24-28' 0,768 0,000 2,156 1,616 2,877 -1,034 0,000 0,355 0,262 0,482 39-43' -1,369 0,000 0,254 0,190 0,341 1,254 0,000 3,504 2,874 4,272 34-38' -0,926 0,000 0,396 0,308 0,510 0,908 0,000 2,479 2,038 3,017 29-33 0,000 . . . . 0,000 . . . . LAVORA NO -0,519 0,000 0,595 0,473 0,748 0,344 0,000 1,410 1,202 1,655 SI 0,000 . . . . 0,000 . . . .

SODDISFATTA ECON. SI 0,097 0,352 1,102 0,898 1,352 -0,115 0,131 0,891 0,767 1,035 NO 0,000 . . . . 0,000 . . . .

REGIONE Piemonte-Valle d'Aosta 0,045 0,883 1,046 0,573 1,913 -0,346 0,126 0,708 0,454 1,102

Lombardia 0,143 0,642 1,153 0,633 2,102 -0,487 0,032 0,615 0,394 0,959 Trentino -0,120 0,732 0,887 0,445 1,766 0,665 0,008 1,944 1,185 3,187 Veneto -0,101 0,761 0,904 0,471 1,733 -0,185 0,447 0,831 0,515 1,340

Friuli Venezia Giulia 0,022 0,952 1,022 0,498 2,098 -0,270 0,339 0,763 0,439 1,328

Liguria -0,029 0,938 0,971 0,467 2,019 -0,764 0,009 0,466 0,263 0,823

Emilia Romagna -0,119 0,722 0,888 0,461 1,709 -0,367 0,143 0,693 0,424 1,132

Toscana -0,167 0,622 0,846 0,436 1,643 -0,528 0,037 0,590 0,359 0,969 Umbria -0,372 0,315 0,690 0,334 1,425 -0,647 0,018 0,524 0,307 0,894 Marche 0,149 0,674 1,161 0,578 2,332 -0,310 0,240 0,733 0,437 1,231 Lazio 0,228 0,486 1,256 0,661 2,387 -0,270 0,263 0,763 0,475 1,225 Abruzzo -0,093 0,800 0,911 0,443 1,872 0,003 0,989 1,003 0,603 1,669 Molise 0,390 0,297 1,476 0,710 3,072 -0,027 0,925 0,973 0,556 1,704 Campania -0,627 0,081 0,534 0,264 1,081 0,232 0,318 1,262 0,799 1,992 Puglia -0,003 0,993 0,997 0,499 1,991 0,344 0,164 1,410 0,869 2,287 Basilicata 0,147 0,730 1,158 0,503 2,669 0,349 0,232 1,417 0,800 2,512 Calabria -0,239 0,507 0,787 0,388 1,597 0,290 0,239 1,336 0,825 2,164 Sicilia -0,691 0,046 0,501 0,254 0,988 0,132 0,564 1,141 0,729 1,787 Sardegna 0,000 . . . . 0,000 . . . .

LIVELLO DI ISTRUZIONE BASSO -0,459 0,004 0,632 0,460 0,867 -0,400 0,004 0,670 0,511 0,878 MEDIO -0,345 0,020 0,708 0,530 0,946 -0,390 0,003 0,677 0,525 0,874 ALTO 0,000 . . . . 0,000 . . . .

Diverso è il discorso per quanto riguarda la propensione ad avere 2 o più figli anziché uno solo. Tra le regioni ad alto TFT, solo le donne trentine e altoatesine risultano avere una propensione significativamente maggiore ad avere 2 o più figli rispetto ad avere solo il figlio unico. Mentre le donne residenti in Lombardia, Liguria, Umbria e Toscana

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presentano una minore propensione ad avere più figli. Si può pertanto aggiungere che in Trentino Alto Adige probabilmente per motivi culturali che spingono a ricreare una famiglia numerosa, per chi decide di fare figli, c’è la tendenza ad averne più di uno, mentre nelle altre regioni segnalate c’è invece la tendenza ad avere il figlio unico. Si potrebbe inoltre ipotizzare che in Trentino Alto Adige la maggiore propensione delle donne sposate ad avere più bambini, sia da riallacciare al sistema di politiche sociali indirizzato alle famiglie, che potrebbe essere più sviluppato che altrove. Per quanto riguarda le altre realtà regionali non si può parlare di differenze culturali, ma semplicemente di tendenze legate alla struttura socio-economica che come si è visto influenza le scelte procreative.

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7. Appendice Modello lineare generalizzato per il confronto dei TFT medi tra il 1999 e il 2005 nelle diverse regioni italiane.

Parameter Estimates

Dependent Variable: Numero medio di figli per donna

1,257 ,020 63,278 ,000 1,218 1,296 ,971

-,086 ,028 -3,048 ,003 -,141 -,030 ,072

-,043 ,028 -1,548 ,124 -,099 ,012 ,020

-,009 ,028 -,319 ,751 -,065 ,047 ,001

,215 ,028 7,639 ,000 ,159 ,270 ,327

-,027 ,028 -,951 ,344 -,082 ,029 ,007

-,116 ,028 -4,120 ,000 -,171 -,060 ,124

-,025 ,028 -,875 ,383 -,080 ,031 ,006

-,161 ,028 -5,737 ,000 -,217 -,106 ,215

,004 ,028 ,142 ,887 -,052 ,060 ,000

-,048 ,028 -1,718 ,088 -,104 ,007 ,024

-,112 ,028 -3,990 ,000 -,168 -,056 ,117

-,057 ,028 -2,021 ,046 -,112 -,001 ,033

,060 ,028 2,146 ,034 ,005 ,116 ,037

-,216 ,028 -7,688 ,000 -,272 -,160 ,330

,158 ,028 5,612 ,000 ,102 ,213 ,208

-,085 ,028 -3,040 ,003 -,141 -,030 ,072

,224 ,028 7,964 ,000 ,168 ,279 ,346

-,032 ,028 -1,157 ,250 -,088 ,023 ,011

,010 ,028 ,365 ,715 -,045 ,066 ,001

0a

. . . . . .

ParameterIntercept

[Territorio=Abruzzo ]

[Territorio=Basilicata ]

[Territorio=Calabria ]

[Territorio=Campania ]

[Territorio=Emilia-Romagna ]

[Territorio=Friuli-VeneziaGiulia]

[Territorio=Lazio ]

[Territorio=Liguria ]

[Territorio=Lombardia ]

[Territorio=Marche ]

[Territorio=Molise ]

[Territorio=Piemonte ]

[Territorio=Puglia ]

[Territorio=Sardegna ]

[Territorio=Sicilia ]

[Territorio=Toscana ]

[Territorio=Trentino-AltoAdige ]

[Territorio=Umbria ]

[Territorio=Valle d'Aosta ]

[Territorio=Veneto ]

B Std. Error t Sig. Lower Bound Upper Bound

95% Confidence Interval Partial EtaSquared

This parameter is set to zero because it is redundant.a.

24

Alcuni Indici territoriali di tutte le regioni italiane, media 1999-2005. Fonte ISTAT

TFT

Età media al

matrimonio (femmine)

% donne occupate

% famiglie che

giudicano le proprie risorse ec. adeguate

% donne laureate a

25 anni

Tasso nuzialità

femminile

% aziende agricole a conduz.

fam.

Piemonte 1,20 28,3 41,01 64,77 22,36 627 3,58

ValleAO 1,27 29,02 42,00 70,94 19,86 555,07 2,67

Lombardi 1,26 28,28 40,09 66,46 22,61 594,92 7,39 Trentino A-A 1,48 28,74 40,49 77,5 17,9 596,66 22,19

Veneto 1,26 28,34 39,09 64,11 23,56 612,06 3,21

Friuli-V 1,14 28,96 41,01 64 29,01 593,46 2,57

Liguria 1,10 29,29 40,11 63,13 29,94 654,03 3,86

Emilia-R 1,23 28,89 42,97 65,81 25,83 548,18 8,09

Toscana 1,17 28,87 40,73 61,64 24,86 654,41 6,06

Umbria 1,22 28,63 39,93 66,6 28,89 695,27 5,61

Marche 1,21 28,3 41,32 66,67 26,51 610,51 3,75

Lazio 1,23 28,7 37,56 61,76 27,57 608,88 5,91

Abruzzo 1,17 28,01 36,22 63,43 30,96 615,03 3,57

Molise 1,14 27,66 34,62 69,51 29,4 582,59 5,35

Campania 1,47 26,46 29,17 52,46 20,29 766,76 18,82

Puglia 1,32 26,88 29,48 55,24 22,09 707,7 22,51

Basilica 1,21 27,32 32,17 62,71 26,3 668,83 12,18

Calabria 1,25 26,48 31,14 57,16 25,77 657,49 18,46

Sicilia 1,41 26,35 28,68 50,34 18,1 746,35 13,63

Sardegna 1,04 28,76 33,19 56,84 26,26 593,74 9,3

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26

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