Il controllo di costituzionalità della legge regionale · La potestà legislativa residuale. 46...

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ARACNE Il controllo di costituzionalità della legge regionale Albino Saccomanno a cura di Luca Albino e Renato Rolli presentazione di Augusto Cerri

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ARACNE

Il controllodi costituzionalità

della legge regionale

Albino Saccomanno

a cura diLuca Albino e Renato Rolli

presentazione di Augusto Cerri

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via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

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I edizione: aprile 2008

INDICE Presentazione di Augustro Cerri 9 Capitolo 1 IL NUOVO RIPARTO DELLE COMPETENZE 1. Premessa. 13

2. Riparto delle competenze e limiti alla potestà legislativa regionale prima della riforma del Titolo V della Costituzio-ne.

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3. Regole di risoluzione delle antinomie prima della riforma del Titolo V della Costituzione.

32

4. Il nuovo riparto delle competenze. 46

4.1. La potestà legislativa residuale. 46

4.2. La potestà legislativa concorrente. 48

4.3. Le potestà legislative minori. 49

5. I limiti alla potestà legislativa regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.

50

5.1. I limiti generali di legittimità. 51

6

5.1.1. Il limite della normativa costituzionale. 51

5.1.2. I vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. 52

5.1.3. I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. 55

5.1.4. Il limite territoriale. 63

5.1.5. Il limite delle materie. 63 5.1.6. Il limite della determinazione dei livelli essenziali dei diritti sociali.

64

5.2. I limiti generali di merito. 65

5.3. I limiti speciali. 67

5.3.1. Il limite dei principi fondamentali delle leggi statali. 67

5.3.2. Il limite dei principi generali dell’ordinamento giuri-dico.

69

5.3.3. Il limite delle grandi riforme economico-sociali. 69

6. Nuovo riparto delle competenze e regole di risoluzione delle antinomie.

70

Capitolo 2 I VIZI DELLA LEGGE REGIONALE

Indice

7

1. Premessa. 79

2. I vizi formali 79

3. I vizi sostanziali. 80

3.1. Violazione di legge. 80

3.2. L’incompetenza. 82

3.3. L'eccesso di potere. 84

4. La discrezionalità del legislatore come limite ai vizi delle leggi.

86

5. Per una rilettura dei vizi della legge regionale. 89

Capitolo 3 ASPETTI PROBLEMATICI DEL PROCEDIMENTO DI CONTROLLO DELLA LEGGE REGIONALE

1.Premessa. 91

2.Legittimazione a ricorrere ed interesse al ricorso. 95

2.1. La legittimazione a ricorrere. 97

2.2. L’interesse a ricorrere. 99

Indice

8

3. I parametri costituzionali invocabili. 100

4. L’oggetto del ricorso. 109

5. Superamento o mantenimento dei criteri che hanno rego-lato il procedimento in via d’azione?

114

5.1. La proposizione del ricorso e i soggetti che possono a-dire la Corte.

115

5.2. Corrispondenza fra motivi del ricorso e motivi del rin-vio.

119

5.3. Il principio della necessità delle parti e il conseguente principio della disponibilità della lite.

122

6. Considerazioni conclusive. 128

Indice

Capitolo Primo

IL NUOVO RIPARTO DELLE COMPETENZE

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Riparto delle competenze e li-miti alla potestà legislativa regionale prima della riforma del Tito-lo V della Costituzione. – 3. Regole di risoluzione delle antinomie prima della riforma del Titolo V della Costituzione. – 4. Il nuovo riparto delle competenze. – 4.1. La potestà legislativa residuale. – 4.2. La potestà legislativa concorrente. – 4.3. Le potestà legislative minori. – 5. I limiti alla potestà legislativa regionale dopo la ri-forma del Titolo V della Costituzione. – 5.1. I limiti generali di le-gittimità. – 5.1.1. Il limite della normativa costituzionale. – 5.1.2. I vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. – 5.1.3. I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. – 5.1.4. Il limite territo-riale. – 5.1.5. Il limite delle materie. – 5.1.6. Il limite della deter-minazione dei livelli essenziali dei diritti sociali. – 5.2. I limiti ge-nerali di merito. – 5.3. I limiti speciali. – 5.3.1. Il limite dei princi-pi fondamentali delle leggi statali. – 5.3.2. Il limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico. – 5.3.3. Il limite delle grandi riforme economico-sociali. – 6. Nuovo riparto delle competenze e regole di risoluzione delle antinomie. – 7. Considerazioni conclu-sive.

1. Premessa

La riforma del Titolo V della Costituzione introduce una serie di novità di gran rilievo, prima fra tutte una ripartizione di competenza fra Stato e Regioni che sembra determinare una netta separazione fra materie affidate esclusivamente alla legislazione statale e materie nelle quali può intervenire esclusivamente la disciplina regionale. Anche se è prevista una competenza concorrente, per la quale vige il criterio del necessario (ma non indispensabile) intervento di Stato e Regioni nella disciplina della materia, che sottintende profili di tipo gerarchico nel

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rapporto fra norme, è fuor di dubbio che introdurre una competenza residuale (esclusiva) regionale comporta una valorizzazione dell’autonomia della Regione, pur nell’ambito del principio generale dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica che può sempre essere invocato per garantire la prevalenza dell’ordinamento generale statale su quello parziale regionale. La stessa determinazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato, però, sembra portare ad interferenze tali da trasformare la competenza residuale (esclusiva) regionale da riserva in preferenza di competenza: la normativa regionale, pur inter-venendo in una materia affidata alla sua esclusiva competenza, deve rispettare principi, criteri e norme della disciplina statale, secondo lo schema proprio del rapporto gerarchico fra norme, rectius fra norme regionali e norme statali che, in alcuni casi quali quello della determi-nazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civi-li e sociali, rappresentano tanti limiti alla stessa potestà legislativa re-siduale delle Regioni. Ciò, come è ovvio, non solo porta ad una limi-tazione dell’autonomia normativa regionale che si vede circoscritto il proprio campo d’azione, quanto potrebbe determinare, per la Regione, una continua rincorsa della normativa statale pena la perdita dell’esercizio della competenza. In questo quadro, l’individuazione degli spazi regionali di esercizio effettivo di poteri normativi autono-mi non potrà che essere affidata alla giurisprudenza costituzionale, chiamata così a delineare in concreto i rapporti centro-periferia, in so-stituzione di un legislatore di riforma che non solo ha elaborato enun-ciati normativi che si prestano ad interpretazioni fra loro contrastanti, quanto propone continue implementazioni della riforma stessa che sembrano ritenere la Costituzione ‘atto normativo di parte’, assogget-tabile alle esigenze politiche della maggioranza governativa.

Anche nella nuova realtà delineata dalla riforma del Titolo V sem-bra possibile leggere il rapporto fra legge statale e legge regionale più in chiave di preferenza che di riserva di competenza. Nel primo caso abbiamo una sorta di 'concorso vincolato' fra due fonti diverse, en-trambe abilitate a disciplinare quella particolare materia, con compiti tuttavia differenziati: la fonte superiore è abilitata, in qualsiasi mo-mento, a limitare la portata dell'altra fonte; nel secondo caso, invece, abbiamo «una diversità formale di fonti e una corrispondente separa-zione di materie», che comporta che una fonte esclude l'altra dalla di-

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sciplina di un determinato ambito materiale (1). In altri termini, men-tre nel caso di riserva é precluso alla fonte incompetente la regolamen-tazione della materia, anche nell’ipotesi in cui la fonte competente non sia intervenuta (la fonte incompetente sarà dunque sempre invalida), in quello di preferenza, invece, «le norme poste dalla fonte non prefe-rita saranno invalide solo nel caso in cui contrasteranno in atto con quelle poste dalla fonte preferita, mentre potranno validamente disci-plinare la fattispecie, in assenza — oltre che in conformità — delle norme della fonte preferita» (2). Questo schema, prima della riforma del Titolo V della Costituzione, veniva superato dalla giurisprudenza costituzionale che sostituiva alla logica della separazione delle compe-tenze quella dell’integrazione, consentendo così alle leggi statali di occupare gli spazi normativi affidati alla stessa competenza esclusiva delle Regioni (3). Con la conseguenza che sembrava possibile, da questo punto di vista, sostenere una sorta di omologazione fra potestà esclusiva e potestà ripartita. Se differenze sussistevano erano da ricer-care non tanto nei criteri di risoluzione delle antinomia e nella diffe-rente possibilità di intervento della legge statale (in ipotesi maggiore e diretta nella competenza ripartita, minore e indiretta in quella esclusi-va), quanto forse esclusivamente nel nomen juris della competenza che evocava, in alcuni casi, un esercizio ‘maggiore’ di potere legisla-tivo non sempre corrispondente però alla realtà. Questa situazione di contenimento delle capacità espansive della potestà legislativa regio-nale potrebbe riproporsi anche oggi, considerato che la stessa Costitu-zione autorizza la legge statale ad interferire su quella regionale in re-lazione a particolari oggetti che necessitano di regolamentazione uni-forme su tutto il territorio nazionale.

(1) A. Celotto, Coerenza dell’ordinamento e soluzione delle antinomie nell’applicazione

giurisprudenziale, in F. Modugno, Appunti per una teoria generale del diritto. La teoria del diritto oggettivo, Torino, 1997, p. 186.

(2) A. Celotto, op. cit., Torino, 1997, p. 187.

(3) T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale, Milano 2001, p. 159.

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2. Riparto delle competenze e limiti alla potestà legislativa regio-nale prima della riforma del Titolo V della Costituzione

Prima della riforma del Titolo V della Costituzione la competenza legislativa regionale veniva classificata in primaria (piena o esclusiva), concorrente (ripartita), attuativa (facoltativa o delegata) ed attuativa-integrativa (4).

La competenza primaria (piena o esclusiva) apparteneva alle Re-gioni c.d. differenziate nelle materie elencate dai rispettivi statuti di autonomia. In tali materie la legge statale doveva cedere il passo alla legge regionale, unica fonte abilitata a dettare una disciplina sostanzia-le della materia stessa. Tuttavia, anche se i termini esclusiva, piena, primaria sembravano evocare una sorta di riserva di competenza, con la conseguente esclusione dell’intervento di altri soggetti nella rego-lamentazione della materia, la realtà sembrava essere del tutto diffe-rente almeno per due ordini di ragioni. In primo luogo la legge regio-nale sembrava subordinata, come vedremo più avanti, non solo a principi, ma anche a norme dettate da particolari leggi statali. In se-condo luogo, l’esercizio concreto della competenza da parte della Re-gione determinava non una definitiva cessazione di efficacia della leg-ge statale incidente in materia di competenza regionale, ma una sem-plice sospensione dell’efficacia stessa delle leggi statali, la cui norma-tiva, al verificarsi di particolari situazioni, poteva essere riapplicata ai rapporti precedentemente disciplinati dalla legge regionale. In altri termini, anche in ipotesi di competenza primaria la legge regionale non si sottraeva alle interferenze più o meno incisive della legge stata-le.

La competenza concorrente (ripartita apparteneva alle Regioni or-dinarie nelle materie elencate dall’art. 117 Cost. e a quelle differenzia-te (salvo la Valle d’Aosta) nelle materie elencate dai rispettivi statuti speciali. Si trattava sostanzialmente di una competenza relativa alla disciplina di aspetti particolari delle materie elencate, che presuppone-va anche una sorta di rapporto gerarchico fra legge statale, abilitata a determinare i soli principi fondamentali della materia, e legge regiona-

(4) Non sembra rientrare in questo schema la potestà legislativa della Regione Sicilia che presenta peculiarità sue proprie.

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le abilitata, invece, a dettare la disciplina di dettaglio. In linea di prin-cipio, la legge statale non poteva sottrarsi dal compito di determina-zione dei principi fondamentali, quella regionale dalla regolamenta-zione di dettaglio, pena una lesione della stessa normativa costituzio-nale. Questo rapporto ottimale fra legge statale e legge regionale, in forza di esigenze contingenti, quali ad esempio quelle del mancato a-deguamento, entro tre anni dall’approvazione della Costituzione, delle leggi statali alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza le-gislativa attribuita alle Regioni e del ritardo registrato nell’istituzione delle Regioni ordinarie, è stato del tutto superato consentendo alla legge statale di occupare gli spazi propri di competenza regionale (5) e alla legge regionale di sostituirsi a quella statale nella determinazio-ne dei principi fondamentali della materia, in assenza di specifiche leggi quadro.

La competenza attuativa (facoltativa o delegata) apparteneva alle Regioni ordinarie, in forza del disposto di cui all’art. 117, u.c., Cost. che affidava alle leggi della Repubblica il potere di demandare alla Regione l’emanazione di norme per la loro attuazione. Questo tipo di competenza – il cui esercizio necessitava di una previa legge statale (6) – mancava di una esplicita copertura costituzionale in quanto re-stava affidato al legislatore statale l’individuazione non solo delle ma-terie che necessitavano di attuazione, quanto degli spazi normativi da affidare all’intervento regionale. In altri termini, era la legge regionale che, nell’autorizzare l’esercizio della competenza in materie di volta in volta individuate, lasciava dei margini normativi, più o meno ampi (ma tali da non far coincidere tale potestà con quella concorrente o da rendere vana la delega stessa), alla Regione stessa. Restava, invece, affidato alla Regione lo strumento da utilizzare per dare attuazione al-la normativa statale: da una interpretazione letterale dell’art.117, u.c.,

(5) … al di là questo del primo concreto esercizio della competenza o di casi particolari di

necessaria sostituzione della legge statale, contenente norme sia di principio che di dettaglio, alla legge regionale.

(6) … che ne autorizzasse materia per materia l’esercizio stesso. V., tuttavia, l’art. 7, c. 1, d.P.R. 616 del 1977 che autorizzava le Regioni ad emanare norme di attuazione nelle materie per le quali lo Stato avesse delegato le sue funzioni amministrative alle Regioni stesse, secon-do il disposto di cui all’art. 118, c. 2., Cost.

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Cost., infatti, l’attuazione poteva avvenire sia attraverso norme rego-lamentari che legislative; le Regioni ordinarie, sulla scorta anche dei precedenti delle Regioni a statuto speciale, hanno esercitato tale com-petenza prevalentemente con atto legislativo.

La competenza integrativa-attuativa apparteneva alle Regioni spe-ciali (tranne la Sicilia), alle quali i rispettivi statuti riconoscevano, li-mitatamente a determinate materie, la possibilità di adattare o adegua-re le leggi statali alle particolari condizioni ed esigenze locali. Questa competenza, che si differenziava da quella attuativa o delegata delle Regioni ordinarie per il fatto che l’esercizio della stessa non doveva essere autorizzato da una previa legge statale (7), fondandosi una vol-ta per tutte su una legge costituzionale, è stata per lo più esercitata con legge regionale, anche se sembrava ammissibile l’utilizzazione di altri strumenti normativi.

La ‘consistenza’ della competenza, nella realtà precedente alla ri-forma, era determinata dai limiti cui essa andava incontro. La dottrina aveva individuato limiti generali e limiti speciali: i primi erano relativi a tutti i diversi tipi di competenza; i secondi, invece, ai singoli tipi di competenza. I limiti generali, a loro volta, potevano essere di legitti-mità o di merito.

I limiti generali di legittimità consistevano nel rispetto della Costi-tuzione e delle leggi costituzionali, nel divieto di legiferare in materie diverse da quelle affidate alla potestà legislativa regionale e nel divie-to di dettare norme efficaci fuori del territorio della Regione.

Il limite del rispetto della Costituzione e delle leggi costituzionali è facilmente comprensibile in un sistema a Costituzione rigida, dove in linea di principio non solo la legge regionale, ma anche quella statale non può disporre in contrasto con la normativa costituzionale. Tutta-via, è stato osservato, che il limite costituzionale «non può essere i-dentificato tout court nella generale (e ovvia) subordinazione delle

(7) Sulla impossibilità di definire in modo netto i confini fra attuazione ed integrazione, cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, Padova, 1978, p. 104. Se esistevano dif-ferenze fra le due potestà erano certamente relative alle modalità di esercizio della potestà stessa. Mentre la potestà integrativa-attuativa era riconosciuta dagli statuti speciali per deter-minate materie e non richiedeva alcun intervento da parte dello Stato; la potestà attuativa (fa-coltativa o delegata) poteva essere esercitata in quelle materie individuate dalle leggi dello Stato e affidate all'esercizio della potestà legislativa regionale.

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leggi regionali alla Costituzione e alle leggi costituzionali» e «nell’obbligo di rispettare quei principi costituzionali che riguardano specificatamente le Regioni», ma è rinvenibile in tutte quelle ipotesi nelle quali la Costituzione prevede una riserva a favore della legge sta-tale (8). Se il limite costituzionale trovava, però, una maggiore appli-cazione in materie quali quelle del diritto privato (9), del diritto penale (10) e dell’ordinamento giurisdizionale e processuale (11), nelle quali

(8) Cfr. P. Cavaleri, Diritto regionale, Padova, 2000, p. 143 e ss.

(9) Cfr. sent. 7 del 1956 che afferma che «le leggi regionali non possono disciplinare rap-porti nascenti dall’attività privata rivolta alla terra, quale bene economico, sia nella fase orga-nizzativa, che in quella produttiva; rapporti che devono essere regolati dal codice civile»; sent. 35 del 1957 secondo la quale la regolamentazione dei «rapporti intersubietivi fra singoli», tendendo «essenzialmente ad attuare non già fini specifici di un ente, fosse pure lo Stato, ma esigenze più generali di giustizia commutativa fra i soggetti dei rapporti stessi, e di garanzia di pacifica convivenza», non «si presterebbe a differenziazioni regionali, come si presta sem-pre meno anche a differenze nazionali. V., anche, sent. n. 352 del 2001 dove viene ricordato che la «Corte ha più volte affermato (sentenze n. 326 e 82 del 1998, n. 307 del 1996, n. 462 e 408 del 1995, n. 441 del 1994; ordinanza n. 243 del 2000) che l'ordinamento del diritto priva-to si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformità della disciplina dettata per i rapporti fra privati. Esso, quindi, identifica un'area riservata alla com-petenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione (…) del codice civile. Si tratta di un limite che attraversa le competenze legi-slative regionali, in ragione appunto del rispetto del fondamentale principio di eguaglianza». Inizialmente la Corte sembrava ammettere intervento regionale nei limiti «della temporaneità della legge regionale, dell’eccezionalità di situazioni locali, dell’esigenza di soddisfare inte-ressi pubblici e sempre che la legge regionale non sia in contrasto con i criteri informatori del-la legislazione statale, di cui deve rappresentare un adattamento alle particolari situazioni am-bientali» (sent. 34 del 1962). Successivamente, invece, mutava indirizzo giurisprudenziale sostenendo che nessuna Regione poteva dettare un regime differenziato in materia di rapporti civili, né lo Stato poteva limitarsi a dettare i soli, principi fondamentali del diritto privato, perché «appartiene allo Stato esclusivamente la potestà legislativa di diritto privato, risultando con essa inconciliabile una sia pur settoriale ed eccezionale competenza regionale» (sent. n. 154 del 1972), anche se «l’incidenza sulla competenza regionale del limite del diritto privato non opera però in modo assoluto, in quanto anche la disciplina dei rapporti privatistici può subire un qualche adattamento, ove questo risulti in stretta connessione con la materia di competenza regionale e risponda al criterio di ragionevolezza, che vale a soddisfare il rispetto del (…) principio di eguaglianza (sentenze n. 441 del 1994 e n. 35 del 1992)» (sent. n. 352 del 2001).

(10) In virtù della riserva di legge contenuta nell’art. 25 Cost., intesa, per ragioni d’eguaglianza (art. 3 Cost.) e di unità politica dello Stato (art. 5 Cost.), come riserva di legge statale (solo lo Stato può individuare e definire come reati comportamenti specifici), alle Re-gioni non è consentito individuare con legge fattispecie incriminatici. Sul punto, cfr. sent. n. 21 del 1957 secondo la quale «il potere legislativo penale appartiene soltanto allo Stato, prin-

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era escluso che le Regioni potessero legiferare, é fuor di dubbio che esso si concretizzava anche nel rispetto, da parte della legge regionale,

cipalmente in virtù di un principio generale che trova fondamento soprattutto nella particolare natura delle restrizioni della sfera giuridica che si infliggono mediante la pena. La quale inci-de sugli attributi e beni fondamentali della persona umana, in primo luogo la libertà personale; onde la necessità che tali restrizioni siano da stabilirsi in base a una generale e comune valu-tazione degli interessi della vita sociale, quale può essere compiuta soltanto dalla legge dello Stato»; v., anche, sent. 43 del 1990 che, individuando «la fonte del potere punitivo (…) nella sola legislazione statale», afferma che «le Regioni non hanno la possibilità di comminare, ri-muovere o variare con proprie leggi le pene previste in una data materia. Non possono, cioè, interferire negativamente con le norme penali statali disciplinando e considerando lecita un’attività che invece l’ordinamento statale sanziona penalmente»: cui adde sentt. 4, 6 del 1956; 23, 39, 51 del 1957; 58 del 1959; 23 del 1961; 90 del 1962; 68 del 1963; 26 del 1966; 200 del 1972; 76, 79, 105 del 1977; 62 del 1979; 179 del 1986; 500 del 1987; 14, 18, 117, 213, 504 del 1991; 234, 235 del 1995, ecc. Alla legge regionale è consentito richiamare nor-mativa penale dello Stato, a patto che non si tratti di recepimento (sentt. 142 del 1969; 239 del 1982). Se la legge statale lo prevede espressamente, la legge regionale può integrare la fatti-specie. La sent. 487 del 1989, infatti, ricorda «che alle leggi regionali non è precluso concor-rere a precisare, secundum legem, presupposti d'applicazione di norme penali statali (cfr., fra le altre, le sentenze di questa Corte n. 210 del 1972 e n. 142 del 1969) né concorrere ad attua-re le stesse norme e cioè non è precluso realizzare funzioni analoghe a quelle che sono in gra-do di svolgere fonti secondarie statali. Tutte le volte in cui non sia in gioco la riserva di legge penale statale (nelle ipotesi, cioè, in cui ad es. la legge statale abbia già autonomamente ope-rato le scelte fondamentali sopra ricordate) disposizioni attuative di leggi statali ben possono esser emanate da altre fonti ed in particolare dalle leggi regionali».

(11) La legge regionale non solo non può intervenire nella disciplina dell’ordinamento giurisdizionale e processuale, quanto deve astenersi da interventi che anche indirettamente toccano l’organizzazione giudiziaria. Sul punto, cfr. sent. 12 del 1957 secondo la quale «ap-partiene alla competenza esclusiva dello Stato tutto ciò che attiene alla istituzione, organizza-zione e al funzionamento di organi giurisdizionali o speciali. Anche le norme dei giudici ordi-nari e speciali, pur risolvendosi in atti amministrativi, sono riservate allo Stato, partecipando ogni giudice – sia della magistratura ordinaria, sia pure non in veste togata, quale membro di giurisdizioni speciali, una volta che egli viene investito di funzioni giurisdizionali – ad una delle massime funzioni sovrane dello Stato, qual è l’amministrazione della giustizia, in tutti i gradi e i rami in cui si riparte». V., anche, decc. 4 del 1956 (che riconosce limitate attribuzioni alla Regione Trentino-Alto Adige in relazione ai masi chiusi); 35 del 1958; 115 del 1972 che ribadisce che «alle Regioni, anche se a statuto speciale, non spetta competenza alcuna in tema di giurisdizione (…). È perciò non può revocarsi in dubbio che, in applicazione di tale princi-pio, come non sono ammissibili leggi regionali sulla giurisdizione, così non è ammissibile che leggi regionali escludano la giurisdizione, giacché anche questa esclusione si risolverebbe in una interferenza su materia che alle Regioni non appartiene.»; 112 del 1973; 81 del 1976; 72 del 1977; 727 del 1988; 594 del 1990; 489, 505 del 1991; 210 del 1993; 303, 457 del 1994; 76, 154, 459 del 1995; 390 del 1996;133 del 1998; 86, 224, 285 del 1999; 243 del 2000; 353 del 2001.

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della normativa relativa al suo procedimento di formazione (12) e nell’obbligo per le Regioni, nell’esercizio della loro potestà legislati-va, di rispettare tutta la normativa costituzionale e, in modo particola-re, alcuni principi, come, ad esempio, quello del decentramento (13) e quello d’eguaglianza (14).

Il limite delle materie – che secondo un’opinione diffusa a livello dottrinario assumerebbe una collocazione autonoma soprattutto rispet-to al limite costituzionale (15) – consisteva nel fatto che l’art. 117 Cost. e varie disposizioni contenute negli Statuti speciali circoscrive-vano l’esercizio della potestà legislativa regionale ad alcune materie puntualmente ed esaustivamente enumerate (16). Al di fuori di queste materie l’esercizio della competenza legislativa apparteneva allo Sta-to. Questa netta distinzione, peraltro, veniva superata dal principio di leale collaborazione che giustificava «l’intervento di questo o di quell’ente (…) fuori dagli ambiti ad esso spettanti ed invece astratta-

(12) … come tutti gli atti legislativi, anche la legge regionale è tenuta a rispettare la nor-mativa costituzionale relativa al suo procedimento di formazione: l’art. 121 Cost. che affida l’esercizio della potestà legislativa al Consiglio regionale; l’art. 127 che imponeva la trasmis-sione della delibera legislativa al Commissario del Governo per l’approvazione; stabiliva i termini di promulgazione e di entrata in vigore della legge regionale; disciplinava le modalità di riapprovazione della delibera legislativa regionale rinviata al Consiglio regionale dal Go-verno della Repubblica. Inoltre, la legge delle Regioni differenziate deve rispettare la norma-tiva statutaria relativa al suo procedimento di formazione, al pari della legge delle Regioni ordinarie.

(13) … ricavabile dall’art. 5 Cost., che impone alle Regioni l’obbligo di rispettare l’autonomia degli enti infraregionali.

(14) Il rispetto del principio di eguaglianza (che impone trattamenti uguali per situazioni uguali e trattamenti diversificati per situazioni differenziate) va contemperato con il rispetto del principio autonomistico. Secondo la Corte, infatti, «è evidente che la potestà legislativa delle Regioni ha una sua ragion d’essere nella necessità di adattare la disciplina normativa alle particolari esigenze locali e quindi ben può una legge regionale dettare una disciplina diversa da quella nazionale con i limiti, ben s’intende, fissati dall’art. 117 Cost. ovvero degli statuti speciali» (sent. n. 82 del 1982). V., anche, sent. n. 143 del 1989, dove la Corte ricorda che «ha più volte affermato che una relativa difformità di trattamento dei singoli, sempreché sia giusti-ficata dalla particolarità della situazione, è insita nello stesso riconoscimento costituzionale delle autonomie regionali». Sul principio dell’autonomia regionale come naturalmente dero-gatorio dell’eguaglianza, cfr. sentt. 20, 150 del 1985; 234, 447, 623, 829, 924, 1066 del 1988, ecc.

(15) Cfr. T. Martines, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 1992, p. 190.

(16) Cfr. R. Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1988, p. 596 e ss.

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mente rimessi alla cura dell’altro (…)» (17). Inoltre, in ragione della possibilità che nelle materie elencate potevano essere rinvenuti diffe-renti contenuti, legati anche all’evoluzione dei tempi e, dunque, dei rapporti economici e sociali, si rese necessaria l’individuazione di par-ticolari criteri volti a delineare i confini delle materie di competenza regionale in relazione alla competenza generale dello Stato. Inizial-mente, la giurisprudenza costituzionale fece ricorso al c.d. criterio og-gettivo o contenutistico-normativo (l’identificazione delle materie do-veva avvenire sulla base delle espressioni testuali, utilizzate prima da-gli Statuti speciali e poi dai decreti di attuazione (18), «interpretate secondo il significato che hanno nel comune linguaggio legislativo e nel vigente ordinamento giuridico» (19)), senza, tuttavia, escludere il ricorso al altri criteri quali quello storico (la portata delle espressioni testuali doveva essere desunta dalla legislazione vigente al momento di approvazione della Costituzione (20)) o quello teologico o finalisti-co (i confini della materia andavano determinati in relazione agli scopi e ai fini perseguiti dalla norma regionale (21)). Successivamente, al-lorquando venivano costituite le Regioni a statuto ordinario, continuò

(17) Cfr. T. Martines, op. cit., p. 191. Sul principio di leale collaborazione, v., ad esempio,

sentt. nn. 359 del 1985; 351 del 1991; 204 del 1993; 116 del 1994; 341 del 1996. V., anche, sent. n. 242 del 1997 dove la Corte ricorda che il «principio di leale cooperazione (…) deve governare i rapporti fra lo Stato e le Regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrono o si intersechino, imponendo un contemperamento dei ri-spettivi interessi. Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unità, “riconosce e promuove le autonomie locali”, alle cui esigenze “adegua i principi e i metodi della sua legislazione” (art. 5 Cost.), va al di là del mero riparto costituzionale delle competenze per materia, e opera dunque su tutto l’arco delle relazioni iostituzionali fra Stato e Regioni, senza che a tal proposito assuma rilievo diret-to la distinzione fra competenze legislative esclusive, ripartite e integrative, a fra competenze amministrative proprie e delegate».

(18) Decreti presidenziali di attuazione degli statuti speciali che, peraltro, vengono utiliz-zati per sottrarre alle Regioni alcuni settori delle materie di loro competenza in nome dell’interesse nazionale: sul punto cfr. T. Martines, op. cit., 263 e ss.

(19) V. sent. n. 66 del 1961, cui adde decc. nn. 124 del 1957; 45 del 1958; 46 del 1961; 72 del 1965; 41 del 1966; 29 del 1968.

(20) V. sent. 45 del 1958; 21 del 1968; 138, 140, 141 del 1972.

(21) V. sent.5 del 1956; 2 del 1959.

Il nuovo riparto delle competenze 23

ad essere applicato il criterio oggettivo (22), anche se, dopo l’approvazione del d.P.R. 616 del 1977 (23), la giurisprudenza costi-tuzionale sembrava attestarsi sul criterio teleologico (24) per la deter-minazione dei confini delle materie di competenza regionale. Il limite delle materie, pur essendo un limite generale, non sembrava condurre, tuttavia, ad una sorta di uniformità, in quanto giocava un diverso ruolo a seconda del tipo di competenza (25).

(22) V. sentt. nn. 203 del 1974); 58 e 92 del 1976; 94 del 1977.

(23) Anche se inizialmente il trasferimento di funzioni operato nel 1972 sembrava ricalca-re il sistema adottato per le norme di attuazione degli statuti speciali (trasferimento c.d. a macchia di leopardo che, operato sulla base delle competenze ministeriali, lasciava allo Stato la possibilità di significativi interventi nelle materie di competenza regionale), successivamen-te, con la legge delega 382 del 1975 (e con il conseguente d.P.R. 616 del 1977), l’identificazione delle materie non solo doveva avvenire per settori organici, quanto doveva essere effettuata sulla base di criteri oggettivi, desumibili dal pieno significato che le materie hanno e dalla più stretta connessione esistente tra funzioni affini, strumentali e complementa-ri, al fine di assicurare una disciplina ed una gestione programmata delle attribuzioni costitu-zionalmente spettanti alle Regioni per il territorio ed il corpo sociale.

(24) Cfr. sent. n. 239 del 1981 secondo la quale «(…) l’urbanistica comprende tutto ciò che concerne l’uso dell’intero territorio (e non solo degli aggregati urbani) ai fini della loca-lizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture». Sent. n. 183 del 1987 nella quale la Corte sostiene che «(…) non può negarsi alla Regione una competenza costituzionalmente garantita in materia di protezione ambientale, il cui contenuto può essere individuato, in relazione all'assetto del territorio e dello sviluppo sociale e civile di esso, per un verso nel rispetto e nella valorizzazione delle peculiarità naturali del territorio stesso, per altro verso, nella preservazione della salubrità delle condizioni oggettive del suolo, dell'aria e dell'acqua a fronte dell'inquinamento atmosferico, idrico, termico ed acustico». Tut-to ciò «si desume dall'interpretazione teleologica della elencazione delle materie contenuta nell'art. 117, e richiamata dall'art. 118 Cost., atteso il collegamento funzionale intercorrente fra la materia ora indicata con quelle che riguardano comunque il territorio (sent. n. 225 del 1983), ma particolarmente con quella dell'urbanistica (funzione ordinatrice, ai fini della reci-proca compatibilità, degli usi e delle trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale con-siderata e nei tempi ordinatori previsti: cfr. sent. n. 151 del 1986) e con quella del paesaggio (tutela del valore estetico-culturale: cfr. ivi) ed altresì con la materia dell'assistenza sanitaria (complesso degli interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana). Dalle qua-li, peraltro, la materia della protezione ambientale si distingue per la specificità dell'interesse perseguito. Ma soprattutto ciò si ricava dalle norme interposte rispetto a quelle costituzionali suddette, di cui agli artt. 80, 83 e 101 del d.P.R. n. 616 del 1977».

(25) Cfr. A. Meloncelli, Diritto pubblico, Rimini, 1992, p. 511 secondo il quale «il limite delle materie vale per tutte le potestà legislative regionali, ma opera diversamente: a) a secon-da del tipo di competenza legislativa (esclusiva, concorrente o integrativa); b) a parità di tipo di competenza, a seconda che si tratti di Regioni a statuto ordinario o di Regioni a statuto spe-ciale (la potestà legislativa concorrente delle Regioni a statuto ordinario si esercita su materie diverse da quelle su cui si esercita la medesima potestà delle Regioni a statuto speciale; c)

Capitolo 1 24

Il limite territoriale individuava l’ambito spaziale d’efficacia delle leggi regionali che non potevano produrre effetti fuori dal territorio della singola Regione, come, d’altra parte, specificato dall’art. 120 Cost. (26), secondo il quale le Regioni non potevano istituire dazi di importazione o esportazione o transito (art. 120, c. 1, Cost.), né pote-vano adottare provvedimenti che ostacolassero in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni (art. 120, c. 2, Cost.), né potevano limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro professione, impiego o lavoro (art. 120, c. 3, Cost.). Il limite territoriale – che sembra desu-mibile anche dal limite dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni, di cui agli artt. 117 e 127 Cost., che impone alla legge regio-nale di non disciplinare fattispecie che travalichino il territorio di pro-pria competenza - è stato interpretato dalla Corte costituzionale nel senso che le Regioni non potevano riconoscere associazioni la cui o-peratività valicasse il territorio regionale (27); non potevano disporre delle risorse del fondo e del sottofondo marino che circondano i loro territori (28); non potevano dettare una propria regolamentazione in

nell’ambito delle Regioni a statuto speciale, ogni potestà – esclusiva, concorrente, integrativa – verte su materie diverse da Regione a Regione».

(26) Sul limite di cui all’art. 120 Cost. e su quello analogo derivante dalla normativa co-munitaria, cfr. sent. n. 207 del 2001 secondo la quale dall’art. 120 Cost., commi 2 e 3, «che vincola anche le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 12 del 1963, n. 168 del 1987), e che più volte questa Corte ha ritenuto applicabile all’esercizio di attività professionali ed econo-miche (cfr. sentenze n. 6 del 1956, n. 13 del 1961, n. 168 del 1987, n. 372 del 1989, n. 362 del 1998), discende anche il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere impren-ditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale (nonché, in base ai principi comunitari sulla libertà di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell’Unione europea). Una regolamentazione regionale di attività di questa natura é di per sé possibile, negli stessi limiti, discendenti dal diritto comunitario, valevoli per il legislatore statale, nonché entro gli ulteriori limiti che, nei singoli casi, possono discendere, nei confronti delle Regioni, dalle norme costituzionali o statutarie che ne disciplinano l’autonomia. Ma essa non può co-munque tradursi nell’apposizione di barriere discriminatorie a danno dei soggetti non localiz-zati nel territorio regionale.»

(27) Cfr. sent. n. 28 del 1958 che affida «allo Stato il riconoscimento della personalità giuridica della fondazione “borse di studio Francesco Capizzi” in quanto il campo di attività dell’ente trascende l’ambito del territorio e dell’interesse della Regione siciliana».

(28) Cfr. sent. n. 21 del 1968.

Il nuovo riparto delle competenze 25

materia di marchi (29); non potevano dettare norme in materia crediti-zia e di risparmio (30), ecc. Il limite territoriale, che ha costituito ra-ramente l’unico parametro del controllo di costituzionalità di una leg-ge regionale (31), veniva di solito invocato unitamente ad altri limiti, quali quello delle materie e dell’interesse nazionale (32). Il limite ter-ritoriale, tuttavia, individuando la dimensione dell’interesse regionale e intrecciandosi con il limite delle materie, non poteva portare ad e-scludere aprioristicamente che una legge regionale potesse incidere su fattispecie che si estendevano al di fuori del territorio della Regione stessa (33).

Il limite generale di merito era desumibile dall’art. 117 Cost. e da-gli statuti speciali che vietavano alla legge regionale di essere in con-trasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni. Questo limite di merito – che era relativo alla opportunità o meno dell’atto le-gislativo regionale in relazione all’indirizzo politico governativo, ov-vero «all’idem sentire che aggrega in via permanente tutte le compo-nenti della comunità statale al di là delle diverse impostazioni ideolo-giche» (34) – è stato però trasformato in limite di legittimità, teso so-

(29) Cfr. sent. 44 del 1967, secondo la quale la disciplina dei marchi (termine generico, comprensivo di vari istituti) deve essere disposta in modo unitario, sul piano nazionale, anche per i riflessi che essa ha nel commercio internazionale ed in quello comunitario, e quindi deve trovare regolamentazione esclusiva per opera delle autorità statali.

(30) Cfr. sent. 58 del 1958, secondo la quale «il potere di dirigere e controllare l’attività creditizia deve essere unitario, cioè statale; la funzione creditizia è infatti considerata di pub-blico interesse immediato, perché la circolazione creditizia influisce decisamente sul mercato monetario, che è nazionale e che quindi impone una disciplina rigorosamente unitaria». V. anche sent. 137 del 1967 sull’esercizio del credito fondiario che necessita di un indirizzo uni-tario e, perciò, nazionale.

(31) V. sentt. nn. 28 del 1958; 98 del 1972; 96 del 1974.

(32) V. sent. n. 138 del 1972

(33) Cfr. sent n. 829 del 1988 che ricorda che «la Regione, per la Costituzione, non é una monade e l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà non può essere confinato nel ristretto ambito regionale. Sicchè, soprattutto in relazione alle espressioni dell'autonomia re-gionale collegate alla posizione della Regione come ente esponenziale e rappresentativo degli interessi generali della propria comunità, si deve ammettere che il principio di territorialità, come non ha escluso anche questa stessa Corte in una lontana sentenza (n. 58 del 1958) e co-me riconosce parte della dottrina, possa subire relativizzazioni o anche deroghe, purchè giusti-ficate (…)».

(34) P. Cavaleri, op. cit., p. 180.

Capitolo 1 26

prattutto a circoscrivere l’ambito di espansione delle materie di com-petenza regionale, a tutto beneficio dello Stato (35).

(35) In relazione all’interesse nazionale, v. sent. n. 37 del 1966 con la quale la Corte indi-viduava limiti alla potestà legislativa regionale finalizzati al rispetto degli interessi nazionali; limiti che rappresenterebbero la base per il legittimo esercizio della potestà legislativa e am-ministrativa dello Stato. Cfr. sent. n. 70 del 1981 che sembrava aggiungere un ulteriore limite alla potestà legislativa regionale, quando affermava che la disciplina delle materie di compe-tenza regionale era subordinata alla preventiva predeterminazione dell’interesse nazionale da parte del legislatore statale. Lo spostamento di competenza dalle Regioni allo Stato, realizzato attraverso l’interesse nazionale, non doveva essere irragionevole, arbitrario, pretestuoso o in-congruo, tale da comportare un’ingiustificata compressione dell’autonomia regionale. Sul punto, cfr. sent. 177 del 1988 (che è opportuno riportare in dettaglio per il suo valore didatti-co) secondo la quale «a differenza di tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'autono-mia legislativa delle Regioni (o province autonome), l'interesse nazionale non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile né sotto il profilo sostanziale né sotto quello strutturale. Al contrario, si tratta di un concetto dal contenuto elastico e relativo, che non si può racchiudere in una definizione generale dai confini netti e chiari. Come ogni nozione dai margini incerti o mobili, che acquista un significato concreto soltanto in relazione al caso da giudicare, l'interesse nazionale può giustificare interventi del legislatore statale di ordine tanto generale e astratto quanto dettagliato e concreto. La ragione di ciò sta nel fatto che, per rag-giungere lo scopo che si prefiggono, le leggi deputate a soddisfare l'interesse nazionale nelle sue mutevoli valenze non possono non seguirne sino in fondo i molteplici e vari percorsi, i quali, in taluni casi, pongono in evidenza problemi la cui risoluzione può avvenire soltanto mediante una disciplina dettagliata e puntuale. Proprio in considerazione di questa sua parti-colare natura, l'interesse nazionale, se non può essere brandito dal legislatore statale come u-n'arma per aprirsi qualsiasi varco, deve esser sottoposto, in sede di giudizio di costituzionalità, a un controllo particolarmente severo. Se così non fosse, la variabilità, se non la vaghezza, del suo contenuto semantico potrebbe tradursi, nei casi in cui il legislatore statale ne abusasse, in un'intollerabile incertezza e in un'assoluta imprevedibilità dei confini che la Costituzione ha voluto porre a garanzia delle autonomie regionali (o provinciali). E, allo stesso modo, la sua potenziale pervasività, fin troppo evidente nel caso di legislazione di dettaglio, potrebbe cau-sare, in mancanza di un'approfondita verifica dei presupposti di costituzionalità relativi alla sua effettiva sussistenza, una sostanziale corrosione e un'illegittima compressione, se pure circoscritta alle fattispecie disciplinate, dell'autonomia costituzionalmente garantita alle Re-gioni (e alle Province autonome). Per queste ragioni, l'orientamento consolidato di questa Corte (v. sentt. nn. 340 del 1983, 165 del 1986, 49 del 1987) é quello di procedere, di fronte all'eccezionale intervento statale nelle materie di competenza regionale (o provinciale) effet-tuato in nome dell'interesse nazionale, a un controllo di costituzionalità particolarmente pene-trante del relativo apprezzamento discrezionale compiuto dal legislatore. Nel corso della sua giurisprudenza questa Corte ha elaborato, con riguardo all'interesse nazionale, determinati criteri di giudizio, sulla base dei quali occorre sottoporre le disposizioni impugnate alle se-guenti verifiche: a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore statale circa la ricorren-za e la rilevanza dell'interesse nazionale non sia irragionevole, arbitrario o pretestuoso, tale da comportare un'ingiustificata compressione dell'autonomia regionale (v. spec. sent. n. 49 del 1987); b) che la natura dell'interesse posto a base della disciplina impugnata sia, per dimen-sione o per complessità, tale che una sua adeguata soddisfazione, tenuto conto dei valori costi-tuzionali da rispettare o da garantire, non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti

Il nuovo riparto delle competenze 27

I limiti speciali, invece, erano desumibili dai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato; dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali; dagli obblighi internazionali dello Stato; dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato per una data materia; dalle leggi della Repubblica che demandavano alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione; dalle leggi della Re-pubblica che la Regione poteva adeguare alle sue particolari esigenze. Tali limiti, essendo caratteristici dei singoli tipi di competenza, avreb-bero dovuto produrre effetti diversi in relazione alla differente tipolo-gia di potestà legislativa riconosciuta alla Regione. In questo senso la potestà primaria (piena o esclusiva), appartenente alle Regioni a statu-to speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano, incontrava il limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato; de-gli obblighi internazionali dello Stato; delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. La potestà concorrente (ripartita), apparte-nente a tutte le Regioni (36), era soggetta, oltre ai limiti propri della potestà legislativa esclusiva, anche ai limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato per le singole materie di competenza ripartita o comunque desumibili da leggi dello Stato. La potestà attua-tiva (facoltativa o delegata), riconosciuta alle Regioni di diritto comu-ne dall'art. 117 Cost., incontrava il limite, oltre che dei principi stabili-ti dalle singole leggi della Repubblica che ne autorizzavano l’esercizio, anche delle norme di dettaglio. La potestà integrativa-

che esorbitano dalle competenze regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente connessi con il tema oggetto della normativa in questione (c.d. infrazionabilità dell'interesse: v. sentt. nn. 340 del 1983, 177, 195 e 294 del 1986, 49 e 304 del 1987); ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, l'interesse invocato appaia, a una valutazione ragionevo-le, così imperativo o stringente oppure esiga una soddisfazione cosi urgente da non poter esser adeguatamente perseguito, avendo sempre presenti i valori costituzionali da garantire, dall'in-tervento normativo di singole Regioni (o Province autonome) (sentt. nn. 49 e 304 del 1987); c) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo dello Stato, considerato nella sua concreta articolazione, risulti in ogni sua parte giustificato e contenuto nei limiti segnati dalla reale esi-genza di soddisfare l'interesse nazionale posto a proprio fondamento (sent. n. 49 del 1987)».

(36) In dottrina sussistevano dubbi circa l’appartenenza o meno di tale potestà alla Regio-ne Valle d’Aosta. Cfr. V. Onida, Aspetti dell’autonomia della Regione Valle d’Aosta, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, p. 266 e ss. che assimila, però, la competenza prevista dall’art. 3 dello Statuto di tale Regione alla competenza concorrente. Tesi questa riproposta anche da G. Za-grebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, 1984, p. 239.

Capitolo 1 28

attuativa, appartenente ad alcune Regioni differenziate, incontrava il limite delle leggi adottate dallo Stato per quelle determinate materie: la legge regionale doveva rispettare non solo la normativa di principio ma anche quella di dettaglio, pur potendo, nel completare la disciplina statale, modificare particolari disposizioni e riempire gli spazi non di-rettamente regolati dalla stessa disciplina statale.

Il limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato implica che la legge regionale non può disporre in contrasto con «quegli orientamenti e (…) direttive di carattere generale e fondamen-tale che si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coor-dinamento e dall’intima razionalità delle norme che concorrono a for-mare, in un dato momento storico, il tessuto dell’ordinamento vigente, (…) la coerente e vivente unità logica del diritto positivo» (37). Il li-mite in questione, essendo espressione del principio di unità giuridica della Repubblica, di cui all’art. 5 Cost., dovrebbe essere teso a salva-guardare l’unitarietà stessa dell’ordinamento giuridico, nei suoi pre-supposti di fondo. Proprio per questo, i principi dell’ordinamento giu-ridico dello Stato non dovrebbero essere desumibili, in via di astrazio-ne, «da leggi o da particolari leggi dello Stato (valevoli invece solo a limitare la potestà normativa secondaria» (38), ma dall’intero ordina-mento(39). La giurisprudenza costituzionale, tuttavia, ha stabilito che i principi generali dell’ordinamento possono essere desunti anche da singole leggi (40).

(37) Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 6 del 1956.

(38) Cfr. Corte costituzionale sent. n. 28 del 1964.

(39) V. sent. n. 415 del 1994 secondo la quale «Il principio fondamentale - come del resto si desume dal primo comma dell'art. 117 della Costituzione, relativo alle Regioni a statuto ordinario e dallo stesso art. 46 dello Statuto sardo - è sempre un principio affermato o estratto da una legge o da un complesso di leggi dello Stato in materie determinate, mentre il principio dell'ordinamento giuridico dello Stato è ricavabile da questo ordinamento, considerato come espressione complessiva del sistema normativo e non di singole leggi.»

(40) Sul punto, v. sent. n. 1107 del 1988 che, nel ribadire «che i principi generali dell'or-dinamento giuridico consistono in orientamenti o criteri direttivi di così ampia portata e così fondamentali da potersi desumere, di norma, soltanto dalla disciplina legislativa relativa a più settori materiali (v., ad esempio, sentt. nn. 6 del 1956, 68 del 1961, 87 del 1963, 28 del 1964, 23 del 1978 e 91 del 1982)», ricorda anche che questi possono essere desunti, «eccezional-mente, da singole materie, sempreché in quest'ultimo caso il principio sia diretto a garantire il rispetto di valori supremi, collocabili al livello delle norme di rango costituzionale o di quelle

Il nuovo riparto delle competenze 29

Il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali – previsto, con varie formulazioni, dagli statuti speciali (41) – era fi-nalizzato a rendere omogeneo l’indirizzo economico-sociale dello Sta-to. In quest’ottica la legge regionale era tenuta a rispettare i principi informatori delle grandi riforme economico-sociali varate dal Parla-mento; la prevalenza dell'unitarietà dell'indirizzo politico nel campo economico-sociale, cioè, doveva comportare che le sole norme-principio poste dalle riforme economico-sociali potessero rappresenta-re un limite all'esercizio della potestà legislativa regionale. Questa te-si, tuttavia, non è stata condivisa dalla Corte costituzionale che ha so-stenuto che anche singole leggi statali di riforma non possono essere derogate dalle Regioni (42).

Il limite degli obblighi internazionali, che discendeva dalla partico-lare forma di Stato delineata dalla Costituzione italiana, escludeva che la Regione, per un verso, potesse stipulare accordi o intese con Stati di immediata attuazione della Costituzione (v., ad esempio, sentt. nn. 6 del 1956, e 231 del 1984) ».

(41) … quello siciliano stabilisce all’art. 14 che la potestà legislativa regionale si svolge senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano.

(42) A questo proposito v., ad esempio, sentt. nn. 151 del 1986 che ritiene il d.l. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, in legge n. 431 del 1985, rientrare fra le leggi di riforma economico-sociale; 1002 del 1988 che riconosce ad una legge del 1977 in materia di caccia e protezione della fauna il carattere di riforma economico-sociale; sent. 147 del 1999 che fa rientrare un articolo di un decreto legge nel novero delle norme fondamentali di riforma eco-nomico-sociali. Sulla nozione di norme fondamentali di riforma economico-sociale, cfr. sent. 477 del 2000 dove la Corte sostiene che tale nozione, per un verso «deve essere determinata in relazione a indici di valutazione oggettivi, che vincolano lo stesso legislatore, cui non spet-ta un potere arbitrario di qualificazione in tali termini delle norme che pone (sentenza n. 349 del 1991); per un altro «si ricava dall’esigenza di unità sotto il profilo delle scelte politiche fondamentali della Repubblica, alla difesa della quale tale limite è preordinato: dall’esigenza cioè che le grandi scelte riformatrici poste con la legge dello Stato non siano contraddette da orientamenti diversamente ispirati del legislatore regionale. Della necessità di circoscrivere la nozione in questione alle sole leggi effettivamente dotate di contenuto riformatore, per non estenderla a ogni legge genericamente nuova, la giurisprudenza di questa Corte è sempre stata consapevole, avendo costantemente affermato che non qualsiasi modifica legislativa merita la qualificazione di “riforma economico-sociale”, ma solo quelle innovazioni che corrispondono a scelte di “incisiva innovatività” in settori qualificanti la vita sociale e, in particolare, quelle che mirano a strutturare tali settori attraverso istituzioni che, per la natura degli interessi che coinvolgono, non possono che valere su tutto il territorio nazionale (da ultimo, sentenze nn. 406 del 1995 e 352 del 1996)»

Capitolo 1 30

stranieri, per un altro potesse curare il rispetto di accordi stipulati dallo Stato italiano: il potere estero spettava solo allo Stato, unico soggetto abilitato ad assumere obblighi internazionali (43) e a curarne l’esecuzione anche nelle materie di competenza regionale (44). Suc-cessivamente, anche se veniva ribadito il principio che spettavano solo allo Stato le funzioni relative ai rapporti internazionali, veniva am-messo l’intervento regionale in esecuzione di accordi internazionali (45) e veniva consentito alle Regioni di svolgere attività promozionali all’estero (46).

Il limite dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato per una data materia, da non confondere con il limite dei principi ge-nerali dell’ordinamento giuridico dello Stato, implicava che nelle ma-terie di loro competenza le Regioni dovevano rispettare i principi sta-biliti dalle leggi dello Stato relative a quelle particolari materie. Il li-mite dei principi fondamentali – previsto dall’art. 117 Cost. e dagli statuti speciali per alcune specifiche materie - «consiste non già nel dovere di osservare le singole leggi statali (perché, se così fosse, il po-tere normativo regionale si ridurrebbe ad una semplice potestà rego-lamentare), bensì nell'obbligo di conformarsi ai criteri generali ai quali

(43) Nella sent. n. 49 del 1963 la Corte ricorda che «alle Regioni (…), comprese quelle a statuto speciale, che godono di una sfera di autonomia più o meno ampia, non sono attribuiti poteri sovrani. E poiché soltanto lo Stato è soggetto nell’ordinamento internazionale, ad esso vanno imputati giuridicamente in tale ordinamento gli atti normativi posti in essere dalle Re-gioni». V., anche, sent. n. 179 del 1987 secondo la quale «il carattere unitario e indivisibile della Repubblica condiziona e subordina le autonomie locali (art. 5 Cost.), nelle quali perciò non può essere compresa la potestà di decidere sulla instaurazione e gestione dei rapporti in-ternazionali; ciò é anche ribadito espressamente dal primo comma dell'art. 4 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, il quale dispone testualmente: “Lo Stato... esercita le funzioni, anche nelle mate-rie trasferite o delegate, attinenti ai rapporti internazionali...”. Questi ultimi rientrano pertanto nella competenza dello Stato, in quanto attengono all'attività politica, economica, sociale e culturale del Paese nei confronti degli altri Stati: essi trovano la loro origine in patti stipulati da soggetti di diritto internazionale, con l'assunzione di impegni dei quali risponde lo Stato».

(44) Nella sent. n. 46 del 1961 la Corte è dell’avviso che «l’esecuzione (…) di obblighi assunti in rapporti internazionali con altri Stati è affidata esclusivamente allo Stato».

(45) Cfr. art. 2 d. lgs. 112 del 1998 secondo il quale ogni altra attività di esecuzione è e-sercitata dallo Stato ovvero dalle Regioni e dagli enti locali secondo la ripartizione delle attri-buzioni risultante dalle norme vigenti e dalle disposizioni del presente decreto legislativo.

(46) Cfr. l’art. 8, c. 5, l. n. 59 del 1997 secondo il quale le Regioni possono svolgere atti-vità promozionali all’estero, previa intesa con il Governo.