Il contesto storico e politico - Rizzoli...

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sezione 3 Dagli anni Cinquanta ai giorni nostri 1 © 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+ Il contesto storico e politico Il nuovo ordine mondiale Le conferenze di Jalta e di Potsdam La seconda guerra mondiale non era ancora finita quando, nel febbraio 1945, Roosevelt, Churchill e Stalin, in rappresentanza rispettivamente di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica, si riunirono a Jalta, in Crimea, e decisero il futuro assetto geo-politico del mondo. L’incontro fu replicato a Potsdam nel luglio-agosto 1945 (con Truman al posto di Roosevelt), dove si decise fra l’altro la divisione della Germania in due stati e di Berlino in quattro zone. L’Europa sarebbe stata divisa in due “blocchi” contrapposti (o sfere d’influenza”), uno occidentale e liberaldemocratico, sotto l’egemonia degli Usa, l’altro orientale e comunista, controllato dall’URSS. La nuova carta dell’Europa I trattati di pace furono firmati a Parigi nel febbraio 1947. L’Unione Sovietica inglobò gli Stati baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, parte della Prussia orientale, tolta alla Germania, e alcuni territori già appartenuti a Polonia, Romania, Finlandia. Nacque inol- tre una nuova nazione, la Iugoslavia, che riunì serbi, croati, sloveni, bosniaci e montene- grini. Il territorio della Germania, come stabilito a Potsdam, fu diviso in due stati: la Repubblica federale tedesca nell’orbita americana, e la Repubblica democratica tedesca sotto l’influenza sovietica. La stessa divisione fu attuata anche nella città di Berlino. L’Austria fu divisa fra inglesi e americani e solo nel 1955 ridiventerà indipendente. L’Italia dovette cedere l’Istria, tutte le colonie e alcuni territori al confine con la Francia. La zona di Trieste, pur essendo in territorio italiano, fu definita “territorio libero” sotto l’amministrazione degli alleati e degli iugoslavi e divisa in zona A (con abitanti prevalen- temente italiani) e zona B (con abitanti in gran parte sloveni); la zona A con Trieste tornerà italiana nel 1954. La “guerra fredda” La divisione del mondo in due blocchi contrapposti rappresentò, per più di qua- rant’anni, un fattore di tensione internazionale ma anche, paradossalmente, di stabilità, per l’interesse delle due maggiori potenze a mantenere la loro egemonia. Questo clima di conflitto, essenzialmente politico e ideologico, prese il nome di “guerra fredda”. Gli USA e quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale sottoscrissero un’alleanza militare, il Patto Atlantico (NATO; 1949), mentre l’Unione Sovietica rispose con il Patto di Varsavia (1955), firmato dai propri stati satelliti nell’Europa orientale. La guerra di Corea La Corea alla fine della guerra era stata sottratta al Giappone e divisa anch’essa in due. A fare da confine era il 38 o parallelo: a nord si insediarono i sovietici, a sud gli america- ni. Quando nel 1950 i nordcoreani oltrepassarono il confine, il presidente americano Truman annunciò l’intervento di truppe in Corea sotto l’egida dell’ONU, mentre a difesa dei nordcoreani si schierò la Cina popolare di Mao, che aveva instaurato un regime comunista. Si trattò di fatto di una guerra ideologica, animata anche dal timore dell’Oc- cidente per la massiccia presenza comunista in Asia. La guerra finì dopo tre anni lascian- do l’assetto geopolitico della zona sostanzialmente immutato, ma con un sacrificio umano di tre milioni e mezzo di morti.

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sezione 3 Dagli anni Cinquanta ai giorni nostri

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© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+

Il contesto storico e politico

Il nuovo ordine mondialeLe conferenze di Jalta e di Potsdam

La seconda guerra mondiale non era ancora finita quando, nel febbraio 1945, Roosevelt, Churchill e Stalin, in rappresentanza rispettivamente di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica, si riunirono a Jalta, in Crimea, e decisero il futuro assetto geo-politico del mondo. L’incontro fu replicato a Potsdam nel luglio-agosto 1945 (con Truman al posto di Roosevelt), dove si decise fra l’altro la divisione della Germania in due stati e di Berlino in quattro zone. L’Europa sarebbe stata divisa in due “blocchi” contrapposti (o “sfere d’influenza”), uno occidentale e liberaldemocratico, sotto l’egemonia degli Usa, l’altro orientale e comunista, controllato dall’URSS.

La nuova carta dell’Europa

I trattati di pace furono firmati a Parigi nel febbraio 1947. L’Unione Sovietica inglobò gli Stati baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, parte della Prussia orientale, tolta alla Germania, e alcuni territori già appartenuti a Polonia, Romania, Finlandia. Nacque inol-tre una nuova nazione, la Iugoslavia, che riunì serbi, croati, sloveni, bosniaci e montene-grini. Il territorio della Germania, come stabilito a Potsdam, fu diviso in due stati: la Repubblica federale tedesca nell’orbita americana, e la Repubblica democratica tedesca sotto l’influenza sovietica. La stessa divisione fu attuata anche nella città di Berlino. L’Austria fu divisa fra inglesi e americani e solo nel 1955 ridiventerà indipendente. L’Italia dovette cedere l’Istria, tutte le colonie e alcuni territori al confine con la Francia. La zona di Trieste, pur essendo in territorio italiano, fu definita “territorio libero” sotto l’amministrazione degli alleati e degli iugoslavi e divisa in zona A (con abitanti prevalen-temente italiani) e zona B (con abitanti in gran parte sloveni); la zona A con Trieste tornerà italiana nel 1954.

La “guerra fredda”

La divisione del mondo in due blocchi contrapposti rappresentò, per più di qua-rant’anni, un fattore di tensione internazionale ma anche, paradossalmente, di stabilità, per l’interesse delle due maggiori potenze a mantenere la loro egemonia. Questo clima di conflitto, essenzialmente politico e ideologico, prese il nome di “guerra fredda”. Gli USA e quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale sottoscrissero un’alleanza militare, il Patto Atlantico (NATO; 1949), mentre l’Unione Sovietica rispose con il Patto di Varsavia (1955), firmato dai propri stati satelliti nell’Europa orientale.

La guerra di Corea

La Corea alla fine della guerra era stata sottratta al Giappone e divisa anch’essa in due. A fare da confine era il 38o parallelo: a nord si insediarono i sovietici, a sud gli america-ni. Quando nel 1950 i nordcoreani oltrepassarono il confine, il presidente americano Truman annunciò l’intervento di truppe in Corea sotto l’egida dell’ONU, mentre a difesa dei nordcoreani si schierò la Cina popolare di Mao, che aveva instaurato un regime comunista. Si trattò di fatto di una guerra ideologica, animata anche dal timore dell’Oc-cidente per la massiccia presenza comunista in Asia. La guerra finì dopo tre anni lascian-do l’assetto geopolitico della zona sostanzialmente immutato, ma con un sacrificio umano di tre milioni e mezzo di morti.

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Sezione 3 Il contesto storico e politico

Dalla guerra fredda al crollo del comunismo La fine dello stalinismo e una contraddittoria “distensione”

Nel 1953, alla morte di Stalin, il nuovo leader dell’Unione sovietica Nikita Krusciov dichiarò la sua intenzione di attuare una politica meno repressiva del suo predecessore. Nel febbraio 1956, al XX congresso del Partito, denunciò al paese e al mondo i crimini commessi da Stalin. La speranza in un nuovo corso della storia fu però presto soffoca-ta. Nel novembre dello stesso anno, infatti, il leader ungherese Imre Nagy dichiarò l’in-tenzione di uscire dal Patto di Varsavia e di sottrarsi così al controllo sovietico; l’Armata Rossa invase allora l’Ungheria, reprimendo nel sangue la protesta popolare e ristabilen-do l’ordine. Krusciov volle ugualmente perseguire la sua politica estera di “distensione” e di “coesistenza pacifica” con l’Occidente, incontrando i presidenti americani Eisenhower (1959) e Kennedy (1961), ma, al contempo, avviò la costruzione del Muro tra Berlino Est e Berlino Ovest (1961).

La crisi di Cuba Il clima di forte tensione internazionale dovuto alla guerra fredda vide un inasprimen-to che raggiunse il punto più pericoloso nel 1962, quando l’installazione di missili sovie-tici a Cuba provocò una crisi diplomatica tra Stati Uniti e Unione Sovietica, che rischiò di sfociare in una nuova guerra di dimensioni epocali, vista la corsa agli armamenti delle due superpotenze. Questo rischio fu sventato e la guerra fu evitata grazie all’accordo tra Kennedy e Krusciov.

La decolonizza-zione

Nel resto del mondo, l’onda lunga della seconda guerra – e del conseguente indeboli-mento delle potenze europee – favorì movimenti indipendentisti, specialmente in Africa e in Asia.

L’India ottenne l’autonomia dalla Gran Bretagna nel 1947 e, per risolvere il conflitto etnico-religioso fra induisti e musulmani, il suo territorio fu diviso in due stati, India e Pakistan.

L’Indocina si affrancò dalla Francia nel 1954 e fu divisa fra Laos, Cambogia e Vietnam, il quale, a sua volta, era diviso in due parti: la Repubblica popolare comunista a nord del 17o parallelo, e il Vietnam del Sud sotto la protezione degli USA.

In Africa, nei primi anni Sessanta, raggiunse l’indipendenza gran parte degli stati, fra cui Camerun, Ciad, Congo, Costa d’avorio, Benin, Senegal, Sudan, Congo belga (poi Zaire), Somalia, Nigeria, tutti nel 1960, Sierra Leone e Tanganica (poi Tanzania) nel 1961, Uganda nel 1962.

La guerra del Vietnam

Nel 1961 gli Stati Uniti cominciarono ad inviare truppe nel Vietnam del Sud per con-trastare il movimento di rivolta interno dei Vietcong, sostenuti da truppe regolari invia-te dal nord e appoggiati da cinesi e sovietici. Mentre i presidenti americani (prima Kennedy e poi, in misura molto maggiore, Johnson e Nixon) impegnavano sempre più truppe nel Vietnam, negli Stati Uniti prese il via una forte contestazione contro la guerra. Gli Usa si ritirarono dal Vietnam solo nel 1973, che nel 1975 si riunificò in un unico stato sotto il governo comunista del Nord.

L’occupazio-ne sovietica dell’Afghani-stan

Da inquadrare nel clima della guerra fredda fu l’invio di truppe sovietiche in Afghanistan. Nel 1977 una sollevazione popolare aveva destituito il governo creando la Repubblica Popolare dell’ Afghanistan, di ispirazione comunista, che puntò alla laicizza-zione dello stato (furono banditi i tribunali tribali, i matrimoni combinati, l’uso del burqa per le donne) trovando la ferrea opposizione degli islamici, che si organizzarono in gruppi combattenti. Per fronteggiare il dilagare del “pericolo rosso”, gli Stati Uniti appoggiarono gli oppositori islamici e il governo popolare chiese aiuto ai sovietici, che occuparono il territorio afghano nel 1980.

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Gorbaciov e la caduta dei regimi comunisti

Questo clima di forte tensione internazionale corrispose in URSS all’età del “conser-vatore” Breznev, leader dal 1964 al 1982, che riprese la corsa agli armamenti. Nel 1985, con l’avvento al potere di Michail Gorbaciov (1931), il processo di distensione avviato da Krusciov riprese con ben altra energia. Gorbaciov diede il via ad alcune riforme cau-tamente liberali (perestrojka) e, in accordo col presidente americano Ronald Reagan (1911-2004), ridusse l’arsenale nucleare, mirando così non solo a favorire la pace, ma anche a rilanciare l’economia. Inoltre ritirò l’esercito dall’Afghanistan (1989) e atte-nuò il ferreo controllo sovietico sugli stati satelliti, che alla fine degli anni Ottanta conob-bero un processo di liberalizzazione con la caduta dei governi comunisti, che culminò con un evento di notevole impatto sulle coscienze e di grande importanza simbolica: l’abbattimento del Muro di Berlino (novembre 1989).

La fine dell’Unione Sovietica e della Iugoslavia

La stessa Unione Sovietica fu sciolta e le repubbliche che ne facevano parte conquistarono l’indipendenza. La caduta del comunismo, quasi ovunque incruenta, generò invece aspri con-flitti etnico-religiosi nella Iugoslavia, che si frantumò, tra il 1991 e il 1992, in una serie di piccoli stati indipendenti: Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia, Montenegro. In Bosnia, in parti-colare, i serbi cristiano-ortodossi compirono (sotto il sinistro nome di “pulizia etnica”) gravi eccidi ai danni della popolazione musulmana, fino all’intervento militare della NATO (1995).

Conflitti antichi e recentiIl conflitto arabo-israeliano

Ha radici molto antiche un dramma che ha attraversato tutta la seconda metà del Novecento e che ha origine, nella sua versione contemporanea, nel 1947, quando l’ONU adottò la risoluzione di dividere in due la Palestina per favorire la creazione di uno stato ebraico. La nascita di Israele venne proclamata nel 1948, dando subito luogo a un primo sanguinoso conflitto tra gli arabi e gli israeliani che si protrasse fino al 1955. Altre guerre, dagli esiti più rapidi e sempre favorevoli agli israeliani, si ebbero nel 1956, nel 1967 e nel 1973. Dopo quest’ultimo conflitto, a contrastare l’appoggio degli USA a Israele si schierò, a sostegno degli arabi, l’Unione Sovietica. Nonostante nel 1988 sia avvenuto il riconosci-mento dello stato di Israele da parte dell’allora leader palestinese Arafat, la zona continua ad essere lacerata da attacchi terroristici e rappresaglie militari. Con la caduta del comu-nismo, il dualismo USA-URSS nella gestione del conflitto arabo-israeliano è venuto meno, tuttavia si è fatto più intenso il rifiuto di Israele e dell’Occidente da parte delle frange isla-miche più estremiste presenti in molti paesi arabi. Al problema etnico-religioso va inoltre aggiunto quello per il controllo del petrolio di cui sono ricchi i paesi arabi.

La prima guerra del Golfo

Nel 1990 il leader dell’Iraq, Saddam Hussein, ordinò l’invasione del piccolo stato del Kuwait, ricco di giacimenti petroliferi e guidato da un governo filoccidentale. Le dure sanzioni dell’ONU non bastarono a ottenere il ritiro delle truppe irachene dal Kuwait. Si formò allora una nutrita coalizione militare, guidata dagli USA, che nel gennaio del 1991 sferrò un attacco contro l’Iraq: la guerra si concluse con la liberazione del Kuwait ma senza la sconfitta definitiva del leader iracheno.

Il terrorismo islamista e le guerre “preventive”

Il XXI secolo si è aperto con eventi terribili e sanguinosi provocati dall’apparizione sulla scena politica e sociale di un vasto, ramificato e organizzato movimento islamico terrorista e fondamentalista, Al Qaida, guidato dal saudita Osama Bin Laden, che ha lanciato una sfida alla società e alla cultura occidentali, a partire dagli attentati simultanei (11 settembre 2001) contro gli Stati Uniti. Il più sanguinoso è stato quello contro due edifici newyorkesi, le Torri gemelle, che ha provocato quasi duemila vittime. La risposta degli USA è stata una dichiarazione di “guerra preventiva” contro i paesi cosiddetti “canaglia”, sospettati cioè di aver dato aiuto o appoggio ai terroristi. Nell’ottobre 2001 una coalizione di stati guidati dagli Stati Uniti ha invaso l’Afghanistan e nel 2003 l’Iraq, mettendo fine al regime di Hussein.

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Lo scenario italianoL’Italia diventa una Repubblica

In Italia, dopo i disastri della seconda guerra mondiale e il sanguinoso scontro fra par-tigiani del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e le forze nazifasciste, era giunto il momento della ricostruzione, non solo economica, ma anche politico-istituzionale. I partiti del CLN, in particolare il Partito comunista, il Partito socialista e la Democrazia cristiana (erede del Partito popolare di Sturzo), si allearono per segnare due tappe deci-sive della nuova Italia: il referendum che portò alla nascita della Repubblica (e all’esilio dei Savoia) e la votazione (la prima a suffragio universale) per la formazione dell’Assem-blea costituente (2 giugno 1946), che poi elaborò la Costituzione (1 gennaio 1948).

Le elezioni del 18 aprile 1948

Ben presto, però, la divisione del mondo nelle due sfere d’influenza si fece sentire anche in Italia: il fronte dei partiti si spaccò nettamente in due, con la DC, legata all’area occi-dentale, da una parte, e il Fronte Popolare dei partiti della sinistra, legati all’area sovie-tica, dall’altra. Nelle elezioni del 18 aprile 1948, avvenuta in un clima di tensione da “guerra fredda”, la DC ebbe la meglio. Il democristiano Alcide De Gasperi (1881-1954) divenne per la quarta volta capo del governo, inaugurando la stagione politica detta “centrismo”, e il liberale Luigi Einaudi (1874-1961) fu eletto presidente della repubblica.

Il centro-sinistra

Alla fine degli anni Cinquanta, sotto la spinta del boom economico, andò declinando il centrismo della Dc di De Gasperi e si prospettarono nuove alleanze, in particolare con il PSI di Pietro Nenni, allo scopo di aprire una nuova stagione di riforme (poi realizzate solo in parte), mentre il PCI di Togliatti (1893-1964), pur essendo un grande partito di massa, restava all’opposizione, senza riuscire a rappresentare una concreta alternativa di governo. Nacque così la stagione del “centrosinistra”, che durò fino al 1969 e vide nel democristiano Aldo Moro il personaggio chiave.

La strategia della tensione

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, oltre al divampare della protesta studentesca del ’68 e all’ondata di scioperi dell’“autunno caldo” 1969, l’Italia dovette fronteg-giare le conseguenze di una crisi petrolifera mondiale (1973), che aumentò la disoccupazione e l’inflazione, aggravando ulteriormente il conflitto sociale già esistente.

In questo contesto l’Italia conobbe un periodo assai critico dovuto all’inasprimento della violenza del terrorismo poli-tico, che va sotto il nome di “strategia della tensione”: il 12 dicembre 1969 a Milano una bomba causò 16 vitti-me nella Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana; il 28 maggio 1974 a Brescia una bomba esplose in Piazza della Loggia, provocando la morte di 8 persone; a pochi mesi di distanza, il 4 agosto, 12 persone morirono in seguito all’esplosione di un ordigno sul treno Italicus. Le indagini dimostrano che tutti e tre gli attentati erano maturati negli ambienti dell’estrema destra. In questo clima di tensione furono molti anche gli omicidi politici: il 17 maggio 1972 alcuni militanti di un gruppo dell’estrema sinistra uccisero a Milano il commissario Luigi Calabresi, ritenuto respon-sabile della morte di un anarchico indiziato per la strage di Piazza Fontana. Negli stessi anni numerosi politici, magistrati, sindacalisti, giornalisti e appartenenti alle forze dell’ordine trovarono la morte a causa delle azioni dissen-nate e sanguinose delle Brigate Rosse (un’organizzazione

Le vittime del terrorismonel “lungo decennio”

Settanta

anni vittime

1969 19

1970 7

1971 2

1972 5

1973 40

1974 26

1975 10

1976 10

1977 13

1978 35

1979 24

1980 125

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clandestina che si proclamava “comunista”) e di altri gruppi terroristici sia di estrema destra sia di estrema sinistra, che avevano fatto della violenza il loro unico strumento politico. Ma la strage più sanguinosa avvenne alla fine del “lungo decennio” degli anni Settanta, il 2 agosto 1980, quando un attentato alla stazione centrale di Bologna, riven-dicato da terroristi neofascisti, causò 85 morti e 200 feriti.

Rapimento e uccisione di Aldo Moro

Uno dei momenti più difficili per le istituzioni repubblicane italiane fu il rapimento di Aldo Moro da parte della Brigate Rosse (16 marzo 1978). In quell’anno Moro, leader democristiano, stava lavorando alla formazione di un nuovo governo di “solidarietà nazionale” con Berlinguer, segretario del Pci, che aveva teorizzato già nel 1976 il cosid-detto “compromesso storico”, cioè un’alleanza di governo con la Dc, prendendo al con-tempo le distanze dall’Urss. A poche settimane dal rapimento (durante il quale erano stati uccisi gli uomini della sua scorta), Moro venne ucciso e la solidarietà nazionale tramontò.

Il pentapartito Alla colazione tra DC e PCI si sostituì, negli anni Ottanta, un nuovo accordo tra i democristiani guidati da Giulio Andreotti (1919) e i socialisti di Bettino Craxi (1934-2000), all’interno di una coalizione con altri tre partiti (da cui il nome di “pentapartito”): PSDI (Partito socialdemocratico italiano), PLI (Partito liberale italiano), PRI (Partito repubblicano italiano). Andreotti era già stato presidente del Consiglio nei primi anni Settanta e ancora durante il rapimento di Moro e i suoi governi si alternarono con quel-li di Craxi (1983-1987); di nuovo Andreotti (nel 1989 e nel 1992). Dopo un periodo di ripresa economica, a partire dalla fine degli anni Ottanta si verificò una fase di stagna-zione, con un eccezionale aumento del debito pubblico e della corruzione, accresciuta da crescenti infiltrazioni mafiose.

La lotta alla mafia

Per rendere più efficace la lotta alla mafia nel 1980 fu creato un pool, formato da un gruppo di giudici e di funzionari della polizia, per favorire un’azione congiunta contro la corruzione e l’associazione di stampo mafioso; durante le indagini vi furono numero-si arresti, anche fra esponenti di spicco della mafia. Padre del pool antimafia è conside-rato il magistrato Rocco Chinnici (ucciso dalla mafia nel 1983) che chiamò giudici della levatura di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, vittime di due attentati nel 1992, in cui trovarono la morte anche gli uomini della loro scorta.

L’era di Tangentopoli

Proprio nel 1992 a Milano fu istituito un altro pool, che lavorò a un’inchiesta dal nome Mani pulite, con l’incarico di indagare su un radicato sistema di corruzione della vita politica e industriale italiana, che funzionava attraverso il ricorso a sistemi illeciti di finanziamento ai partiti e di assegnazione degli appalti pubblici. L’indagine durò sette anni e travolse i partiti del “pentapartito”, che scomparvero, tanto che da allora in poi si parlò impropriamente di “Seconda Repubblica”.

I due poli Nacquero nuovi partiti, fra cui la Lega Nord e Forza Italia, guidata dall’imprenditore Silvio Berlusconi, e il nuovo sistema elettorale maggioritario portò alla formazione di due “poli” contrapposti, uno di centrodestra e uno di centrosinistra, dal 2008 incentrati rispettivamente sul Partito delle Libertà (PDL) e sul Partito democratico (PD), che si sono alternati al governo fino ai nostri giorni.

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Il quadro economico

La grande crescita economica

Il boom degli anni Cinquanta e Sessanta

Dopo la seconda guerra mondiale, superati i difficili anni della ricostruzione, cominciò per i paesi del capitalismo avanzato (Europa occidentale, Stati Uniti, Giappone) una fase di prosperità e di benessere del tutto eccezionale, che toccò il suo apice tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, per concludersi nel 1973. Anche i paesi dell’area comunista furono interessati da un’intensa crescita economica e per alcuni anni parvero addirittura in vantaggio su quelli occidentali, dai quali però negli anni Sessanta furono decisamente superati. Più modesti furono i tassi di crescita dei paesi in via di sviluppo, dove si registrò un forte incremento demografico e un allungamento dell’aspettativa di vita dovuta anche alla crescita della produzione alimentare.

Il primato economico degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti, unici nello scenario internazionale, avevano registrato un notevole incremento economico già a partire dagli anni di guerra. Nel periodo postbellico prose-guì questo andamento positivo, che vide gli USA dominare l’economia mondiale, tanto che la sola produzione industriale statunitense rappresentava quasi i due terzi di quella globale. Per mantenere questo primato gli Stati Uniti avevano però bisogno di un’Europa forte economicamente, in grado di assorbire i prodotti e gli investimenti americani.

Il piano Marshall

Con queste finalità gli Stati Uniti vararono il piano Marshall, un programma di mas-sicci aiuti economici per la ricostruzione delle nazioni europee coinvolte nel conflitto, con l’esclusione di quelle del blocco sovietico. Questo piano doveva servire a evitare il ripetersi di quanto era avvenuto dopo la prima guerra mondiale, quando le condizioni della pace di Versailles avevano messo in ginocchio l’economia tedesca, alimentando un clima di forte insoddisfazione e, in definitiva, favorendo l’avvento del nazismo. Inoltre, questi aiuti economici rappresentarono per gli USA un efficace strumento per contenere il comunismo e per influenzare le politiche dei governi europei.

Libero scambio e mercato mondiale

Gli aiuti americani impressero un grande slancio all’economia europea e giapponese e al resto del mondo. A partire dagli anni Cinquanta il commercio internazionale crebbe a ritmi rapidissimi, superiori persino a quelli dell’incremento della produzione. Una prima conseguenza fu l’aumento dell’interdipendenza economica tra le diverse aree del pianeta, dovuta tanto al progresso tecnologico (sviluppo dei mezzi di trasporto e delle comunicazioni) quanto alle scelte di politica economica. Tra queste ultime la più rilevan-te fu l’adozione da parte dei governi di politiche di libero scambio che accelerarono, nel mondo capitalistico, la formazione di un mercato mondiale sempre più vasto e intercon-nesso.

Gli accordi di Bretton Woods: il primato del dollaro

Le basi di questo processo erano state poste subito dopo la guerra: per scongiurare il rischio di crisi pericolose come quella degli anni Trenta furono predisposti strumenti di coordinamento e di controllo, allo scopo di garantire una certa stabilità dei cambi mone-tari, condizione indispensabile per la sicurezza del commercio internazionale. Nel 1944, su iniziativa americana, furono siglati gli accordi di Bretton Woods, in base ai quali il dollaro divenne il perno del sistema monetario internazionale: i rapporti tra le varie monete venivano determinati in base al loro valore rispetto al dollaro.

L’economia e la società

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Sezione 3

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Sezione 3 L’economia e la società

I maggiori organismi economici internazionali

Fu anche creato il Fondo monetario internazionale (FMI), cui i singoli Stati aderen-ti avrebbero potuto attingere in caso di difficoltà delle rispettive monete, così da assicu-rarne la stabilità. A questo Fondo fu affiancata una Banca mondiale, per finanziare progetti a medio e lungo termine di ricostruzione e di sviluppo economico, soprattutto in favore dei paesi in via di sviluppo, a fronte di garanzie dei rispettivi governi.

Per favorire il commercio internazionale fu poi siglato un accordo generale sulle tariffe e sui commerci, il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade, Accordo generale sulle tariffe e il commercio), che obbligava i paesi aderenti a rispettare reciprocamente, senza discriminazioni, la libera concorrenza. Tali accordi furono di grande importanza per avviare la ripresa economica del dopoguerra. Recentemente il GATT è stato sostituito dal WTO (World Trade Organization, Organizzazione mondiale del commercio), sulla strada di una ulteriore liberalizzazione del commercio internazionale.

Sviluppo industriale e trasformazione del paesaggio

Questa rapida espansione dell’industria e dei commerci ebbe profonde ripercussioni non solo sulla ricchezza delle nazioni, sulla diffusione sia pure diseguale del benessere, sui costumi e i modi di vita, ma anche sull’aspetto e sulla struttura dell’ambiente. Nessuno, in quegli anni, si preoccupava delle conseguenze ecologiche legate a questa espansione: inquinamento, cementificazione, degrado ambientale. In gran parte l’inqui-namento delle città fu provocato dall’enorme aumento nell’uso di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturali). Il basso costo del petrolio (meno di due dollari al barile nel periodo dal 1950 al 1973), in particolare, incentivò l’uso dell’automobile. Nel 1938 in Italia si contavano 750 mila automobili; nel 1975 erano arrivate a 15 milioni. Oltre alle industrie inquinanti, furono le imprese di costruzioni e gli speculatori immo-biliari a stravolgere, a partire dagli anni Cinquanta, il volto delle città e dei territori limitrofi. Con la rapida e incontrollata edificazione di alloggi popolari a basso costo, le periferie delle città si riempirono di squallidi palazzoni dove si andarono ad ammassare quanti abbandonavano le campagne, richiamati dalle possibilità di lavoro offerte dalle industrie.

La mec-canizzazione dell’agricoltura

In quegli anni aumentò anche la produzione agricola mondiale. La crescita avvenne non tanto grazie alla coltivazione di nuove terre, quanto all’aumento della produttività, ottenuta sia grazie all’impiego massiccio di fertilizzanti chimici e antiparassitari sia alla meccanizzazione del lavoro, fenomeno che fu accompagnato da una drastica riduzione dell’occupazione agricola che accelerò l’esodo dalle campagne verso le città.

La rivoluzione tecnologica

Negli anni del boom si verificò anche una vera e propria rivoluzione tecnologica, il cui impatto sulla crescita economica e sulle trasformazioni del sistema produttivo fu deter-minante. Ancora una volta era stata la guerra a stimolare alcuni sviluppi tecnologici che trovarono poi applicazioni civili: il radar, il motore a reazione, i transistor. Questi ultimi consentirono una crescente miniaturizzazione dei componenti, gli apparecchi divenne-ro non solo sempre più piccoli ma anche a buon mercato, rivoluzionando il settore delle comunicazioni radio e rendendo possibile lo sviluppo della televisione. In seguito con-sentirono di realizzare i primi calcolatori digitali e di preparare il terreno alla rivoluzio-ne elettronica, informatica e telematica dei decenni successivi. Più recentemente, le applicazioni dei computer alle macchine che riproducono i movimenti umani (i “robot”) hanno consentito di sostituire il lavoro dell’uomo in operazioni complesse e rischiose per la salute, come quelle effettuate sott’acqua, ad alta quota, ad alte temperature.

Le nuove tecnologie sono in gran parte ad alta intensità di capitale e permettono di sosti-tuire l’uso di manodopera. La loro più importante conseguenza, sul piano sociale, è stata di spostare l’occupazione dal settore industriale a quello del terziario e dei servizi.

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Sezione 3 L’economia e la società

Dal welfare state alla crisi

Il neocapitalismo

Negli anni del boom, il sistema economico capitalistico acquisì caratteri nuovi tanto che venne definito neocapitalismo. Questo termine indica una sorta di intreccio fra libe-rismo economico e democrazia sociale: un capitalismo “dal volto umano” che ha tentato di limitare le forme distruttive manifestate nel periodo precedente la guerra e di introdur-re una maggiore equità sociale. La storia del grande successo economico postbellico dei paesi capitalisti, pertanto, secondo alcuni storici è la storia di una industrializzazione sostenuta, guidata e talvolta pianificata e gestita dai governi.

A questa scelta contribuirono sia il ricordo della depressione degli anni Trenta, causata dal fallimento di un libero mercato senza freni, sia le lotte dei lavoratori e delle orga-nizzazioni sindacali, nonché il timore di una estensione del comunismo. Ecco perché nel dopoguerra i principali consiglieri della politica economica dei governi tornarono a essere gli economisti keynesiani.

Il Welfare State Sulla strada indicata da Keynes, quasi tutti i governi occidentali imboccarono la via del welfare state (o “stato sociale”), che si concretizzò in contributi statali per l’assistenza sanitaria, le pensioni, l’istruzione, la costruzione di alloggi, la corresponsione di un sala-rio sociale ai disoccupati. Questo ampliamento della spesa sociale, insieme all’impe-gno politico dei governi per l’attuazione della piena occupazione, rispondeva a istanze di equità sociale, ma aveva anche lo scopo di distogliere i lavoratori da ideologie di tipo rivoluzionario e, con l’innalzamento dei salari e con una aumentata disponibilità di risorse, di stimolare la domanda di beni e, di conseguenza, di favorire gli investimenti, che, a loro volta, avrebbero consentito di allargare ulteriormente l’occupazione. In Europa durante gli anni Sessanta il tasso medio di disoccupazione era dell’1,5%.

Crescita della spesa e debito pubblico

Nel sistema del welfare erano insiti dei rischi di squilibrio, poiché lo stato si impegna-va in spese per gli anni a venire a prescindere delle entrate che avrebbe effettivamente registrato. In altri termini, se la spesa pubblica tendeva a crescere in modo automatico, non esistevano strumenti per assicurare un adeguamento altrettanto automatico delle risorse disponibili, con il pericolo di un disavanzo di bilancio e con il rischio di disper-dere denaro pubblico in forme di “assistenzialismo” che, non avendo un piano prestabi-lito, erano finalizzate al solo scopo di acquisire consensi. Sul finire degli anni Sessanta cominciarono a manifestarsi fenomeni di inflazione e di aumento del debito pubblico, a seconda che i governi fronteggiassero i disavanzi di bilancio con l’emissione di carta moneta o con il ricorso all’indebitamento attraverso i titoli di stato. In quegli stessi anni i lavoratori, con le loro lotte, si erano conquistati un certo potere di controllo sull’orga-nizzazione del lavoro in fabbrica e la garanzia di un salario “sociale” a carico dello stato nei momenti di difficoltà delle aziende.

La fine di Bretton Woods e l’instabilità monetaria

Questa situazione finì con il pesare sul bilancio dello stato nel momento in cui il gran-de boom si arrestò e le aziende cominciarono a parlare di “mobilità” e di “ristrutturazio-ne”, il che significava disoccupazione. Nei primi anni Settanta un forte deficit della bilancia valutaria americana, cui i governi di Washington risposero immettendo sul mercato ingenti quantitativi di dollari, provocò il deprezzamento del dollaro e la fine della sua convertibilità aurea, principio anch’esso stabilito dagli accordi di Bretton Woods. Si aprì così una lunga fase di instabilità per le monete nazionali che, disanco-rate dall’oro, furono lasciate alle libere fluttuazioni dei mercati valutari.

Convertibilità aurea

Equiparazione fra valore dell’oro e valo-re del dollaro.

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La crisi petrolifera del 1973

All’inflazione innescata dalla svalutazione del dollaro si aggiunse nel 1973 la crisi petrolifera provocata dalla guerra arabo-israeliana. I paesi produttori e fornitori di petrolio, riuniti nell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), deci-sero, per ritorsione contro l’atteggiamento filoisraeliano dei paesi occidentali, di aumentare il prezzo del greggio, che passò da 3 a 12 dollari al barile, con pesanti con-seguenze sull’economia dei paesi europei e del Giappone, privi di risorse petrolifere, nei quali si determinò una situazione critica, detta “stagflazione”. Meno rilevanti furono le conseguenze sugli Stati Uniti che disponevano di giacimenti propri. Nel 1979-1980 si ebbe un secondo “shock petrolifero”, cui ne seguirono altri come quelli dei primi anni del 2000.

Il neoliberismo e la ristrutturazione industriale

La stagflazione e le politiche neoliberiste

La stagflazione degli anni Settanta accentuò la crisi del welfare state e l’insostenibili-tà del costo del lavoro, divenuto troppo alto. Le imprese reagirono accentuando l’intro-duzione di nuove tecnologie produttive, basate sull’elettronica (automazione), che ebbe l’effetto di espellere ulteriore manodopera, accrescendo la disoccupazione indu-striale. A loro volta i governi, per fronteggiare l’eccesso di spesa e il debito pubblico, attuarono politiche economiche dette neoliberiste, tagliando drasticamente lo “stato sociale” e lasciando le imprese più libere da vincoli e controlli pubblici (deregulation). Il neoliberismo ebbe grande successo soprattutto in Gran Bretagna con il primo mini-stro Margaret Thatcher (1979-1987) e negli Stati Uniti con il presidente Ronald Reagan (1980-1988).

I costi sociali del neoliberismo

Queste politiche, se ebbero il merito di ridurre l’inflazione e rilanciare la produttività delle imprese, presentarono nondimeno risvolti negativi, soprattutto di ordine sociale, aumentando il divario tra ricchi e poveri. La povertà e la disoccupazione di massa ricom-parvero infatti sia in Europa occidentale – dove la disoccupazione era salita dal 4,2% del 1970 all’11% del 1983 – sia nei più ricchi Stati Uniti. In Gran Bretagna, nel 1989, 400.000 persone erano ufficialmente classificate come “senzatetto”. A ciò si aggiunse il dramma di un panorama internazionale in cui la disuguaglianza sociale raggiunse livelli ancor più macroscopici, come nei paesi in via di sviluppo (si pensi al Brasile, o anche ai paesi ex comunisti, le cui economie subirono un brusco arresto dopo il 1989).

La globalizzazione

A partire dai primi anni Ottanta la crescita economica nel mondo capitalistico regi-strò comunque una ripresa, pure in presenza di oscillazioni difficilmente controllabili, dovute all’instabilità dei cambi e dei mercati azionari. Tale crescita avvenne nel segno della globalizzazione, i cui principali effetti erano sostanzialmente due: • la possibilità, per le aziende dei paesi industrializzati, di ridurre i costi della produzio-

ne grazie alla delocalizzazione, realizzando maggiori guadagni e mantenendo i prezzi bassi;

• l’affermazione di gruppi economici sempre più grandi e ramificati (multinazionali), che operano in svariati settori, distribuendo ovunque gli stessi prodotti e orientando così il gusto dei consumatori verso l’omologazione.

Stagflazione

termine che in-dica la presen-za congiunta, e inconsueta, di stagnazione economica e di rapida crescita dei prezzi (in-flazione)

Delocalizzazione

Trasferimen-to, da parte delle imprese, di fabbriche e stabilimenti in aree sottosvi-luppate, dove il costo del la-voro è molto più basso e lo sfruttamento dei lavoratori è soggetto a mi-nori limitazioni.

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La parcellizzazione produttiva

Le industrie del Terzo mondo sono riuscite a invadere il mercato mondiale coi loro prodotti a basso prezzo, entrando a far parte di un processo produttivo e commerciale transnazionale e mettendo in crisi l’industria dei paesi occidentali sulla base della loro forza concorrenziale. Spesso questo tipo di produzione si basa sulla frammentazione o parcellizzazione del processo produttivo: la realizzazione di un manufatto e dei suoi componenti può essere suddivisa tra Singapore, la Thailandia e la Cina, dove i costi di produzione sono molto bassi, e controllata centralmente, a Houston, New York o Londra, grazie alla moderna tecnologia informatica.

I pro e i contro dello sviluppo nel Terzo mondo

Secondo molti studiosi, la globalizzazione ha portato grandi benefici alle aree povere e arretrate del pianeta, grazie all’affluenza di investimenti esteri che hanno favorito lo sviluppo e ridotto la miseria, come è avvenuto negli anni Novanta alle cosiddette “tigri asiatiche” (Taiwan, Malesia, Corea, Indonesia, Filippine), che hanno visto aumentare gli scambi commerciali e gli investimenti registrando una vorticosa crescita del loro prodotto interno lordo (PIL). Tuttavia, nella maggior parte del cosiddetto “Terzo mondo”, all’aumento del PIL non corrisponde un maggiore benessere della popolazione e una più equa distribuzione della ricchezza, come testimoniano le tariffe salariali pra-ticate nei paesi terzomondiali dalle aziende occidentali. Altri effetti negativi della glo-balizzazione continuano ad essere lo sfruttamento dei lavoratori (le cui condizioni sono spesso simili a quelle della prima rivoluzione industriale), la devastazione ambientale e la forte dipendenza dai mercati esteri, che rende le economie di questi paesi estrema-mente vulnerabili.

Il boom di Cina e India

Molti di questi paesi, specialmente India e Cina, hanno saputo cavalcare l’onda della crescita economica e attuare delle politiche di sostegno allo sviluppo. In pochissimi anni sono diventati grandi colossi economici e interlocutori indispensabili nel panorama internazionale. Basti pensare che gran parte dei debiti pubblici delle nazioni europee e degli stessi Stati Uniti sono finanziati da capitali cinesi.

In India gli investimenti si sono concentrati sullo sviluppo delle nuove tecnologie, sull’al-ta formazione e sulla ricerca. In Cina è stato dato un forte impulso per creare nuova imprenditoria.

La moneta unica europea

Una grande innovazione, anche in funzione di una rinnovata stabilità monetaria, è stata l’introduzione di una nuova moneta, l’euro, che ha iniziato a circolare dal 1° gen-naio 2002 in quasi tutti i paesi che compongono l’Unione europea, tra cui l’Italia (ma non la Gran Bretagna, ancora legata alla sterlina). Questo dovrebbe essere il primo passo verso un’integrazione completa, non solo economica, in vista di una Costituzione euro-pea comune.

La New Economy

Gli ultimi anni hanno visto anche l’emergere di nuovi mezzi di comunicazione, in particolare Internet, in grado di annullare le distanze e presentare eventi e notizie in contemporanea su tutto il pianeta, fino a proporre un mondo virtuale in alternativa a quello reale e favorire lo sviluppo di un nuovo tipo di economia che va sotto il nome di New Economy. Chiamata anche Internet Economy (cioè economia basata su internet), essa designa quelle attività o aziende che si fondano sulle nuove tecnologie informatiche offerte dal web, basate sulla produzione di servizi o sullo sviluppo di idee innovative; si differenzia dall’economia industriale per la possibilità di gestire aziende senza il vincolo di uno spazio preciso.

Prodotto interno lordo

Valore mone-tario di tutti i beni e i servizi prodotti in un anno da uno stato.

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Le crisi economiche di inizio millennio

Il nuovo millennio si è aperto con una forte instabilità deri-vante dallo scoppio di un primo crollo della borsa alla fine del 2001. Molti titoli della New Economy erano stati quotati più del loro reale valore aziendale dalla “bolla speculativa”, perciò cominciarono a cadere con effetto domino. Si è quindi assistito a una prima fase di recessione negli anni 2001-2004, che ha però avuto come effetti principali: • l’abbassamento dei tassi di interesse (chiedere un prestito o

un mutuo costava poco alle famiglie); • il conseguente indebitamento delle famiglie; • un aumento dei valori immobiliari (le case erano più richie-

ste e quindi cominciarono a costare di più). Il forte incremento del costo della casa ha trainato il rilancio

economico dopo il 2005, ma è stata la prima conseguenza della successiva crisi, quella del 2008. A partire dagli Stati Uniti, nel momento in cui la domanda ha rallentato e i prez-zi hanno iniziato a stabilizzarsi sono iniziati su larga scala fenomeni di insolvenza nel pagamento dei mutui affidati alle famiglie con minori garanzie (i subprime). Tale fenome-no, divenuto molto esteso, ha causato i primi fallimenti di banche d’affari particolarmente esposte verso tali finanzia-menti e, a ruota, un’instabilità e sfiducia nel sistema che ha provocato una nuova importante crisi recessiva mondiale. Conseguenze di questa crisi sono principalmente una drastica restrizione del credito alle industrie, una forte disoccupazio-ne, un calo generalizzato dei consumi e pericolose sacche di emarginazione sociale, resa ancora più grave dall’afflusso di immigrati clandestini irregolari dai paesi in via di sviluppo.

Recessione

Fase di stallo dell’economia, che registra una flessione del suo sviluppo.

LA CRISI ECONOMICHE DI INIZIO MILLENNIO

Crollo della borsa (2001)

Recessione

• Abbassamento dei tassi di interesse sui prestiti

• Aumento dei valori immobiliari

Sopravvalutazione titoli della New Economy

Rilancio economico

• Aumento dei tassi di interesse

• Insolvenza nel pagamento dei mutui

• Fallimenti delle banche• Crisi finanziaria

Crisi recessiva mondiale

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Sezione 3 L’economia e la società

Il quadro socialeVerso una terziarizzazione della società

L’esodo dalle campagne alle città, dal Sud al Nord

Il mutamento sociale di più vasta portata della seconda metà del secolo fu l’esodo massiccio dalle campagne, dovuto a due motivi diversi e complementari. Nelle zone più avanzate fu la meccanizzazione dell’agricoltura a far diminuire il fabbisogno di mano-dopera e a spingere i lavoratori agricoli verso le città; nelle zone più arretrate, d’altra parte, i contadini poveri si riversarono nelle aree più industrializzate attratti dalla mas-siccia offerta di lavoro causata dal boom economico. Il mondo della seconda metà del Novecento divenne urbanizzato come mai lo era stato.

L’emigrazione in Italia e nel Terzo Mondo

In Italia questo fenomeno, a causa del permanente grave squilibrio tra il Nord e il Sud, fu particolarmente profondo e drammatico, e significò una grande ondata di emi-grazione (tre milioni di individui tra gli anni Cinquanta e Sessanta) dal Mezzogiorno alle città del “triangolo industriale”, cioè Milano, Torino e Genova, e ad altre realtà produt-tive del Centro e del Nord.L’urbanizzazione fu ancor più massiccia nei paesi del Terzo mondo, anche se determi-nata spesso più dalla disperazione che dalla reale prospettiva di trovare nuovi impieghi e modelli più avanzati di vita. Molte città medio-grandi di vari paesi, che nel 1950 conta-vano poco più di un milione di abitanti, crebbero a dismisura e oggi alcune ne contano fino a quindici-venti milioni. Le sterminate bidonvilles in cui si ammassano centinaia di migliaia di persone e la disoccupazione urbana di massa sono gli aspetti più gravi e potenzialmente dirompenti di questa situazione.

Bidonvilles

Quartieri com-posti da barac-che, privi delle fondamentali infrastrutture (acqua potabi-le, fogne, ser-vizi pubblici).

c a r t a _ m i g r a z i o n i

Sardegna

S i c i l i a

Napoli

I t a l i a m e r i d i o n a l e

Roma

Zone di immigrazione

Zone di emigrazione

Flussi migratori

Appennino centro

settentrionale

Grandi cittàdel nord

Veneto

FriuliVeneziaGiulia

(Paesieuropei)

(Paesiextraeuropei)

Costa tirrenica

Costa Adriatica

Il fenomeno dell’emigrazione interna in Italia, dal dopoguerra agli anni Ottanta.

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Sezione 3 L’economia e la società

Ascesa e declino della classe operaia

La classe operaia dell’industria manifestò un andamento particolare. Cresciuta enor-memente fino agli anni Sessanta e Settanta, cominciò a diminuire in misura vistosa a partire dagli anni Ottanta a causa delle trasformazioni tecnologiche del sistema produt-tivo che economizzavano o eliminavano il lavoro umano. Il declino della classe operaia, però, era cominciato ancora prima del suo calo numerico. La combinazione del boom economico, del pieno impiego e di una società di consumi di massa aveva già trasforma-to profondamente la vita dei lavoratori nei paesi sviluppati. Con il benessere si era anda-ta indebolendo la coscienza di classe degli operai, ossia la loro capacità di stare uniti e di organizzarsi al fine di ottenere, collettivamente, migliori condizioni economiche e di vita.

La crescita dei ceti medi

Al declino della classe operaia aveva fatto da contrappunto un’ulteriore espansione dei ceti medi. Il motivo andava ricercato, fra gli altri fattori, in una progressiva terziarizzazione dell’economia, anche nei settori industriali. La stratificazione sociale, pertanto, a partire da quel periodo fino a tutt’oggi, non suggerisce più l’idea di una piramide, ma quella di un “asso di picche”, con ristrette élite ai livelli più alti (ceto dei manager), minoranze di una certa ampiezza ai livelli più bassi (emarginati, disoccupati, immigrati) e una maggioranza situata al livello intermedio.

I giovani, le donne, la famiglia, la Chiesa

La scolarizzazione di massa

Negli anni del boom il maggior benessere favorì l’istruzione dei giovani, anche perché andavano aumentando le occupazioni che richiedevano una preparazione a livello medio e superiore. Il fenomeno interessò anche i paesi comunisti, per i quali fu anzi un punto di onore sconfiggere in pochi anni l’analfabetismo. Di pari passo andava crescen-do il numero degli iscritti alle facoltà universitarie.

La protesta studentesca

La massa di giovani, talvolta concentrata in campus o città universitarie, divenne un fattore di novità dal punto di vista politico e culturale. A partire dai primi anni Sessanta si registrò nel mondo giovanile e studentesco dei paesi avanzati, Stati Uniti ed Europa in particolare, un fermento nuovo, caratterizzato da un diffuso rifiuto delle tradizionali gerarchie autoritarie e da una critica globale ai valori e ai modelli di comportamento imposti dalla società industriale.

La beat generation

Negli Stati Uniti questo particolare fermento era incominciato negli anni Cinquanta, con la ribellione individuale della beat generation, un movimento letterario costituito da un grup-po di giovani scrittori e poeti attivi tra New York e San Francisco. I loro libri e il loro stile di vita fecero scuola, soprattutto nel decennio successivo. Essere beat significava essere contro l’american way of life, lo stile di vita americano, vale a dire contro il culto del denaro, il con-sumismo, la morale borghese, ma anche essere contro la segregazione razziale e la guerra. Quando scoppiarono le prime rivolte dei neri e quando gli Stati Uniti entrarono in guerra contro il Vietnam del Nord la ribellione individuale si trasformò in rivolta collettiva.

La musica Anche in Europa nacquero movimenti beat di aggregazione giovanile, portatori di una cultura critica nei confronti della famiglia e della società. Anche la musica si fece beat e divenne un momento fondamentale di aggregazione e di identificazione collettiva. I primi affollati concerti dei Beatles e dei Rolling Stones furono solo l’inizio del feno-meno dei grandi raduni musicali degli anni successivi.

Il movimento del ’68

Alla fine degli anni Sessanta tutti questi fermenti diedero vita a un’unica grande rivol-ta transnazionale. Insorsero contemporaneamente gli studenti americani, del Messico, dell’Europa occidentale, ma anche della Polonia, della Cecoslovacchia e della Iugoslavia.

Terziarizzazione

Aumento del numero di oc-cupati nel set-tore terziario (servizi, impie-ghi ammini-strativi, addetti alle comunica-zioni ecc.).

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Sezione 3Sezione 3 L’economia e la società

Il grande fenomeno collettivo passò alla storia come “movimento del ’68” perché rag-giunse l’apice a Parigi con le contestazioni studentesche del maggio di quell’anno.

In Italia la contestazione studentesca incominciò nell’autunno del 1967, coinvolgendo alcuni atenei. All’inizio del 1968 il movimento esplose ovunque, uscì dalle università e si riversò nelle piazze, dando luogo a scontri con la polizia. Gli studenti chiedevano nuovi contenuti culturali, la partecipazione alla gestione delle università, il diritto allo studio anche per i giovani di famiglie disagiate. La loro critica era diretta contro i modelli dominanti nella società del benessere, contro le guerre imperialiste, contro lo sfrutta-mento dei lavoratori, il razzismo e il colonialismo.

Il femminismo A partire dal dopoguerra anche le donne erano entrate in numero crescente nelle uni-versità. Questo fenomeno costituì lo sfondo, almeno nei paesi occidentali avanzati, per la nascita dei movimenti femministi. I temi sollevati furono molteplici: la denuncia dell’oppressione cui le donne erano ancora soggette, la rivendicazione di pari diritti e opportunità rispetto agli uomini, nel lavoro ma anche nella vita quotidiana, il diritto a una sessualità e a una maternità libere, la legalizzazione dell’aborto, l’introduzione del divorzio, la battaglia contro le violenze sessuali anche all’interno del matrimonio, e infine la valorizzazione di una “specificità femminile” contro un mondo dominato dai valori “maschili”. Anche nei paesi meno avanzati questi temi sono adesso oggetto di rivendicazione da parte delle donne, ma il divario da colmare è molto più grande.

La crisi della famiglia tradizionale

La rivolta antiautoritaria dei giovani e delle donne provocò forti cambiamenti nella famiglia. La sua attuale crisi, perlomeno nei paesi occidentali, è testimoniata dal nume-ro dei divorzi, dall’aumento dei single e delle madri che allevano i loro figli da sole, ma tutto ciò non è riconducibile solo ai mutamenti intervenuti negli anni Sessanta e Settanta. Altre cause riguardano l’accresciuta mobilità geografica e sociale delle persone, le maggiori possibilità di autosufficienza economica, la garanzia di taluni servizi pubbli-ci, come gli asili nido.

La Chiesa e la modernità

Le trasformazioni profonde che nella seconda metà del secolo hanno rivoluzionato la società e i costumi hanno avuto un forte impatto anche sulla Chiesa cattolica. Di fronte ai mutamenti intervenuti nella morale e alla progressiva perdita dei valori tradizionali, la Chiesa, guidata da papa Giovanni XXIII, tentò un’apertura verso la modernità. Dopo un atteggiamento di secolare chiusura, essa mostrò una nuova disponibilità al confronto con la convocazione del Concilio Vaticano II (1962-65). Decisa a riaffermare il proprio ruolo di guida spirituale contro la superficialità e i rischi insiti nella società moderna, dominata dalla logica dei consumi, la Chiesa ha indicato nel dialogo lo strumento per aprirsi al mondo contemporaneo. L’opera di Giovanni XXIII fu proseguita da Paolo VI (1963-1978) e, in parte, da Giovanni Paolo II (1978-2005).

La globalizzazione

La globalizzazione come fenomeno sociale

Il movimento del ’68 non è riuscito a impedire che il mondo continuasse ad andare verso modi di vita imposti prepotentemente, a livello planetario, dalle leggi del mercato, anche se sono rimaste non poche tracce del suo passaggio nelle strutture scolastiche e universitarie, nel giornalismo, nel modo di concepire il ruolo della donna, nella morale. Il mondo, in ogni caso, è diventato sempre più interconnesso e omologato, dal punto di vista dell’economia, della comunicazione, dei modelli di comportamento. Questo fenomeno è detto “globalizzazione” (o mondializzazione). Eppure, nel trionfo del mercato globalizzato persistono situazioni gravi, soprattutto in molto paesi del Terzo mondo, in Africa, in Asia, ma anche nella più vicina Europa orientale ed ex comunista, che alimentano imponenti nuove ondate migratorie verso i paesi più ricchi.

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I movimenti contro la globalizzazione

Gli aspetti negativi della globalizzazione economica hanno suscitato forti critiche sia per quello che riguarda gli effetti economici, con l’aumento della disparità fra paesi ricchi e paesi poveri e delle disuguaglianze di reddito anche all’interno degli stessi paesi ricchi, sia per quello che riguarda la tutela ambientale. Questa protesta si è strut-turata in movimenti cosiddetti “no global” ed è stata particolarmente attiva durante alcuni vertici degli organismi che controllano l’economia mondiale (ad esempio a Seattle nel 1999 e a Genova nel 2001) ed è organizzata soprattutto in movimenti e forum nazio-nali, anche se negli ultimi anni si è molto indebolita.

Il fondamenta-lismo islamico e la reazione occidentale

L’ondata di odio di certi gruppi fondamentalisti islamici si è canalizzata contro l’occi-dente in numerosi attacchi terroristici, il più drammatico dei quali è stato quello alle Torri Gemelle di New York evvenuto nel 2001. A questo attacco gli Usa hanno risposto con le armi, ma l’opinione pubblica non ha immediatamente reagito. Si è rafforzato un vasto movimento pacifista preoccupato per la riaffermazione della guerra come stru-mento politico contro i fenomeni terroristici e per la spirale di odio e morte apparente-mente inarrestabile che sta insanguinando i primi anni del nuovo millennio. Il problema della guerra e quello degli strumenti per garantire ordine e pace internazionale sono tornati al centro della riflessione e del dibattito culturale attuale.

Nuovi modelli di comportamento

La società del benessere

Il boom economico verificatosi nel dopoguerra nei paesi avanzati del mondo occiden-tale modificò i comportamenti sociali. Gli aumenti di salari e di stipendi e la diminuzio-ne dei costi delle merci, per effetto delle trasformazioni tecnologiche, misero a disposi-zione delle persone una quantità di risorse superiore al passato, consentendo un’espan-sione dei consumi e un benessere di massa mai raggiunto prima. Le nuove disponibilità economiche poterono essere indirizzate verso consumi cosiddetti “voluttuari”, come l’arredo della casa, l’acquisto di automobili ed elettrodomestici, il divertimento, i viaggi.

Il consumismo e la pubblicità

L’impulso a spendere e ad acquistare merci diventò uno dei tratti più caratteristici della società della seconda metà del Novecento. Tale impulso fu determinato in gran parte dallo stesso apparato produttivo, volto a indurre al consumo e a creare la domanda soprattutto attraverso il martellamento delle campagne pubblicitarie, allo scopo di far apparire desiderabile una merce non solo per la sua utilità ma anche (e talvolta unica-mente) per il prestigio che conferisce a chi la possiede (status symbol).

Mass media e omologazione dei gusti

A partire dagli anni Cinquanta e Sessanta all’espansione dei consumi si accompagnò il rapido e ulteriore sviluppo dei media. L’avvento della televisione – l’anno di nascita per l’Italia è il 1954 – creò nuovi comportamenti di massa. Attraverso la televisione pote-rono diffondersi in modo capillare non solo molte informazioni in tempo reale, ma anche modelli omogenei di comportamento su vasta scala, da nazionale a mondiale (omologazione). Ma la televisione (e soprattutto la pubblicità) agì e agisce ancora più in profondità, imponendo i suoi ritmi e i suoi caratteri anche ad altri mezzi di comuni-cazione e di espressione.

Comunicazioni virtuali e perdita dell’esperienza relazionale diretta

Nuovi interrogativi si pongono oggi anche riguardo agli effetti sociali e culturali delle tecnologie informatiche, in particolare di Internet, per la loro peculiarità di abolire il senso della distanza, di rendere tutte le esperienze contemporanee e intercambiabili e di propor-re un mondo virtuale alternativo al mondo reale. Le interpretazioni e i giudizi al riguardo sono opposti: c’è chi vede in esse nuove possibilità di libertà dal peso di modelli secolari e chi teme invece la perdita di ogni esperienza relazionale diretta e reale tra gli individui, sostituita dall’instaurarsi di rapporti virtuali e inautentici e di nuove solitudini.

Sezione 3Sezione 3 L’economia e la società

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Sezione 3

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Dagli anni Cinquanta ai giorni nostriMappa concettuale

• Costituzione repubblicana (1948)• Vittoria della DC (il centrismo, 1948)• Anni del “centrosinistra” (1964-1969)• Il compromesso storico (Berlinguer)• Strategia della tensione contro il governo di

solidarietà nazionale• Rapimento e uccisione di Aldo Moro (1978)• Il pentapartito (Andreotti e Craxi)• La lotta alla mafia• Tangentopoli• I due poli

• I blocchi contrapposti e la guerra fredda: - NATO e Patto di Varsavia - guerra di Corea (1950) - invasione sovietica dell’Ungheria - crisi di Cuba (1962) - guerra nel Vietnam (1961-1973) - occupazione sovietica in Afghanistan (1977)

• Inizio della distensione (Gorbaciov-Reagan) - ritiro dell’esercito dall’Afghanistan (1989) - crollo del Muro di Berlino (1989) - Scioglimento dell’URSS (1989) - Guerra in Iugoslavia (1991-1992)

• Terrorismo internazionale e guerre “preventive”

- Attentato alle Torri Gemelle di New York (2001)

- Stati Uniti in Afghanistan - Stati Uniti in Iraq (1991)

In Europa e nel mondo In Italia

Economia Società

• Piano Marshall: aiuti economici americani per finanziare la ricostruzione post-bellica in Europa

• Boom economico anni Cinquanta• Welfare state (Neocapitalismo: liberismo

combinato con giustizia sociale)• Crisi petrolifera del 1973• Globalizzazione: delocalizzazione

della produzione e affermazione delle multinazionali

• New Economy• Crisi finanziarie ed economiche di inizio

millennio

• Contestazione studentesca (1968)• Impatto della rivoluzione tecnologica sulla

società• Consumismo e pubblicità• Beat generation• Nascita di nuovi mezzi di comunicazione • Effetti della globalizzazione: omologazione • Realtà virtuale nei rapporti sociali• Movimenti contro la globalizzazione

Contesto storico

Dagli anni Cinquanta ai giorni nostri

Page 17: Il contesto storico e politico - Rizzoli Educationauladigitale.rizzolieducation.it/.../sez3_online_intera.pdfNel 1953, alla morte di Stalin, il nuovo leader dell’Unione sovietica

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LA GUERRA FREDDADopo la seconda guerra mondiale i capi delle na-zioni vincitrici stabilirono di dividere il mondo in due “sfere d’influenza”. La Germania stessa venne divisa in due e nacquero inoltre due contrapposte alleanze militari: la NATO (1949) tra gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale e il Patto di Varsavia (1955) tra l’Unione Sovietica e i paesi dell’Europa orientale. Era l’inizio della guerra fred-da, che vide momenti di particolare tensione tra i due blocchi contrapposti, come la guerra di Corea (1950-1953), l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956), la crisi di Cuba (1962), la guerra nel Vietnam (1961-1973) e l’occupazione sovietica in Afghanistan (1980). Anche il conflitto tra arabi e israeliani nei territori della Palestina venne gestito per anni con l’inter-vento degli Stati Uniti a difesa dello stato di Israele e dell’Unione Sovietica in appoggio agli arabi.

IL CROLLO DEL COMUNISMOUn processo di distensione iniziò nel 1985 con l’av-vento al potere di Michail Gorbaciov in URSS, che ebbe i suoi esiti nella riduzione dell’arsenale mili-tare, nel ritiro dell’esercito dall’Afghanistan (1989) e nell’abbattimento del Muro di Berlino (novembre 1989). L’URSS fu sciolta nel 1991 e il comunismo cadde in tutta l’Europa orientale. Conflitti etnico-religiosi insanguinarono la Federazione iugoslava, che fu divisa in diversi stati.

IL TERRORISMO INTERNAZIONALEUn nuova emergenza nel panorama mondiale fu rappresentata dal terrorismo internazionale di gruppi integralisti islamici contro l’occidente che, a seguito dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, nel 2001, videro la pronta reazione degli Stati Uniti (in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003).

LO SCENARIO ITALIANODopo la nuova Costituzione repubblicana, le prime elezioni a suffragio universale nel 1948 videro la vit-toria della Democrazia cristiana. Con il boom eco-nomico degli anni Cinquanta, al centrismo della DC si sostituirono gli anni del centro-sinistra, che vide-ro la DC studiare nuove alleanze con i socialisti, mentre il PCI di Togliatti restava all’opposizione.

Anni drammatici furono quelli seguiti alla protesta studentesca del ’68 e all’ondata di scioperi dell’“autunno caldo” (1969), che videro stragi di stampo politico con lo scopo di minare alla radice le istituzioni, e che culminarono con il rapimento e l’uccisione del leader democristiano Aldo Moro (1978) che stava lavorando all’apertura con il PCI di Berlinguer.A questa stagione seguì la fase del pentapartito, i cui personaggi chiave furono il democristiano Giulio Andreotti e il socialista Bettino Craxi.Gli anni Novanta furono caratterizzati dall’intensi-ficazione della lotta alla mafia, grazie al sacrificio di magistrati come Falcone e Borsellino (uccisi nel 1992), mentre risale agli anni Novanta l’azione del-la magistratura che cancellò quasi tutti i vecchi partiti politici e lasciò spazio per l’ingresso nella scena politica di Silvio Berlusconi (con Forza Italia).L’attuale assetto politico è incentrato oggi su due poli di centrodestra (che fa riferimento al Popolo delle Libertà) e di centrosinistra (guidato dal Partito democratico).

IL QUADRO ECONOMICOAlla fine della seconda guerra mondiale gli Sta-ti Uniti promossero un piano di aiuti economici per la ricostruzione delle nazioni europee (piano Marshall), che pose le premesse per il boom eco-nomico degli anni Cinquanta. Per garantire ai cit-tadini alcuni servizi essenziali e frenare l’avanzata del comunismo, quasi tutti gli stati occidentali in-trodussero il welfare state (stato sociale), che ven-ne però ridotto o smantellato negli anni Settanta, per l’aumento di inflazione e debito pubblico. La situazione economica fu aggravata anche dalla cri-si petrolifera del 1973. A partire dagli anni Ottanta l’economia mondiale entrò in una fase di globaliz-zazione, resa possibile dalla rivoluzione tecnologi-ca e dall’espansione del commercio mondiale, che vide la nascita di nuovi grandi colossi economici come Cina e India. Il loro sviluppo straordinario venne innescato dallo spostamento della mano-dopera delle grandi multinazionali americane ed europee in questi paesi. Una battuta di arresto nell’economia mondiale si è registrata a seguito di due crisi finanziarie, la più profonda delle quali

Dagli anni Cinquanta ai giorni nostriPer il ripasso in Sintesi

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risale al 2008, che ha avuto pesanti conseguenze sull’economia mondiale e i cui strascichi durano ancora oggi.

IL QUADRO SOCIALEGli anni Sessanta furono segnati dalla contestazio-ne giovanile e dalle lotte femministe per il ricono-scimento di pari opportunità tra uomo e donna: nel 1968 vi furono rivolte studentesche in tutto il mondo e la musica divenne un momento fonda-

mentale di aggregazione dei giovani. A ciò si ac-compagnò un progressivo sfaldamento del model-lo di famiglia tradizionale. Centrale è stato inoltre il ruolo dei mass media e l’influenza della pubblicità ha dato luogo a nuovi modelli di comportamento, tra cui il consumismo. Ma l’innovazione più deci-siva degli ultimi anni è stata Internet che, abolen-do le distanze, ha proposto un mondo virtuale in alternativa a quello reale.

Itinerario multimedialePer l’approfondimento

Nell’Itinerario multimediale vengono suggeriti numerosi siti dove potrai approfondire i contenuti dell’unità, scoprire curiosità, opere artistiche, film legati agli argomenti trattati.

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