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Il commercio all’ingrosso e la funzione dei mercati in Lombardia: problematiche, evoluzione e proposte di valorizzazione Codice IReR: 2006B016 Project leader: Guido Gay Rapporto finale Milano, dicembre 2007

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Il commercio all’ingrosso e la funzione dei mercati in Lombardia: problematiche,

evoluzione e proposte di valorizzazione

Codice IReR: 2006B016

Project leader: Guido Gay

Rapporto finale

Milano, dicembre 2007

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La ricerca è stata affidata ad IReR nell’ambito del Piano di ricerche strategiche 2006 di Regione Lombardia. Responsabile di progetto: Guido Gay, IReR Gruppo di lavoro tecnico: Paolo Mora, responsabile regionale della ricerca DG Commercio, Fiere e Mercati,; Cosmina Colombi, DG Agricoltura; Gabriella Faliva, DG Artigianato; Maria Luppi, DG Famiglia; Donatella Scarpanti, DG Programmazione Integrata Gruppo di ricerca: Luca Lanini, professore a contratto di Logistica agroalimentare, Università Cattolica del Sacro Cuore; Sabrina Latusi, ricercatore di Economia e gestione delle Imprese, facoltà di Economica, Università degli Studi di Parma; Beatrice Luceri, professore associato di Marketing, facoltà di Economia, Università degli Studi di Parma;Gianpiero Lugli, professore ordinario di Marketing distributivo, facoltà di Economia, Università degli Studi di Parma; Davide Pellegrini, professore associato di Marketing, facoltà di Economia, Università degli Studi di Parma; Edoardo Sabbadin, professore associato confermato di Economia e gestione delle imprese, Università degli Studi di Parma; Onorario Zappi, membro del Comitato tecnico sui progetti di valorizzazione dei Centri storici e delle aree urbane costituito presso Indis – Unioncamere

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Indice Introduzione 5 Capitolo 1 L’ingrosso tradizionale in Lombardia 191.1. Premessa generale 191.2. L’ingrosso di beni di largo consumo in Lombardia 35

1.2.1. Appendice statistica 431.3. L’ingrosso di bevande in Lombardia 441.4. L’ingrosso d’abbigliamento e calzature in Lombardia 511.5. L’ingrosso di mobili, casalinghi e articoli per la casa in Lombardia 671.6. Grossisti di materiali da costruzione per la casa 781.7. L’associazionismo fra grossisti 911.8. Centri commerciali 98 Capitolo 2 Ingrosso a libero servizio 1032.1. La struttura dell’offerta nella Regione Lombardia 1052.2. Le caratteristiche della domanda 1072.3. Formati di punti vendita e posizionamento competitivo delle insegne 1152.4. Competizione con la grande distribuzione organizzata grocery 128 Capitolo 3 Integrazione verticale dell’ingrosso 1313.1. Il ruolo economico dell’ingrosso nel canale di distribuzione 1313.2. L’integrazione della funzione di ingrosso da parte delle imprese industriali 1353.3. Il settore della stampa quotidiana e periodica 144 Capitolo 4 Gli agenti e l’intermediazione indiretta 1514.1. Il contratto di agenzia 1514.2. L’iscrizione al Ruolo 1544.3. I numeri chiavi del settore 1574.4. L’analisi quantitativa: Italia e Lombardia a confronto 162

4.4.1. L’approfondimento settoriale: il caso Lombardia 1654.5. Prospettive e aree di intervento 1724.6. Le prospettive di sviluppo delle diverse tipologie di intermediari 177

4.6.1. L’agente monomandatario senza deposito non strutturato 1774.6.2. L’agente monomandatario senza deposito strutturato 1784.6.3. Il sub-agente 178

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4.6.4. L’agente monomandatario con deposito 1794.6.5. L’agente plurimandatario senza deposito non strutturato 1794.6.6. L’agente plurimandatario senza deposito strutturato 1794.6.7. L’agente plurimandatario con deposito 1804.6.8. La rete di agenti 1804.6.9. L’ufficio di rappresentanza 1804.6.10. Il mediatore 181

Appendice – Il contratto di agenzia 183 Capitolo 5 I mercati all’ingrosso 1875.1. Il ruolo dei mercati agroalimentari nei nuovi scenari alimentari e distributivi 1875.2. Mercati all’ingrosso in Italia: un modello in crisi 189

5.2.1. Il Piano Mercati e la Legge 41/1986: un’occasione mancata? 1925.2.2. Le strategie riorganizzative dei mercati all’ingrosso a livello europeo: mercati e nuovi canali di distribuzione

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5.2.3. Verso i mercati di “terza generazione” 1955.3. Mercati all’ingrosso nella Lombardia 196

5.3.1. I mercati grossisti di Milano e le strategie SogeMI 1965.3.2. Il mercato ortofrutticolo di Brescia 1995.3.3. Il mercato ortofrutticolo di Bergamo 200

5.4. Considerazioni finali 202 Capitolo 6 Aspetti di politica commerciale all’ingrosso 2056.1. Tendenze evolutive della normativa statale in materia di commercio all’ingrosso

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6.2. La normativa della Regione Lombardia in materia di mercati all’ingrosso, anche in rapporto ad altre normative regionali

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6.3. Le aree di sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio

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Conclusioni 221 Bibliografia 233 Glossario 237

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Introduzione

La ricerca analizza il commercio all’ingrosso in Lombardia. In particolare, gli ambiti di approfondimento sono i seguenti:

- il commercio all’ingrosso tradizionale nei principali settori; - il commercio all’ingrosso a libero servizio; - l’integrazione verticale dell’ingrosso; - le reti di vendita indirette (agenti e commissionari, con e senza deposito); - il commercio all’ingrosso in aree pubbliche (mercati ortofrutticoli, ittici,

delle carni bovine, avicunicoli e floricoli); - la politica commerciale dell’ingrosso.

Nel primo capitolo si analizza l’ingrosso come funzione e settore. L’analisi settoriale dell’ingrosso è resa complessa, non solo dall’eterogeneità merceologica, ma anche dal fatto che la funzione svolta dal commercio all’ingrosso, che è quella di collegamento tra industria e distribuzione al dettaglio, è condizionata sia dalla tendenza dell’industria ad integrarsi a valle, per poter meglio controllare le politiche di marketing e di marca (in particolare), sia dalla concorrenza verticale esercitata dallo sviluppo della Grande Distribuzione. La propensione dell’industria a integrare la funzione di ingrosso non è univocamente legata alla concentrazione del commercio al dettaglio; non si può in altri termini sostenere che l’esercizio specialistico della funzione di ingrosso è minacciato solo in quei settori in cui è intervenuta una forte concentrazione del commercio al dettaglio. Infatti, se analizziamo per esempio il settore HO.RE.CA., che si mantiene polverizzato nonostante la forte crescita delle vendite, è in atto un processo di integrazione verticale discendente della funzione di ingrosso che si manifesta con diverse modalità a seconda del settore, ma presenta lo stesso obiettivo di controllo dei punti di somministrazione. L’assortimento stretto sia in ampiezza che in profondità dei pubblici esercizi conferisce notevole rilevanza alla funzione di ingrosso nelle strategie di trade marketing; le prime 5 categorie rappresentano il 45-50% degli acquisti e, spesso, per ogni categoria viene trattata una sola marca. La concentrazione merceologica degli acquisti HO.RE.CA da un lato e la polverizzazione del settore, dall’altro, si traducono in una grande rilevanza della funzione di ingrosso per la realizzazione di un vantaggio competitivo consistente e sostenibile. Le aziende industriali di marca sono dunque tutte impegnate nel

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controllo della funzione di ingrosso manovrando le leve del trade marketing o, in alternativa, integrando in vario modo questa attività. Se poi si considera la Grande Distribuzione Organizzata, che è più concentrata sul piano degli acquisti che sul piano delle vendite, il grossista svolge ancora il ruolo di fornitore nelle categorie merceologiche a bassissima rotazione per le quali è richiesta una fortissima centralizzazione delle funzioni logistiche. Si pensi per esempio ai casalinghi venduti a libero servizio in confezioni blisterate. La diversificazione nel casalingo da parte dei distributori GDO operanti nei comparti alimentari è iniziata negli anni settanta per iniziativa dei grossisti, che consideravano questi formati molto promettenti per il traffico generato e la possibilità di stimolare l’acquisto d’impulso attraverso espositori di prodotti blisterati. Il grossista svolgeva e svolge un ruolo centrale nella filiera in quanto gestisce il rapporto di fornitura coi produttori, trasforma un prodotto vendibile con servizio al banco in un prodotto vendibile a libero servizio col confezionamento in blister, svolge tutte le funzioni logistiche a monte del punto vendita e nel punto vendita, costruisce un assortimento di categoria su misura del cliente e offre assistenza anche nel posizionamento al consumo dei prodotti. La bassissima rotazione e la connessa necessità di una gestione centralizzata del magazzino, la complessità del sourcing e del procurement, unitamente alle difficoltà di gestione del blistering e della manutenzione degli espositori a punto vendita, rendono stabile il ruolo del grossista di prodotti blisterati. La GDO ha cercato infatti a più riprese senza successo di integrarsi a monte allacciando rapporti diretti coi fornitori di prodotti. Analogamente, i fornitori di prodotti venduti in blister hanno cercato a più riprese di integrarsi a valle allacciando rapporti diretti con le insegne GDO, senza successo; la conferma empirica può essere trovata nella realtà operativa constatando che produttori multinazionali come Philip e Rimmel si servono di un grossista come Gabbiano per distribuire i loro prodotti in blister nei supermercati e negli ipermercati. La bassissima rotazione dei prodotti blisterati aumenta la massa critica necessaria per minimizzare i costi e offrire un servizio efficiente a punto vendita. Il settore del commercio all’ingrosso è sempre più difficile da inquadrare. I confini dell’attività economica di tali intermediari nei differenti settori merceologici dipendono sia dalla concorrenza verticale con produttori e dettaglianti, sia dalla competizione orizzontale tra grossisti tradizionali e innovativi. La sempre maggiore dinamicità competitiva ha attivato nuovi processi d’integrazione che costringono i grossisti ad un continuo riesame dei servizi offerti per mantenere una posizione remunerativa nei canali di distribuzione.

Le rigidità del sistema delle classificazioni ufficiali del settore dell’ingrosso in Italia ostacola l’analisi e la precisa individuazione delle tendenze più innovative nell’ambito dell’attività d’intermediazione. Per quanto attiene i caratteri strutturali dell’intermediazione all’ingrosso i dati nazionali degli ultimi censimenti relativi all’attività d’intermediazione all’ingrosso pongono in luce la frammentazione della struttura imprenditoriale e, in alcuni settori merceologici, due tendenze contrapposte: la crescita del numero

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delle unità locali e la contrazione degli addetti. I trend appena indicati evidenzierebbero un ulteriore frammentazione del settore, e un’involuzione e un allontanamento dell’ingrosso dalle logiche della modernizzazione e dai modelli di business europei. Si tratta quindi di approfondire questi elementi riguardo ai settori merceologici che hanno una presenza più significativa in Lombardia. Gli intermediari all’ingrosso tradizionali subiscono la concorrenza derivante sia dall’integrazione a valle dell’industria, sia, dall’integrazione a monte da parte delle imprese della Grande distribuzione. Tuttavia, l’aumento dell’eterogeneità ed in alcuni comparti anche della frammentazione della distribuzione attribuisce all’ingrosso un nuovo ruolo nel razionalizzare il flusso degli ordini e delle consegne. Nell’attuale contesto competitivo si riscontrano sia fattori che incentivano gli operatori a ridurre la lunghezza dei canali e a “scavalcare” gli intermediari all’ingrosso sia tendenze (meno significative) favorevoli alla reintermediazione, che potrebbero favorire lo sviluppo degli operatori all’ingrosso anche se con modalità e soluzioni innovative. In questa parte della ricerca ci proponiamo di analizzare i percorsi più innovativi di rilancio dell’ingrosso nella Regione Lombardia; l’analisi è stata supportata da interviste e dallo studio di casi aziendali generalizzabili. Una parte rilevante è dedicata allo studio delle più recenti soluzioni associative presenti nella regione Lombardia. Dall’analisi effettuata fino ad ora, l’ingrosso si presenta come un settore esposto ad una forte pressione competitiva; alla competizione orizzontale si aggiunge infatti una forte competizione verticale esercitata da fornitori e clienti che si integrano verticalmente non solo per conseguire economie di costo, ma anche e soprattutto per realizzare una maggior efficacia nelle loro politiche di marketing. I maggiori costi dell’integrazione industriale della funzione di ingrosso assumono dunque la natura di costi di marketing e si giustificano in termini di sell out del brand. Due esempi servono a chiarire meglio il concetto: Ferrero consegna a punto vendita e a magazzino dei clienti GDO alle stesse condizioni, mentre Coca Cola ha recentemente realizzato una integrazione verticale discendente nel centro Nord consegnando direttamente ai punti di somministrazione. Spesso poi al grossista viene riservata la parte marginale del mercato, come avviene per esempio nel settore farmaceutico. Il consistente servizio di prossimità offerto dalle farmacie, unitamente alla ampiezza - profondità dell’assortimento di prodotti a bassa rotazione, impongono la minimizzazione della scorta nei punti vendita che, di norma, dispongono di una dimensione molto modesta. Considerata la scarsa sostituibilità tra prodotti e marche, la soddisfazione della domanda richiede un consistente servizio logistico. Di norma, una farmacia si serve da 4-5 intermediari che consegnano con frequenza differenziata le diverse tipologie di farmaco. Il distributore con cui la singola farmacia realizza maggiori acquisti consegna anche più volte nel corso della giornata; gli altri fornitori consegnano con cadenze

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diverse1. La ridotta consistenza degli ordini e l’elevata frequenza di consegna rendono altamente inefficiente l’acquisto diretto dai produttori industriali e, di conseguenza, emerge un ruolo strutturale stabile per l’intermediazione grossista. Il grossista svolge un ruolo logistico indispensabile anche nella distribuzione dei farmaci ospedalieri e, più in generale, dei farmaci distribuiti direttamente dalle ASL. Le farmacie hanno integrato in parte la funzione di ingrosso costituendo gruppi di acquisto in forma cooperativa trattando prevalentemente i farmaci non etici per i quali è maggiore la valenza commerciale; ciò che determina una rilevante varianza dell’assortimento di prodotti non etici a punto vendita. Le cooperative di farmacisti sono nate per sviluppare il potere contrattuale negli acquisti nei confronti dell’industria di marca. Infatti, diversamente dal grossista, la cooperativa di farmacisti può, in teoria, garantire il referenziamento da parte dei propri soci e, quindi, per i prodotti del parafarmaco e della cosmesi-cura persona, realizzare un minor prezzo di acquisto. Ciò anche per il fatto che, a differenza del grossista, la cooperativa di farmacisti non è tenuta ad avere in stock il 90% dei farmaci etici. Riteniamo dunque che la sopravvivenza dell’esercizio specialistico della funzione di ingrosso sia riconducibile alle caratteristiche del prodotto, più che alla concentrazione di clienti e fornitori; i grossisti che sopravvivranno saranno quelli che dimostreranno un approccio innovativo al mercato non solo nelle tradizionali funzioni logistiche, ma anche e soprattutto nelle funzioni di marketing. Il secondo capitolo analizza il commercio all’ingrosso a libero servizio nel settore grocery. La produzione specialistica della funzione di ingrosso deve essere giustificata sia sul piano dell’efficienza che sul piano dell’efficacia. Oltre alle economie esterne, il grossista deve essere infatti in grado di fornire ai clienti un servizio che risponda ad esigenze che mutano nel tempo in relazione a cambiamenti di struttura e condotta nei rispettivi mercati. Quando la capacità di dare risposte efficaci ed efficienti si affievolisce interviene l’integrazione verticale discendente dei fornitori e ascendente dei clienti che mettono in crisi l’esercizio specialistico della funzione di ingrosso. Vi è poi una componente strutturale nella crisi dell’ingrosso che riguarda la concentrazione del dettaglio e lo sviluppo di forme distributive moderne come il supermercato e l’ipermercato. Tali fattori possono essere visti non solo come responsabili della crisi dell’ingrosso, ma anche come elementi che galvanizzano le energie imprenditoriali. In molti paesi si è infatti passati dalla crisi al rinascimento dell’ingrosso attraverso innovazioni organizzative e di prodotto, come le unioni volontarie e i cash and carry. Se l’unione volontaria è una soluzione organizzativa che vincola il dettagliante al grossista contro il corrispettivo di una serie di servizi che migliorano la competitività, il cash and carry risponde alle esigenze di dettaglianti che non possono o non vogliono associarsi, degli utilizzatori professionali e degli operatori HO.RE.CA di piccola e media dimensione. Il prodotto dell’ingrosso a libero

1 Ci è recentemente capitato di rilevare casi di distribuzione logistica che definire atipica è poco. A Verona, le farmacie del centro sono state abituate ad avere fino a 7 consegne giornaliere da parte dello stesso distributore.

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servizio è infatti particolarmente adatto a coloro che acquistano frequentemente quantità sostanzialmente contenute di un numero elevato di articoli. I clienti dell’ingrosso a libero servizio possono ottenere una maggiore rotazione del magazzino, da un lato, per la possibilità di acquistare quantitativi inferiori a quelli minimi imposti da altre forme di approvvigionamento e, dall’altro, per la rapidità e continuità dei rifornimenti. Più in generale, la convenienza dell’ingrosso a libero servizio deriva sia dalle caratteristiche strutturali del binomio merce-servizio, che dai minori prezzi di acquisto riconducibili a loro volta allo spostamento sul cliente di talune attività e al pagamento in contanti. Il cash and carry è un formato di punto vendita sviluppato da imprese che appartengono ai diversi Gruppi Strategici elencati qui di seguito:

- imprese mono canale in cui si riscontra il leader di mercato, Metro Italia; - imprese a succursale costituite da aziende multicanale operanti nel cash

and carry con una struttura separata da quella del retail, centralizzata negli acquisti, che controlla una rete di punti di vendita di diversa dimensione in gestione diretta o in affiliazione (si pensi a Gross Market di Lombardini e a Docks Market di Carrefour);

- unioni volontarie composte da soci multicanalizzati ma, a differenza delle imprese a succursale, provenienti dall’ingrosso e diversificati poi nel dettaglio (si pensi a Selex e Interdis).

Il prodotto commerciale del cash and carry non è stabile, ma subisce un processo di evoluzione nel corso del suo ciclo di vita. Si tratta di un’evoluzione che non è generalizzata per tutta la clientela, ma selettiva. L’aumento della quantità e il miglioramento della qualità del servizio intervenuti con l’ingresso della formula nella fase di maturità del ciclo di vita risulta cioè differenziato in funzione delle caratteristiche dei diversi segmenti di clientela. Le aziende che operano con la formula del cash and carry oggi puntano soprattutto:

- sulla differenziazione dell’offerta in funzione della domanda, articolando, da un lato, i formati di punto vendita in modo da soddisfare compiutamente i bisogni e i desideri della clientela target e, dall’altro, innovando i servizi pre, durante e post vendita;

- sulla fidelizzazione della clientela attraverso politiche di CRM e di micromarketing;

- su accordi con l’industria di marca. Se in generale cresce l’attenzione verso il segmento degli operatori HO.RE.CA., va tuttavia ricordato che la composizione della domanda dell’ingrosso a libero servizio mostra una correlazione con il grado di modernizzazione del dettaglio grocery. Infatti, i cash and carry della distribuzione organizzata, presenti maggiormente al sud, presentano una domanda composta soprattutto da dettaglianti, mentre per i cash della grande distribuzione, presenti soprattutto al centro-Nord, il segmento di clientela più importante è rappresentato dagli

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operatori HO.RE.CA. Tale differenziazione è facilmente comprensibile se si considera che i cash della GD operano in aree commercialmente più evolute sia sotto il profilo della distribuzione grocery che su quello degli esercizi HO.RE.CA; si tratta di formati più grandi con una offerta completa di prodotti freschi e non food. Va infine sottolineato che la carenza di altre modalità di approvvigionamento, la preferenza per acquisti senza fattura e lo sfruttamento di occasioni promozionali sono fattori che spingono l’operatore HO.RE.CA ad approvvigionarsi presso ipermercati e supermercati. Il ricorso a tale fonte è stato in passato di tipo occasionale e speculativo, ma tende sempre più a crescere, traducendosi in una nascente competizione per la conquista e la fidelizzazione di tale categoria di operatori tra cash and carry e grande distribuzione organizzata. Per quest’ultima, la crescita dei consumi extradomestici rappresenta un’opportunità e in tale senso vanno lette le azioni rivolte al cliente intermedio per indurlo ad approvvigionarsi nei punti vendita al dettaglio. Per una più approfondita comprensione delle principali modificazioni che hanno interessato il commercio all’ingrosso a libero servizio, il capitolo presenta in primo luogo la struttura dell’offerta nella regione Lombardia a confronto con il dato nazionale, con particolare riferimento alla numerica e alla superficie totale e media dei punti vendita. Il quadro informativo è completato poi dalla disamina dell’evoluzione della domanda del servizio all’ingrosso, valutando gli effetti sulle condotte competitive degli operatori. Nello specifico viene analizzato l’impatto delle variazioni nell’ambiente sulla struttura dell’offerta, analizzando le strategie di marketing delle principali insegne operanti nel comparto. Infine, sono analizzati i cambiamenti indotti sulla struttura del comparto dall’ampliamento della domanda perseguito dalle imprese al dettaglio della grande distribuzione organizzata grocery attraverso l’ampliamento del mercato obiettivo agli operatori HO.RE.CA. L’analisi è condotta sulla base delle fonti secondarie disponibili e la discussione di casi aziendali utili alla comprensione delle tematiche in oggetto. Il terzo capitolo approfondisce il tema dell’integrazione verticale dell’ingrosso da parte delle imprese industriali. La comprensione di questo fenomeno e la valutazione del relativo impatto nei diversi mercati rimandano necessariamente al ruolo economico svolto dal grossista nel canale di distribuzione. Tale ruolo è in parte riconducibile alla struttura del commercio al dettaglio e alle politiche distributive delle imprese industriali. La prima condizione impatta sulla quota di volumi potenzialmente intermediabili dal grossista, mentre la seconda su quella effettiva. Il mercato potenziale degli intermediari all’ingrosso è inversamente correlato al grado di concentrazione dell’offerta distributiva al dettaglio. Lo spazio economico per l’ingrosso diminuisce nei settori in cui l’evoluzione del comportamento d’acquisto del consumatore induce modificazioni strutturali nel commercio, favorendo lo sviluppo di esercizi commerciali di medio-grande superficie e di imprese succursaliste operanti con una logica industriale. Si tratta di imprese che integrano l’attività di ingrosso, da un lato, perché il servizio offerto sul mercato è

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inadatto per quantità e qualità alle loro esigenze e, dall’altro, per appropriarsi dei guadagni di produttività derivanti dalla centralizzazione delle attività soggette ad economie di scala, come gli acquisti, la logistica, il marketing, la gestione del personale, l’amministrazione e la finanza. Il mercato effettivo degli intermediari all’ingrosso dipende invece dalla decisione assunta dalle imprese industriali, nell’ambito della strategia di marketing, con riferimento al presidio dei mercati di sbocco. La distribuzione diretta, attraverso reti di vendita e logistica esclusive, consente un controllo più efficace del marketing distributivo ai fini del sostenimento dell’immagine di marca e del relativo posizionamento sul mercato. Nel caso dei prodotti standardizzati e di modesto valore unitario, il presidio diretto della rete al dettaglio si impone, inoltre, con maggior forza per la necessità di ottenere la massima copertura del mercato: se il cliente finale non trova il prodotto o la marca nel momento e nel luogo in cui intende acquistarla, sceglie sicuramente un’altra marca e l’occasione di vendita sarà perduta. Il limite tra copertura diretta ed indiretta è definito dalla soglia dei costi di vendita e logistici che l’impresa industriale non intende superare. Tale limite dipende da:

- la dimensione del produttore; - l’entità media dell’ordine dell’impresa distributiva.

La dimensione determina le risorse finanziarie disponibili e, conseguentemente, la capacità da parte dell’impresa industriale di espletare autonomamente le attività correlate alla distribuzione, riducendo il grado di dipendenza dagli intermediari commerciali. Tale fattore è determinante in presenza di un dettaglio polverizzato e frammentato territorialmente. Gli investimenti associati all’impianto della rete commerciale e logistica per servire direttamente i punti vendita diventano sostenibili soltanto a partire da una certa massa critica, innalzando la soglia dimensionale che rende economicamente conveniente alle imprese l’utilizzo di un canale di distribuzione corto. Oltre ai costi della rete di vendita, l’impresa deve sostenere quelli connessi alla progettazione di un sistema logistico in grado di conciliare una produzione su grande scala con una domanda intermedia frazionata nel tempo e nello spazio. I prodotti finiti sono generalmente stoccati in uno o più magazzini centrali che alimentano una serie di depositi regionali e locali realizzati per approvvigionare aree di mercato limitate. Il rilevante investimento in scorte che la costituzione di depositi regionali e locali comporta è sostenuto per garantire il livello di servizio richiesto da punti vendita di piccola dimensione che ordinano modesti quantitativi di merce con una frequenza elevata. Siffatto profilo degli ordini dipende, da un lato, dal potenziale di vendite dell’esercizio e, dall’altro, dalla disponibilità di spazi di stoccaggio limitati. Di conseguenza, con l’istituzione di depositi regionali e locali si soddisfa la duplice esigenza, da un lato, di minimizzare i costi di trasporto, adottando una soluzione mista di carichi raggruppati per grandi volumi fino alle strutture periferiche e di consegne a raggio limitato per le piccole quantità ai dettaglianti; dall’altro, di incrementare la frequenza potenziale di consegna dovendo gestire un ambito territoriale limitato.

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Tuttavia, questa configurazione della rete di vendita e logistica richiede una soglia minima dell’ordine, al di sotto della quale diviene irrimediabilmente antieconomica. In concreto, dando per scontato che la capacità dell’ordine della piccola impresa commerciale è comunque limitata, si può ritenere che solo pochi operatori riescano ad ottenerne una quota adeguata. Tale condizione si verifica per le imprese industriali che dispongono di:

- prodotti ad elevato valore aggiunto; - ampio portafoglio prodotti; - significativa quota di mercato.

L’integrazione verticale della funzione di ingrosso da parte delle imprese industriali può concretizzarsi con diverse modalità:

- la creazione di filiali commerciali da parte di imprese estere interessate a servire il mercato nell’ambito delle proprie strategie di internazionalizzazione;

- la scelta da parte di imprese di produzione di superare il canale indiretto a favore di una soluzione mista (canale diretto e canale indiretto);

- l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso il modello della commissionaria di vendita;

- l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso la diversificazione nell’attività di ingrosso e la connessa vendita di prodotti e marche aggiuntive a quelle aziendali.

L’analisi è focalizzata sui settori che oggi sono più vivaci con riferimento al fenomeno oggetto di studio e, precisamente, il complesso dei prodotti rivolti ai pubblici esercizi (bar e ristoranti), il largo consumo e la stampa quotidiana e periodica. Date le specificità di quest’ultimo settore, sottoposto a particolare tutela da parte del legislatore per garantire la libera circolazione delle informazioni, si è ritenuto opportuno esporre l’analisi in un paragrafo dedicato.

Infine, si segnala che il tema dell’integrazione verticale delle funzione di ingrosso da parte delle imprese industriali prescinde dai confini regionali in cui operano gli intermediari commerciali. Tale decisione strategica è assunta, infatti, da imprese di grande dimensione con una presenza su tutto il territorio nazionale. Pertanto, le ricadute a livello locale dipendono unicamente dal peso che le singole regioni assumono nell’ambito del fatturato della specifica azienda industriale. Il quarto capitolo affronta il tema delle reti indirette costituite da agenti e rappresentati di vendita. Alla luce degli scenari descritti nei capitoli precedenti, anche il ruolo di questi intermediari appare minacciato da fenomeni di concentrazione che avvengono a monte e a valle del sistema. Tuttavia, la funzione economica dell’intermediazione indiretta è molto legata alle caratteristiche del settore e del territorio coperto. L’agente, infatti, assolve funzioni logistiche e informative all’interno dei canali distributivi ma non effettua acquisti in proprio nome. Quest’ultima circostanza distingue gli agenti dai commissionari e dai

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concessionari che, genericamente, vengono ricondotti nel profilo dell’intermediazione indiretta. Secondo l’ISTAT, gli addetti all’intermediazione commerciale sono classificabili in 6 macrocategorie, ognuna di queste categorie contiene sottoclassificazioni, per un totale di 32 voci. Questa circostanza stride con i meccanismi dell’iscrizione al Ruolo Agenti che prevede semplicemente che presso le Camere di Commercio debbano iscriversi tutti coloro, persone fisiche e società, che intendono svolgere l’attività di agenzia e/o rappresentanza. La distinzione tra l’agente e il rappresentante è sottile, potendo quest’ultimo concludere contratti, a differenza del primo che si limita a promuoverli. In realtà, il quadro giuridico è molto articolato e sono almeno una trentina i provvedimenti legislativi che negli ultimi venti anni hanno arricchito la giurisprudenza in materia, comprendendo le Direttive comunitarie. Ad oggi gli iscritti al Ruolo devono anche iscriversi al Registro Imprese, ciò in quanto il numero di iscrizione deve essere comunicato ad Enasarco che gestisce le posizioni previdenziali di circa 300.000 agenti per 100.000 mandanti. Questi numeri sono leggermente superiori a quelli degli albi della Camere, che comprendono un universo di circa 255.000 agenti. L’analisi statistica è ulteriormente complicata dal fatto che le iscrizioni al ruolo non necessariamente indicano la reale operatività dell’agente ed esiste il fondato sospetto che alcuni benefici fiscali possano spingere all’iscrizione e al sostegno dei costi relativi in virtù di un saldo contabile positivo. Non è un caso che periodicamente, ogni 5 anni esista un meccanismo di revisione del Ruolo, cioè di ripulitura della lista, peraltro messo in crisi in passato dalla legge Bassanini che per un certo periodo mise le Camere di Commercio nella condizione di non rendere obbligatoria l’iscrizione al registro imprese (decisamente più costoso del Ruolo). Nonostante questa difficoltà, la ricerca tenta di confrontare i dati della Lombardia con quelli delle altre regioni per cogliere specificità settoriali e/o territoriali. In particolare, si verifica l’esistenza di scostamenti nella struttura del comparto (monomandatari/purimandatari, con deposito/senza deposito, con subagenti/senza sub agenti, società/persone fisiche). Particolare attenzione è riservata all’analisi del conflitto verticale tra agenti e mandanti in merito alla “proprietà” del cliente finale a seconda del diverso profilo che può assumere il ruolo nel caso di:

- rapporto esclusivo (agenti monomandatari); - rapporto non esclusivo sinergico (agenti plurimandatari con mandanti

complementari); - rapporto non esclusivo aperto (agenti plurimandatari con mandanti che

offrono prodotti acquistati dagli stessi clienti). La parte centrale di questo capitolo si concentra sulle prospettive di evoluzione del ruolo, segnalando le sfide legate alla gestione delle reti commerciali nei prossimi anni. Anche in questo caso occorre fare precisazioni di natura settoriale considerando le specificità dei mercati; si pensi in particolare al mondo dei promotori finanziari, a quello dei promotori medico scientifici, o alla figura dei promoter sempre più diffusa nel contesto alimentare. In molti casi il ruolo

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dell’agente è sostenuto dall’esigenza delle imprese di non perdere il presidio del territorio pur dovendo centralizzare la negoziazione. In questo, come in altri casi, le aziende si pongono il dilemma di come organizzare un presidio informativo senza sostenere i costi fissi di una rete di vendita interna o di una struttura di merchandiser o promoter dipendenti. A ben vedere la ricerca di flessibilità spinge nella direzione di contratti improntati alla ricerca di nuove forme di incentivi che rendano più efficace il coordinamento centro-periferia. Al riguardo può essere utile un richiamo alle normative in materia di contratti e alle continue evoluzioni delle stesse (clausole di recesso, esclusive, indennità, …). Infine, si arriva alle conclusioni sul potenziale occupazionale che discende dallo sviluppo o dalla involuzione delle reti di vendita indirette. Se da una parte il 35% degli annunci di lavoro sembra concentrarsi ancora su questo profilo, dall’altra, i segnali evidenziati dalle parti centrali del rapporto sembrano aprire aree di preoccupazione. In particolare, dal momento che il presidio del territorio per la promozione dei prodotti del mandante e la connessa raccolta degli ordini perderà di importanza in rapporto allo sviluppo dell’e-sourcing e dell’e-procurement, il contributo di questa professione allo sviluppo dell’occupazione non potrà essere che declinante. Le interviste alle numerosissime e attive Associazioni di categoria possono aiutare a cogliere le sfumature del tema. Il quinto capitolo analizza il ruolo e le prospettive dei mercati all’ingrosso nella commercializzazione e valorizzazione dei prodotti freschi deperibili. L’importanza della funzione economica dei mercati all’ingrosso si fonda sui seguenti elementi:

- la stagionalità dei consumi, determinata anche dalla indisponibilità del consumatore “povero” di allora a pagare un premium price per prodotti di importazione;

- la forte varianza della qualità, determinata anche da carenze logistiche e dal limitato sviluppo di marchi collettivi;

- la forte varianza della quantità disponibile per la commercializzazione, determinata da un lato dagli andamenti climatici e dall’altro dalle scelte dei produttori, ispirate spesso alle quotazioni della stagione precedente;

- la polverizzazione della produzione, determinata dalla ridotta presenza di organizzazioni agricole in grado di interfacciare direttamente gli acquirenti;

- la polverizzazione della distribuzione al dettaglio, determinata fra l’altro dalla difficoltà di estendere a questi prodotti la vendita a libero servizio.

In passato l’insieme di queste circostanze strutturali rendeva necessaria la negoziazione a vista per la scoperta di un prezzo che portava in equilibrio domanda e offerta su basi territoriali ristrette e spesso coincidenti con la città / provincia. Ora, delle circostanze indicate più sopra, solo la varianza della quantità continua a svolgere un ruolo rilevante nel pricing dei prodotti freschi deperibili. Anche quest’ultima ha però un diverso impatto rispetto al passato; lo sviluppo di insegne/gruppi distributivi nazionali e l’acquisto diretto alla fonte hanno infatti

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azzerato l’impatto territoriale della varianza della quantità, nel senso che una carenza/abbondanza di prodotto si riflette oggi in maniera uniforme su tutto il paese. Il diminuito ruolo dei mercati all’ingrosso nella distribuzione e valorizzazione dei prodotti freschi deperibili si evince dalla riduzione esponenziale dei consumi mercatizzati e dalla specializzazione di queste strutture nel servire il dettaglio tradizionale, l’HO.RE.CA. e gli ambulanti, che incidono sulle vendite in maniera via via decrescente, ma in misura ancora rilevante 2. I mercati all’ingrosso hanno perso la loro posizione centrale nella valorizzazione e nella distribuzione fisica dei prodotti agroalimentari, che vengono ora in gran parte canalizzati direttamente dalla produzione al dettaglio. Questa tendenza si manifesta, seppur con qualche specificità, per tutte le filiere dei prodotti deperibili (ortofrutta, carni, pesce, fiori).

La politica commerciale non può fare molto per invertire o rallentare la tendenza in atto. Riteniamo però che i mercati non abbiano saputo sfruttare appieno le loro potenzialità, che sono senz’altro ancora valide, percorribili e certamente portatrici di valore aggiunto. Inoltre, molti fenomeni nuovi che interessano la distribuzione delle merci in città e l’assetto logistico ed infrastrutturale, potrebbero essere valorizzati appieno proprio dalle strutture mercatali.

In questa ottica si propongono alcuni elementi di riflessione al fine di ridisegnare l’assetto organizzativo e le strategie della rete dei mercati all’ingrosso della Lombardia. Riteniamo che il numero dei mercati, anche in Lombardia, sia significativamente elevato e questo limite strutturale è aggravato dalla assoluta assenza di coordinamento (sinergie, strategie a rete, ecc.) fra mercati stessi. Occorre quindi pensare ad una forte riorganizzazione nelle strutture e nelle funzioni dei mercati, allorché le classiche differenziazioni in base alla dimensione od alla destinazione della merce (mercati alla produzione, di redistribuzione, o finali) non rispondono più alle esigenze attuali. Il sesto capitolo conclude la ricerca sul contesto normativo che disciplina l’ingrosso. In questa parte ci proponiamo di posizionare la legislazione lombarda nel contesto nazionale, suggerendo anche alcune linee di politica commerciale.

Nel sesto capitolo forniamo dunque in primo luogo un quadro dell’evoluzione della normativa statale, a partire dal Regio decreto legge 16 dicembre 1926, n. 2174 (che ha introdotto per la prima volta in Italia l’istituto della licenza di commercio “per la vendita al pubblico di merci sia all’ingrosso che al minuto”), per passare alla legge 11 giugno 1971, n.426 (che abolisce l’autorizzazione preventiva per il solo commercio al dettaglio, mentre per il commercio all’ingrosso e per il commercio al dettaglio istituisce l’iscrizione al Registro Esercenti il Commercio tenuto presso le Camere di Commercio) ed approdare infine al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (che abolisce anche il Registro Esercenti il

2 Si calcola che in Italia la quota della GDO nella vendita di ortofrutta sia pari al 50% mentre nei paesi commercialmente più evoluti tale quota arriva all’80%. Lo spazio economico riservato alla clientela dei mercati all’ingrosso è dunque ancora relativamente importante nel nostro paese.

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Commercio). L’evoluzione della normativa statale viene poi analizzata anche per lo specifico settore dei mercati all’ingrosso agroalimentari, a partire dalle leggi 20 giugno 1935, n. 1279 e 12 luglio 1938, n. 1487 relative ai mercati all’ingrosso del pesce, fino al varo della legge 25 marzo 1959, n. 125 e dei successivi Regolamenti tipo coi quali viene dettata una dettagliata normativa sul commercio all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici. L’ultimo Regolamento tipo (quello relativo ai mercati ortofrutticoli) viene emanato nell’aprile 1970, alla vigilia della istituzione delle Regioni a statuto ordinario, che dispongono della competenza costituzionale in materia di “fiere e mercati”.

Dopo l’analisi dell’evoluzione della normativa statale procederemo allo studio della normativa della Regione Lombardia in materia di mercati all’ingrosso in rapporto ad altre normative regionali. La L.R. 22 gennaio 1975, n. 12 è stata indubbiamente una delle prime leggi regionali emanate in questa materia con caratteri di organicità e completezza, tenendo conto dei principi e degli indirizzi statali desumibili dalla legge n. 125/1959, sia delle norme di dettaglio contenute nei vari regolamenti tipo di fonte ministeriale. Della legge lombarda, tuttora in vigore, vengono messi in rilievo da un lato la previsione del piano regionale di sviluppo dei mercati all’ingrosso e dall’altro di alcune innovazioni introdotte in materia di istituzione e gestione dei mercati, con l’accentuazione del profilo pubblicistico degli Enti di gestione: gli Enti locali territoriali che ne fanno parte devono infatti possedere almeno i due terzi del capitale sociale. Tale profilo pubblicistico viene mantenuto con la L.R. 21 agosto 1981, n. 50 (che dispone all’art. 40 la concessione di contributi per favorire l’istituzione di nuovi mercati o l’ampliamento ed ammodernamento di quelli esistenti), mentre viene temperato con la L.R. 14.12.1987, n. 37 (che a seguito del varo del Piano Mercati con legge 28 febbraio1986, n. 41 e della delibera del C.I.P.E. 14 ottobre 1986 prevede la partecipazione della Regione Lombardia alle società consortili per la realizzazione dei mercati agroalimentari all’ingrosso che si formino sul proprio territorio, che vedono la partecipazione maggioritaria - al 50,1%- degli Enti pubblici, ivi incluso un Ente pubblico non territoriale quale la Camera di Commercio). In questo caso comunque l’intervento della Regione vuole avere un intento solo promozionale delle iniziative, in quanto l’apporto della Regione (non superiore al 15%) viene visto di natura temporanea, cioè fino all’esaurimento della fase di costruzione e all’avvio di quella di gestione.

L’analisi comparata con le normative di altre Regioni mette il luce una serie di lacune e di problematiche non affrontate dalla normativa lombarda. La normativa del Piemonte si preoccupa ad esempio di fornire una definizione di mercati all’ingrosso, individuarne la loro funzione e stabilire le finalità della gestione economica e finanziaria dei mercati, problematiche non presenti nella normativa lombarda. La Regione Veneto e la Regione Liguria si preoccupano di fornire una classificazione delle varie tipologie di mercati all’ingrosso. Ancora più aggiornata ed innovativa la classificazione dei mercati all’ingrosso contenuta nella L.R. 19.01.1998, n. 1 della Regione Emilia Romagna, incentrata soprattutto sul ruolo dei centri agroalimentari o della L.R. 2.08.1983, n. 38 della Regione Toscana, la quale introduce il concetto di Centro Annonario polivalente, quale principale strumento della politica annonaria dell’Ente locale. La normativa della Regione

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Toscana e della Regione Lazio introducono inoltre riferimenti con la pianificazione territoriale ed urbanistica.

Una particolare attenzione è stata riservata all’analisi della tematica della sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio. In questo caso viene posto in evidenza come il divieto posto dall’art. 40 della legge 11.06.1971, n. 426 di esercitare nello stesso punto di vendita le attività di commercio all’ingrosso e al minuto e di procedere entro un triennio alla separazione fisica delle due attività sia stato poi disatteso dallo stesso Ministero dell’Industria e Commercio in proprie circolari esplicative, per cui in molte normative regionali si è provveduto ad individuare le tabelle merceologiche in cui era possibile la vendita congiunta all’ingrosso e al dettaglio.

Un’altra area di sovrapposizione si è manifestata nel tempo a causa del forte sviluppo sul mercato del formato distributivo dei cash and carry, destinati inizialmente alla prevalente vendita di generi alimentari, poi estesa, dato il successo della formula distributiva ad altri settori merceologici non alimentari (dai beni per la casa e il tempo libero agli stessi beni per la persona). Negli ultimi tempi poi la formula si sta sviluppando in forme sempre più specialistiche (es. nel campo dei prodotti elettronici o dei materiali per l’edilizia). Il forte sviluppo di questa formula distributiva è stato agevolato dall’interpretazione estensiva data all’art. 1, secondo comma, della legge n. 426/1971 in tema di “utilizzatori in grande” e di “utilizzatori professionali”, che nella prassi corrente ha finito per coinvolgere l’intera platea dei possessori di partita I.V.A., divenendo i cash and carry strutture distributive similari agli ipermercati senza avere di questi i vincoli amministrativi d’insediamento e di orario di funzionamento.

Nelle conclusioni, si analizza il nuovo ruolo della Regione in relazione alle modifiche del titolo V della parte 2° della costituzione (LC 18/10/01 n.3 art.117). In questo ambito, è stato approfondito sia il rapporto tra Stato e Regioni che il rapporto tra Antitrust e Regioni nella promozione della concorrenza. Inoltre, l’analisi comparata delle leggi regionali permette di valutare la presenza di una sorta di federalismo in materia di regolazione dell’attività distributiva. In particolare, le Regioni sono state posizionate in funzione del loro orientamento liberistico in materia di regolazione del dettaglio e dell’ingrosso. Se il governo regionale dell’accesso al mercato si pone come obiettivo prioritario il sostegno del funzionamento della concorrenza minimizzando nel contempo le esternalità negative sul piano urbanistico e territoriale, occorre superare la segmentazione merceologica e funzionale ( dettaglio e ingrosso) che ha sempre caratterizzato la politica commerciale nazionale. Si è dunque proposto un nuovo orientamento della politica commerciale regionale, che si basa sulla convergenza della regolazione dell’accesso al mercato e della condotta.

La convergenza della politica commerciale dell’ingrosso e del dettaglio non può naturalmente riguardare i mercati agroalimentari, che hanno funzioni economiche specifiche e devono pertanto avere una regolazione ad hoc.

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Capitolo 1

L’ingrosso tradizionale in Lombardia

1.1. Premessa generale La definizione del campo d’indagine. La distribuzione all’ingrosso identifica le attività di vendita di beni e servizi a negozi al dettaglio, ad altri commercianti, ad utilizzatori industriali e istituzionali. I grossisti, in altri termini, non vendono al consumatore finale, sono commercianti che fanno da tramite tra le imprese di produzione e le aziende di distribuzione al dettaglio e svolgono una serie di attività. Le più rilevanti sono lo stoccaggio della merce, il frazionamento delle partite, la formazione di assortimenti mediante aggregazione di diverse categorie merceologiche, il finanziamento, la consegna al punto vendita e l’assistenza post-vendita. I grossisti di maggiori dimensioni hanno anche una propria rete di venditori che opera sul territorio per raccogliere gli ordini della clientela consolidata e penetrare nuovi mercati.

L’importanza del commercio all’ingrosso è decisamente più elevata nel nostro Paese e in Lombardia rispetto ad altre nazioni dell’UE, per il rilievo che le medie e piccole imprese hanno nel sistema produttivo. Al di sotto di una certa dimensione i produttori non hanno le risorse e le competenze per raggiungere direttamente, senza il supporto e i servizi offerti dal grossista, i distributori al dettaglio. In altri termini, senza i servizi commerciali forniti dai grossisti, le imprese manifatturiere di piccole e medie dimensioni presenti in Lombardia non potrebbero raggiungere un numero adeguato di punti vendita. Come sarà chiarito tra breve, tuttavia, il ruolo, le attività e le strategie dei distributori all’ingrosso sono molto diversi da settore a settore e sono cambiate nel corso degli ultimi anni.

Le imprese commerciali all’ingrosso non devono essere confuse con gli intermediari, che sono invece gli agenti ed i rappresentanti di commercio. L’attività di commercio all’ingrosso si distingue da quella degli intermediari sia perché il grossista assume il diritto di proprietà della merce, che non viene assunta invece dall’agente di commercio, sia per l’attività logistica, di stoccaggio, frazionamento delle partite e consegna. Gli intermediari sono esclusi da questa parte della ricerca e sono analizzati invece nella sezione elaborata da Pellegrini.

Il grossista tradizionale viene comunemente identificato come un commerciante di beni tangibili, mentre ha un ruolo specifico nei canali di distribuzione in quanto offre una serie articolata di servizi commerciali a condizioni più vantaggiose

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dell’auto-produzione. Uno dei servizi più importanti è l’assortimento, più ampio e profondo rispetto a quello offerto dai fornitori industriali. I distributori al dettaglio e gli altri operatori economici che si rivolgono alle imprese all’ingrosso lo fanno con l’obiettivo di approvvigionarsi di prodotti diversi per tipologia e marchio, in quantità variabili e non vincolate ad una consistenza minima dell’ordine e ad intervalli periodici.

Il grossista tradizionale, inoltre, offre servizi logistici di stoccaggio, frazionamento delle partite e consegna, che consentono al distributore al dettaglio di ridurre le risorse da investire nel magazzino e di concentrarsi sull’attività di vendita. Le imprese grossiste offrono poi anche servizi di finanziamento, sia a monte che a valle della filiera distributiva. In sostanza, i commercianti all’ingrosso sono in grado di consentire una maggiore flessibilità commerciale e logistica rispetto alla distribuzione diretta effettuata dall’industria.

In termini estremamente pragmatici la funzione economica essenziale del grossista consiste nell’offrire servizi commerciali ad un costo inferiore sia rispetto a quello che sosterrebbero le imprese di produzione, nel caso in cui vendessero direttamente al dettaglio (integrandosi a valle), sia riguardo ai costi che le imprese al dettaglio sopporterebbero integrandosi a monte, acquistando direttamente alla produzione (per esempio, mediante Gruppi d’acquisto).

In genere, si ritiene che l’allocazione delle funzioni di marketing tra i differenti stadi del canale di distribuzione prenda una configurazione diversa a seconda della struttura dei rapporti competitivi orizzontali e verticali. I confini dell’attività economica degli intermediari all’ingrosso dipendono sia dalla concorrenza verticale con produttori e dettaglianti sia da quella orizzontale tra grossisti. Nella maggior parte dei settori, che saranno esaminati dettagliatamente nel seguito, il processo d’integrazione a valle dei produttori leader e a monte della Grande Distribuzione ha costretto le imprese d’ingrosso tradizionale ad una progressiva revisione del proprio ruolo economico. I distributori all’ingrosso nei settori dei beni di consumo sono difatti sempre più in difficoltà nel mantenere una posizione remunerativa nei canali di distribuzione.

Le attività svolte dai grossisti, in un mercato che richiede un continuo aggiustamento del ruolo svolto, si fanno sempre più articolate e complesse; il “mestiere” del grossista risulta pertanto di difficile lettura analizzando i dati disponibili, che prevedono classificazioni tradizionali. Pertanto, la ricerca è stata svolta anche ricorrendo ad analisi di tipo qualitativo basate su interviste agli operatori.

Le difficoltà di inquadrare il settore dell’ingrosso sono da ricondurre alla ancora prevalente concezione residuale di quest’attività, rispetto alla produzione e alla distribuzione al dettaglio. Inoltre, i confini dell’attività dei grossisti sono sempre più difficili da delimitare sia a causa del processo d’integrazione a valle dell’industria, sia a causa dell’integrazione a monte della Grande Distribuzione. Le difficoltà di delimitazione del campo d’indagine sono accentuate dall’affermazione di figure professionali ibride, quali l’agente con deposito, che offre servizi equiparabili a quelli sviluppati dal grossista tradizionale. Sempre più spesso le imprese di produzione si avvalgono di diverse modalità distributive in relazione alla struttura dell’apparato distributivo e alla dimensione del lotto economico. In

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genere, nelle aree territoriali in cui la distribuzione al dettaglio è più frammentata le vendite sono affidate a grossisti. Inoltre, di solito le grandi partite sono gestite direttamente dai produttori e i lotti medio-piccoli sono commercializzati tramite grossisti.

Inoltre, le difficoltà di inquadramento del settore dell’ingrosso sono accentuate dalla sempre maggiore apertura internazionale dei mercati.

Un ulteriore aspetto che deve essere sottolineato è la scarsa attenzione che è stata posta nello studio dell’ingrosso, in particolare non alimentare, rispetto alle ricerche dedicate al commercio al dettaglio. La distribuzione all’ingrosso è un settore che, fino ad ora, ha riscontrato scarso interesse da parte degli studiosi. Da un’analisi della bibliografia recente emerge una netta discriminazione di attenzione degli studiosi tra ingrosso e dettaglio e favore di quest’ultimo e tra alimentare e non alimentare a favore del primo. Il ruolo economico dell’ingrosso tradizionale. Le imprese commerciali all’ingrosso operano all’interno di canali di distribuzione, definiti lunghi, proprio per la presenza di più livelli di intermediazione. L’obiettivo di un canale di distribuzione è far arrivare i beni dal produttore al consumatore e colmare il divario tra chi produce, che, di solito, è concentrato in un ambito territoriale limitato, e chi usa i beni/servizi, che è diffuso sul territorio. Oltre a rendere compatibili le diverse geografie della produzione e del consumo, l’ingrosso contribuisce a superare la distanza temporale e di scala che separa il produttore dal consumatore. I grossisti inseriti in un canale di distribuzione gestiscono in particolare cinque tipologie di flussi.

1. Il flusso informativo. Le imprese di produzione, infatti, attivano un flusso informativo discendente quando comunicano agli intermediari ed ai consumatori la propria strategia, la propria immagine, pubblicizzano prodotti e promozioni; mentre ricevono un flusso informativo “ascendente” quando ottengono dal mercato feed-back sia positivi che negativi sulla validità dei propri prodotti, sulla notorietà della marca, sulle esigenze dei consumatori.

2. Il flusso fisico, che comprende la pianificazione, la gestione ed il controllo del movimento dei beni dalla produzione al consumo, dato che il grossista svolge la funzione di trasporto e di stoccaggio.

3. Il flusso del titolo di proprietà, chi acquista un bene riceve anche dal distributore grossista i documenti che attestano la proprietà del bene.

4. Il flusso di pagamento e di finanziamento, nel caso più semplice può essere effettuato mediante denaro contante, ma un bonifico bancario, per esempio, comporta il coinvolgimento di altre imprese.

5. Il flusso di attività di marketing e di servizi, il numero sempre maggiore di nuovi prodotti immessi nel mercato richiede il supporto comunicativo, promozionale ed informativo dei distributori.

I flussi di trasferimento di proprietà ed i flussi fisici hanno un andamento unidirezionale “discendente”, dal produttore verso il consumatore; i flussi di

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pagamento seguono invece un andamento opposto, mentre i flussi informativi, come appena evidenziato, sono bi-direzionali.

In termini essenziali, la funzione economica principale del grossista consiste nell’offrire un mix di servizi commerciali con maggiore efficacia ed efficienza rispetto alla vendita diretta ai punti vendita da parte delle imprese di produzione e sia rispetto all’integrazione a monte dei distributori al dettaglio. Più in particolare, i servizi che identificano il sistema d’offerta dei distributori grossisti sono i seguenti:

1) acquisto; 2) gestione dell’assortimento e frazionamento delle partite; 3) vendita e promozione; 4) deposito, stoccaggio, gestione delle scorte; 5) trasporto; 6) finanziamento; 7) assunzione del rischio; 8) informazione di mercato; 9) consulenza e servizi di management; 10) inserimento in nuovi mercati, anche esteri. 1. Acquisto. Le competenze e le dimensioni consentono ai grossisti di

conseguire economie d’acquisto e di ottenere condizioni più favorevoli rispetto a quelle che potrebbero ottenere i dettaglianti indipendenti, agendo singolarmente.

2. Gestione dell’assortimento e frazionamento delle partite. Il grossista, di solito, fraziona in piccoli lotti la produzione dell’industria e aggrega l’assortimento in modo da riuscire a presentare categorie caratterizzate da differenze di qualità, marche e prezzo.

3. Vendita e promozione. Le imprese all’ingrosso più evolute dispongono di una propria forza di vendita, in genere una rete di agenti che operano sul territorio, visitano i clienti, forniscono informazioni e promuovono i prodotti. Questi servizi commerciali consentono alle piccole e medie imprese di produzione di raggiungere i clienti di minori dimensioni ad un costo inferiore rispetto a quello che dovrebbero sostenere agendo direttamente.

4. Deposito, stoccaggio, gestione delle scorte. Il grossista assume a proprio carico la funzione di gestione delle scorte, riducendo costi e rischi per fornitori e clienti.

5. Trasporto. Il grossista, di solito, è in grado di assicurare un trasporto a condizioni migliori rispetto a quelle dei produttori per effetto del più ampio assortimento di prodotti consegnati con ogni carico.

6. Finanziamento. I grossisti in genere concedono dilazioni di pagamento ai distributori al dettaglio, sono inoltre in grado di anticipare ordini alla produzione ed effettuare i pagamenti in modo tempestivo.

7. Assunzione del rischio. I grossisti possono assorbire parte dei rischi di furto, danneggiamento ed obsolescenza delle merci trattate. In particolare, rientra nel mestiere del grossista cogliere le opportunità di mercato che si

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riconnettano alle situazioni di eccessivo stock della produzione, oltre a speculare sulle tendenze del mercato nei settori soggetti alla moda.

8. Informazione di mercato. I grossisti informano fornitori e clienti sulle caratteristiche dei nuovi prodotti, sui prezzi, sulle attività di marketing dei concorrenti, etc.

9. Consulenza e servizi di management. I grossisti frequentemente forniscono un supporto alle imprese commerciali al dettaglio per il miglioramento delle loro attività di gestione dei punti vendita.

10. Inserimento in nuovi mercati anche esteri. Un produttore estero che voglia entrare nel mercato italiano può selezionare una rete di grossisti regionali e affidare a loro la gestione delle relazioni con i distributori al dettaglio. Il produttore estero si limita a definire le linee guida delle politiche distributive (per esempio, il profilo di distributore al dettaglio da servire).

La crisi dell’ingrosso in Lombardia. La Lombardia è la regione con il maggiore numero di grossisti in Italia. Come nelle altre regioni del Nord Italia, l’espansione dell’ingrosso in Lombardia è stato funzionale all’industrializzazione post-bellica. Le imprese di commercio all’ingrosso hanno consentito alle imprese manifatturiere lombarde, in particolare di piccole medie dimensioni, di svilupparsi concentrandosi unicamente nell’attività produttiva, realizzando così economie di scala e migliorando nel corso del tempo il livello di specializzazione. I produttori di piccole e medie dimensioni, che scelgono di commercializzare i propri prodotti mediante il canale lungo, delegano al grossista importanti attività e non devono nemmeno organizzare una propria rete di vendita, poiché i piccoli produttori locali possono sfruttare la rete di vendita dei grossisti.

Il ruolo del grossista nelle filiere caratterizzate dalla presenza di grandi imprese industriali è invece meno importante. In genere, i produttori di maggiori dimensioni adottano soluzioni distributive miste o ibride: si servono dei grossisti solamente per raggiungere aree geografiche lontane, caratterizzate dalla presenza di distributori al dettaglio marginali e da un basso livello d’acquisto.

Le imprese di distribuzione all’ingrosso sono specializzate nell’offerta di servizi che permettono all’intero sistema economico delle regioni Lombardia un migliore impiego delle risorse. I piccoli produttori, che caratterizzano il nostro sistema industriale, non hanno le risorse per poter distribuire direttamente al dettaglio. Le aziende commerciali all’ingrosso consentono alle imprese di produzione di focalizzarsi sul core business e di realizzare economie di scala. La produzione, ancora in molti comparti, è vincolata a lotti minimi3 e gli intermediari, frazionando le partite, riescono a soddisfare le esigenze dei clienti.

I produttori che utilizzano i servizi commerciali offerti dall’ingrosso ottengono i seguenti vantaggi:

3 Nonostante da anni si parli di fine del modello di produzione fordista, sostituito dalla

produzione snella e da soluzioni ispirate alla massima flessibilità produttiva, permangono vincoli e rigidità nei sistemi produttivi di molti settori ed imprese.

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1. trasferiscono a terzi la complessità della gestione e i rischi dei rapporti con i distributori al dettaglio (selezione e segmentazione dei distributori ed eventuali rischi di insolvenza);

2. riducono il fabbisogno finanziario; 3. aumentano la velocità di rotazione del capitale investito.

L’impiego dei grossisti ha, per contro, anche alcuni svantaggi:

- un minore grado di controllo del mercato, data la mancanza di

informazioni affidabili e tempestive sul consumatore e sulle strategie dei concorrenti;

- un minore controllo delle politiche di marca e di trade marketing; il produttore che delega al grossista è in difficoltà nel controllare l’attività di marketing dei distributori.

Nei settori concentrati con pochi produttori di marca, la tendenza prevalente è quella ad accorciare la lunghezza dei canali di vendita e ad impiegare canali di distribuzione brevi (o corti) che implicano lo “scavalcamento” delle funzioni svolte dal grossista. Questa soluzione comporta per i produttori una forza vendita dedicata e un maggior impegno di risorse. Nei settori oligopolistici, i produttori di marca assolvono gran parte delle funzioni svolte dalle imprese di distribuzione e non “canalizzano” attraverso i grossisti, se non per raggiungere la clientela marginale. In realtà, dunque, la scelta non è mai tra un canale e l’altro, ma tra un maggiore o un minore peso del canale lungo/corto, col conseguente diverso controllo del mercato finale.

In un numero sempre maggiore di settori non alimentari (moda, calzature, occhiali, design e lusso) i produttori di marca non solo adottano la soluzione distributiva del canale corto, e vendono direttamente ai dettaglianti, “scavalcando” i grossisti (con modalità che saranno chiarite nel seguito), ma sempre più spesso aprono negozi di proprietà o in franchising. Il processo è definito vertical branding e consente un elevato controllo delle politiche di marketing e di ottenere feed-back immediati dal mercato.

In generale, il grossista tradizionale specializzato per fronteggiare la rapida crescita delle marche industriali è costretto a modificare il proprio posizionamento nelle relazioni verticali. Resta sul mercato nei casi in cui inizia a diventare più selettivo sia a monte che a valle, effettua efficaci politiche di marketing d’acquisto, seleziona i fornitori più performanti in funzione della qualità, della capacità innovativa e dell’esclusiva distributiva. In altri termini, privilegia fattori in grado di offrire un vantaggio competitivo nei confronti dei più diretti concorrenti orizzontali. Contemporaneamente, inizia ad effettuare attività di marketing a valle, a segmentare il mercato, a stringere un sistema di relazioni più strette con un numero selezionato di dettaglianti (anche mediante franchising e/o apertura di punti vendita di proprietà).

In altri termini, diventa fondamentale per il grossista essere in grado di proporre un mix di prodotti/servizi innovativi, mirati a specifici target di clienti, possibilmente, accompagnati da adeguate campagne promozionali e pubblicitarie.

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Il canale lungo può prevedere anche tre livelli di intermediazione, in questo caso, per esempio, i produttori vendono a grossisti pluri-regionali, i quali, a loro volta, vendono a grossisti provinciali, che gestiscono le relazioni con i dettaglianti.

La fase di crisi dell’ingrosso in Lombardia 1970 – 2000. La crisi del grossista si manifesta parallelamente allo sviluppo di politiche di marketing sempre più sofisticate, che richiedono da parte dei produttori un contatto più diretto (e non mediato da imprese all’ingrosso indipendenti). Le recenti strategie di marketing richiedono uno scambio di informazioni e di elementi immateriali e pongono in crisi la funzione svolta dal grossista tradizionale.

In Lombardia, fino agli anni Settanta del secolo scorso, il grossista tradizionale godeva di una posizione di leadership nelle filiere distributive di gran parte dei settori. Da metà degli anni Settanta la figura del grossista tradizionale entra in crisi. I principali fattori di crisi dell’ingrosso sono due.

Il primo è rappresentato dalla concorrenza verticale esercitata dai produttori leader, che per sostenere i prodotti di marca, si integrano a valle “scavalcando” l’ingrosso e si appropriano di alcune tradizionali funzioni del grossista. Le aziende di produzione di marca“by-passano” i grossisti, non tanto per l’esigenza di ridurre i costi di distribuzione fisica, ma per affermare la marca industriale, controllare i prezzi, l’attività promozionale e l’esposizione dei loro prodotti anche nella fase di vendita al dettaglio. In altri termini, un numero sempre maggiore di produttori, al fine di costruire e controllare l’immagine di marca, tende ad accorciare la lunghezza dei canali per poter gestire le politiche di marketing.

In definitiva, l’aumento della concentrazione nei settori manifatturieri, la crescita dimensionale delle imprese di produzione, e in particolare, lo sviluppo di politiche di marca pongono in crisi la figura del grossista tradizionale. Pertanto, pur partendo da una posizione di forza, il grossista entra in una fase di crisi.

In altri termini, nel corso degli ultimi vent’anni, prima in Lombardia e poi nel resto del Paese si è affermata la tendenza all’integrazione a valle, alla riduzione della lunghezza dei canali e a “scavalcare” l’ingrosso. Il trend, che ha interessato diversi settori, è guidato dalle esigenze di un maggiore grado di controllo dell’attività di marketing e non tanto dall’esigenza di ridurre i costi logistici. In altri termini, è un cambiamento guidato più dall’efficacia che dall’efficienza. La progressiva marginalizzazione del ruolo economico dell’ingrosso, infatti, è determinata dall’aumento delle esigenze di controllo e di coordinamento logistico, informativo e comunicativo dei canali di distribuzione per ottimizzare le risorse di marketing.

Sono le nuove esigenze di affermazione di politiche di marca e di supervisione dell’immagine di marca, unitamente alla necessità di raccogliere tempestivamente feed-back di ritorno dal mercato, che inducono all’accorciamento della lunghezza dei canali di distribuzione, in particolare in tutti quei settori dove la quota di marcato dei prodotti di marca è in aumento.

Il canale lungo, che si caratterizza per almeno due passaggi: dal produttore al grossista e dal grossista al dettagliante, riduce le possibilità di controllo delle politiche di marketing. Il produttore vede notevolmente semplificati i propri

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problemi distributivi, ma perde i vantaggi derivanti dal contatto con i clienti finali. Riceve, infatti, con difficoltà e ritardo informazioni di ritorno dal mercato. Si ritiene, quindi, che il produttore, che delega al grossista l’attività di marketing e vendita, perda la possibilità di controllare direttamente l’immagine di marca.

Più in particolare, nelle fasce di posizionamento più elevate, i grossisti sono stati gradualmente sostituiti da agenti pluri-mandatari o da venditori diretti dei produttori. In altri termini, gli investimenti dei produttori industriali per differenziare i loro prodotti, mediante costose politiche di marca, hanno richiesto il passaggio a canali di distribuzione brevi. Sono ancora numerosi i produttori che adottano soluzioni distributive miste (ingrosso e dettaglio) o ibride, ma, in genere, nella fascia medio-alta del mercato il ruolo del grossista si è gradualmente ristretto.

Nei canali di distribuzione tradizionali da anni è in atto la tendenza a sostituire il grossista sia da parte dei produttori sia da parte dei dettaglianti evoluti. In un numero sempre maggiore di casi i produttori e i distributori tendono a prendere contatti diretti “scavalcando” i grossisti.

In Lombardia sono prevalentemente le aziende di produzione medio-piccole, che non hanno risorse per sviluppare prodotti di marca, che impiegano i grossisti.

Il secondo rilevante fattore di crisi dell’ingrosso in Lombardia, come nel resto del Nord Italia, è imputabile allo sviluppo della distribuzione moderna. La Grande Distribuzione attiva due fattori di crisi per l’ingrosso tradizionale: da un lato, si integra a monte, non acquista dai grossisti e si rivolge direttamente all’industria; dall’altro, la distribuzione moderna esercita una forte concorrenza di prezzo nei confronti del dettaglio tradizionale, che rappresenta il segmento di clientela più importante per l’ingrosso. Più in particolare, la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) acquista direttamente gli articoli a maggiore tasso di rotazione e si serve dell’ingrosso solo per la parte marginale dell’assortimento. La GDO quindi si avvale dei servizi offerti dai grossisti per gli articoli che avendo un basso tasso di rotazione hanno maggiori costi di gestione.

Le strategie di segmentazione dell’ingrosso tradizionale in Lombardia. Le prospettive di sviluppo dell’ingrosso tradizionale in Lombardia dipendono anche evidentemente dagli scenari evolutivi e dalle performance della clientela dell’ingrosso. Il segmento di clientela privilegiato dall’ingrosso tradizionale è il commercio al dettaglio tradizionale. Esso identifica la forma distributiva del piccolo negozio tradizionale, in cui prevale il lavoro dei componenti del nucleo familiare. Le imprese del commercio al dettaglio tradizionale sono di piccole dimensioni, basano la loro offerta sul servizio di prossimità e hanno generalmente un limitato assortimento di prodotti. Le loro fonti di approvvigionamento sono rappresentate principalmente da grossisti e da piccoli produttori.

Il dettaglio tradizionale si articola nelle seguenti tipologie principali: 1. negozi specializzati di piccole dimensioni, 2. negozi non specializzati di piccole dimensioni, 3. commercio ambulante (non in sede fissa), 4. commercianti di strada in sede fissa.

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I punti vendita specializzati trattano linee di prodotto ristrette con una notevole profondità dell’assortimento della linea trattata. In un numero ancora elevato di settori merceologici, la quota di mercato detenuta dal dettaglio tradizionale è ancora superiore al 50% del mercato. Per esempio nel settore degli articoli di cancelleria è pari al 75%, nell’abbigliamento al 50% circa.

Il secondo segmento di clientela privilegiato dall’ingrosso tradizionale in Lombardia è rappresentato dai punti vendita non in sede fissa che danno vita al commercio su aree pubbliche. Gli ambulanti rappresentano la forma di commercio più arcaica. Il commercio al dettaglio ambulante fa riferimento sia al venditore itinerante che a quello di un mercato fisso. Attualmente operano prevalentemente all’interno di mercati rionali e l’assortimento offerto dagli ambulanti si concentra prevalentemente sui prodotti alimentari deperibili e sui capi di abbigliamento (in genere, giacenze della stagione precedente rimaste invendute). L’acquisto delle merci da parte degli ambulanti avviene prevalentemente utilizzando il canale dell’ingrosso.

Il commercio non in sede fissa con cadenza settimanale su aree pubbliche ha mostrato sorprendenti capacità competitive nonostante lo sviluppo della moderna distribuzione e rappresenta una delle ragioni di permanenza sul mercato dell’ingrosso tradizionale, in quanto una parte dell’ingrosso è focalizzato su questo segmento. La fedeltà dei consumatori ai c.d. mercati rionali è dovuta al servizio di prossimità, al rapporto prezzo/qualità, alla dimensione sociale e alle relazioni personali che non si ritrovano negli ipermercati e nelle grandi superfici a libero servizio. L’ambulante gestisce in prima persona diversi servizi, in quanto riunisce in un unico soggetto le funzioni di acquisto, vendita, trasporto e amministrazione dell’impresa di cui è titolare. I più recenti fattori di crisi dell’ingrosso in Lombardia. Negli anni più recenti, la concorrenza verticale che sta destabilizzando maggiormente la figura del grossista tradizionale è riconducile a due nuove tendenze:

1. lo sviluppo della Grandi Superfici Specializzate; 2. i Factory Outlet Center.

Mentre l’impatto derivante dallo sviluppo dei supermercati e degli ipermercati è già stato assorbito da tempo, specie in Lombardia, dove queste forme distributive a libero servizio sono ormai consolidate nel tessuto commerciale della Regione, l’impatto competitivo delle GSS è più recente e destabilizzante. Le Grandi Superfici Specializzate. Sono punti vendita di grandi dimensioni, specializzate in una particolare categoria di prodotti. Ikea, Decathlon, MediaWorld, Fnac rappresentano oggi gli esempi più significativi e di maggiore successo. Propongono una gamma ampia e profonda di prodotti caratterizzati da un ottimo rapporto qualità/prezzo e di solito offrono un buon livello di servizio pre e post-vendita. Rompono una regola consolidata nel commercio: i piccoli punti vendita si orientano alla specializzazione, le Grandi Superfici (come i supermercati e gli ipermercati) sono invece despecializzati.

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Le Grandi Superfici Specializzate, nei Paesi europei più evoluti, hanno registrato una forte crescita in diverse categorie di prodotti: abbigliamento, libri, dischi, elettronica di consumo, articoli sportivi, mobili ed articoli per la casa. Lo sviluppo di questa forma distributiva è caratterizzato dall’internazionalizzazione, che consente di ottenere economie di scala negli acquisti, nel marketing, nella finanza, ecc.

Le Grandi Superfici Specializzate sono caratterizzate da localizzazioni periferiche che consentono di contenere i costi e sfruttare la disponibilità di parcheggio, dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, da una gamma di prodotti molto ampia e profonda, dall’industrializzazione dei servizi accessori mediante l’impiego di nuove soluzioni tecnologiche. L’aggressività di prezzo è massima nella formula definita Category Killer.

È prevedibile un’ulteriore crescita delle GSS in Lombardia in tutti i settori merceologici ad opera dei grandi gruppi esteri capaci di sviluppare know-how specialistici. Nel nostro Paese le GSS rappresentano un fenomeno recente nonostante i tassi di crescita siano già molto elevati; esse consentono al consumatore di visionare un’ampia e selezionata gamma dell’intera offerta industriale in un’unica spedizione di acquisto e di poterne confrontare immediatamente i prezzi e le prestazioni. La diffusione delle Grandi Superfici Specializzate sottrae quote di mercato alla parte tradizionale e scarsamente specializzata del sistema distributivo. Di conseguenza impatta negativamente sulle prospettive di sviluppo dell’ingrosso tradizionale, per la concorrenza che esercita al dettaglio specializzato tradizionale che acquista ancora presso distributori all’ingrosso. I Factory Outlet Center. Un numero sempre maggiore di imprese di produzione, in particolare nel settore della moda, delle calzature, dei prodotti per la casa, ha deciso di integrare la funzione svolta da imprese dedicate alla vendita degli stock invenduti e ha creato i cosiddetti spacci aziendali che, oltre ad essere determinanti per lo smaltimento delle giacenze di magazzino, hanno assunto la veste di punto di incontro diretto dell’azienda con i consumatori.

Ciò consente di controllare le politiche di smaltimento delle giacenze di magazzino per tutelare l’immagine di marca, anche rispetto agli stock invenduti, che erano fuori del controllo diretto del produttore di marca.

Una tendenza ancora più recente è rappresentata dalla creazione di Factory Outlet Center, che sono in sostanza Centri Commerciali composti unicamente da Spacci aziendali (Outlet). Sono sviluppati e gestiti da Società internazionali specializzate. Sono localizzati in aree extra urbane, lontane dai centri urbani maggiori, per non interferire eccessivamente con i canali di distribuzione principali e hanno una superficie di vendita complessiva che può raggiungere i 30.000 mq.

I punti vendita ubicati nel Factory Outlet Center sono negozi diretti di proprietà di produttori di marca; l’assortimento del centro è composto da articoli di abbigliamento, calzature, pelletteria, accessori, prodotti di design e articoli per la casa a prezzi fra il 30 e il 50% inferiori al livello praticato nei normali canali di vendita. Essi puntano sulla contemporanea presenza di più marche: di norma non esiste infatti una “locomotiva”, come l’Ipermercato nei Centri Commerciali

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pianificati, ma soltanto negozi Outlet monomarca, affiancati da punti di ristorazione e da una serie di attrazioni per invogliare il consumatore a fermarsi. Nella scelta localizzativa si considera la presenza e la forza della rete commerciale tradizionale: la distanza tra l’area urbana e il factory deve essere sufficiente per ridurre cannibalismo e conflittualità con la clientela dei produttori.

I punti di forza dei Factory Outlet sono:

- la vendita di prodotti di grandi marche a prezzi particolarmente favorevoli, inferiori del 30% - 50% rispetto ai prezzi di mercato;

- la riduzione dei costi di allestimento; - la localizzazione vicino ad arterie stradali di grande comunicazione, in modo da

poter garantire un bacino di utenza più ampio di quello dei normali Centri Commerciali;

- il profilo dei frequentatori dei Factory Outlet. Si tratta di persone giovani, brand victmis, con elevato orientamento all’acquisto di prodotti di marca, che passano dai 3 ai 5 giorni l’anno in queste strutture per un acquisto familiare, effettuato preferibilmente nei periodi di vacanza.

In Italia i Factory Outlet hanno buone prospettive di sviluppo, per l’elevata sensibilità alla marca di ampi segmenti di consumatori (sia italiani sia stranieri che si recano in Italia anche per lo shopping), per l’alta densità demografica ed abitativa e per il sistema di autorizzazioni del center stesso, che è molto semplificato rispetto quello previsto per l’apertura di un Centro Commerciale. Il ruolo del grossista in relazione alla dimensione settoriale della sua attività. In definitiva il commercio all’ingrosso risponde alle necessità avvertite in modo particolare dal piccolo e medio dettagliante. La possibilità di approvvigionamenti periodici e quantitativamente limitati permette al dettagliante di ridurre gli investimenti in logistica e di dotarsi di un magazzino di dimensioni ridotte. Inoltre, soddisfa la necessità di reperire informazioni sui prodotti e la loro disponibilità oltre all’esigenza sempre crescente di usufruire di servizi finanziari al fine di ridurre i propri investimenti in capitale circolante.

Come abbiamo prima evidenziato, le strategie di segmentazione dell’ingrosso tradizionale privilegiano il segmento del dettaglio indipendente e quello dei punti vendita non in sede fissa (ambulanti). L’area di mercato rappresentata dalla Grande Distribuzione, dal dettaglio associato (Gruppi d’acquisto) e dal dettaglio specializzato è invece servita direttamente dall’industria, prevalentemente tramite agenti o venditori diretti dipendenti.

L’attività di approvvigionamento del dettaglio tradizionale ruota infatti intorno alla figura del grossista, che nei loro confronti ha, tuttora, un ruolo imprescindibile. Storicamente si è registrata una tendenza all’integrazione ed alla riduzione della lunghezza dei canali di distribuzione, guidata, in una prima fase, da logiche di costo, nonché dal tentativo di appropriarsi di parte dei margini delle imprese collocate a monte e a valle nei canali di distribuzione. Più recentemente, le scelte d’integrazione nelle filiere distributive sono guidate principalmente dalle esigenze di controllo dell’attività di marketing.

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La sempre maggiore diffusione di prodotti di marca aumenta le esigenze di controllo e di coordinamento logistico, informativo e comunicativo delle imprese collocate nei canali di distribuzione. In altri termini, le funzioni strategiche svolte dalla distribuzione non sono più quelle logistiche, ma sono invece quelle informative e di marketing.

La scelta di canale (breve o lungo) e di conseguenza l’importanza economica del grossista dipende anche dal ruolo assunto dalle categorie nell’assortimento del distributore al dettaglio. Nel caso in cui il ruolo assegnato alle categorie sia strategico, l’impresa della Grande Distribuzione si orienta ad integrare la funzione d’ingrosso. Invece, nei casi in cui le categorie non hanno un ruolo strategico ma solo di completamento della gamma offerta, anche le imprese della Grande Distribuzione si avvalgono dei servizi commerciali offerti da aziende all’ingrosso.

Più recentemente, l’ingrosso è divenuto una fonte di approvvigionamento anche per le aziende che operano attraverso canali diretti come l’e-commerce e le vendite per corrispondenza.

Nella nostra analisi distingueremo il mercato dei prodotti finiti rispetto a quello dei beni intermedi venduti ad imprese o artigiani, che richiedono un’installazione.

Nelle filiere distributive dei beni intermedi, che richiedono la posa o l’installazione da parte di un operatore specializzato, il segmento delle imprese artigiane dedite a questo tipo di attività costituisce una clientela molto importante per l’ingrosso tradizionale. Per esempio, in alcuni settori come l’illuminotecnica, il 70% circa degli installatori dichiara di servirsi dal grossista. Solo le imprese di installazione di grandi dimensioni acquistano direttamente dai produttori, ma sono vincolati all’acquisto di quantitativi maggiori e devono dotarsi di un magazzino. La rinascita dell’ingrosso. Secondo una concezione tradizionale l’evoluzione dei canali di distribuzione porta ad una progressiva marginalizzazione del settore del commercio all’ingrosso, prevalentemente a causa della concorrenza verticale, esercitata a monte dai produttori, che si integrano a valle e dalle imprese della Grande Distribuzione che si integrano a monte. Come sarà chiarito nel seguito, i primi dati disponibili sulla più recente dinamica evolutiva dell’ingrosso in Lombardia e le informazioni raccolte mediante interviste sembrano in gran parte smentire lo scenario e le dinamiche evolutive appena delineate. Contrariamente a quanto ipotizzato negli ultimi anni, nella maggior parte dei settori si è registrato un aumento del numero delle imprese di commercio all’ingrosso. Sulla base dei dati e delle informazioni disponibili, la crisi dell’ingrosso in Lombardia sembra essere limitata solo ad alcuni comparti merceologici ben circoscritti.

Il settore del commercio all’ingrosso tradizionale in Lombardia ha dimostrato una flessibilità ed una capacità di adattamento alle mutate condizioni dei mercati a valle e a monte, superiore a quella manifestata della distribuzione al dettaglio tradizione nella stessa regione. In altri termini, mentre il commercio al dettaglio in Lombardia, come nel resto d’Italia, è stato investito da un trend negativo di espulsione delle imprese indipendenti tradizionali; la crisi del commercio all’ingrosso e la contrazione del numero delle imprese ha riguardato solo alcuni settori. La dinamica evolutiva complessiva del numero delle imprese di commercio all’ingrosso evidenzia tendenze espansive.

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L’ingrosso ha registrato una trasformazione che ha aperto anche nuove opportunità di posizionamento sul mercato. Alcuni fenomeni evolutivi sono, tuttavia, mascherati dalla scarsa disponibilità di dati statistici. Nelle filiere produttive si sono registrati cambiamenti che, unitamente alla sempre maggiore internazionalizzazione dei mercati, hanno aperto, e stanno aprendo, nuove significative opportunità per le imprese di commercio all’ingrosso che operano in Lombardia. La progressiva globalizzazione dei mercati sta diventando un’opportunità per le imprese commerciali all’ingrosso in particolare per quelle ubicate in prossimità di hub aeroportuali.

L’ingrosso è in grado, anche, di offrire servizi di vendita in outsourcing a piccoli e medi produttori industriali. Infatti, le imprese all’ingrosso più dinamiche hanno una propria rete di venditori (agenti di commercio), che conoscono il territorio e hanno un rapporto di fiducia consolidato nel tempo con i migliori distributori al dettaglio. Si è consolidato nel corso del tempo un legame idiosincratico stretto tra grossista e dettagliante che è difficile da sostituire.

Inoltre, l’attività d’ingrosso può trarre significativi vantaggi economici immediati dalla rivoluzione tecnologica in atto. La modernizzazione gestionale ed informatica dell’ingrosso può essere attuata più velocemente rispetto al miglioramento dei processi attuato al dettaglio. Le nuove tecnologie ed internet aprono alcune minacce, ma anche nuove rilevanti opportunità per l’ingrosso. Da un lato, infatti, le aste on line, per esempio, sono in grado di attivare una concorrenza di prezzo sempre maggiore e possono impoverire ulteriormente il ruolo dei grossisti e costringere ad una revisione dei servizi commerciali offerti dai distributori. Dall’altro, la rete internet amplia il mercato geograficamente determinato del grossista e apre nuove opportunità di mercato. Si sono riscontrati in Lombardia casi di grossisti tradizionali che hanno sviluppato accordi commerciali con organizzazioni e-commerce. Accordi di questo tipo consentono lo sviluppo di sinergie: l’impresa di e-commerce mette a disposizione le competenze distintive legate ad internet, mentre il grossista ha competenze specifiche nel settore merceologico in cui opera.

Infine, ricordiamo che i nuovi sistemi produttivi reticolari, improntati alla massima flessibilità, aprono nuovi spazi di mercato per i grossisti nelle attività business to business. Inoltre, negli anni più recenti i fenomeni di cambiamento più interessanti fanno riferimento alla terziarizzazione dell’industria che apre nuove opportunità e la possibilità di offrire nuovi servizi ai distributori in grado di farlo.

Al contrario del commercio al dettaglio, le imprese di commercio all’ingrosso hanno subito un minore livello di regolamentazione e minori vincoli amministrativi posti dalla normativa; ciò probabilmente ha avuto un ruolo non secondario nel definire la capacità di adattamento dell’ingrosso al nuovo contesto determinato dalla evoluzione della tecnologia e della struttura dei settori a monte e a valle. I percorsi d’innovazione dell’ingrosso. La rigidità e la scarsa flessibilità delle tassonomiche ufficiali, che classificano l’attività prevalente delle imprese grossiste sulla base di una griglia determinata dalla destinazione economica dei prodotti intermediati, impediscono di cogliere alcune caratteristiche trasversali delle imprese del settore. In altri termini, le caratteristiche più indicative per i

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riflessi sulle performance delle imprese di commercio all’ingrosso fanno sempre più spesso riferimento alle relazioni reticolari tra imprese, alla capacità di ottenere produzioni esclusive, all’attività di import-export, all’appartenenza a Consorzi o Gruppi d’acquisto, a nuove soluzioni di integrazione logistica (anche solo limitate alla dimensione informativa) e nuove opportunità di collaborazione con operatori di e-commerce.

I più recenti cambiamenti che hanno investito la funzione del grossista in Italia hanno prodotto una maggiore eterogeneità dei modelli organizzativi, per cui nella stessa filiera troviamo modelli organizzativi, soluzioni, strategie, dimensioni, forme di specializzazione estremamente diverse. Nella stessa filiera riescono a “convivere” imprese di intermediazione all’ingrosso tradizionali, di dimensioni contenute, con un numero esiguo di dipendenti ed elevata specializzazione merceologica che ottengono performance insoddisfacenti ed imprese di intermediazione all’ingrosso che ponendosi al servizio di operatori a monte o a valle del canale, sfruttando intensi rapporti di coordinamento verticale ed orizzontale, riescono ad ottenere risultati economici superiori alla media del settore (anche mediante la gestione di marchi e/o segmenti di clientela in esclusiva).

Un altro vettore d’innovazione dell’attività di ingrosso in Italia fa riferimento all’importanza dell’attività di importazione ed esportazione (desumibile dall’incidenza dell’import e dell’export sul fatturato totale). La vocazione internazionale può essere gestita con modalità reticolari (anche solo mediante accordi contrattuali per raggiungere la dimensione minima del container), oppure mediante Gruppi d’acquisto, o ancora mediante forme di doppia intermediazione, per esempio super-grossisti importatori che vendono a grossisti di minori dimensioni con soluzioni che rendono meno evidente la quantificazione e la stessa rilevazione del fenomeno. La “vocazione” all’internazionalizzazione costituisce una strategia significativa della qualificazione del mix dei servizi offerti dalle imprese d’ingrosso. In altri termini, i grossisti importatori ed esportatori costituiscono uno dei vettori più interessanti di modernizzazione dell’ingrosso. Come abbiamo prima sottolineato, i nuovi driver delle redditività delle imprese dell’ingrosso in Italia sono sempre meno tangibili e quindi facilmente identificabili4. Si consideri l’emergere di un nuovo modello organizzativo, caratterizzato da stretti rapporti di collaborazione con altre imprese nella filiera, ed un impiego e sfruttamento delle nuove tecnologie superiore alla media, che consente lo sviluppo d’attività innovative, anche in relazione alla tendenza all’outsourcing di attività da parte delle imprese industriali di medie-grandi dimensioni.

4 In proposito si consideri, solo a titolo di esempio, il caso di un grossista che nel settore in cui

opera inizi a sviluppare una partnership con un sito di e-commerce. L’offerta di servizio di magazzino virtuale è in grado di fare aumentare i ricavi in misura sicuramente superiore all’incremento dei costi senza incidere sui parametri d’analisi tradizionali (per esempio: numero degli addetti, superficie occupata, localizzazione…).

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La capacità dell’impresa operante nel settore all’ingrosso di relazionarsi con il flusso delle risorse immateriali, che caratterizzano i canali di distribuzione, rappresenta un fattore di successo sempre più importante.

Le più recenti dinamiche strutturali dell’ingrosso appaiono caratterizzate da seri sforzi imprenditoriali nella direzione della riqualificazione dell’offerta e della ri-progettazione gestionale secondo tre direttrici principali:

1. la ricerca di soluzioni che consentano una riduzione dei costi del

personale, 2. la maggiore specializzazione, 3. la revisione dei servizi offerti.

In una recente ricerca svolta da Anitori e De Gregorio (2003), mediante analisi di correlazioni binarie tra variabili strutturali di imprese grossiste in Italia e variabili di performance economica, emergono risultati degni di nota: “nell’ingrosso non sembra identificabile un chiaro legame tra la dimensione d’impresa e redditività, nel senso che i domini caratterizzati da una maggiore presenza di grandi imprese non paiono caratterizzarsi né per migliori margini di profitto né per valori sistematicamente più elevati del fatturato per addetto. In aggiunta, vale la pena rimarcare il fatto che anche gli indicatori che esprimono la localizzazione delle imprese non paiono a loro volta collegati in modo significativo né con le variabili di performance economica né con quelle strutturali”. La definizione del campo d’indagine e i criteri di classificazione dell’ingrosso. Il settore della distribuzione all’ingrosso si presenta veramente eterogeneo. I prodotti commercializzati sono notevolmente differenti; spaziano, infatti, dai beni di consumo ai prodotti industriali. I grossisti si rivolgono poi a segmenti di clientela che possono essere anche molto diversi.

Tabella 1.1 – Esercizi commercio all'ingrosso per tipologia di attività economica, Lombardia

TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ ECONOMICA

1991 N. ESERCIZI

2001 N. ESERCIZI

2002 N. ESERCIZI

2003 N. ESERCIZI

2004 N. ESERCIZI

2005 N. ESERCIZI

Commercio all'ingrosso di materie prime agricole e di animali vivi

1.985 1.551 1.602 1.577 1.569 1.519

Commercio all'ingrosso di prodotti alimentari, bevande e tabacco

5.201 4.704 4.983 4.980 4.969 4.868

Commercio all'ingrosso di altri prodotti di consumo

10.916 13.160 15.568 15.788 16.297 16.624

Commercio all'ingrosso di prodotti intermedi

7.788 9.208 9.187 9.321 9.663 9.805

Commercio all'ingrosso di macchinari e attrezzature

4.432 5.538 6.742 6.933 7.270 7.472

Commercio all'ingrosso di altri prodotti

599 1.513 1.618 1.649 1.726 1.706

TOT. 30.921 35.674 39.700 40.248 41.494 41.994 Fonte: Osservatorio Nazionale del Commercio

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Tabella 1.2 – Esercizi commercio all'ingrosso per tipologia di attività economica, Lombardia, variazione %

TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ ECONOMICA VARIAZ

. 1991 2001

VARIAZ. MEDIO

ANNUO 1991-2001

VAR. 2002 2003

VAR. 2003 2004

VAR. 2004 2005

VAR. 2002 2005

Ingrosso di materie prime agricole e di animali vivi

-21,9% -2,00% -1,6% -0,5% -3,2% -5,2%

Ingrosso di prodotti alimentari, bevande e tabacco

-9,6% 0,92% -0,1% -0,2% -2,0% -2,3%

Ingrosso di altri prodotti di consumo 20,6% 1,89% 1,4% 3,2% 2,0% 6,8% Ingrosso di prodotti intermedi 18,2% 1,69% 1,5% 3,7% 1,5% 6,7% Ingrosso di macchinari e attrezzature 25,0% 2,26% 2,8% 4,9% 2,8% 10,8% Ingrosso di altri prodotti 152,6% 10,59% 1,9% 4,7% -1,2% 5,4% TOT. 15,4% 1,44% 1,4% 3,1% 1,2% 5,8%

Fonte: Osservatorio Nazionale del Commercio

Tabella 1.3 – Evoluzione del numero delle imprese di commercio all’ingrosso in Lombardia per settore di attività in basi ai dati del Censimento Istat

TIPOLOGIE DI ATTIVITÀ ECONOMICA 1991

NUMERO IMPRESE

2001 NUMERO IMPRESE

VAR %

Commercio all'ingrosso di materie prime agricole e di animali vivi 1.804 1.411 -21,8% Commercio all'ingrosso di prodotti alimentari, bevande e tabacco 4.640 4.273 -7,9% Commercio all'ingrosso di prodotti tessili 1.299 1.275 -1,8% Commercio all'ingrosso di capi di abbigliamento e di calzature 1.922 1.900 -1,1% Commercio all'ingrosso di elettrodomestici, apparecchi radio e televisori

1.508 2.068 37,1%

Commercio all'ingrosso di articoli di porcellana e di vetro,di carte da parati e prodotti per la pulizia

682 550 -19,4%

Commercio all'ingrosso di profumi e cosmetici 431 562 30,4% Commercio all'ingrosso di prodotti farmaceutici (compresi strumenti e apparecchi sanitari)

788 968 22,8%

Commercio all'ingrosso di altri prodotti per uso domestico 2.987 4.423 48,1% Commercio all'ingrosso di prodotti intermedi non agricoli,di rottami e cascami

6.868 8.127 18,3%

Commercio all'ingrosso di macchinari e attrezzature 3.885 4.999 28,7% Commercio all'ingrosso di altri prodotti 527 1.434 172,1% Totale Attività del Commercio all'Ingrosso 27.341 31.990 17,0

Fonte: Censimento ISTAT

Per coerenza con la disponibilità di dati statistici, si è dunque preferito studiare i principali comparti dell’ingrosso in Lombardia, scomponendo l’analisi, in primo luogo, tra:

1. ingrosso grocery o ingrosso di beni di largo consumo; 2. ingrosso non grocery (i cui comparti più rilevanti sono: abbigliamento,

calzature, mobili e articoli per la casa). Pertanto nell’ambito dei beni di consumo, l’analisi è stata suddivisa tra beni alimentari e non alimentari. Non è solo una differenza che concerne le caratteristiche dei prodotti, ma, ciò che è più importante, i segmenti di clientela servita.

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Gli ultimi capitoli trattano invece le forme di associazionismo tra grossisti ed i centri commerciali all’ingrosso pianificati.

Una parte del lavoro si interessa in modo particolare all’ingrosso che vende beni industriali ad una clientela professionale.

Quello appena indicato, quindi, è lo schema di lavoro che verrà seguito nelle pagine successive.

Figura 1.1 - La posizione competitiva dell’ingrosso

Caratteristiche dei prodotti offerti

Grocery

Beni di consumo alimentare

Non grocery Beni di consumo non alimentari

Beni industriali

Segmenti di Mercato Dettaglio Tradizionale

- - - - -

Grande distribuzione

+ + +

Ho.re.ca

+ +

Utilizzatori professionali + + + + + Posizione competitiva critica: - - - Posizione competitiva buona: + + +

I grossisti Grocery che servono il dettaglio tradizionale sono quelli in posizione più critica. Se ci spostiamo dalla posizione in alto a destra nella prima colonna alle caselle in basso a destra migliorano le performance e le prospettive di crescita dei grossisti.

Per esempio, i Grossisti di beni di largo consumo che hanno segmentato rivolgendosi prevalentemente al canale Ho.Re.Ca ottengono risultati economici migliori rispetto ai grossisti che continuano a servire il dettaglio tradizionale. I Grossisti non grocery (abbigliamento, calzature) che servono il dettaglio tradizionale sono in difficoltà in misura minore rispetto a quelli grocery che servono lo stesso canale. I grossisti di beni industriali che vendono agli utilizzatori professionali hanno una buona posizione competitiva.

1.2. L’ingrosso di beni di largo consumo in Lombardia

Premessa. Iniziamo l’approfondimento con uno dei settori che ha subito il maggiore ridimensionamento e la più drastica revisione del ruolo svolto dall’ingrosso tradizionale. In Lombardia, il numero di grossisti di prodotti alimentari e di beni di largo consumo si è ridotto costantemente di quasi dieci punti percentuali nel periodo tra gli ultimi due censimenti Istat (per il periodo 1991-2001) ed anche negli anni più recenti continua la contrazione, che è stata pari al – 2,3% (relativamente il periodo 2002-2005). Tuttavia, il

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ridimensionamento dell’ingrosso non ha subito la drastica riduzione numerica che ha investito invece il dettaglio del settore grocery.

La perdita di rilievo economico della distribuzione all’ingrosso nei settori di beni di largo consumo è riconducibile principalmente a tre fattori:

1. l’integrazione a valle dei produttori per controllare le politiche di marca; 2. l’affermazione dei punti vendita della Grande Distribuzione e della

Distribuzione Organizzata, le cui Centrali acquistano direttamente dai produttori e non si avvalgono dei servizi offerti dall’ingrosso tradizionale;

3. (e di conseguenza) la progressiva riduzione della distribuzione tradizionale, che rappresenta il segmento di clientela più importante che si rivolge ai grossisti per gli approvvigionamenti.

Il primo fattore di crisi dell’ingrosso è da ricercare nel processo d’integrazione a valle da parte dell’Industria di marca, che è determinato da nuove esigenze di marketing e non da ragioni di costo. I costi logistici di distribuzione dei produttori, a parità di condizioni di servizio, sono in genere superiori a quelli dei grossisti. In altri termini, per i produttori i vantaggi di marketing derivati dal controllo diretto delle politiche distributive sono superiori ai maggiori costi logistici, che derivano dal servizio di consegna al dettaglio. Lo sviluppo della Grande Distribuzione in Lombardia ha interessato principalmente il settore dei beni alimentari di largo consumo e di conseguenza il ruolo del grossista tradizionale è stato progressivamente ridotto e si è assistito ad un progressivo accorciamento dei canali di distribuzione.

Inoltre, in genere, il grossista propone ai dettaglianti solo i prodotti che ha acquistato, escludendo per esempio articoli innovativi presenti nel portafoglio prodotti del produttore. In altri termini, il grossista non propone al dettagliante tutto l’assortimento dei fornitori industriali. La ricerca di varietà, di prodotti innovativi da parte della clientela è un ulteriore fattore che ha determinato l’esigenza di instaurare un rapporto diretto produttore e dettagliante.

In altri termini, la scelta del canale lungo ostacola il controllo diretto delle variabili di marketing da parte dei produttori, a causa della fisiologica indisponibilità dei grossisti a supportare il sell out di specifici brand. Dal punto di vista dell’industria di marca, le carenze del grossista sono sostanzialmente riconducibili al fatto di interpretare il ruolo come “prenditore di ordini” piuttosto che come venditore di specifiche marche. Le esigenze di controllo delle politiche di marca impongono che il produttore sia in contatto diretto con la moderna distribuzione al dettaglio per gestire direttamente le variabili di trade marketing.

In secondo luogo, in Lombardia, prima che in altre regioni italiane, il processo di modernizzazione della distribuzione al dettaglio di beni di largo consumo ha posto in crisi l’esercizio specialistico della funzione d’ingrosso. La distribuzione moderna, infatti, si integra a monte e acquista direttamente dai produttori. Inoltre, l’aumento della pressione competitiva induce i piccoli dettaglianti indipendenti a consorziarsi in Gruppi d’acquisto e ad integrare a loro volta la funzione d’ingrosso e riducendo così la quota “canalizzata” dall’ingrosso tradizionale. In definitiva, la filiera distributiva dei beni di largo consumo si va progressivamente

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accorciando per la graduale disintermediazione dell’ingrosso da parte delle imprese della distribuzione moderna.

Più precisamente, lo sviluppo della Grande Distribuzione ha provocato due fattori di crisi per l’ingrosso: innanzitutto, le imprese del dettaglio moderno si rivolgono direttamente all’industria di marca “bypassando” i grossisti tradizionali (figura 1.2); in secondo luogo, la distribuzione moderna esercita una forte concorrenza di prezzo nei confronti del dettaglio tradizionale e pone in crisi il principale segmento di clientela dell’ingrosso. La Grande Distribuzione Organizzata acquista direttamente dai produttori gli articoli a maggiore tasso di rotazione e si serve dell’ingrosso solo per la parte marginale dell’assortimento. La GDO quindi si avvale dei servizi offerti dai grossisti per gli articoli con un basso tasso di rotazione, prodotti la cui gestione efficiente richiede un più alto livello di centralizzazione logistica delle scorte.

Una delle cause principali di difficoltà strutturale è imputabile alla progressiva riduzione della distribuzione tradizionale alimentare (il segmento di clientela più importante dell’ingrosso) a causa della concorrenza esercitata dalla distribuzione moderna.

Figura 1.2 - I fattori di crisi dell’ingrosso tradizionale

Nei settori dei beni alimentari e di largo e generale consumo, la crisi dell’ingrosso tradizionale è ascrivibile alla diffusione della tecnica del libero servizio5 che consente di aumentare la produttività nella distribuzione al dettaglio. Con il self-service si sostituisce il lavoro del personale dipendente retribuito con il lavoro gratuito del cliente. Il consumatore moderno, che acquista a self-service, è gratificato dalla libertà di scelta e non ha più bisogno del servizio di assistenza, perché riceve le informazioni direttamente dai mass media, dalla comunicazione in punto vendita e da internet. La tecnica del libero servizio permette di standardizzare l’erogazione dei servizi commerciali e di sviluppare velocemente filiali omogenee.

5 Si deve considerare che la tecnica (apparentemente semplice) del self-service ha avuto nel

commercio conseguenze analoghe alla catena di montaggio nei processi di produzione industriale.

GROSSISTA

PRODUTTORE

DISTRIBUTORE AL DETTAGLIO

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In altri termini, la ridotta produttività del servizio personale, tipica del commercio tradizionale, è sostituita dall’efficienza del self-service, che comporta una sostituzione di capitale con lavoro ed inoltre riduce l’eterogeneità del processo di erogazione dei servizi commerciali.

L’ingrosso di beni di largo consumo è soggetto ad una continua riduzione del numero di imprese e ad un parallelo processo di contrazione, attuato soprattutto a seguito di operazioni di acquisizioni e fusioni.

La crisi dell’ingrosso in Lombardia. Le aziende commerciali all’ingrosso di piccola dimensione sono destinate ad assumere un ruolo sempre più marginale all’interno del settore e, quindi, ad uscire progressivamente dal mercato o ad essere assorbite da altri grossisti di maggiore dimensione. La tendenza alle aggregazioni ha portato così ad un aumento del numero dei grossisti di medie dimensioni.

In Lombardia e nel Nord Italia la dimensione media delle imprese continua ad essere circa il triplo di quella delle imprese del centro e del sud e, anche tra le stesse imprese del nord, si continua a riscontrare una certa differenza tra quelle nord-orientali (più grandi in termini di addetti e fatturato) e quelle nord-occidentali (più piccole negli stessi termini di paragone). Con il passare del tempo le differenze regionali non sembrano ridursi, ma, al contrario, permangono.

Le difficoltà dei grossisti sono accentuate dalla recente sostanziale staticità delle vendite di beni di largo consumo. La fase di trasformazione della filiera produzione-ingrosso-dettaglio non è ancora terminata, ma ha già causato un ridimensionamento della funzione dell'ingrosso.

Attualmente i grossisti lombardi tradizionali di beni di largo consumo sono in difficoltà nell’affrontare la necessaria revisione strategica, gestionale e organizzativa delle proprie aziende. Le difficoltà sono accentuate dalla progressiva diminuzione del fatturato e dei margini sia per la competizione con la distribuzione organizzata moderna, sia per la staticità delle vendite del settore in esame.

La stagnazione dei consumi domestici sta imponendo la ricerca di nuove fonti di ricavi e di redditività. L’integrazione a monte da parte dei distributori al dettaglio di maggiori dimensioni è perseguita anche per recuperare redditività.

I modelli di business e i gruppi strategici dell’ingrosso nel settore dei beni di largo consumo. L’ingrosso tradizionale è oggi in difficoltà sia a monte nel riuscire a sviluppare azioni di marketing con i produttori di marca sia a valle nel far percepire il valore dei servizi resi ai clienti.È interessante chiarire che si possono individuare cinque differenti modelli di business del settore dell’ingrosso dei beni di largo consumo. Il grossista tradizionale, si caratterizza per un modello distributivo obsoleto, un magazzino con un banco e la vendita via telefono/fax, con consegna a domicilio. L’imprenditore è direttamente coinvolto nella gestione operativa, con il supporto di 1/2 addetti interni (in molti casi familiari). Gli acquisti sono effettuati prevalentemente presso i produttori e in misura minore presso altri grossisti e/o

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gruppi d’acquisto, Unioni Volontarie, Consorzi e Cooperative. La clientela è composta per la maggior parte dai dettaglianti (circa 50% dei ricavi) e, in misura minore, dalla Grande Distribuzione, dai pubblici esercizi, dalle comunità e dagli enti pubblici e privati.

I grossisti tradizionali saranno costretti ad attuare politiche di multicanalità e/o a crescere dimensionalmente attraverso l’integrazione e/o la partnership e ad adottare strategie di segmentazione.

Il modello del grossista con vendita al dettaglio. Il numero di addetti in questo secondo modello di business sale mediamente a tre unità per il maggiore livello di servizio richiesto dalla vendita al consumatore. La localizzazione in questo caso diventa un fattore di successo fondamentale, perché deve essere funzionale alle esigenze del consumatore privato. In Lombardia un significativo numero di grossisti con vendita al dettaglio si sono specializzati sui prodotti di qualità elevata, tipici e legati al territorio (salumi, formaggi, …).

Il modello del grossista con rete di vendita. Queste imprese di distribuzione presentano una rete di venditori sul territorio e hanno un numero di addetti superiore alla media, che si aggira mediamente sulle 10/12 unità. Operano a livello regionale e servono la clientela in una logica multicanale. La costante diminuzione del numero di dettaglianti rende necessario un aumento della dimensione dell’area servita, multicanalità, partnership, integrazione,… Risulta migliore la posizione competitiva delle imprese di distribuzione che si rivolgono ai canali catering e Ho.Re.Ca.

Il modello di business del grossista che opera mediante tentata vendita. Questa tipologia di grossisti impiega il metodo della tentata vendita e/o vendita porta a porta. Si tratta per lo più di piccole strutture con al massimo 2 addetti e con un bacino d’utenza limitato. Le prospettive di sviluppo per tali aziende appaiono buone soprattutto se riusciranno a crescere di dimensione e ad offrire servizi sempre più specializzati per canale.

Infine il modello degli operatori logistici appare come il risultato dell’evoluzione strategico-organizzativa dei grossisti che hanno riqualificato la loro struttura gestionale per collocarsi al servizio della Grande Distribuzione Organizzata e delle Società di ristorazione collettiva. Questi grossisti si presentano più strutturati (dei precedenti) sia dal punto di vista della forza lavoro (6/8 addetti) che da quello dei beni strumentali. Dal 2001 ad oggi quest’ultimo modello di business sta via via erodendo quote di mercato agli altri modelli gestionali. Quest’ultima tipologia ha buone prospettive di sviluppo, sia attraverso la gestione di una amplissima gamma di prodotti che mediante la specializzazione in alcuni prodotti.

La funzione del grossista di beni alimentari di largo consumo dovrebbe evolvere da distributore (focalizzato sull’efficienza della gestione logistica) a fornitore di servizi materiali e immateriali (sempre più attento all’efficacia).

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La rivitalizzazione associativa dell’ingrosso. Nel settore dei beni di largo consumo i grossisti associati, sia in Unioni Volontarie, sia in Gruppi d’Acquisto, ricercano una maggiore forza contrattuale verso i fornitori attraverso risparmi legati all’utilizzo di servizi comuni, la creazione di politiche di marketing comuni e, con maggiori difficoltà, lo scambio e la condivisione virtuosa dei modelli e soluzioni gestionali evolute. I risultati di queste forme associative sono stati positivi, ma inferiori alle attese e non hanno fermato la diminuzione del numero di grossisti.

Una ulteriore tendenza in atto (analizzata nella sezione curata da Beatrice Luceri) è l’integrazione societaria, anche attraverso la cessione dell’attività a produttori industriali che in questo modo si integrano a valle, mediante l’acquisizione di quote di controllo di grossisti.

La rivitalizzazione dell’ingrosso nel settore dei beni di largo consumo è un percorso complesso che comporta nuove strategie di segmentazione e di specializzazione.

Il mix dei servizi offerti dai grossisti sta attraversando una fase di revisione, in quanto le funzioni tradizionalmente offerte dai grossisti di alimentari non sono più sufficienti a garantire un ruolo, anche nel futuro, all’interno della filiera.

Una direzione di sviluppo possibile è la focalizzazione sul canale Ho.Re.Ca. e Catering. Tale strategia prevede una profonda revisione dei servizi offerti. Un secondo percorso concerne la focalizzazione sulla logistica. In altri termini, una parte dei grossisti tradizionali del settore dei dolciumi ma anche, più di recente, salumi e formaggi, si sono indirizzati al canale Ho.Re.Ca., SuperHo.Re.Ca.6 e Catering.

La riqualificazione mediante l’innovazione tecnologica. L’innovazione tecnologica può influire positivamente sull’organizzazione interna dei grossisti che, grazie all’utilizzo di sistemi informativi integrati per la gestione del magazzino e della logistica, possono riuscire ad ottenere considerevoli risultati ed economie di tempo e di denaro.Per il futuro si prevede un aumento e/o un rafforzamento della presenza di reti informatiche tra industria e fornitori per ottimizzare i flussi fisici ed informativi della catena distributiva a monte; sta riscontrando, inoltre, interesse l’utilizzo delle nuove tecnologie via web nei confronti dei clienti. Tuttavia si rileva ancora uno scarso sfruttamento di tali mezzi nel rapporto tra grossisti e clienti. Da parte dei distributori all’ingrosso si notano tentativi di presenza attiva sul web con siti che forniscono cataloghi e schede informative sui prodotti trattati, ma non danno al navigatore la possibilità di interagire con l’azienda se non attraverso l’utilizzo dell’e-mail o di un forum.

Appare, invece, più sviluppato l’utilizzo di internet e delle moderne tecnologie gestionali nei confronti della GD, anche se si attende un incremento nell’utilizzo di tali strumenti per permettere una gestione della logistica sempre più efficiente.

È prevedibile nei prossimi anni un ulteriore aumento del numero di grossisti che decideranno di sfruttare internet, soprattutto nei confronti del canale

6 Con SuperHo.Re.Ca. si indicano bar, discoteche e locali notturni. Questo canale risulta di

rilievo soprattutto per i distributori all’ingrosso di bevande.

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Ho.Re.Ca. e catering, per offrire maggiori informazioni sui prodotti ed un ulteriore supporto alla vendita.

Le prospettive di sviluppo futuro dell’ingrosso. Il settore della distribuzione all’ingrosso di alimentari di largo consumo è in continua evoluzione e alla ricerca di nuovi percorsi di uscita dalla crisi.

Il futuro dei grossisti di beni di largo consumo alimentari si gioca sulle seguenti variabili competitive:

- Assortimento. La composizione di un’offerta nella quale a fianco di un

paniere di prodotti permanenti, noti al pubblico e con una domanda facilmente prevedibile, si inseriscano nuovi item, con la giusta promozione e nei canali più appropriati. Pertanto, la capacità dei grossisti di essere consulenti nella composizione dell’offerta.

- Logistica. La crescente necessità di consegne puntuali e capillari su territori più estesi e, soprattutto per il canale Ho.Re.Ca., in fasce orarie tradizionalmente non coperte dai grossisti.

- Assistenza prevendita. Questo servizio è necessario specialmente per quanto concerne i nuovi prodotti o i prodotti stagionali, difatti le imprese industriali richiedono sempre più spesso ai grossisti la capacità di condurre e seguire azioni di merchandising e di informazione nei punti vendita.

- Informazione. L’industria è interessata ad avere feedback dal mercato per migliorare i prodotti esistenti, programmare la produzione, individuare il corretto rapporto prezzo-qualità dei prodotti e sviluppare l’attività di marketing in modo più scientifico.

La multicanalità, la flessibilità del servizio, la possibilità di ordinare anche piccoli lotti sono solo alcuni esempi di come un grossista tradizionale possa trasformare il proprio modello di business al fine di competere con un mercato che vede il potere sempre crescente delle centrali d’acquisto della GDO. La maggiore parte dei produttori privilegia la multicanalità e impiega diversi canali distributivi. L’ingrosso consente una grande flessibilità specie in aree territoriali caratterizzate da una struttura distributiva frammentata.

In Lombardia la presenza dei grossisti tradizionali con modelli di business basati sulla vendita al dettaglio, o sulla tentata vendita, è in diminuzione a favore sia di reti di agenti che lavorano a provvigione sia di operatori logistici orientati alle catene distributive.

La figura 1.3 identifica i modelli di business e la loro possibile evoluzione considerando alcune variabili chiave.

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Figura 1.3 - Possibili traiettorie di evoluzione dei modelli di business adottati dai grossisti di alimentari

In definitiva i principali trend evolutivi dell’ingrosso di beni di largo consumo sono:

- i grossisti tradizionali e quelli con vendita al dettaglio stanno cercando di

crescere di dimensione e sviluppare soluzioni organizzative per riuscire ad operare in logica multicanale. È probabile una crescita di questi due modelli di business;

- i grossisti con rete di vendita stanno tentando di aumentare l’area servita (riuscendo a superare la soglia regionale) ed evolvere anch’essi verso la multicanalità. I distributori all’ingrosso di minori dimensioni possono puntare verso la specializzazione per canale. Una parte di queste imprese sembra destinata a mutare la propria struttura operativa per riqualificarsi prevalentemente come operatore logistico, sfruttando anche la vicinanza e le analogie tra i due modelli di business;

- alcune imprese all’ingrosso iniziano ad operare sul mercato con una struttura più vicina a quella di un operatore logistico piuttosto che a quella di un grossista tradizionale.

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SPECIALIZZAZIONE PER CANALE

Gr. con tentata vendita

MULTICANALITÀ

Gr. tradizionali e convendita al dettaglio

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1.2.1. Appendice statistica

Tabella 1.4 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per classi di

addetti: imprese

CLASSE ADDETTI

1991 N. IMPRESE

quote %

2001 N. IMPRESE

quote %

1991 N. IMPRESE

2001 N. IMPRESE

VARIAZ. %

1-2 46,3 55,3 2.150 2.363 9.9 % 3-9 39,8 32,8 1.846 1.400 -24,2 % 10-19 9,8 8,4 457 359 -21,4 % 20-49 2,9 2,4 134 104 -22,4 % 50-99 0,7 0,6 32 26 -18,8 % 100+ 0,5 0,5 21 21 0,0 % Tot. complessivo 100,0 100,0 4.640 4.273 -7,9 %

Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT

Tabella 1.5 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per classi di addetti: addetti

CLASSE ADDETTI

1991 ADDETTI ALLE

IMPRESE quote %

2001 ADDETTI ALLE

IMPRESE quote %

1991 ADDETTI ALLE

IMPRESE

2001 ADDETTI ALLE

IMPRESE

VARIAZ, %

1-2 11,0 13,4 3.045 3.178 4,4 % 3-9 33,6 28,8 9.304 6.819 -26,7 % 10-19 21,6 20,2 5.977 4.775 -20,1 % 20-49 13,8 13,0 3.836 3.089 -19,5 % 50-99 7,8 7,6 2.175 1.805 -17,0 % 100+ 12,2 17,0 3.392 4.031 18,8 % Tot, complessivo 100,0 100,0 27.729 23.697 -14,5 %

Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT Tabella 1.6 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per provincia: imprese

PROVINCE LOMBARDE

2001 LOMBARDIA

QUOTA N, RESIDENTI

2001 LOMBARDIA

QUOTA N, IMPRESE

1991 N, IMPRESE

quote %

2001 N, IMPRESE

quote %

1991 N, IMPRESE

2001 N, IMPRESE

VARIAZ, %

VARESE 9,0 8,3 6,7 5,9 311 252 -19,0% COMO 6,0 5,7 5,8 5,2 269 222 -17,5% SONDRIO 2,0 1,7 3,2 2,7 148 115 -22,3% MILANO 41,0 44,5 35,3 39,2 1.640 1.673 2,0% BERGAMO 10,8 10,4 11,0 11,9 510 509 -0,2% BRESCIA 12,3 12,4 12,7 13,5 587 578 -1,5% PAVIA 5,5 5,0 8,1 7,1 376 303 -19,4% CREMONA 3,7 3,2 5,3 4,3 248 182 -26,6% MANTOVA 4,2 4,1 6,2 5,0 287 215 -25,1% LECCO 3,4 3,1 3,9 3,3 180 140 -22,2% LODI 2,2 1,8 1,8 2,0 84 84 0,0% TOT. LOMBARDIA 100,0 100,0 100,0 100,0 4.640 4.273 -7,9%

Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT

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Tabella 1.7 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per provincia: addetti

PROVINCE LOMBARDE

2001 LOMBARDIA

QUOTA N, RESIDENTI

2001 LOMBARDI

A QUOTA N,

ADDETTI

1991 ADDETTI

ALLE IMPRESE

quote %

2001 ADDETTI

ALLE IMPRESE

quote %

1991 ADDETTI

ALLE IMPRESE

2001 ADDETTI

ALLE IMPRESE

VARIAZ, VARIAZ, %

VARESE 9,0 7,0 7,2 6,2 1.985 1.463 -522 -26,3% COMO 6,0 4,8 4,7 4,7 1.298 1.104 -194 -14,9% SONDRIO 2,0 1,2 2,4 2,4 663 569 -94 -14,2% MILANO 41,0 53,8 43,4 44,1 12.026 10.449 -1,577 -13,1% BERGAMO 10,8 9,8 11,0 11,4 3.045 2.709 -336 -11,0% BRESCIA 12,3 10,6 11,8 13,6 3.276 3.217 -59 -1,8% PAVIA 5,5 3,2 5,8 6,3 1.622 1.488 -134 -8,3% CREMONA 3,7 2,3 3,9 2,7 1.091 639 -452 -41,4% MANTOVA 4,2 3,3 4,4 3,4 1.217 811 -406 -33,4% LECCO 3,4 2,7 3,9 4,0 1.079 946 -133 -12,3% LODI 2,2 1,3 1,5 1,3 427 302 -125 -29,3% TOT. LOMBARDIA 100,0 100,0 100,0 100,0 27.729 23.697 -4,032 -14,5%

Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT

1.3. L’ingrosso di bevande in Lombardia

Caratteri strutturali e tendenze dell’ingrosso di bevande in Lombardia. Il settore dell’ingrosso di bevande rappresenta una quota importante all’interno del comparto generale dell’ingrosso di beni di largo consumo, il fatturato complessivo in Italia ha superato i tre miliardi di Euro. L’Istat divide l’ingrosso di bevande in due sub-settori: quello delle bevande alcoliche (codice Ateco 51.34.1) e l’ingrosso di altre bevande (codice Ateco 51.34.2). L’assortimento offerto dai grossisti del settore bevande è solitamente esteso sia a categorie complementari nella funzione d’uso (per esempio bicchieri, detersivi, piccoli elettrodomestici, accessori,...) e/o nell’occasione di consumo (per esempio, pasta, farina, snack dolci e salati, elementi d’arredo,...).

In Lombardia e nel Nord Italia le imprese d’ingrosso di bevande hanno adottato una strategia di segmentazione e si sono focalizzate sull’Ho.Re.Ca. (i.e. bar, ristoranti, pizzerie, etc.). Solo in misura minore vendono anche al dettaglio tradizionale o ad altre forme di intermediazione commerciale (i.e. altri grossisti, GDO, etc.). I dati degli ultimi Censimenti Istat pongono in evidenza la fase di crisi dell’ingrosso nel settore delle bevande in Lombardia; in particolare, il settore del Commercio all’ingrosso di bevande alcoliche è più in difficoltà rispetto al Commercio all’ingrosso delle altre bevande.

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Tabella 1.8 – Commercio all’ingrosso di bevande alcoliche (1991-2001) in Lombardia e nelle altre regioni italiane

Fonte: Censimento ISTAT dell’Industria e dei Servizi (2001) Le difficoltà del Commercio all’ingrosso di bevande alcoliche sono rilevanti, come testimonia la contrazione del – 33% del numero di unità locali, nel decennio 1991-2001 (tab. 3.1, in base ai dati dei censimenti Istat). Il trend negativo è comunque in linea con il dato relativo all’Italia nel suo complesso, che ha registrato una contrazione pari a - 32% (tab. 3.1). Si consideri, per esempio, che nello stesso periodo (1991-2001) il numero delle unità locali in Emilia Romagna si dimezza. Nonostante la crisi, la concentrazione territoriale degli operatori dell’ingrosso bevande nelle regioni del Nord è ancora elevata; in Piemonte, Lombardia, Veneto, si concentra infatti il 44% delle unità locali presenti in Italia.

Le cause delle difficoltà appena evidenziate sono da ricercate nella competizione dei Cash & Carry e dei punti vendita della GDO, ed inoltre nella distribuzione diretta da parte dell’Industria, che hanno progressivamente sottratto quote di mercato all’ingrosso tradizionale.

In Lombardia, la riduzione del numero degli addetti è leggermente inferiore a quello delle unità locali (-28,5%, tab. 1.8), che invece segnala un aumento dimensionale. In Lombardia, il numero medio di addetti per unità locale (che rappresenta un indice di modernizzazione) è superiore alla media dell’Italia (pari a 5,6, rispetto al dato relativo all’Italia che è pari al 4%, tab. 1.8). Le difficoltà del comparto analizzato sono ancora maggiori in altre regioni del Nord, per esempio in Liguria, dove gli addetti del settore in esame hanno registrato una riduzione pari a quasi il 70% (tab. 1.8).

La fase negativa ha investito anche il sub-settore del Commercio all’ingrosso di altre bevande in Lombardia. Tuttavia, la crisi è meno marcata rispetto al

Unità locali 1991

Unità locali 2001

Peso % nelle

regioni

Variazione numerica

1991/2001

Numero addetti

1991

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per unità

Lombardia 686 459 16,58% -33,09% 2.721 1.945 -28,52% 4,2 Piemonte 719 474 17,12% -34,08% 2.089 1.352 -35,28% 2,9 Valle d’Aosta 18 12 0,43% -33,33% 54 26 -51,85% 2,2 Trentino – Alto Adige

163 131 4,73% -19,63% 793 580 -26,86% 4,4

Veneto 463 285 10,30% -38,44% 1.975 1.114 -43,59% 3,9 Friuli – Venezia Giulia

153 101 3,65% -33,99% 573 388 -32,29% 3,8

Liguria 150 79 2,85% -47,33% 907 288 -68,25% 3,6 Emilia Romagna

318 153 5,53% -51,89% 1.768 801 -54,69% 5,2

Toscana 335 237 8,56% -29,25% 1.187 771 -35,05% 3,3 Umbria 44 24 0,87% -45,45% 143 148 3,50% 6,2 Marche 74 40 1,45% -45,95% 228 162 -28,95% 4,1 Lazio 179 177 6,39% -1,12% 531 421 -20,72% 2,4 Abruzzo 76 55 1,99% -27,63% 193 152 -21,24% 2,8 Molise 23 12 0,43% -47,83% 74 67 -9,46% 5,6 Campania 162 148 5,35% -8,64% 490 297 -39,39% 2,0 Puglia 149 91 3,29% -38,93% 390 256 -34,36% 2,8 Basilicata 17 12 0,43% -29,41% 29 35 20,69% 2,9 Calabria 72 49 1,77% -31,94% 144 102 -29,17% 2,1 Sicilia 148 140 5,06% -5,41% 386 375 -2,85% 2,7 Sardegna 138 89 3,22% -35,51% 360 229 -36,39% 2,6 Tot. Italia 4.087 2.768 100,00% -32,27% 15.035 9.509 -36,75% 3,4

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commercio all’ingrosso di bevande alcoliche. In Lombardia, infatti, nel settore Commercio all’ingrosso di altre bevande la contrazione delle unità locali è stata pari a - 11% (dal 1991 al 2001, tab. 1.9), ma parallelamente si è registrato un aumento del numero degli addetti + 11,8%. La forbice tra il trend in contrazione delle unità locali e quello in aumento degli addetti è da interpretarsi in senso positivo, in quanto segnala l’aumento dimensionale delle unità locali. Anche il dato relativo al numero medio di addetti per unità locali della Lombardia, pari a 5,6, è superiore al dato nazionale (4,0: solo il Veneto ha un dato superiore, tab. 1.9).

Tabella 1.9 - Commercio all’ingrosso di altre bevande (1991-2001) in Lombardia e nelle

altre regioni italiane Unità

locali 1991

Unità locali 2001

peso % nelle

regioni

Variazione numerica

1991/2001

Numero addetti

1991

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per unità

2001 Lombardia 368 328 11,86% -10,87% 1.654 1.849 11,79% 5,6 Piemonte 226 157 5,68% -30,53% 898 676 -24,72% 4,3 Valle d’Aosta

14 9 0,33% -35,71% 60 49 -18,33% 5,4

Trentino – Alto Adige

54 64 2,31% 18,52% 170 329 93,53% 5,1

Veneto 194 194 7,01% -- 784 1.161 48,09% 6,0 Friuli – Venezia Giulia

72 61 2,21% -15,28% 298 326 9,40% 5,3

Liguria 95 97 3,51% 2,11% 396 486 22,73% 5,0 Emilia Romagna

191 179 6,47% -6,28% 966 1.006 4,14% 5,6

Toscana 214 192 6,94% -10,28% 946 862 -8,88% 4,5 Umbria 39 30 1,08% -23,08% 154 153 -0,65% 5,1 Marche 114 51 1,84% -55,26% 323 165 -48,92% 3,2 Lazio 215 217 7,85% 0,93% 733 568 -22,51% 2,6 Abruzzo 90 76 2,75% -15,56% 249 208 -16,47% 2,7 Molise 31 38 1,37% 22,58% 68 73 7,35% 1,9 Campania 266 333 12,04% 25,19% 762 905 18,77% 2,7 Puglia 237 242 8,75% 2,11% 676 686 1,48% 2,8 Basilicata 36 39 1,41% 8,33% 110 100 -9,09% 2,6 Calabria 109 83 3,00% -23,85% 326 258 -20,86% 3,1 Sicilia 198 243 8,79% 22,73% 696 803 15,37% 3,3 Sardegna 152 133 4,81% -12,50% 407 330 -18,92% 2,5 Tot. Italia 2.915 2.766 100,00% -5,11% 10.676 10.993 2,97% 4,0

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

Anche i più recenti dati Asia confermano il trend negativo ed evidenziano la contrazione del numero delle imprese e solo un lieve incremento degli addetti in Lombardia nei due comparti principali (tab. 1.10).

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Tabella 1.10 - Commercio all’ingrosso di bevande, imprese e addetti per regione, 2003

Commercio all’ ingrosso di bevande alcoliche

Commercio all’ingrosso di altre bevande

Imprese Addetti Imprese Addetti Lombardia 445 2.174 272 1.787 Piemonte 436 1.284 124 772 Valle d’Aosta

4 9 9 61

Trentino – Alto Adige

105 586 50 328

Veneto 278 1.125 170 1.097 Friuli – Venezia Giulia

97 410 48 340

Liguria 73 262 65 467 Emilia Romagna

158 808 151 1.147

Toscana 215 840 138 811 Umbria 24 128 25 206 Marche 31 146 38 177 Lazio 185 465 213 627 Abruzzo 54 201 68 208 Molise 3 17 30 83 Campania 151 317 314 982 Puglia 88 207 188 703 Basilicata 8 26 41 112 Calabria 48 103 98 298 Sicilia 164 369 205 799 Sardegna 85 275 106 337 Tot. Italia 2.652 9.752 2.353 11.342

Fonte: Asia – ISTAT

Anche se il numero medio di addetti per unità locali in Lombardia è superiore alla media nazionale, la dimensione strutturale delle imprese grossiste di bevande rimane ancora piccola. Oltre il 97% delle aziende registra un numero di occupati inferiore alle 20 unità. Si deve considerare, tuttavia, il diffuso ricorso da parte dei grossisti di bevande a professionisti esterni o ad aziende di servizio. Nelle imprese di distribuzione all’ingrosso, infatti, in genere solo i responsabili di funzione (per esempio direttore vendite, acquisti, logistica,...) e gli impiegati amministrativi, alcune figure intermedie (i.e. capi area, ispettori di zona, etc.) e i magazzinieri sono assunti come dipendenti a tempo indeterminato. L’attività di vendita e consegna è invece affidata ad agenti e “Padroncini”, vale a dire a personale esterno all’organizzazione, non dipendenti. Sempre più spesso, inoltre, per far fronte a punte d’attività, per esempio nel periodo estivo, si va diffondendo il ricorso a lavoratori stagionali o interinali, o a società esterne specializzate per gestire il magazzino, con un ulteriore snellimento della struttura aziendale.

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Modelli di business dell’ingrosso di bevande in Lombardia. Gran parte delle imprese di commercio all’ingrosso operanti in Lombardia ha dimensioni medio-piccole, ciò rende necessaria la ricerca di soluzioni di equilibrio in grado di assecondare da una parte l’esigenza di realizzare una massa critica per poter competere in nuovi contesti competitivi, caratterizzati da sempre maggiori livelli di concentrazione, e, dall’altra, il bisogno d’indipendenza e di autonomia di una realtà imprenditoriale ancora fortemente a carattere familiare.

Negli ultimi anni si sono andati consolidando tre gruppi strategici: 1. grossisti integrati (canale societario), ovvero aziende grossiste di proprietà

di produttori, di solito di aziende birraie, come Partesa-Gruppo Heineken, Doreca-Gruppo Sab-Miller-Peroni, T&C-Gruppo Carlsberg e Imbevit-Gruppo Interbrew;

2. Grossisti associati (canale amministrativo), ovvero aziende grossiste indipendenti associate e gruppi di acquisto che prendono la forma di consorzi o cooperative;

3. Grossisti indipendenti (canale convenzionale), aziende grossiste indipendenti che contrattano singolarmente con i produttori a monte.

L’evoluzione del mercato sembra comunque premiare le soluzioni di tipo associativo, (i canali amministrati) grazie al vantaggio competitivo della maggiore flessibilità e capacità di adattamento ad un contesto di mercato che presenta forti asimmetrie a livello locale. Al contrario, stanno affrontando una fase di ripensamento e ristrutturazione i tentativi di integrazione a valle da parte dell’industria (i.e. Partesa, Doreca, T&C, Imbevit). Questi ultimi, in particolare, soffrono soprattutto di una struttura decisionale accentrata e delle conseguenze dei processi riorganizzativi legati alle operazioni di fusione e di acquisizione.

Anche in futuro proseguirà la progressiva perdita di quota di mercato dei grossisti di bevande indipendenti, i quali sono soggetti a sempre maggiore pressione competitiva orizzontale (da parte dei grossisti associati a Gruppi d’acquisto o a Unioni Volontarie, o da nuovi soggetti collettivi) e verticale (a causa dell’integrazione a monte da parte della Grande Distribuzione e dell’integrazione a valle dell’industria di marca).

Sulla base di tali caratteri è possibile identificare i seguenti modelli organizzativi:

Grossista tradizionale di bevande. Il Grossista tradizionale tende a preferire un profilo consueto d’offerta orientato alla logistica, puntando alla copertura numerica dei clienti e all’ampiezza dell’assortimento. A livello di rapporto prezzo/qualità tende ad offrire prodotti di qualità medio-alta con un sufficiente livello di convenienza.

Grossista orientato alla logistica e al traffico. Il Grossista orientato alla logistica e al traffico ha un profilo che tende a privilegiare il servizio logistico, la convenienza e la massima copertura numerica dei punti vendita serviti.

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Grossista multispecializzato. Il Grossista multi-specializzato, infine, cerca di sviluppare ampiezza e profondità dell’assortimento. L’elevato livello di servizio si traduce inevitabilmente in un più alto livello dei prezzi. Nei prossimi anni si registrerà un’ulteriore contrazione generale del settore all’ingrosso di bevande, probabilmente tra i 2 e i 5 punti percentuali, dovuta sia a trend evidenziati in precedenza, sia alla stazionarietà dei consumi in Italia. L’innovazione tecnologica. L’innovazione tecnologica ha influito positivamente sull’organizzazione interna dei grossisti che, grazie all’utilizzo di sistemi informatizzati ed automatici, sono riusciti a conseguire una riduzione dei costi di gestione e a realizzare economie di scala, soprattutto nei servizi logistici e nella gestione del magazzino. Per il futuro, vista la sempre più spinta diffusione di tali tecnologie, è lecito attendersi un loro impiego sempre più rilevante, soprattutto nei rapporti tra grossista e fornitore, mediante la gestione intelligente delle scorte e l’automatizzazione dei riordini.

Sembra invece più difficile la costituzione di reti informatizzate tra grossista e clienti, considerata soprattutto la tipologia e le dimensioni medie di queste ultime.

Ciò nonostante resta possibile per il grossista operare sui clienti mediante siti internet integrati con una rete interna, in modo da minimizzare l’investimento in software ad hoc e, contestualmente, consentire ai clienti di gestire direttamente i propri ordini mediante un terminale remoto.

Le prospettive di sviluppo futuro dell’ingrosso di bevande in Lombardia. Le previsioni settoriali per i prossimi tre anni non sono positive, è lecito attendersi una ulteriore contrazione dell’ingrosso tradizionale in favore dei canali alternativi, in particolare della GDO.

L’attuale contesto competitivo sembra premiare le soluzioni inter-organizzative di tipo associativo, che conferiscono la massima flessibilità e capacità di adattamento ad un mercato che mantiene ancora elevate specificità territoriali.

Il primo gruppo strategico, quello dei grossisti indipendenti, è in posizione critica. Deve affrontare tutte le difficoltà legate allo start up di un Consorzio o di un Gruppo d’acquisto o superare gli ostacoli d’ingresso in forme associative già costituite. Un’alternativa strategica potrebbe essere rappresentata dalla cessione della propria attività a produttori di marca in cambio di supporti a livello finanziario, promozionale, di marketing,...

Una tendenza consolidata nel settore in esame è la strategia di sviluppo associativo. I Gruppi d’acquisto e i Consorzi sono in fase espansiva perché consentono di aumentare il potere sia a monte, nei confronti dell’industria, sia a valle, nei confronti della ristorazione.

Abbiamo già menzionato l’esigenza di crescita dimensionale delle imprese in un settore ancora fortemente dominato da aziende di medie e piccole dimensioni. Laddove infatti si assiste ad una elevata concentrazione nei mercati a monte, e ad una progressiva diffusione delle catene della ristorazione commerciale a valle, è impossibile per il singolo grossista localizzato geograficamente ottenere un vantaggio competitivo tale da permettergli di spuntare condizioni favorevoli da

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parte dell’industria e, nel contempo, di entrare nell’assortimento di clienti diffusi a livello nazionale.

Per crescere dimensionalmente occorre quindi perseguire una delle due strade di cui si è già detto, ovvero l’associazionismo o l’integrazione, con i vantaggi e gli svantaggi che le caratterizzano: infatti la soluzione associativa lascia al grossista la proprietà dell’azienda ed un’elevata autonomia gestionale comportando, per contro, elevate difficoltà in fase di coordinamento; mentre la soluzione di integrazione toglie all’imprenditore il potere decisionale, ma risulta più organica nella sua azione a livello nazionale.

È necessario procedere alla crescita della cultura manageriale del settore, ciò rappresenta la base per introdurre miglioramenti gestionali e manageriali e all’adozione di un orientamento al mercato e alla cooperazione.

Attualmente, infatti, in molte imprese grossiste è in atto un ricambio generazionale in cui, all’interno di strutture a carattere prevalentemente famigliare, i figli stanno subentrando ai padri nella gestione delle aziende: mentre le generazioni più anziane, formatesi sul campo, hanno costruito l’azienda giorno dopo giorno sulla base delle esigenze funzionali e delle intuizioni personali, ora arrivano generazioni istruite e formate a una cultura di tipo manageriale che portano all’interno dell’azienda la scientificità e le logiche gestionali prima “fatte in casa”.

Questa tendenza rischia dunque di creare un ulteriore problema, soprattutto all’interno delle realtà associate dove, a seconda del livello e del modo in cui il ricambio generazionale ha interessato le diverse imprese partecipanti, si corre il rischio di avere aziende che “corrono” a velocità diverse. Ecco allora che diviene fondamentale promuovere piani di formazione e di aggiornamento volti a minimizzare l’impatto del ricambio generazionale e, nel contempo, ad avvicinare le generazioni più anziane alle odierne logiche gestionali del business.

Per competere efficacemente nel nuovo contesto competitivo, il grossista tradizionale deve evolversi e passare dalla funzione originaria di “venditore di prodotti” a quella di “consulente”, passando per la tappa intermedia di “prestatore di servizi”.

I “venditori di prodotti” limitano la loro funzione distributiva solo all’aspetto logistico-negoziale. Questi rappresentano il primo stadio del ciclo di vita dei distributori beverage. Nella quasi totalità dei casi la funzione che assolvono è quella logistica; infatti, si limitano alla raccolta di ordini, alle consegne, alla gestione dei resi e dei vuoti.

I grossisti “prestatori di servizio” offrono invece una serie di servizi tangibili (servizi logistici, finanziari, di vendita, pre e post vendita) e intangibili (affidabilità, disponibilità, competenza) che vanno oltre il servizio logistico.

I grossisti “consulenti” aggiungono alle funzioni del prestatore di servizio una serie di servizi di tipo consulenziale, ovvero finalizzati non già a sviluppare il proprio business, ma quello del cliente. Rientrano pertanto in questa tipologia di servizi le consulenze in merito al layout, all’arredamento e al design del locale, all’organizzazione di eventi e animazioni, alla gestione dei clienti, etc. nonché la formazione dei clienti gestori nel corretto svolgimento della propria attività (i.e. spillatura, gestione dell’HACCP, etc.).

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Il primo passo per affrontare le sfide del futuro è dunque una rivisitazione del ruolo stesso del distributore all’ingrosso all’interno della filiera, ovvero un trading up delle proprie funzioni che sposti l’accento dal servizio di fornitura a quello di consulenza, e dal rapporto commerciale a quello personale.

Una potenziale minaccia per l’ingrosso tradizionale di bevande è rappresentata dalla diffusione delle catene della ristorazione commerciale. In Lombardia, come nel resto d’Italia, l’Ho.Re.Ca. è un settore ancora polverizzato, con la prevalenza di imprese familiari. La concentrazione del settore a valle e la costituzione di strutture societarie vicine a quelle operanti nel canale Catering potrebbero portare a negoziare direttamente con le aziende produttrici “bypassando” l’intermediazione all’ingrosso. Ciò potrebbe causare una crisi dell’ingrosso di bevande. Riteniamo tuttavia che il processo di concentrazione dei formati di somministrazione sia molto lento e, pertanto, che il rischio di crisi dell’ingrosso a causa di questo fattore sia modesto. Ciò anche in considerazione della costante crescita dei consumi fuori casa, che rappresenta un progressivo ampliamento del mercato di sbocco del grossista di bevande.

1.4. L’ingrosso d’abbigliamento e calzature in Lombardia

Caratteri strutturali e trend dei grossisti d’abbigliamento e di calzature in Lombardia. In questo capitolo l’analisi si sposta dai settori alimentari ai settori non alimentari e, in particolare, all’ingrosso d’abbigliamento e calzature. L’analisi è organizzata in due sezioni, la prima fa riferimento all’abbigliamento la seconda alle calzature. La Lombardia detiene il maggior numero di Grossisti d’abbigliamento in Italia, pari a 2.247 soggetti totali. Anche nei singoli sub-settori, la regione con il maggior numero di operatori all’ingrosso in Italia è la Lombardia.

I dati degli ultimi Censimenti relativi all’ingrosso d’abbigliamento evidenziano la progressiva frammentazione della struttura imprenditoriale: a fronte della crescita del numero delle unità locali, la crescita degli addetti non è delle stesse proporzioni (tab. 1.11). Aumentano dunque le piccole aziende familiari con un’involuzione e un allontanamento dalle logiche della modernizzazione e dai modelli di business europei.

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Tabella 1.11 - La distribuzione regionale delle imprese di distribuzione all’ingrosso di abbigliamento e accessori (codice 51.42.1)

Numero di Imprese Numero di addetti Regioni 1996 2001 Var. %

2001-1996 1996 2001 Var. %

2001-1996 LOMBARDIA 1300 1537 18,23% 5306 5966 12,44% LAZIO 507 691 36,29% 1727 2195 27,10% CAMPANIA 833 1183 42,02% 2165 3040 40,42% VENETO 471 514 9,13% 2214 2210 -0,18% PIEMONTE 355 390 9,86% 1507 1289 -14,47% EMILIA ROMAGNA 549 628 14,39% 2435 2726 11,95% TOSCANA 480 605 26,04% 2377 2302 -3,16% PUGLIA 276 305 10,51% 844 920 9,00% SICILIA 252 351 39,29% 975 881 -9,64% LIGURIA 137 143 4,38% 458 442 -3,49% CALABRIA 83 94 13,25% 280 260 -7,14% ABRUZZO 104 120 15,38% 235 270 14,89% MARCHE 154 169 9,74% 590 609 3,22% FRIULI VENEZIA GIULIA 110 86 -21,82% 331 208 -37,16% SARDEGNA 96 96 0,00% 404 316 -21,78% UMBRIA 70 74 5,71% 242 172 -28,93% TRENTINO ALTO ADIGE 63 81 28,57% 243 306 25,93% BASILICATA 14 18 28,57% 27 51 88,89% MOLISE 10 14 40,00% 28 29 3,57% VALLE D’AOSTA n.d. 5 n.d. n.d. 10 n.d. TOTALE 5864 7104 21,15% 22388 24202 8,10%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001

Tabella 1.12 - La distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso di calzature e accessori (codice 51.42.4)

Numero di Imprese Numero di Addetti Regioni 1996 2001 Var. %

2001-1996 1996 2001 Var. %

2001-1996 LOMBARDIA 222 218 -1,80% 1338 890 -33,48% LAZIO 67 81 20,90% 268 290 8,21% CAMPANIA 410 529 29,02% 951 1064 11,88% VENETO 199 195 -2,01% 872 737 -15,48% PIEMONTE 82 64 -21,95% 402 299 -25,62% EMILIA ROMAGNA 110 103 -6,36% 424 322 -24,06% TOSCANA 179 215 20,11% 698 784 12,32% PUGLIA 137 99 -27,74% 413 291 -29,54% SICILIA 97 186 91,75% 315 493 56,51% LIGURIA 26 18 -30,77% 134 62 -53,73% CALABRIA 27 20 -25,93% 74 50 -32,43% ABRUZZO 22 25 13,64% 59 54 -8,47% MARCHE 241 293 21,58% 871 819 -5,97% FRIULI VENEZIA GIULIA 20 18 -10,00% 71 57 -19,72% SARDEGNA 18 18 0,00% 130 141 8,46% UMBRIA 11 15 36,36% 66 35 -46,97% TRENTINO ALTO ADIGE 18 13 -27,78% 108 62 -42,59% BASILICATA 1 0 -100,00% 1 0 -100,00% MOLISE 0 0 0,00% 0 0 0,00% VALLE D’AOSTA 0 0 0,00% 0 0 0,00% TOTALE 1887 2110 11,82% 7195 6450 -10,35%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001

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Tabella 1.13: Distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso despecializzato di abbigliamento e calzature (codice 51.42.5)

Numero di Imprese Numero di Addetti Regioni 1996 2001 Var. %

2001-1996 1996 2001 Var. %

2001-1996 LOMBARDIA 42 56 33,33% 248 159 -35,89% LAZIO 23 31 34,78% 63 65 3,17% CAMPANIA 37 52 40,54% 51 63 23,53% VENETO 23 22 -4,35% 94 47 -50,00% PIEMONTE 13 13 0,00% 33 25 -24,24% EMILIA ROMAGNA 22 31 40,91% 208 74 -64,42% TOSCANA 18 31 72,22% 38 55 44,74% PUGLIA 15 16 6,67% 40 32 -20,00% SICILIA 9 11 22,22% 18 28 55,56% LIGURIA 6 4 -33,33% 50 12 -76,00% CALABRIA 4 6 50,00% 7 42 500,00% ABRUZZO 2 4 100,00% 3 5 66,67% MARCHE 11 17 54,55% 42 47 11,90% FRIULI VENEZIA GIULIA 9 5 -44,44% 30 16 -46,67% SARDEGNA 12 21 75,00% 27 75 177,78% UMBRIA 5 8 60,00% 9 11 22,22% TRENTINO ALTO ADIGE 1 0 -100,00% 1 0 -100,00% BASILICATA 2 0 -100,00% 2 0 -100,00% MOLISE 0 0 0,00% 0 0 0,00% VALLE D’AOSTA 0 0 0,00% 0 0 0,00% TOTALE 254 328 29,13% 964 756 -21,58%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001 Tabella 1.14 - Distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso di pelletterie,

marocchinerie e articoli da viaggio (codice 51.47.8)

Numero di Imprese Numero di Addetti Regioni 1996 2001 Var. %

2001-1996 1996 2001 Var. %

2001-1996 LOMBARDIA 182 176 -3,30% 602 483 -19,77% LAZIO 58 60 3,45% 231 136 -41,13% CAMPANIA 94 140 48,94% 202 296 46,53% VENETO 63 27 -57,14% 291 71 -75,60% PIEMONTE 53 45 -15,09% 139 93 -33,09% EMILIA ROMAGNA 79 67 -15,19% 279 328 17,56% TOSCANA 78 52 -33,33% 288 98 -65,97% PUGLIA 30 32 6,67% 63 49 -22,22% SICILIA 50 52 4,00% 131 98 -25,19% LIGURIA 14 13 -7,14% 25 30 20,00% CALABRIA 13 13 0,00% 21 21 0,00% ABRUZZO 34 39 14,71% 86 106 23,26% MARCHE 33 34 3,03% 90 84 -6,67% FRIULI VENEZIA GIULIA 13 11 -15,38% 34 20 -41,18% SARDEGNA 3 7 133,33% 8 14 75,00% UMBRIA 8 8 0,00% 15 27 80,00% TRENTINO ALTO ADIGE 19 n.d. n.d. 74 n.d. n.d. BASILICATA 0 0 0,00% 0 0 0,00% MOLISE 0 0 0,00% 0 0 0,00% VALLE D’AOSTA 1 0 -100,00% 1 0 -100,00% TOTALE 825 776 -5,94% 2580 1954 -24,26%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001

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Tabella 1.15 - La distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso di camicie e biancheria, maglieria e simili in Lombardia e nelle altre regioni (codice51.42.3)

Numero di Imprese Numero di Addetti Regioni

1996 2001 Var. % 2001-1996 1996 2001 Var. % 2001-1996 LOMBARDIA 275 260 -5,45% 1220 978 -19,84% LAZIO 85 71 -16,47% 322 150 -53,42% CAMPANIA 248 240 -3,23% 782 671 -14,19% VENETO 80 95 18,75% 551 436 -20,87% PIEMONTE 112 94 -16,07% 530 248 -53,21% EMILIA ROMAGNA 98 88 -10,20% 474 400 -15,61% TOSCANA 98 90 -8,16% 475 393 -17,26% PUGLIA 183 60 -67,21% 549 207 -62,30% SICILIA 64 178 178,13% 194 451 132,47% LIGURIA 28 18 -35,71% 122 57 -53,28% CALABRIA 24 27 12,50% 62 45 -27,42% ABRUZZO 40 36 -10,00% 139 112 -19,42% MARCHE 41 40 -2,44% 159 140 -11,95% FRIULI VENEZIA GIULIA 18 16 -11,11% 74 77 4,05% SARDEGNA 7 12 71,43% 19 24 26,32% UMBRIA 13 14 7,69% 74 48 -35,14% TRENTINO ALTO ADIGE 15 16 6,6% 89 55 -38,20% BASILICATA 5 n.d. n.d. 6 n.d. n.d. MOLISE 3 n.d. n.d. 4 n.d. n.d. VALLE D’AOSTA 0 0 0,00% 0 0 0,00% TOTALE 1437 1355 -5,71% 5845 4492 -23,15%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001

I dati disponibili per singolo comparto evidenziano una controtendenza al ridimensionamento della numerica delle imprese e degli addetti nel sub-settore dell’ingrosso di camicie, biancheria, maglieria e simili e l’ingrosso di pelletteria, marocchineria e articoli da viaggio. In Lombardia il trend negativo è in linea con la tendenza manifestatasi a livello nazionale (tab. 1.14). Gli occupati nel settore della distribuzione al dettaglio in qualità di lavoratori autonomi negli anni tra i due censimenti disponibili (1991-2001) hanno subito una contrazione del 29%.

Tabella 1.16 - Numero delle imprese e degli addetti – Commercio all’ingrosso di calzature ed

accessori (1991-2001)

Imprese 1991 Imprese 2001 Variazione Numerica % 1991/2001 LOMBARDIA 215 190 -11,63 PIEMONTE 80 62 -22,50 VALLE D’AOSTA 0 0 - TRENTINO – ALTO ADIGE 12 13 + 8,33 VENETO 190 190 0,00 FRIULI – VENEZIA GIULIA 26 14 -46,15 LIGURIA 33 17 -48,48 EMILIA ROMAGNA 127 98 -22,83 TOSCANA 147 197 + 34,01 UMBRIA 12 12 0,00 MARCHE 216 275 + 27,31 LAZIO 54 70 + 29,63 ABRUZZO 17 21 + 23,53 MOLISE 2 3 + 50,00 CAMPANIA 197 425 + 115,74 PUGLIA 94 172 + 82,98 BASILICATA 0 1 - CALABRIA 18 17 -5,56 SICILIA 76 87 + 14,47 SARDEGNA 18 15 -16,67 TOTALE ITALIA 1.534 1.879 22,49

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

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In Lombardia, come nelle altre regioni del nord del Paese, si registra una riduzione significativa del numero delle imprese all’ingrosso di calzature. Il numero delle imprese e degli addetti del settore del Commercio all’ingrosso di calzature ed accessori si riduce in quasi tutte le regioni del Nord Italia (fatta eccezione per il Trentino - Alto Adige e il Veneto che rimane stabile), mentre aumenta nelle regioni meridionali e centrali del Paese, ad eccezione della Calabria.

Tabella 1.17 - Commercio all’ingrosso di calzature ed accessori. Distribuzione regionale

delle unità locali e addetti (1991-2001)

Unità locali 1991

Unità locali 2001

Variazione numerica

1991/2001

Numero addetti

1991

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per unità

LOMBARDIA 250 214 -14,40 1334 829 -37,86 3,9 PIEMONTE 87 70 -19,54 386 381 -1,30 5,4 VALLE D’AOSTA 0 0 - 0 0 - - TRENTINO – ALTO ADIGE

16 19 18,75 85 113 32,94 5,9

VENETO 217 202 -6,91 969 834 -13,93 4,1 FRIULI – VENEZIA GIULIA

32 17 -46,88 99 52 -47,47 3,1

LIGURIA 39 22 -43,59 184 63 -65,76 2,9 EMILIA ROMAGNA 135 109 -19,26 553 333 -39,78 3,1 TOSCANA 167 217 29,94 633 726 14,69 3,3 UMBRIA 15 12 -20,00 56 29 -48,21 2,4 MARCHE 235 297 26,38 824 813 -1,33 2,7 LAZIO 59 75 27,12 260 245 -5,77 3,3 ABRUZZO 28 31 10,71 47 46 -2,13 1,5 MOLISE 2 3 50,00 3 3 0,00 1,0 CAMPANIA 215 471 119,07 637 980 53,85 2,1 PUGLIA 112 184 64,29 366 467 27,60 2,5 BASILICATA 0 1 - 0 3 - 3,0 CALABRIA 20 21 5,00 60 55 -8,33 2,6 SICILIA 88 97 10,23 233 278 19,31 2,9 SARDEGNA 20 19 -5,00 145 146 0,69 7,7 TOTALE ITALIA 1737 2081 19,80 6874 6396 -6,95 3,1

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

Di seguito (tabelle 1.18 e 1.19), si sono voluti integrare i dati tratti dall’ultimo censimento Istat con dati Asia aggiornati al 2003.

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Tabella 1.18 - Commercio all’ingrosso di calzature ed accessori: imprese e addetti per regione, 2003

Unità locali

2001 Imprese

2003 Numero addetti

2001 Addetti

2003 LOMBARDIA 214 218 829 871 PIEMONTE 70 68 381 336 VALLE D’AOSTA 0 - 0 - TRENTINO – ALTO ADIGE 19 15 113 86 VENETO 202 205 834 904 FRIULI – VENEZIA GIULIA 17 18 52 68 LIGURIA 22 19 63 76 EMILIA ROMAGNA 109 107 333 377 TOSCANA 217 203 726 687 UMBRIA 12 14 29 37 MARCHE 297 281 813 845 LAZIO 75 101 245 274 ABRUZZO 31 23 46 45 MOLISE 3 4 3 5 CAMPANIA 471 570 980 1.132 PUGLIA 184 187 467 494 BASILICATA 1 n.d. 3 n.d. CALABRIA 21 18 55 55 SICILIA 97 79 278 249 SARDEGNA 19 18 146 119 TOTALE ITALIA 2081 2.150 6396 6.662

Fonte: Asia – ISTAT Per individuare la dimensione dell’impresa tipo si ricorre alle informazioni inerenti il numero di addetti:

Tabella 1.19 - Imprese e addetti per classe di addetti nel 2003

1 - 19 20 - 99 100 e oltre Totale

Ateco

2002

Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti

51424 2.114 5.335 35 1.180 n.d. n.d. 2.150 6.662

Fonte: Asia – ISTAT

Infine, il confronto con gli altri Paesi europei, evidenzia l’arretratezza dell’Italia (tab. 1.20):

Tabella 1.20 - L’ingrosso di abbigliamento e calzature in Europa

Germania

(02)

Spagna

(02)

Francia

(00)

Italia (02)

Regno Unito

(00)

Imprese per 10.000 abitanti 0,2 1,5 1,3 2,0 1,0

Addetti per 1.000 abitanti 0,3 0,8 0,5 0,7 0,7

Numero di persone occupate per impresa 13,6 5 4,0 3,4 -

Quota di dipendenti sul totale degli

occupati (%)

93,5 88,2 98,8 62,9 89,6

Valore aggiunto lordo per persona

impiegata (.000 euro)

57,8 41,2 46,8 38,0 68,3

Fonte: elaborazioni IPI su dati Eurostat

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La natura delle imprese è essenzialmente familiare: un terzo degli addetti sono infatti occupati indipendenti. Regno Unito e Germania registrano invece le migliori performance in termini di produttività, con valori molto distanti da quelli italiani.

L’ingrosso di calzature presenta una netta prevalenza di piccole imprese (tab. 1.19). In Lombardia la struttura del settore è stazionaria. Dal 2001 al 2003 si osserva ovunque, tranne in Lombardia e Campania, una ulteriore frammentazione del settore, con un aumento delle imprese ed una riduzione del numero di addetti. Lo spostamento della produzione dall’Italia ai Paesi asiatici assegna sempre maggiore importanza alla vicinanza del grossista ai centri di smistamento delle merci importate; mentre perde rilievo la vicinanza del grossista al distretto di produzione. I fattori di crisi dell’ingrosso d’abbigliamento e di calzature in Lombardia. In Lombardia, come nel resto del Nord Italia, l’ingrosso di prodotti d’abbigliamento e di calzature si afferma nel dopoguerra nei comparti a minore valore aggiunto, caratterizzati da un basso rapporto prezzo/qualità. I prodotti di posizionamento elevato, a maggiore valore aggiunto, sono distribuiti direttamente dai produttori, in genere tramite agenti-rappresentanti. Il canale lungo si espande dal dopoguerra fino agli anni Settanta. In quel periodo i servizi offerti dai grossisti nei canali di distribuzione erano funzionali alla dimensione media ridotta dei produttori ed alla prevalente polverizzazione del sistema distributivo italiano.

A partire dal 1980 circa la figura del grossista tradizionale d’abbigliamento e calzature entra in crisi a causa di diversi fattori concomitanti.

- Lo sviluppo della grande distribuzione despecializzata (Ipermercati) e

specializzata (Grandi Superfici) che esercitano una sempre maggiore concorrenza nei confronti della clientela tipica dell’ingrosso: il dettaglio tradizionale indipendente pluri-marca.

- L’accelerazione del ritmo di cambiamento delle mode e degli stili di vita, che determinano sempre maggiori variazioni e fluttuazioni dei consumi, con conseguenti maggiori problemi di rimanenze, perché è sempre più difficile prevedere la domanda. Ciò finisce con avvantaggiare le imprese inserite in filiere distributive brevi, in cui i dati e le informazioni si scambiano più velocemente.

- La tendenza da parte dei produttori leader ad integrarsi a valle, per affermare e sostenere l’immagine di marca, mediante l’apertura di punti vendita diretti di proprietà e/o in franchising.

- La crisi dei consumi di abbigliamento e calzature, che riflette una più generale crisi della domanda interna nel nostro Paese.

La contrazione della quota di mercato del canale lungo e dei grossisti è meno che proporzionale alla riduzione della quota di mercato del dettaglio tradizionale. Tuttavia, in Italia nel 2005 i piccoli negozi tradizionali indipendenti hanno ancora una quota di mercato pari al 50% circa dei consumi commercializzati di calzature.

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I principali segmenti di clientela dei grossisti tradizionali d’abbigliamento e di calzature sono i negozi al dettaglio marginali e i punti vendita non in sede fissa (gli ambulanti). I distributori al dettaglio con le migliori performance, perché ubicati nelle vie commerciali con elevato flusso di traffico, sono serviti direttamente da agenti dei produttori di marca. I migliori dettaglianti pluri-marca presenti sul mercato acquistano dal grossista solo articoli marginali a bassa rotazione (con maggiori costi di gestione del magazzino anche per il grossista stesso).

Attualmente solo i punti vendita d’abbigliamento di dimensioni contenute, ubicati in vie caratterizzate da scarso flusso pedonale, si rivolgono ai grossisti perché i produttori di marca non li servono.

Le tendenze in atto portano ad una riduzione graduale del ruolo del grossista anche per i seguenti motivi:

- lo sviluppo di catene di negozi o di grandi superfici specializzate che si

rivolgono direttamente ai produttori o importano direttamente dall’estero;

- la maggior parte dei produttori italiani d’abbigliamento sono ormai dotati di organizzazioni di vendita (agenti di commercio) e di strutture logistiche, che consentono di servire direttamente i punti vendita al dettaglio;

- le aziende di produzione di “marca” puntano ad un controllo sempre maggiore della distribuzione, anche per evitare il rischio di trovare i loro prodotti in punti vendita della Grande Distribuzione scarsamente qualificati che potrebbero penalizzare l’immagine di marca.

Nei settori in esame nel corso degli ultimi anni si è intensificato il fenomeno dell’integrazione a valle da parte dei produttori industriali leader. Parallelamente al tentativo di affermare l’immagine di marca, nel settore dell’abbigliamento e delle calzature, i produttori hanno orientato le loro politiche distributive al servizio al trade. È in atto una tendenza a “by-passare” la distribuzione all’ingrosso. La tendenza ad integrarsi a valle si spinge fino all’apertura di punti vendita diretti monomarca di proprietà e/o in franchising.

Nel settore dell’abbigliamento e delle calzature le modalità d’integrazione a valle nei canali di distribuzione sono tre:

1. punti vendita monomarca di proprietà (in particolare di produttori delle

fasce più elevate del mercato); 2. punti vendita in franchising, forma di semi-integrazione, altrettanto

efficace, ma meno costosa e rigida rispetto alla soluzione precedente; 3. corner in punti vendita di grande superficie.

I produttori dei settori in esame, che scavalcano i distributori all’ingrosso e servono direttamente i punti vendita al dettaglio, si avvalgono in genere di agenti pluri-mandatari (e solo in pochi casi di venditori diretti). Inoltre, a partire dal 1990 circa inizia a diffondersi la convinzione che la distribuzione al dettaglio mediante punti

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vendita pluri-marca sia inadeguata a sostenere una forte immagine di marca nei settori della moda e del lusso. Ciò determina ingenti investimenti nei punti di vendita monomarca, che vengono utilizzati anche dal punto di vista comunicativo.

Un altro fattore di crisi della distribuzione all’ingrosso d’abbigliamento e calzature è da ricercare nella crescita della Grande distribuzione despecializzata e alle Grandi superfici specializzate in abbigliamento e calzature e negli articoli sportivi (per esempio Decathlon, Cisalfa,...). In particolare, nelle fasce di prezzo più basse del mercato, la competizione dovuta alla concorrenza esercitata al dettaglio tradizionale dalla Grande Distribuzione Organizzata è sempre più intensa.

Lo sviluppo della Grande Distribuzione attiva, anche in questi settori, due fattori di crisi dell’ingrosso: da un lato, attraverso le sue centrali d’acquisto, si integra a monte, e compra direttamente dai produttori; dall’altro, parallelamente, esercita una forte concorrenza nei confronti del dettaglio tradizionale, che rappresenta il segmento di clientela più importante per l’ingrosso.

Un ulteriore fattore di crisi dell’ingrosso è da ricercare nelle difficoltà del dettaglio tradizionale (la tipica clientela primaria dei grossisti d’abbigliamento e di calzature), dovute alla crescita dei punti vendita di grandi dimensioni.

L’aumento delle importazioni dalla Cina può rappresentare un’opportunità per i grossisti.

In definitiva l’ingrosso nei canali di distribuzione in esame è stato penalizzato dall’integrazione verticale dell’industria di marca e dallo sviluppo delle Imprese della Grande Distribuzione.

I modelli di business dell’ingrosso di abbigliamento e calzature. Prima di iniziare l’analisi dei modelli di business, è importante chiarire che la maggior parte dei grossisti del settore dell’abbigliamento e delle calzature adotta contemporaneamente più modelli di business. In altri termini, contrariamente a quanto si riscontra in altri settori, i grossisti di beni di consumo non alimentari non adottano una strategia competitiva focalizzata su uno solo dei modelli di business, ma impiegano un mix di soluzioni competitive che si affiancano all’attività precedente, tradizionale. Naturalmente, i casi di successo si caratterizzano per la presenza di risorse e competenze distintive coerenti con i modelli di business adottati.

I principali modelli di business presenti nella distribuzione all’ingrosso d’abbigliamento e di calzature sono i seguenti:

1. grossista tradizionale con vendita al banco; 2. grossista di “pronto moda” (prontista); 3. grossista integrato a valle mediante l’apertura di punti vendita di proprietà; 4. grossista esportatore; 5. grossista integrato a monte con marchi propri; 6. grossista specializzato per categoria di prodotto; 7. grossista merchandiser; 8. grossista stocchista puro; 9. grossista cinese.

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Grossista tradizionale con vendita al banco. Il primo modello di business è quello maggiormente in crisi. Il comparto del grossista d’abbigliamento e di calzature tradizionale con vendita al banco ha perso e continua a perdere quote di mercato. Le cause delle difficoltà sono già state chiarite precedentemente e sono strutturali. L’integrazione a valle dell’industria di marca, l’aumento dei negozi monomarca e in franchising di proprietà dei produttori e l’aumento delle quote di mercato delle imprese della Grande Distribuzione pongono ulteriormente in crisi la clientela tipica dell’ingrosso costituita dal dettaglio tradizionale.

Alcuni intervistati sostengono che la tradizionale vendita al banco sia oggi pari al 20% del mercato canalizzato dai grossisti.

Grossista di “pronto moda” (prontista). Una strategia seguita dal commercio all’ingrosso d’abbigliamento e di calzature è stata quella di puntare sul “Pronto moda”. Le logiche di fondo di questo modello di business si basano sulla compressione dei tempi che il prodotto impiega per attraversare l’intera filiera del sistema moda. Le possibilità di ridurre i tempi di riassortimento sono minori nel settore delle calzature rispetto all’abbigliamento (a causa di fattori di rigidità presenti nel sistema produttivo e d’approvvigionamento).

I grossisti di “pronto moda” più evoluti all’inizio di ogni stagione propongono ai punti vendita d‘abbigliamento o di calzature indipendenti una propria linea, di solito commercializzata con un proprio marchio, caratterizzata da un vantaggioso rapporto prezzo-qualità, rispetto ai prodotti di marca leader. Successivamente, riassortiscono gli articoli più venduti in tempi rapidi. I punti vendita al dettaglio sono in genere disposti a pagare un prezzo superiore a quello medio del mercato, pur di avere il prodotto di tendenza, che è esaurito. La velocità del servizio di riassortimento, in particolare dei prodotti di moda più venduti, diventa un fattore di successo rilevante dell’ingrosso. L’adozione di tale modello di business richiede soluzioni organizzative e partnership con altre imprese della filiera.

Grossista integrato a valle mediante l’apertura di punti vendita di proprietà. La strategia d’integrazione a valle con l’apertura di punti vendita di proprietà è una delle tendenze più significative e importanti. In molti casi il grossista acquisisce negozi al dettaglio di clienti in crisi. In Lombardia sono numerosi i casi di grossisti che hanno seguito la strategia di integrazione a valle. Alcuni intervistati sostengono che questo modello di business è quello con le migliori prospettive di crescita nei prossimi anni.

Grossista esportatore. Un numero più limitato di grossisti, rispetto al modello di business precedente, svolge un’attività d’esportazione. La figura del grossista esportatore è concentrata solo in alcune aree: per esempio a Milano, alcuni intermediari del settore, sfruttando la vicinanza all’aeroporto di Malpensa, si sono concentrati su questa attività. Gli operatori commerciali esteri che arrivano allo scalo di Malpensa per acquistare da grossisti vengono servirti molto rapidamente.

Grossista integrato a monte con marchi propri. Gli intermediari all’ingrosso d’abbigliamento e di calzature con capacità di marketing hanno tentato di seguire,

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per certi versi, un percorso di sviluppo strategico analogo a quello seguito da alcuni produttori italiani del settore; hanno quindi tentato di creare e affermare linee di prodotti con marchi propri. Nell’ambito di questo modello di business si possono riscontrare due diverse strategie di sviluppo:

1. grossista con marchi propri focalizzato sul mercato italiano; 2. grossista con marchi propri specializzato nell’esportazione.

Il grossista di marca attivo sul mercato interno non opera più a livello locale, come il grossista tradizionale, svolge funzioni ed attività più vicine a quelle del produttore di marca che a quelle del distributore. Crea una propria linea, seleziona alcuni produttori terzisti, in grado di produrre con marchio del distributore, espone i propri prodotti alle fiere con un proprio stand e vende su quasi tutto il territorio nazionale, mediante agenti. In altri casi, segnalati dagli intervistati, la creazione di un marchio rappresenta una sorta di diversificazione che comporta la creazione di un’unità organizzativa autonoma con altri soci e la capacità di sviluppare un marchio. Il secondo modello di business si caratterizza per la creazione di un proprio marchio e la focalizzazione sull’attività d’esportazione. In questo caso, il grossista agisce di fatto come un produttore che si rivolge prevalentemente al mercato estero. Di solito gli operatori si specializzano sin dall’inizio sull’attività d’esportazione e ciò non comporta cambiamenti delle strategie distributive nel mercato interno.

Grossista specializzato per categoria di prodotto. Un certo numero di grossisti ha perseguito una specializzazione merceologica: questa strategia viene riconosciuta positivamente dai distributori al dettaglio.

Alcuni grossisti svolgono prevalentemente l’attività di importazione parallela di articoli di grande marca. In genere si tratta di agenti che, sfruttando la conoscenza del mercato e le relazioni di fiducia con i dettaglianti, decidono di diventare distributori nel mercato parallelo e costituiscono una propria rete di agenti e/o sub-agenti. In genere, in una prima fase, tentano di vendere gli articoli in campionari ai dettaglianti e poi, in una fase successiva, acquistano nei mercati internazionali. Si deve considerare in proposito come, nonostante le iniziative dei produttori leader per ridurre il fenomeno, il mercato parallelo continui ad essere in espansione. Internet, inoltre, sta facilitando lo sviluppo di questo mercato.

Grossista merchandiser. Alcuni grossisti si sono specializzati nei servizi commerciali per la Grande Distribuzione. Offrono, in altri termini, un nuovo mix di servizi coerenti con le esigenze dei punti vendita di grande superficie a libero servizio.

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I grossisti specializzati nel vendere alle imprese della Grande Distribuzione sono focalizzati su articoli di basso prezzo7. Offrono servizi di merchandising che vanno dal confezionamento blisterato dei prodotti, per poter essere esposti negli scaffali a libero servizio, al servizio di caricamento degli scaffali, ai controlli per evitare fuori scorta e quindi la mancanza del prodotto nei punti vendita al dettaglio a libero servizio. In altri termini, questa tipologia di imprese commerciali ha trasformato la minaccia dello sviluppo della GDO in un’opportunità, concentrandosi su servizi che consentono alle catene di supermercati ed ipermercati di focalizzarsi sul loro core business e di delegare ad operatori specializzati la gestione del reparto calzature.

Grossista stocchista puro. La tendenza alla de-localizzazione produttiva nei Paesi dell’Est europeo o nei Paesi asiatici, come Cina e Vietnam, ha ridotto i costi, ma contemporaneamente ha irrigidito le modalità produttive. La produzione è oggi quindi vincolata a quantitativi minimi e/o a lotti economici, che offrono l’opportunità d’acquisto di stock di prodotti (dovuti alla maggiore rigidità e ai quantitativi minimi più elevati imposti dalle nuove regole della competizione internazionale).

Il grossista stocchista si rivolge prevalentemente al canale degli ambulanti che, pur se marginale, detiene una quota di mercato che è stata in parte rivitalizzata dalla crisi dei consumi e dalla più forte concorrenza di prezzo presente nel nostro Paese.

Grossista cinese. Opera nella fascia più bassa del mercato e serve prevalentemente con prodotti d’importazione punti vendita ambulanti, vende anche al cliente finale in punti vendita che svolgono, in modo abusivo, attività di vendita al dettaglio.

Un caso che merita approfondimento è quello rappresentato dall’area di Via Paolo Sarpi a Milano, che appare essere in continua espansione. I grossisti-dettaglianti cinesi hanno negli ultimi dieci anni sostituito di fatto i dettaglianti di una delle vie dello shopping con maggiore tradizione nella città. Gli scenari di sviluppo futuro. Un numero sempre maggiore di grossisti di abbigliamento e di calzature si sono orientati a prodotti di “pronto moda”. In altri termini, questi grossisti fanno produrre prodotti di tendenza e riescono a riassortire i punti vendita in tempi molto più rapidi rispetto alla fornitura diretta da parte dei produttori leader. I produttori di marca, spesso anche a causa delle dimensioni raggiunte, sono più rigidi dei grossisti. Il grossista specializzato nel “pronto moda” è invece flessibile e riesce a far produrre in poche settimane articoli di tendenza caratterizzati da un’elevata componente moda.

Una parte della distribuzione all’ingrosso d’abbigliamento e di calzature non si limita ad offrire i servizi commerciali tradizionali, ma impiega anche una propria rete di agenti di vendita, e riesce a spingere i propri prodotti presso i punti vendita,

7 È il caso dell’impresa Gabbiano di Mantova, la quale, per far arrivare le proprie duemila referenze nei 6.500 punti vendita della GDO ricorre a: un magazzino robotizzato “a gravità”, 12 capidistretto, 80 agenti monomandatari e 100 merchandiser.

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a differenza del passato, quando era il dettagliante che ricercava il prodotto presso il grossista.

La liberalizzazione degli scambi internazionali sta aprendo spazi sempre maggiori a nuovi competitor globali i quali, partendo da indiscussi vantaggi competitivi di costo, stanno migliorando la qualità dell’offerta.

Le nuove esigenze di controllo del mercato e l’affermazione dell’immagine di marca hanno indotto un numero sempre più ampio di produttori del settore ad integrarsi a valle con la distribuzione, aprendo negozi monomarca e/o in franchising. E questa strategia di integrazione a valle è seguita anche per internazionalizzarsi.

In Italia, tuttavia, i negozi tradizionali d’abbigliamento e calzature detengono ancora una quota del mercato del 50% circa, ma in contrazione.

Negli ultimi anni si è assistito ad una continua crescita delle importazioni d’abbigliamento e di calzature. Ciò determina cambiamenti nei canali di approvvigionamento del mercato domestico e, quindi, un impatto sui canali distributivi, sui grossisti e sugli intermediari.

Alcuni cambiamenti investono direttamente i grossisti. I distributori all’ingrosso si trovavano, di solito, in prossimità di un distretto di produzione, da cui effettuavano l’approvvigionamento. Con lo spostamento della produzione all’estero, ed in particolare nel Sud-Est asiatico, il produttore italiano viene sostituito, nella filiera, dall’importatore italiano. Quest’ultimo opera acquistando all’estero, presso gli esportatori, enormi quantitativi di merci. Quando, per esempio, le calzature sono sdoganate in Italia, vengono stoccate nei magazzini dell’importatore, ed i grossisti acquistano le merci direttamente da lui. Con questi cambiamenti, i grossisti che si trovano in prossimità geografica dei centri di sdoganamento o dei magazzini dell’importatore, si ritrovano avvantaggiati rispetto ai grossisti che sono in prossimità dei distretti produttivi.

Inoltre, lo spostamento della produzione in Cina e nell’Estremo Oriente aumenta l’importanza dell’intermediario importatore.

Il primo è l’importatore che acquista all’estero e rivende ai piccoli grossisti o direttamente ai dettaglianti (figura 1.4), andando quindi a occupare il ruolo che aveva il grande grossista quando la produzione avveniva in Italia. Il piccolo grossista distribuisce le merci agli ambulanti, mentre i dettaglianti si riforniscono direttamente dall’importatore.

Figura 1.4 - Primo modello

Produttori esteri

Importatore

Piccolo grossista

Dettagliante

Piccoli dettaglianti e ambulanti

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La seconda tipologia di filiera distributiva vede protagonista il piccolo grossista tradizionale. Questi acquista dai produttori italiani prodotti di qualità ma senza marchio e distribuisce presso i piccoli dettaglianti autonomi (figura 1.5).

Figura 1.5 - Secondo modello

L’ultimo tipo di canale distributivo vede a monte il produttore italiano di marca che seleziona i dettaglianti che possono esporre il suo marchio e vende direttamente a loro (figura 1.6).

Figura 1.6 - Terzo modello

Il distributore all’ingrosso per un lungo periodo è stato funzionale allo sviluppo di distretti industriali specializzati perché, con la sua vicinanza, erogava il servizio di distribuzione della produzione alle imprese manifatturiere del distretto.

La clientela tipica dei Grossisti d’abbigliamento e di calzature è formata dai piccoli negozi tradizionali che operano nelle periferie cittadine e nei centri urbani minori. Queste ultime forme di distribuzione al dettaglio sono state progressivamente marginalizzate dallo sviluppo della Grande Distribuzione de-specializzata (Ipermercati e Supermercati) e dalle GSS (le Grandi superfici specializzate, in alcuni casi Category Killer. Queste formule sono da tempo consolidate in Lombardia.

Un numero limitato di grossisti d’abbigliamento e di calzature ha tentato di perseguire una via di sviluppo associativo. I tentativi in questa direzione, dopo una prima fase di sviluppo, sono quasi tutti falliti a causa delle caratteristiche del prodotto. La componente moda del prodotto rende infatti estremamente instabili le fonti di approvvigionamento e altrettanto difficile gestire in forma associativa il rischio di mercato. Nel prodotto di moda, il potere contrattuale è saldamente nelle mani del fornitore e non può essere limitato dallo sviluppo dell’associazionismo. Peraltro, l’associazionismo non è in grado di contribuire a migliorare l’efficacia nella formazione dell’assortimento di prodotti estremamente deperibili.

Le forme associative nei settori dell’abbigliamento e delle calzature non sono riuscite a consolidarsi.

Produttori italiano non di marca Grossista Dettagliante

Produttori italiani di marca Dettaglianti

scelti

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L’ingrosso in questi settori deve crescere dal punto di vista manageriale, organizzativo e tecnologico-informatico. Le aree d’attenzione devono fare riferimento all’innalzamento della quantità e della qualità dei servizi offerti alla distribuzione al dettaglio e ai produttori. L’ingrosso deve migliorare la qualità dell’informazione che solo in forme associate od organizzate potrebbe cedere ai produttori.

Nei sistemi dove l’ingrosso ha superato la crisi, la sua funzione si è profondamente trasformata estendendo l’offerta di servizi.

I grossisti di successo hanno commessi venditori che si recano dai clienti dettaglianti settimanalmente, offrono servizi informativi di prevendita, presentano nuovi articoli, effettuano consegne immediate e riassortiscono in tempi brevi. Inoltre, organizzano la programmazione degli ordini da parte dei clienti dettaglianti, in modo da razionalizzare le consegne. I venditori dei grossisti, che si recano presso i punti vendita al dettaglio, sono in grado di valutare le esigenze di riassortimento dei dettaglianti. I servizi appena indicati sono considerati dagli intervistati importanti fattori di successo della distribuzione all’ingrosso di abbigliamento e calzature.

Tabella 1.21 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per classi di addetti: imprese

CLASSE ADDETTI 1991 N.

IMPRESE quote %

2001 N. IMPRESE

quote %

1991 N. IMPRESE

2001 N. IMPRESE

VARIAZ. %

1-2 46,3 66,1 890 1.255 41,0 % 3-9 43,3 26,0 832 494 -40,6 % 10-19 7,0 4,9 134 94 -29,9 % 20-49 3,0 2,2 58 41 -29,3 % 50-99 0,4 0,6 7 12 71,4 % 100+ 0,1 0,2 1 4 300,0 % Tot. complessivo 100,0 100,0 1,922 1,900 -1,1 %

Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT

Tabella 1.22 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per classi di addetti: addetti

CLASSE ADDETTI 1991 ADDETTI

ALLE IMPRESE

quote %

2001 ADDETTI ALLE

IMPRESE quote %

1991 ADDETTI

ALLE IMPRESE

2001 ADDETTI

ALLE IMPRESE

VARIAZ. %

1-2 14,0 20,8 1.307 1.636 25,2 % 3-9 43,0 28,4 4.015 2.234 -44,4 %

10-19 18,7 15,8 1.750 1.241 -29,1 % 20-49 18,0 16,0 1.682 1.255 -25,4 % 50-99 5,2 9,7 482 765 58,7 % 100+ 1,1 9,3 105 732 597,1 %

Tot. complessivo 100,0 100,0 9.341 7.863 -15,8 % Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT

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Tabella 1.23 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per province: imprese

PROVINCE LOMBARDE

2001 LOMBARDIA

QUOTA N. RESIDENTI

2001 LOMBARDIA

QUOTA N. IMPRESE

1991 N. IMPRESE

quote %

2001 N. IMPRESE

quote %

1991 N. IMPRESE

2001 N. IMPRESE

VARIAZ. VARIAZ. %

VARESE 9,0 8,3 7,9 % 6,8% 152 129 23 -15,1% COMO 6,0 5,7 4,9 % 5,3% 95 101 6 6,3% SONDRIO 2,0 1,7 0,4 % 0,4% 8 7 -1 -12,5% MILANO 41,0 44,5 46,8 % 50,4% 900 957 57 6,3% BERGAMO 10,8 10,4 9,3% 9,9% 179 188 9 5,0% BRESCIA 12,3 12,4 14,9% 13,8% 287 263 -24 -8,4% PAVIA 5,5 5,0 5,0% 4,5% 96 85 -11 -11,5% CREMONA 3,7 3,2 1,7% 1,4% 33 27 -6 -18,2% MANTOVA 4,2 4,1 3,7% 4,7% 71 90 19 26,8% LECCO 3,4 3,1 3,3% 2,3% 64 44 -20 -31,3% LODI 2,2 1,8 1,9% 0,5% 37 9 -28 -75,7% TOT. LOMBARDIA

100,0 100,0 100,0 100,0 1,922 1,900 -22 -1,1%

Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT

Tabella 1.24 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per province: addetti

PROVINCE LOMBARDE

2001 LOMBARDIA

QUOTA N. RESIDENTI

2001 LOMBARDIA

QUOTA N. ADDETTI

1991 ADDETTI

ALLE IMPRESE

quote %

2001 ADDETTI

ALLE IMPRESE

quote %

1991 ADDETTI

ALLE IMPRESE

2001 ADDETTI

ALLE IMPRESE

VARIAZ. VARIAZ. %

VARESE 9,0 7,0 7.6% 6.2 706 487 -219 -31,0% COMO 6,0 4,8 5.8% 6.3 546 494 -52 -9,5% SONDRIO 2,0 1,2 0.3% 0.2 28 13 -15 -53,6% MILANO 41,0 53,8 47.8% 54.3 4.466 4.271 -195 -4,4% BERGAMO 10,8 9,8 9.6% 9.4 900 742 -158 -17,6% BRESCIA 12,3 10,6 14.4% 12.0 1.349 946 -403 -29,9% PAVIA 5,5 3,2 5.2% 4.8 483 377 -106 -21,9% CREMONA 3,7 2,3 1.3% 0.9 124 72 -52 -41,9% MANTOVA 4,2 3,3 2.9% 3.1 271 247 -24 -8,9% LECCO 3,4 2,7 3.8% 2.2 355 170 -185 -52,1% LODI 2,2 1,3 1.2% 0.6 113 44 -69 -61,1% TOT. LOMBARDIA 100,0 100,0 100.0 100.0 9.341 7.863 -1,478 -15,8%

Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT

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1.5. L’ingrosso di mobili, casalinghi e articoli per la casa in Lombardia

Caratteri strutturali e tendenze dell’ingrosso di mobili e articoli per la casa in Lombardia. Questa sezione si concentra sull’ingrosso di mobili e articoli per la casa in Lombardia, più in particolare i settori analizzati sono i seguenti: mobili, articoli di ceramica, porcellana, vetro, cristallerie, coltelleria e posateria8. L’Italia è il quinto mercato al mondo di mobili ed elementi di arredo.

Il 20% delle unità locali del Commercio all’ingrosso di mobili presenti in Italia sono ubicate in Lombardia. Nella regione si registra un incremento del numero delle unità locali nel periodo intercensuario pari al 45%, che è, tuttavia, inferiore all’incremento complessivo registrato in Italia (+ 54,5%, tab. 5.1). Il numero medio di addetti per unità locale dei grossisti di mobili è pari a 3, ed è indicativo di una dimensione media contenuta, anche se in linea con la media nazionale (pari a 2,9). Il rilevante aumento dimensionale dell’ingrosso di mobili trova una spiegazione nell’aumento della quota di importazioni di mobili dai Paesi Asiatici, ed in particolare dalla Cina9.

Tabella 1.25 – Il commercio all’ingrosso di mobili di qualsiasi materiale nelle regioni

Unità

locali 1991

Unità locali 2001

Il peso % nelle

regioni

Var. Num. %

1991/2001

Numero addetti

1991

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per

unità LOMBARDIA 554 801 20,1% 44,58% 2.558 2.423 -5,28 3,0 Piemonte 190 260 6,5% 36,84% 733 616 -15,96 2,4 Valle d’Aosta 6 4 0,1% -33,33% 39 7 -82,05 1,8 Trentino – Alto Adige

84 103 2,6% 22,62% 466 596 27,90 5,8

Veneto 370 624 15,7% 68,65% 1.293 1.900 46,95 3,0 Friuli – Venezia Giulia

124 234 5,9% 88,71% 446 770 72,65 3,3

Liguria 66 91 2,3% 37,88% 193 231 19,69 2,5 Emilia Rom. 250 321 8,1% 28,40% 971 922 -5,05 2,9 Toscana 177 273 6,9% 54,24% 573 971 69,46 3,6 Umbria 30 56 1,4% 86,67% 127 158 24,41 2,8 Marche 80 149 3,7% 86,25% 191 344 80,10 2,3 Lazio 184 287 7,2% 55,98% 817 847 3,67 3,0 Abruzzo 25 45 1,1% 80,00% 53 94 77,36 2,1 Molise 4 6 0,2% 50,00% 15 44 193,33 7,3 Campania 137 244 6,1% 78,10% 478 521 9,00 2,1 Puglia 68 129 3,2% 89,71% 259 396 52,90 3,1 Basilicata 10 15 0,4% 50,00% 27 18 -33,33 1,2 Calabria 46 60 1,5% 30,43% 121 150 23,97 2,5 Sicilia 123 200 5,0% 62,60% 378 494 30,69 2,5 Sardegna 50 81 2,0% 62,00% 193 200 3,63 2,5 Totale Italia 2.578 3.983 100 54,50% 9.931 11.702 17,83 2,9

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

8 Si farà riferimento al Commercio all’ingrosso di vetrerie e cristallerie (codice Istat: 51.44.1),

di ceramiche e porcellane (codice Istat: 51.44.2), di coltelleria, posateria e pentolame (codice Istat: 51.44.5) e carte da parati (codice Istat: 51.44.3).

9 I Grossisti importatori operano nell’ambito delle categorie dei mobili etnici, dei mobili da giardino e da esterni e in parte anche degli imbottiti.

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Al contrario del settore del mobile, il trend dell’ingrosso tradizionale di articoli per la casa è negativo. Il commercio all’ingrosso di ceramiche e porcellane in Lombardia è stato investito recentemente da una crisi. Le difficoltà sono maggiori, in particolare, per il grossista di casalinghi focalizzato sui negozi tradizionali di porcellana e liste nozze. Il Commercio all’ingrosso di coltelleria e posateria e il Commercio all’ingrosso di vetrerie e cristallerie registrano invece nel periodo intercensuario un aumento del numero delle imprese presenti nel mercato italiano. L’ingrosso di vetrerie, cristallerie, coltelleria e posateria si espande rivolgendosi prevalentemente al canale Ho.Re.Ca..

Tabella 1.26 – Il commercio all’ingrosso di ceramiche e porcellane in Lombardia e nelle

altre regioni italiane

Unità locali 1991

Unità locali 2001

Il peso % nelle

regioni

Variazione numerica

1991/2001

Numero addetti

1991

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per

unità LOMBARDIA 196 139 18,9% -29,08 1.103 734 -33,45 5,3 Piemonte 70 42 5,7% -40,00 240 159 -33,75 3,8 Valle d’Aosta 3 0 0,0% -100,00 5 0 -100,00 - Trentino – Alto Adige

21 16 2,2% -23,81 93 103 10,75 6,4

Veneto 81 56 7,6% -30,86 464 312 -32,76 5,6 Friuli – Venezia Giulia

15 9 1,2% -40,00 48 39 -18,75 4,3

Liguria 27 11 1,5% -59,26 78 68 -12,82 6,2 Emilia Romagna

99 108 14,7% 9,09 336 513 52,68 4,8

Toscana 69 60 8,2% -13,04 309 258 -16,50 4,3 Umbria 12 12 1,6% 0,00 54 30 -44,44 2,5 Marche 9 12 1,6% 33,33 16 22 37,50 1,8 Lazio 62 65 8,8% 4,84 259 350 35,14 5,4 Abruzzo 12 12 1,6% 0,00 32 20 -37,50 1,7 Molise 0 0 0,0% - 0 0 - - Campania 98 91 12,5% -7,14 318 276 -13,21 3,0 Puglia 48 29 4,0% -39,58 108 85 -21,30 2,9 Basilicata 3 1 0,1% -66,67 3 2 -33,33 2,0 Calabria 14 7 1,0% -50,00 52 14 -73,08 2,0 Sicilia 83 56 7,6% -32,53 242 183 -24,38 3,3 Sardegna 19 9 1,2% -52,63 64 11 -82,81 1,2 Totale Italia 941 735 100,0% -21,89 3.824 3.179 -16,87 4,3

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

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69

Tabella 1.27 - Commercio all’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro, carte da parati

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

Tabella 1.28 - Il commercio all’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro, carte da parati in Lombardia e nelle altre regioni italiane

Unità

locali 1991

Unità locali 2001

Variazione numerica

1991/2001

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per unità

Lombardia 59 6 -89,83 37 -81,41 6,2 Piemonte 34 0 -100,00 0 -100,00 - Valle d’Aosta 0 0 - 0 - - Trentino – Alto Ad. 10 1 -90,00 2 -97,37 2,0 Veneto 38 4 -89,47 8 -96,15 2,0 Friuli – Ven. Giulia 7 0 -100,00 0 -100,00 - Liguria 8 2 -75,00 3 -89,66 1,5 Emilia Romagna 23 3 -86,96 12 -89,38 4,0 Toscana 45 3 -93,33 5 -96,73 1,7 Umbria 4 1 -75,00 1 -88,89 1,0 Marche 13 0 -100,00 0 -100,00 - Lazio 26 0 -100,00 0 -100,00 - Abruzzo 10 0 -100,00 0 -100,00 - Molise 2 1 -50,00 3 -25,00 3,0 Campania 43 7 -83,72 18 -86,86 2,6 Puglia 28 2 -92,86 3 -96,63 1,5 Basilicata 2 0 -100,00 0 -100,00 - Calabria 5 2 -60,00 2 -80,00 1,0 Sicilia 27 1 -96,30 2 -97,22 2,0 Sardegna 3 1 -66,67 3 -50,00 3,0 Totale Italia 387 34 -91,21 99 -92,87 2,9

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

Unità locali 1991

Unità locali 2001

Il peso % nelle

regioni

Variazione numerica

1991/2001

Numero addetti

1991

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per unità

Lombardia 59 6 17,6% -89,83 199 37 -81,41 6,2 Piemonte 34 0 0,0% -100,00 80 0 -100,00 - Valle d’Aosta 0 0 0,0% - 0 0 - - Trentino – Alto Adige

10 1 2,9% -90,00 76 2 -97,37 2,0

Veneto 38 4 11,8% -89,47 208 8 -96,15 2,0 Friuli – Venezia Giulia

7 0 0,0% -100,00 14 0 -100,00 -

Liguria 8 2 5,9% -75,00 29 3 -89,66 1,5 Emilia Romagna

23 3 8,8% -86,96 113 12 -89,38 4,0

Toscana 45 3 8,8% -93,33 153 5 -96,73 1,7 Umbria 4 1 2,9% -75,00 9 1 -88,89 1,0 Marche 13 0 0,0% -100,00 52 0 -100,00 - Lazio 26 0 0,0% -100,00 114 0 -100,00 - Abruzzo 10 0 0,0% -100,00 19 0 -100,00 - Molise 2 1 2,9% -50,00 4 3 -25,00 3,0 Campania 43 7 20,6% -83,72 137 18 -86,86 2,6 Puglia 28 2 5,9% -92,86 89 3 -96,63 1,5 Basilicata 2 0 0,0% -100,00 4 0 -100,00 - Calabria 5 2 5,9% -60,00 10 2 -80,00 1,0 Sicilia 27 1 2,9% -96,30 72 2 -97,22 2,0 Sardegna 3 1 2,9% -66,67 6 3 -50,00 3,0 Totale Italia 387 34 100,0% -91,21 1.388 99 -92,87 2,9

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Tabella 1.29 - Il Commercio all’ingrosso di coltelleria e posateria in Lombardia e nelle altre regioni italiane

Unità

locali 1991

Unità locali 2001

Il peso % nelle

regioni

Variazione numerica

1991/2001

Numero addetti

1991

Numero addetti

2001

Variazione addetti

1991/2001

Numero medio

addetti per

unità LOMBARDIA 32 40 33,1% 25,00 142 182 28,17 4,6 Piemonte 9 8 6,6% -11,11 25 44 76,00 5,5 Valle d’Aosta 0 0 0,0% - 0 0 - - Trentino – Alto Adige

0 1 0,8% - 0 4 - 4,0

Veneto 16 10 8,3% -37,50 71 316 345,07 31,6 Friuli – Venezia Giulia

9 15 12,4% 66,67 39 45 15,38 3,0

Liguria 1 3 2,5% 200,00 8 7 -12,50 2,3 Emilia Romagna

8 5 4,1% -37,50 17 19 11,76 3,8

Toscana 6 8 6,6% 33,33 25 49 96,00 6,1 Umbria 1 0 0,0% -100,00 1 0 -100,00 - Marche 0 3 2,5% - 0 9 - 3,0 Lazio 8 9 7,4% 12,50 14 18 28,57 2,0 Abruzzo 0 0 0,0% - 0 0 - - Molise 2 3 2,5% 50,00 6 12 100,00 4,0 Campania 2 4 3,3% 100,00 2 9 350,00 2,3 Puglia 2 9 7,4% 350,00 4 11 175,00 1,2 Basilicata 0 0 0,0% - 0 0 - - Calabria 1 2 1,7% 100,00 1 6 500,00 3,0 Sicilia 4 1 0,8% -75,00 9 2 -77,78 2,0 Sardegna 0 0 0,0% - 0 0 - - Totale Italia 101 121 100,0% 19,80 364 733 101,37 6,1

Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)

Di seguito, abbiamo integrato i dati tratti dall’ultimo censimento ISTAT con dati Asia aggiornati al 2003.

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Tabella 1.30 - Imprese e addetti per regione, 2003

51441 – Commercio all’ingrosso di vetrerie e cristallerie

51442 – Commercio all’ingrosso di ceramiche e porcellane

51445 – Commercio all’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro, carte da parati

Imprese Addetti Imprese Addetti Addetti Imprese LOMBARDIA 84 714 111 1.013 41 230 PIEMONTE 24 162 29 117 5 16 VALLE D’AOSTA

- - - - - -

TRENTINO – ALTO ADIGE

11 40 15 96 n.d. n.d.

VENETO 64 266 57 336 11 294 FRIULI – VENEZIA GIULIA

3 16 8 34 11 33

LIGURIA 10 45 11 67 3 11 EMILIA ROMAGNA

31 194 80 356 7 23

TOSCANA 48 224 41 191 6 39 UMBRIA 7 85 10 29 - - MARCHE 5 13 9 32 4 11 LAZIO 21 63 56 282 10 30 ABRUZZO 7 16 11 19 n.d. n.d. MOLISE - - - - 3 12 CAMPANIA 79 211 92 291 7 19 PUGLIA 27 105 33 80 10 19 BASILICATA n.d. n.d. n.d. n.d. - - CALABRIA 7 24 7 14 6 9 SICILIA 38 206 59 149 3 12 SARDEGNA 5 28 10 13 n.d. n.d. TOT. ITALIA 471 2.412 639 3.119 127 758

Fonte: Asia – ISTAT

Tabella 1.31 - Imprese e addetti per classe di addetti, 2003

1 - 19 20 – 99 100 e oltre Totale Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti 51441 - Commercio all’ingrosso di vetrerie e cristallerie

451 1.632 22 782 - - 473 2.414

51442 - Commercio all’ingrosso di ceramiche e porcellane

616 1.882 21 792 3 446 640 3.120

51445 - Commercio all’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro, carte da parati

126 434 4 114 n.d. n.d. 130 548

Fonte: Asia – ISTAT

I settori del mobile e degli articoli per la casa sono stati protagonisti di un significativo processo di internazionalizzazione. Sono aumentate sia le esportazioni sia le importazioni. Le imprese italiane cercano nuovi sbocchi e la concorrenza estera di qualità e prezzo inferiore si sta inserendo nel mercato

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italiano. Anche negli anni più recenti continua il trend di aumento di importazioni di basso prezzo e parallelamente si sviluppa l’export di fascia medio alta. Continua a crescere la pressione concorrenziale dei produttori dell’Europa Orientale e del Sud-Est Asiatico. I produttori italiani si sono riposizionati verso l’alto, prevalentemente mediante la leva del design10.

Il settore della distribuzione all’ingrosso di porcellana e ceramica per uso domestico è stato condizionato da diversi fattori negativi, quali:

- la stazionarietà-contrazione dei consumi; - l’invasione di prodotti a basso costo importati dai Paesi asiatici (in

particolare dalla Cina); - la riduzione del dettaglio indipendente, che rappresentava la clientela

primaria dell’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro; - l’integrazione a valle dell’industria di marca si è integrata a valle per

controllare i dettaglianti, scavalcando l’ingrosso e avvalendosi di rappresentanti (agenti plurimandatari) per gestire le relazioni commerciali con i punti vendita al dettaglio più qualificati.

Le imprese della Grande Distribuzione si rivolgono direttamente ai produttori o a grossisti innovativi di grande dimensione specializzati nell’offerta di servizi alla grande distribuzione (quali per esempio i servizi di visual merchandising).

Nel settore dei casalinghi, i grossisti operano prevalentemente a livello regionale. I grossisti effettuano consegne settimanali o bisettimanali ai punti vendita, i quali si organizzano per gestire una scorta minima, non un vero e proprio magazzino. Solitamente il grossista opera congiuntamente sia per il mercato della distribuzione al dettaglio sia per quello della ristorazione; sono tuttavia aumentati i grossisti specializzati esclusivamente per quest’ultimo canale (Ho.Re.Ca). Alcuni grossisti commercializzano i prodotti di più fornitori mentre altri, pur essendo imprese indipendenti, sono collegati ad un solo fornitore con il quale intrattengono rapporti pressoché esclusivi condividendo anche la politica commerciale nell’ambito territoriale in cui operano.

I Gruppi Strategici e i modelli organizzativi dell’ingrosso. I produttori italiani di fascia alta si sono indirizzati verso canali di distribuzione diretti e, di conseguenza, l’importanza dei grossisti è diminuita. Le nuove logiche competitive imposte dal commercio internazionale inducono i produttori italiani a riposizionarsi verso l’alta gamma e, di conseguenza, a preferire canali brevi. La tendenza ha registrato un’accelerazione negli ultimi anni, parallelamente allo sviluppo di strategie di costruzione dell’immagine di marca.

La struttura della distribuzione al dettaglio di mobili e di articoli casalinghi in Lombardia è ancora caratterizzata, a differenza del resto d’Europa, da una quota di mercato di negozi indipendenti tradizionali superiore al 50%. Con una distribuzione al dettaglio ancora frammentata, anche se in fase di progressiva

10 Il caso di maggiore successo in proposito è Alessi, che è riuscito a diversificare nell’impiego di diversi materiali, nobilitandoli con il contributo dei più noti designer internazionali.

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modernizzazione, i grossisti specializzati hanno attualmente un ruolo economico nel razionalizzare il flusso degli ordini e delle consegne.

Il seguito del paragrafo si articola in due sezioni: la prima fa riferimento ai grossisti di mobili e la seconda a quelli di ceramica, porcellana, vetro e posate.

Il settore del Commercio all’ingrosso di mobili in Lombardia Nel settore del mobile, in particolare, l’Italia sta perdendo la posizione di leadership che deteneva a livello internazionale. Per molti anni ha primeggiato nelle esportazioni di prodotti di arredamento per la casa, superando i competitor tedeschi. Oggi è stata superata dalla Cina.

Attualmente un trend in crescita in Italia nel settore dell’arredo è l’aumento delle importazioni di mobili, di prezzo basso, dalla Cina. Nel 2006 le importazioni hanno superato il 15% (nel 1995 erano pari la 5%). L’aumento delle importazioni caratterizza anche il settore della ceramica, della porcellana e del vetro per uso domestico. La tendenza può rappresentare un’opportunità per i grossisti in grado di importare direttamente dai Paesi asiatici a basso costo.

Il numero delle imprese di distribuzione all’ingrosso di mobili, nei dieci anni che intercorrono tra i due ultimi censimenti Istat, ha raggiunto le 801 unità nel 2001, registrando un incremento del 20%. Mentre il numero di occupati nel settore in esame in Lombardia registra una contrazione del 5% nell’intervallo tra gli ultimi due censimenti (1991-2001).

Il settore del mobile italiano, a parte un numero limitato di imprese Lombarde (Cassina, Flou, Boffi, Capellini...), non è riuscito a costruire una forte immagine di marca, come è avvenuto invece, per esempio, nel sistema moda. Il sistema di offerta è ancora per lo più indifferenziato e la competizione si gioca prevalentemente sul prezzo.

Le strategie competitive seguite dai grossisti di mobili si articolano in due direzioni. La prima si concentra sulla segmentazione per tipo di clientela, la seconda sulla specializzazione per tipologia di prodotto. In particolare alcuni grossisti si focalizzano sui seguenti segmenti:

- il segmento della Grande Distribuzione; - il segmento delle comunità, hotel, alberghi, ristoranti, bar e pubblici

esercizi (Ho.Re.Ca); - il segmento dei punti vendita specializzati.

La seconda strategia fa riferimento alla specializzazione merceologica dell’assortimento, in particolare:

- la focalizzazione sui mobili per ufficio; - la focalizzazione sui mobili e le attrezzature per punti vendita al dettaglio; - l’importazione di mobili etnici da Paesi asiatici a basso costo del lavoro; - il commercio di mobili usati, di modernariato e di antiquariato.

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Modelli organizzativi in declino nel settore del commercio all’ingrosso di mobili

Grossisti tradizionali che vendono prevalentemente mobili ed articoli di arredamento per la casa. I Grossisti tradizionali di mobili sono destinati ad un progressivo declino a causa della tendenza alla disintermediazione da parte dei produttori di marca più qualificati che utilizzano agenti. Mentre, nella fascia medio bassa del mercato è la concorrenza verticale della Grande Distribuzione che tende a “scavalcare” l’ingrosso tradizionale.

La perdita di quota di mercato del commercio al dettaglio tradizionale di mobili pone ulteriormente in difficoltà i grossisti perché rappresentano la loro clientela primaria.

La mancanza di una precisa scelta di specializzazione merceologica o di segmentazione della clientela pregiudica pesantemente le prospettive di crescita di questo modello.

Grossisti con vendita al dettaglio. I Grossisti che vendono al dettaglio hanno discrete prospettive di crescita per la ricerca di risparmio da parte del cliente finale. Tuttavia, la ridotta dimensione della superficie espositiva pregiudica la ricerca di varietà che è sempre più richiesta dai consumatori, abituati all’offerta delle Grandi Superfici Specializzate. Lo sviluppo e la diffusione sul territorio di punti vendita di Bricolage, di Mercatoni (“Mercatone Uno”) e di Ikea avranno un effetto negativo sui Grossisti tradizionali di mobili con vendita al dettaglio. Riusciranno a resistere solo gli operatori ubicati lontano dal bacino d’attrazione dei punti vendita della moderna distribuzione. I modelli emergenti

I grossisti di grande dimensione focalizzati su arredi per negozi, comunità e alberghi con venditori esterni. Hanno buone prospettive di sviluppo in quanto negozi, alberghi, bar, comunità e pubblici esercizi necessitano di servizi specializzati e segmentati. Nella versione più evoluta svolgono la funzione di Contract: acquistano da produttori di mobili terzisti semilavorati che fanno assemblare e commercializzano anche con marchi propri.

Questa tipologia di grossisti assembla semilavorati prodotti da terzisti e affidano ad artigiani di piccola dimensione la fase di personalizzazione.

I grossisti tradizionali focalizzati sui mobili per ufficio. Questa tipologia di impresa commerciale manterrà le posizioni raggiunte sul mercato interno perché consente ai produttori italiani di mobili per ufficio, che non hanno le risorse per integrarsi a valle, di offrire un buon livello di servizio ai clienti. Nei prossimi anni, tuttavia, i Grossisti appartenenti a questo modello potrebbero venire penalizzati da una tendenza ad utilizzare le nuove possibilità offerte dalla rete web per razionalizzare gli acquisti (e-procurement).

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I grossisti importatori. Gli intermediari all’ingrosso, che svolgono attività di importazione diretta da Paesi asiatici a basso costo del lavoro, come Cina ed Indonesia, sono un modello organizzativo in espansione: sfruttano sia la tendenza della domanda ad orientarsi alla convenienza, sia un recente interesse dei consumatori italiani nei confronti del mobile etnico. Alcuni svolgono un’attività di doppia intermediazione e vendono ad altri grossisti; altri si sono integrati a valle e vendono anche direttamente al cliente finale privato.

Un caso interessante in proposito è OltreFrontiera che, sviluppata da un grossista, ha iniziato importando mobili etnici e grazie anche ad un videocatalogo web, si sta sviluppando sia con negozi diretti, sia in franchising.

Grossista Contract d’arredo. Il termine Contract è usato ogni volta che c’è una fornitura di arredi sotto una formula contrattuale e una fornitura di servizi collaterali, quali per esempio la progettazione degli spazi e la ricerca e il coordinamento degli altri fornitori per completare gli arredi.

Nel mercato dei contratti d’arredo si considerano le seguenti categorie: - contratti puri (chiavi in mano), dove l’azienda leader (solitamente

attraverso specifiche divisioni dedicate al contratto) fornisce al cliente il progetto completo, creato sulle esigenze dei clienti.

- la fornitura del contratto di arredo dai produttori i quali non gestiscono il progetto direttamente e generalmente offrono i prodotti del loro catalogo (fonte CSIL).

In accordo con questa definizione e basandosi sulle stime CSIL, nei 15 Paesi dell’Unione più Norvegia e Svizzera il mercato dei Contract d’arredo si stima che abbia raggiunto nel 2004 i 6,2 miliardi di euro. Il più importante segmento all’interno di questo mercato è il settore alberghi/ospitalità (che include anche residence, villaggi turistici, ecc.). La dimensione di questo segmento è consistente e in crescita, in relazione anche alla recente tendenza a porre sempre maggiore attenzione al design, alla qualità dei materiali e all’esigenza di rinnovo degli stessi nel settore dell’ospitalità. È un mercato in espansione in risposta alle esigenze di una domanda sempre più sofisticata e dei trend del turismo congressuale, del turismo culturale... Lo stock di camere complessivamente presenti nell’industria europea dell’ospitalità è di 5 milioni per un totale generale di 10 milioni di letti. La media è di circa 23 camere per albergo. I primi 300 alberghi nel mondo possono vantare 6,3 milioni di camere in 46mila strutture e, di conseguenza, il mercato dei contratti di arredo è un mercato importante con buone prospettive di crescita nel medio termine. In ordine di importanza, come mercato di sbocco, seguono agli alberghi le banche, gli uffici e gli istituti. Un ruolo di primaria importanza è anche quello ricoperto dai pezzi d’arredo.

L’attenzione data dal pubblico alle aree pubbliche di socializzazione (quelle che recentemente un antropologo ha definito “non luoghi”), non solo alberghi ma anche teatri, aeroporti, centri commerciali e uffici, è in crescita costante, le persone vogliono vivere un’esperienza attraverso lo spazio, gli arredi e i servizi.

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Inoltre, negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che il punto vendita sia un elemento fondamentale della comunicazione e della promozione. Il ruolo degli store manager è quello di incrementare le vendite aumentando il valore percepito della merce agendo su quello che è il design e l’ambientazione del punto vendita allo scopo di incoraggiare i consumatori ad acquistare.

La media di rinnovamento degli arredi dei punti vendita può cambiare con una frequenza molto variabile, per esempio, 6-8 anni per quanto riguarda i negozi di moda.

L’uso dello spazio all’interno del punto vendita deve essere ottimizzato non solo per quello che riguarda la superficie per l’esposizione della merce ma anche per permettere al cliente di vivere un’esperienza d’acquisto. Le luci, i colori e l’ambientazione devono essere capaci di raccontare storie proprie e portarle nella vita.

In definitiva vettori di qualificazione dell’offerta commerciale nel sub-settore del mobile fanno riferimento a due dimensioni. La prima concerne la scelta di segmentazione strategica e la seconda la scelta di specializzazione merceologica.

Le prospettive di sviluppo future dei grossisti di ceramica e porcellana in Lombardia. Gli operatori dei sub-settori della ceramica, porcellana, coltelleria, posateria, vetro e cristallo ritengono che il settore continuerà a registrare una contrazione del fatturato complessivo di 1-2 punti percentuali anche nei prossimi anni. Il sub-settore della porcellana è quello maggiormente in crisi negli ultimi anni, dal momento che il tasso di decremento medio delle vendite è stato superiore al 5%.

La crisi strutturale del comparto della ceramica e della porcellana evidenzia una fase negativa per tutte le tipologie di grossisti. Una consistente contrazione dei consumi riguarda tutto il sub-settore, per le ragioni che sono state esaminate ed approfondite precedentemente.

I modelli organizzativi maggiormente in difficoltà sono:

- grossista tradizionale di ceramica e porcellana con vendita al banco; - grossista di piccole dimensioni con vendita sul territorio.

Grossista tradizionale di ceramica e porcellana con vendita al banco. E’ un modello organizzativo in declino. La sua clientela è costituita principalmente da dettaglianti tradizionali con una limitata superficie di vendita e in difficoltà. La tendenza dell’industria ad integrarsi a valle per controllare più direttamente le politiche di marca e di marketing è un altro fattore di crisi.

Grossista di piccole dimensioni con vendita sul territorio. Questo modello organizzativo è in declino. Le prospettive di crescita sono pregiudicate dalla ridotta dimensione d’impresa e dalla mancanza di specializzazione e segmentazione. La vendita, infatti, è indirizzata prevalentemente ai distributori al dettaglio tradizionali, che risentono in misura sempre maggiore della concorrenza esercitata dalle Grandi Superfici di vendita Specializzate (GSS) e despecializzata (Cash & Carry, Ipermercati, Superstore e Supermercati).

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Grossisti di ceramica, porcellana e vetro con vendita al dettaglio. Rappresentano un modello organizzativo con buone probabilità di resistere sul mercato. È un modello organizzativo in posizione meno critica rispetto ai precedenti. Sono in grado di sfruttare l’attuale tendenza all’esasperata ricerca di risparmio da parte di segmenti sempre più ampi della popolazione. Hanno qualche possibilità di restare sul mercato riposizionandosi nella logica dell’outlet.

Si consideri che il sistema di franchising specializzato nei casalinghi Casanova sia messo in atto da un grossista tradizionale che operava nel settore della ceramica e porcellana. Oggi ha raggiunto la posizione di leadership nella distribuzione al dettaglio di articoli per la casa.

Infine, i modelli organizzativi emergenti che hanno buone prospettive di crescita sono tre:

- grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro di grandi dimensioni,

importatori, con venditori esterni; - grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro con vendita

prevalentemente al segmento Ho.Re.Ca; - grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro focalizzati sul

segmento della Grande Distribuzione.

I grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro di grandi dimensioni, importatori, con venditori esterni si sono trasformati in “Editori”, nel senso che hanno creato un marchio e cercano produttori in un Paese asiatico a basso costo del lavoro, prevalentemente il Cina, e utilizzano una rete di agenti plurimandatari per vendere alla clientela dei dettaglianti qualificati. In altri termini, la figura e l’attività svolta dagli intermediari all’ingrosso più qualificati di ceramica e porcellana si avvicina a quella di un produttore che gestisce in outsourcing l’attività produttiva, affidandola a terzisti esteri, e si focalizza solo sulla gestione delle attività di vendita e marketing. I grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro con vendita prevalentemente al segmento Ho.Re.Ca. Sono un modello organizzativo che sta registrando e potrebbe registrare un’ulteriore espansione nei prossimi anni. Questo modello ha discrete-buone prospettive di crescita in relazione allo sviluppo del settore della ristorazione e alberghiero. Nel comparto più elitario degli alberghi, ristoranti, bar e pubblici esercizi sta aumentando l’attenzione e l’importanza degli articoli di ceramica e porcellana. Piatti, bicchieri e posate di qualità e design, che hanno lo scopo di comunicare il posizionamento del locale e di riuscire ad attirare una clientela (turistica ed internazionale) più sofisticata, attenta ai segnali del design e più disposta a spendere nei locali di svago e intrattenimento. Alberghi, ristoranti, bar e pubblici esercizi hanno esigenze di servizi coerenti con quelli offerti dai grossisti di ceramica e porcellana focalizzati sull’Ho.Re.Ca.

I grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro focalizzati sul segmento della Grande Distribuzione. Le imprese della Grande Distribuzione despecializzata non hanno esperienza diretta di acquisto e di gestione

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dell’assortimento nel settore dei casalinghi, degli articoli di porcellana, ceramica e vetro e si avvalgono dei servizi offerti da Grossisti specializzati sulle esigenze di questo canale.

Stanno iniziando ad affermarsi anche in Italia Grossisti Rack Jobber. Il grossista si occupa direttamente di rifornire gli scaffali dei punti vendita al dettaglio a libero servizio, applica i prezzi, controlla le scorte, per evitare rotture di stock, e ritira i prodotti invenduti. La porcellana e gli articoli per la casa sono una categoria nuova e poco nota per gran parte dei responsabili acquisti delle imprese della Grande Distribuzione, che quindi preferiscono affidare ad imprese specializzate la gestione di una merceologia di cui non hanno esperienza. Il Grossista Rack Jobber nei casi più evoluti, mutuati dall’esperienza nord americana, fattura i prodotti solo dopo il sell out e non al momento del sell in; quindi conserva il titolo di proprietà dei prodotti fino a quando rimangono nel punto vendita.

1.6. Grossisti di materiali da costruzione per la casa

Il mercato dell’edilizia. Il settore delle costruzioni è uno dei più importanti nell’economia italiana; gli investimenti in costruzioni ammontano infatti all’8-9 % del Pil. La filiera dell’edilizia è piuttosto complessa ed articolata, come si desume dalla figura 1.7.

Figura 1.7 – La filiera dell’edilizia

PRODUTTORI PRODOTTI

PER EDILIZIA

RIVENDITE CLIENTI FINALI

PROGETTISTI

IMPRESE DI COSTRUZIONI

Artigianiposatori

Artigianiposatori

Reti di vendita Agenti-

venditori

Fiere

Mezzi di comunicazione di massa

IMMOBILIARISTI

Mezzi di comunicazione

specializzati

Il settore in esame si articola nei seguenti comparti principali:

1. il comparto delle piastrelle; 2. il comparto del cemento; 3. il comparto del riscaldamento e condizionamento.

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L’evoluzione del numero degli operatori in Lombardia. La regione italiana che ospita il maggiore numero di grossisti di materiali da costruzione è la Lombardia, seguita da Veneto, Emilia Romagna e Toscana.

In tutti i sub-settori considerati la Lombardia è la regione con il maggiore numero di imprese di distribuzione all’ingrosso (tab. 1.32, 1.33, 1.34)

Tabella 1.32 - Distribuzione territoriale delle imprese distributive all’ingrosso di

legname,semilavorati in legno e legno artificiale (codice Istat 51.53.1)

Imprese Addetti Regioni

Numero 1996

Numero 2001

Var. % 2001-1996

Numero 1996

Numero 2001

Var. % 2001-1996

LOMBARDIA 469 514 9,59% 2048 2092 2,15% LAZIO 168 210 25,00% 636 635 -0,16%

CAMPANIA 201 256 27,36% 667 643 -3,60%

VENETO 311 397 27,65% 1287 1379 7,15%

PIEMONTE 267 286 7,12% 975 971 -0,41%

EMILIA

ROMAGNA

179 187 4,47% 851 773 -9,17%

TOSCANA 145 192 32,41% 734 740 0,82%

PUGLIA 109 137 25,69% 313 386 23,32%

SICILIA 127 130 2,36% 473 529 11,84%

LIGURIA 44 49 11,36% 238 231 -2,94%

CALABRIA 37 52 40,54% 85 98 15,29%

ABRUZZO 36 39 8,33% 123 95 -22,76%

MARCHE 79 90 13,92% 308 305 -0,97%

FRIULI

VENEZIA

GIULIA

126 158 25,40% 420 436 3,81%

SARDEGNA 25 32 28,00% 145 161 11,03%

UMBRIA 27 32 18,52% 124 109 -12,10%

TRENTINO

ALTO ADIGE

69 105 52,17% 351 409 16,52%

BASILICATA 12 12 0,00% 35 54 54,29%

MOLISE 5 0 -100,00% 17 0 -100,00%

VALLE

D’AOSTA

8 0 -100,00% 17 0 -100,00%

TOTALE 2444 2878 17,76% 9847 10046 2,02%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001

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Tabella 1.33 - Distribuzione territoriale delle imprese distributive all’ingrosso di materiali da costruzione 51.53.2

Imprese Addetti Regioni

Numero 1996

Numero 2001

Var. % 2001-1996

Numero 1996

Numero 2001

Var. % 2001-1996

LOMBARDIA 1137 1479 30,08% 5703 7101 24,51% LAZIO 506 665 31,42% 2262 2514 11,14%

CAMPANIA 717 906 26,36% 2582 3143 21,73%

VENETO 690 960 39,13% 3409 4783 40,31%

PIEMONTE 519 618 19,08% 2833 3091 9,11%

EMILIA

ROMAGNA

713 889 24,68% 3761 4315 14,73%

TOSCANA 901 1168 29,63% 3509 4411 25,71%

PUGLIA 370 488 31,89% 1302 1698 30,41%

SICILIA 520 637 22,50% 1643 1911 16,31%

LIGURIA 203 241 18,72% 1134 1122 -1,06%

CALABRIA 143 234 63,64% 574 796 38,68%

ABRUZZO 133 159 19,55% 795 797 0,25%

MARCHE 165 208 26,06% 887 1151 29,76%

FRIULI

VENEZIA

GIULIA

121 149 23,14% 806 934 15,88%

SARDEGNA 135 165 22,22% 696 680 -2,30%

UMBRIA 82 111 35,37% 443 527 18,96%

TRENTINO

ALTO ADIGE

180 251 39,44% 1324 1777 34,21%

BASILICATA 80 99 23,75% 292 390 33,56%

MOLISE 38 43 13,16% 187 179 -4,28%

VALLE

D’AOSTA

19 22 15,79% 116 94 -18,97%

TOTALE 7372 9492 28,76% 34258 41414 20,89%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001

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Tabella 1.34 - Distribuzione territoriale delle imprese distributive all’ingrosso despecializzato di legname e di materiali da costruzione 51.53.5

Imprese Addetti Regioni

Numero 1996

Numero 2001

Var. % 2001-1996

Numero 1996

Numero 2001

Var. % 2001-1996

LOMBARDIA 124 124 0,00% 429 367 -14,45%

LAZIO 49 44 -10,20% 117 88 -24,79%

CAMPANIA 70 92 31,43% 171 168 -1,75%

VENETO 64 74 15,63% 220 215 -2,27%

PIEMONTE 44 69 56,82% 125 172 37,60%

EMILIA

ROMAGNA

64 98 53,13% 300 357 19,00%

TOSCANA 29 61 110,34% 95 214 125,26%

PUGLIA 42 58 38,10% 93 153 64,52%

SICILIA 37 45 21,62% 70 99 41,43%

LIGURIA 13 14 7,69% 50 41 -18,00%

CALABRIA 19 15 -21,05% 55 43 -21,82%

ABRUZZO 15 19 26,67% 29 62 113,79%

MARCHE 19 29 52,63% 56 93 66,07%

FRIULI

VENEZIAGIULIA

9 18 100,00% 28 65 132,14%

SARDEGNA 13 20 53,85% 32 57 78,13%

UMBRIA 7 16 128,57% 11 36 227,27%

TRENTINO

ALTO ADIGE

6 19 216,67% 18 87 383,33%

BASILICATA 1 n.d. n.d. 1 n.d. n.d.

MOLISE 5 9 80,00% 16 17 6,25%

VALLE

D’AOSTA

1 n.d. n.d. 2 n.d. n.d.

TOTALE 631 824 30,59% 1918 2334 21,69%

Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001

La polverizzazione della distribuzione di prodotti per l’edilizia trova una spiegazione economica nella frammentazione dei settori a valle, in particolare in quello delle imprese di costruzioni e dell’artigianato edile. Nel 1996 sono state censite dall’Istat 440.000 imprese di costruzione, con un numero medio di addetti per impresa pari a 3,1. Le ragioni della polverizzazione delle imprese edili sono strutturali; la frammentazione si è peraltro ulteriormente accentuata dopo la crisi che ha investito l’edilizia dal 1992. Numerose imprese medie di costruzioni in difficoltà si sono frammentate in micro-imprese dedite a interventi di recupero edilizio (di ristrutturazione), direttamente e/o in qualità di terziste (subappalto).

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In definitiva, le ragioni di fondo della polverizzazione della distribuzione di prodotti per edilizia possono essere ricercate nei seguenti fattori:

1. l’aumento delle richieste di servizio da parte delle imprese di costruzioni,

esigenza correlata al sottodimensionamento strutturale del comparto; 2. la limitata convenienza da parte dei fornitori di prodotti per l’edilizia ad

integrarsi a valle “scavalcando” il distributore; 3. la conoscenza del mercato locale da parte dei grossisti.

I canali dell’ingrosso dei materiali da costruzione per la casa si articolano in diversi comparti:

- il canale dei materiali strutturali per l’edilizia; - il canale idrotermosanitario; - il canale delle ceramiche e dei materiali di finitura; - il canale della ferramenta.

Il canale dei grossisti specializzati in materiali strutturali per edilizia che si caratterizza per una forte focalizzazione sulle ristrutturazioni.

Il canale dei grossisti specializzati nella distribuzione di articoli idrotermosanitari è da sempre maggiormente orientato agli installatori. In questo comparto la crescita di importanza della distribuzione ha posto il grossista nella condizione di dover interpretare le esigenze di consumo in termini di assortimento e offerta di servizi pre e post vendita.

Il canale dei grossisti di ceramiche e materiali di finitura si caratterizza per lo sviluppo di show room in grado di valorizzare sia la componente estetica di design sia il contenuto tecnico dei prodotti; questi grossisti si rivolgono sia all’imprese di installazione sia ai clienti finali.

Il canale delle ceramiche presenta, a sua volta, due tipologie: la prima è quella dei grossisti specializzati di alta gamma con forte contenuto di servizio, spesso con progettazione e fornitura “chiavi in mano”; la seconda è quella dei grossisti con livelli di servizio variabile e con un’ampia scelta di prodotti anche di diversa fascia prezzo, per soddisfare diversi segmenti di clientela.

Il settore della ferramenta è presente nei magazzini dei grossisti di materiali per edilizia come una fornitura complementare, rimanendo di competenza delle strutture specializzate.

La struttura dei canali distributivi. Dal dopoguerra fino agli anni Settanta i canali di distribuzione dei materiali strutturali per il settore delle costruzioni, quelli dei materiali di finitura e gli articoli idrotermosanitari, hanno costituito tre sistemi paralleli e autonomi. Il primo (quello focalizzato sui materiali strutturali) s’indirizzava prevalentemente alle piccole e medie imprese edili e agli artigiani. Il secondo (quello dei materiali di finitura) si rivolgeva agli artigiani posatori. Il terzo (quello degli idro-termo-sanitari) si orientava prevalentemente alle piccole imprese del settore idraulico. Le imprese appartenenti ai tre canali di distribuzione

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non erano di fatto in concorrenza tra loro e le aree di sovrapposizione dei rispettivi assortimenti erano limitate.

Figura 1.8 - I canali di distribuzione dei prodotti per l’edilizia negli anni ’70 e ‘80

Piccola impresa edile Artigiano/Posatore Idraulico

A partire dal 1990 tre fattori di cambiamento hanno avuto implicazioni significative sul settore in esame:

1. il primo può essere individuato nella crisi dell’attività costruttiva in

Italia (dal 1991 al 1996). 2. Il secondo concerne l’accelerazione delle politiche industriali di

innovazione di prodotto. In un settore che si riteneva maturo si sono recentemente moltiplicate le applicazioni e gli apporti da altri settori (chimico, meccanico, elettrico, informatico). Ciò ha notevolmente contribuito all’aumento del lancio di nuovi prodotti e alla crescita delle referenze offerte. L’innovazione di prodotto sposta la concorrenza da logiche di prezzo a politiche di servizio.

3. Il terzo consiste nella perdita di rilievo dell’attività edilizia relativa alla nuova costruzione ed al trend di crescita del recupero edilizio, che comporta l’affermazione di un nuovo protagonista: il cliente finale privato.

La domanda diventa più esigente e sofisticata (soprattutto per quanto attiene ai prodotti di finitura) per fattori legati alla crescita del reddito, della cultura ecc..

Il grossista di idrotermosanitari

Il grossista di materiali

strutturali

Il grossista di materiali di finitura

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Figura 1.9 - I nuovi fattori competitivi INNOVAZIONE E LANCIO DI NUOVI PRODOTTI

CLIENTELA PIU’ ESIGENTE IN TERMINI DI VARIETA’

e cresce il numero delle referenze in assortimentoAumenta il numero dei nuovi prodotti

Aumenta la dimensione critica delle rivendita

NUOVI SEGMENTI DI CLIENTELA

La rivendita inizia ad offrire nuovi servizi anche tecnologici

(Si riduce il ruolo delle imprese di costruzioni e aumentano i privati e gli artigiani.)

Negli ultimi quindi anni ha assunto sempre maggiore importanza il recupero edilizio e il cliente privato è diventato il nuovo protagonista del mercato. Nella filiera, il ruolo delle imprese di costruzioni è diminuito di importanza. La clientela diventa più esigente e attenta alla dimensione estetica e alla varietà dell’offerta. Nei grossisti di materiali da costruzione per la casa si afferma di conseguenza una tendenza alla plurispecializzazione. Aumenta il numero dei nuovi prodotti e cresce il numero delle referenze in assortimento. Una parte del magazzino diventa show-room. I distributori all’ingrosso si strutturano per riuscire sia ad offrire un numero maggiori di articoli in assortimento, sia per aumentare i servizi pre e post vendita.

Nell’ambito delle attività svolte dal distributore all’ingrosso aumenta l’importanza dei servizi di assistenza tecnica. Gli addetti alla vendita del grossista devono assumere competenze consulenziali. Ciò comporta un aumento della superficie di vendita e della formazione per consentire specializzazione e qualificazione del personale di vendita.

Le nuove logiche competitive stanno ponendo in crisi i distributori di minori dimensioni, che non sono in grado di offrire prodotti innovativi e in parallelo servizi di pre-vendita adeguati.

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Figura 1.10- Fattori di razionalizzazione e crescita dell’ingrosso di prodotti per edilizia

La concorrenza mette in competizione i sistemi verticali di marketing per servire il cliente privato, che è il nuovo protagonista del mercato nel settore dei prodotti per edilizia. Si viene così a creare un’area di sovrapposizione tra i tre canali distributivi (quello dei materiali strutturali, quello dei materiali di finitura e i materiali idrotemosanitari).

Figura 1.11 - I canali dei prodotti per l’edilizia

IDRO-TERMO-SANITARI

MATERIALI STRUTTURALI

SALA MOSTRA

MATERIALI DI FINITURA

La concorrenza è anche tra canali distributivi e tra sistemi verticali di marketing per servire il cliente privato, che è il

nuovo protagonista del mercato.

Nuove alleanze verticali creano concorrenza orizzontale tra sistemi verticali di marketing

L’indagine svolta mediante interviste individuali ha confermato che i grossisti di maggiori dimensioni (superiore ai 5000 mq), unitamente a quelli con più di un magazzino, hanno migliori performance e maggiori prospettive di crescita rispetto a quelle con un’unica unità di vendita.

Il grossista si plurispecializza

Aumenta la dimensione

E’ necessario aumentare il numero dei dipendenti per consentire

Sposta la concorrenza dal prezzo al servizio

Aumentano le difficoltà di selezionare nuovi

L’INNOVAZIONE DI PRODOTTO

E’ necessaria la collaborazione da parte dei fornitori per la

Aumentano le competenze richieste e la specializzazione del

Il personale deve svolgere attività di

l

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Figura 1.12 - Modelli di business

In Lombardia si riscontra una percentuale ancora dominante di distributori indipendenti; una percentuale decisamente inferiore, ma in crescita, di distributori associati e, una quota ancora più esigua (in termini numerici, ma con una rilevante crescita della quota di mercato) di imprese commerciali che si sviluppano acquisendo o costituendo magazzini di proprietà.

Nell’ambito dello sviluppo mediante nuove aperture o acquisizione si hanno due differenti modalità di crescita. Il primo modello prevede un’elevata standardizzazione delle soluzioni gestionali adottate, che vengono replicate con piccolissimi adattamenti.

Nel secondo modello di sviluppo, l’impresa di distribuzione “succursalista”, pur avendo la proprietà di diversi punti vendita, gestisce ogni singolo magazzino con elevata autonomia. In altri termini, ogni magazzino si caratterizza per un profondo adattamento alla realtà locale. Questa soluzione privilegia una modalità di sviluppo segmentata. Le imprese di questo tipo, nel caso di acquisizioni di altri distributori, non cercano di standardizzare le soluzioni gestionali ma privilegiano l’adattamento dell’assortimento, dei servizi e della formula complessiva alla clientela locale, al contesto competitivo e alle risorse a disposizione.

Il modello di sviluppo segmentato trova attuazione prevalentemente mediante l’acquisizione di grossisti e prevede un adattamento della formula (il mix dei prodotti e servizi offerti) alla realtà locale. Un esempio significativo in quest’ambito è il Centro Edile di Dario Limonta che opera in provincia di Milano.

La Lombardia ha manifestato, prima di altre regioni d’Italia, una tendenza alla modernizzazione dell’ingrosso di materiali per le costruzioni. Lo sviluppo si caratterizza sia l’acquisizione che per l’associazionismo (costituzione di Gruppi d’acquisto). In Lombardia, un caso particolarmente significativo è il Centro Edile Limonta e, in Provincia di Como, Alpe di Colombo con sede a Mariano Comense. I gruppi associativi attivi in Lombardia sono, invece, MADE e SINED (a Brescia, Mantova).

In Lombardia tuttavia, nonostante la concentrazione tramite acquisizioni e associazionismo siano in corso già da alcuni anni, il processo di modernizzazione ha preso avvio con ritardo rispetto al Veneto e al Friuli.

Il grossista tradizionale. Il “magazzino a piazzale”. I grossisti tradizionali sono nati spesso come estensione delle attività di produzione di manufatti in cemento o magazzino per l’acquisto dell’impresa di costruzioni o di posa in opera. Si tratta di grossisti di materiali dell’edilizia pesante, ma è presente la ferramenta come elemento complementare alla vendita. Lo spazio destinato all’incontro con il cliente è limitato, mentre prevalgono aspetti legati alla funzionalità nella movimentazione nei piazzali per il carico e lo scarico delle merci.

TIPOLOGIE DI INGROSSO

Grossista generalista

Grossista specializzato

Grossista plurispecializzato

STRATEGIE DI SVILUPPO indipendente associato Con magazzini di

proprietà

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L’ingrosso di materiali da costruzione per la casa tradizionale, è la tipologia con le maggiori difficoltà di sviluppo e presenta le seguenti caratteristiche:

- ha una superficie inferiore ai 2000 mq. complessivi; - opera con un unico magazzino; - offre un assortimento di prodotti prevalentemente tradizionali; - ha una scarsa propensione ad inserire prodotti innovativi in assortimento; - non dispone di uno spazio adeguato all’accoglienza del cliente; - non ha una sala mostra (adatta alla presentazione e valorizzazione dei

materiali di finitura); - non è strutturata con servizi adeguati alle esigenze del cliente privato (non

professionale).

Nelle politiche di acquisto dei grossisti tradizionali privilegiano la convenienza di prezzo in fattura e i prodotti classici. In altri termini, si caratterizzano per scelte imprenditoriali improntate ad un’eccessiva prudenza rispetto ai processi di innovazione produttiva che stanno caratterizzando il settore.

Nell’ambito delle politiche di vendita, il distributore tradizionale di materiali edili privilegia il segmento delle micro-imprese di costruzione meno aperte alle proposte di carattere innovativo. Le politiche commerciali seguono un approccio passivo, non si utilizzano venditori esterni, ma il grossista aspettano che il cliente si rivolga direttamente al magazzino di materiali da costruzione per la casa.

I servizi di consulenza di prevendita sono offerti in misura limitata in quanto non si invia il personale alle iniziative di formazione dei produttori. Trattandosi di micro-imprese con un numero di dipendenti limitato, l’invio di alcuni collaboratori alle iniziative di formazione attuate dai produttori, pregiudica il normale funzionamento dell’ingrosso di materiali da costruzione per la casa. Gli investimenti in formazione del personale sono quindi limitati.

La percentuale delle vendite cosiddette “da banco”, ossia effettuate all’interno del punto vendita, risulta essere in media fra l’85% e il 90% delle vendite totali. Ciò sottolinea la scarsa propensione dei distributori di prodotti per l’edilizia a porre in atto politiche commerciali attive per la ricerca di nuovi clienti e mercati.

I grossisti utilizzano tecniche di vendite tradizionali: il venditore “attende” il cliente presso il proprio punto vendita e ciò determina un aumento dei costi fissi. Rispetto ai concorrenti, l’imprenditore commerciale tradizionale del settore dei prodotti per edilizia è propenso a forme di collusione tacita con gli altri operatori. Nessuno dei piccoli distributori ha interesse a dimostrarsi aggressivo nelle politiche commerciali sia in termini di prezzo, sia tentando di espandere il bacino d’utenza delle proprie attività. L’impiego di tecniche di vendite dirette (marketing telefonico, direct marketing,… anche solo per promuovere nuovi prodotti) è decisamente limitato. Inoltre, i grossisti edili tradizionali non dispongono di una superficie di vendita adeguata all’accoglienza del cliente. In genere non hanno una sala mostra per proporre i prodotti a maggiore valore aggiunto e non offrono servizi focalizzati sul cliente privato. Non investono in comunicazione e attribuiscono scarsa importanza all’immagine dell’impresa. Nella maggiore parte dei casi, l’imprenditore commerciale edile tradizionale non è interessato ad

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entrare in una struttura associativa (Gruppo d’acquisto o Consorzio), è un forte individualista, ha difficoltà di delega anche all’interno dei famigliari ; nelle decisioni privilegia una prospettiva di profitto a breve termine.

Sovente, l’imprenditore è vicino alla pensione ; ciò che da un lato solleva il problema del ricambio generazionale e, dall’altro, rappresenta un’opportunità di rinnovamento del settore attraverso il pensionamento degli operatori marginali.

Il vantaggio competitivo tipico dei grossisti tradizionali è rappresentato dalla localizzazione del magazzino. In particolare, nelle province più densamente popolate, le imprese commerciali di prodotti per edilizia che hanno effettuato scelte ubicative negli anni cinquanta, sessanta, settanta, godono ora di un vantaggio competitivo difficilmente attaccabile. Si consideri in proposito alcune province della Lombardia, come per esempio Como, dove è quasi impossibile trovare nuovi spazi adeguati alle esigenze di un grossista. Una parte rilevante dei distributori tradizionali hanno un’ubicazione che consente loro di ovviare anche ad errori gestionali. I grossisti minori presentano però una produttività inferiore (fatturato per addetto e fatturato per metro quadrato) e risultati economici inferiori alla media del settore.

Il grossista specializzato. I grossisti specializzati sono operatori che hanno scelto di concentrare l’attività nella vendita o nel noleggio di macchinari, nella vendita di piastrelle e arredo bagno, nelle finiture in legno, etc. Di solito non si specializzano in un’unica categoria di prodotti e nella maggior parte dei casi si sviluppano diventando grossisti pluri-specializzati.

Un numero crescente di operatori sta tentando di trovare nuove aree di specializzazione, in particolare una maggiore specializzazione dell’assortimento verso prodotti più qualificati e innovativi. In altri termini, i grossisti edili con le migliori performance si sono orientati verso la specializzazione merceologica con prodotti innovativi, tecnologicamente avanzati e quindi più remunerativi. Alcuni imprenditori stanno puntando allo sviluppo di sinergie tra rivendite territorialmente vicine per quanto riguarda la gestione dei materiali a bassa rotazione

La seconda tipologia di imprese di distribuzione dei materiali da costruzione per la casa si caratterizza per una superficie media superiore a quella precedente, per l’offerta di un assortimento specializzato in alcune categorie (per esempio l’isolamento, l’impermeabilizzazione, il bricolage…) e, per l’aggiunta ai servizi di base di nuovi servizi (per esempio la posa dei prodotti o il noleggio di attrezzature). Questo è un percorso complesso perché una specializzazione veramente efficace dovrebbe trovare attuazione sinergica con una parallela strategia di segmentazione. Si tratta quindi di focalizzare il mix di prodotti e servizi offerti in sintonia con il segmento di clientela rilevante.

E’ appena il caso di sottolineare come le scelte relative all’assortimento siano fortemente condizionate dalle scelte ubicative. Per esempio, la maggiore parte dei grossisti collocati all’interno dei grandi centri urbani o nelle immediate prossimità si stanno focalizzando sul cliente privato e sull’attività di ristrutturazione edile. Questa scelta comporta la creazione di una sala mostra adeguata e dedicata ai materiali di finitura. La vendita dei materiali di finitura (piastrelle ed altri

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materiali per pavimento, l’arredo-bagno) richiede una “sala mostra” con una adeguata attenzione all’ambientazione, al personale dedicato e alla selezione di artigiani posatori “partner”. In genere, i grossisti ubicati nei centri urbani minori si indirizzano maggiormente verso l’offerta di materiali strutturali adatti alle nuove costruzioni.

Le modalità di specializzazione sono tuttavia eterogenee: alcuni distributori particolarmente innovativi, per esempio, si sono specializzati sui prodotti di “Bio-edilizia”. Altri offrono servizi, come il noleggio dei macchinari.

Il grossista plurispecializzato. I grossisti plurispecializzati si caratterizzano per la presenza di più aree business, che vanno dai materiali per edilizia alle ceramiche e arredobagno, dall’idrotermosanitario alla ferramenta. Negli ingrossi plurispecializzati le aree espositive sono diversificate. Sono presenti: il magazzino coperto e scoperto per i materiali dell’edilizia, la show-room per le ceramiche e l’arredo bagno e l’esposizione per le ferramenta. Nel caso delle ferramenta si nota la diffusione del modello di vendita a libero servizio volto a premiare la velocità di acquisto. Nel mercato italiano si possono rilevare un numero limitato di grossisti diversificati che operano in un numero elevato di comparti merceologici (dal Bricolage, alla sala mostra per piastrelle, arredobagno e materiali di finitura al Garden Center) con attività che vanno dal noleggio alla vendita di macchinari11.I casi di maggiore successo si caratterizzano per il tentativo di percorrere parallelamente differenti vettori di specializzazione (la pluri-specializzazzione). Inoltre, un numero crescente di distributori vede nell’orientamento verso la clientela privata un modo per recuperare redditività e per gestire secondo modalità innovative la loro attività. Sovente nell’intraprendere questa strategia, tuttavia, non sono correttamente prese in considerazione le esigenze specifiche del cliente privato in termini di servizi informativi, modalità di relazione del venditore, orari di apertura, ecc… Il servizio è uno dei fattori critici di successo e la sua importanza nel sistema competitivo dei prodotti per l’edilizia aumenterà ulteriormente nei prossimi anni. Il distributore offre quindi sempre più spesso un pacchetto di servizi differenziati, in particolare l’assistenza tecnica, la consulenza per la posa in opera, il completamento della gamma offerta. In numero minore rispetto alle categorie appena indicate, si riscontrano anche grossisti che si possono definire diversificati. Questi ultimi operano in settori diversi, per esempio, anche nel settore immobiliare.

11 Un esempio in Lombardia di grossista di prodotti per edilizia diversificata può essere

rappresentato da Buscaglia a Pavia.

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Figura 1.13 - Le nuove aree di attività del grossista specializzato

• Isolamento • Impermeabilizzazione • Serramenti • Legno • Ferro • Cemento • Bioedilizia • Piasterlle • Posa • Brico

Quest’ultima tipologia di ingrosso di prodotti per l’edilizia rappresenta la categoria più evoluta con le migliori performance e prospettive di crescita. Si sviluppa con più unità e centralizza alcune attività per realizzare economie dimensionali. Offre la gamma più completa di articoli in ampiezza e profondità ed efficienti servizi logistici. I grossisti di materiali da costruzione per la casa pluri-specializzati si caratterizzano per l’offerta dei seguenti servizi:

- la sala mostra, adeguata ad accogliere il cliente privato e a valorizzare i

materiali di finitura; - la posa in opera con artigiani referenziati; - alcuni reparti a libero servizio; - il noleggio di macchinari; - il settore della termo-idraulica.

I fattori di successo dei grossisti di materiali da costruzione per la casa pluri-specializzati sono i seguenti:

- personale competente, formato e fedele; - relazioni stabili e continuative con i fornitori; - sistema informatico (collegato in rete con tutti i magazzini); - grande attenzione al cliente; - grande attenzione alle risorse umane; - una rete di venditori esterni tecnico-commerciali.

L’offerta di una vasta gamma di servizi di assistenza tecnica, di consulenza, è un fattore di successo. Cresce l’ importanza dei servizi che richiedono un elevato livello di specializzazione e di competenza tecnica. Emerge, inoltre, una forte esigenza di crescita professionale, di informazione e di richiesta di formazione da parte da parte dei clienti, le imprese di costruzione. Servizi sempre più evoluti, tra cui anche l’assistenza sull’uso del prodotto in cantiere e la possibilità di scambiarsi informazioni telefoniche e on line.

SERVIZI DI BASE

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1.7. L’associazionismo tra grossisti

Le strategie di sviluppo associativo tra imprese all’ingrosso in Lombardia. Per quanto attiene alle possibili misure di intervento regionale a sostegno del settore, una direzione di sviluppo strategico che andrebbe opportunamente incentivata concerne le aggregazioni tra grossisti che si possono configurare come Gruppi d’acquisto o come Unioni Volontarie. La razionalizzazione e la modernizzazione dell’apparato distributivo può essere stimolata per via endogena mediante la strategia di sviluppo associativo.

I distributori all’ingrosso di minori dimensioni presentano in genere produttività (fatturato per addetto, fatturato per metro quadrato e tasso di rotazione) e risultati economici inferiori alla media del settore. L’associazionismo rappresenta un importante vettore endogeno di modernizzazione del commercio all’ingrosso che merita un adeguato approfondimento.

In Lombardia si riscontra ancora una percentuale dominante di distributori grossisti indipendenti di piccole dimensioni e una quota inferiore, ma in crescita, di distributori associati unitamente ad una ancora più esigua presenza numerica di imprese commerciali che si sviluppano mediante acquisizioni.

Quali fattori, fino ad oggi, hanno ostacolato lo sviluppo associativo e quindi la modernizzazione endogena del settore della distribuzione all’ingrosso in Lombardia? Un primo ostacolo tipico allo sviluppo associativo è il “mito” imprenditoriale dell’indipendenza e dell’autonomia decisionale. Gran parte degli imprenditori commerciali indipendenti attribuiscono troppa importanza ai vantaggi della piccola dimensione d’impresa. È noto che la flessibilità, la conoscenza del mercato locale, l’elevata capacità d’adattamento offrono ed offriranno ancora vantaggi competitivi alle imprese commerciali all’ingrosso indipendenti. Tuttavia, il continuo aumento dei nuovi prodotti, le esigenze di servizi sempre più sofisticati e le nuove tecnologie conferiscono vantaggi di scala e richiedono una massa critica maggiore.

In altri termini, una delle ragioni di fondo del ritardo dell’associazionismo in Lombardia (e più in generale nel Nord Italia) è imputabile alla mentalità imprenditoriale ispirata ad un elevato individualismo ed opportunismo di breve termine. Il timore di perdere autonomia decisionale è particolarmente accentuato negli imprenditori commerciali più anziani. Tuttora l’imprenditore commerciale tradizionale non entra in una struttura associativa (un Gruppo d’acquisto, un Consorzio, Unione Volontaria) perché è un forte individualista, ha difficoltà di delega e privilegia una prospettiva a breve termine. Ai fattori appena indicati si sovrappongono tutti i problemi tipici delle imprese familiari, in cui gli elementi di gestione economica-manageriale si intrecciano e si sovrappongono con il sistema delle relazioni tra i diversi parenti. Nelle piccole imprese commerciali familiari, che sono assai diffuse, inoltre, è più difficile trovare un accordo tra i diversi componenti per aderire ad una struttura associativa. In questo caso le complesse interrelazioni tra le diverse dimensioni: affettiva, imprenditoriale e gestionale amplificano i problemi di crescita.

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Molto spesso un distributore all’ingrosso indipendente fonda il suo vantaggio competitivo su una valida localizzazione. Spesso, i vantaggi derivanti dall’ubicazione sono superiori agli svantaggi dimensionali. Si consideri in proposito come in alcune province del nord della Lombardia (la provincia di Como per esempio) sia oggi molto difficile trovare spazi adeguati ad una nuova iniziativa di distribuzione all’ingrosso. Tuttavia, nonostante gli ostacoli prima evidenziati, si riscontra un numero sempre maggiore di tentativi di sviluppo di strutture associative, anche a livello provinciale. In Lombardia e nelle altre regioni del Nord è possibile osservare una presenza di Gruppi e di strutture associative superiore alle altre regioni d’Italia; in particolare, da alcuni anni, si stanno sviluppando gruppi d’acquisto a livello locale.

I distributori all’ingrosso che entrando in Gruppi d’acquisto o in Consorzi riescono ad aumentare il loro potere contrattuale nei confronti dei fornitori, ma perdono una parte della propria autonomia decisionale, per attenersi a strategie e soluzioni gestionali ed organizzative comuni. I distributori associati, inoltre, possono sviluppare iniziative di marketing, che autonomamente non sarebbero in grado di realizzare.

Conviene ricordare che il Gruppo d’acquisto rappresenta un’associazione tra soli grossisti, mentre le Unioni volontarie sono forme d’integrazione a valle dell’ingrosso nella fase del dettaglio. In Lombardia la diffusione di Unioni volontarie è limitata quasi esclusivamente al settore alimentare e al settore degli elettrodomestici. In quest’ambito gli operatori stanno sviluppando anche reti di punti vendita in franchising. Per questo motivo l’analisi si concentrerà sui Gruppi d’acquisto.

Le fasi critiche dello sviluppo associativo tra grossisti. Quali sono le fasi più importanti nello sviluppo di strutture associative tra grossisti? Quali fattori critici si possono desumere dalla più recente esperienza associativa in Lombardia?

Di solito è l’aumento della pressione competitiva che induce i commercianti all’ingrosso indipendenti a considerare la possibilità di partecipare a soluzioni associative. In altri termini, è il timore di dovere subire una maggiore pressione competitiva a seguito dell’espansione di imprese commerciali concorrenti a far scattare l’impulso associativo.

Le aggregazioni commerciali presentano generalmente una dinamica evolutiva che prevede una prima fase associativa non selettiva, successivamente, il Gruppo d’acquisto inizia un processo di selezione degli associati. Nella seconda fase successiva allo star up del Gruppo, le imprese con un profilo dimensionale e gestionale incoerente di solito escono dalla struttura associativa. L’eterogeneità degli associati, infatti, frena lo sviluppo e comporta maggiori costi gestionali. La riduzione numerica degli associati procede parallelamente allo sviluppo del fatturato complessivo del Gruppo.

Proviamo a chiarire quali sono i vantaggi e i limiti del Consorzio. Il Consorzio può rappresentare una soluzione interessante, in particolare nella fase d’avviamento di un gruppo d’acquisto, soprattutto in presenza d’eterogeneità dimensionale dei soci. Nel Consorzio il potere di voto non è vincolato alla dimensione di fatturato del socio. Il Consorzio può essere funzionale ad un

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modello di sviluppo su base locale: i soci operano nella medesima area, l’assortimento di prodotti richiesti è omogeneo e tra soci è facile riunirsi e comunicare.

Il Consorzio sostiene un modello di crescita per “piccoli passi”. La gradualità permette di consolidare il senso d’appartenenza al gruppo tra i soci, e li educa, nel contempo, ad un processo decisionale collegiale e quasi democratico. La soluzione del Consorzio, tuttavia, ha come contropartita la lentezza decisionale e un elevato impegno individuale dei soci imprenditori.

Uno dei rischi presenti nella prima fase dello sviluppo associativo è quello di dar vita a forme d’associazionismo opportunistico. Le soluzioni opportunistiche hanno minori prospettive di crescita e presentano alcune caratteristiche che ne pregiudicano lo sviluppo, in particolare:

- lo statuto non prevede criteri di selezione dei soci, e, se ci sono, i vincoli

sono poco selettivi; - spesso non sono nemmeno previsti livelli minimi di performance

economica, e ciò va a scapito dei risultati di gestione complessiva del Gruppo;

- le occasioni d’incontro tra i soci sono limitate e le riunioni hanno carattere soprattutto formale.

Per quanto concerne le attività svolte dalle Centrali associative di Gruppi opportunistici, la contrattazione con i fornitori è centrata prevalentemente sul prezzo; assumono, invece, scarso peso i servizi offerti dai produttori. Obiettivo pressante, se non unico, è la crescita dimensionale a tutti i costi del Gruppo per aumentare il potere contrattuale. Sono dedicate poche risorse alla formazione interna e alla razionalizzazione gestionale delle imprese associate. Di fatto, gli sforzi organizzativi si concentrano sulla contrattazione e sulla crescita dimensionale/quantitativa. Infine, nemmeno i rischi e le responsabilità sono suddivisi equamente, e in modo trasparente, tra i singoli soci. Si riscontra, di solito, che mentre l’acquisto è portato avanti congiuntamente, la fase del pagamento è gestita individualmente.

Dopo aver chiarito i rischi dell’associazionismo opportunistico, è opportuno chiarire quali sono le fasi critiche dello sviluppo? Un primo punto da chiarire è che non esiste un unico percorso di sviluppo associativo. È solamente possibile indicare alcuni fattori critici su cui è opportuno porre attenzione. In genere i problemi tipici dello sviluppo associativo sono i seguenti:

1. la chiarezza sostanziale degli obiettivi del Gruppo; 2. i criteri di selezione delle imprese associate, in modo da riuscire a ridurre

le differenze tra i soci, ed ottenere omogeneità dimensionale, geografica, imprenditoriale-familiare, gestionale e culturale tra i soci;

3. la definizione delle soluzioni organizzative e gestionali, si tratta in particolare di stabilire chiaramente vincoli gestionali alle imprese partner e di porre limiti all’ambito d’azione della Centrale associativa;

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4. i criteri di attribuzione ai singoli soci dei costi della Centrale e dei contributi che il Gruppo d’acquisto riceve dai fornitori.

Vediamo ora di approfondire ulteriormente gli aspetti più importanti. La chiarezza sostanziale degli obiettivi del Gruppo. Un primo fattore da considerare fa riferimento alla chiarezza degli obiettivi perseguiti dal Gruppo. Un forte ostacolo allo sviluppo associativo è rappresentato da quelle che sono definite le agende nascoste. Le agende nascoste sono obiettivi reali non dichiarati, che spingono alcuni imprenditori a costituire o ad entrare in un Gruppo d’acquisto, al fine di ottenere vantaggi diversi da quelli esplicitati inizialmente. Alcune imprese all’ingrosso associate, per esempio, potrebbero utilizzare le condizioni d’acquisto stabilite dal Consorzio, solo come punto di partenza per iniziare un secondo livello di trattativa individuale con i fornitori.

Definita l’importanza della chiara esplicitazione degli obiettivi del Gruppo e il rilievo della condivisione degli stessi si deve procedere all’analisi della seconda fase rilevante: la selezione delle imprese partner. La selezione delle imprese associate. L’omogeneità dimensionale e gestionale dei soci è uno dei principali fattori di successo di un’aggregazione commerciale. L’omogeneità, infatti, consente la standardizzazione dei servizi offerti dalla Centrale associativa. L’eterogeneità delle aziende associate, al contrario, comporta elevati costi di gestione. La selezione dei soci è molto importante, e in genere sottovalutata, nel percorso di sviluppo di una nuova struttura associativa Nei Gruppi d’acquisto tra grossisti si riscontrano invece, troppo spesso, eccessive differenze imprenditoriali tra i soci in termini d’obiettivi, di risorse economiche e finanziarie, di competenze e capacità che possono pregiudicare lo sviluppo di un Gruppo. La definizione delle soluzioni organizzative e gestionali e i vincoli alle attività della Centrale. Anche la chiara definizione della soluzione organizzativa da adottare per l’attività della Centrale risulta notevolmente importante. Si tratta di chiarire e condividere cosa si fa e come, con quali imprese e con quali soluzioni organizzative e risorse. La centralizzazione amministrativa, per esempio, spesso inizialmente crea più problemi che vantaggi, limitando il complesso sistema di creazione di fiducia tra i soci. Ancora, è sempre meglio stabilire vincoli gestionali: definire limiti all’attività della Centrale associativa, lasciare libere alcune aree di attività, chiarire quali segmenti di clientela servire, studiare su quali linee di prodotti concentrare gli acquisti, definire le risorse individuali richieste ai singoli soci da destinare al Gruppo/Consorzio e chiarire i vincoli che i singoli soci devono rispettare.

In alcuni casi di successo si è iniziato a centralizzare la componente informativa dell’attività logistica e solo successivamente quella fisica, per esempio, alcuni soci, assecondando vocazione e competenze, si specializzano su determinate linee di prodotto e offrono servizi logistici agli altri distributori associati.

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I criteri di attribuzione ai singoli soci dei costi della Centrale, dei premi e dei contributi dei fornitori. Lo sviluppo associativo inoltre può essere ostacolato da una distorta percezione dei vantaggi da parte dei soci, dalla mancanza di trasparenza e di comunicazione interna e dalla scarsa chiarezza nei criteri di definizione dei costi attribuiti ai diversi soci. Bisogna, infatti, stabilire se prevedere un contributo annuale per tutti o un contributo proporzionale ai vantaggi ottenuti dalla partecipazione all’organizzazione o, infine, proporzionale al grado di impiego dei servizi centralizzati.

Tra i fattori di successo dei Consorzi, dobbiamo ricordare la possibilità d’impiego sinergico delle risorse e delle competenze dei singoli associati, la razionalizzazione degli acquisti mediante un’attenta analisi delle scelte decisionali dei singoli soci. La concentrazione degli acquisti dovrebbe essere preceduta da un’attenta analisi storica dei dati di vendita dei singoli associati, dalla condivisione degli obiettivi di fatturato rispetto ai fornitori partner e dal monitoraggio dei dati di vendita finalizzato alla verifica del raggiungimento degli obiettivi concordati con i fornitori. Il ruolo e l’organizzazione della Centrale associativa. Un elemento che merita un adeguato approfondimento è quello riguardante il ruolo delle Centrali associative. Infatti, un problema tipico nello sviluppo associativo è rappresentato dalla distonia tra gli obiettivi della Centrale e gli obiettivi dei singoli soci. In altri termini, la Centrale associativa, con il passare del tempo, diventa sempre più forte, grazie alla centralizzazione degli acquisti può raggiungere livelli di fatturato decisamente superiori a quelli raggiunti dai soci più importanti. La Centrale inizia a pensare di poter operare come un’azienda autonoma e non più come un’impresa di servizi per gli associati. Sovente in questa fase gli attriti possono raggiungere livelli patologici e, in alcuni casi, si è arrivati alla scissione del Gruppo. L’obiettivo prioritario della Centrale deve restare quello di offrire servizi alle imprese associate.

La centrale associativa non dovrebbe mai collocarsi come entità autonoma, che persegue propri obiettivi, anche se spesso finisce col farlo. La distonia può esistere anche tra gli obiettivi della Centrale e del singolo associato. Non deve essere sottovalutata inoltre la dialettica tra i due livelli d’imprenditorialità, quella periferica (riferita alle attività dei singoli soci) e quella della Centrale associativa. Così come non vanno trascurate eventuali tensioni derivanti dalle differenze di vantaggi ottenuti dai partner (anche per carenza degli stessi).

Va considerata anche la caduta di tensione nello sviluppo, che può impattare sulla capacità di ottenere risultati tangibili anche parziali.

Nei casi di Centrali associative di successo i servizi sono offerti con elementi di personalizzazione che valorizzano le specificità e l’immagine dei singoli soci.

La Centrale di successo, in base a quanto emerge dalle interviste, non soffoca l’autonomia della periferia: compito dei manager di Centrale è il bilanciare con grande equilibrio la centralizzazione ed il decentramento, rispettando l’autonomia decisionale dei soci.

Dato il rilievo della figura del manager di Centrale, egli deve essere un ottimo tecnico con elevate capacità politiche e non il contrario.

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Non sembra invece rilevante per il raggiungimento del successo la soluzione giuridica adottata.

Le Centrali associative di solito ricevono i contributi promozionali dall’industria, li aggregano per poi ridistribuirli ai singoli soci in conformità a differenti criteri e modalità, come per esempio: fatturato di sell in, numero di prodotti ordinati nell’ambito d’iniziative promozionali, carte fedeltà e così via.

Tutte le Centrali associative corrono una serie di rischi. Con il tempo la Centrale corre il rischio di diventare troppo potente e troppo autonoma, mentre deve rimanere una struttura di servizio e al servizio degli associati. La pericolosità del rischio è legata alla dimensione del fatturato. La Centrale deve quindi avere la capacità d’auto limitarsi, perché il rischio è di continuare ad offrire sempre maggiori servizi, assumere personale ed aumentare così costi, rigidità e distanza dalla periferia. In altri termini, i soci dovrebbero riuscire a capire qual è la soglia massima di servizi, e quindi di costi, su cui conviene plafonare lo sviluppo della Centrale.

Tra i fattori che possono porre in crisi una Centrale associativa ricordiamo i problemi d’integrazione e d’omogeneizzazione di strutture eterogenee, i criteri di ripartizione dei contributi dei fornitori, gli attriti interni tra la negoziazione centralizzata e la periferia (che non vuole rinunciare completamente alla leva della negoziazione), la soluzione societaria ed organizzativa adottata.

Le Centrali in crisi sono quelle che si limitano ad offrire ai soci il servizio degli acquisti centralizzati, perché non sono in grado di offrirne altri. Si caratterizzano per legami deboli, con un’elevata indipendenza delle singole imprese che godono quindi di un’eccessiva autonomia, senza seguire una politica comune di Gruppo.

Negli ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di nuovi modelli organizzativi di Centrale. Di particolare interesse è la cosiddetta Centrale di Servizi. In questo caso, il modello organizzativo prevede una struttura come Società di servizi di consulenza. I manager della Centrale propongono idee di marketing innovative, soluzioni originali accolte e sostenute dai soci della Centrale e finanziate dai fornitori. In pratica, sono proprio questi manager a sviluppare iniziative di co-marketing. Allo stesso tempo devono convincere sia i soci commercianti che i produttori a finanziare adeguatamente i progetti di co-marketing.

La Centrale di servizi non è finanziata all’inizio d’anno coi contributi dei soci, ma deve trovare le risorse da sola, attraverso la propria gestione d’esercizio in esercizio. I budget sono definiti di volta in volta, per singoli progetti. Questo perché se il budget fosse annuale sarebbe minore la stimolo verso un modo di lavorare più creativo ed efficace. I manager di Centrale si recano in periferia spesso (anche una volta la settimana), presso gli imprenditori associati, per fare formazione manageriale, finalizzata all’implementazione d’iniziative di co-marketing.

La Centrale di Servizi non prevede un doppio livello di negoziazione, ma un solo livello. Le Commissioni dedicate agli acquisti sono formate infatti da buyer di centrale e di periferia, che si riuniscono anche settimanalmente. La periferia viene così coinvolta direttamente nella negoziazione a livello Centrale. Si

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“rompe” cioè il meccanismo della doppia negoziazione e alla periferia rimane di conseguenza una quota di autonomia inferiore rispetto al passato.

L’obiettivo primario del Gruppo è la coesione e, perciò stesso, la selezione iniziale è fondamentale poiché evita la concorrenza diretta tra rivendite vicine. Allo stesso tempo, quando il Gruppo cresce non perde contatto con il mercato locale. Il rapporto con i fornitori è definibile come partnership. Esiste un controllo al fine di minimizzare eventuali comportamenti opportunistici. Anche se non a breve, la fusione dei capitali viene vagliata come opportunità strategica.

Il ruolo dei fornitori nello sviluppo associativo. Lo sviluppo dell’associazionismo in Italia dipenderà anche dalla posizione dei produttori. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi per l’industria?

La risposta non è semplice, e va ricercata nelle modalità di funzionamento del Gruppo. In tutti i casi in cui il Gruppo funziona bene e ha adottato soluzioni gestionali efficienti ed efficaci i vantaggi per i produttori sono superiori agli svantaggi. I fornitori intervistati affermano spesso che l’inizio troppo veloce di un Gruppo d’acquisto, unitamente alla scarsa selezione dei soci, si traducono in scas partecipazione e capacità di rispettare gli impegni assunti. Sempre secondo i fornitori intervistati, i Gruppi che funzionano permettono invece di avere davvero un valido interlocutore e di sviluppare valore a livello di filiera.

Quali sono gli svantaggi dell’associazionismo commerciale per i produttori? I fornitori a seguito dello sviluppo della distribuzione organizzata assistono alla perdita di potere contrattuale e,quindi, ad un peggioramento delle condizioni di vendita. È probabile però che la concentrazione della distribuzione finisca per indurre anche ad una maggiore concentrazione dell’industria, riequilibrando di conseguenza il mercato. Il valore aggiunto dell’associazionismo non va dunque ricercato nella negoziazione, che è un gioco a somma nulla, ma nella partnership che la dimensione associativa rende possibile.

I vantaggi dell’associazionismo commerciale per i fornitori fanno riferimento alla centralizzazione del contratto, alla possibilità di ottenere un impegno annuale sui risultati di vendita, alla migliore copertura territoriale. I vantaggi maggiori per i produttori concernono l’area delle vendite e del marketing. È possibile ridurre il numero del personale di vendita sul territorio, diminuire il numero dei venditori tradizionali per aumentare quello del personale tecnico commerciale. E ultimo, ma non per importanza, l'associazionismo consente una maggiore efficacia delle iniziative di co-marketing.

La ricerca sul campo ha evidenziato inoltre l’emergere di un crescente divario di produttività tra le rivendite indipendenti e quelle associate. In altri termini, i risultati economici delle imprese associate sono migliori rispetto a quelli delle indipendenti. È molto probabile che questa tendenza si accentuerà ulteriormente nei prossimi anni.

Nei casi più evoluti, il Gruppo d’acquisto si può mettere in una posizione competitiva diretta con i produttori. Un Gruppo può costituire un consorzio per l’importazione di prodotti in esclusiva e commercializzare nel mercato italiano prodotti con marchio commerciale. È questa la reazione competitiva più forte alle

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strategie dell’industria di marca. La tendenza a delocalizzare la produzione in Paesi asiatici può essere sfruttata dai Gruppi d’acquisto tra grossisti più dinamici.

1.8. Centri commerciali

Centri commerciali all’ingrosso pianificati. Il passaggio da ubicazioni commerciali spontanee a localizzazioni in Centri Commerciali panificati extraurbani dev’essere a nostro avviso stimolato dalla politica commerciale pubblica, per i vantaggi che può offrire all’efficienza e all’efficacia del sistema distributivo nel suo complesso.

In alcuni comparti merceologici, come per esempio il settore del tessile abbigliamento, le ubicazioni storiche dei grossisti riguardano aree oggi congestionate dal traffico. L’aumento del costo degli immobili nelle aree cittadine centrali, le difficoltà per i clienti di trovare parcheggi, i problemi derivanti dallo svolgimento d’attività commerciali in edifici su più piani, costruiti in funzione di una destinazione d’uso residenziale e non commerciale, hanno costretto molti grossisti del settore tessile abbigliamento a ripensare le proprie scelte ubicative e a ricollocarsi all’interno di Centri commerciali pianificati extra-urbani. Un caso significativo in proposito è quello dei commercianti del settore tessile/abbigliamento ubicati nelle vie in prossimità della stazione centrale di Milano.

Un centro commerciale all’ingrosso pianificato, al contrario, offre numerosi vantaggi. La creazione di un Centro comporta un miglioramento notevole della produttività. Un centro commerciale all’ingrosso offre due ordini di vantaggi principali: in primo luogo, la riduzione dei costi dovuti alla gestione comune di determinati servizi; in secondo luogo, l’aumento della forza d’attrazione. Le imprese aderenti, infatti, possono ottenere economie di scala dalla gestione “condominale” di numerosi servizi comuni. Il Centro commerciale, inoltre, offre il vantaggio sinergico che deriva dalla complementarietà degli assortimenti offerti. Un singolo distributore grossista può valorizzare la specializzazione merceologica dell’assortimento, in quanto l’aggregazione spaziale di diversi grossisti fa aumentare l’ampiezza e la profondità dell’offerta complessiva. La strategia di specializzazione, invece, è una scelta preclusa nel caso del grossista con ubicazione isolata.

Il Centro consente ai distributori al dettaglio di accedere più facilmente all’offerta dei grossisti e migliora anche la trasparenza del mercato. I clienti dettaglianti, che si recano presso un Centro commerciale all’ingrosso pianificato, hanno minori costi di ricerca e di confronto. I clienti possono fruire di un maggior numero d’offerte specializzate. Inoltre, i vantaggi logistici sono evidenti: la facilità di parcheggio, di carico e scarico.

Infine, gli aderenti ad un Centro commerciale all’ingrosso riescono anche a sviluppare iniziative di marketing integrato, quali campagne di comunicazione

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congiunte, partecipazioni a Fiere anche internazionali e creare un sito vetrina per offrire nuovi servizi dedicati.

Conclusioni. La distribuzione all’ingrosso non si limita a vendere ai distributori al dettaglio, ma offre servizi commerciali a piccole aziende artigianali, a utilizzatori industriali e, con soluzioni quali il Rack Jobbing, anche ai Gruppi della Grande Distribuzione.

La distinzione tradizionale tra ingrosso e dettaglio, il primo focalizzato nel commercio tra imprese e il secondo sulla vendita ai consumatori, ha perso gran parte del suo significato originale. Un numero sempre maggiore di grossisti si rivolge infatti anche al cliente finale privato. Non si tratta di una forma di abusivismo, ma di una diversificazione pienamente giustificata sul piano economico. Il grossista di bevande che consegna a domicilio, per esempio, rientra in questa fattispecie e offre un servizio apprezzato da segmenti sempre più ampi della popolazione (come gli anziani per esempio).

I distributori all’ingrosso sono identificati e considerati comunemente come commercianti di prodotti tangibili, ma nella realtà creano valore anche offrendo servizi intangibili alle imprese collocate a monte e a valle nei canali di distribuzione. I distributori all’ingrosso selezionano i prodotti dalla sempre più ampia gamma dell’offerta industriale, svolgono un’attività di marketing d’acquisto, selezionano i fornitori, negoziano, assumono la proprietà dei beni, stoccano i beni, informano i clienti, promuovono nuovi prodotti, finanziano i clienti, assumono il rischio di credito, gestiscono l’opportunismo di produttori e dettaglianti, processano gli ordini, gestiscono le consegne e il flusso delle informazioni tra industria e distribuzione al dettaglio.

Il canale lungo e, quindi, l’intermediazione grossista non aumenta i costi di distribuzione rispetto al canale corto. Come abbiamo più volte sottolineato, la tendenza a “scavalcare” i grossisti nella maggiore parte dei casi non è guidata da ragioni di costo. Inoltre, i costi sostenuti dai grossisti sono difficili da quantificare, in quanto fanno sempre più spesso riferimento all’offerta di servizi.

Alcune aziende del settore dell’ingrosso stanno sperimentando soluzioni innovative sia per aumentare il valore offerto ai clienti sia per ridurre i costi. Un numero sempre maggiore di grossisti compete oggi maggiormente sui servizi offerti, ma il pricing continua a fare riferimento per semplicità alla componente tangibile dell’offerta, cioè al prodotto. In genere i clienti accettano prezzi più alti per prodotti venduti da distributori che offrono servizi di qualità. Negli ultimi anni questa convenzione è sempre meno accettata e si è innescata una concorrenza di prezzo, senza la possibilità di ridurre i costi dei servizi erogati dai grossisti. Una delle difficoltà economiche maggiori dei grossisti deriva dal fatto che hanno sistemi di contabilità analitica troppo semplificati che impediscono, di fatto, di calcolare il costo effettivo del servizio al cliente. Mentre le imprese industriali da alcuni anni hanno adottato sistemi di activity based costing, le imprese di distribuzione all’ingrosso non si stanno muovendo in questa direzione. L’attribuzione dei costi, in relazione alle attività necessarie per supportare ciascun cliente, consentirebbe di capire quali clienti suscitano costi superiori ai margine di contribuzione.

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Una prospettiva di sviluppo futura potrebbe essere quella di far pagare i clienti per i reali servizi offerti dal grossista. Alcuni grossisti pensano infatti di superare iul tradizionale pricing di prodotto e passare ad un pricing di cliente. Il passaggio al pricing basato sui servizi offerti è rivoluzionario nel commercio all’ingrosso; la valorizzazione dei servizi offerti è infatti un passaggio non facile da far accettare ai clienti dei grossisti che sono abituati a considerare il costo del servizio incluso nel prezzo del prodotto acquistato.

Un problema aperto resta quello dell’informatizzazione dei magazzini dei grossisti. Negli Stati Uniti, per esempio, dal 1978 al 1996 si è assistito ad un’importante fase di informatizzazione che ha consentito un consistente aumento di produttività a tutto il sistema economico americano. Negli Stati Uniti i grossisti hanno investito nell’informatizzazione della gestione degli ordini, nella fatturazione, nei sistemi di controllo delle scorte, nella programmazione delle consegne, nella tecnologia del picking e di caricamento degli scaffali, in nuovi sistemi di tracking della movimentazione delle scorte. Inoltre, sempre negli Stati Uniti, i grossisti hanno sviluppato sistemi di collegamento informatico con i fornitori e con i clienti dettaglianti, ottenendo notevoli incrementi di produttività.

I Grossisti americani hanno sviluppato nuovi servizi ai clienti, in particolare i seguenti:

- sistemi di codifica a barre; - scanning; - sistemi di ordini informatizzati effettuati direttamente mediante computer

che consentono di sostituire sia il venditore che si reca presso il dettagliante sia gli impiegati addetti all’inserimento dell’ordine presso gli uffici del grossista.

Le nuove tecnologie informatiche consentono non solo di ridurre i costi, ma anche di ridurre gli errori e di agire più rapidamente.

Le nuove tecnologie offrono vantaggi a chi cerca alleanze nei canali di distribuzione. Inoltre, un più intenso scambio di informazioni nei canali di distribuzione può permettere di razionalizzare l’attività logistica. Internet, per esempio, ha conferito più potere di mercato ai clienti ed ha amplificato la facilità di comunicazione tra imprese indipendenti. Gli sforzi per contenere la crescita dei costi logistici e migliorare i servizi di consegna dovrebbero spingere alla partnership e allo scambio di informazioni tra fornitore e cliente e alla ricerca di nuove forme di collaborazione nei canali di distribuzione.

Un maggiore grado di coordinamento tra produttori e distributori potrebbe consentire di riorganizzare le funzioni commerciali e stimolare la ricerca di soluzioni innovative.

La collaborazione tra industria e distribuzione ha come presupposto fondamentale lo sviluppo di un clima di fiducia reciproco tra produttori e distributori. In alcune filiere l’abbandono della logica delle transazioni opportunistiche e il prevalere di un approccio collaborativo tra fornitore e cliente potrebbe portare ad un miglioramento della qualità dei servizi logistici offerti.

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Quali sono le aree che potrebbero portare ad una riduzione dei costi di interfaccia tra produttori e distributori all’ingrosso?

La creazione di listini su supporto elettronico è un percorso che ha già trovato completa attuazione in altri settori, come quello del materiale elettrico. Richiede una struttura dedicata alla normalizzazione dei file in modo che si utilizzi un unico formato standard. Il problema è reso più complesso dal numero di attori coinvolti in una filiera distributiva; maggiore è il numero e più alte sono le difficoltà nel riuscire a conciliare esigenze diverse.

Nei prossimi anni si apriranno nuove opportunità per i grossisti sia in relazione al processo di internazionalizzazione dell’economia sia rispetto ai più recenti sviluppi delle nuove tecnologie e di internet.

Infine, conviene riflettere su quale sarà l’impatto del commercio elettronico sul futuro dell’ingrosso. La tesi che la diffusione delle più recenti forme di commercio elettronico possa portare all’eliminazione della figura del grossista è semplicistica. I grossisti hanno dimostrato in molti settori una capacità inaspettata di reinventare il loro ruolo. Le teorie sull’impatto di internet in proposito sono contrastanti. L’e-commerce provocherà cambiamenti nelle attività svolte dai grossisti, ma non li sostituirà. “Bypassare” i distributori all’ingrosso può sembrare facile, ma gestire tutti i servizi e i flussi informativi offerti dai grossisti alle stesse condizioni di costo non è nella realtà dei fatti così semplice. Ci sono alcuni segnali, specie nelle economie tecnologicamente più avanzate, che internet possa offrire più vantaggi che svantaggi all’attività di distribuzione all’ingrosso.

La maggior parte dei grossisti guarda con sospetto alle nuove soluzioni di e-commerce e alle aste on line. In particolare le aste on line inverse, sono ritenute una modalità per ridurre i prezzi d’acquisto, trascurando le competenze dei grossisti. Molti dei quali hanno effettuato investimenti specifici nella relazione cliente-fornitore.

Le aste on line esasperano la trasparenza e la competizione di prezzo, ma trascurano la riduzione complessiva del costo d’acquisto. Il costo totale include anche elementi intangibili, spesso difficili da valutare. Si fa riferimento in particolare ai tempi di consegna, allo scambio di informazioni sul mercato, sui concorrenti, agli switching cost, alle garanzie. Il tentativo di inserire fattori diversi dal prezzo nelle aste on line si è dimostrato estremamente complesso.

Non sono ancora chiare le implicazioni di medio termine delle aste on line inverse, perché i partecipanti in genere utilizzano i risultati come base per rinegoziare ulteriori sconti. Alcuni autori sostengono che le aste inverse potrebbero portare ad una ulteriore concentrazione favorendo i distributori di maggiori dimensioni, ma questa è solo un’ipotesi.

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Capitolo 2

Ingrosso a libero servizio

L’esercizio specialistico della funzione di ingrosso diventa stabile quando è giustificato sia sul piano sia dell’efficienza, che dell’efficacia. Oltre alle economie esterne, il grossista deve essere, infatti, in grado di fornire ai clienti un servizio che risponda ad esigenze che mutano nel tempo, in relazione a cambiamenti di struttura e condotta nei rispettivi mercati. Quando la capacità di dare risposte efficaci ed efficienti si affievolisce interviene l’integrazione verticale discendente dei fornitori e ascendente dei clienti che mette in crisi l’esercizio specialistico della funzione di ingrosso. Vi è poi una componente strutturale della crisi dell’ingrosso connessa alla concentrazione del dettaglio e allo sviluppo di forme distributive moderne come il supermercato e l’ipermercato. Tali fattori possono essere visti non solo come responsabili della crisi dell’ingrosso, ma anche come elementi che galvanizzano le energie imprenditoriali dei grossisti. In molti paesi si è infatti passati dalla crisi al rinascimento dell’ingrosso attraverso innovazioni organizzative e di prodotto, come le unioni volontarie e i cash and carry. Se l’unione volontaria è una soluzione organizzativa che vincola il dettagliante al grossista contro il corrispettivo di una serie di servizi che migliorano la competitività, il cash and carry risponde alle esigenze di dettaglianti che non possono o non vogliono associarsi, degli utilizzatori professionali e degli operatori HO.RE.CA. di piccola e media dimensione.

Anche in Italia il destino economico del commercio all’ingrosso è stato fortemente condizionato dai fattori sopra richiamati. La nascita dell’ingrosso a libero servizio risale nel nostro paese ai primi anni Settanta, un periodo storico in cui i grossisti alimentari risentono di una forte contrazione del mercato di riferimento principale - il piccolo dettaglio indipendente -, a seguito della rivoluzione commerciale. Le funzioni di ingrosso vengono infatti progressivamente integrate dalle imprese della distribuzione moderna attraverso la gestione di magazzini centralizzati e l’organizzazione di centrali di acquisto. A fronte del cambiamento strutturale del contesto di riferimento, alcuni grossisti tentano un riposizionamento dell’offerta, sviluppando una formula di ingrosso innovativa che prevede l’applicazione della tecnica del libero servizio. La stessa si caratterizza per una diversa configurazione del prodotto/servizio offerto e si rivolge a una clientela con esigenze normalmente non soddisfatte dalle forme tradizionali di ingrosso. I clienti del cash and carry possono infatti ottenere una

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maggiore rotazione del magazzino, da un lato, per la possibilità di acquistare quantitativi inferiori a quelli minimi imposti da altre forme di approvvigionamento e, dall’altro, per la rapidità e continuità dei rifornimenti. In generale, la convenienza dell’ingrosso a libero servizio si fonda sia sulle caratteristiche strutturali del binomio merce-servizio, sia sui minori prezzi di acquisto a loro volta riconducibili allo spostamento sul cliente di talune attività e al pagamento in contanti.

Partendo da tali presupposti, la formula del cash and carry ha conosciuto nel tempo un’evoluzione strutturale analoga a quella che caratterizza il ciclo di vita delle forme distributive al dettaglio. Nella fase di introduzione (anni Settanta), il prodotto commerciale presenta caratteristiche indifferenziate, a prescindere dall’Insegna e dalla localizzazione. Il numero degli impianti sul territorio nazionale è inferiore alle 100 unità e la superficie media non supera i 3.000 metri quadrati. La domanda è in forte espansione, stimolata soprattutto dalla convenienza delle nuove modalità di esercizio della funzione di ingrosso, la quale risulta però limitata alle categorie dei prodotti alimentari confezionati. La fase di sviluppo corrisponde ai primi anni Ottanta, durante i quali il numero dei cash and carry cresce sensibilmente - nel 1985 si superano i 280 impianti distributivi - e così anche la superficie media, la quale arriva ad attestarsi intorno ai 3.300 metri quadrati. In questa fase del ciclo di vita si assiste ad un ampliamento dell’offerta con l’inserimento delle categorie del fresco e ad una progressiva segmentazione dell’offerta per tipologia di clientela. Tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, la formula entra nella fase di maturità: l’aumento della numerica degli impianti porta alla saturazione del mercato in un contesto competitivo in cui la modernizzazione del commercio si traduce in una contrazione della quota degli acquisti dei dettaglianti tradizionali. Durante questa fase si affermano due diversi profili di cash and carry. Il primo è quello degli impianti di prima generazione appartenenti ai grossisti delle Unioni Volontarie: i punti vendita sono di dimensioni contenute e arricchiscono il servizio offerto alla clientela attraverso la consegna a domicilio per acquisti superiori a determinati importi, l’assistenza di vendita ad alcune categorie di clienti (alberghi e mense) e l’apertura di linee di credito per i clienti più importanti. Il secondo è quello degli impianti di nuova generazione appartenenti alle Insegne della grande distribuzione moderna succursalista, per le quali lo sviluppo di punti vendita cash and carry non rappresenta l’attività di core business, bensì una diversificazione del portafoglio dei formati distributivi presidiati. Gli impianti della G.D. si caratterizzano per superfici di vendita più elevate rispetto a quelli del primo profilo e per una forte focalizzazione sulla competizione di prezzo, basata sulle economie di scala ottenute negli acquisti. Nella seconda metà degli anni Novanta, la formula entra nella fase di declino, in cui si assiste ad una selezione degli operatori, a seguito di un eccesso di offerta rispetto a una domanda decrescente, soprattutto da parte del dettaglio tradizionale. Alcune imprese abbandonano così la formula, convertendo gli impianti in ipermercati, mentre altre mantengono la presenza nel canale rivedendo, tuttavia, le proprie strategie competitive e, in particolare, orientando maggiormente l’offerta alla soddisfazione delle esigenze di segmenti di clientela alternativi a quello degli alimentaristi (Fornari, 2006).

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Il processo evolutivo descritto ha così portato il cash and carry a vivere negli ultimi anni una nuova fase di rivitalizzazione, che appare favorita, da un lato, dall’evoluzione della struttura e della densità dell’offerta di ingrosso a libero servizio e, dall’altro, dalla modificazione del peso delle differenti tipologie di clientela servite.

2.1. La struttura dell’offerta nella Regione Lombardia Nel nostro paese sono presenti 365 impianti all’ingrosso a libero servizio per oltre 1,4 milioni di metri quadrati di superficie di vendita food e non food (tab. 2.1).

Tabella 2.1 - Numerica e superficie di vendita dei cash and carry per regione

(2005)

Superficie totale Superficie media

Quota nella forma distributiva (%) Regione Numero

(mq food e non food)

(mq food e non food) Numerica Superficie

ABRUZZO 12 66.204 5.517 3,3% 4,6% BASILICATA 6 14.075 2.346 1,6% 1,0% CALABRIA 8 20.868 2.609 2,2% 1,4% CAMPANIA 35 140.794 4.023 9,6% 9,8% EMILIA ROMAGNA 45 166.504 3.700 12,3% 11,5% FRIULI VENEZIA GIULIA 9 38.083 4.231 2,5% 2,6%

LAZIO 21 98.475 4.689 5,8% 6,8% LIGURIA 15 60.290 4.019 4,1% 4,2% LOMBARDIA 49 247.120 5.043 13,4% 17,1% MARCHE 10 44.316 4.432 2,7% 3,1% MOLISE 4 7.492 1.873 1,1% 0,5% PIEMONTE 26 109.779 4.222 7,1% 7,6% PUGLIA 25 104.609 4.184 6,8% 7,3% SARDEGNA 7 27.731 3.962 1,9% 1,9% SICILIA 22 56.573 2.572 6,0% 3,9% TOSCANA 21 80.876 3.851 5,8% 5,6% TRENTINO ALTO ADIGE 8 28.974 3.622 2,2% 2,0%

UMBRIA 10 25.686 2.569 2,7% 1,8% VALLE D' AOSTA 1 2.819 2.819 0,3% 0,2% VENETO 31 100.669 3.247 8,5% 7,0% NORD-OVEST 91 420.008 4.615 24,9% 29,1% NORD-EST 93 334.230 3.594 25,5% 23,2% CENTRO+ SARDEGNA 69 277.084 4.016 18,9% 19,2%

SUD 112 410.615 3.666 30,7% 28,5% TOTALE ITALIA 365 1.441.937 3.951 100,0% 100,0%

Fonte: elaborazioni su dati IRI Nel periodo 2002-2005 i punti vendita sono aumentati del 13%, mentre la dimensione media delle strutture si è ridimensionata stabilizzandosi intorno ai 4.000 metri quadrati.

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Se nelle prime fasi del ciclo di vita, la forma distributiva del cash and carry si è sviluppa soprattutto nelle aree del paese commercialmente meno evolute, in quanto il target di riferimento era essenzialmente rappresentato dal dettaglio tradizionale che necessitava di servizi di ingrosso seppur proposti attraverso una formula più moderna, nel corso del tempo si è giunti ad una distribuzione più omogenea degli impianti e della superficie di vendita sul territorio (tab. 2.1). L’unica eccezione di rilievo è rappresentata dalle regioni dell’Italia centrale, compresa la Sardegna, dove i livelli di presenza risultano più contenuti. In tale ripartizione territoriale è possibile prefigurare uno scenario di sostanziale stabilità della formula. Infatti, fatta eccezione per l’area della capitale, la difficile morfologia del territorio e il ridotto numero di città con bacini demografici interessanti, limitano l’espansione delle forme distributive moderne, sia al dettaglio che all’ingrosso. Al contempo, risultano, tuttavia, frenate anche le eventuali dismissioni delle strutture all’ingrosso a libero servizio esistenti, che possono contare su una domanda sostanzialmente stabile proveniente dal dettaglio tradizionale che, per i motivi suddetti, tende in tali regioni non solo a sopravvivere, ma a consolidarsi (Lenci, 2006). Un ulteriore aspetto da rilevare è come al Sud e nel Nord Est la copertura territoriale in numerica risulti superiore a quella in termini di superficie di vendita (rispettivamente 31% contro 28% e 26% contro 23%). Per converso, il Nord Ovest concentra una quota di superficie di vendita all’ingrosso a libero servizio (29%) superiore a quella in termini di impianti (25%) (tab. 2.1). La dimensione delle strutture di vendita inferiore alla media nazionale trova spiegazione, nel caso del Sud Italia, nel tradizionale maggiore orientamento degli operatori verso il segmento degli alimentaristi e nella minore presenza di strutture sviluppate dalla grande distribuzione moderna succursalista, e, nel caso del Nord Est, nello sviluppo da parte delle Insegne del canale di punti vendita con un’offerta rivolta principalmente agli operatori foodservice in città con piccoli bacini d’utenza utilizzando un format di dimensioni ridotte (Lenci, 2006).

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Tabella 2.2 - Numerica e superficie di vendita dei cash and carry per provincia lombarda (2005)

Superficie totale Superficie media Quota nella forma

distributiva (%) Provincia Numero

(mq food e non food)

(mq food e non food)

Numerica Superficie

Bergamo 5 19.308 3.862 10,2% 7,8% Brescia 13 67.175 5.167 26,5% 27,2% Como 3 9.582 3.194 6,1% 3,9% Cremona 3 10.330 3.443 6,1% 4,2% Lecco 3 17.511 5.837 6,1% 7,1% Lodi 2 9.800 4.900 4,1% 4,0% Milano 10 63.008 6.301 20,4% 25,5% Mantova 1 3.700 3.700 2,0% 1,5% Pavia 4 9.131 2.283 8,2% 3,7% Sondrio 1 3.000 3.000 2,0% 1,2% Varese 4 34.575 8.644 8,2% 14,0% Tot. LOMBARDIA 49 247.120 5.043 100,0% 100,0%

Fonte: elaborazioni su dati IRI La prima regione italiana per numero di impianti e superficie di vendita è la Lombardia, con una quota nella forma distributiva del 13% in numerica e del 17% in termini di superficie di vendita (tab. 2.1). La copertura regionale della rete non risulta tuttavia omogenea, considerato che le sole province di Milano e Brescia concentrano circa il 50% degli impianti e della superficie di vendita (tab. 2.2.).

2.2. Le caratteristiche della domanda

La formula del cash and carry non è stabile, ma ha subito un processo di evoluzione nel corso del suo ciclo di vita. Si tratta di un’evoluzione che non è generalizzata per tutta la clientela, ma selettiva. I cambiamenti nella quantità e qualità del servizio intervenuti con l’ingresso della formula nelle diverse fasi del ciclo di vita risultano cioè differenziati in funzione delle caratteristiche dei diversi segmenti di clientela. La possibilità di conoscere il profilo di acquisto e le diverse esigenze della clientela attraverso la carta commerciale e il data mining dei dati POS hanno di fatto permesso di differenziare il servizio e di discriminare il prezzo per segmenti di clientela customizzando di conseguenza il formato.

A livello generale, il prodotto dell’ingrosso a libero servizio è particolarmente adatto a coloro che acquistano frequentemente quantità sostanzialmente contenute di un numero elevato di articoli. Più precisamente, la clientela che frequenta i cash and carry può essere così segmentata:

- dettaglianti indipendenti: negozianti, ambulanti, specialisti (macellerie,

pescherie, negozi di ortofrutta);

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- utilizzatori professionali: imprenditori, liberi professionisti (tassisti, parrucchieri, amministratori condominiali, medici, avvocati, ecc.), artigiani;

- operatori del mercato della ristorazione (HO.RE.CA).

In particolare, il mercato della ristorazione è costituito dalla imprese che offrono servizi di somministrazione di cibo e bevande, a loro volta riconducibili alle categorie della ristorazione collettiva e commerciale. Quest’ultimo canale è composto dai cosiddetti pubblici esercizi, ovvero dai locali di somministrazione frequentati liberamente per scelta personale del consumatore. Il giro d’affari complessivo della ristorazione in Italia è stimato intorno ai 63 miliardi di euro (Euromonitor e Gira, 2005). La ristorazione commerciale incide sul valore complessivo del mercato nella misura del 77%, di cui il 65% (circa 31 miliardi di euro) è imputabile ai ristoranti e il 35% ai bar (circa 17 miliardi di euro). Il 94% del mercato in valore è coperto dalla ristorazione commerciale indipendente, composta da imprese di tipo tradizionale, di dimensioni ridotte a conduzione imprenditoriale e ad elevata componente di lavoro familiare.

Gli approvvigionamenti rappresentano una delle aree critiche per gli operatori dei pubblici esercizi poiché la scelta del canale d’acquisto ha un impatto sulla configurazione dei rapporti verticali con l’industria e con gli intermediari commerciali, sul livello di differenziazione dell’offerta e di redditività dell’attività. Gli approvvigionamenti rappresentano, infatti, la seconda voce di costo più significativa dopo il personale, con un’incidenza sul totale del 29% per i ristoranti e del 31% per i bar (Cermes, 2006).

La scelta della fonte di approvvigionamento è condizionata da diverse variabili tra le quali occorre ricordare, in particolare, la convenienza (reale e percepita), i vincoli di tempo, il presidio territoriale da parte delle diverse tipologie di fornitori, la dimensione della superficie di stoccaggio e la localizzazione dell’esercizio, il livello di accentramento decisionale nella figura del titolare in merito all’attività d’acquisto, la tipologia di prodotti da acquistare, la “storicità” della relazione coi fornitori (Fornari, 2006). La valutazione oggettiva della convenienza offerta dalle diverse fonti appare tutt’altro che semplice: si pensi alla difficoltà di valutare la qualità intrinseca dei prodotti freschi o all’impatto delle iniziative promozionali, realizzate con frequenza e intensità maggiore da alcune fonti, come i cash and carry e i punti vendita al dettaglio moderni. L’attività di acquisto è, peraltro, dispendiosa non solo in termini monetari, ma anche di tempo. A parità di quantità e qualità dei prodotti e dei servizi offerti, gli operatori ricercano i fornitori che consentono di risparmiare il maggior numero di ore. Sono soprattutto gli operatori del canale bar a caratterizzarsi per la ricerca di contenuti di offerta time saving, dal momento che l’attività di somministrazione risulta nella maggior parte dei casi continua durante la giornata, rendendo difficoltoso al titolare e/o a un dipendente assentarsi per effettuare gli acquisti. I ristoranti si caratterizzano, per converso, per orari di apertura spezzati e concentrati in alcune fasce orarie, il che consente loro di rivolgersi a fonti di approvvigionamento che necessitano di una maggiore quantità di tempo, come il cash and carry. Non vanno poi dimenticati i cosiddetti costi d’acquisto nascosti, che caratterizzano alcune fonti in misura maggiore di

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altre; si pensi per esempio ai costi legati al tempo speso nei contatti/relazioni con i grossisti che visitano periodicamente il pubblico esercizio, ovvero al tempo investito nelle pratiche amministrative conseguenti alla gestione dei rapporti con un elevato numero di interlocutori, ognuno specializzato nella fornitura di una o poche categorie di beni. La densità territoriale degli operatori è un ulteriore elemento che incide sulla scelta del canale di acquisto. Le differenze nel presidio territoriale delle diverse fonti di approvvigionamento si traducono spesso in una preferenza da parte dei pubblici esercizi nei confronti di quelle in grado di offrire un maggiore servizio di prossimità. Non va poi trascurata la dimensione della superficie di stoccaggio: all’aumentare della disponibilità di spazi di stoccaggio, i pubblici esercizi possono acquistare quantitativi di prodotto crescenti ottenendo una contrazione del costo di acquisto e del tempo dedicato all’attività di spesa. Tuttavia, il costo di locazione dei locali tende ad agire a favore della riduzione della superficie di stoccaggio a vantaggio di quella di vendita. I pubblici esercizi sono quindi impegnati a minimizzare i costi del magazzino preferendo in generale l’acquisto frequente di piccoli lotti di merce. Tale orientamento finisce per favorire la scelta di fonti di approvvigionamento che consentono una maggiore frammentazione dei lotti di acquisto (cash and carry e punti di vendita al dettaglio) rispetto a quelle che consentono l’ottenimento di una maggiore convenienza su quantitativi consistenti. Occorre tuttavia precisare che mentre i bar si caratterizzano per una superficie di deposito mediamente pari a 43 metri quadrati, che non consente lo stoccaggio di elevate quantità di scorte, i ristoranti presentano una superficie di stoccaggio più estesa (67 metri quadrati), che garantisce la possibilità di effettuare rifornimenti meno frequenti soprattutto per alcune tipologie di prodotti (si pensi in particolare alle bevande). La capacità di stoccaggio è poi spesso limitata dalla localizzazione dell’esercizio nel centro storico; tale fattore può peraltro rendere difficoltoso l’accesso al locale per i rifornimenti. Il livello di delega dell’attività d’acquisto è un altro fattore che incide sulla scelta dei canali di approvvigionamento. I modelli d’acquisto accentrati nella figura dell’imprenditore agiscono infatti a favore di fonti di approvvigionamento self service con assortimenti profondi che permettono al titolare di scegliere autonomamente i prodotti più adatti al locale, sia sul piano della quantità, che della qualità. Tale modello viene utilizzato in misura maggiore dai ristoranti rispetto ai bar, in quanto il titolare è spesso anche il cuoco e desidera scegliere personalmente i prodotti migliori, soprattutto gli ingredienti freschi. Va infine ricordato che per l’acquisto delle tipologie di prodotti da cui dipende il livello di differenziazione del locale (si pensi ancora una volta ai freschi) tende a prevalere un orientamento alla ricerca della qualità, che porta a privilegiare le fonti specializzate. Ciò vale in particolare per i ristoranti dove peraltro gli approvvigionamenti tendono a concentrarsi su un numero ridotto di merceologie (carne, pesce e vini) che arrivano a rappresentare il 40% del valore degli acquisti annuali.

Dal momento che la scelta delle fonti di approvvigionamento dei pubblici esercizi costituisce un’attività complessa condizionata da una molteplicità di fattori concomitanti, non stupisce che le quote di mercato delle differenti tipologie di fornitori appaiano molto diverse (tab. 2.3). Il canale dell’ingrosso tradizionale

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rappresenta la principale fonte di approvvigionamento degli operatori della ristorazione, arrivando a coprire oltre il 60% del valore degli acquisti. Il cash and carry rappresenta una fonte di approvvigionamento importante, detenendo una quota di mercato mediamente pari al 16%.

Tabella 2.3 - La quota di mercato delle fonti di approvvigionamento dei pubblici

esercizi (% valore acquisti sul totale)

Grossisti ho.re.ca e catering 32% Grossisti di prodotto 34%

Ingrosso

Società commerciali nazionali 8%

64%

Distribuzione diretta 14% Diretto Laboratori di trasformazione 3%

17%

Cash & Carry 16%

Produttori industriali

Produttori agricoli Distribuzione Moderna Iper - Super - Discount 3%

19%

Fonte: Maior Consulting, 2004

All’interno del mercato foodservice si delinea quindi una predominanza del canale di distribuzione lungo rispetto a quello corto. Il ruolo dell’ingrosso, nella componente tradizionale e a libero servizio, risulta pertanto determinante e ciò anche in prospettiva, soprattutto per i processi di approvvigionamento degli operatori della ristorazione commerciale indipendente, che si caratterizzano per dimensioni ridotte dei locali, elevata dispersione territoriale e bassa propensione all’associazionismo.

In tale contesto, va sottolineato che l’offerta proposta dai cash and carry alla clientela dei pubblici esercizi può contare su alcuni punti di forza, ma risente al contempo di elementi di debolezza rispetto ai grossisti tradizionali (Fornari, 2006). Un primo punto di forza è il livello di convenienza offerto. Secondo un’indagine Cermes (2006), confrontando i prezzi a scaffale dei prodotti alimentari confezionati venduti al cash and carry con i listini di vendita dei grossisti tradizionali è possibile quantificare, al netto delle iniziative promozionali, un differenziale di convenienza a favore dei cash and carry del 7%. Il posizionamento di convenienza dell’ingrosso a libero servizio risulta ancora più rilevante se nell’analisi comparativa si considerano le promozioni. In media si stima che i cash and carry si caratterizzino per una pressione promozionale del 27%, che nel caso dei grossisti tradizionali si attesta invece intorno 7 - 8%. Ne deriva un differenziale di convenienza totale del cash and carry rispetto all’ingrosso tradizionale pari al 12%, con punte del 15% nelle categorie a maggiore incidenza delle vendite promozionali (come quelle degli oli e dei condimenti). Un secondo punto di forza è rappresentato dall’ampiezza dell’assortimento. Infatti, a differenza dei grossisti tradizionali che in genere propongono gamme di prodotto specializzate, i cash and carry offrono un assortimento esteso alle varie categorie di prodotti freschi e confezionati, alimentari e non alimentari. Questo consente agli operatori del mercato foodservice di concentrare l’attività di acquisto di diversi prodotti in un’unica soluzione e di snellire le procedure amministrative. Il terzo punto di forza dell’ingrosso a libero a servizio è connesso alla possibilità offerta agli esercenti di contenere i costi di stoccaggio, realizzando acquisti anche in piccoli lotti, a differenza di altre fonti che prevedono in genere minimi di acquisto consistenti.

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Infine, non vanno dimenticati gli orari di apertura continuati e spesso estesi anche ai giorni festivi. Ciò si traduce nella possibilità di programmare la visita in relazione alla disponibilità di tempo e di far fronte ad eventuali emergenze di approvvigionamento non pianificate che i grossisti tradizionali potrebbero soddisfare con una consegna a domicilio che nella migliore delle ipotesi si realizza nel giro di 24 ore. Tra i punti di debolezza va invece, in primo luogo, ricordato che l’acquisto presso il cash and carry comporta l’investimento di risorse consistenti in termini di tempo e di mezzi, mentre i grossisti tradizionali offrono in genere la consegna a domicilio. Si stima che la spesa al cash and carry richieda in media l’investimento di 2 ore di tempo, considerando sia gli spostamenti che l’attività di acquisto vera e propria, oltre alla necessità di provvedere personalmente alle attività di carico e scarico della merce. Un ulteriore elemento di debolezza è connesso alla standardizzazione della proposta commerciale. Infatti, la profondità e varietà dell’offerta garantite per ogni categoria merceologica appaiono spesso insufficienti a supportare i processi di differenziazione dei pubblici esercizi. Peraltro, nei casi in cui il cash and carry proponga almeno su alcune categorie differenzianti (si pensi ai freschi e ai vini) una varietà di gamma particolarmente estesa, il prezzo tende a risultare meno conveniente. Infine, un ultimo punto di debolezza è riconducibile alla ridotta personalizzazione del rapporto che si traduce in un minor livello di assistenza/consulenza del personale di vendita rispetto a quello in genere offerto dall’ingrosso tradizionale.

Sulla scorta delle considerazioni avanzate può essere interessante tentare di quantificare il vantaggio economico complessivamente offerto dal cash and carry ai pubblici esercizi rispetto all’ingrosso tradizionale. Si è detto che l’acquisto presso il cash and carry si traduce in un differenziale di prezzo di acquisto comprensivo delle promozioni del 12%. Tuttavia, il ricorso al canale cash and carry comporta un impegno maggiore rispetto al grossista a domicilio. Secondo l’indagine Cermes (2006), i costi dell’attività di approvvigionamento presso il canale cash and carry (costo del personale per attività di acquisto, di trasporto e di movimentazione della merce, svalutazione degli automezzi, gestione dei mezzi, carburante, gestione amministrativa, maggiori costi finanziari) arrivano a rappresentare il 9,6% del valore degli approvvigionamenti (9,4% per i bar e 9,7% per i ristoranti). Nel caso di ricorso al grossista, la somma dei costi di contatto (tempo visita, spese telefoniche, ecc), dei costi amministrativi e dei maggiori costi logistici (area riserva, ecc.) non supera il 5,1% del valore complessivo degli approvvigionamenti (5,3% per i bar e 4,9% per i ristoranti). Per un paniere comparabile di prodotti, tenendo conto, da un lato, del posizionamento di prezzo dei due canali e, dall’altro, dei costi dell’attività di acquisto, è pertanto possibile stimare che il cash and carry goda rispetto all’ingrosso tradizionale di un differenziale positivo del costo netto d’acquisto del 7,5%.

Se, come visto, la decisione in merito alle fonti di approvvigionamento costituisce per i pubblici esercizi un’attività complessa in relazione all’ampiezza dei criteri alla base della scelta, nel caso del dettaglio tradizionale indipendente - un ulteriore segmento di clientela rilevante per il cash and carry – si ritiene che la stessa sia fondata su criteri in parte diversi e meno articolati. Infatti, secondo

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Lenci (2006), gli alimentaristi scelgono il canale dove effettuare gli acquisti soprattutto in base alla convenienza (prezzi competitivi e promozioni) e alla profondità dell’offerta, attribuendo minore importanza alla comodità e facilità di acquisto (tab. 2.4).

Tabella 2.4 - I criteri di scelta delle fonti di approvvigionamento dei pubblici

esercizi e del dettaglio tradizionale indipendente Criteri di scelta Ristoratori Bar Alimentaristi

Più importanti Vicinanza Orari di apertura Rapidità Parcheggio Assortimento

Vicinanza Posizione Parcheggio Assortimento

Orari d’apertura Prezzi bassi Promozioni Assortimento

Meno importanti Cortesia Promozioni

Prezzi bassi Vicinanza Rapidità

Fonte: Lenci, 2006 Dopo le considerazioni circa l’importanza relativa assunta dei cash and carry nel soddisfacimento delle esigenze di approvvigionamento di diverse tipologie di clientela rispetto ad altri canali, è utile ribaltare la prospettiva di analisi, valutando l’importanza che le diverse tipologie di clientela assumono per gli operatori dell’ingrosso a libero servizio. Come già anticipato, la fase di rivitalizzazione che sta vivendo il canale ha tra i principali vettori di successo la modificazione del peso dei diversi segmenti di clientela serviti. Si stima infatti che, negli ultimi dieci anni, l’incidenza delle vendite agli operatori del dettaglio tradizionale indipendente si sia fortemente ridimensionata, passando dal 55% del 1995 al 34% del 2005. A fronte di tale ridimensionamento, si è assistito ad un aumento più che proporzionale del contributo al fatturato degli operatori del mercato foodservice (dal 24% al 38%). Nello stesso periodo si è, peraltro, consolidata la quota di vendite realizzata con la clientela professionale. Il peso di tale tipologia di clientela sul fatturato è infatti passato da 21% al 28%. Occorre precisare che all’interno del mercato foodservice i segmenti che contribuiscono maggiormente allo sviluppo del giro d’affari dei cash and carry sono quelli dei ristoranti (che pesano per il 17% sulle vendite annuali) e dei bar (14%), mentre minore appare il contributo delle mense (5%) e degli alberghi (2%) (fig. 2.1). La ristorazione collettiva si rivolge infatti in modo saltuario ai cash and carry, per necessità impellenti e non continue riguardanti soprattutto alcune categorie merceologiche quali i freschi e il casalingo professionale.

L’importanza dei diversi segmenti di clientela per contributo al fatturato dell’ingrosso a libero servizio risulta tuttavia differenziata all’interno del paese. Infatti, nel Nord Italia l’importanza relativa delle diverse tipologie di clientela risulta in linea con la media italiana, anche se il contributo al giro d’affari degli operatori HO.RE.CA. è leggermente superiore al dato nazionale e quello dei dettaglianti tradizionali indipendenti lievemente al di sotto. Nel Sud Italia, la principale tipologia di clientela per incidenza sulle vendite è invece quella dei dettaglianti (39%), seguiti dagli operatori del mercato foodservice (35%). Inoltre,

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la percentuale di fatturato relativa agli utenti professionali (27%) si attesta su livelli inferiori a quelli del Nord (fig. 2.2).

Figura 2.1 - Il peso dei diversi segmenti di clientela sul fatturato dei cash and

carry (2005)

27,8%

2,0%

3,7%

13,8%

2,0%

17,2%

4,9%

negozianti

ambulanti

specialisti

bar

alberghi

ristoranti

comunità

professionali

33,7%

37,9%

28,4%

Fonte: indagine IRI su imprese associate ADIS

Figura 2.2 - Il peso dei diversi segmenti di clientela sul fatturato dei cash and carry per area geografica (2005)

Fonte: indagine IRI su imprese associate ADIS Le differenze Nord-Sud nella composizione della domanda dell’ingrosso a libero servizio possono trovare spiegazione, in primo luogo, nella diversa distribuzione a livello italiano dei pubblici esercizi (più diffusi nel Nord del paese) e del dettaglio indipendente (più presente al Sud) (tab. 2.5). Ciò a sua volta ha influito sulle strategie delle Insegne del canale che, nelle aree commercialmente più evolute

NORD SUD 25,4%

2,0%

3,6%

14,6%

1,8%

18,3%

4,9%

negozianti

ambulanti

specialisti

bar

alberghi

ristoranti

comunità

professionali

31,0%

39,6%

29,3%

31,8%

2,4%

3,9%

12,4%

2,4%

15,5%

4,8%

negozianti

ambulanti

specialisti

bar

alberghi

ristoranti

comunità

professionali

39,1%

35,1%

26,7%

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114

sotto il profilo sia della distribuzione grocery che degli esercizi HO.RE.CA., sono state incentivate ad orientare maggiormente l’offerta al soddisfacimento delle esigenze degli operatori del mercato foodservice, sviluppando formati con un assortimento completo di prodotti freschi e non food. Laddove il grado di modernizzazione del dettaglio grocery si attesta su livelli inferiori, le Insegne sono state per converso incentivate a continuare ad orientare l’offerta verso il segmento di clientela tradizionale della formula, ovvero quello degli alimentaristi.

La minore rilevanza degli operatori della ristorazione, ma anche degli utenti professionali, per contributo al fatturato dei cash and carry presenti nel Sud del paese trova quindi spiegazione anche nella limitata presenza di impianti all’ingrosso a libero servizio con un assortimento di prodotti freschi e non alimentari in grado di soddisfare compiutamente le esigenze di tali categorie di clienti (Lenci, 2006). Peraltro, l’ingresso di Metro nelle regioni meridionali, con lo sviluppo di un profilo di offerta che si discosta fortemente dalla media del mercato, è sostanzialmente recente e il livello di presidio non raggiunge quello del Nord Italia dove l’Insegna è leader per quota di superficie di vendita (§ 2.3).

Tabella 2.5 - Distribuzione regionale dei pubblici esercizi e del dettaglio

tradizionale indipendente (% su numerica) (*)

Regioni Ristoranti Bar Pubblci esercizi Dettaglio tradizionale

indipendente ABRUZZO 3,0% 2,4% 2,6% 2,6% BASILICATA 0,8% 0,9% 0,9% 1,5% CALABRIA 3,4% 2,8% 3,1% 5,4% CAMPANIA 8,4% 7,9% 8,1% 17,0% EMILIA ROMAGNA 7,3% 8,3% 7,9% 5,6% FRIULI VENEZIA GIULIA 2,8% 2,8% 2,8% 1,7% LAZIO 8,4% 8,6% 8,5% 8,0% LIGURIA 4,6% 4,1% 4,3% 3,8% LOMBARDIA 13,3% 17,7% 16,0% 3,1% MARCHE 2,7% 2,5% 2,6% 2,7% MOLISE 0,7% 0,6% 0,6% 0,9% PIEMONTE 7,6% 8,2% 8,0% 6,8% PUGLIA 6,2% 5,0% 5,5% 9,0% SARDEGNA 3,4% 3,6% 3,5% 4,8% SICILIA 5,2% 4,9% 5,0% 10,9% TOSCANA 8,3% 6,5% 7,2% 6,6% TRENTINO ALTO ADIGE 2,7% 2,2% 2,4% 1,5% UMBRIA 1,6% 1,3% 1,4% 1,5% VALLE D'AOSTA 0,6% 0,4% 0,5% 0,3% VENETO 9,0% 9,2% 9,2% 6,2% TOTALE ITALIA 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

(*) Pubblici esercizi: giugno 2006; Dettaglio tradizionale indipendente (minimercati indipendenti e negozi tradizionali): gennaio 2006

Fonte: C.S. Fipe su dati Cerved; Ministero dello Sviluppo Economico

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2.3. Formati di punti vendita e posizionamento competitivo delle insegne

Il cash and carry è un formato di punto vendita sviluppato da imprese che appartengono a diversi gruppi strategici:

- imprese mono canale: si tratta in particolare del leader di mercato Metro Italia; - imprese a succursale: costituite da aziende multicanale che operano nel cash

and carry con una struttura separata da quella del retail, centralizzata negli acquisti, che controlla una rete di punti di vendita di diversa dimensione in gestione diretta o in affiliazione (si pensi a Gross Market di Lombardini e a Docks Market di Carrefour);

- unioni volontarie e gruppi di acquisto: anch’essi multicanale ma, a differenza delle imprese a succursale, formati da imprenditori che operano nei diversi canali con promiscuità (si pensi a Selex e Interdis).

Le aziende commerciali attive nel canale cash and carry presentano pertanto portafogli prodotti di diversa ampiezza e diversamente equilibrati come distribuzione della superficie e del fatturato. Il diverso posizionamento delle Insegne in funzione della dimensione (fatturato dei punti vendita moderni) e della struttura dell'offerta (incidenza dei canali) può essere osservato in figura 2.3. E’ opportuno sottolineare che la multicanalità riduce in genere la trasparenza nei rapporti verticali e rende ancora più necessaria la condivisione del patrimonio informativo, specialmente per i fornitori che intendono differenziare i formati di prodotto e la politica di vendita per forma distributiva.

La tabella 2.6 evidenzia la struttura dell’offerta all’interno del canale per gruppo strategico, sottolineando le differenze esistenti tra i cash and carry della distribuzione organizzata - presenti maggiormente al Sud e con dimensioni di punto vendita mediamente più contenute - e quelli della grande distribuzione - caratterizzati da superfici di vendita di maggiori dimensioni e una localizzazione che privilegia le aree commercialmente più evolute sia sotto il profilo della distribuzione grocery che degli esercizi HO.RE.CA. -.

Scendendo a livello delle singole imprese che presidiano il canale, la tabella 2.7 riporta informazioni relative alla struttura in numerica, alla quota di mercato, alla superficie complessiva e media delle singole Insegne. La quota di mercato è calcolata facendo riferimento sia alla superficie che al potenziale di vendita grocery. Quest’ultima è una stima della quota di vendita dell’Insegna ed è determinata attraverso il giro d’affari dei prodotti grocery (drogheria alimentare, bevande, fresco, freddo, petfood, cura casa, cura persona) a peso calibrato di ciascun punto vendita. La tabella riporta anche indicazioni in merito alla deviazione standard della superficie. Si tratta di una misura del livello di omogeneità della rete delle Insegne, in quanto indica lo scostamento della superficie di vendita rispetto alla media: quando tale valore è più alto della media i punti vendita sono disomogenei e il perseguimento di una strategia di marca

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Insegna è, in genere, più debole12. I dati riportati in tabella sottolineano come sul piano competitivo il comparto dei cash and carry in Italia sia fortemente concentrato, con una quota di mercato del leader (Metro) superiore al 20% e al 35% con riferimento rispettivamente alla superficie e al potenziale di vendita grocery. I primi due gruppi aziendali arrivano a coprire quasi il 50% del mercato di riferimento, mentre la quota di vendita cumulata dei primi cinque gruppi aziendali risulta prossima al 70%. Emerge inoltre come la leadership di Metro risulti fondata su un profilo di offerta che tende a discostarsi profondamente dalla media di mercato, considerato che la dimensione degli impianti (mediamente 8.000 metri quadrati) risulta più che doppia rispetto a quella dei punti vendita dei principali competitor.

12 In altri termini la deviazione standard della superficie è sicuramente un indicatore

dell’omogeneità/disomogeneità della rete, ma non necessariamente della difficoltà di perseguire una forte strategia di marca Insegna. Nel caso di Metro per esempio la deviazione standard superiore alla media è legata allo sviluppo di diversi format, che godono tuttavia di un chiaro posizionamento di mercato.

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Figura 2.3 - Dimensione del fatturato e composizione dell’offerta per canali (quota di fatturato e superficie) delle Insegne con punti vendita all’ingrosso a libero servizio (2005)

Fonte: elaborazioni su dati aziendali

31

9

11

17

4

5

14

40

43

43

50

27

44

44

28

42

10

17

2

5

32

11

6

13

14

3

6

4

100

23

21

24

100

22

25

15

28

68

44

33

14

10

GS-CARREFOUR (6.591)

INTERDIS (6.470)

SELEX (6.425)

DESPAR (3.440)

CRAI (2.700)

SIGMA (2.300)

METRO (2.180)

CORALIS (1.680)

GRUPPO LOMBARDINI (1.615)

AGORA' (1.327)

MARR (76)

Ipermercat i Supermercat i Discount Cash&Carry Alt r i canali

Composizione percentuale della superficie di vendita moderna

Dimensione delle imprese (fatturato in milioni)

42

11

19

20

5

8

18

41

44

49

45

37

50

48

32

49

9

9

2

3

31

9

5

7

12

3

7

3

100

23

16

16

100

13

29

11

30

56

39

29

13

8

GS-CARREFOUR (6.591)

INTERDIS (6,470)

SELEX (6.425)

DESPAR (3.440)

CRAI (2.700)

SIGMA (2.300)

METRO (2.180)

CORALIS (1.680)

GRUPPO LOMBARDINI (1.615)

AGORA' (1.327)

MARR (76)

Ipermercat i Supermercat i Discount Cash&Carry Alt r i canali

Composizione percentuale del fatturato dell’offerta moderna

Dimensione delle imprese (fatturato in milioni)

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Tabella 2.6 - Numerica, superficie e quota nella forma distributiva del cash and carry per gruppo strategico (2005)

Unioni volontarie e Gruppi di acquisto Imprese mono canale e a succursale

Numerica Quota nella forma distributiva (numerica)

Superficie media Numerica

Quota nella forma distributiva (numerica)

Superificie media

NORD-OVEST 57 20% 3.732 34 40% 6.096NORD-EST 67 24% 2.776 26 30% 5.700CENTRO+SARDEGNA 52 19% 3.359 17 20% 6.025SUD 103 37% 3.515 9 10% 5.394Totale ITALIA 279 100% 3.353 86 100% 5.889

Fonte: elaborazioni su dati IRI

Tabella 2.7 - Numerica, superficie e quota nella forma distributiva del cash and carry per Insegna (2005)

Quota nella forma distributiva (%) Insegne Numero

Superficie totale (mq food e non food) SUPERFICIE

POTENZIALE GROCERY

Superficie media (mq food e non food)

Deviazione standard superficie (mq)

Metro 38 304.761 21,1% 35,9% 8.020 Selex 75 202.596 14,1% 13,6% 2.700 Interdis 50 189.875 13,2% 8,0% 3.800 Coralis 30 124.950 8,7% 6,2% 4.160 Indipendenti 27 79.157 5,5% 5,8% 2.930 C3 22 96.340 6,7% 5,0% 4.380 Gs-Carrefour 14 48.057 3,3% 4,8% 3.430 Agora' 19 83.950 5,8% 4,3% 4.420 Lombardini 19 81.722 5,7% 3,3% 4.300 Crai 10 24.490 1,7% 2,2% 2.450 Conad 15 53.265 3,7% 2,1% 3.550 Sigma 14 44.620 3,1% 2,0% 3.190 Sisa 9 12.931 0,9% 1,5% 1.440 Despar 6 28.467 2,0% 1,4% 4.740 Sun 4 22.196 1,5% 1,1% 5.550 Marr 4 17.760 1,2% 1,0% 4.440 Codist 6 12.500 0,9% 0,9% 2.080 Aligros 2 10.800 0,7% 0,7% 5.400 Auchan -Sma 1 3.500 0,2% 0,2% 3.500 Totale 365 1.441.937 100,0% 100,0% 3.951 2.602

Fonte: elaborazioni su dati IRI

All’interno della forma distributiva, la produttività espressa dalla vendite per metro quadrato di superficie può dipendere da una serie di fattori:

- la dimensione dell'azienda e le azioni di marketing sviluppate; - la dimensione dei punti vendita, in quanto al crescere della superficie di

vendita la produttività aumenta a seguito delle economie di scala nell’utilizzo dei fattori produttivi e dell’ampliamento dell’assortimento e, di conseguenza, del livello di attrattività del punto vendita;

- il livello competitivo nelle aree territoriali presidiate.

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Con riferimento al canale cash and carry, le determinanti più significative della produttività appaiono essere le caratteristiche del mercato e la performance competitiva dell'azienda, dal momento che non sembra sussistere - come si può constatare dalla figura 2.4 dove la produttività delle insegne è rapportata alla superficie media dei punti vendita - un rapporto diretto tra dimensione del punto vendita e vendite al metro quadrato.

Figura 2.4 - Posizionamento delle Insegne nel canale cash and carry per produttività e

dimensione media degli impianti (2005)

Fonte: elaborazioni su dati IRI

Il potere di mercato ed il potere contrattuale delle singole Insegne dipende anche dalla concentrazione territoriale delle vendite. La concentrazione territoriale degli impianti di vendita è vantaggiosa poiché, a parità di quantità acquistata, il potere contrattuale del distributore cresce con il crescere della ponderata in una determinata area; maggiore è la ponderata d’area e più importante è il distributore per il fornitore che deve raggiungere il mercato finale. Occorre sottolineare che il potere di mercato dipende maggiormente dalla quota d'offerta detenuta nell'area/regione, mentre il potere contrattuale è più sensibile alla dimensione globale dell'impresa. A parità di dimensione, l'impresa che ha un fatturato più concentrato sul piano territoriale dispone di maggiore potere contrattuale nei confronti dei fornitori di marca. Nelle tabelle 2.8 e 2.9, i distributori sono posizionati in funzione rispettivamente della quota di superficie e della quota di potenziale di vendita grocery detenute nelle diverse aree territoriali. I valori riportati evidenziano il posizionamento di Metro come leader indiscusso del canale in tutte le ripartizioni geografiche del paese - sia per quota della superficie d’area sia per quota del potenziale grocery d’area -, con la sola eccezione del Sud. Nelle regioni meridionali è infatti Interdis a qualificarsi come primo gruppo, concentrando il 28% della superficie di vendita e il 21,5% delle vendite del largo consumo confezionato. I livelli di concentrazione appaiono differenziati per ripartizione geografica; infatti le prime due Insegne nel Nord Ovest coprono oltre il 50% del potenziale del canale, mentre al Sud non raggiungono il 30%. Nelle medesime tabelle è altresì possibile rilevare per ciascuna Insegna la ripartizione rispettivamente della superficie complessiva e del potenziale di vendita grocery

M e d i a

G R U P P O LO M B A R D IN IA GO R A '

IN T ER D IS

C O R A LIS

S IGM A

C R A I

S ELEX

M A R R

D ES P A R

GS - C A R R EFOU R

M ET R O

2.200

3.050

3.900

4.750

5.600

6.450

2.700 3.200 3.700 4.200 4.700 5.200 5.700 6.200 6.700 7.200 7.700

VEN

DIT

E/M

Q

SUPERFICIE MEDIA (MQ)

M e d i a

G R U P P O LO M B A R D IN IA GO R A '

IN T ER D IS

C O R A LIS

S IGM A

C R A I

S ELEX

M A R R

D ES P A R

GS - C A R R EFOU R

M ET R O

2.200

3.050

3.900

4.750

5.600

6.450

2.700 3.200 3.700 4.200 4.700 5.200 5.700 6.200 6.700 7.200 7.700

VEN

DIT

E/M

Q

SUPERFICIE MEDIA (MQ)

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120

totale tra le diverse aree territoriali. Nel caso di Metro emerge, per esempio, come oltre il 50% sia della superficie complessiva che delle vendite di prodotti del largo consumo confezionato siano realizzate nel Nord Italia e, per converso, la bassa incidenza delle regioni meridionali, dove si concentreranno i programmi di sviluppo della rete nei prossimi anni con l’obiettivo di completare la copertura del territorio. Nel caso di Interdis emerge invece il forte presidio del Sud, dove il gruppo concentra oltre il 60% della superficie di vendita e realizza oltre il 75% delle proprie vendite.

Nelle tabelle 2.10 – 2.16, le Insegne del canale cash and carry sono posizionate in funzione della superficie di vendita e del potenziale di vendita grocery in alcune regioni del paese. In particolare, in Lombardia lo specialista di formato (Metro) evidenzia una quota di mercato di poco inferiore al 45% e i primi cinque gruppi una quota di vendita cumulata prossima al 75% (tab. 2.10).

Come noto (Lugli, 1998), l’innovazione di prodotto all’interno di un canale ha lo scopo di mantenere nel tempo la promise dell’Insegna e di fidelizzare la clientela, le cui esigenze non sono stabili, ma soggette ad evoluzione nel corso del tempo. Il potenziale di innovazione varia da canale a canale, ma è elevato anche in canali relativamente stabili come l’hard discount ed il cash and carry. Lo sviluppo di nuovi format di cash and carry può essere così connesso alla perdita di competitività dei punti vendita nel tempo (la cosiddetta store erosion) e alla conseguente necessità di ristrutturare gli impianti obsoleti, oppure può rientrare in una strategia di sviluppo dell’impresa, la quale sceglie di focalizzare maggiormente la propria offerta verso specifici segmenti di clientela. Quando l’obiettivo della strategia di sviluppo è un aumento della penetrazione si assiste alla sostituzione del nuovo formato al vecchio, mentre quando lo scopo è una maggiore copertura del mercato si verifica una proliferazione dei punti vendita con un allargamento della gamma dei formati. La differenziazione dell’offerta in funzione della domanda è quindi perseguita dalle aziende che operano nella formula del cash and carry, articolando, da un lato, i formati di punto vendita in modo da soddisfare compiutamente i bisogni e i desideri della clientela target e, dall’altro, innovando i servizi pre, durante e post vendita. Le potenzialità di crescita delle Insegne orientate al soddisfacimento dei bisogni di approvvigionamento del mercato HO.RE.CA. risultano, per esempio, connesse non solo all’aumento della presenza territoriale degli impianti al fine di ridurre i costi logistici e di tempo dell’attività di spesa, ma anche (Fornari, 2006):

- al rafforzamento del livello di personalizzazione del rapporto con la

clientela con l’obiettivo di soddisfare al meglio le specifiche esigenze di servizio;

- all’aumento del livello di servizio offerto, in particolare ai clienti più importanti, arrivando a concedere servizi di consegna a domicilio e finanziamenti per l’acquisto delle attrezzature di vendita;

- alla differenziazione dei contenuti della proposta assortimentale in relazione a specificità e tradizioni locali agevolando i processi di differenziazione competitiva dei vari formati di ristorazione.

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Tabella 2.8 - Quota di superficie detenuta dalle Insegne del canale cash and carry per area territoriale (2005)

Quota della superficie d'area Insegne A1.NORD-OVEST A2.NORD-EST A3.CENTRO A4.SUD Totale

Metro 24,4% 29,9% 22,3% 9,9% 21,1% Selex 12,9% 25,9% 11,0% 7,6% 14,1% Interdis 7,5% 1,6% 13,7% 28,0% 13,2% Coralis 1,4% 4,3% 4,4% 22,5% 8,7% C3 7,7% 5,2% 9,1% 5,2% 6,7% Agora' 13,2% 6,8% 2,2% 5,8% Lombardini 7,9% 6,4% 9,7% 5,7% Indipendenti 2,1% 6,0% 1,9% 11,0% 5,5% Conad 1,4% 17,0% 3,7% Gs-Carrefour 9,1% 1,1% 1,7% 0,4% 3,3% Sigma 3,8% 4,6% 2,1% 1,8% 3,1% Despar 2,9% 0,4% 3,1% 1,5% 2,0% Crai 1,2% 0,7% 4,5% 1,7% Sun 4,3% 1,2% 1,5% Marr 0,0% 5,3% 1,2% Sisa 3,1% 0,9% Codist 0,7% 0,9% 1,7% 0,9% Aligros 2,6% 0,7% Auchan -Sma 0,8% 0,2% Totale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Quota della superficie d'area Insegne A1.NORD-OVEST A2.NORD-EST A3.CENTRO A4.SUD Totale

Metro 33,6% 32,8% 20,3% 13,3% 100,0% Selex 26,7% 42,8% 15,1% 15,5% 100,0% Interdis 16,6% 2,9% 20,0% 60,5% 100,0% Coralis 4,6% 11,6% 9,8% 73,9% 100,0% C3 33,5% 18,1% 26,1% 22,3% 100,0% Agora' 65,9% 27,0% 7,1% 100,0% Lombardini 40,6% 26,3% 33,1% 100,0% Indipendenti 11,0% 25,3% 6,7% 57,0% 100,0% Conad 11,4% 88,6% 100,0% Gs-Carrefour 79,1% 7,4% 10,0% 3,5% 100,0% Sigma 36,0% 34,2% 12,9% 16,9% 100,0% Despar 42,2% 5,3% 30,6% 22,0% 100,0% Crai 16,3% 8,2% 75,5% 100,0% Sun 82,0% 18,0% 100,0% Marr 100,0% 100,0% Sisa 100,0% 100,0% Codist 24,0% 20,0% 56,0% 100,0% Aligros 100,0% 100,0% Auchan -Sma 100,0% 100,0% Totale 29,1% 23,2% 19,2% 28,5% 100,0%

Fonte: elaborazioni su dati IRI

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Tabella 2.9 - Quota di vendita detenuta dalle Insegne del canale cash and carry per area territoriale

Quota di potenziale grocery d’area (2005) Insegne

A1.NORD-OVEST A2.NORD-EST A3.CENTRO A4.SUD Totale Metro 39,5% 47,8% 40,3% 19,2% 35,9% Selex 15,6% 23,4% 7,5% 6,9% 13,6% Interdis 2,6% 0,6% 5,6% 21,5% 8,0% Coralis 0,7% 3,9% 3,9% 15,5% 6,2% Indipendenti 0,8% 3,2% 3,1% 14,9% 5,8% C3 4,0% 3,4% 9,3% 4,9% 5,0% Gs-Carrefour 12,7% 0,5% 4,3% 0,5% 4,8% Agora' 8,7% 4,4% 3,3% 4,3% Lombardini 5,4% 2,7% 5,9% 3,3% Crai 2,6% 1,5% 4,6% 2,2% Conad 0,6% 11,4% 0,0% 2,1% Sigma 2,1% 3,2% 2,1% 0,7% 2,0% Sisa 5,4% 1,5% Despar 2,5% 0,2% 0,9% 1,4% 1,4% Sun 3,6% 0,1% 1,1% Marr 4,0% 1,0% Codist 0,7% 0,8% 2,0% 0,9% Aligros 2,4% 0,7% Auchan -Sma 0,5% 0,2% Totale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Quota di potenziale grocery d’area Insegne A1.NORD-OVEST A2.NORD-EST A3.CENTRO A4.SUD Totale

Metro 33,3% 32,4% 19,1% 15,1% 100,0% Selex 34,5% 41,8% 9,3% 14,3% 100,0% Interdis 9,8% 1,7% 12,0% 76,4% 100,0% Coralis 3,5% 15,3% 10,7% 70,5% 100,0% Indipendenti 4,3% 13,3% 9,2% 73,2% 100,0% C3 24,1% 16,5% 31,8% 27,6% 100,0% Gs-Carrefour 79,6% 2,5% 15,0% 2,9% 100,0% Agora' 61,9% 24,9% 13,2% 100,0% Lombardini 49,4% 20,2% 30,4% 100,0% Crai 29,0% 11,5% 59,5% 100,0% Conad 8,9% 91,1% 100,0% Sigma 31,8% 39,8% 17,8% 10,6% 100,0% Sisa 100,0% 100,0% Despar 54,9% 3,9% 11,3% 29,9% 100,0% Sun 98,1% 1,9% 100,0% Marr 100,0% 100,0% Codist 23,3% 14,5% 62,2% 100,0% Aligros 100,0% 100,0% Auchan -Sma 100,0% 100,0% Totale 30,3% 24,4% 17,0% 28,3% 100,0%

Fonte: elaborazioni su dati IRI

In tale prospettiva vanno letti anche i comportamenti innovativi relativi all’utilizzo dei volantini promozionali - differenziati per target cliente e volti a comunicare non solo i prodotti in offerta e i servizi del punto vendita, ma anche l’introduzione in assortimento di articoli innovativi o a fornire consigli per la preparazione dei piatti e la formazione dei prezzi delle singole porzioni -, e alla costruzione di cataloghi a tema. Questi ultimi vengono distribuiti in periodi dell’anno importanti per l’attività commerciale dei clienti (cataloghi specializzati legati al Natale o alla Pasqua) o a cadenze periodiche trattando in profondità una determinata categoria assortimentale (caviale, rum, carni, birre, ecc.).

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Tabella 2.10 - Potere contrattuale e potere di mercato in Lombardia (2005)

Insegne Superficie totale (mq food e non food) Quota nell’area (%) Potenziale di vendita (%) Metro 62.610 25,3% 43,1% Lombardini 33.209 13,4% 10,9% Selex 15.200 6,2% 7,8% Sun 18.200 7,4% 7,2% Gs-Carrefour 6.981 2,8% 5,3% Interdis 31.475 12,7% 5,3% Despar 12.000 4,9% 5,0% C3 22.800 9,2% 4,7% Sigma 14.350 5,8% 3,1% Agora' 8.000 3,2% 2,7% Indipendenti 8.730 3,5% 1,7% Coralis 5.800 2,3% 1,5% Auchan -Sma 3.500 1,4% 1,1% Conad 4.265 1,7% 0,7%

Totale 247.120 100,0% 100,0% (14,9%) Fonte: elaborazioni su dati IRI

Di particolare interesse è in tal senso il caso Metro, il cui portafoglio formati si articola in (tab. 2.17):

- Classico, punti vendita localizzati principalmente nelle grandi aree metropolitane, caratterizzati da un assortimento food e non food distribuito su due piani;

- Junior, punti vendita localizzati in città di medie dimensioni con un bacino d’utenza potenziale di 15.000 clienti con partita IVA, caratterizzati da un assortimento alimentare e non alimentare distribuito su un piano13;

- Eco, punti vendita localizzati principalmente in città con un potenziale massimo di 10.000 clienti con partita IVA, caratterizzati da un assortimento food e non food distribuito su un piano e una superficie di vendita più ridotta (in media 4.200 mq) rispetto agli altri formati, consentendo una sostanziale riduzione del personale e, di conseguenza, dei costi di gestione.

13 Metro Italia importò il format dalla Francia. Il secondo punto vendita aperto in Italia, ovvero

quello di Parma, presentava soluzioni innovative rispetto al primo Junior di Pisa, le quali furono poi implementate nelle successive aperture anche di punti vendita Classici. A Parma infatti, per la prima volta in Italia, Metro decise di adottare la libera circolazione dei clienti all’interno del punto vendita, per evitare alla clientela l’obbligo di fatturare prima in un settore e poi nell’altro e quindi velocizzarne gli acquisti.

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Tabella 2.11 - Potere contrattuale e potere di mercato in Veneto (2005)

Insegne Superficie totale (mq food e non food) Quota nell’area (%) Potenziale di vendita (%) Metro 33.648 33,4% 40,8% Selex 45.935 45,6% 40,5% Sigma 7.300 7,3% 6,9% Crai 2.000 2,0% 4,6% Indipendenti 3.020 3,0% 2,8% Lombardini 2.566 2,5% 1,5% Interdis 3.500 3,5% 1,2% C3 2.700 2,7% 1,7%

Totale 100.669 100,0% 100,0% (7,7%)

Fonte: elaborazioni su dati IRI

Tabella 2.12 - Potere contrattuale e potere di mercato in Emilia Romagna (2005)

Insegne Superficie totale (mq food e non food) Quota nell’area (%) Potenziale di vendita (%) Metro 41.790 25,1% 47,6% Selex 35.370 21,2% 18,3% Agora' 22.650 13,6% 8,2% Marr 17.760 10,7% 7,6% Coralis 14.500 8,7% 7,4% Indipendenti 9.095 5,5% 3,5% Crai 2.000 1,2% 2,2% Sigma 7.950 4,8% 2,0% Lombardini 9.815 5,9% 2,0% Gs-Carrefour 3.574 2,1% 0,9% Interdis 2.000 1,2% 0,3%

Totale 166.504 100,0% 100,0% (12,9%)

Fonte: elaborazioni su dati IRI

Tabella 2.13 - Potere contrattuale e potere di mercato in Lazio (2005)

Insegne Superficie totale (mq food e non food) Quota nell’area (%) Potenziale di vendita (%) Metro 30.625 31,1% 48,6% C3 22.300 22,6% 23,4% Coralis 5.750 5,8% 8,3% Conad 14.000 14,2% 7,6% Selex 10.100 10,3% 5,7% Interdis 7.000 7,1% 3,7% Despar 8.700 8,8% 2,7%

Totale 98.475 100,0% 100,0% (5,7%)

Fonte: elaborazioni su dati IRI I format Classico e Junior rispondono alle esigenze di un target allargato appartenente ai settori HO.RE.CA., retail e ufficio, mentre il format Eco è dedicato esclusivamente ai professionisti del settore alimentare, retail ma soprattutto HO.RE.CA. Conseguentemente, l’assortimento non alimentare è limitato alle merceologie di interesse per tali segmenti di clientela quali l’abbigliamento, il casalingo e l’arredo.

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Tabella 2.14 - Potere contrattuale e potere di mercato in Campania (2005)

Insegne Superficie totale (mq food e non food) Quota nell’area (%) Potenziale di vendita (%) Interdis 50.500 35,9% 29,6% Coralis 28.800 20,5% 17,7% Indipendenti 20.310 14,4% 16,9% Metro 7.808 5,5% 16,1% Selex 20.240 14,4% 7,7% Sisa 7.136 5,1% 6,4% C3 4.200 3,0% 3,9% Codist 1.800 1,3% 1,6%

Totale 140.794 100,0% 100,0% (16,6%)

Fonte: elaborazioni su dati IRI

Tabella 2.15 - Potere contrattuale e potere di mercato in Sicilia (2005)

Insegne Superficie totale mq food e non food) Quota nell’area (%) Potenziale di vendita (%) Crai 9.360 16,5% 29,4% Metro 7.546 13,3% 20,9% Interdis 24.200 42,8% 16,6% Despar 5.067 9,0% 12,5% Indipendenti 2.800 4,9% 8,4% Codist 2.000 3,5% 4,5% C3 2.600 4,6% 4,1% Coralis 3.000 5,3% 3,4%

Totale 56.573 100,0% 100,0% (2,9%)

Fonte: elaborazioni su dati IRI

Tabella 2.16 - Potere contrattuale e potere di mercato in Sardegna (2005)

Insegne Superficie totale (mq food e non food) Quota nell’area (%) Potenziale di vendita (%) Metro 7.932 28,6% 57,8% Lombardini 11.799 42,5% 18,2% Crai 2.000 7,2% 9,1% Sigma 2.000 7,2% 7,5% Conad 4.000 14,4% 7,4% Totale 27.731 100,0% 100,0%

Fonte: elaborazioni su dati IRI Al fine di soddisfare le esigenze delle diverse categorie di clienti, Metro ha poi sviluppato linee di prodotto a marca commerciale differenziate: Columbus per i bar, Metro Quality per ristoranti, alberghi e comunità e diverse marche private per la clientela retail (es. Dell’Angelo per i prodotti alimentari, Natura Verde per le conserve, Twist per le caramelle). Con un posizionamento qualitativo elevato ed un prezzo mediamente inferiore del 20% rispetto alla marca industriale, Columbus si rivolge a clienti che ricercano, oltre alla convenienza, un prodotto di qualità e dal packaging curato. Gli elementi caratterizzanti la linea Metro Quality sono invece la garanzia di qualità e di praticità, con un packaging che garantisce, in aggiunta alle funzioni di base, la facilità d’uso e di riuso del prodotto. Infine, le marche commerciali di fantasia dedicate agli alimentaristi affiancano ad un livello qualitativo in linea con quello del leader industriale un prezzo competitivo (Cristini, 2006). La soddisfazione della clientela è peraltro perseguita attraverso:

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- l’introduzione di servizi di prenotazione telefonica per carne, pesce ed ortofrutta;

- il ricorso ad orari d’apertura continuati, fino a 16 ore al giorno, e ad aperture domenicali;

- l’introduzione di servizi ristorazione e bar interni alle strutture; - la presenza di parcheggi riservati e gratuiti, spesso coperti per agevolare le

operazioni di carico; - la possibilità di consegna a domicilio (per grandi elettrodomestici e per

merce ingombrante); - l’ampliamento degli strumenti di pagamento e finanziamento; - l’attenzione ai prodotti locali, tipici e tradizionali (circa il 20%

dell’assortimento è costituito da tipicità locali).

Tabella 2.17 - Il portafoglio formati Metro CLASSICO JUNIOR ECO Food Non food Food Non food Food Non food

12.100 8.500 4.200 Superficie di vendita media (mq) 4.500 7.600 4.000 4.500 3.500 700 Parcheggio (mq) 28.000 14.000 3.500 Numero dipendenti 180 100 50 Orario Lunedì-Venerdì 6:00 – 22:00 7:00 – 21:00 7:00 – 19:00 Orario Sabato 8:00 – 21:00 7:00 – 21:00 7:00 – 17:00 Orario Domenica 9:00 – 20:00 9:00 – 20:00 8:00 – 13:00 Ingressi 2 2 1

Va inoltre sottolineato come l’utilizzo di tecnologie di datawarehousing e business intelligence abbia consentito a Metro di raggruppare la clientela in cluster in base a parametri comportamentali quali fedeltà, frequenza d’acquisto e sensibilità alle promozioni permettendole di raggiungere un duplice obiettivo:

- migliorare la comunicazione differenziandola per tipologia di

cliente14;modificare l’assortimento in base alle differenti esigenze d’acquisto manifestate dai diversi cluster.

14 Oltre alla comunicazione promozionale mirata ai diversi target clienti attraverso i volantini

MetroPost dedicati (HO.RE.CA., Retail, Non Food) e i cataloghi, Metro negli anni ha sviluppato diverse iniziative comunicazionali innovative al fine di fidelizzare la propria clientela.

Per esempio, al fine di stringere legami con il commercio ambulante soprattutto nel non food, Metro ha sponsorizzato la prima edizione di Com.Amb. In occasione della rassegna Vinitaly, l’insegna ha invece allestito, in uno stand di 500 metri quadrati, una cantina identica a quella dei cash con un assortimento di 600 etichette, offrendo degustazioni assistite da sommellier Ais. L’operazione sottendeva l’importanza che l’Insegna attribuisce al reparto, che rappresenta il 6% delle vendite di un magazzino, con una crescita negli ultimi anni del 12%. Un’ulteriore iniziativa, destinata a dettaglianti alimentari indipendenti ma anche ai buyer della Gdo nonché al personale di cucina dei pubblici esercizi, è stata realizzata in occasione di Cibus. Il progetto consisteva in una serie di seminari di formazione titolato “i vecchi mestieri” dove in un’area dedicata sono stati approfonditi sei temi guida quali l’utilizzo degli attrezzi da banco, gli aspetti igienico-sanitari, la mise en place del banco gastronomia, quindi la gestione e la conoscenza più approfondita di un serie di prodotti base (grana Dop, San Daniele e Parma, il salmone selvaggio, ecc.). E’ anche possibile ricordare una recente operazioni di street marketing, basata sull’offerta gratuita di soluzioni consulenziali a titolari e gestori di punti vendita per ridisegnare il layout del negozio e

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La disponibilità di database clienti che coprono la totalità della clientela attiva rappresenta uno dei principali punti di forza per il cash and carry, anche nell’ambito della concorrenza con il canale retail (§ 2.4), che si deve invece dotare di card per conoscere il comportamento d’acquisto dei propri clienti e per poter comunicare con loro in modo mirato. L’attivazione di strategie di micromarketing può portare a incrementi di fatturato significativi per il cash and carry, essendo le potenzialità di fatturato del singolo cliente alimentarista o HO.RE.CA. assai elevate. Inoltre, rispetto al canale retail, il processo di sviluppo di azioni di micromarketing risulta più semplice in quanto i cluster di domanda sono più omogenei e la numerica dei clienti più contenuta (Santambrogio, 2002; Lenci, 2006). Con un database che copre il 100% della clientela aumentano anche le possibilità di svolgere attività di CRM con i fornitori (si pensi alle promozioni dedicate a specifici cluster di clientela), incrociando le competenze delle imprese produttrici con il patrimonio informativo della distribuzione.

Alcune aziende attive nel canale sono al momento impegnate in un processo teso a dare maggiore identità all’Insegna. Ciò vale in particolare per le imprese della distribuzione organizzata, ma anche per alcune aziende della grande distribuzione. In particolare, il gruppo Lombardini ha come obiettivo, per i prossimi anni, il riordino e la caratterizzazione del canale cash and carry al fine di dare una logica di catena a strutture attualmente diverse per dimensioni, assortimenti e livello di servizio essendo il risultato di una crescita per sviluppo diretto in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia e per acquisizione nelle Marche e in Sardegna. Il nuovo format di cash and carry del Gruppo si svilupperà su una superficie media di 5.550 metri quadrati, mentre l’assortimento tipo sarà costituito da 15.000 referenze (7.500 food secco, 3.500 freschi e freschissimi, 4.000 non food), delle quali 3.500 destinate specificatamente ai clienti foodservice. Inoltre, l’acronimo GM, utilizzato per i prodotti a marchio privato, sostituirà gradualmente l’insegna Gross Market.

E’ infine importante ricordare come le performace competive delle Insegne presenti nel canale siano condizionate dalle soluzioni adottate sul piano organizzativo e logistico. La ricerca di maggiori livelli di efficienza ha indotto per esempio Metro a sviluppare un progetto strategico basato sull’Electronic Data Interchange (E.D.I.), ovvero lo scambio fra i sistemi informativi di aziende diverse attraverso una rete di telecomunicazioni di documenti commerciali strutturati secondo standard concordati. L’E.D.I. mira alla collaborazione e cooperazione con i fornitori e costituisce la base per ottimizzare il processo di gestione e distribuzione dei prodotti, consentendo di rimuovere costi ed inefficienze dei processi del ciclo attivo e passivo (ordini, conferme, avvisi di spedizione, fatture passive). E’ così possibile ottenere:

- efficienza della supply chain mediante l’allineamento delle anagrafiche

degli articoli e la riduzione dei rischi di errore negli ordini, la riduzione del lead time del processo di ordinazione, la diminuzione dei costi di

studiare il miglior assortimento in relazione alle caratteristiche del bacino d’utenza. Un truk ha così girato l’Italia per 74 giorni, con tecnici e attrezzature informatiche atte a visualizzare in tempo reale consistenza e risultati dell’operazione di consulenza.

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trasmissione e ricezione dei documenti, il miglioramento del servizio (i dati sono spediti e ricevuti nei tempi richiesti) e dell’efficienza (il processo di scambio diventa monitorabile, i dati si scambiano in ambiente sicuro e senza errori, si ottimizza il processo di scambio);

- riduzione dei costi amministrativi mediante il risparmio dei tempi necessari per l’inserimento manuale delle informazioni, la riduzione degli errori, la riduzione dei costi di elaborazione dei documenti, la sensibile riduzione dell’uso di supporti cartacei e del numero delle fatture con differenze.

Da luglio 2005 tutti i nuovi fornitori di Metro Italia devono essere disponibili a scambiare messaggi E.D.I. e l’azienda non intende più effettuare ordini via fax ai fornitori attivabili in E.D.I. a partire da gennaio 200715.

2.4. Competizione con la grande distribuzione organizzata grocery

La mobilità dei clienti target del cash and carry tra i diversi canali di approvvigionamento è causa ed effetto della concorrenza tra l’ingrosso a libero servizio e le imprese di altri settori che riforniscono la medesima tipologia di clientela. L’intensità dell’intertype competition si è in particolare rafforzata con riferimento alla clientela del mercato foodservice; si assiste infatti ad una crescente competizione per la conquista e la fidelizzazione di tale categoria di operatori tra cash and carry e moderna distribuzione al dettaglio. La carenza di altre modalità di approvvigionamento, l’emissione della fattura solo su richiesta e lo sfruttamento di occasioni promozionali sono infatti fattori che spingono l’operatore HO.RE.CA. ad approvvigionarsi presso ipermercati e supermercati. Il ricorso a tale fonte è stato in passato di tipo occasionale e speculativo, ma tende sempre più a crescere, anche a seguito delle strategie implementate dalla grande distribuzione moderna grocery per ampliare il proprio mercato obiettivo. Per quest’ultima, la crescita dei consumi extradomestici rappresenta infatti un’opportunità e in tale senso vanno lette le azioni rivolte al cliente intermedio per indurlo ad approvvigionarsi nei punti vendita al dettaglio. Tale obiettivo può essere perseguito (Lugli, 2004):

- attraverso la manovra della leva assortimentale, inserendo prodotti

diretti specifici per formato e ricetta, oltre che prodotti indiretti per la produzione del servizio di somministrazione16;

15 Al momento, Metro non è ancora in grado di attivare l’E.D.I. con i fornitori di ittico ed

ortofrutta e con contratto estimatorio. 16 La possibilità di introdurre in assortimento prodotti specifici per la clientela HO.RE.CA è

connessa alla progressiva centralizzazione delle scorte a livello di magazzino e di piattaforma anche nel formato ipermercato ed al conseguente maggior spazio disponibile nella riserva di punto

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- eliminando i limiti di quantità per gli acquisti in promozione; - offrendo condizioni specifiche attraverso una carta commerciale,

aziendale o trasversale, pensata per gli operatori HO.RE.CA.

Gli operatori della ristorazione possono essere così attratti con la capillarità dei formati di vendita al dettaglio e condizioni specifiche per acquisiti di grande quantità, arrivando a sconti di fine anno legati a volumi e crescita, che permettono di valorizzare la diversa importanza dei singoli clienti.

In tale contesto, l’innovazione di formato più recente si deve a Gruppo Pam con l’Insegna +X-. Il nuovo format si sviluppa su una superficie di 5.100 metri quadrati e si rivolge a due target distinti: il consumatore finale e gli operatori specializzati dell’alimentare (retail e ristorazione). L’assortimento è comunque funzionale anche al soddisfacimento dei bisogni di approvvigionamento della piccola impresa artigiana per quanto riguarda cartoleria, arredamento e miscellanea. Le referenze sono ridotte del 30% rispetto al tradizionale ipermercato Panorama: l’offerta non food è calibrata soprattutto per l’utenza professionale, mentre nell’alimentare, l’offerta soddisfa sia l’utenza professionale (soprattutto HO.RE.CA) sia il consumatore finale con marche e formati diversi per i due target. La carne è offerta in confezioni ad atmosfera modificata, i salumi e i formaggi sono proposti nella forma intera, a metà e a porzioni e l’ortofrutta può essere acquistata a cassetta o a porzionato. Nell’ittico, unico reparto assistito, se l’ordinazione riguarda quantitativi importanti il prezzo scende rispetto a quello evidenziato a cartellino. Il grocery confezionato segue la stessa logica: più pezzi vengono acquistati più il prezzo unitario scende. La comunicazione è realizzata attraverso due volantini: uno quindicinale di 8 pagine per il consumatore finale e uno mensile di 24 pagine per l’operatore professionale che viene postalizzato e personalizzato. Il posizionamento del nuovo format combina, pertanto, la razionalità del discount, la professionalità del cash and carry e l’atmosfera di un superstore di alta gamma.

All’interno del canale si assiste inoltre a fenomeni di nascente competizione tra cash and carry despecializzati e cash and carry specializzati. Negli ultimi anni si sono infatti affermati formati di cash and carry specializzati in determinati settori merceologici. Si pensi ad esempio all’azienda Dister, che nel 2001 ha inaugurato a Forlì un nuovo centro distributivo, affiancato da un cash and carry specializzato in prodotti informatici e riservato a rivenditori e dealer. Un altro esempio di cash and carry specializzato è quello dalla catena Office 1 Superstore, specializzata in articoli per l’ufficio (carta, cancelleria, cartotecnica, supporti E.D.P., informatica, arredo, servizi, ecc.), per soddisfare tutte le esigenze delle piccole e medie aziende e quelle dell’utilizzatore finale (home office) mediante una formula esclusiva che combina alcuni aspetti del superstore specializzato a self service con le tecniche della vendita diretta per telefono (telemarketing) e per corrispondenza (direct

vendita. Nel caso di impossibilità di utilizzo della riserva per mancanza di licenza di vendita, è comunque possibile ricavare uno spazio in punto vendita mediante l’aumento della frequenza di rifornimento dei prodotti destinati al consumo domestico e/o la riduzione del sovrastock. In entrambe le soluzioni, si combinerebbe in modo innovativo la vendita al dettaglio con la vendita all’ingrosso a libero servizio all’interno di un unico punto vendita (Lugli, 2004).

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mail). Le aperture previste entro il 2007 dei cash and carry Office 1 Superstore sono 24, ubicate in centri urbani con almeno 30.000 abitanti ed in zone ad alta concentrazione di uffici.

I sentieri strategici che gli operatori dell’ingrosso a libero servizio stanno perseguendo consistono, da un lato, nella specializzazione dell’assortimento per tipologia di clientela e, dall’altro, nel recupero di alcuni servizi di tipo opzionale (consegna a domicilio, raccolta degli ordini, pagamento con carta credito, visita diretta di promoter) tipici dell’ingrosso tradizionale. Ciò a seguito sia dei cambiamenti indotti sulla struttura della rete al dettaglio dalle dinamiche specifiche dei diversi mercati sul piano della domanda di servizio, sia della concorrenza della formula dell’ipermercato che ricerca fonti alternative di fatturato a seguito della minore attrattività che esercita sul consumatore finale rispetto al supermercato. E’ chiaro che tali tendenze modificano necessariamente il profilo tecnico economico del cash and carry in quanto i costi di gestione aumentano a seguito dell’offerta di servizi a più elevato valore aggiunto. Tuttavia, l’innovazione della politica assortimentale a favore di merceologie alimentari a più elevato valore aggiunto e la profondità di gamma di quelle non alimentari dovrebbe consentire l’assorbimento dei maggiori costi operativi. Considerato che l’intero comparto dell’ingrosso sta evolvendo in tal senso, il cash and carry dovrebbe mantenere anche in prospettiva il proprio ruolo economico nel canale di distribuzione rispetto ai concorrenti diretti. Più problematica appare invece l’intertype competition con la formula dell’ipermercato nei confronti della quale sconta un minor livello di competitività essendo il binomio merce/servizio profondamente diverso.

Infine, sul piano della politica commerciale, si sottolinea l’opportunità di far convergere le regolamentazioni delle strutture distributive all’ingrosso e del commercio al dettaglio, al fine di favorire il processo di intertype competition (§ 6.3. e 6.4).

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Capitolo 3

Integrazione verticale dell’ingrosso

3.1. Il ruolo economico dell’ingrosso nel canale di distribuzione La comprensione del fenomeno dell’integrazione verticale dell’ingrosso da parte delle imprese industriali rimanda necessariamente al ruolo economico svolto dal grossista nel canale di distribuzione. Quest’ultimo può essere definito come l’insieme di passaggi mediante i quali il bene è trasferito dai produttori ai consumatori finali o alle imprese industriali utenti. I passaggi individuano i membri del canale ed il loro numero origina le relative possibili varianti: canale diretto, canale corto e canale lungo (figura 3.1). Nel canale diretto il produttore vende direttamente al consumatore o all’impresa industriale, senza utilizzare intermediari. Il canale corto presenta un livello di intermediazione commerciale, che è costituito dal dettagliante per i beni di consumo e dal concessionario/commissionario per i prodotti industriali. Il canale lungo si caratterizza per un livello di intermediazione commerciale aggiuntivo, il grossista o l’agente. Il primo si inserisce tra la rete di vendita e la produzione nel settore dei prodotti consumer mentre il secondo tra il concessionario/commissionario e le imprese produttrici nel settore dei prodotti business.

Il canale diretto costituisce la modalità di distribuzione prevalente dei prodotti business: si stima che più del 50% dei volumi scambiati raggiunga i mercati di sbocco secondo tale modalità, soprattutto se si tratta di beni costosi e tecnicamente complessi (Pride W.M., Ferrel O.C., 2006). Per converso, i canali corto e lungo sono i metodi di distribuzione maggiormente impiegati per i prodotti consumer in quanto più efficienti ed efficaci rispetto a quello diretto. Trattandosi di prodotti con un grado di complessità ed un valore aggiunto nettamente inferiore rispetto a quelli business, la relazione diretta tra l’impresa produttrice ed il consumatore risulta nella maggior parte dei casi insostenibile sul piano economico, oltre che peggiorativa in termini di servizio rispetto all’utilizzo di intermediari commerciali.

Chiarita l’importanza del canale diretto nella veicolazione dei flussi di scambio tra organizzazioni e consumatori o altre organizzazioni (modesta per i prodotti consumer ed elevata per i prodotti business), resta da capire in che rapporto si pone il canale corto rispetto a quello lungo e, in particolare, quando quest’ultimo

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prevale sul primo. Soddisfare tale obiettivo conoscitivo consente di identificare il ruolo economico del grossista o dell’agente nel canale di distribuzione dei prodotti rispettivamente consumer e business. Tale ruolo è riconducibile alla struttura del commercio al dettaglio o dei distributori industriali e alla politica distributiva delle imprese industriali. La prima condizione impatta sulla quota di volumi potenzialmente intermediabili dal grossista o dall’agente, mentre la seconda su quella effettiva.

Figura 3.1 – Canali di distribuzione

Al fine di assicurare la necessaria chiarezza espositiva, l’analisi sarà focalizzata sul settore dei prodotti consumer sia per il maggior peso assunto dai canali indiretti (corto e lungo) sia per la possibilità di estendere il ragionamento, a parità di condizioni, al settore dei prodotti business.

Il mercato potenziale degli intermediari all’ingrosso è inversamente correlato al grado di concentrazione dell’offerta distributiva al dettaglio. Lo spazio economico per l’ingrosso è ridotto nei settori in cui l’evoluzione del comportamento d’acquisto del consumatore induce modificazioni strutturali nel commercio, favorendo lo sviluppo di esercizi commerciali di medio-grande superficie e di imprese succursaliste operanti con una logica industriale. Si tratta di imprese che integrano l’attività di ingrosso, da un lato, perché il servizio offerto sul mercato è inadatto per quantità e qualità alle loro esigenze e, dall’altro, per appropriarsi dei guadagni di produttività derivanti dalla centralizzazione delle attività soggette ad economie di scala, come gli acquisti, la logistica, il marketing, la gestione del personale, l’amministrazione e la finanza. Viceversa, lo spazio economico del grossista è elevato quando la rete al dettaglio è composta da numerosi esercizi di piccola dimensione, indifferenziati sul piano del servizio e con una quota di mercato rilevante. L’intermediazione grossista fonda la propria economicità sul

Grossista Agente

Produttore

ConsumatoreAcquirente industriale

Canale Diretto

Produttore

DettaglianteConcessionario/commis.

ConsumatoreAcquirente industriale

Consumatore Acquirente industriale

Dettagliante Concessionario/commis.

Produttore

Canale Corto Canale Lungo

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consolidamento dell’offerta di numerosi fornitori che permette di ripartire i costi relativi su una base più ampia rispetto a quella raggiungibile dalla singola impresa. Vendendo al grossista, il produttore spunta minori costi e consente ai propri clienti dettaglianti di approvvigionarsi con modalità più vantaggiose sul piano dei servizi offerti dallo specialista (Lugli G. 1985)

Se la struttura della rete al dettaglio determina la dimensione del mercato potenziale, la quota di mercato delle imprese grossiste (dimensione del mercato effettivo) dipende dalla decisione assunta dalle imprese industriali, nell’ambito della strategia di marketing, con riferimento al presidio dei mercati di sbocco. La distribuzione diretta, attraverso reti di vendita e logistica esclusive, consente un controllo più efficace del marketing distributivo ai fini del sostegno dell’immagine di marca e del relativo posizionamento sul mercato. Nel caso dei prodotti standardizzati e di modesto valore unitario, la relazione diretta con la rete al dettaglio si impone, inoltre, con maggior forza per la necessità di ottenere la massima copertura del mercato: se il cliente finale non trova il prodotto o la marca nel momento e nel luogo in cui intende acquistarla sceglierà con molta probabilità un’altra marca e l’occasione di vendita andrà perduta. Le economie esterne realizzabili con l’acquisto del servizio di ingrosso, a seguito della divisione del lavoro e della specializzazione produttiva, possono diventare irrilevanti rispetto alla maggiore efficienza nella promozione delle vendite che il contatto diretto con la rete al dettaglio garantisce. I maggiori costi di distribuzione che il canale corto comporta rispetto a quello lungo assumono in taluni casi la natura di costi di marketing e, come tali, trovano la loro giustificazione nell’ambito dei rapporti competitivi a livello industriale (Yamey B.S., Lugli G. 1985).

Il rapporto tra canale corto e canale lungo è definito dalla soglia dei costi di vendita e logistici che l’impresa industriale non intende superare. Tale rapporto dipende da:

- la dimensione del produttore; - l’entità media dell’ordine dell’impresa distributiva.

La dimensione determina le risorse finanziarie disponibili e, conseguentemente, la capacità da parte dell’impresa industriale di espletare autonomamente le attività correlate alla distribuzione, riducendo il grado di dipendenza dagli intermediari commerciali. Tale fattore è determinante in presenza di un dettaglio polverizzato e frammentato territorialmente. Gli investimenti associati all’impianto della rete commerciale e logistica per servire direttamente i punti vendita diventano sostenibili soltanto a partire da una certa massa critica, innalzando la soglia dimensionale che rende economicamente conveniente alle imprese l’utilizzo di un canale di distribuzione corto. Oltre ai costi della rete di vendita, l’impresa deve sostenere quelli connessi alla progettazione di un sistema logistico in grado di conciliare una produzione su grande scala con una domanda intermedia frazionata nel tempo e nello spazio. I prodotti finiti sono generalmente stoccati in uno o più magazzini centrali che alimentano una serie di depositi regionali e locali realizzati per approvvigionare aree di mercato limitate. Il rilevante investimento in scorte che la costituzione di depositi regionali e locali comporta è sostenuto per garantire

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il livello di servizio richiesto da punti vendita di piccola dimensione che ordinano modesti quantitativi di merce con una frequenza elevata. Siffatto profilo degli ordini dipende, da un lato, dal potenziale di vendite dell’esercizio e, dall’altro, dalla disponibilità di spazi di stoccaggio limitati. Di conseguenza, con l’istituzione di depositi regionali e locali si soddisfa la duplice esigenza, da un lato, di minimizzare i costi di trasporto, adottando una soluzione mista di carichi raggruppati per grandi volumi fino alle strutture periferiche e di consegne a raggio limitato per le piccole quantità ai dettaglianti; dall’altro, di incrementare la frequenza potenziale di consegna dovendo gestire un ambito territoriale limitato.

Tuttavia, questa configurazione della rete di vendita e logistica richiede una soglia minima dell’ordine, al di sotto della quale diviene irrimediabilmente antieconomica. In concreto, dando per scontato che la capacità dell’ordine della piccola impresa commerciale è comunque limitata, si può ritenere che solo pochi operatori riescano ad ottenerne una quota adeguata. Tale condizione si verifica per le imprese industriali che dispongono di:

- prodotti ad elevato valore aggiunto; - ampio portafoglio prodotti; - significativa quota di mercato.

Il rapporto tra canale corto e canale lungo risulta, pertanto, differenziato tra le imprese industriali operanti nel medesimo settore. L’utilizzo di una tipologia di canale di distribuzione non preclude, inoltre, quello delle altre: la stessa impresa utilizza normalmente più canali di marketing per distribuire gli stessi prodotti allo stesso mercato obiettivo.

Da quanto detto, è possibile concludere che il mercato effettivo dell’ingrosso è elevato quando la rete al dettaglio è composta da esercizi di piccola dimensione, dispersi territorialmente e indifferenziati sul piano del servizio. Il grossista consente di realizzare le economie di scala frutto della specializzazione produttiva per i punti vendita che, se presidiati direttamente, presenterebbero costi di vendita e logistici superiori a quelli che il produttore è in grado di sostenere. Soltanto le imprese di rilevante dimensione e che dispongono almeno di una delle tre condizioni menzionate (prodotti ad elevato valore aggiunto, ampio portafoglio prodotti e significativa quota di mercato) possono sostenere economicamente una relazione diretta con la rete al dettaglio. Anche in questo caso, tuttavia, il numero di punti vendita che presentano un importo dell’ordine inferiore alla soglia minima per garantire l’assorbimento dei costi di vendita e logistici sarà la maggior parte, rendendo inevitabile il ricorso all’intermediazione grossista.

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3.2. L’integrazione della funzione di ingrosso da parte delle imprese industriali

L’integrazione verticale della funzione di ingrosso da parte delle imprese industriali può concretizzarsi con diverse modalità:

- la creazione di filiali commerciali da parte di imprese estere interessate a servire il mercato nell’ambito delle proprie strategie di internazionalizzazione;

- la scelta da parte di imprese di produzione di superare il canale indiretto a favore di una soluzione mista (canale diretto e canale indiretto);

- l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso il modello della commissionaria di vendita;

- l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso la diversificazione nell’attività di ingrosso e la connessa vendita di prodotti e marche aggiuntive a quelle aziendali.

La prima modalità non impatta sulla struttura del settore all’ingrosso in quanto rientra nelle tradizionali strategie di penetrazione dei mercati esteri da parte di imprese multinazionali che non dispongono di unità produttive a livello locale. In questi casi, si tratta a tutti gli effetti di imprese industriali che concretizzano la presenza all’estero assumendo la natura formale di imprese commerciali, importando i prodotti per ridistribuirli nel paese di insediamento. Questa modalità è diffusa nei settori in cui la presenza industriale italiana è modesta come gli strumenti di precisione, le macchine fotografiche, le stampanti, le fotocopiatrici, ecc. Tali imprese, pur essendo censite sul piano formale come imprese grossiste, non sono in realtà equiparabili a quest’ultime sul piano della politica commerciale. Esse, infatti, limitano la loro attività di distribuzione ai soli prodotti della casa madre, implementando le più opportune forme di presidio del mercato.

Di sicuro interesse, ai fini della presente analisi sono, viceversa, le restanti modalità poiché mettono in discussione il ruolo economico degli intermediari grossisti indipendenti. La ragione per cui i produttori aumentano il peso del canale corto rispetto al canale lungo o integrano l’ingrosso è l’insoddisfazione del servizio offerto dagli operatori specialistici nel sostegno della marca. Il processo si inserisce, pertanto, nell’ambito della strategia di marketing dell’impresa industriale, ma attiva meccanismi concorrenziali a livello verticale a seguito della sovrapposizione del mercato di riferimento con quello del grossista. La scelta della modalità di controllo è operata in funzione del costo di distribuzione massimo che si intende sostenere e del grado di copertura obiettivo, rispetto al giro d’affari dei prodotti distribuiti.

L’analisi che segue è focalizzata sui settori che oggi sono più vivaci con riferimento al fenomeno oggetto di studio e, precisamente, il complesso dei prodotti rivolti ai pubblici esercizi (bar e ristoranti), il largo consumo e la stampa quotidiana e periodica. Date le specificità di quest’ultimo settore, sottoposto a

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particolare tutela da parte del legislatore per garantire la libera circolazione delle informazioni, si è ritenuto opportuno esporre l’analisi in un paragrafo dedicato.

Infine, si segnala che il tema dell’integrazione verticale delle funzione di ingrosso da parte delle imprese industriali prescinde dai confini regionali in cui operano gli intermediari commerciali. Tale decisione strategica è assunta, infatti, da imprese di grande dimensione con una presenza su tutto il territorio nazionale. Pertanto, le ricadute a livello locale dipendono unicamente dal peso che le singole regioni assumono nell’ambito del fatturato della specifica azienda industriale.

Il mercato della ristorazione commerciale (bar e ristoranti) si caratterizza per un elevato livello di frammentazione della rete al dettaglio, che risulta prevalentemente composta da imprese tradizionali, di dimensione ridotta, a conduzione familiare e a elevata componente di lavoro familiare (Fornari E. 2006) (tabella 3.1). Di conseguenza si contano 4,3 bar e ristoranti e solo 0,1 supermercati e ipermercati ogni 1.000 abitanti. Il modello distributivo della popolazione sul territorio determina la ripartizione della domanda tra le regioni: circa il 57% della rete al dettaglio è concentrata in Piemonte Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. La struttura della ristorazione commerciale impatta sul peso in ponderata delle catene17 (ristorazione moderna) che si attesta su un livello modesto pari al 6% del fatturato complessivo del settore (Gira 2005).

Tabella 3.1 – Distribuzione geografica dei pubblici esercizi e densità per 1000 abitanti in

rapporto agli ipermercati e supermercati

Numero % numero su totale Densità per

abitante (numero pdv per

1.000 abitanti) Regioni

Ristoranti Bar Totale

pubblici esercizi

Ristoranti Bar Totale Pubblici esercizi

Iper e super

PIEMONTE 7.544 12.708 20.252 7,6% 8,2% 8,0% 4,7 0,1 VALLE D'AOSTA 589 646 1.235 0,6% 0,4% 0,5% 10,0 0,1 LOMBARDIA 13.165 27.552 40.717 13,3% 17,7% 16,0% 4,3 0,1 TRENTINO-ALTO ADIGE 2.635 3.364 5.999 2,7% 2,2% 2,4% 6,1 0,2 VENETO 8.919 14.364 23.283 9,0% 9,2% 9,2% 4,9 0,2 FRIULI-VENEZIA GIULIA 2.796 4.341 7.137 2,8% 2,8% 2,8% 5,9 0,2 LIGURIA 4.511 6.335 10.846 4,6% 4,1% 4,3% 6,7 0,1 EMILIA-ROMAGNA 7.168 12.944 20.112 7,3% 8,3% 7,9% 4,8 0,1 TOSCANA 8.167 10.071 18.238 8,3% 6,5% 7,2% 5,0 0,1 UMBRIA 1.559 2.092 3.651 1,6% 1,3% 1,4% 4,2 0,2 MARCHE 2.677 3.913 6.590 2,7% 2,5% 2,6% 4,3 0,2 LAZIO 8.258 13.437 21.695 8,4% 8,6% 8,5% 4,1 0,1 ABRUZZO 2.990 3.666 6.656 3,0% 2,4% 2,6% 5,1 0,2 MOLISE 667 901 1.568 0,7% 0,6% 0,6% 4,9 0,1 CAMPANIA 8.306 12.359 20.665 8,4% 7,9% 8,1% 3,6 0,1 PUGLIA 6.135 7.739 13.874 6,2% 5,0% 5,5% 3,4 0,2 BASILICATA 748 1.469 2.217 0,8% 0,9% 0,9% 3,7 0,2 CALABRIA 3.373 4.398 7.771 3,4% 2,8% 3,1% 3,9 0,2 SICILIA 5.121 7.664 12.785 5,2% 4,9% 5,0% 2,5 0,2 SARDEGNA 3.313 5.646 8.959 3,4% 3,6% 3,5% 5,4 0,2 ITALIA 98.641 155.609 254.250 100% 100% 100% 4,3 0,1

Pubblici esercizi: giugno 2006, popolazione 31/12/2005, ipermercati e supermercati 30/09/2005. Fonte: elaborazioni su dati Fipe, IRI e ISTAT

17 Imprese operanti con logica industriale e struttura gestionale di tipo manageriale e che si sviluppano con un approccio succursalista.

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I bar e i ristoranti presentano un profilo tecnico ed economico differenziato: i primi sviluppano un giro d’affari medio di 110.000 euro18 e si caratterizzano per una superficie di somministrazione di 106 mq (Cermes-Bocconi 2005); i secondi sviluppano un volume di vendite annuali superiore, pari a 318.00019 e operano con un locale di 215 metri quadrati (Cermes-Bocconi 2005). Le caratteristiche che presentano un sostanziale grado di omogeneità nelle due formule commerciali sono la ridotta dimensione della superficie di stoccaggio20 e l’incidenza degli acquisti sul giro d’affari, pari al 26-27% (Cermes-Bocconi 2005). Questi ultimi sono concentrati su un numero ridotto di merceologie: il 50% del valore annuale degli acquisti dei bar è costituito da bevande e caffé, mentre il 40% di quelli dei ristoranti dai prodotti deperibili (carne e pesce) oltre che dai vini (tabella 3.2). Il valore complessivo degli approvvigionamenti dei pubblici esercizi è stimabile in circa 13 miliardi di euro nel 2005, soddisfatti nella misura dell’80% dall’ingrosso nella componente specialistica e a libero servizio21.

La struttura dei canali di distribuzione dei prodotti alimentari e delle bevande nel settore della ristorazione evidenzia il peso marginale del canale corto, che tuttavia assume una rilevanza maggiore se si tiene conto che risulta concentrato soltanto su alcune categorie merceologiche, tipicamente il caffé e i vini (Cermes – Bocconi 2005).

La centralità del ruolo del grossista nella funzione di collegamento tra l’offerta industriale e quella dei servizi di ristorazione diventa evidente se si considerano i fabbisogni di servizio degli operatori commerciali. I titolari di bar prediligono le fonti di approvvigionamento che consentono di minimizzare il tempo dedicato agli acquisti, dal momento che l’esercizio dell’attività richiede una presenza continua durante la giornata (Fornari E. 2006). Particolarmente gradita risulta, quindi, la visita diretta del fornitore per la raccolta dell’ordine e/ la possibilità di riordinare tramite contatto telefonico. Viceversa, i ristoratori, avendo orari di lavoro spezzati duranti la giornata nonché concentrati nelle ore del pranzo e della cena, possono dedicare più tempo all’attività di acquisto e si rivolgono maggiormente all’ingrosso a libero servizio (Fornari E. 2006). La frammentazione degli acquisti su numerose categorie merceologiche e la necessità di minimizzare il tempo dedicato agli acquisti, orienta la domanda dei pubblici esercizi verso le fonti di approvvigionamento che consentono di concentrare gli acquisti in un’unica soluzione. Tale servizio può essere offerto soltanto dagli intermediari all’ingrosso attraverso la proposta di un assortimento ampio e profondo di prodotti alimentari, per la pulizia dei locali e strumentali che rende compatibile l’esigenza di varietà del pubblico esercizio con quello di limitazione della gamma del produttore. Il modesto spazio di stoccaggio e la localizzazione in zone pedonali agiscono come vincoli di primaria importanza sia per i bar sia per i ristoranti. L’impossibilità di stoccare elevate quantità di prodotti si traduce in una politica di gestione degli acquisti basata su ordini emessi con frequenza elevata e di modesta

18 Stime su dati Euromonitor e Gira, 2005. 19 Stime su dati Euromonitor e Gira, 2005. 20 La superficie di stoccaggio è pari a 43 metri quadrati per i bar e 67 metri quadrati per i

ristoranti. Fonte: Cermes – Bocconi, 2005. 21 Cfr. Capitolo 2.

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entità. La consegna è resa difficoltosa, oltre che onerosa, dai limiti connessi alla viabilità nei centri urbani e dalla necessità di dover garantire il servizio anche durante la notte almeno ai pubblici esercizi che hanno orari di apertura di tale parte della giornata. Il fornitore che decide di sviluppare una relazione diretta con gli operatori al dettaglio deve essere, quindi, in grado di assicurare un elevato livello di servizio logistico.

Tabella 3.2 – L’incidenza delle categorie sul valore totale degli acquisti dei pubblici esercizi – 2005

Categorie merceologiche Ristoranti Bar

Acqua 5,3 7,0 Bevande analcoliche 2,6 8,2 Liquori 4,0 6,0 Vini e spumanti 10,7 7,1 Birre 3,1 5,6 Caffé 3,1 16,3 Pane fresco 2,1 2,1 Latte/latticini/formaggi 3,6 4,9 Salumi 4,5 4,0 Pasticceria 1,7 5,2 Gelati 1,5 3,2 Frutta e verdura 6,2 3,3 Surgelati 3,0 2,6 Prodotti di gastronomia e piatti pronti 0,1 1,0 Carne fresca 16,1 2,2 Uova 1,9 1,4 Pesce 13,1 1,1 Piatti pronti industriali 0,2 0,4 Pasta 4,5 1,4 Tramezzini 0,2 1,8 Farina/zucchero/sale 3,7 3,0 Condimenti/conserve 3,5 1,7 Prodotti impulso dolce 0,9 3,3 Prodotti impulso salati 0,3 2,1 Prodotti detergenza 3,6 2,7 Altro 0,5 2,4

Totale 100 100

Incidenza prime 5 categorie sul valore totale degli acquisti 51,4 44,6

Fonte: Cermes-Bocconi, 2005 L’evasione di ordini di modesta entità con un lead time di 24 ore a numerosi punti dispersi sul territorio, localizzati per la maggior parte in zone problematiche sul piano dell’accessibilità, con orari di consegna anche notturni e che richiedono per la maggior parte la sistemazione delle merci nella zona di stoccaggio, necessita di un sistema di distribuzione capillare con raggi operativi di poche decine di chilometri. Siffatto sistema, che vede necessariamente la costituzione di scorte a livello locale e di una rete di vendita numericamente consistente per assicurare la relazione con la clientela, può essere sostenuto soltanto da prodotti ad elevato

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valore aggiunto in grado di assorbire i relativi costi. Risulta ora chiaro il motivo dell’utilizzo del canale corto soprattutto da parte dei produttori di caffé e di vino. Pur essendo abbastanza intuitivo che si tratta di prodotti con un prezzo medio elevato in rapporto alle altre categorie trattate dai bar e dai ristoranti, è stata effettuata una simulazione per determinare l’importo medio dell’ordine, ipotizzando un andamento regolare della domanda nel tempo ed una frequenza d’acquisto settimanale (tabella 3.3). Si tratta ovviamente di ipotesi non perfettamente aderenti alla realtà e riferite al pubblico esercizio medio del nostro paese, ma che consentono di tradurre operativamente quando affermato sulla base di elementi di analisi economica. Il caffé è la categoria merceologica che presenta il valore medio dell’ordine più elevato per i bar (88 euro) e i vini vengono subito dopo la carne ed il pesce nei ristoranti con 170 euro. Trattandosi del pubblico esercizio medio e instaurando il produttore una relazione diretta soltanto con i punti vendita a più elevato potenziale di vendite, è possibile affermare che la dimensione media dell’ordine su cui insiste il canale corto è superiore rispetto a quella media indicata più sopra. Il valore aggiunto di queste categorie di prodotto consente quindi il sostenimento dei costi di vendita e logistica associati.

Tabella 3.3 – Dimensione media dell’ordine settimanale dei pubblici esercizi

Categorie merceologiche Ristoranti Bar

Acqua 84 38 Bevande analcoliche 41 44 Liquori 64 32 Vini e spumanti 170 38 Birre 49 30 Caffè 49 88 Pane fresco 33 11 Latte/latticini/formaggi 57 26 Salumi 72 22 Pasticceria 27 28 Gelati 24 17 Frutta e verdura 99 18 Surgelati 48 14 Prodotti di gastronomia e piatti pronti 2 5 Carne fresca 256 12 Uova 30 8 Pesce 208 6 Piatti pronti industriali 3 2 Pasta 72 8 Tramezzini 3 10 Farina/zucchero/sale 59 16 Condimenti/conserve 56 9 Prodotti impulso dolce 14 18 Prodotti impulso salati 5 11 Prodotti detergenza 57 15 Altro 8 13

Fonte: elaborazioni su dati Euromonitor, Gita e Cermes-Bocconi 2005

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La principale ragione che induce i produttori di vino e di caffé ad utilizzare il canale corto per servire i pubblici esercizi che rappresentano in ponderata una quota rilevante del giro d’affari consiste nell’efficacia della politica di vendita di tipo push, volta a penetrare l’assortimento della rete commerciale. Quest’ultimo risulta ridotto in profondità e per molte categorie, come quella del caffé, prevale la proposta esclusiva dei prodotti di una sola marca (Fornari E. 2006). Ottenere il referenziamento da parte dell’esercente significa assicurarsi per intero o per una gran parte il giro d’affari del bar e del ristorante. Per i prodotti finiti, proposti al consumatore senza alcuna attività di lavorazione aggiuntiva e nell’imballo originale, si aggiunge il vantaggio non secondario di sostenere l’immagine della marca anche nei formati di somministrazione.

Il presidio diretto della clientela commerciale è una scelta strategica operata anche dalle imprese industriali che offrono ingredienti ad elevato contenuto di servizio, oggetto di trasformazione per arrivare ad una erogazione in forma diversa da quella in cui sono stati acquistati. Tale scelta è, ad esempio, operata da Greci Industria Alimentari che propone prodotti semilavorati a valore aggiunto per la preparazione di piatti alimentari. Si tratta di prodotti-soluzione con caratteristiche tecniche che necessitano in fase di vendita il supporto di personale addestrato in grado di illustrarne la modalità di impiego ottimale. Il grossista, trattando un assortimento ampio e profondo di prodotti, non è in grado di offrire un servizio di vendita dedicato, con standard professionali specifici per ciascuno di essi. L’efficacia della rete di vendita diretta trova però un limite nel relativo costo che non consente di estendere il presidio diretto alla totalità dei punti vendita. Nel caso dell’azienda citata, i ristoranti serviti direttamente rappresentano il 5% della numerica complessiva, ma valgono in ponderata il 70% del fatturato della stessa. Anche nel caso degli ingredienti, la scelta strategica di operare con un canale corto può essere intrapresa solo da aziende che propongono un’offerta di prodotti ad elevato valore aggiunto in grado di assorbire i costi di vendita e logistici. Il portafoglio prodotti che Barilla ha sviluppato per il mercato della ristorazione commerciale è veicolato attraverso gli intermediari grossisti a seguito dell’insostenibilità sul piano economico di una relazione diretta con la clientela commerciale. A fronte di prodotti ingredienti a contenuto valore aggiunto, il produttore supporta la penetrazione nel mercato integrando le attività che non possono essere presidiate dal grossista: corsi di formazione agli esercenti, sviluppo e fornitura di tecnologie che consentono di velocizzare la preparazione dei cibi, la diffusione di informazioni. Tali attività di marketing integrato assicurano un certo grado di controllo della rete di vendita e il supporto necessario al brand.

Il comparto delle bevande presenta una dimensione media dell’ordine che non rende l’impiego del canale corto efficiente ed efficace (tabella 3.3). L’integrazione della funzione di ingrosso è stata operata dalla maggior parte delle imprese attraverso il controllo proprietario delle aziende grossiste, con l’eccezione di Coca Cola che ha deciso nel 2005 di utilizzare il canale corto in alternativa a quello lungo per distribuire i propri marchi. La rete di vendita è stata ampliata con l’obiettivo di presidiare quote numericamente elevate di pubblici esercizi, che a regime dovrebbero attestarsi intorno alle 200.000 unità, pari all’80% del totale.

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Riteniamo che la scelta di distribuire direttamente i prodotti Coca Cola sia attribuibile principalmente alla sentenza Antitrust che ha condannato la compagnia per abuso di posizione dominante nella manovra delle leve di trade marketing nei confronti dei grossisti indipendenti (Provvedimenti n. 6074/1998, n. 6661/1998, n. 7804/1999). In particolare, l’Antitrust ha considerato lesivo della concorrenza la promozione dell’installazione degli impianti alla spina presso la rete al dettaglio attraverso l’offerta di incentivi al grossista. La posizione assunta dall’organo di controllo non deriva tanto dalla liceità della promozione di per sè nel presidio dei punti vendita al dettaglio serviti dal grossista, quanto per la volontà dichiarata e documentata da parte di un’impresa che detiene una posizione di mercato dominante nel settore delle cole di incentivare la sostituzione degli impianti alla spina del concorrente diretto, Pepsico, con quelli a marca propria. In un successivo provvedimento (n. 9794/2001) relativo ai modelli contrattuali impiegati da Heineken attraverso l’azienda grossista controllata, Partesa, l’Antitrust ha considerato non restrittivo della concorrenza il contratto di che prevede la concessione di comodato gratuito degli impianti di spillatura della birra contro l’obbligo per l’esercente di erogare elusivamente prodotto Heineken. La durata annuale del contratto, l’elevato turn over dei pubblici esercizi e l’impiego di formule contrattuali simili da parte delle altre aziende industriali (Peroni, Carlsberg, Forst) sono state considerate condizioni sufficienti per non destare particolari preoccupazioni sulla capacità di tale contratto di determinare barriere all’ingresso per gli altri operatori. L’Antitrust, in un successivo provvedimento (n. 15619/2006) non ha, infatti, effettuato alcun rilevo sulla strategia di Coca Cola di collocare frigovetrine nei pubblici esercizi destinate ad accogliere i prodotti dei propri marchi. Tale orientamento trova fondamento, da un lato, nell’adozione della medesima strategia da parte dei concorrenti che aumenta la probabilità di sovrapposizione delle frigovetrine delle diverse aziende operanti nel mercato e, dall’altro, per la libertà dell’esercente di scegliere liberamente le bevande da inserire in uno spazio almeno pari al 20% del totale anche se le frigovetrine sono concesse in comodato d’uso gratuito da Coca Cola. Dal momento che la strategia di abbandonare il canale lungo a vantaggio di quello corto è stata implementata da Coca Cola soltanto da un anno, è ancora troppo presto per poter effettuare una valutazione sulla relativa sostenibilità economica. E’ indubbio che l’ampiezza del portafoglio prodotti e la detenzione di una quota di mercato dominante nel mercato delle cole possono aiutare l’impresa a raggiungere il break even ed ottenere i vantaggi correlati al controllo del posizionamento dei prodotti presso i pubblici esercizi. Tali vantaggi si estrinsecano sia sul mercato intermedio sia su quello finale: il distributore referenzia generalmente una sola marca per la categoria delle bevande e la comunicazione in punto vendita attraverso soluzioni espositive dedicate rafforza la brand equity. La strada della diversificazione nell’ingrosso che prevale nel settore della birra non è stata intrapresa da Coca Cola per le bevande analcoliche nonostante i costi sicuramente inferiori; ciò è dovuto molto probabilmente:

- alle competenze che è necessario sviluppare per vendere non solo i propri

marchi, ma un assortimento di marchi di categorie differenziate;

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- alla posizione di dominanza nel mercato delle cole che, alla luce dei rilievi dell’Antitrust, avrebbe aperto un fronte di riflessione sul ruolo svolto da aziende grossiste controllate e alla loro autonomia imprenditoriale (caso Heineken);

- alla presenza consolidata nel mercato di imprese industriali che hanno diversificato nell’ingrosso delle bevande analcoliche e alcoliche, perfettamente in grado di supportare il sell out di Coca Cola nei punti di somministrazione indiretti.

L’integrazione verticale discendente nell’ingrosso è stata operata già da tempo dai principali produttori di birra: Heineken con Partesa, Peroni con Sodipar, Gruppo Tuborg e Carlsberg con T&C. La strategia impiegata dai tre gruppi industriali è la medesima: offrire un servizio specializzato di vendita, distribuzione e consulenza di bevande ai pubblici esercizi. Il caso più interessante è sicuramente quello di Partesa sia perché occupa la posizione di leadership nel settore delle bevande sia perché ha arricchito l’offerta assortimentale delle bevande, con particolare riferimento al comparto dei vini, nonché ampliato lo stesso ai prodotti alimentari e alle attrezzature per migliorare il livello di servizio alla clientela. L’obiettivo è di soddisfare una quota consistente del fabbisogno di approvvigionamento dei pubblici esercizi, consentendo la concentrazione degli acquisti presso un’unica fonte. Grazie ad una presenza capillare sul territorio, attraverso 23 società commerciali, 96 depositi e 2.729 addetti, Partesa riesce a presidiare direttamente il 28% della rete al dettaglio (70.000 pubblici esercizi) che rappresenta il 16% del valore intermediato. Attraverso l’integrazione dell’attività all’ingrosso, Heineken ha ottenuto il controllo diretto sul piano commerciale della clientela delegando a Partesa le attività di merchandising e promozione all’interno dei pubblici esercizi. Quest’ultima svolge tali attività unicamente per i marchi della controllante, sviluppandone e sostenendone l’immagine, mentre per il resto dell’assortimento si limita a svolgere un ruolo di pura intermediazione commerciale. La ragione per cui Heineken è diventata grossista risiede unicamente nella ricerca di economie di scala distributive. Il consolidamento dei volumi di vendita di differenti marchi in differenti categorie consente, infatti, di minimizzare i costi di vendita e logistica. Rispetto al canale corto, la dimensione media dell’ordine aumenta, consentendo di sostenere i costi connessi al controllo diretto delle politiche di marketing dei propri marchi presso la clientela commerciale.

La strategia di presidiare la distribuzione al dettaglio attraverso la diversificazione nel settore all’ingrosso è stata adottata anche da imprese industriali che offrono prodotti ingredienti non caratterizzati da un’immagine di marca sul mercato al consumo. E’ questo il caso di Cremonini, azienda operante nel settore della carne bovina attraverso il controllo di Marr, che offre un servizio all’ingrosso specialistico e a libero servizio a favore degli operatori della ristorazione extradomestica commerciale e collettiva. Il portafoglio prodotti comprende circa 10.000 articoli alimentari (congelati, freschi, a temperatura ambiente) e 8.000 strumentali (attrezzature, stoviglie, tovagliame). L’obiettivo strategico è la penetrazione degli assortimenti dei ristoratori, sostenendo con una strategia push le vendite dei prodotti che costituiscono il core business della

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controllante: carne e salumi. La sostenibilità economica del modello nel presidio del canale diretto si fonda sul traino rappresentato dai prodotti freschi (carne, pesce e ortofrutta), che assorbono oltre il 35% degli acquisti in valore dei ristoratori. Con l’offerta delle restanti merceologie, Marr è in grado potenzialmente di porsi come interlocutore unico nel soddisfacimento delle esigenze degli operatori target, arrivando alla massima dimensione dell’ordine possibile (1.600 euro mediamente la settimana) (tabella 4).

Una modalità più snella sul piano organizzativo e degli investimenti è la commissionaria di vendita, che si pone come alternativa alla diversificazione nel settore dell’ingrosso. E’ questa la soluzione adottata da Barilla per servire il dettaglio tradizionale grocery, attraverso l’outsourcing proprietario della rete logistica con la società Number 1 e di vendita dedicata con la società First. Lo svantaggio di costo della produzione integrata della funzione di ingrosso rispetto a quella decentrata è colmato in questo caso recuperando sul mercato i volumi di vendita necessari per garantire l’espletamento dell’attività di vendita e logistica in condizioni di efficienza nonché efficacia. La costituzione di una forza vendita in comune con altri produttori consente di ripartire i costi di visita su un giro d’affari superiore a quello realizzabile individualmente e di offrire un assortimento sufficientemente ampio per garantire al dettagliante le economie di costo derivanti dalla concentrazione degli acquisti. I prerequisiti necessari affinché diverse imprese industriali possano condividere la rete di vendita è che esse non siano in concorrenza sul mercato finale ed utilizzino canali distributivi omogenei. I produttori per conto dei quali Barilla gestisce il servizio di ingrosso attraverso la società First operano, infatti, in categorie merceologiche che sono non sostituibili nella funzione d’uso e complementari in quella d’acquisto. L’assenza di conflittualità a livello orizzontale rende possibile lo sfruttamento di sinergie nell’attività di vendita mediante la strutturazione delle iniziative promozionali con riferimento al portafoglio prodotti nel suo complesso, aumentando così l’efficacia delle azioni di marketing.

La diversificazione dell’attività nel settore dei servizi logistici ha permesso poi a Barilla di abbassare la soglia di costo che definisce il confine tra copertura diretta ed indiretta della rete al dettaglio. La dimensione minima dell'ordine che garantisce la copertura dei costi logistici è, infatti, diminuita del 36% consentendo di estendere la consegna diretta al 70% dei punti vendita tradizionali. Number 1 si posiziona al crocevia dei flussi in partenza dai magazzini centrali di diversi produttori per consolidarli presso le proprie strutture di stoccaggio e smistarli secondo la tecnica del raggruppamento per destinatario. L’azienda opera, pertanto, in qualità di prestatore di servizi logistici, combinando la molteplicità delle fonti di spedizione con la polarizzazione dei luoghi di destinazione. Gli automezzi in uscita dalla piattaforma del terzista si dirigono, con i prodotti provenienti da una pluralità di fornitori, verso un unico destinatario. La massificazione dei volumi di spedizione di diverse imprese industriali consente di raggiungere più elevati livelli di produttività nel processo di distribuzione fisica a seguito dell’aumento della dimensione media della consegna. L’ordine del dettagliante consolida, infatti, le esigenze di riapprovvigionamento dei diversi produttori che condividono la rete di vendita con Barilla.

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L’integrazione della funzione di ingrosso da parte di Barilla risponde all’obiettivo di riappropriarsi del controllo della distribuzione dei propri prodotti presso il dettaglio indipendente sia in termini di copertura assortimentale che di efficacia degli investimenti di marketing. I negozi tradizionali veicolano ancora una quota importante del giro d’affari complessivo, stimata intorno al 22%, in settori molto concentrati sul piano distributivo come quello dei prodotti di largo consumo. La tendenza da parte delle unioni volontarie e dei gruppi di acquisto ad innalzare il livello di efficienza necessario per farne parte fa, inoltre, progressivamente aumentare il numero di dettaglianti che si approvvigionano presso l’ingrosso non integrato. La perdita del contatto diretto con la rete al dettaglio che ne consegue impoverisce il servizio che l’ingrosso offre al produttore, poiché la pressione sugli assortimenti commerciali risulta inevitabilmente più debole. Il presidio del dettaglio tradizionale consente a Barilla di cogliere delle opportunità di business anche in un settore commerciale maturo, aumentando la propria quota di mercato a scapito dei concorrenti che delegano all’ingrosso la funzione di commercializzazione.

3.3. Il settore della stampa quotidiana e periodica La distribuzione della stampa è oggetto di particolare tutela nell’ordinamento italiano in relazione all'obiettivo politico di garantire il pluralismo dell'informazione. In questo quadro si colloca il dovere sancito dall’art. 16 della Legge n. 416 del 5 agosto 1981 in capo alle imprese di distribuzione di garantire il servizio di distribuzione a tutte le testate che ne facciano richiesta. Il Decreto Legislativo 24 aprile 2001, n.170, ha modificato la struttura della rete di vendita dei prodotti editoriali distinguendo tra punti vendita esclusivi e punti vendita non esclusivi. I primi sono quelli che, previsti nel piano comunale di localizzazione, sono tenuti alla vendita generale di quotidiani e periodici. I secondi sono quelli attivati con la sperimentazione ed autorizzati alla vendita di quotidiani ovvero periodici, in aggiunta ad altre merci. Si tratta in particolare: - delle rivendite di generi di monopolio; - delle rivendite di carburanti e oli minerali con il limite minimo di superficie

pari a 1.500 metri quadrati; - dei bar, inclusi gli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade e

nell’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali e marittime; - dei punti vendita a libero servizio a partire da una superficie minima di 700

metri quadrati; - delle librerie con un limite minimo di superficie di 120 metri quadrati; - degli esercizi a prevalente specializzazione di vendita, con esclusivo

riferimento alla vendita delle riviste di identica specializzazione.

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La Legge ha esteso ai punti vendita in sperimentazione alcuni dei principi che regolano i rapporti tra editori ed edicolanti e, precisamente: - parità di trattamento delle testate; - rispetto del prezzo di vendita imposto dall’editore; - parità di condizioni economiche e commerciali; - esclusione da attività promozionali di prezzo e non. Infine, è stato previsto l’obbligo per i punti vendita della distribuzione moderna di esporre i giornali in un unico spazio.

La vendita della stampa è prevalentemente realizzata attraverso la rete al dettaglio, considerato che sia l’abbonamento che la consegna diretta ai clienti hanno un peso molto limitato. Il canale lungo, con uno o due livelli di intermediazione grossista, svolge pertanto un ruolo primario nella diffusione della stampa quotidiana e periodica. Il ruolo marginale svolto dal canale corto è imputabile alla struttura della rete al dettaglio, composta prevalentemente da punti vendita di piccola dimensione, dispersi territorialmente, che esprimono ordini con frequenza elevata ma di modesta entità. Nel 2005 i punti vendita sul territorio nazionale sono stimati pari a circa 42.000. Su 31.683 di questi è stato possibile effettuare una accurata classificazione tipologica (tabella 3.4) che mette in evidenza che il negozio promiscuo è il principale canale di vendita al pubblico, mentre ancora modesta appare l’area della cosiddetta sperimentazione (GDO, pubblici esercizi, distributori di carburante, etc).

Tabella 3.4 - Struttura della rete al dettaglio (2005)

Numero % sul totale

Negozio promiscuo 15.346 48,4 Chiosco 7.588 23,9 Negozio esclusivo 4.681 14,8 Bar 1.197 3,8 Supermercati ed ipermercati 898 2,8 Distributori di carburante 418 1,3 Rivendita in autogrill 347 1,1 Rivendita in stazione ferroviaria 328 1,0 Rivendita in centro commerciale 215 0,7 Campeggio 210 0,7 Negozi specializzati 126 0,4 Hotel 115 0,4 Rivendita in stazione della metropolitana 97 0,3 Ristorante 66 0,2 Rivendita in aeroporto 51 0,2 Totale 31.683 100,0

Fonte: Fieg ed Anadis Il numero di intermediari all’ingrosso (distributori locali) è pari a circa 160 unità, con dimensioni aziendali molto diverse, a volte operanti su aree coincidenti aventi un raggio d’azione limitato. Le piccole e medie case editrici, a differenza delle grandi, non sono normalmente in grado di gestire direttamente la distribuzione del prodotto alla rete di ingrosso. Esse delegano pertanto tale attività ai distributori nazionali che si comportano come le grandi case editrici fornendo ai propri clienti

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i servizi di diffusione, distribuzione, trasporto, amministrazione, gestione resa, informazione e supporto nelle iniziative promozionali.

I canali di distribuzione dei giornali si configurano come sistemi verticali di marketing. Il ruolo di channel leader è svolto dall’editore che assicura il diritto di resa delle copie invendute agli intermediari commerciali. L’editore assume pertanto il rischio di commercializzazione, che risulta elevato data la difficoltà di adeguare l’offerta alla domanda attraverso la costituzione di scorte, in relazione al breve ciclo di vita del prodotto editoriale. La contropartita dell’eliminazione del rischio commerciale in capo agli intermediari è lo stretto controllo della politica distributiva attraverso la definizione dei prezzi di vendita, del margine di intermediazione commerciale e della dimensione delle forniture.

I rapporti tra editori e distributori locali, che svolgono la funzione di ingrosso, sono normalmente regolati da contratti bilaterali con riferimento alle attività ordinarie e con accordi verbali per quelle a carattere occasionale. Gli stessi disciplinano più o meno dettagliatamente i seguenti aspetti della relazione tra editore e distributore locale: - attribuzione all’editore della responsabilità di fissazione del numero di copie

ottimale della testata per il distributore locale; - attribuzione al distributore della responsabilità di ripartire il numero di copie

ricevute per la testata ai punti vendita serviti; - obbligo per il distributore locale di garantire la consegna della testata ai punti

vendita con puntualità ed orari idonei alla vendita nei limiti dell’orario di consegna della stessa;

- obbligo per il distributore locale di garantire, al di là degli orari di consegna concordati, la distribuzione della testata anche in condizioni di emergenza secondo i criteri della normale diligenza professionale;

- obbligo del distributore di eseguire giornalmente il ritiro delle rese dai punti vendita e conteggiarle;

- obbligo per il distributore di riapprovvigionare i punti vendita nel caso di rottura di scorta della testata;

- obbligo per il distributore di conservare e mettere a disposizione dell’editore, attraverso il sistema inforete, le informazioni relative alle copie distribuite e rese per testata e punto vendita;

- obbligo per il distributore di rilevare l’andamento delle vendite nei punti vendita, eventualmente indicati dall’editore, prima del ritiro delle copie invendute attraverso il conteggio delle copie ancora a scorta;

- obbligo da parte del distributore di garantire la riservatezza dei dati relativi alle copie distribuite e rese delle testate la cui proprietà ed accesso è esclusivamente in capo all’editore;

- assunzione da parte dell’editore del rischio commerciale con il riconoscimento del diritto di resa delle copie rimaste invendute;

- indicazione dal parte dell’editore della zona territoriale in cui il distributore può esercitare la sua attività;

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- definizione dei giorni del mese in cui il distributore deve versare gli acconti sul venduto per un importo complessivo pari all’80% delle vendite mensili stimate;

- impegno del distributore a rilasciare una fideiussione bancaria definita in percentuale del giro d’affari sviluppato complessivamente con l’editore;

- definizione degli standard tecnici sia degli imballi secondari e terziari sia dei documenti di accompagnamento con cui il distributore deve restituire le copie rese;

- diritto di recesso da parte di entrambi i contraenti con un preavviso di trenta giorni;

- obbligo del distributore di comunicare l’elenco dei propri soci e delle relative partecipazioni;

- obbligo del distributore locale di chiedere l’autorizzazione all’editore per effettuare il cambiamento di forma sociale e la cessione a terzi dell’attività, a meno che non si tratti di parenti o affini degli attuali titolari fino al secondo grado;

- diritto dell’editore di recedere senza alcun onere dal contratto qualora non gradisca il nuovo socio e/o i nuovi soci e/o eventuali mutamenti della compagine sociale con un preavviso che varia da un mese a tre mesi.

Le agenzie di diffusione locale della stampa rappresentano pertanto i nodi periferici della rete di distribuzione dell’editore, dove trovano attuazione i cicli operativi e commerciali correlati alla vendita delle testate. La loro attività consta, in particolare, delle seguenti funzioni: - redazione dei piani diffusionali sulla base delle indicazioni ricevute dagli

editori; - emissione della bolla di consegna con il dettaglio delle pubblicazioni che

vengono fornite al singolo rivenditore; - trasporto delle pubblicazioni ai punti vendita secondo il calendario predisposto

dall’editore e in tempi ottimali per la vendita; - ricostituzione della scorta in punto vendita in caso di rottura di scorta; - ritiro delle copie invendute; - conteggio delle copie invendute restituite da tutti i punti vendita verificandone

la consistenza nonché l’integrità; - messa a disposizione dell’editore dei dati di distribuzione, di vendita e di resa

relativi alle testate dello stesso editore sia in forma complessiva sia per singolo punto vendita;

- effettuazione dei rilevamenti, in collaborazione con la rete di vendita; - consegna ai punti vendita del materiale espositivo e del materiale informativo

inerente le iniziative editoriali che richiedono la collaborazione della rete di vendita;

- comunicazione scritta ai punti vendita delle iniziative editoriali che richiedono la loro collaborazione, utilizzando la bolla di consegna;

- emissione del documento di richiamo resa;

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- emissione dell’estratto conto per le pubblicazioni consegnate, accreditando le copie di resa restituite nei tempi e nei modi prestabiliti dall’Accordo nazionale;

- redazione separata della documentazione contabile per le pubblicazioni associate a Fieg;

- servizio di rack jobbing nei punti vendita della grande distribuzione; - assistenza tecnica ai punti vendita tradizionali. Il controllo esercitato dalle case editrici sulla fase di ingrosso non è certamente una causa secondaria dell’evoluzione e dello stato attuale della distribuzione locale (Cescom, 1984). Di norma, le singole imprese non sono nate per occupare autonomamente gli spazi di mercato che si andavano aprendo, ma in stretto rapporto con le politiche degli editori che decidevano di affidare la fase di ingrosso per una data area a persone che godevano della loro fiducia. Il numero e la dimensione dei distributori locali sono governati dagli editori con l’obiettivo di mantenere il grado di dipendenza necessario ad annullare eventuali tensioni nei rapporti verticali. A fronte di questo vantaggio, gli editori scontano un livello di efficienza e di efficacia nell’attività del distributore locale inferiore a quello ottimale, in quanto la modesta dimensione limita la possibilità di accedere ad economie di scala e di realizzare investimenti in attività sia materiali che immateriali.

Il prezzo che l’editore paga per i servizi commerciali del distributore locale è espresso, analogamente al livello del dettaglio, come uno sconto in percentuale sul valore del venduto, frutto di contrattazione bilaterale.

Il fenomeno di maggiore interesse nella struttura del canale di distribuzione sopra descritti è rappresentato dall’integrazione verticale a valle nell’attività di ingrosso da parte di RCS Media Group e De Agostini con la costituzione di M-dis, società di distribuzione di prodotti editoriali e non editoriali a livello nazionale e locale. La sua costituzione è stata autorizzata dalla Commissione Europea (SG 2003 D/229695-6) e vede, oltre alla partecipazione dei due gruppi editoriali citati, anche quella di minoranza di Rusconi. Il pronunciamento della Commissione contiene alcuni elementi di notevole interesse, vale a dire la definizione del ruolo del distributore locale e del mercato rilevante. Il distributore locale è considerato detentore di un potere di mercato controbilanciante a seguito della durata annuale del contratto con editori e distributori nazionali; ciò consente infatti una flessibilità sufficiente per cambiare gli stessi e una posizione di monopolio o quasi-monopolio nel territorio locale.

Tuttavia, sulla base dell’evidenza empirica e delle conclusioni espresse dall’Antitrust nell’indagine conoscitiva sulla distribuzione della stampa quotidiana e periodica (Provvedimento n. 13425/2004), si rileva l’impossibilità per il distributore di cambiare i propri fornitori poiché le testate sono distribuite o dallo stesso editore o da un unico distributore nazionale. Il settore della stampa quotidiana e periodica appare moderatamente concentrato. Oltre il 50% delle vendite di quotidiani sono realizzate dalle prime sei testate; la rimanente quota di mercato è suddivisa tra una decina di giornali nazionali “minori” e una quantità di giornali regionali o provinciali. Notevole anche la concentrazione tra i settimanali,

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dove il 60% del mercato è espresso da 15 testate (quattro delle quali sono peraltro allegati a Repubblica o al Corriere della Sera). Al contrario, i mensili mostrano una spiccata parcellizzazione, dovuta alla straordinaria varietà dell’offerta basata sull’estrema segmentazione dei lettori (Accertamento Diffusione Stampa aprile 2005-marzo 2006). L’area territoriale su cui insiste l’attività del distributore locale è, inoltre, definita dal fornitore in completa autonomia e secondo le proprie finalità commerciali.

Il mercato rilevante è stato considerato composto non solo dai prodotti editoriali ma anche da quelli non editoriali a seguito delle modifiche legislative che hanno introdotto disposizioni che consentono alle edicole di estendere la gamma di prodotti venduti. La penetrazione delle categorie merceologiche alternative alla stampa si è però mantenuta in questi anni su livelli marginali, ostacolata dalle caratteristiche del punto vendita, soprattutto di spazio e tipo di servizio. Oltre ai tradizionali prodotti di servizio come i biglietti dei mezzi pubblici, le ricariche telefoniche, carte e piante stradali, quelli alternativi si limitano a caramelle e pastigliaggi in quanto non ingombranti e ad acquisto di impulso. In modo coerente al pronunciamento della Commissione Europea, l’Antitrust ha autorizzato l’acquisizione da parte di M-dis del ramo di azienda di proprietà de Il Sole 24 ore afferente la distribuzione dei prodotti destinati al canale edicola e ai punti vendita autorizzati (Provvedimento n. 15597/2006) e di quello di Genova Press attivo nella distribuzione locale di prodotti editoriali (Provvedimento n. 14691/2005). E’ stata, inoltre autorizzata la costituzione di un’impresa comune tra M-dis e Editrice La Stampa a cui quest’ultima ha conferito le attività di distribuzione editoriale. M-dis affida la distribuzione locale dei propri prodotti alla costituenda società e distribuisce per conto dalla stessa i prodotti La Stampa al di fuori delle aree del Piemonte, Valle D’Aosta e Liguria (Provvedimento n. 15290/2006). Infine è stata autorizzata l’acquisizione da parte di M-dis del 30% del capitale sociale del distributore nazionale A. Pieroni Diffusione (Provvedimento n. 16192/2006).

Le operazioni condotte da M-dis denotano l’interesse ad esercitare un maggior grado di controllo sui processi di distribuzione a livello nazionale e locale. L’elemento di novità nel panorama dei distributori nazionali consiste nel fatto che la società distribuisce un numero inferiore di editori (70 rispetto ai 220 di Parrini), di cui alcuni di grande dimensione. Ciò consente il raggiungimento di economie di scala interne ed esterne con riferimento ai rapporti contrattuali con i distributori locali. La costituzione di società di distribuzione a carattere locale è operata, parallelamente, con l’obiettivo di assicurare il presidio diretto della rete al dettaglio in aree territoriali ad elevato potenziale di mercato. L’elevato grado di concentrazione delle vendite di giornali in aree territoriali ristrette del nostro paese (centro-nord) facilita il raggiungimento di questo obiettivo strategico, limitando le zone il cui presidio risulta determinante. Tale condotta può tradursi alternativamente nella revoca del mandato al distributore locale a distribuire le testate rappresentate da M-dis e/o alla richiesta a quest’ultimo di evolvere in un semplice prestatore di servizi logistici.

Il caso M-dis è soltanto l’ultima esperienza in ordine di tempo che testimonia dell’interesse degli editori ad esercitare un maggior grado di controllo sulla rete di

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distribuzione all’ingrosso e al dettaglio per supportare le proprie politiche di marketing e di crescita. In tale prospettiva si pongono anche altre esperienze: si pensi alle imprese di distribuzione locale partecipate con quote di minoranza da editori e distribuiti nazionali, o a Mondadori che ha recentemente lanciato il progetto di franchising Edicolé sulla rete al dettaglio.

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Capitolo 4

Gli agenti e l’intermediazione indiretta

4.1. Il contratto di agenzia Per introdurre il ruolo dell’intermediazione indiretta occorre preventivamente metterne a fuoco i confini, partendo dalla definizione del contratto di Agenzia che, come vedremo, rappresenta la prevalente, ancorché non unica, forma di intermediazione indiretta. Il Codice Civile all’art. 1742 e seguenti descrive il contratto di Agenzia come una relazione formale in cui “una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”. Le caratteristiche del contratto di agenzia non trovano spazi solo nel codice civile ma anche in successivi interventi legislativi cui si rimanda in appendice (Fig. 4.1).

Figura 4.1 - L’inquadramento legislativo

Una parte assume stabilmente

l'incarico, verso retribuzione, di promuovere per conto dell'altra la

conclusione di contratti in una

determinata zona

Chi è incaricato stabilmente da una

o più ditte dipromuovere la conclusione di contratti in una

determinata zona

Articoli 1742- 1753

D.Lgs 303/91 D.Lgs 65/99

AEC

NORMATIVA

Codice civile Intreventi legislativi

Norme corporative

Contratto di agenzia

Agente

NORMATIVA

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Gli elementi che contraddistinguono il contratto di agenzia sono riconducili alla formalizzazione di almeno 6 requisiti di base (Fig. 4.2)

Figura 4.2 - Gli elementi del contratto di agenzia

Dalla lettura congiunta di questi elementi, emerge la figura di un intermediario-agente che non effettua acquisti e/o vendite in proprio nome e non stipula contratti, circostanza, quest’ultima, che lo distingue da altre tipologie di intermediari indiretti che operano con modalità differenti dal contratto di agenzia. Accettando che la principale linea di demarcazione tra il ruolo dell’Agente e quello degli altri intermediari risieda nella presenza del contratto di Agenzia, cui rimandiamo in appendice, si possono distinguere i profili di intermediari in due grandi categorie, a seconda che abbiano accesso o meno al mandato di agenzia (Fig. 4.3).

è la determinazione territoriale in cui si svolge l'attività dell'agente

è la provvigione spettante all'agente per gli affari andati a buon fine

è la manifestazione della volontà delle parti diporre in essere un contratto

è lo scopo cui mira il contratto

è l'attività di promuovere la conclusione di affari per conto del proponente

è il modo in cui si manifesa la volontà

Zona

Retribuzione

Accordo delle parti

Forma

Causa

Oggetto

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Figura 4.3 - Le principali tipologie di intermediazione indiretta

Intermediari con contratto di Agenzia Intermediari senza contratto di agenzia Agente di commercio: è agente di commercio il soggetto, persona fisica o società, stabilmente incaricato di promuovere, salvo approvazione della azienda mandante, la conclusione di contratti in una zona preliminarmente definita per conto di una o più ditte proponenti. (art.1742 c.c.) Più nello specifico il compito dell’intermediario “agente” è quello di proporre beni e servizi di un’impresa (mandante) presso i potenziali clienti22. Subagente: è un soggetto, persona fisica o società, legato ad un proponente-agente per mezzo di un contratto di agenzia o di rappresentanza di commercio. In tal caso valgono i requisiti previsti dalle normative vigenti, dal codice civile degli Accordi Economici Collettivi (Aec). Agente con deposito: è un soggetto che tiene in deposito per conto della ditta mandante i prodotti che verranno consegnati da lui direttamente al cliente. Valgono le norme in materia di deposito per gli obblighi relativi alla custodia dei beni. Agente e rappresentante che commercia in proprio: oltre alla promozione e/o conclusione di contratti di vendita il soggetto esercita in proprio il commercio di prodotti della proponente (salvo patto contrario scritto) o di altre ditte non concorrenziali. Agente per la tentata vendita: è un soggetto che promuove direttamente la vendita di prodotti al cliente con consegna della merce contestuale o successiva utilizzando il proprio automezzo. L’attività è molto diffusa nel settore alimentare. Se il soggetto non è delegato da un rapporto di dipendenza, per esso si configurano le caratteristiche del rapporto di agenzia di commercio; valgono i requisiti previsti dalle norme vigenti, dal codice civile e dagli Accordi Economici Collettivi (Aec).

Rappresentante di commercio: è rappresentante di commercio il soggetto, persona fisica o società, stabilmente incaricato di concludere contratti per conto di una o più ditte proponenti in una zona preliminarmente definita. I contratti conclusi si considerano stipulati direttamente tra il cliente e la ditta mandante, poiché questa figura “rappresenta” l’azienda (art.1752 c.c.). La distinzione tra l’agente e il rappresentante è sottile, potendo quest’ultimo concludere contratti a differenza del primo che si limita a promuoverli. Commissionario: è un soggetto che, dietro mandato, acquista o vende beni per conto del committente e in nome proprio. Il commissionario: non è vincolato da obblighi di esclusiva, non ha una zona definita, non ha un incarico stabile e può concedere dilazioni di pagamento. (art. 1731, 1732 c.c.) Mediatore: mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza. Ha diritto a percepire la provvigione da ciascuna delle parti e al rimborso delle spese anche se non si è verificata la conclusione del contratto. (art.1752, 1755, 1756 c.c.) Propagandista: è una figura assai frequente nella promozione di prodotti medicinali e editoriali. Se svolge l’attività in regime di autonomia e non è legato da un rapporto di subordinazione, il compenso è commisurato agli affari conclusi con il rischio del risultato economico a proprio carico. Potrebbe essere assimilabile alla figura dell’agente di commercio. Procacciatore di affari: non esiste nel codice civile un riferimento normativo specifico relativo a tale figura. Si differenzia dall’agente in quanto non è vincolato dall’esclusività, non ha zone specifiche, né stabilità. Opera solo occasionalmente proponendo ad una ditta un “affare” (contratto di vendita) senza alcun vincolo né impegno per la medesima. Venditore diretto: vi rientrano i soggetti che svolgono azione di vendita con qualifiche differenti come ad esempio: commesso viaggiatore, venditore porta a porta, ispettori, capi area.

22 La clientela servita è però di tipo business, infatti la professione di intermediario così come

definita dai codici ATECO (da 51.10 a 51.19) è caratterizzata dal fatto di mettere in contatto fra loro imprese, e non imprese con il consumatore finale.

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4.2. L’iscrizione al Ruolo Non tutti gli intermediari devono iscriversi presso la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura dove è istituito un Ruolo per gli Agenti e Rappresentanti di commercio. Al Ruolo di agenti e rappresentanti di commercio debbono obbligatoriamente iscriversi tutti coloro, persone fisiche o società (tramite il o i legali rappresentanti), che intendono svolgere l’attività di agente e rappresentante di commercio, e in particolare:

- l’agente di commercio; - il rappresentante di commercio; - gli agenti e rappresentanti, italiani o stranieri, che operano in Italia con

mandato rilasciato da impresa straniera; - i sub-agenti di commercio; - gli agenti e rappresentanti, che operano esclusivamente nel settore dei

servizi.

Questa circostanza è fondamentale ai fini dell’approfondimento statistico poiché all’iscrizione al ruolo segue l’ iscrizione al registro delle imprese che rappresenta la fonte primaria di possibili analisi quantitative dell’evoluzione dell’intermediazione indiretta. I requisiti e le procedure per l’iscrizione al Ruolo sono molto simili sia per le imprese individuali che per le società di persone o di capitale (Fig. 4.4)

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155

Figura 4.4 - Requisiti e procedure per l’accesso al ruolo

ENASARCOAPERTURA

PARTITA IVA entro 30 gg

ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE entro 30 gg

inizio attivtà CAMERA DI COMMERCIO

INPS E MUTUA COMMERCIANTI (mutua e

pensione obbligatoria) entro 30 gg

REQUISITI GENERALI

REQUISITI MORALI

REQUISITI PROFESSIONALI

ISCRIZIONE NEL RUOLO AGENTI E RAPPRESENTANTI DI COMMERCIO CAMERA

DI COMMERCIO

INPS E MUTUA COMMERCIANTI (mutua e pensione obbligatoria) entro 30

gg

REGISTRO DELLE IMPRESE - COSTITUZIONE SOCIETA'

Riconoscimento dei requisiti al/i legale/i rappresentante/i

DENUNCIA INIZIO ATTIVITA' E DEPOSITO MANDATI entro 30 gg

decorrenza mandato REGISTRO DELLE IMPRESE - CAMERA DI COMMERCIO

ENASARCO

REQUISITI GENERALI

REQUISITI MORALI

REQUISITI PROFESSIONALI

ISCRIZIONE NEL RUOLO AGENTI E RAPPRESENTANTI DI COMMERCIO CAMERA DI COMMERCIO

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Tuttavia, l’ iscrizione non necessariamente indica la reale operatività dell’agente ed esiste il fondato sospetto che alcuni benefici fiscali possano spingere all’iscrizione e al sostegno dei costi relativi in virtù di un saldo positivo. Non è un caso che periodicamente, ogni 5 anni, si proceda alla revisione del Ruolo. Infatti l’ultimo comma dell’art. 5 della L.n. 204/85 prescrive la revisione quinquennale tesa ad assicurare in via primaria la legittimazione degli iscritti all’esercizio dell’attività, attraverso il controllo dei requisiti morali e della non sussistenza di situazioni di incompatibilità, in funzione di tutela di terzi contraenti e, in definitiva, della fede pubblica. La revisione risponde inoltre ad esigenze amministrative ed organizzative di trasparenza, di correttezza e di esatta rappresentazione della consistenza del settore. Come anticipato, questa circostanza si riflette sulla qualità delle fonti statistiche utili a cogliere le dinamiche evolutive del ruolo. L’analisi statistica è ulteriormente complicata dal fatto che in passato la legge Bassanini, per un certo periodo, mise le Camere di Commercio nella condizione di non rendere obbligatoria l’iscrizione al registro imprese, con possibili rischi di inquinamento nella lettura diacronica delle fonti. Una fonte alternativa per l’analisi economica è rappresentata dall’ammontare dei fondi Enasarco. La Fondazione Enasarco esercita, d’intesa con il Ministero del Lavoro, azioni di vigilanza ispettiva per l’accertamento della natura del rapporto di Agenzia e per l’osservanza degli obblighi contributivi da parte delle ditte mandanti. La fondazione Enasarco, costituita con Delibera del Consiglio di Amministrazione del 27/11/1996 per effetto del Decreto Legislativo 509/94, è un organismo di diritto privato che persegue finalità di pubblico interesse nel settore della previdenza obbligatoria, dell’ assistenza, della formazione e qualificazione professionale degli Agenti e Rappresentanti di Commercio. L’istituzione originaria dell’ente avviene nel 1938, per autonoma determinazione delle organizzazioni sindacali e delle ditte mandanti (Aec del 30/6/1938). Con Regio Decreto n.1305 del 6/6/1939 l’Enasarco fu costituito ente di diritto pubblico per la gestione della Previdenza, del Fondo Indennità Risoluzione Rapporto (Firr), dell’Istruzione Professionale e dell’Assistenza Sociale. Alla Fondazione Enasarco è affidata attualmente la gestione di un Consiglio di Amministrazione rappresentativo delle Associazioni sindacali degli Agenti di Commercio e delle Organizzazioni delle ditte mandanti firmatarie degli Accordi Economici Collettivi. Il controllo pubblico sulla gestione della Fondazione Enasarco è affidato al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Attualmente, la Fondazione amministra circa 300.000 posizioni contributive attive di Agenti e 105.000 Ditte mandanti obbligate alla contribuzione. Ogni anno vengono erogate circa 100.000 pensioni (tra vecchiaia, invalidità e superstiti) e 70.000 liquidazioni Firr. Sono obbligatoriamente iscritti alla Fondazione Enasarco anche gli Agenti che operano all’estero per ditte italiane. Le ditte straniere che non abbiano nessuna sede o dipendenza in Italia possono iscrivere alla Fondazione i propri agenti italiani purché si impegnino al rispetto delle norme contenute nel Regolamento. L’Ente svolge da oltre trenta anni attività per la formazione professionale degli Agenti di commercio e attualmente partecipano ai corsi di base circa 1.200 iscritti.

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La terza fonte statistica necessaria a studiare l’evoluzione del ruolo dell’intermediazione indiretta è rappresentata dai Censimenti Istat, che a cadenza purtroppo solo decennale fotografano la consistenza della categoria. Al fianco di queste fonti (camere di commercio, Enasarco e Istat) esistono poi ricerche campionarie svolte dalle principali Associazioni di categoria (Fnaarc, Assoagenti) sia a livello nazionale che regionale. Alla luce di queste basi dati, integrate da interviste qualitative di operatori citati in appendice, si può tentare un approfondimento di natura economica del ruolo dell’intermediazione indiretta.

4.3. I numeri chiave del settore Prima di entrare nel merito delle analisi statistiche e tentare un approfondimento del mercato lombardo, può essere utile ricostruire una sorta di scheda di analisi quali-quantitativa del ruolo, facendo tesoro delle interviste condotte agli operatori e delle fonti statistiche ufficiali. In primo luogo occorre segnalare che gli addetti ai lavori individuano forti rischi di sovrastima delle fonti statistiche ufficiali che al 2005 indicano 255.010 intermediari iscritti al registro Imprese, quando in realtà gli operatori col mandato di agenzia si stimano pari a circa 210.000 unità. Sul fronte delle aziende mandanti, l’Enasarco gestisce 105.000 posizioni, circostanza che porrebbe nel rapporto di 1 a 2 il numero di intermediari per mandante. Secondo l’Associazione di categoria degli agenti, la FNAARC, è possibile stimare che agenti e rappresentanti scambino beni per un valore pari al 70% del PIL nazionale. Un ulteriore indicatore dell’importanza strategica della professione ci è fornito da una ricerca Fnaarc la quale rileva che in Italia più del 50% delle ricerche di lavoro pubblicate sui giornali riguarda il ruolo di agenti di commercio. Un dato certificato è che l’85% degli agenti opera in forma individuale (Fig.5). Come approfondiremo in seguito, i dati del Registro delle Imprese ci permettono di evidenziare che la popolazione è rimasta sostanzialmente stabile nell’ultimo quinquennio. Altrettanto interessante il dato relativo al numero di mandanti per agente. Stando alle ricerche in materia risulta che la stragrande maggioranza degli agenti di commercio è plurimandatario, ovvero ha stipulato contratti con più di una azienda di produzione di beni e servizi. È evidente che la managerialità e l’indipendenza che caratterizza la professione di agente beneficiano di un rapporto continuativo con una pluralità di aziende mandanti. Tuttavia, un interessante approfondimento del 2003, Assogenti dimostra che in realtà molti plurimandatari sono di fatto legati a un’unica azienda (Fig. 4.6); nonostante la presenza di più mandati, la sovrapposizione (territoriale o merceologica) degli stessi e la presenza di un'unica controparte interlocutoria, fanno ricadere de facto il rapporto contrattuale nella tipologia del monomandato.

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Un ulteriore informazione rimanda alla presenza o meno di un deposito merci presso la sede dell’agente. In questo caso le analisi concordano nello stimare intorno al 10 %, e in calo, la percentuale di agenti dotati di deposito. Uno dei settori dove questa soluzione è più diffusa è quello dei consorzi agrari. Sul fatto che in prospettiva la presenza del deposito tenda a diminuire, può essere utile confrontare un analisi sul territorio piemontese che a distanza di 12 anni, dal 92 al 2004 vede dimezzarsi la presenza di depositi (Fig. 4.7) Un’altra peculiarità della professione è l’anzianità di lavoro degli agenti. Le ricerche campionarie di Fnnarc e Assogenti mostrano come la percentuale di giovani, intesi come fascia d’età inferiore ai 34 anni, sia inferiore al 15% e oltre il 30% degli intervistati opera da oltre 25 anni (Fig. 4.8). Il dato segnala un relativo invecchiamento del ruolo su cui torneremo nelle conclusioni finali. Il dato è in parte smentito dalle fonti Enasarco che mostrano un sostanziale equilibrio tra entrati e usciti (nuovi contributi e pensionamenti). Ulteriori indicazioni si hanno osservando i livelli di scolarizzazione del settore: il 70% degli agenti ha un titolo di scuola media secondaria. In merito al titolo di studio dobbiamo ricordare che per poter accedere alla professione di agente e rappresentante di commercio occorrono, oltre ai requisiti morali, il possesso di un titolo di studio di media secondaria o una laurea in ambito economico/commerciale, o la frequenza a corsi di formazione o una esperienza lavorativa. L’esempio della ricerca Confesercenti sugli agenti di Bologna nel 2002 va a conferma del dato proposto (Fig. 4.9). Passando a informazioni di natura commerciale occorre soffermarsi sui settori di appartenenza di questi operatori in modo da demarcarne gli ambiti di operatività. Analizzando la consistenza dei mercati di riferimento emerge una consistenza rilevante di operatori nei mercati dei prodotti di largo e generale consumo, peraltro confermata dalle ricerca campionaria di Assoagenti datata 2003 (Fig. 4.10) Tuttavia occorre osservare la presenza consistente di intermediari di beni industriali legati alla meccanica o all’elettronica che tende a salire nei territori che mostrano vocazioni distrettuali o tradizioni industriali e manifatturiere. Non è per esempio un caso che sul mercato Piemontese salga al 32% la quota di intermediari della meccanica, mentre in Lombardia, si assista a vocazioni terziarie anche nel mondo dell’intermediazione. Da queste precisazioni derivano le analisi relative alle diverse tipologie di clientela servita. Anche in questo caso usiamo come spunto di riflessione la ricerca Assoagenti del 2003 che identifica nel dettagliante indipendente il cliente tipico dell’agente, seguito dal grossista e dalla piccola azienda industriale o artigianale. Da segnalare il ruolo secondario della GDO servita con soluzioni dirette dall’industria (Fig. 4.11). Probabilmente, queste percentuali potrebbero modificarsi nei territori più specializzati sui beni intermedi e quindi meno vocati al dettaglio e al consumo finale, tuttavia il dato evidenzia la natura polivalente dell’intermediazione indiretta e la funzione logistica del ruolo dell’agente, chiamato a contattare clientela polverizzata sul territorio. Il presidio fisico della clientela con visite periodiche e mirate presso le sedi del cliente rappresenta quindi un prerequisito dell’intermediazione. A prima vista tale costo potrebbe essere assorbito dal cliente stesso o dal mandante quando le caratteristiche del

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bene commercializzato (valore, standardizzazione, etc..) spingono a un contatto diretto tra le controparti ( es: beni complessi, prodotti una tantum su specifiche del cliente) o alla semplificazione del processo d’acquisto (es: commodities, prodotti standardizzati, beni digitalizzabili, etc,,), ma le analisi che andremo a sviluppare non sembrano mettere in discussione la rilevanza economica dell’intermediazione indiretta. Una conferma indiretta del ruolo logistico assolto dall’agente viene dalle informazioni relative agli spostamenti effettuati sul territorio dall’agente: in media si stimano circa 50.000 Km/anno percorsi Non è un caso che la macchina, il suo utilizzo, la sua manutenzione e la sua sostituzione, rappresentino storicamente la voce di costo più consistente nel conto economico dell’agente di commercio. La circostanza ci introduce a una stima della redditività media di un agente indipendente. Infatti, dalle interviste realizzate siamo in grado di fornire un esempio che si avvicina alla realtà di molti intermediari di commercio. Posto un livello medio di provvigioni incassate pari a 80.000 €, decurtando costi d’impresa, oneri previdenziali e tassazione, il netto spendibile non supera il 40% del totale. Assumendo un valore medio delle provvigioni che oscilla dal 3% al 5%, è facile stimare che il valore medio del fatturato intermediato oscilli da 1 a 2 milioni di euro. A parziale conferma dei dati, riportiamo i risultati della già citata ricerca Assoagenti che mostra valori leggermente inferiori, ma che indicava un profilo di agente concentrato su una clientela al dettaglio e operante in settori di largo e generale consumo (Fig. 4.12). In realtà, per avere una visione completa del ruolo occorre ricordate che dagli studi di settore del Ministero delle Finanze emergono simulazioni contabili relative ad agenzie organizzate sottoforma di società di capitali, il cui giro d’affari supera spesso la soglia dei 5 milioni di euro. Anche alla luce di questa precisazione è utile ricostruire il profilo manageriale delle tipologie operatori più diffusi nel settore dell’intermediazione indiretta, soffermandoci sui punti di forza/debolezza di ciascun profilo per cercare di cogliere i potenziali di sviluppo delle stesse.

Figura 4.5 - Imprese iscritte al Registro delle imprese per forma giuridica (2001-2005)

IMPRESE ITALIANE ISCRITTE AL REGISTRO 2001-2005

FORME GIURIDICHE PESO % ANNO 2001 PESO % ANNO 2005

SOCIETA' DI CAPITALE 4,65% 4,47%

SOCIETA' DI PERSONE 8,65% 8,88%

IMPRESE INDIVIDUALI 85,78% 85,91%

ALTRE FORME 0,92% 0,74%

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RICERCA CAMERE DI COMMERCIO PIEMONTE - AGENTI E RAPPRESENTANTI PIEMONTE2004

TIPOLOGIA INDAGINE 2004 INDAGINE 1992

n.r. _ 6,0%

Con deposito 10,87% 22,2%Senza Deposito 89,13% 71,8%

Figura 4.6 - Classificazione dei soggetti a seconda del tipo di mandato

RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003

MONOMANDATARI

PLURIMANDATARI

PLURIMANDATARI MONOMANDATARI DI FATTO

31,1%

49,3%

19,6%

Fonte: Assorgenti

Figura 4.7 - Classificazione degli agenti per presenza o meno di un deposito 1992-2004

Fonte: Cam.Comm. Piemonte

Figura 4.8 - Anzianità di operatività degli agenti e rappresentanti italiani

fino a 5 anni 11,6%

dagli 11 ai 25 anni 34,9%dai 5 ai 10 anni 23,0%

RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003

Anni di lavoro come agente di commerciooltre i 25 anni 30,5%

Fonte: Assorgenti

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Figura 4.9 - Livello di scolarizzazione degli agenti di Bologna

Licenza elementare 7,1%

Licenza media 21,3%

RICERCA CONFESERCENTI - AGENTI E RAPPRESENTANTI BOLOGNA 2002Diploma 62,2%

Laurea 9,4%

Fonte: Confesercenti

Figura 4.10 - Settori merceologici di attività degli agenti

RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003

SETTORE MERCEOLOGICO DI ATTIVITA'Alimentare, bevande, tabacco 23,1%

Tessile, abbigliamento, pelli, cuoio e calzature 4,8%Legno, mobili, materiali per costruzione 8,1%

Chimica, gomma, plastica e ceramica 8,0%Mezzi di trasporto, macchine e articoli di metallo 12,1%

TOTALE 100,0%

Elettronica ed elettricità 9,5%Altri settori 34,4%

Fonte: Assoagenti 2003

Figura 4.11 - Classificazione degli intermediari per tipo di clientela servita

TOTALE 100,0%

Consumatori finali 14,8%Grande Distribuzione 7,8%

Comunità (scuole, ospedali,..) 2,6%Altro 11,1%

Aziende 15,9%Grossiti 19,9%

RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003

PERCENTUALE DI RISPOSTE SUL TOTALEDettaglianti 27,9%

Fonte: Assorgenti

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Figura 4.12 - Classificazione degli agenti per valore intermediato

RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003

PERCENTUALE DI AGENTI PER CLASSI DI FATTURATOfino a 250.000 € 18,6%

tra 250.000 e 500.000 € 16,9%tra 500.000 1,5M € 44,3%

TOTALE 100,0%

tra 1,5 e 5M € 10,6%oltre 5M € 9,6%

4.4. L’analisi quantitativa: Italia e Lombardia a confronto Passando all’analisi statistica, emerge immediatamente un trend molto differenziato negli ultimi 5 anni, con una crescita dello 0,36% (Fig. 4.14), rispetto al precedente decennio 1991 -2001 che registra una crescita dello 72,04% (Fig. 4.15).

Figura 4.14 - Iscrizioni al registro Imprese (saldo tra operative, iscritte e cessate)

nel 2001 e 2005

Regioni Imprese iscritte 2001 Imprese iscritte 2005 Var. %Piemonte 20.295 20.427 0,65%

Valle d'Aosta 275 278 1,09%Lombardia 46.201 46.036 -0,36%

Trentino-Alto Adige 3.627 3.624 -0,08%Veneto 26.793 26.713 -0,30%

Friuli-Venezia Giulia 5.738 5.577 -2,81%Liguria 7.784 7.400 -4,93%

Emilia-Romagna 23.703 23.176 -2,22%Toscana 20.318 20.383 0,32%Umbria 4.204 4.284 1,90%Marche 9.405 9.411 0,06%Lazio 22.200 21.109 -4,91%

Abruzzo 5.840 6.191 6,01%Molise 700 746 6,57%

Campania 16.710 17.671 5,75%Puglia 13.697 14.079 2,79%

Basilicata 1.206 1.306 8,29%Calabria 5.246 5.723 9,09%Sicilia 14.566 15.175 4,18%

Sardegna 5.576 5.701 2,24%Totale 254.084 255.010 0,36%

INTERMEDIARI ISCRITTI AL REGISTRO DELLE IMPRESE 2001 - 2005

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Regioni Imprese 1991 Imprese 2001 Var. % Addetti 1991 Addetti 2001 Var. % Intermediari di commercio 1991

Intermediari di commercio 2001 Var. %

Piemonte 269.626 329.958 22,38% 1.448.636 1.409.120 -2,73% 12.914 22.940 77,64%

Valle d'Aosta 8.984 11.102 23,58% 33.977 38.613 13,64% 121 293 142,15%

Lombardia 573.820 751.631 30,99% 3.294.417 3.723.556 13,03% 38.563 57.782 49,84%

Trentino-Alto Adige 64.185 77.110 20,14% 264.522 298.034 12,67% 2.276 4.417 94,07%

Veneto 301.598 376.281 24,76% 1.359.303 1.580.844 16,30% 18.876 32.125 70,19%

Friuli-Venezia Giulia 78.447 86.650 10,46% 357.736 362.150 1,23% 5.094 6.613 29,82%

Liguria 105.922 124.787 17,81% 418.014 383.571 -8,24% 5.615 8.141 44,99%

Emilia-Romagna 306.351 360.326 17,62% 1.300.846 1.470.609 13,05% 21.841 28.817 31,94%

Toscana 266.089 313.020 17,64% 1.009.977 1.079.064 6,84% 18.020 24.719 37,18%

Umbria 51.009 64.368 26,19% 189.461 225.173 18,85% 2.159 4.613 113,66%

Marche 105.926 123.607 16,69% 404.262 456.358 12,89% 6.552 10.993 67,78%

Lazio 237.925 358.785 50,80% 1.678.720 1.623.141 -3,31% 8.331 22.962 175,62%

Abruzzo 75.111 89.220 18,78% 269.336 296.824 10,21% 2.428 5.759 137,19%

Molise 17.842 19.462 9,08% 50.210 54.211 7,97% 341 649 90,32%

Campania 236.995 298.355 25,89% 741.862 836.760 12,79% 6.761 17.820 163,57%

Puglia 186.560 224.895 20,55% 572.684 642.261 12,15% 5.907 14.162 139,75%

Basilicata 30.481 33.086 8,55% 88.640 99.658 12,43% 502 1.120 123,11%

Calabria 88.238 98.797 11,97% 211.644 231.546 9,40% 1.938 4.453 129,77%

Sicilia 210.490 246.704 17,20% 618.434 624.140 0,92% 7.450 15.336 105,85%

Sardegna 84.659 95.822 13,19% 261.621 277.275 5,98% 2.621 5.852 123,27%

Totale 3.300.258 4.083.966 23,75% 14.574.302 15.712.908 7,81% 168.310 289.566 72,04%

COMPARAZIONE CENSIMENTI ISTAT 1991 - 2001

Figura 4.15 - Imprese, addetti, intermediari, 1991-2001

Fonte: ISTAT Confrontando l’evoluzione delle imprese, degli occupati e del numero degli intermediari di commercio nel decennio si osserva un primo fenomeno rilevante. Il ricorso all’intermediazione indiretta appare crescere in misura più che proporzionale ( + 72,04%) rispetto alla crescita dell’occupazione diretta (+7,85) e delle imprese stesse ( +23,75%) (Fig. 4.15). La chiave di lettura più immediata di questi numeri rimanda ai processi di terziarizzazione e di “alleggerimento” delle imprese. In questo senso, tali tendenze in Lombardia sembrerebbero mostrare uno sviluppo più marcato, probabilmente acuito da una sorta di maturazione/saturazione dell’intermediazione connessa all’offerta regionale. Infatti, nel decennio indagato la Lombardia sembra aver messo l’acceleratore nel settore dei servizi, mentre mostra tassi di crescita rallentati nei settori industriali e commerciali, ragionevolmente più vicini al mondo dell’intermediazione indiretta (Fig. 4.16). Dai dati totali emerge che, nel decennio osservato, il trend più forte riguarda la crescita delle imprese nel settore denominato “altri servizi”. Se da un lato lo sviluppo delle imprese industriali è di minor portata, dall’altro si è verificata una contrazione nelle imprese appartenenti al settore commerciale. In entrambi i casi il fenomeno della concentrazione e fusione tra aziende è determinante; in particolare

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Imprese 1991 Imprese 2001 Var. % Imprese 1991 Imprese 2001 Var. % Imprese 1991 Imprese 2001 Var. %

Piemonte 81.041 95.558 17,91% 100.721 93.993 -6,68% 87.864 140.407 59,80%Valle d'Aosta 2.354 3.074 30,59% 2.833 2.517 -11,15% 3.797 5.511 45,14%

Lombardia 189.519 216.238 14,10% 192.154 187.734 -2,30% 192.147 347.659 80,93%Trentino-Alto Adige 16.575 20.555 24,01% 17.091 18.000 5,32% 30.519 38.555 26,33%

Veneto 106.573 121.006 13,54% 99.961 101.217 1,26% 95.064 154.058 62,06%Friuli-Venezia Giulia 23.139 24.463 5,72% 26.739 23.995 -10,26% 28.569 38.192 33,68%

Liguria 21.861 27.396 25,32% 42.806 38.381 -10,34% 41.255 59.010 43,04%Emilia-Romagna 92.234 104.345 13,13% 104.018 95.567 -8,12% 110.099 160.414 45,70%

Toscana 86.868 95.550 9,99% 93.376 88.171 -5,57% 85.845 129.299 50,62%Umbria 15.575 18.729 20,25% 18.824 19.023 1,06% 16.610 26.616 60,24%Marche 37.161 39.587 6,53% 37.308 35.967 -3,59% 31.457 48.053 52,76%Lazio 46.796 70.516 50,69% 106.467 109.697 3,03% 84.662 178.572 110,92%

Abruzzo 20.101 24.673 22,75% 29.955 28.301 -5,52% 25.055 36.246 44,67%Molise 4.779 5.247 9,79% 7.261 6.432 -11,42% 5.802 7.783 34,14%

Campania 46.997 64.729 37,73% 116.031 117.316 1,11% 73.967 116.310 57,25%Puglia 43.736 56.519 29,23% 86.772 85.462 -1,51% 56.052 82.914 47,92%

Basilicata 8.054 8.690 7,90% 12.806 11.226 -12,34% 9.621 13.170 36,89%Calabria 16.460 22.012 33,73% 44.678 38.562 -13,69% 27.100 38.223 41,04%Sicilia 41.531 56.236 35,41% 103.736 96.319 -7,15% 65.223 94.149 44,35%

Sardegna 20.273 23.666 16,74% 36.507 32.851 -10,01% 27.879 39.305 40,98%

Totale 921.627 1.098.789 19,22% 1.280.044 1.230.731 -3,85% 1.098.587 1.754.446 59,70%

COMPARAZIONE CENSIMENTI ISTAT 1991 - 2001

REGIONIINDUSTRIA COMMERCIO ALTRI SERVIZI

nel settore commerciale lo sviluppo e l’affermazione della Grande Distribuzione Organizzata influisce in modo sostanziale sul dato. Nuove conferme della relativa saturazione del mercato lombardo, si hanno analizzando il dato relativo alle dimensioni aziendali medie della regione e alla presenza del ruolo, calcolata in termini relativi, cioè come numero di intermediari presenti ogni 100 aziende (Fig. 4.17). Anche in questo il territorio presenta uno sviluppo rallentato del ruolo rispetto alla media di altre regioni; questo dato ci confermerebbe l’ipotesi fatta sulle tendenze alla saturazione/maturazione che esisterebbe nel settore dell’intermediazione in Lombardia, se si pensa che già nel 1991 la regione aveva dati di assoluto rilievo nel contesto nazionale(Fig. 4.17).

Figura 4.16 - Industria, commercio e altri servizi, 1991-2001

Fonte: ISTAT

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165

REGIONI

DIM ENSIONI AZIENDALI:

ADDETTI PER IM PRESA 1991

DIMENSIONI AZIENDALI:

ADDETTI PER IMPRESA 2001

INTERM EDIARI DI COMM ERCIO

OGNI 100 IMPRESE 1991

INTERM EDIARI DI COM M ERCIO

OGNI 100 IM PRESE 2001

Piemonte 5,4 4,3 47,9 69,5Valle d'Aosta 3,8 3,5 13,5 26,4

Lombardia 5,7 5,0 67,5 76,9Trentino-Alto Adige 4,1 3,9 35,5 57,3

Veneto 4,5 4,2 62,6 85,4Friuli-Venezia Giulia 4,6 4,2 64,9 76,3

Liguria 3,9 3,1 53,0 65,2Emilia-Romagna 4,2 4,1 71,3 80,0

Toscana 3,8 3,4 67,7 79,0Umbria 3,7 3,5 42,3 71,7Marche 3,8 3,7 61,9 88,9Lazio 7,1 4,5 35,0 64,0

Abruzzo 3,6 3,3 32,3 64,5Molise 2,8 2,8 19,1 33,3

Campania 3,1 2,8 28,5 59,7Puglia 3,1 2,9 31,7 63,0

Basilicata 2,9 3,0 16,5 33,9Calabria 2,4 2,3 22,0 45,1Sicilia 2,9 2,5 35,4 62,2

Sardegna 3,1 2,9 31,0 61,1M EDIA 3,9 3,5 33,2 57,0

COMPARAZIONE CENSIMENTI ISTAT 1991 - 2001

Figura 4.17 - Dimensioni aziendali e intermediari di commercio sul totale imprese: comparazione 1991-2001

Fonte: ISTAT 4.4.1. L’approfondimento settoriale: il caso Lombardia Nuove informazioni si ottengono andando a scomporre il dato per settori merceologici nel mercato Lombardo. Come anticipato la classificazione merceologica proposta dalle Camere di Commercio coincide con i codici ATECO dell’ISTAT. Per avere una visione quanto più si propone una lettura gerarchica del dato, procedendo per disaggregazioni successive e confrontando i tassi di sviluppo dei diversi aggregati Dalla lettura dei dati relativi al decennio 91-2001 emerge un dinamismo significativo del comparto, che al suo interno tuttavia nasconde significative oscillazioni (Figg. 4.18,4.19,4.20). In primo luogo si hanno conferme dei diversi trend a livello di macrocomparti, con il calo del primario, la tenuta del secondario e l’esplosione del terziario (Fig. 4.16). Ma entrando nel merito dell’intermediazione si osservano interessanti differenze. Se da una parte gli intermediari di prodotti di largo e generale consumo non alimentari crescono addirittura del 129,14 %, sul fronte opposto le materie prime agricole e tessile segnano un -30,22%. A metà strada con un + 37% gli alimentari, i mobili e gli

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articoli per la casa; decisamente più in difficoltà gli intermediari di macchinari e impianti ma anche il tessile abbigliamento e le calzature (Fig. 4.18). Partendo da queste performance relative al decennio 91-2001, è molto interessante leggere il dato relativo all’ultimo quinquennio; in questo caso la fonte di riferimento non può più essere il Censimento Istat ma necessariamente occorre consultare il Registro Imprese della Camera di Commercio (Fig. 4.21). Purtroppo i dati camerali mostrano qualche sorpresa, prima fra tutte l’evidenza che l’ammontare complessivo di intermediari al 2001 ammonta a 46.201 contro i 57.782 censiti dall’ISTAT. Segnaliamo intanto che nel Registro è prevista la voce residuale “altri intermediari” che raccoglie tutte quelle posizioni le cui attività, al momento della conversione della classificazione delle attività economiche (da ATECO 91 a ATECO 2001), avvenuta a fine anni ’90, non hanno trovato una specifica collocazione nelle classi più dettagliate. Entrando nelle singole categorie notiamo poi che la categoria che mostra più discrepanze è quella degli intermediari di carta, libri, prodotti farmaceutici ecc. Ricordiamo che l’iscrizione alla Camera di Commercio coinvolge anche le agenzie organizzate sottoforma di società di capitali e di persone e che probabilmente queste raccolgono al proprio interno agenti e sub-agenti che non sempre procedono all’iscrizione come individui. Fatte tutte queste precisazioni, resta l’imbarazzo di un dato molto eterogeneo che complica la lettura diacronica. Entrando nel merito dei trend si hanno indicazioni che rappresentano una rottura rispetto alla traiettoria descritta per il decennio precedente. Da una parte l’intermediazione di beni primari agricoli e tessili si conferma in crisi ( -31,3%); il rallentamento investe ancora più intensamente l’intermediazione del mobile e degli articoli per la casa ( -63,2%) che nel decennio precedente erano cresciuti. Molto ridimensionati rispetto al decennio precedente il trend dell’alimentare ( +3,10%) e del non food ( +19,8%). In significativa ripresa i beni meccanici e strumentali ( +12,44%) ma anche altre tipologie di beni intermedi non destinati al consumo finale come chimici, metalli e semilavorati ( + 20,5%) o legno, idraulici, costruzioni, ecc. ( +15,25%), (Fig. 4.21).

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Figura 4.18 - Il trend delle macrocategorie: il commercio all’ingrosso e gli intermediari del commercio

ATTIVITA' ECONOMICHE Addetti 1991 Addetti 2001 Variazione %

AGRICOLTURA, CACCIA E SILVICOLTURA 8.809 7.512 -14,72%

PESCA, PISCICOLTURA E SERVIZI CONNESSI 325 299 -8,00%

ESTRAZIONE DI MINERALI ENERGETICI 8.017 503 -93,73%

ESTRAZIONE DI MINERALI NON ENERGETICI 4.681 4.383 -6,37%

INDUSTRIE ALIMENTARI, DELLE BEVANDE E DEL TABACCO 88.901 80.500 -9,45%

INDUSTRIE TESSILI E DELL'ABBIGLIAMENTO 236.711 169.428 -28,42%INDUSTRIE CONCIARIE, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN CUOIO, PELLE E SIMILARI 29.719 17.291 -41,82%

INDUSTRIA DEL LEGNO E DEI PRODOTTI IN LEGNO 32.339 29.260 -9,52%FABBRICAZIONE DI PASTA-CARTA, CARTA E PRODOTTI DI CARTA; STAMPA ED EDITORIA 96.562 77.925 -19,30%FABBRICAZIONE DI COKE, RAFFINERIE DI PETROLIO, TRATTAMENTO COMBUST. NUCLEARI 8.585 4.891 -43,03%FABBRICAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI E DI FIBRE SINTETICHE E ARTIFICIALI 155.608 109.859 -29,40%

FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN GOMMA E MATERIE PLASTICHE 71.376 78.883 10,52%FABBRICAZIONE DI PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DI MINERALI NON METALLIFERI 46.211 39.537 -14,44%PRODUZIONE DI METALLO E FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO 256.173 279.225 9,00%FABBRICAZIONE MACCHINE ED APPARECCHI MECCANICI; INSTALLAZIONE E RIPARAZIONE 184.535 177.830 -3,63%FABBRICAZIONE MACCHINE ELETTRICHE E APPARECCHIATURE ELETTRICHE ED OTTICHE 212.196 160.105 -24,55%

FABBRICAZIONE DI MEZZI DI TRASPORTO 38.629 33.402 -13,53%

ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE 72.866 61.852 -15,12%PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA, GAS E ACQUA 20.875 16.188 -22,45%

COSTRUZIONI 253.187 285.584 12,80%COMMERCIO INGROSSO E DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTO, MOTO E BENI PERSONALI 647.246 667.345 3,11%

Commercio, manutenz e riparaz autoveicoli e moto, vendita dettaglio carburanti 80.974 77.086 -4,80%

Commercio all'ingrosso e intermediari del commercio, autoveicoli e moto esclusi 231.382 276.071 19,31%

Commerico al dettaglio, escluso auto e moto; riparaz. Beni personalie casa 334.890 314.188 -6,18%

ALBERGHI E RISTORANTI 130.893 166.588 27,27%

TRASPORTI, MAGAZZINAGGIO E COMUNICAZIONI 103.139 243.195 135,79%

INTERMEDIAZIONE MONETARIA E FINANZIARIA 164.280 173.376 5,54%ATTIVITA' IMMOBILIARI, NOLEGGIO, INFORMATICA, RICERCA, PROFESS. ED IMPRENDIT. 285.227 659.018 131,05%

ISTRUZIONE 11.952 7.329 -38,68%

SANITA' E ALTRI SERVIZI SOCIALI 43.100 67.003 55,46%

ALTRI SERVIZI PUBBLICI, SOCIALI E PERSONALI 82.275 105.245 27,92%

TOTALE 3.294.417 3.723.556 13,03%

OCCUPATI PER SETTORI DI ATTIVITA' ECONOMICA - Regione Lombardia - Censimento 1991/2001

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38.563 57.782 49,84%

6.040 4.565 -24,42%

27.729 23.697 -14,54%

69.555 76.143 9,47%

44.246 50.968 15,19%

37.211 52.821 41,95%

8.038 10.095 25,59%

231.382 276.071 19,31%

ADDETTI 2001 VARIAZIONE %

Intermediari del commercio

Commercio all'ingrosso di materie prime agricole e di animali vivi

COMMERCIO ALL'INGROSSO E INTERMEDIARI DEL COMMERCIO; AUTOVEICOLI E MOTO ESCLUSI ADDETTI 1991

Commercio all'ingrosso di prodotti alimentari, bevande e tabacco

Commercio all'ingrosso di altri beni di consumo finale

Commercio all'ingrosso di prod. intermedi non agricoli, rottami e cascami

Commercio all'ingrosso di macchinari e attrezzature

Commercio all'ingrosso di altri prodotti

TOTALE

Figura 4.19 - Il trend degli intermediari e delle altre sottocategorie interne al commercio all’ingrosso e intermediari

Fonte: ISTAT

Figura 4.20 - Il trend delle sottocategorie merceologiche interne agli intermediari

CATEGO RIE M ERCEO LO G ICH E TRATTATE Addetti 1991 Addetti 2001 Variaz ione %

"Intermediari commercio mat. prime agric. e tessili; animali vivi; semil." 1.532 1.069 -30,22%

Intermediari commercio combustibili, minerali, metalli, prodotti chimici 2.134 2.006 -6,00%

Intermediari del commercio di legname e materiali da costruzione 1.295 1.297 0,15%

Intermediari del commercio di macchinari, impianti indust., navi e aerei 4.112 3.789 -7,86%

Intermediari del commercio di mobili, artico li per la casa e ferramenta 2.321 3.182 37,10%

Intermediari del commercio prod. tessili, abbigl., calzature e pellicce 5.357 5.018 -6,33%

Intermediari del commercio di prodotti alimentari, bevande e tabacco 4.308 5.920 37,42%

Intermediari del commercio di carta, libri, prodotti farmaceutici, eletronica, prodotti sportivi, materiali

preziosi, giocatto li, etc.11.426 26.182 129,14%

Intermediari del commercio di vari prodotti senza prevalenza di alcuno , gruppi di acquisto , buyer,

mediatori, procacciatori d'affari6.078 9.319 53,32%

Totale 38.563 57.782 49,84%

IN TER M E D IA R I C EN SIM E N TO IST A T 1991-2001

Fonte: ISTAT

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Figura 4.21 - Il trend delle sottocategorie merceologiche interne agli intermediari: classificazione ATECO

Fonte: Camera di Commercio Nuove informazioni si ottengono analizzando i dati relativi allo sviluppo di due particolari tipologie di intermediari legate al mondo dei servizi: il promotore finanziario23 (Fig. 4.22) e l’agente immobiliare (Fig. 4.23). In entrambi i casi è utile osservare il dato lombardo poichè abbondantemente superiore alla media nazionale24.

23 L’art. 31 del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 stabilisce che è promotore finanziario la persona fisica che, in qualità di dipendente, agente o mandatario, esercita professionalmente l’attività di promozione e di collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi di investimento in luogo diverso dalla sede, legale o secondaria, del soggetto abilitato per il quale opera. L’attività di promotore finanziario deve essere svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto.

Per poter esercitare l’attività di promotore finanziario occorre iscriversi, dopo aver superato il previsto esame, all’Albo unico nazionale dei promotori finanziari, istituito presso la Consob

24 L'agente immobiliare è un mediatore specializzato nella conclusione di affari aventi per oggetto lo scambio di beni immobili o aziende. Rispetto ad altre categorie di mediazione, la

CATEGORIE MERCEOLOGICHE TRATTATE

Agenti 2001 Agente 2005 Variazione %

"Intermediari commercio mat. prime agric. e tessili; animali vivi; semil." 1.480 1.127 -23,85%

Intermediari commercio combustibili, minerali, metalli, prodotti chimici 1.633 2.054 25,78%

Intermediari del commercio di legname e materiali da costruzione 2.062 2.433 17,99%

Intermediari del commercio di macchinari, impianti indust., navi e aerei 3.724 4.253 14,21%

Intermediari del commercio di mobili, articoli per la casa e ferramenta 4.539 2.781 -38,73%

Intermediari del commercio prod. tessili, abbigl., calzature e pellicce 3.574 3.430 -4,03%

Intermediari del commercio di prodotti alimentari, bevande e tabacco 5.166 5.331 3,19%

Intermediari del commercio di carta, libri, prodotti farmaceutici, eletronica, prodotti sportivi, materiali preziosi,

giocattoli, etc.9.106 11.360 24,75%

Intermediari del commercio di vari prodotti senza prevalenza di alcuno, gruppi di acquisto, buyer, mediatori, procacciatori

d'affari8.987 8.446 -6,02%

Altri intermediari di commercio 5.930 4.821 -18,70%

Totale 46.201 46.036 -0,36%

IMPRESE ISCRITTE ALLA CAMERA DI COMMERCIO 2001-2005

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Da una lettura complessiva di queste informazioni, sembra emergere una traiettoria di ridefinizione dell’intermediazione che in mercati commercialmente evoluti come quello lombardo mostra spazi ridotti per l’intermediazione indiretta di beni di largo consumo, mentre trova un tessuto economico vitale nella produzione e commercializzazione di beni strumentali che richiedono approcci commerciali diversi da quelli del prodotto finale, nonchè nello sviluppo delle figure di intermediazione legate al mondo dei servizi. Più in generale, stanti i limiti della lettura diacronica 1991-2005, emerge con chiarezza e non solo a livello lombardo che gli ultimi anni mostrano una sostanziale stasi nello sviluppo numerico degli agenti e quindi si aprono importanti interrogativi sul fronte occupazionale. A ben vedere, le chiavi di lettura di questa stasi non sono riconducibili alle specializzazioni territoriali se è vero che il rallentamento coinvolge l’intero sistema nazionale e scendendo ad analisi micro-territoriali non si scorgono significative eccezioni25.

mediazione immobiliare (forse la più nota) si distingue per essere rivolta principalmente a clientela privata non professionale (che non agisce cioè in ragione di professione o in esercizio di attività di impresa) e per riguardare, in una quota tuttora maggioritaria, lo scambio in compravendita o in locazione (o in altri modi) di abitazioni usate; nella compravendita, è tuttora prevalente lo scambio di abitazioni principali ("prima casa"), cioè quelle nelle quali una delle parti aveva fissato o desidera fissare la sua residenza.

Come per tutti i mediatori, l'esercizio di questa attività è subordinato all'iscrizione al Ruolo degli Agenti di Affari in Mediazione tenuto presso ciascuna camera di commercio ed è regolamentato dalla legge n. 39 del 1989 e successive integrazioni e modifiche. La legge ha soppresso la precedente suddivisione in "Ruolo ordinario" e "Ruolo speciale", imponendo l'obbligo di iscrizione al ruolo unificato (ma diviso in quattro sezioni) anche per l'esercizio di attività occasionale di mediazione, ed ha inoltre sancito l'incompatibilità dell'esercizio della mediazione con altre professioni. La precedente normativa del 1958 prevedeva dei tesserini personali di identificazione per i soli agenti iscritti in ruolo speciale; attualmente alcune Camere di Commercio, di propria iniziativa e senza nessun obbligo normativo, hanno dato il via ad iniziative che prevedono il rilascio di nuovi cartellini identificativi.

25 Se per esempio si analizzano le province lombarde dell’ultimo quinquennio, non si possono cogliere nessi tra le specializzazioni merceologiche di una micro-area e il trend degli intermediari. Inoltre, si rischia di perdere di vista la natura interprovinciale del ruolo dell’intermediario che si iscrive alla Camera di commercio della propria città di residenza, ma di fatto svolge un lavoro legato alle sedi della clientela di riferimento. Ecco allora per esempio, spiegarsi anche il dato eccezionale di Lodi, ( +11,9%) considerabile facilmente come una città satellite di Milano ( -1,83% fonte Registro Imprese).

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Figura 4.22 - Promotori finanziari iscritti al registro delle imprese 2001-2005: dettaglio regionale

Regioni Imprese iscritte 2001

Imprese iscritte 2005 Var. %

Piemonte 2.491 3.072 23,32%Valle d'Aosta 76 90 18,42%

Lombardia 4.788 6.260 30,74%Trentino-Alto Adige 271 359 32,47%

Veneto 2.543 2.947 15,89%Friuli-Venezia Giulia 702 780 11,11%

Liguria 1.193 1.324 10,98%Emilia-Romagna 2.851 3.146 10,35%

Toscana 2.177 2.462 13,09%Umbria 719 734 2,09%Marche 1.010 1.140 12,87%Lazio 3.434 4.244 23,59%

Abruzzo 521 671 28,79%Molise 150 185 23,33%

Campania 2.135 2.943 37,85%Puglia 1.539 1.755 14,04%

Basilicata 195 207 6,15%Calabria 467 700 49,89%Sicilia 1.323 1.879 42,03%

Sardegna 388 539 38,92%Totale 28.973 35.437 22,31%

PROMOTORI FINANZIARI ISCRITTI AL REGISTRO DELLE IMPRESE 2001 - 2005

Figura 4.23 - Agenzie di intermediazione immobiliare iscritte al registro delle imprese 2001-

2005: dettaglio regionale

Regioni Imprese iscritte 2001 Imprese iscritte 2005 Var. %

Piemonte 2.285 3.159 38,25%Valle d'Aosta 56 85 51,79%Lombardia 4.864 7.087 45,70%

Trentino-Alto Adige 458 652 42,36%Veneto 2.646 3.356 26,83%

Friuli-Venezia Giulia 582 759 30,41%Liguria 1.908 2.181 14,31%

Emilia-Romagna 2.675 3.291 23,03%Toscana 2.939 3.629 23,48%Umbria 380 503 32,37%Marche 532 748 40,60%Lazio 2.832 3.622 27,90%

Abruzzo 372 514 38,17%Molise 59 81 37,29%

Campania 1.077 1.451 34,73%Puglia 893 1.277 43,00%

Basilicata 62 72 16,13%Calabria 200 321 60,50%Sicilia 823 1.110 34,87%

Sardegna 484 652 34,71%Totale 26.127 34.375 31,57%

AGENZIE DI INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE ISCRITTE AL REGISTRO DELLE IMPRESE 2001 - 2005

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4.5. Prospettive e aree di intervento Per quanto visto in premessa, la professione dell’agente non mostra forti barriere di natura amministrativa, dato che per poter espletare la professione è richiesta l’iscrizione ad un albo tenuto dalle CCIAA a cui si può accedere avendo sostenuto un esame o proponendo curriculum con conoscenze consone alla professione. L’accesso alla professione non è limitato nemmeno da barriere di natura economica, dato che gli investimenti necessari per lo start up non sono ingenti proprio per le peculiarità del settore che può essere considerato più labour and competence intensive che capital intensive26. Le basse barriere all’entrata e il carattere professionale dell’attività legata al presidio territoriale che la stessa richiede comportano una struttura del settore molto polverizzata. Nonostante la relativa facilità di ingresso nella professione, guardando al profilo degli agenti italiani si nota che gli addetti hanno un’età media elevata. L’accesso alla professione avviene di solito con il ruolo di sub-agente. Generalmente chi entra nell’intermediazione indiretta come sub agente è molto giovane e consapevole di ricoprire una posizione transitoria in quanto è in attesa di acquisire un mandato come agente principale. A questo si aggiunga che il sub-agente ha l’obbligo di non concorrenza limitato al settore merceologico o all’area servita all’atto dello scioglimento del rapporto con il mandante (art. 1751 bis cc27). Diretta conseguenza è che la crescita dei giovani agenti avviene spesso al di fuori dell’ambito territoriale in cui si è nati o ancora nel settore merceologico non originario28. Le considerazioni fatte tendono a rappresentare un quadro della professione in cui il ricambio generazionale diventa sempre più difficile; questo potrebbe contribuire a spiegare la stasi dei tassi di crescita del settore. Tuttavia le vere

26 Conferme giungono dall’analisi del conto economico dei soggetti; le imprese sembrano caratterizzarsi per strutture finanziarie molto squilibrate verso l’indebitamento di breve periodo dovuto alla richiesta di circolante per far fronte a spese quali carburante, viaggi, leasing dell’automezzo. La richiesta di circolante è oltremodo accresciuta dallo sfasamento temporale tra riscossione provvigioni e raccolta ordini.

Poco significativa l’analisi del ROI data dall’esiguità degli investimenti necessari; più rilevante le analisi del ROS in questo comparto dove conta la professionalità e l’intuito dell’imprenditore. Esigua l’incidenza dei costi per ammortamento nelle strutture di conto economico anche nei casi di imprese di maggiori dimensioni a riprova del fatto che la dimensione non è dettata da forti investimenti in capitale.

27 C’è da dire che l’attuazione da parte dell’Italia della direttiva 86/653/CEE ha stabilito che tale clausola restrittiva del contratto va monetizzata all’agente come risarcimento all’atto dello scioglimento; si precisa che il patto di non concorrenza non può comunque essere superiore ai due anni successivi all’estinzione del rapporto.

28 Stante il rischio di potersi ritrovare ad operare in settori o ambiti territoriali diversi da quelli originari a causa dell’incombenza del suddetto patto di non concorrenza, i sub-agenti non hanno un reale interesse a stabilire rapporti stabili con la clientela attuale. Allo stesso modo il patto limitativo della concorrenza rallenta la crescita professionale delle giovani risorse che approcciano al ruolo, dato che il rischio che si sia costretti a cambiare settore merceologico fa perdere tutte le competenze acquisite nelle esperienze precedenti; si pensi ad esempio a settori quali la vendita di impianti industriali su commessa e a quanto contino le competenze tecniche e di conoscenza del prodotto nelle fase di coordinamento della negoziazione.

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ragioni che sembrano mettere in discussione la crescita del comparto sono di ordine strutturale e sono riconducibili a pressioni che nascono a monte, da parte dell’impresa mandante, e a valle, da parte della clientela organizzata. A valle, le nuove tendenze alla concentrazione dei mercati di distribuzione soprattutto nel comparto dei beni di largo consumo alimentari, nei mobili, nel bricolage e nell’elettronica di consumo influenzano negativamente il settore dell’intermediazione. A monte, l’attuale contesto di recessione economica e la conseguente maturità dei mercati porta le imprese alla ricerca dell’efficienza con una oculata gestione dei costi (contingentamento e flessibilizzazione) e ad una crescita dimensionale per il miglior presidio dei mercati. Le operazioni per incidere sui costi di struttura sono volte a spingere la forza vendita interna ad acquisire lo status di agente in modo da ridurre i costi per lavoro dipendente; tuttavia il processo di razionalizzazione si spinge oltre, arrivando all’esternalizzazione di funzioni complementari alla vendita. Si pensi alle agenzie di promoteraggio, ai vetrinisti o ai merchandiser che visitano i clienti non per raccogliere l’ordine ma per fornire consulenza e assistenza al negozio. Queste circostanze sembrano tradursi in un ulteriore selezione all’interno delle reti di agenti. In questo scenario, infatti, l’intermediario di vendita è chiamato a potenziare i fattori di tipo competitivo specifici della professione. Gli anni di esperienza portano a sviluppare una maggior conoscenza del prodotto e agevolano l’instaurarsi di un rapporto fiduciario, ma nel contempo l’ attività di vendita lascia spazio alle attività di presidio consulenziale e informativo. L’intermediario è in contatto con il mercato, ne rileva le tendenze e e ne condivide i vantaggi informativi col mandante e col cliente. Queste circostanze sono ben note all’agente, che intervistato circa la tipologia dei servizi forniti, mostra autoconsapevolezza di un ruolo in cui la raccolta dell’ordine si rivela secondaria rispetto alle funzioni consulenziali (Fig. 4.24)

Figura 4.24 - Servizi erogati dall’agente

Promoter 3,00%

RICERCA CAMERE DI COMMERCIO PIEMONTE - AGENTI E RAPPRESENTANTI PIEMONTE 2004

SERVIZI OFFERTI DALL'AGENTE

Consulenza 23,27%

Totale 100,00%

Visite periodiche 20,12%Assistenza post vendita 15,27%Progettazione/preventivi 11,94%

Installazione 3,00%

Assistenza tecnica 9,20%Addestramento personale 6,20%

Assistenza nell'esposizione 4,00%Materiale pubblicitario e promo 4,00%

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Nei casi estremi, i servizi di personalizzazione e di adattamento rendono insostituibile questa figura; si pensi ad esempio al settore dei macchinari e impianti per la produzione dove l’intermediario qualificato ha il compito di fornire un servizio “complesso” che comprende la consulenza pre-vendita ad elevato contenuto professionale, servizio post-vendita e nel caso di merce costruita su commessa, un ruolo di contemperamento delle esigenze del cliente e della mandante. Tuttavia il trading up del servizio, che rappresenta la risposta obbligata alla maturità del settore, non può passare solo attraverso investimenti personali. Se da una parte i pochi costi fissi di questa attività fanno sì che alla crescita non siano connesse considerevoli economie di scala29, è altrettanto evidente che la professione esprime fabbisogni di natura organizzativa che un impresa più strutturata può affrontare meglio. Non a caso nel resto d’Europa, ed in particolare in Inghilterra ed in Francia, le agenzie commerciali sono tipicamente organizzate in forma di società di capitale e offrono una pluralità di servizi, compreso il commercio a proprio nome di differenti categorie merceologiche. In questo scenario, la stasi registrata negli ultimi 5 anni del numero di operatori sembra preludere a lenti processi di riorganizzazione che spingono gli intermediari a strutturarsi in rete e a sviluppare economie di scopo legate al presidio del territorio30. Al riguardo, ricordiamo che l’individualismo è caratteristica fondamentale dell’agente di commercio e a ben vedere, nel periodo preso in esame, anche a livello regionale prevale una situazione di stabilità degli assetti societari (Fig. 4.25).

29 La crescita della struttura aziendale prevede la creazione di reti proprie di agenti e sub-agenti

che comunque rappresentano costi variabili. L’incidenza dei costi fissi è ridotta anche dalla tendenza a variabilizzarli; quindi la macchina è detenuta in leasing ed eventuali depositi o uffici sono in locazione.

30 Da segnalare una remora tipicamente italiana nei confronti delle forme associative, che sono sottratte alla giurisdizione del giudice del lavoro che interviene solo in casi di controversie relative al mandato di ditte individuali apportando forti aggravi in termini di tempistica dei procedimenti.

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Figura 4.25 - Incidenza delle forme giuridiche nelle regioni italiane: periodo 2001-2005

2001 2005 2001 2005 2001 2005 2001 2005Piemonte 88,70% 88,29% 8,17% 8,47% 2,58% 2,80% 0,54% 0,44%Valle d'Aosta 89,82% 88,49% 6,55% 6,12% 3,64% 5,40% 0,00% 0,00%Lombardia 85,52% 85,19% 7,15% 7,33% 6,56% 6,83% 0,78% 0,65%Trentino-Alto Adige 89,69% 87,91% 7,97% 9,30% 2,04% 2,35% 0,30% 0,44%Veneto 88,43% 87,05% 7,96% 8,83% 2,90% 3,56% 0,71% 0,56%Friuli-Venezia Giulia 89,35% 88,51% 6,88% 7,69% 3,26% 3,39% 0,51% 0,41%Liguria 85,92% 85,54% 9,26% 9,57% 4,00% 4,16% 0,82% 0,73%Emilia-Romagna 85,87% 85,68% 7,97% 8,25% 4,10% 4,60% 2,05% 1,46%Toscana 85,37% 84,59% 9,72% 10,13% 3,89% 4,48% 1,02% 0,79%Umbria 88,13% 87,56% 7,45% 8,38% 1,97% 1,98% 2,45% 2,08%Marche 87,56% 87,21% 8,84% 9,01% 2,64% 2,96% 0,97% 0,82%Lazio 77,21% 84,43% 8,37% 7,62% 13,24% 7,03% 1,18% 0,92%Abruzzo 90,36% 89,94% 7,65% 7,80% 1,68% 2,07% 0,31% 0,19%Molise 92,86% 92,36% 5,00% 4,56% 1,29% 2,01% 0,86% 1,07%Campania 78,17% 77,39% 16,94% 16,88% 4,62% 5,43% 0,27% 0,31%Puglia 88,02% 87,70% 7,75% 7,89% 2,78% 3,28% 1,45% 1,13%Basilicata 92,04% 91,65% 4,64% 4,21% 1,33% 2,60% 1,99% 1,53%Calabria 91,48% 90,72% 6,40% 6,80% 1,89% 2,20% 0,23% 0,28%Sicilia 87,39% 87,41% 9,35% 9,03% 2,51% 2,84% 0,75% 0,72%Sardegna 89,13% 88,56% 8,18% 8,30% 2,31% 2,70% 0,38% 0,44%Totale 85,78% 85,91% 8,65% 8,88% 4,65% 4,47% 0,92% 0,74%

CONFRONTO REGIONALE FORME GIURIDICHE 2001-2005

REGIONIIMPRESE INDIVIDUALI SOCIETA' DI PERSONE SOCIETA' DI CAPITALE ALTRE FORME

Fonte: ISTAT La Lombardia presenta valori tendenzialmente vicini al dato nazionale anche se sottolineiamo una percentuale particolarmente elevata di società di capitale, per altro in crescita nel periodo osservato. In questo contesto sembra inserirsi anche il tema dell’associazionismo. La più volte citata ricerca Assoagenti pur stimando una percentuale di ditte individuali inferiore ai dati forniti dalle statistiche ufficiali, mostra la presenza di numero di soggetti che vorrebbero modificare la propria forma giuridica a favore di formule di associazionismo che non necessariamente prevedono soluzioni societarie (Fig. 4.26).

Figura 4.26 - Incidenza delle forme giuridiche nel settore dell’intermediazione indiretta

INDIVIDUALE MA CON FORTE INTERESSAMENTO ALL'ASSOCIAZIONISMO 4,8%

RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003

DITTA' INDIVIDUALE 81,9%

ORGANIZZAZIONE SOCIETARIA 13,3%

Fonte: Assorgenti

Al riguardo è utile approfondire quali siano le motivazioni principali che portano alla ricerca di nuove soluzioni organizzative, siano esse societarie o associative (Fig. 4.27). Nonostante il campione sia ristretto, nelle risposte mostrate possiamo trovare molte delle motivazioni che determinano l’attuale disagio. E’ estremamente interessante notare che le prime tre motivazioni sono legate ad aspetti economici, secondariamente entra in gioco il tema di un allargamento del

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giro d’affari e solo per ultimo emerge il tema di un miglioramento dei servizi offerti come agente di cui peraltro l’agente già ora si sente fornitore (Fig. 4.27).

Figura 4.27 - Motivazioni principali allo sviluppo di forme associazionistiche

Fornire nuovi servizi (marchandising e altro) 11,6%

MOTIVAZIONI PRINCIPALI VERSO LA CREAZIONE DI SOCIETA'

Gestire mandati in comune con colleghi 14,2%

Ottenere finanziamenti agevolati 18,7%

Avere agevolazioni commerciali e bancarie 15,9%

RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003

Maggior potere contrattuale con la mandante 28,0%

Cercare nuoni mandati 12,3%

Fonte: Assorgenti

A questo punto ci si può domandare come si possano alimentare soluzioni organizzative che permettano in ogni caso di abbandonare l’individualismo degli agenti per la condivisione di informazioni, conoscenze, mezzi, etc. Tra le opzioni individuate emergono anche soluzioni di natura “non societaria” che presuppongono comunque un forte superamento delle logiche individualiste e, in quanto tali, non appaiono sempre di facile perseguimento (Fig. 4.28).

Figura 4.28 - Soluzioni di natura non societaria per lo sviluppo dell’associazionismo

RICERCA CAMERE DI COMMERCIO PIEMONTE - AGENTI E RAPPRESENTANTI PIEMONTE 2004

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Gestione in team mandati esteri 21%Società tra agenti 18%

Network 14%Concentrazione uffici 12%

Associazioni professionali 10%Creazione aree web 9%

Gestione comune uffici 9%

Totale 100%Consorzi di imprese 7%

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In particolare il progetto “network” potrebbe concretizzarsi in reti di professionisti operanti nel medesimo settore con affinità di struttura operativa e clientela servita, ma in zone territoriali diverse. Questo sistema di aggregazione non societaria di agenti commerciali potrebbe permettere di offrire al sistema delle imprese, grandi o piccole, domestiche o straniere un servizio, chiavi in mano, di reperimento di validi rappresentanti, con caratteristiche strutturali e professionali analoghe, sull’intero territorio del nostro paese. Ovviamente occorre riconoscere che l’associazionismo può divenire un tema di estremo interesse nella misura in cui le aziende mandanti trovino interesse al sostegno dello stesso. Mai come in questo momento i mandanti si pongono il dilemma di organizzare un presidio informativo del territorio senza assorbire i costi fissi di una rete di vendita interna o di una struttura di merchandiser o promoter dipendenti. L’idea di un network di agenti capaci di standardizzare la qualità del servizio presuppone una leadership progettuale che probabilmente risulta poco compatibile con la logica dell’agenzia plurimandataria, a meno che non siano stimoli di natura esterna (incentivi, agevolazioni, formazione..) a spingere gli agenti a proporsi come network autonomo nei confronti di nuovi mandanti. 4.6. Le prospettive di sviluppo delle diverse tipologie di intermediari

In chiusura, anche alla luce degli scenari di evoluzione appena descritti, può essere utile tentare una riclassificazione delle diverse tipologie di intermediari per cogliere i profili manageriali più diffusi e a più alto potenziale di crescita. 4.6.1. L’agente monomandatario senza deposito non strutturato È la tipologia più semplice di intermediario con mandante un impresa che spesso è un grossista. Ha una zona di operatività ben delimitata e le sue voci di costo sono le classiche (auto, pc, telefono…). Svolge la sua attività presso l’abitazione e non ha dipendenti. In questo profilo potrebbero rientrare, anche se in modo limitato, giovani o pensionati31. Il fatto di avere un unico mandato non gli consente di diversificare il rischio, anche se la mancanza di una propria struttura gli concede vantaggi in termini di flessibilità. Sulle prospettive di sviluppo di questo profilo ci sono previsioni contrastanti. Da un lato si riscontrano prospettive positive per effetto dell’orientamento delle imprese a flessibilizzare i costi di personale favorendo l’attività in forma propria dei dipendenti, anche se si pensa che la riforma del lavoro abbia potuto in qualche modo “smascherare” queste forme fasulle di contratto e potrebbe portare alla riconduzione interna del rapporto. Dall’altro lato, la gestione della clientela in un ambiente sempre più

31 In questa categoria rientrano anche i rapporti di agenzia che nascondono un contratto di

lavoro subordinato e che sono maggiormente diffusi nella distribuzione dei beni di largo consumo alimentari.

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competitivo richiede un presidio diretto e forme più strutturate di relazione che potrebbero tradursi in aumenti netti della figura di intermediario in questione. Anche l’ambito merceologico di operatività influirà negativamente su questo profilo; posto che gli agenti monomandatari senza deposito hanno di norma come mandanti di riferimento i grossisti, il declino del canale all’ingrosso non potrà che influire negativamente sul numero di questi intermediari. 4.6.2. L’agente monomandatario senza deposito strutturato Si differenzia dal precedente perché ha un minimo di struttura; dispone di un ufficio, ha dei dipendenti o comunque dei collaboratori (spesso familiari). Si tratta di intermediari che operano con beni o servizi complessi alla luce della loro specializzazione e della posizione di fiducia conquistata nei confronti del mandante. Alle classiche voci di spesa si aggiungono i costi connessi all’ufficio e ai collaboratori. I punti di forza di questo profilo sono innanzitutto quello di poter seguire in modo migliore il cliente; la struttura lo pone nella capacità di poter fornire una serie di servizi aggiuntivi delegabili anche ai collaboratori, in modo da potersi dedicare in prima persona al core business. Anche in questo caso il mandato unico è punto di debolezza. In questa categoria, nel prossimo futuro, si potrebbe assistere ad una flessione degli occupati, data dal passaggio da parte di alcuni soggetti verso forme organizzative diverse e più complesse quali le reti di agenti; molto dipende dal settore. 4.6.3. Il sub-agente Questo è il profilo di coloro che si trovano alle prime esperienze nel settore o dei pensionati che rientrano nel mercato del lavoro. Il sub-agente opera spesso come monomandatario e non ha una struttura propria, dato che si appoggia a quella dell’intermediario principale; di solito l’intermediario che si serve di una rete di sub-agenti è strutturato e copre un territorio molto ampio. Proprio per l’utilizzo della struttura altrui, il sub-agente ha costi contenuti che sono ricondicibili principalmente all’auto, alle spese di viaggio e pernottamento, al pc. Il fatto che dipenda dal rapporto tra mandante e intermediario principale lo mette in una posizione di secondo piano e di precarietà, rischio che risulta accresciuto dal monomandato; con il suo operato, il subagente dovrebbe focalizzare i suoi sforzi verso la creazione di una base clienti stabile in modo da rivedere l’equilibrio di poteri. Si pensa che nel futuro tale figura possa assistere a tassi di crescita considerevoli. La tendenza alla crescita dimensionale di quegli agenti potenzialmente in grado di fornire servizi più strutturati che insiste nel settore dell’intermediazione, ha fondamentalmente due conseguenze:

- li porta a dotarsi di reti di sub-agenti per offrire alle imprese mandanti servizi più completi e capillari;

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- allo stesso modo quegli operatori che non saranno in grado di sopportare lo scontro con concorrenti sempre più di grandi dimensioni, saranno incentivati ad abbandonare il mercato e si potrebbe assistere a logiche di re-impiego di questi soggetti proprio nella figura dei sub-agenti.

4.6.4. L’agente monomandatario con deposito La struttura aziendale dell’agente può evolversi fino alla costituzione di un deposito; oltre alla funzione promozionale e di infomediazione, l’agente con deposito offre quindi anche un servizio logistico (non diviene proprietario della merce). Questo profilo si ritrova principalmente nei settori in cui per i clienti è fondamentale la disponibilità immediata del prodotto (materie prime da inserire nel ciclo produttivo o materiali di piccolo ingombro). L’esistenza del deposito rappresenta di sicuro un punto di forza nei confronti della mandante dato che la controparte del cliente è l’intermediario stesso; il deposito è anche però una fonte di aggravio dei costi, che non sempre è adeguatamente riconosciuta nelle provvigioni. 4.6.5. L’agente plurimandatario senza deposito non strutturato Questa figura è presente nel comparto dei beni di largo consumo; la semplicità del prodotto non richiede forti competenze ed anche l’interazione con i clienti o il mandante non assume particolare rilievo. Il plurimandato diviene un vero punto di forza: si possono sfruttare sinergie cross-product ed inoltre consente di limitare il rischio non essendo connesso ad un solo mandante. Se da un lato l’assenza di struttura è un elemento positivo perchè implica maggior flessibilità, dall’altro, compromette la stabilità del rapporto col mandante in tutti i casi in cui è richiesta la fornitura di servizi complessi. 4.6.6. L’agente plurimandatario senza deposito strutturato Questa figura si osserva in particolare nei settori in cui si trattano prodotti complessi quali semilavorati e beni strumentali, che richiedono una relazione stretta e continuativa con il cliente (pensiamo all’assistenza post vendita). Il lavoro si svolge oltre che presso il cliente anche nel backoffice e questo richiede la presenza di un ufficio e di collaboratori che svolgano il lavoro amministrativo (aumento dei costi); spesso si opera in forma di impresa familiare. Anche in questo caso il plurimandato funge da catalizzatore del rischio dato che si possono sfruttare le sinergie tra settori diversi ed ottenere economie di scala. Allo stesso modo la struttura, con opportune politiche di delega, tende a dar la possibilità al soggetto principale di curare maggiormente i clienti e a porsi da vero infomediario. Gli aspetti di debolezza sono riconducibili alla precarietà del

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rapporto anche se si può ovviare ponendosi come interlocutore qualificato e quale ponte con il mercato. 4.6.7. L’agente plurimandatario con deposito È una figura in forte declino dato che spesso evolve verso forme ricadenti nella tipologia dell’ufficio di rappresentanza (si veda par. 4.9). Fornisce servizio di deposito a più mandanti di solito accomunati dalle peculiarità del prodotto (prodotti congelati o surgelati, freschi); si occupa dello stoccaggio, della promozione e della consegna della merce. I punti di forza sono quelli della figura analizzata precedentemente, quelli di debolezza sono connessi ai costi di struttura per il deposito e un parco automezzi per la consegna. Il declino di questa figura è anche originato dalla continua ascesa dei corrieri,dalla domanda di sempre maggior rapidità delle consegne e dalla connessa crescita dei costi. Si pensa però che l’agente plurimandatario con deposito sopravviverà ancora per un periodo di tempo considerevole. 4.6.8. La rete di agenti È la naturale evoluzione di un agente strutturato che annette una serie di collaboratori in qualità di sub-agenti per il miglior presidio del territorio. Di solito opera in forma societaria, ha uffici, dipendenti e un piccolo parco automezzi; spesso ha anche la rappresentanza della società. Il territorio di competenza è molto ampio fino a giungere a volte all’intero paese. Anche in questo caso il monomandato potrebbe rappresentare un punto di debolezza; naturalmente se si opera con più mandati allora si raggiunge una massa critica per proporsi come soggetto fondamentale per l’accesso al mercato. Nonostante gli investimenti, le maggiori voci di costo iscritte in conto economico sono quelle ascrivibili alle provvigioni dei sub-agenti, quindi di natura variabile; questo consente all’operatore di veicolare una mole di informazioni puntuali a monte della filiera pur avendo costi fissi di entità relativa contenuta. I punti di debolezza sono dati dal fatto che gli agenti della rete sono potenziali concorrenti, quindi bisogna porsi a presidio della relazione con il cliente, magari proponendosi come garanti della qualità dei servizi offerti. 4.6.9. L’ufficio di rappresentanza L’ufficio di rappresentanza ha la peculiarità di dover gestire e organizzare una rete di vendita su un territorio specifico, in linea con quelle che sono le politiche della casa madre. Queste ultime sono spesso compagnie straniere che si servono di uffici di rappresentanza per penetrare nuovi mercati; queste strutture acquisiscono molta forza contrattuale nei confronti della mandante tanto da potergli chiedere di tollerare il fatto che abbia più marchi da rappresentare; spesso questo non accade

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perché gli uffici di rappresentanza sono società partecipate o controllate dalle mandanti stesse. Il maggior punto di forza è connesso alla capacità di presidiare il territorio e proporsi come interlocutore qualificato nei confronti delle mandanti; nonostante questo, però vi è l’incapacità di opporsi alle compagnie che decidono di entrare con forza nel mercato nazionale dopo un primo periodo di studio di attrattività demandato all’ufficio di rappresentanza. Si prevede, almeno nel medio periodo, una crescita in numero degli uffici di rappresentanza, soprattutto ad opera di imprese straniere (europee e del medio oriente) che decideranno di entrare nel mercato italiano; si pensa che nello specifico quelle del Vecchio Continente si serviranno di società controllate monomandatarie, mentre quelle del medio oriente si serviranno di soggetti terzi che operano con plurimandato, liberi da vincoli partecipativi e di dimensioni più contenute 4.6.10. Il mediatore È l’intermediario privo di mandato che ha il fine di porre in relazione due parti interessate alla transazione. Esistono vari profili all’interno di questa figura; si va dal mediatore occasionale che non è dotato di partita iva, a soggetti che si propongono come interlocutori professionali per lo scambio di materie prime, opere d’arte, contratti finanziari atipici o prodotti complessi. Per l’ espletamento della professione sono richieste forti doti relazionali; infatti il maggior punto di forza è rappresentato dalla relazione che si instaura con il cliente e con i possibili fornitori del bene/servizio. Il punto maggiore di debolezza è connesso all’impossibilità di costruire una struttura che possa sfruttare le sinergie e la replicabilità dato che molto è connesso al costante presidio personale del mediatore. Questa figura tende ad avere una presenza costante soprattutto nelle nicchie di mercato e quindi si pensa che vivrà un periodo di relativa stasi nei tassi di crescita/decrescita. Per avere una visione d’insieme dei profili tracciati può essere utile predisporre un quadro sinottico (Fig. 4.29). A ben vedere la classificazione proposta appare diversa da quella burocratico-amministrativa utilizzata dal Registro Imprese e dall’ Istat ma di fatto introduce a nuove chiavi di lettura che appaiono funzionali alla programmazione di iniziative di sostegno allo sviluppo.

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Figura 4.29- Previsione di crescita/decrescita per le maggiori figura di intermediario

Tipo di Figura Mandato Struttura Punti di forza/debolezza Previsioni

Agente monomandatario senza deposito non strutturato

Unico Nessuna

Svantaggi connessi al mandato unico Flessibilità data dalla struttura inesistente

Agente monomandatario senza deposito strutturato

Unico

Ufficio Collaboratori (spesso familiari)

Capacità di seguire il cliente Svantaggi connessi al mandato unico

Sub-agente Unico Nessuna in proprio; utilizza la struttura del mandante.

Presidio dei clienti Poca esperienza Precarietà della posizione

Agente monomandatario con deposito

Unico

Ufficio Magazzino No parco automezzi

Miglior presidio del territorio Costi fissi connessi alla struttura

Agente plurimandatario senza deposito non strutturato

Plurimo Nessuna in proprio; utilizza la struttura del mandante

Sinergie e vantaggi di costo del plurimandato Flessibilità Difficoltà a proporsi come soggetto forte

Agente plurimandatario senza deposito strutturato

Plurimo

Ufficio Personale tecnico e amministrativo

Vantaggi derivanti dalla struttura Precarietà del rapporto connessa alla capacità di proporsi come infomediario

=

Agente plurimandatario con deposito

Plurimo

Uffici Deposito e automezzi Servizi logistici: consegna della merce

Vantaggi derivanti dalla struttura Investimenti per il delivery

=

Reti di agenti Unico

Uffici e personale amministrativo Piccolo parco automezzi Collaboratori (sub-agenti)

Presidio capillare Massa critica Preponderanza di costi variabili Concorrenza derivante dalla rete

Ufficio di rappresentanza

Unico/ Plurimo

Uffici Piccolo deposito Personale amministrativo

Presidio del cliente Difficoltà di contrasto verso espansione della casa madre

Mediatore Nessuno Ufficio

Relazione con il cliente e fidelizzazione Impossibilità di costruire una struttura

=

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Appendice

Il contratto di agenzia L’esigenza di una disciplina del rapporto di agenzia commerciale sorge nell’Ottocento, in concomitanza con la rivoluzione industriale che, spezzando il tradizionale rapporto personale tra fabbricante e consumatore, provoca l’esplosione della produzione e dei consumi di massa. Lo sviluppo commerciale e la conseguente dinamica competitiva danno origine a una sempre maggiore domanda di prestazioni da parte di questi operatori economici. In questo contesto, l’imprenditore inizia ad esternalizzare attività gestite sino a quel momento da lavoratori dipendenti, usufruendo di organizzazioni terze all’impresa quali agenti e rappresentanti di commercio; questo diverso approccio consente all’impresa di effettuare un seppur parziale risk shifting direttamente connesso alle attività oggetto di delega. L’agente assume quindi il rischio della sua attività, mentre il dipendente lo trasferisce, attraverso la sicurezza della retribuzione, sul proprio datore di lavoro. La Legge 12 marzo 1968, n. 316 introduce l’obbligo di iscrizione in un ruolo pubblico di categoria e, per la prima volta, obbliga i soggetti a dichiarare la professionalità e dimostrare l’effettivo svolgimento della professione. Con l’intervento legislativo del 1985 (legge 3 maggio 1985, n. 204) l’esercizio dell’attività di agente e rappresentante di commercio viene regolamentato in modo definitivo, prevedendo in analogia ai settori prima citati, il superamento di uno specifico esame in mancanza di una professione già acquisita e dimostrabile. Con il decreto legislativo 15 febbraio 1999, n. 65, che interviene per adeguare la disciplina relativa agli agenti commerciali indipendenti in attuazione della Direttiva 86/653/CEE, sono dettate nuove regole in materia di contratto di agenzia: l’obbligo del contratto scritto, la tutela degli interessi del proponente, il diritto alle provvigioni anche in taluni casi di recessione, sono solo alcune delle novità introdotte per l’agente commerciale indipendente. Così come per l’accesso all’attività di altri settori di intermediazione, ad esempio i mediatori, gli agenti di assicurazione o l’esercizio del commercio e delle imprese turistiche, il legislatore provvede a fissare le norme anche per lo svolgimento dell’attività di agente e rappresentante di commercio. Nell’ambito del codice civile, il contratto di agenzia viene disciplinato sia dagli art. da 1742 a 1753 sia delle norme generali sul contratto; è dal combinato

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disposto di tali norme che si desumono gli elementi necessari per la definizione del ruolo di questi intermediari. Il richiamo alle fonti è fondamentale per poter cogliere il profilo di un ruolo che, in qualche caso, potrebbe nascondere rapporti di subordinazione nei confronti del mandante, allontanando la fattispecie contrattuale in questione dalla sua reale natura e assimilandola al lavoro dipendente: al riguardo, è utile un richiamo al meccanismo delle provvigioni su cui si fonda il contratto di agenzia. A fronte dell’attività svolta, il codice civile attribuisce all’agente il diritto a un corrispettivo chiamato provvigione, ossia una retribuzione calcolata in misura percentuale sugli affari promossi. La determinazione delle percentuali dovute all’agente a titolo di provvigione viene lasciata, sulla base di quanto previsto dagli AEC, alla libera disponibilità delle parti 32. L’ampio margine di libertà concesso alla volontà delle parti, fa sì che vengano previste differenti percentuali, ma anche forme di retribuzione diverse dal compenso percentuale come un sovrapprezzo sul valore dell’affare o una somma fissa per ogni affare concluso. Tale flessibilità nei compensi diviene ancor più rilevante in quanto permette alle parti, e in particolare al preponente, di individuare forme di incentivazione sempre diverse, allo scopo di promuovere la produttività, stimolando l’agente alla

32 Il calcolo della provvigione è previsto dagli AEC di norma in misura percentuale, ma i criteri per il conteggio sono lasciati agli accordi tra le parti, in ottemperanza del principio di autonomia contrattuale. Tre tipologie di calcolo possono così determinarsi:

- Percentuale fissa, il più comune nei contratti d’agenzia; - Percentuale a scaglioni, in funzione dei fatturati realizzati; - Percentuale fissa più premio, alla percentuale fissa viene aggiunto un premio nel caso di

raggiungimento di un determinato target di vendita. La nascita del diritto alla provvigione ha visto nel tempo modificate le sue modalità di manifestazioni a seguito di interventi normativi che hanno novellato alcuni articoli codicistici in materia di agenzia. In particolare il D.Lgs 65/99 determina che nasce il diritto alla provvigione in capo al soggetto intermediario qualora si possa rinvenire un nesso diretto tra conclusione dell’affare e intervento dell’agente; tale diritto risulta essere vigente per tutta la durata del contratto.

Per regolare esecuzione di un contratto deve intendersi la concreta realizzazione del risultato finale dell’affare promosso, ossia l’effettivo raggiungimento dei risultati di ordine economico cui mirano le parti attraverso tale contratto, prescindendo da ogni considerazione sul comportamento dei soggetti. La nuova regola, che si evince dalla lettura combinata del primo comma con quanto disposto dal quarto comma dell’art.1748 c.c. così come novellato dal D.Lgs. 65/99, stabilisce che il diritto dell’agente alla provvigione sorge con la conclusione del contratto; inoltre “salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura il cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico” (art. 1748 c.c., co. 4). L’interpretazione del quarto comma dell’articolo 1748 c.c. lascia trasparire una politica liberista del legislatore essendo esplicitamente contemplato un patto in deroga al dettame dell’anzidetto riferimento civilistico. Le parti, pertanto, possono anche prevedere che il diritto alla provvigione maturi con la regolare esecuzione da parte di entrambi i contraenti, come nella vecchia disciplina. In ogni caso, in assenza di una clausola specifica, trova applicazione la nuova regola.

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vendita di determinanti prodotti o all’acquisizione di nuova clientela. Bisogna però fare attenzione a non snaturare il contratto di agenzia, eliminando quel margine di rischio che lo caratterizza: occorre cioè mantenere sempre una relazione tra corrispettivo e risultato finale33. L’agente infatti rimane comunque un lavoratore indipendente che assume su di sé il rischio del guadagno, e non un lavoratore subordinato. Non è ammessa una retribuzione fissa mensile o minima garantita a meno che una parte del compenso mantenga la struttura di provvigione. Occorre precisare che secondo la Direttiva comunitaria 86/653/CEE il legislatore sembra escludere che il compenso debba assumere esclusivamente i caratteri della provvigione, ammettendo invece ogni forma possibile di compenso.

33 I sistemi diversi dal compenso percentuale più conosciuti e diffusi sono: - la pattuizione di un compenso fisso per ogni affare concluso; - l’accredito all’agente della differenza tra il prezzo fissato dal preponente e prezzo pattuito

con l’acquirente; - la corresponsione di provvigioni sul fatturato.

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Capitolo 5

I mercati all’ingrosso

5.1. Il ruolo dei mercati agroalimentari nei nuovi scenari alimentari e distributivi

I mercati agroalimentari stanno attraverso una profonda fase di transizione verso un nuovo “posizionamento” lungo la supply chain che tiene conto delle nuove esigenze e delle nuove caratteristiche della commercializzazione. Sebbene in essi vi si concentrino attività commerciali riguardanti tutte le filiere agroalimentari fresche e quella dei fiori, è l’ortofrutta il comparto di gran lunga più importante, interessando da solo in media circa il 95% delle attività dei mercati. In estrema sintesi, il nuovo ruolo dei mercati grossisti dovrebbe tener conto dei seguenti fatti, noti e consolidati anche nel sistema agroalimentare:

- il progressivo accorciamento dei canali e la crescita delle consegne dirette dal fornitore agricolo (cooperativa di secondo grado, consorzio, ecc.) ai punti vendita o ai CeDi della distribuzione moderna;

- la necessità di offrire nuovi “servizi” alle merci in transito nei mercati (controllo qualità, informatizzazione, rintracciabilità logistica, ecc.);

- la necessità di sviluppare la vocazione logistica delle aree di interscambio delle merci (e quindi anche dei mercati grossisti), attraverso la creazione di aree intermodali e l’apertura a piattaforme logistiche della distribuzione moderna.

I punti di forza dei mercati grossisti, e ortofrutticoli in particolare, sono noti: i volumi e la varietà di prodotto in transito dai mercati all'ingrosso sono ancora significativi, interessando circa il 50% dei prodotti ortofrutticoli freschi distribuiti sul territorio nazionale ed un volume di affari complessivo stimato in circa 7 milioni di euro all’anno. I mercati all'ingrosso mantengono ancor oggi il pregio di concentrare numerosi operatori grossisti in un unico luogo e sono perciò in grado di completare la gamma attraverso la concentrazione dell’offerta, di trattare volumi consistenti di merce, di rimanere un riferimento per la produzione (soprattutto quella locale) anche grazie ad un importante ruolo di formazione del prezzo, di assicurare una rapida rotazione del prodotto.

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Figura 5.1 – Acquisti di ortofrutta in Italia secondo il canale commerciale

Fonte: CSO, Centro Servizi Ortofrutticoli Ma sono noti anche gli altrettanto significativi punti di debolezza: i canali di commercializzazione tendono ad accorciarsi sempre di più e la GDO punta a superare tutte le varie forme di intermediazione rafforzando le consegne dirette, al punto vendita od alla piattaforma di ridistribuzione. I mercati grossisti stentano nello sviluppo di relazioni stabili con i buyer della distribuzione moderna, che utilizzano i mercati solo per la gestione delle emergenze nelle forniture e per il reperimento di prodotti locali nei periodi di massima produzione. In sostanza, è in progressivo calo proprio l’importanza della funzione economica dei mercati all’ingrosso e si riduce contemporaneamente l’interesse per la funzione di formazione del prezzo tradizionalmente svolta dai mercati stessi. Le scelte di riorganizzazione fin qui sviluppate hanno riguardato gli aspetti infrastrutturali e dimensionali, ma raramente si è ripensata la strategia complessiva di azione e di intervento sul mercato all’ingrosso. Al grande dibattito se “ospitare” o meno le piattaforme logistiche della GDO all’interno dell’area mercato, ad esempio, hanno partecipato tutti, ma sono oggi rarissimi i mercati che, sul modello francese di Rungis (il più grande d’Europa) e spagnolo di Mercabarna (Barcellona), hanno deciso di “convivere” con aree di commercializzazione che non fossero direttamente sotto il controllo della società di gestione del mercato. Il risultato è che oggi, in Italia, la merce in transito nei mercati all’ingrosso è prevalentemente destinata ai canali di vendita tradizionali (commercio di

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prossimità, negozi specializzati, ambulantato), calano gli operatori di mercato, si riduce progressivamente il raggio di consegna delle merci in uscita dai mercati. Il Piano Mercati varato negli anni 80 ha introdotto il concetto di “Centro Agroalimentare” ed ha finanziato alcuni importanti processi di delocalizzazione dei mercati, con il conseguente potenziamento strutturale (cfr. più avanti in questo capitolo). Tuttavia, a distanza di alcuni anni e nel pieno dei nuovi processi riorganizzativi dei sistemi commerciali e distributivi dei primi anni 2000, si sta diffondendo l’opinione di un necessario ripensamento dei processi di delocalizzazione e potenziamento dei vecchi mercati. Il caso di Milano è da questo punto di vista emblematico e, come vedremo più avanti, a inizio 2007 sembra non più attuale l’ipotesi di una delocalizzazione della struttura, per tanti anni invece agognata.

5.2. Mercati all’ingrosso in Italia: un modello in crisi La realizzazione di mercati agroalimentari soggiace al rispetto delle norme legate agli insediamenti di immobili destinati alle attività commerciali. Tali impianti infatti realizzano la cosiddetta utilità di spazio e di tempo, attraverso la raccolta ed il deposito in luoghi di smistamento strategico di merci in rilevanti quantità. Il mercato all’ingrosso è il luogo fisico dove si riuniscono persone, imprese e prodotti. All’interno del mercato, le modalità delle transazioni possono essere più o meno organizzate e regolamentate. In ogni caso, i mercati all’ingrosso rappresentano una struttura di supporto all’attività di commercializzazione degli intermediari. Con il mercato all’ingrosso trovano il compimento in un unico luogo e momento tre importanti funzioni:

- negoziazione tra venditore e acquirente (commerciale) ; - trasferimento di proprietà della merce (scambio); - pagamento della merce acquistata (finanziaria).

Per lo svolgimento delle funzioni di vendita, sono ammessi nei mercati, con apposita “concessione/autorizzazione”, figure professionali quali: commercianti all’ingrosso, produttori, organizzazioni dei produttori, imprese di lavorazione, conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli, tutti questi sia in forma singola che associata. Gli acquirenti ammessi sono: commercianti all’ingrosso e al minuto, imprese di lavorazione, conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli, comunità, convivenze, albergatori e ristoratori, mense e spacci aziendali ed altri pubblici esercizi, coop di consumo, gruppi d’acquisto. Recentemente, in apparente contraddizione con il profilo giuridico dei mercati grossisti, hanno accesso ai mercati anche i consumatori individuali, secondo modalità e orari prestabiliti. In questo i mercati lombardi sono stati precursori e protagonisti.

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All’interno dei mercati sono ammessi anche figure professionali che svolgono una funzione di intermediazione, una funzione peraltro particolarmente in sintonia con il ruolo stesso del mercato, luogo di negoziazione e di incontro fra domanda e offerta secondo i canoni più classici del commercio. Tre questi ricordiamo:

- grossisti puri, che acquistano i prodotti da operatori a monte e li rivendono a valle;

- mandatari, che acquistano i prodotti per un acquirente (mandante) sulla base di un contratto (mandato) (in Italia questo tipo di contratto è tutelato dagli artt. 1703 e seguenti del cod. civ.);

- commissionari, che vendono dei prodotti senza esserne proprietari, in forza di un contratto (artt. 1731 e seguenti cod. civ.) e con un guadagno rappresentato da una provvigione sulla vendita.

Vale la pena ricordare in queste pagine anche la “classica” suddivisione delle diverse tipologie di mercato, in relazione alla natura prevalente dei clienti e dei fornitori dello stesso.

- Mercati alla produzione o all’origine, localizzati in aree con un’elevata produzione. Il fornitore è nella maggioranza dei casi un produttore. I mercati alla produzione hanno come scopo di riunire tutto o parte della produzione di una regione in attesa di trovare degli acquirenti e possono essere specializzati nella vendita di una o più specie di prodotti o essere multiprodotto. Ci sono poi mercati attivi tutto l’anno o solamente qualche mese. Bisogna, inoltre, osservare che gli acquirenti che si rivolgono a questo tipo di mercato possono essere degli spedizionieri (cioè operatori che svolgono come attività principale l’acquisto, il raggruppamento, lo smistamento, il condizionamento, la composizione dei lotti, il trasporto e la vendita), grossisti, semi-grossisti (camionisti) o gruppi di acquisto, di cui parleremo in maniera più dettagliata più avanti.

- Mercati di redistribuzione o di transito, la cui funzione è di recepire consistenti quantitativi di prodotti per inviarli successivamente ad altri mercati (sia terminali che all’esportazione). In questa tipologia di mercato l’operatore è in prevalenza un grossista tanto per l’acquisto che per la vendita delle merci. Spesso in questi mercati sono movimentate grosse quantità di merci di provenienza non solo nazionale ma anche estera. I produttori sono presenti sul mercato solo in misura marginale. Esempi in Italia di mercati di redistribuzione sono il MOF di Fondi e il CAAB di Bologna.

- Mercati terminali o di consumo, caratterizzati da una forte presenza di dettaglianti o grossisti che si rivolgono direttamente al bacino territoriale in cui quei mercati operano.

Questa suddivisione ha oggi una minore significatività rispetto anche al recente passato. Va infatti ricordato come concretamente in uno stesso mercato si possano sovrapporre le attività di tutti gli operatori sopra evidenziati: si potrebbe quindi

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affermare che nella maggioranza dei casi i mercati all’ingrosso presentano una natura mista. I mercati all’ingrosso risultano estremamente importanti in quanto permettono di creare un legame tra soggetti economici diversi, il produttore e il consumatore, i quali presentano differenti necessità: il primo vende grosse quantità di un numero ristretto di prodotti, il secondo acquista piccole quantità di un elevato numero di prodotti. Il mercato all’ingrosso consente ai produttori di vendere ai grossisti grosse partite di merci che questi a loro volta rivendono a utilizzatori intermedi (per.es. ristoranti), distributori al dettaglio e consumatori finali. Inoltre, i mercati all’ingrosso hanno un ruolo significativo nell’approvvigionamento delle città di prodotti agroalimentari e consentono, in più, di raggiungere due finalità di interesse pubblico:

- il controllo igienico-sanitario dei prodotti commercializzati, al fine di garantirne la qualità nei confronti dei consumatore;

- la fissazione del prezzo, una volta collocata sul mercato l’intera produzione giornalmente immessa nell’area di consumo servita dalla struttura annonaria.

A partire dagli anni novanta il ruolo dei mercati all’ingrosso nella distribuzione dei beni agroalimentari in Italia si è ridotto considerevolmente a causa delle dinamiche che hanno coinvolto sia la produzione agricola sia la distribuzione al dettaglio. In particolare, le tendenze alla concentrazione del settore a monte e valle della filiera hanno portato ad un effettivo ridimensionamento della tradizionale attività di intermediazione del mercato all’ingrosso. Nella stessa direzione operano altri fattori come la crescente standardizzazione delle produzioni, la progressiva affermazione dei prodotti a marchio, l’aumento della quantità di ortofrutta destinata alla trasformazione industriale. Esistono oggi in Italia 3 mercati generali, 146 mercati ortofrutticoli, 59 mercati ittici, 14 mercati dei fiori, 12 mercati delle carni e del bestiame, per complessivi 234 mercati all’ingrosso. In essi si concentrano circa 5.000 imprese grossiste che trattano per il 90% prodotti ortofrutticoli.

Tabella 5.1 – Mercati all’ingrosso in Italia

Fonte: ISTAT Dal punto di vista strutturale vi è una differenza significativa tra i mercati all’ingrosso delle regioni del Centro Nord e quelli meridionali. Le prime presentano una quota maggiore di servizi annessi (posteggi e attrezzatura frigorifera) e di superficie sia scoperta che coperta: i mercati del Mezzogiorno, infatti, hanno negli anni mantenuto la sola valenza di mercati di spedizione e sono

Superficie (mq x 1.000) Posteggi Attrezzatura frigorifera

Mercati Operatori Totale Di cui: coperta

% coperta N. Sup. m²

(.000) Celle Metri cubi

M cubi celle

Lombardia 12 1.282 645 233 36 574 106 238 101.372 426 Italia Di cui: 154 11.512 4.808 1.493 31 8.765 755 1.804 356.047 197 - Centro Nord 95 9.006 3.411 1.159 34 6.658 552 1.093 295.697 271 - Sud e Isole 59 2.446 1.397 334 24 2.107 203 711 60.350 85

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in forte ritardo nei processi riorganizzativi, che potrebbero permettere loro lo sviluppo di ulteriori funzioni commerciali e logistiche-distributive. All’estrema polverizzazione dei mercati all’ingrosso italiani, si contrappone la concentrazione dell’attività; ciò in quanto nei primi 15, su un totale di 154, transita il 70% del prodotto venduto. La maggior parte degli addetti, delle aree di parcheggio, della superficie coperta e delle celle frigorifero sono localizzati nelle strutture più importanti. I mercati all’ingrosso più significativi in Italia sono quello di Milano con una superficie complessivamente utilizzata di 445.000 mq e con oltre 8 milioni di quintali commercializzati, seguito da Fondi (MOF) e da Roma (CAR).

Tabella 5.2 – I principali mercati all’ingrosso

Mercato superficie (mq) Volumi (tons) Milano 445.000 805.746 Fondi 100.000 1.181.667 Roma 75.000 622.425 Catania 86.600 341.401 Verona 140.000 356.458 Bologna 125.940 349.817 Torino 130.000 331.369 Pagani 180.000 373.144 Napoli 110.000 365.748 Padova 160.000 317.716

Fonte: Mercati Associati 5.2.1. Il Piano Mercati e la Legge 41/1986: un’occasione mancata? L’arretratezza dei mercati grossisti italiani era ormai evidente fin dalla fine degli anni settanta e si imponeva con forza una profonda revisione delle loro funzioni oltreché delle loro strutture. A metà degli anni ottanta, infatti, il sistema nazionale dei mercati grossisti fu interessato da un importante intervento finanziario che puntava all’ammodernamento dell’intero sistema mercatale, sia nei sui aspetti strutturali che in quelli di gestione e delle politiche di servizio offerti. Il programma di finanziamento dell’importo di 350 milioni di euro fu inserito nella legge finanziaria del 1986 dove, all’articolo 11, si finalizzavano gli interventi agli obiettivi specifici dell’ “ammodernamento dell’intero sistema distributivo all’ingrosso, attraverso la realizzazione di una rete di mercati agroalimentari”, meglio conosciuto in seguito come “Piano Mercati” (Legge n°41/1986). Il piano di finanziamento si basava essenzialmente su contributi in conto capitale (40% degli investimenti fissi) e in conto interessi, con tassi agevolati fino al 75% del costo degli investimenti. Il piano di rilancio dei mercati italiani, ancorché lungamente atteso, giungeva peraltro in forte ritardo rispetto ai processi riorganizzativi avviati in Francia ed in Spagna. La Francia ha ripensato il ruolo dei mercati grossisti fin dai primi anni cinquanta, progettando una rete di mercati cosiddetti “di interesse nazionale”, di grandi dimensioni, localizzati in modo razionale sul territorio, gestiti da società a capitale misto e “orientati” al servizio ed alle attività di sostegno alla commercializzazione. La legge istitutiva dei MIN è del 1953 mentre la loro

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realizzazione inizia nel 1958, con il mercato parigino di RUNGIS, attualmente il più grande centro agroalimentare del Mondo (cfr. www.rungisinternational.com). Anche in Spagna, il ripensamento del ruolo e della funzione dei mercati grossisti è cominciato in tempi ormai lontani. Qui, nell’anno 1966, viene costituita Mercasa, la holding di Stato che istituisce, controlla e gestisce i 22 grandi mercati nazionali spagnoli, il più grande dei quali è quello di Barcellona. (Cfr. www.mercabarna.es). Le direttrici della legge 41/1986 erano certamente meritorie e coglievano certamente i punti di debolezza del sistema italiano. Tuttavia, gli enunciati “di principio” non sono stati accompagnati nel tempo da altrettanto chiari meccanismi di attuazione e molti dei buoni principi enunciati sono rimasti tali. Ricordiamo sinteticamente i principi-guida della legge 41:

- il passaggio strategico da mercato monosettoriale (generalmente ortofrutticolo) a mercato agroalimentare, capace di integrare le altre tipologie dell’agroalimentare fresco quali la carne ed i prodotti ittici;

- i mercati dovevano rafforzare il loro ruolo di catalizzatori a livello regionale e interregionale, e dovevano altresì creare una vera e propria rete nazionale e integrata di mercati;

- andava premiato il posizionamento territoriale ottimale, dal punto di vista infrastrutturale e della viabilità, mantenendo peraltro tutte le compatibilità ambientali;

- erano meritevoli di finanziamento quei progetti di riorganizzazione dei mercati che puntassero allo sviluppo di servizi logistici e commerciali, tra i quali la legge 41/1986 citava espressamente il confezionamento, lo stoccaggio e la movimentazione, l’informatizzazione, la costituzione di una borsa merci ed il rafforzamento del mercato nel suo ruolo storico di formazione e percezione del prezzo.

La legge 41 richiamava anche il passaggio strategico “dal prodotto al servizio”, ormai consolidato in quegli anni nel più ampio scenario commerciale, attraverso il perseguimento di diversi obiettivi concreti, quali:

- sviluppo di servizi connessi con la selezione e confezionamento dei prodotti;

- riconoscimento del ruolo centrale della logistica; - integrazione nei mercati di servizi legati alla valorizzazione dei prodotti

tipici locali; - diffusione nella rete dei mercati di servizi legati alle garanzie di qualità,

sugli aspetti igienico-sanitari in particolare; - sviluppo di una rete informatica per l’analisi e comparazione dei prezzi,

con l’obiettivo della trasparenza del mercato. Nelle applicazioni concrete molte di queste raccomandazioni sono rimaste però irrealizzate. L’aspetto forse più riuscito e di maggiore impatto sul sistema mercatale è quello legato alla forma di gestione dei mercati, ossia l’affermazione

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di una gestione mista pubblica e privata, individuando nella società consortile a maggioranza pubblica e con componenti private lo strumento gestionale più idoneo per gestire l’ammodernamento. La legge 41/1986 fa infatti esplicito riferimento alla forma giuridica della società consortile a maggioranza pubblica come sola forma gestionale perseguibile. All’epoca, la stragrande maggioranza dei mercati era a gestione diretta comunale (escluso Milano e Brescia che già potevano contare su una forma gestionale per così dire “moderna”), mentre oggi sono una quindicina i mercati gestiti da società consortili. Come è finita la storia della modernizzazione dei mercati è fatto noto: il primo “nuovo” mercato entrato in attività fu quello di San Benedetto del Tronto, ma le nuove grandi realizzazioni cominciarono nel 2000 con il centro agroalimentare di Bologna, a cui sono seguite (diluite nei sei anni successivi …) quelle di Torino, Verona, Roma, Padova, Parma, Rimini, Fondi, Pescara, Napoli, Cosenza, Catanzaro e Catania. Quattordici mercati in tutto, questo fu ed è il reale impatto della legge n°41 e del suo Piano Mercati. È fondamentale ricordare che, negli anni 80, altri mercati avviarono processi riorganizzativi, ma al di fuori dei finanziamenti previsti dalla legge 41/1986; alcuni di questi hanno avviato processi riorganizzativi essenzialmente infrastrutturali (Milano, Genova, Cesena, Firenze e Fasano), mentre altri (Treviso, Udine e Firenze) hanno rinnovato la loro forma di gestione secondo il modello della società consortile mista pubblica privata. Certamente, come si dirà meglio in seguito, non si può dire che i mercati italiani, con o senza la legge 41, abbiano fatto “sistema”, e men che meno che abbiano saputo cogliere i profondi cambiamenti negli scenari commerciali, logistici e distributivi. Oggi, finiti gli effetti del Piano Mercati, il compito di rilancio e riorganizzazione dei mercati è in mano alle Regioni, le sole in grado di accompagnare o indirizzare le scelte locali dei Comuni su questi temi. 5.2.2. Le strategie riorganizzative dei mercati all’ingrosso a livello europeo: mercati e nuovi canali di distribuzione L’evoluzione del modello organizzativo dei mercati all’ingrosso in Europa è stata fortemente influenzata dai cambiamenti intervenuti nella struttura e nella condotta del commercio al dettaglio, dalla modernizzazione delle attività di trasporto e logistica, dalla rapida crescita della ristorazione collettiva e dall’utilizzo sempre maggiore delle tecnologie dell'informazione. Tutti questi cambiamenti hanno portato i mercati all’ingrosso a dover attraversare differenti fasi di innovazione, alla ricerca continua di nuove strategie commerciali, nuovi clienti e canali di vendita. Oggi, a livello europeo, sono riscontrabili modelli organizzativi innovativi che hanno ridato competitività ai mercati salvaguardando il loro importante ruolo all’interno del canale di distribuzione. Non si può sottovalutare il fatto che, ancor

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oggi, attraverso i mercati all’ingrosso si commercializza il 45-50% dell’ortofrutta fresca, laddove la restante parte è invece commercializzata dalla distribuzione moderna attraverso canali corti di fornitura che saltano l’anello dei mercati grossisti, ma non l’ingrosso in quanto tale. Una parte significativa degli approvvigionamenti di ortofrutta della GDO avviene infatti attraverso grossisti “fuori mercato”. In Francia, in particolare, dove la distribuzione moderna è di fatto il maggiore canale di vendita, la parte di prodotti ortofrutticoli che passano per i mercati all’ingrosso rappresenta il 45% dei volumi di vendita totali. Addirittura, in Mercabarna (mercato grossista di Barcellona, tra i più moderni e efficienti del Mondo), i volumi commercializzati mostrano da alcuni anni un significativo processo di crescita, con una forte evoluzione della tipologia di clienti serviti. Le sfide con cui devono confrontarsi i mercati all’ingrosso non riguardano solo il controllo della supply chain ed il posizionamento lungo i canali di commercializzazione, ma anche le nuove esigenze di qualità e di rintracciabilità dei prodotti, che obbligano i mercati grossisti a nuovi e forti cambi organizzativi. Soprattutto, i mercati grossisti sono oggi chiamati a “dialogare” fra di loro per sviluppare una rete capace di migliorare le condizioni di efficienza ed efficacia ; l’interazione tra mercati è ancor oggi un obiettivo assai arduo da raggiungere. Sul tema dell’information technology, ad esempio, la standardizzazione delle procedure di gestione delle informazioni è certamente fondamentale sia per la trasparenza del mercato, sia per la corretta gestione della rintracciabilità lungo tutta la catena di produzione, commercializzazione e distribuzione. 5.2.3. Verso i mercati di “terza generazione” La recente evoluzione europea dei mercati all’ingrosso mostra la progressiva costituzione di un nuovo business model all’interno dei cosiddetti mercati di ”Terza generazione”. Questi ultimi sono mercati che dopo avere superato il periodo di crisi, conseguente allo sviluppo della distribuzione moderna, svolgono le loro attività con una impostazione market oriented. Il profilo di questi mercati di “Terza generazione” può essere così sintetizzato:

- una forte apertura alla distribuzione moderna, ospitando nei mercati le loro piattaforme logistiche e stimolando il loro ritorno al mercato grossista nelle fasi di acquisto;

- integrazione in forma progressiva e flessibile delle nuove opportunità del settore della logistica e dei trasporti ( intermodalità, gestione della catena del freddo, tecnologie dell’informazione, city logistics);

- capacità di rispondere alle sfide tecniche e commerciali che richiedono l’applicazione di sistemi di rintracciabilità, cosi come le potenzialità commerciali dello sviluppo di Internet;

- risposta alle preoccupazioni di carattere ambientali e la questione del trattamento dei rifiuti (riverse logistics);

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- segmentazione commerciale da parte degli operatori che cercano di adeguare le proprie attività alle differenti tipologie di domanda.

Gli esempi più significativi in Europa e nel Mondo di mercati di “terza generazione” sono quelli di Parigi-Rungis e di Mercabarna (Barcellona). Per il successo di questi best in class è stato fondamentale il ruolo del sistema pubblico che, con nuove regolamentazioni e con l’assegnazione di nuove funzioni ha creato il contesto necessario per la trasformazione del sistema annonario.

5.3. Mercati all’ingrosso nella Lombardia In Lombardia operano dodici mercati grossisti ma solo quelli di Milano, Bergamo e Brescia hanno un peso significativo e valenza nazionale. I tre mercati commercializzano circa un milione di tonnellate di ortofrutta all’anno, il 10% delle quali è prodotta nella Regione stessa. Qui di seguito vengono schematizzate le caratteristiche principali dei tre mercati menzionati e successivamente verranno ripresi alcuni elementi essenziali legati alle loro strategie ed ai loro processi di riorganizzazione, anche alla luce di incontri e focus avuti in loco con i responsabili delle società di gestione.34

Tabella 5.3 – I mercati ortofrutticoli lombardi

MERCATI ORTOFRUTTICOLI LOMBARDI Prodotti commercializzati anno

2005 (tonnellate)

BERGAMO www.bergamo-mercati.com

Sup. 45.755 mq

BRESCIA www.bresciamercati.com

Sup. 64.270 mq

MILANO www.mercatimilano.it

Sup 438.000 mq

Volumi totali 130 mila 144 mila 765 mila

Frutta Fresca 52% 41% 29%

Frutta Secca 1% 6% 1%

Agrumi 15% 15% 14%

Ortaggi 32% 38% 56%

Fonte: elaborazioni su interviste dirette ai Direttori di mercato 5.3.1. I mercati grossisti di Milano e le strategie di SogeMI I mercati agroalimentari all'ingrosso della Città di Milano sono gestiti da SogeMI S.p.A., che è quasi interamente controllata dal Comune di Milano. SogeMI è stato il primo esempio in Italia (nel 1965, con il nome di Ortomercato SpA) di ente

34 Ai fini di questo lavoro sono stati incontrati: dott. Roberto Predolin (Presidente SO.GE.MI), avv. Stefano Zani (direttore generale SogeMi), dott. Pierangelo Mapelli (direttore dei Mercati grossisti di Milano), dott. Marco Hrobat (direttore Brescia Mercati), dott. Mattia Rossi (Direttore Bergamo Mercati).

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gestore di mercati ad essere strutturato come Società per Azioni e con una presenza di privati nel capitale sociale. SogeMI controlla tutti e cinque i mercati grossisti di Milano (ortofrutta, carne, pesce, fiori, avicunicolo), collocati in aree attrezzate limitrofe tra loro, in modo da costituire un unico grande centro integrato di distribuzione all'ingrosso. I mercati dell’ortofrutta, del pesce e dell’avicunicolo sono leader in Italia e tutti e cinque insieme costituiscono una delle maggiori realtà anche a livello europeo per il commercio all'ingrosso dei prodotti agroalimentari:

- il Mercato Ortofrutticolo all'Ingrosso di Milano è uno dei più grandi d'Italia per superficie e per quantità di prodotti commercializzati (circa 800 mila tonnellate/anno) e si caratterizza per l'ampiezza della gamma di prodotti disponibili tutto l'anno. Alle tradizionali funzioni di mercato terminale, vocato alla fornitura di prodotti per l’area metropolitana milanese, il mercato di Milano aggiunge anche la funzione di ridistribuzione, sia in export verso i mercati europei sia in import;: l’esportazione verso l’Europa interessa il 20% della merce commercializzata, mentre l’ortofrutta di provenienza estera ridistribuita in Italia raggiunge il 16% dei volumi trattati annualmente.

- Anche il Mercato Ittico è il più importante mercato distributivo in Italia nel suo settore, con circa 25.000 tonnellate commercializzate ogni anno, offrendo la più vasta gamma di pesci freschi disponibile nel nostro Paese, in linea con i principali mercati grossisti europei.

- Il Mercato all'Ingrosso delle Carni di Milano commercializza circa 150 mila tonnellate di carne all’anno, è dotato di una sala di lavorazione capace di offrire l’intera gamma di tagli e pezzature con confezionamento tradizionale e sottovuoto. Al mercato è annesso il pubblico macello di Milano.

- Il Mercato Avicunicolo è anch’esso primo per importanza nel territorio italiano sia per la quantità di prodotti che vi vengono commercializzati (oltre 15.000 tonnellate/anno), sia per la presenza attiva di una "Sala di contrattazione" in grado di trattare oltre il 50 % dell'intero consumo nazionale dei prodotti avicoli.

- Il nuovo Mercato Floricolo, avviato nell'ottobre del 2000, riveste un ruolo sempre più importante nella ridistribuzione in Italia dei prodotti di provenienza estera ed è destinato a diventare il punto di riferimento più autorevole in Italia per la definizione dei prezzi all'ingrosso dell'intero comparto.

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Tabella 5.4 – Mercati grossisti di Milano

Ente gestore SogeMI S.p.A Società per l'Impianto e l'Esercizio dei Mercati Annonari all'Ingrosso di Milano

Capitale sociale: €. 19.176.503,00 interamente versato Fatturato 2004: €. 14.812.756 N° dipendenti: 71 addetti

Principale azionista: Comune di Milano con il 99,97% delle quote Superficie complessiva: 813.000 m² di cui: 438 mila mq Ortofrutta, 133 mila Ittico e

Fiori, 242 mila Carni, Avicolo e Macelli Mercato Ortofrutticolo (9.000 utenti) Mercato Ittico (1.700 utenti) Mercato Floricolo (1.500 utenti) Mercato Avicunicolo (700 utenti) Mercato delle Carni, con annesso il Pubblico Macello (650 utenti)

Quantità commercializzate: 1.200.000 ton/anno

Giro d'affari complessivo: 2.500 Meuro/anno Utenti dei Mercati: 12.000 persone/giorno

Bacino d'utenza: 10.000.000 di abitanti

ORARI CONTRATTAZIONI

Mercato ortofrutticolo Mattina: dal lunedì al sabato dalle 5,00 alle 10,00 Pomeriggio: lunedì, venerdì, dalle 15,00 alle 17,00

Mercato ittico Solo mattina: dal lunedì al sabato dalle 5,15 alle 12,00 Mercato delle carni Mattina: lunedì e martedì, dalle 6,00 alle 12,00

Mattina: mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 7,00 alle 12,00 Pomeriggio: dal lunedì al venerdì dalle 14,00 alle 16,00

Mercato avicunicolo Solo mattina: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 6,00 alle 12,00 Mercato dei fiori Solo mattina: dal lunedì al sabato dalle 6,30 alle 13,00

VENDITA AL PUBBLICO

Mercato ortofrutticolo Sabato mattina dalle 9,00 alle 12,00 Mercato ittico Sabato mattina dalle 9,30 alle 11,30 Mercato delle carni Mercato avicunicolo Solo mattina: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 10,00 alle 12,00 Mercato dei fiori Solo mattina: martedì, giovedì, sabato, dalle 10,00 alle 12,00

MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI MILANO

Superficie complessiva: 438.000 mq Celle frigorifere: 109.000 metri cubi 16 % Import / 20 % Export Aziende commerciali: 400 (3.000 addetti complessivi) Aziende grossiste con punto vendita: 160 Produttori con punto vendita: 162 Esportatori: 95 Aziende di lavorazione e confezionamento: 2 Autotrasportatori: 110 Cooperative di facchinaggio: 3 Acquirenti 1.350 ambulanti, 1.250 dettaglianti, 500 pubblici esercizi e

400 grossisti Fonte: elaborazioni su interviste dirette e informazioni ufficiali

La proposta di delocalizzazione dei mercati grossisti di Milano verso nuove aree periferiche è una delle idee più ricorrenti, diffuse e “datate” di questa città e come tale, agli inizi del 2007, sembra sia stata destinata ad un nuovo e forse definitivo tramonto, sulla spinta delle intenzioni della nuova dirigenza della società SogeMI Nei nuovi piani aziendali, infatti, è previsto l’avvio di un forte processo di razionalizzazione degli spazi, indirizzato sia al recupero delle aree inutilizzate o sottoutilizzate sia alla riorganizzazione delle aree mercatali, con particolare riferimento ai mercati delle carni ed alle aree di parcheggio. Gli effetti di questo processo saranno tali da permettere l’avvio di una nuova politica di “collaborazione” con la distribuzione moderna, in forme ancora tutte da definire ma che prevederanno certamente la messa a disposizione di aree e/o

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magazzini per attività di ricevimento, stoccaggio e lavorazione della merce. Si creeranno altresì le condizioni per il potenziamento della cosiddetta “città del cibo” che potrebbe diventare a regime una vasta area espositiva/degustativa interna al mercato e aperta ai cittadini, più vicina ad un concetto di show room piuttosto che di area di contrattazione, ma comunque in linea con la politica di “riposizionamento” del mercato di Milano verso la sua città, fortemente voluta dal suo socio di (quasi totale) maggioranza. Infine, la politica di ristrutturazione dell’area prevedrà anche un nuovo slancio (e in spazi adeguati) della “funzione di contrattazione e fissazione del prezzo”, mestiere primario per un mercato, attraverso il rilancio delle sale merci e contrattazione. Lo stop alle ipotesi di trasferimento della sede dei mercati milanesi, quindi, accompagnata da un profondo restyling organizzativo e strutturale (in corso di definizione), permettono di “recuperare” con maggiore serenità i punti forti del posizionamento logistico che comunque la sede storica di via Lombroso ha sempre avuto: vicinanza strategica all’aeroporto cittadino, adiacente ai nodi autostradali, già raccordata con il ferro. Certo, vi sono limiti burocratici legati al modello gestionale. Ritorneremo più avanti nelle conclusioni su questo punto importante, ma è evidente fin d’ora che l’attività dell’ente gestore dei mercati, tecnicamente intermedia fra l’attività ordinaria sui mercati e quella di controllo e di indirizzo espressa tra gli altri dalla commissione di mercato, necessità di una forte autonomia decisionale che, oggi, non ha. Gli articoli 9, 10 e 11 della legge regionale lombarda n° 12/1975 (rispettivamente sul regolamento di mercato, sulla commissione di mercato e sui suoi compiti) sono tecnicamente quelli che più necessitano di un intervento di modernizzazione per una maggiore efficienza operativa. Questa opinione è condivisa anche dalla SogeMI Spa. 5.3.2. Il mercato ortofrutticolo di Brescia Il mercato ortofrutticolo di Brescia è gestito dalla società Brescia Mercati, a controllo pubblico per il 77% del capitale; la restante quota fa capo ai grossisti privati operanti sul mercato (il 16%) e ad altri privati legati in varia natura al settore ortofrutticolo. Le caratteristiche del mercato di Brescia sono quelle di un mercato con un bacino di consumo locale (ambito provinciale) ma con un’ampia gamma di offerta di prodotti, anche di controstagione. È interessante la crescita di offerta di prodotti etnici, nonché la significativa presenza di produttori diretti di etnia cinese e pakistana, che offrono prodotti anche italiani ma con caratteristiche commerciali finalizzate alla clientela etnica. Il Mercato di Brescia è interessato da un importante processo di ristrutturazione che passerà attraverso una fase di ampliamento, prevista nel 2007 per ulteriori 35 mila mq per spazio espositivo e logistico (parcheggi e movimentazione), ed una successiva riorganizzazione delle attività, con l’aggiunta di una nuova area di commercializzazione dedicata alla carne ed al pesce. Questa diversificazione

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avvicina di fatto il mercato di Brescia ad un’idea più moderna e efficace di mercato agroalimentare. In prospettiva, Brescia Mercati intende valutare le possibili ripercussioni sul mercato della crescita dei servizi Cargo presso il vicino aeroporto di Montichiari, come noto particolarmente dinamico su questo fronte. Il cargo aereo dei deperibili è in forte crescita, soprattutto per i prodotti di controstagione (asparago, fagiolini, ecc. oltre ai fiori naturalmente) e la possibilità di far gravitare le merci in arrivo nell’area del mercato, almeno per le successive fasi commerciali del condizionamento, lavorazione e confezionamento, è certamente una valida attività da percorrere.

Tabella 5.5 – Mercato ortofrutticolo di Brescia

Ente gestore:

Consorzio Brescia Mercati SpA

Soci: 77% pubblico (42% Comune di Brescia, 22% CCIAA, 12% Provincia di Brescia), 16% grossisti del mercato, 17% privati (coop facchini, produttori, confederazioni agricole)

Superficie mercato totale: 64 mila metri quadrati coperta: 33 mila metri quadrati (di cui 12 mila mq di celle frigo e 11.500 di superficie espositiva)

Altre attività grossiste È presente (ma in via di trasferimento) un mercato floricolo operante su circa 3 mila mq di superficie

Ampliamento Previsto nel 2007 per ulteriori 35 mila mq, per spazio espositivo e logistico, con l’aggiunta di una nuova area di commercializzazione dedicata alla carne ed al pesce

Attività 140 mila tonnellate annue di prodotto ortofrutticolo commercializzato, per circa 250 milioni di euro di fatturato

Operatori

112 conferenti, di cui: 26 grossisti e 96 produttori diretti (fra questi, 10 di etnia cinese e pakistana, di varia provenienza nazionale)

Acquirenti 1.778 imprese acquirenti registrate (di cui: 127 grossisti esterni o gdo, 362 ambulanti, 914 dettaglianti, 375 Ho.Re.Ca.)

Addetti 695, di cui : 220 Soci coop facchini, 270 addetti grossisti, 200 addetti produttori, 5 addetti in direzione mercato

Orari contrattazioni Mattina: dal lunedì al sabato dalle 3,30 alle 11,00 Pomeriggio: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 15,30 alle 17,00

Vendita al pubblico Dal Lunedì al Sabato dalle 9,00 alle 11,00 Fonte: elaborazioni su interviste dirette e informazioni ufficiali

5.3.3. Il mercato ortofrutticolo di Bergamo Il mercato ortofrutticolo di Bergamo è gestito dal 1997 da Bergamo Mercati, Società per Azioni nata dalla partecipazione del Comune di Bergamo e degli operatori privati grossisti, cooperative e produttori ortofrutticoli. Il Mercato di Bergamo serve un bacino pari alla provincia orobica (ca 1 milione di abitanti) più le fasce di confine delle province limitrofe. La struttura è stata inaugurata nel 1973, e, nonostante alcuni interventi di adeguamento operati da Bergamo Mercati in questi ultimi anni, non presenta spazi e funzioni all’altezza delle richieste della moderna logistica e lavorazione della merce. Alcuni concessionari di punti vendita nel mercato forniscono comunque la distribuzione organizzata grazie a strutture proprie localizzate altrove. La provincia bergamasca è rinomata per la qualità delle sue insalate, prodotto sul quale si sono andate via via concentrando le aziende agricole del territorio, probabilmente anche a motivo dell’influenza esercitata dalla rapida crescita di Ortobell, oggi acquisito da

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Bonduelle. All’Ortomercato è presente una azienda produttrice di quarta gamma e numerose aziende orticole di dimensione famigliare che offrono il prodotto fresco. Il Mercato Ortofrutticolo sta incrementando l'offerta di servizi innovativi quali l'informatizzazione dell'intero ciclo commerciale, il riciclo degli imballaggi, lo smaltimento dei rifiuti, la stipula di convenzioni miranti ad un generale risparmio dei costi e lo sviluppo di attività di formazione ed informazione. I clienti del Mercato Ortofrutticolo provengono prevalentemente dalla provincia di Bergamo, ma ne giungono anche dal resto della Lombardia e da fuori regione; la maggioranza degli acquirenti è costituita da dettaglianti specializzati, ma vi è pure una buona rappresentanza di ambulanti, ristoranti, grossisti, fioristi, comunità e supermercati. Esiste l’intenzione di realizzare un centro agroalimentare di moderna concezione: è stato realizzato uno studio di fattibilità individuando le funzioni necessarie ed è stata individuata una possibile localizzazione, ma attualmente sono ancora nelle prime fasi ricognitive. Il mercato di Bergamo individua nella difficoltà di reperimento delle risorse finanziarie il “principale” ostacolo per l’avvio della riorganizzazione della struttura ed anzi considera un forte limite la condizione dei 2/3 almeno di capitale pubblico nel controllo dell’ente gestore, così come recita la legge regionale lombarda. A Bergamo si pensa che possano essere i privati a finanziare un nuovo mercato agroalimentare e si considera che questo ruolo debba essere rispecchiato nelle quote di controllo dell’ente gestore. È certamente un’idea importante anche se, come ovvio, a fronte di buone idee progettuali e soprattutto di processi di riorganizzazione ben definiti e validi, nonché coerenti a livello regionale, potrebbero entrare nella quota pubblica anche altri soggetti oltre al Comune di Bergamo. Un tema certamente da approfondire, sia a livello locale che regionale.

Tabella 5.6 – Mercato ortofrutticolo di Bergamo Ente gestore:

Bergamo Mercati SpA

Soci: 67% pubblico (Comune di Bergamo), 33% privati (grossisti 20%, produttori orticoli 10,5%, confederazioni agricole e del commercio)

Superficie 45 mila metri quadrati Altre attività grossiste Sono presenti tre operatori florovivaisti Attività 130 mila tonnellate annue di prodotto ortofrutticolo commercializzato, per

circa 200 milioni di euro di fatturato Operatori 19 grossisti e 75 produttori diretti Acquirenti 1.123 imprese acquirenti registrate (di cui: 719 dettaglianti, 191 ristoratori,

112 Ho.Re.Ca., 67 grossisti, 34 comunità), per il 77% provenienti dalla provincia di Bergamo

Addetti 450 Orari contrattazioni Mattina: dal lunedì al sabato dalle 6,00 (5,30 in estate) alle 11,15

Pomeriggio: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 15,00 alle 17,15 Vendita al pubblico Dal Lunedì al Sabato dalle 9,15 alle 11,15

Fonte: elaborazioni su interviste dirette e informazioni ufficiali

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5.4. Considerazioni finali I mercati grossisti agroalimentari registrano forti difficoltà, sia sul piano commerciale (posizionamento competitivo) sia sul piano gestionale. I principali mercati lombardi di Milano, Bergamo e Brescia rispecchiano questa tendenza nazionale, così come abbiamo argomentato nelle pagine precedenti. Il recupero del ritardo avviato in Italia con il Piano Mercati e con singole iniziative riorganizzative locali, non ha contribuito in modo significativo ad un’inversione di rotta. Il settore dei mercati non è riuscito ad affrontare con soluzioni innovative e concrete le quattro sfide centrali imposte loro dal profondo processo di riorganizzazione commerciale e distributiva a livello globale.

- La sfida logistica I grandi mercati sarebbero dovuti diventare un vero e proprio “polo logistico agroalimentare”, piattaforma di raccolta e di rilancio della merce, integrato alle diverse modalità di trasporto e capace di ospitare piattaforme di stoccaggio, lavorazione e preparazione degli ordini, attente alla gestione della catena del freddo;

- la sfida commerciale La crescita della distribuzione moderna, dei nuovi canali di vendita (Ho.Re.Ca), l’evoluzione delle imprese agroalimentari di commercializzazione (sempre più l’anello centrale di regolazione dei rapporti tra le filiere a monte ed i clienti a valle), avrebbero dovuto obbligare i mercati ad un ripensamento del loro ruolo lungo i canali di commercializzazione, avviando partnership con i nuovi soggetti commerciali disposti a localizzare alcune loro attività dentro i mercati stessi, oppure rispondendo alle nuove e più pressanti richieste di questi nuovi clienti commerciali in termini di gamma, normalizzazione delle produzioni, maggiori volumi offerti;

- la sfida informatica A tutt’oggi, anno 2007, è ancora troppo limitata la capacità dei mercati di “mettersi in rete”, di creare un vero e proprio network operativo, in grado di lavorare su standard informativi realmente operativi, sulla trasparenza del prezzo e sulla sua comparazione nazionale e internazionale, basata su prodotti realmente comparabili, omogenei e con caratteristiche qualitative e commerciali normalizzate. Sarebbero questi i risultati concreti e operativi di una reale attivazione dell’informatizzazione dei mercati, capace di renderli una struttura realmente integrata nei moderni canali di commercializzazione e di distribuzione;

- la sfida gestionale. Abbiamo ricordato nelle pagine precedenti che nei casi di successo europei è stato fondamentale il ruolo del sistema pubblico che, con nuove regolamentazioni e con l’assegnazione di nuove funzioni, ha creato il contesto necessario per la trasformazione del sistema annonario. La holding di Stato spagnola Mercasa ha coordinato i 22 mercati nazionali ed ha accompagnato Mercabarna nella sua esplosione di crescita quantitativa e qualitativa, mentre la legge francese ha costituito la rete dei mercati di interesse nazionale ed ha creato Rungis, il più grande polo agroalimentare del Mondo. Il confronto con l’Italia può apparire

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ingeneroso ma è bene ricordare che per nuove regolamentazioni e per l’impegno del sistema pubblico non è mai troppo tardi.

Per rispondere alle sfide commerciali i mercati debbono “cambiare pelle” e spesso in questi casi le condizioni del cambiamento sono create dalle revisioni legislative e regolamentative Coerentemente agli obiettivi di questo lavoro, proponiamo di ragionare intorno alle seguenti possibili azioni concrete da intraprendere su questo fronte:

- rafforzamento del ruolo e del peso delle società di gestione dei mercati agroalimentari, attraverso il ridisegno dei loro compiti e delle loro funzioni, nonché di un significativo aumento di capitale sociale;

- un aumento di capitale, che potrebbe avvenire attraverso una maggiore apertura al capitale privato nelle società di gestione, pur mantenendo la maggioranza assoluta in mano al sistema pubblico;

- una maggiore diversificazione del capitale pubblico, attualmente quasi totale appannaggio dei Comuni;

- una ridefinizione dei ruoli dei mercati agroalimentari, rafforzando la distinzione nei compiti fra questi e le rispettive società di gestione.

In altre parole, l’ente gestore dovrebbe occuparsi di gestire attività commerciali e strategiche (rapporti con la gdo, logistica, informatica, reti di trasporto, Ho.Re.Ca, ecc.) ben più ampie della “semplice” attività annonaria. Questo sarà particolarmente vero nei grandi mercati come Milano ma avrà implicazioni concrete anche per altri tipi di mercato, come Brescia e Bergamo. Queste considerazioni portano con sé alcune implicazioni concrete dal punto di vista giuridico, come ad esempio la revisione totale del ruolo e dei compiti della cosiddetta “commissione di mercato” (art.10 della legge regionale lombarda n°12/1975) oltreché del regolamento dei mercati (art. 11). La maggiore capacità operativa che qui auspichiamo per le società di gestione dei mercati lombardi, ancorché importante, rappresenta comunque una condizione necessaria ma non sufficiente per l’avvio del rilancio del ruolo e del peso dei mercati agroalimentari. Ma è una scelta probabilmente non più rinviabile.

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Capitolo 6

Aspetti di politica commerciale dell’ingrosso

6.1. Tendenze evolutive della normativa statale in materia di commercio all’ingrosso

Prima di effettuare una analisi comparata delle politiche regionali sull’ingrosso, si è ritenuto opportuno delineare un quadro dell’evoluzione della normativa statale in questo campo.

L’analisi ha preso le mosse dal Regio decreto legge 16 dicembre 1926, n. 2174, allorché dopo oltre 50 anni dalla costituzione dello Stato unitario in cui il commercio nelle sue molteplici forme non aveva conosciuto alcuna barriera all’ingresso, in un quadro istituzionale autoritario e corporativo quale era il regime fascista si introduce per la prima volta l’istituto della licenza di commercio per operare sul mercato “per la vendita al pubblico di merci sia all’ingrosso che al minuto”. A questo scopo deve essere presentata domanda al Comune, presso il quale viene istituita apposita commissione,formata, oltre che da un rappresentante del Podestà, da due rappresentanti dei commercianti e da due rappresentanti delle associazioni sindacali dei lavoratori. Spetta a questa commissione valutare se il richiedente sia in possesso dei requisiti previsti dalla vigente legge di Pubblica Sicurezza e di valutare se “il numero degli spacci già esistenti sia sufficiente alle esigenze del comune, tenuto conto dello sviluppo edilizio, della densità della popolazione, della ubicazione dei mercati rionali”. Risulta evidente da tali indicazioni che la preoccupazione era quella di evitare una eccessiva proliferazione delle attività commerciali, in quanto si riteneva che ciò avrebbe comportato una lievitazione dei prezzi praticati alla vendita.

In tema di prezzi viene poi “data facoltà ai Comuni di fissare, previo accordi con le Camere di Commercio e con le organizzazioni sindacali interessate, i prezzi di vendita al minuto dei principali generi alimentari” e si fa “obbligo ai rivenditori di tenere esposti nelle vetrine o all’ingresso dei negozi, in modo che tutti possano vederli e leggerli, appositi cartellini portanti i prezzi di vendita al minuto delle singole merci”. Si stabilisce infine che la licenza di esercizio possa essere tolta qualora “il commerciante venda i generi alimentari ad un prezzo superiore a quello indicato nei cartellini”. Si tratta evidentemente di un tipo di intervento autoritario e vincolistico sul mercato proprio di un regime istituzionale che non ha alcuna fiducia sui meccanismi concorrenziali propri del mercato.

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Tale quadro normativo viene poi completato, per quanto attiene al settore del commercio al dettaglio, con l’emanazione del Regio Decreto legge 21 luglio 1938, n. 1468, il quale disciplina l’istituzione dei cosiddetti “magazzini a prezzo unico” ( del tipo Standa e Upim”), la cui competenza a rilasciare la licenza viene affidata, data la dimensione di questi esercizi e la loro area di attrazione commerciale, al Prefetto, previo parere della Giunta della Camera di Commercio.

Questa disciplina normativa rimane in vigore fino al 1971, salvo alcune correzioni formali con la legge 12 luglio 1950, n. 591 ed una circolare interpretativa ministeriale del 1957(n. 1193/C) che estende ai supermercati l’ambito di operatività della disciplina dei magazzini a prezzo unico.

Anche se la disciplina formalmente non cambia nel nuovo regime democratico instauratosi dopo il 1945, dopo tale data scompare la fissazione di imperio dei prezzi al dettaglio dei generi alimentari, mentre perdura la prassi amministrativa delle licenze rilasciate dai Sindaci, previa acquisizione del parere delle commissioni di carattere corporativo.

E’ soltanto con la legge 11 giugno 1971, n. 426 che viene formulata una nuova “disciplina del commercio”, con la quale mentre permane l’istituto dell’autorizzazione preventiva alla vendita per il settore del commercio al dettaglio, il settore del commercio all’ingrosso viene invece liberalizzato. Con l’art. 1 di tale legge viene comunque istituito presso le Camere di Commercio il “registro degli esercenti il commercio all’ingrosso, il commercio al minuto, nelle varie forme in uso, e l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande…”. Per quanto riguarda il comparto dell’ingrosso si definisce che esercita l’attività di commercio all’ingrosso “chiunque professionalmente acquista merci a nome e per conto proprio e le rivende o ad altri commercianti, grossisti o dettaglianti, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande” e si precisa che “tale attività può assumere la forma di commercio interno, di importazione o di esportazione”.

Per i requisiti professionali validi ai fini dell’iscrizione in tale registro (detto comunemente REC) viene richiesto di dimostrare di:

- “aver superato presso apposita commissione costituita presso la camera di

commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia nel cui ambito il richiedente intende svolgere la propria attività, un esame di idoneità nell’esercizio del commercio dei prodotti per i quali si richiede la iscrizione, indicando il settore e la specializzazione merceologica;

- oppure aver esercitato in proprio, per almeno due anni, l’attività di vendita all’ingrosso o al minuto o aver prestato la propria opera, per almeno due anni, presso imprese esercenti tali attività, in qualità di dipendente qualificato addetto alla vendita o alla somministrazione, o, se trattasi di coniuge o parente entro il terzo grado dell’imprenditore, in qualità di coadiutore…;

- oppure aver frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio, istituito o riconosciuto dallo Stato”.

- Il requisito di cui al punto a) era in ogni caso richiesto per coloro che intendevano esercitare il commercio dei prodotti alimentari, soggetti ad

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operazioni preliminari di lavorazione e di trasformazione, come è il caso di svolgimento della funzione grossista.

Si desume chiaramente da questi elementi che obiettivo del legislatore è in questo caso la creazione di un “filtro” per l’accesso al mercato, costituito non più da un’autorizzazione preventiva all’esercizio dell’attività, ma dalla prova di aver conseguito un determinato livello di qualificazione nel settore, sia derivante da precedenti esperienze lavorative sia per il tramite di un corso di formazione professionale.

Questa disciplina amministrativa resta in vigore fino all’emanazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (il cosiddetto primo “decreto Bersani”), con il quale si abolisce il Registro Esercenti il Commercio ed il requisito di professionalità ottenuto tramite precedenti esperienze lavorative o tramite la frequenza di appositi corsi professionali istituiti o riconosciuti dalle Regioni viene conservato solo per gli operatori del commercio del settore alimentare, sia all’ingrosso che al dettaglio (vedi art. 5, comma 11). Resta inoltre valido per ambedue i comparti dell’ingrosso e del dettaglio il possesso dei requisiti morali (quali il non essere stati dichiarati falliti e le altre cause ostative di ordine penale indicate all’art. 5, comma 2, del medesimo decreto).

Nell’ambito del commercio all’ingrosso una normativa specifica era stata dettata per il settore dei mercati all’ingrosso.

Già negli anni ’30 erano state emanate norme specifiche per i mercati all’ingrosso del pesce, prevedendo anche in questo caso l’istituzione di una commissione di mercato per vigilare sul funzionamento di queste strutture (vedi legge 20 giugno 1935, n. 1279) e più ampiamente con la disciplina della vendita all’ingrosso dei prodotti della pesca, prevista in forma esclusiva all’interno dei mercati all’ingrosso del pesce ove tali mercati venivano organizzati dai Comuni e la previsione di un regolamento deliberato dal Consiglio comunale per il funzionamento di tali impianti (vedi legge 12 luglio 1938, n. 1487).

E’ comunque con legge 25 marzo 1959, n. 125 che viene dettata una normativa più organica sul commercio all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici.

Con tale legge si dispone che il commercio all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici possa svolgersi sia nell’ambito dei rispettivi mercati, sia fuori dei mercati medesimi, salvo l’osservanza delle disposizioni sanitarie vigenti in materia di vigilanza e controllo delle sostanze alimentari.

Viene inoltre istituito presso le Camere di Commercio un apposito albo per coloro che intendono esercitare il commercio all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici (albo che verrà abolito soltanto a seguito dell’emanazione del D.Lgs. 114/1998 – art. 5, comma 11).

Si stabilisce poi che l’iniziativa per l’istituzione di detti mercati può essere assunta dai Comuni, dalle Camere di Commercio, da enti e consorzi aventi personalità giuridica, costituiti dagli operatori economici nei settori della produzione, del commercio e della lavorazione dei prodotti stessi. Per i mercati istituiti per iniziativa di Comuni o Camere di commercio è comunque prevista la

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facoltà o di gestirli direttamente o di affidarne, tramite apposita convenzione, costruzione e gestione agli enti e consorzi di operatori economici di cui sopra.

Viene infine previsto che presso ogni mercato all’ingrosso venga istituita un’apposita commissione di mercato, avente il compito tra l’altro di stabilire il numero di posteggi nell’ambito delle disponibilità degli impianti e altre attività di vigilanza sul buon funzionamento di queste strutture. Per l’adozione di tali regolamenti di mercato il Ministero dell’Industria e Commercio si riserva poi di emanare appositi Regolamenti tipo, ai quali devono uniformarsi i regolamenti di ciascun mercato. Tali Regolamenti tipo vengono poi emanati con decreti ministeriali nel successivo mese di giugno ( per il settore delle carni e per il settore dei prodotti ittici), mentre occorrerà attendere l’aprile 1970 per quello relativo ai prodotti ortofrutticoli.

Trattasi di Regolamenti tipo che forniscono una disciplina minuziosa dei vari aspetti della gestione di un mercato, con la dettagliata descrizione delle varie funzioni della commissione di mercato, del direttore di mercato, delle rilevazioni statistiche di quantità movimentate e prezzi, della gestione dei vari servizi, delle figure professionali ammesse ad operare nei mercati in qualità di venditori, di compratori, commissionari, mandatari ed astatori, dell’assegnazione dei posteggi e della revoca degli stessi, ecc., lasciando ai Consigli comunali che devono approvare tali regolamenti di mercato ben poca autonomia decisionale.

Tale normativa specifica per i mercati all’ingrosso resta vigente fino al trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di fiere e mercati, avvenuto con D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 7 o meglio fino a quando le Regioni non avranno legiferato in materia. Anche in questo caso, comunque, dalla legge n.125/1959 le Regioni dovranno desumere principi ed indirizzi ai quali ispirarsi nella stesura dei propri provvedimenti.

6.2. La normativa della Regione Lombardia in materia di mercati all’ingrosso, anche in rapporto ad altre normative regionali

La Regione Lombardia è stata tra le prime Regioni in Italia a dotarsi fin dagli anni ’70 di una organica normativa quadro in materia di mercati all’ingrosso.

La L.R. 22 gennaio 1975, n. 12, attualmente ancora in vigore, presenta infatti caratteri di organicità e completezza. Vengono infatti ripresi in questo testo sia i principi e gli indirizzi contenuti nella legge n. 125/1959, sia le norme di dettaglio contenute nei vari regolamenti – tipo.

I principali aspetti innovatori contenuti nella legge lombarda riguardano da un lato l’introduzione di un piano regionale di sviluppo dei mercati all’ingrosso e dall’altro alcune novità introdotte in materia di istituzione e gestione dei mercati.

L’art. 2 della legge regionale prevede infatti che “al fine di favorire un corretto raccordo tra produzione e distribuzione, una razionale localizzazione e un’adeguata dimensione e organizzazione dei mercati, in rapporto alle esigenze delle comunità locali”, la Regione elabori un piano regionale di sviluppo dei

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mercati all’ingrosso. Detto piano, avente una validità di cinque anni, deve in particolare definire “le ipotesi di insediamento dei mercati e le relative aree di influenza; proporre un’adeguata articolazione degli standard degli impianti; avanzare ipotesi di specializzazione merceologica dei mercati stessi”.

Successivamente, con l’art. 40 della L.R. 21 agosto 1981, n. 50, viene inoltre previsto che in conformità con gli indirizzi di questo piano e per favorire l’istituzione di nuovi mercati o l’ampliamento ed ammodernamento di quelli esistenti, la Regione possa “concedere contributi a comuni, comunità montane, consorzi di comuni associati tra loro o con le province, nonché a società e a enti con una partecipazione di capitale di enti locali territoriali pari ad almeno 2/3 del capitale sociale”.

Per quanto attiene al piano regionale ne verrà però approvata una sola versione, con il titolo di “Indicazioni programmatiche per lo sviluppo e la ristrutturazione dei mercati all’ingrosso” (Deliberazione del Consiglio regionale del 22 aprile 1980, n. II/1551). Dall’analisi economica e statistica effettuata in tale occasione emerge la presenza in Lombardia di n. 13 mercati ortofrutticoli (Milano, Bergamo, Brescia, Cremona, Monza, Treviglio, Crema, Pavia, Varese, Voghera, Lodi, Como e Mantova) e la presenza a Milano di un mercato all’ingrosso della carne, un mercato del pesce, un mercato dei fiori e un mercato avicunicolo (pollame, conigli, selvaggina). L’osservazione che emerge immediatamente è che “mentre per il settore ortofrutticolo è presente una pluralità di strutture mercantili, per le altre specializzazioni si manifesta una concentrazione nell’area milanese e rimane scoperto il restante territorio della regione”. Anche le conclusioni di questa analisi sono impietose: “In pratica se si escludono i due mercati di Milano e di Bergamo, dove peraltro alcuni interventi di razionalizzazione e di migliore utilizzazione appaiono ugualmente necessari, per la generalità di tutti gli altri mercati non può non esprimersi una valutazione sostanzialmente negativa sotto il profilo della funzionalità e dell’efficienza…”.

L’altro aspetto innovatore della L.R. n. 12/1975, oltre al trasferimento della competenza dal Ministero Industria e Commercio alla Regione ai fini dell’autorizzazione all’istituzione di nuovi mercati e all’ampliamento di mercati esistenti, nonché ai fini di tutti gli ammodernamenti che comportino l’utilizzo di nuove superfici, è l’allargamento degli enti abilitati a richiedere tale autorizzazione. L’art. 4 della L.R. n. 12/1975 prevede infatti che l’iniziativa possa essere assunta oltre che dai Comuni, “dalle Comunità montane, da Consorzi costituiti fra Enti locali territoriali, da Consorzi, Società e altre forme associative costituite fra Enti locali territoriali e altri Enti od operatori pubblici e privati, con l’intervento maggioritario di almeno due terzi del capitale degli Enti locali territoriali e Comunità montane”.

Per quanto attiene alla gestione di questi impianti la L.R. n. 12/1975 dispone che essa possa essere affidata a Comuni, Comunità montane o a Consorzi fra Enti locali territoriali, i quali potranno gestirli direttamente in economia ovvero mediante aziende speciali. Viene inoltre previsto che la gestione possa essere affidata a Consorzi, Società o altre forme associative costituite tra Enti locali territoriali e altri Enti ed operatori pubblici e privati, con l’intervento

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maggioritario di almeno due terzi del capitale in partecipazione degli Enti locali territoriali.

Traspare evidente da queste norme che sia l’iniziativa per l’istituzione di nuovi mercati all’ingrosso, sia la gestione venga assicurata dagli Enti locali territoriali (Comuni, Comunità montane e Province), che dovranno comunque possedere i 2/3 del capitale sociale.

Successivamente, a seguito dell’emanazione della legge 28 febbraio 1986, n. 41 relativa al piano nazionale dei mercati agro-alimentari e delle direttive contenute nella deliberazione del C.I.P.E. 14 ottobre 1986, la Regione Lombardia, con L.R. 14 dicembre 1987, n. 37, definisce le modalità di partecipazione alle società consortili per la realizzazione dei mercati agro - alimentari all’ingrosso.

Il requisito base che viene posto è precisato all’art. 1, comma 2, della legge, in cui si afferma che nella composizione del capitale delle società consortili “deve essere assicurata la partecipazione maggioritaria congiunta della Regione, del Comune e della Camera di Commercio competenti per territorio nonché la partecipazione minoritaria di altri Enti pubblici, di istituti di credito, di privati interessati anche attraverso loro Società od associazioni di categoria specificamente rappresentative del settore”.

Si tratta di un temperamento delle posizioni di tutela del controllo pubblico affermate con la L.R. n. 12/1975, in quanto tale legge prevedeva (vedi art. 4) sia ai fini dell’istituzione che ai fini della gestione dei mercati all’ingrosso “l’intervento maggioritario di almeno due terzi del capitale degli Enti locali territoriali e Comunità montane”. In questo caso la partecipazione maggioritaria scende al 50,1% del capitale, con l’inclusione di un Ente pubblico non territoriale, ma economico, quale la Camera di Commercio.

Peraltro la partecipazione della Regione Lombardia alle società consortili viene subordinata alla realizzazione di una serie di condizioni, che dovranno essere recepite all’interno degli statuti e degli atti costitutivi delle società consortili medesime:

a) la realizzazione da parte della società consortile di iniziative coerenti con

le indicazioni e gli obiettivi della programmazione regionale; b) la riserva a favore della Regione del diritto di opposizione, in caso di

aumenti del capitale sociale; c) i vincoli sul trasferimento delle quote di partecipazione che garantiscano in

ogni caso il permanere della quota maggioritaria della Regione, del Comune e della Camera di Commercio;

d) l’economia della gestione; e) il collegio dei revisori dei conti; f) i rappresentanti della Regione e del Comune nel Consiglio di

amministrazione e nel Collegio sindacale siano nominati ai sensi dell’art. 2458 del Codice civile e che, ai sensi dell’art. 2460 del Codice civile, sia tra essi eletto il Presidente del Collegio sindacale;

g) che, nel Consiglio di amministrazione e nell’eventuale comitato esecutivo, ai rappresentanti previsti dalla Regione, dal Comune e dalla Camera di Commercio sia garantita congiuntamente una posizione di maggioranza.

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Nel caso poi di mercati dichiarati d’interesse nazionale viene stabilito (vedi art. 3 della L.R. n. 37/1987) che la partecipazione della Regione al capitale sociale non possa superare il 15%. Inoltre viene affermato chiaramente che la partecipazione della Regione al capitale sociale si mantiene fino a che non sia esaurita la fase di costruzione e sia avviata quella di gestione.

Intendimento della Regione Lombardia è pertanto quello di fornire un contributo iniziale al decollo delle strutture mercantili inserite nel Piano nazionale di cui alla legge n. 41/1986, per poi uscire gradualmente dalle Società consortili preposte alla gestione.

La marginalità del sostegno assicurato dalla Regione Lombardia alla costituzione delle società consortili è peraltro chiaramente evidenziata dalla somma stanziata per l’esercizio 1987 dalla stessa L.R. n. 37/1987: appena 100 milioni di lire.

Se si pone a confronto tale impegno di spesa con quello assunto in tale circostanza dalla Regione Marche con L.R. n. 67/1997 pari a 500 milioni all’anno per il triennio 1997-1999 si ricava chiaramente una indicazione del diverso impegno finanziario dispiegato dalle due Regioni nell’attuazione del Piano mercati. In effetti con la realizzazione del Centro agro - alimentare di San Benedetto del Tronto la Regione Marche sarà una delle prime Regioni a concorrere all’attuazione del Piano mercati di cui alla legge n. 41/1986.

Nel caso della Lombardia le difficoltà incontrate nella costituzione delle società consortile per il Centro Agroalimentare di Milano e la mancata presentazione del progetto di ristrutturazione dell’Ortomercato di Milano peseranno negativamente sul successo della stessa operazione del Piano nazionale per i mercati all’ingrosso, in quanto verrà meno l’occasione per realizzare il più importante “mercato d’interesse nazionale”, seguendo l’esempio delle esperienze attuate in Francia.

E’ vero che ciò non ha impedito che attorno ad Ortomercato si creassero, con il solo concorso degli Enti pubblici locali, una serie di moderne ed innovative strutture mercantili specializzate (quali il mercato ittico, il mercato delle carni, il mercato avicunicolo e il mercato dei fiori), per cui oggi la società di gestione (la SO.GE.MI. S.p.A.) può giustamente affermare che i Mercati Agroalimentari all’ingrosso di Milano costituiscono una delle maggiori realtà a livello europeo e che ciascuno dei mercati specializzati è il mercato leader nazionale nell’ambito del proprio comparto merceologico.

Il non aver colto l’occasione per inserire l’ammodernamento del più grande mercato ortofrutticolo d’Italia all’interno dell’operazione immobiliare promossa dal Piano mercati di cui alla legge n. 41/1986 rappresenta comunque un’occasione mancata.

L’analisi comparata della normativa della Regione Lombardia con quelle di altre Regioni pone in evidenza una serie di lacune o meglio di problematiche non affrontate nella normativa lombarda.

Un confronto con la L.R. 30 ottobre 1979, n. 62 della Regione Piemonte evidenzia immediatamente come preoccupazione di questa normativa sia in primo luogo di fornire una definizione di “mercati all’ingrosso” e di individuarne la loro funzione.

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Afferma l’art. 1 della L.R. n. 62/1979 che per

“mercati all’ingrosso si intendono le aree – comunque attrezzate ed organizzate – nelle quali più operatori alle vendite, anche per limitati periodi stagionali, si incontrano abitualmente con più operatori agli acquisti ed a questi pongono in vendita, vendono o trasferiscono a qualunque titolo le merci…”.

Tra queste merci vengono indicati i prodotti alimentari freschi, conservati o trasformati, comprese le bevande, nonché i prodotti della caccia, della pesca e degli allevamenti, il bestiame, i foraggi e mangimi, i fiori, le piante ornamentali e le sementi. Viene pure fornita una definizione di “mercati alla produzione”, quali “mercati all’ingrosso, situati in aree caratterizzate dalle attività produttive, nei quali l’offerta viene esclusivamente o prevalentemente effettuata dai produttori senza intermediazione”.

Quanto alla funzione dei mercati all’ingrosso l’art. 2 della medesima legge regionale s’incarica di affermare che la loro preminente e permanente funzione è quella di “sviluppare e sostenere le attività commerciali atte a soddisfare le esigenze delle collettività e a tutelarne gli interessi”. Pertanto gli enti istitutori e gestori dei mercati all’ingrosso

“hanno la funzione, coinvolgendo e responsabilizzando tutte le categorie

interessate, di

a) concorrere ad una attenta e rigorosa difesa della salute; b) contribuire all’orientamento e alla razionalizzazione delle produzione e

dei consumi; c) migliorare le tecniche di approvvigionamento e concorrere

all’eliminazione di situazioni e cause che determinano l’ingiustificato aumento di costi e di prezzi;

d) promuovere l’associazionismo nei settori direttamente interessati all’attività dei mercati secondo fini e con metodi di valido contenuto economico – sociale;

e) realizzare il miglior rendimento ed il migliore utilizzo delle strutture, delle attrezzature e dei servizi, assicurando la funzionalità di uffici e servizi ed ogni possibile snellimento burocratico, affinché gli operatori siano indotti a preferire i mercati ad altre sedi di attività;

f) favorire il rapporto diretto fra produzione e distribuzione al consumo; g) favorire, ove opportuno, la concentrazione nei mercati di vari prodotti

di diversi settori merceologici, anche in comparti separati e con apposite strutture, agevolando la realizzazione di veri e propri mercati generali”.

Un’altra differenza che si riscontra tra la legge del Piemonte e quella della Lombardia (che peraltro sono state emanate a poca distanza di tempo l’una dall’altra) è data dalla natura del Piano regionale di sviluppo dei mercati all’ingrosso: nel caso lombardo si tratta di un piano di settore autonomo, che deve essere elaborato in conformità con gli indirizzi del piano economico e territoriale regionale. Nel caso piemontese invece il piano di settore dei mercati all’ingrosso fa parte integrante del Piano Regionale di Sviluppo, consentendo in questo modo che

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esso venga attuato “tramite gli interventi previsti nel programma pluriennale di attività e di spesa e nel relativo bilancio pluriennale e annuale di previsione…”(vedi art. 3).

Di notevole interesse è poi la normativa relativa alle aree complementari dei mercati all’ingrosso. L’art. 8 della L.R. n. 62/1979 prevede infatti che

“il Comune può destinare aree contigue o prossime al mercato per l’insediamento di aziende pubbliche o private che svolgono attività complementari a quelle del mercato stesso…”

In tali aree viene previsto che

“si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della presente legge...” Un’altra indicazione di principio non presente nella normativa lombarda, ma presente in quella piemontese riguarda la finalità della gestione economica e finanziaria dei mercati all’ingrosso. A questo proposito l’art. 14 della L.R. n. 62/1979 del Piemonte afferma che obiettivo di tale gestione deve essere

“il raggiungimento del pareggio di bilancio, tenuto conto delle eventuali quote di ammortamento; in caso di perdita l’ente gestore prevede il perseguimento di tale obiettivo attraverso il progressivo equilibrio tra entrate e spese”.

Pure la L.R. 30 marzo 1979, n. 20 della Regione Veneto si preoccupa di fornire una definizione di “mercato all’ingrosso”, definendolo (vedi art. 1)

“il pubblico servizio che collega la produzione al consumo, assicura la vigilanza sull’osservanza delle norme vigenti in materia di commercializzazione ed igienico–sanitaria e contribuisce alla libera formazione dei prezzi delle merci”.

La stessa L.R. n. 20/1979 presenta, sempre all’art. 1, una classificazione delle varie tipologie di mercati all’ingrosso:

a) mercati alla produzione, in cui le merci sono offerte esclusivamente da

produttori singoli o associati; b) mercati di distribuzione o di transito, in cui gli acquisti sono effettuati

prevalentemente da commercianti all’ingrosso e da commercianti al dettaglio;

c) mercati al consumo, in cui gli acquisti sono effettuati prevalentemente da commercianti al dettaglio;

d) mercati a funzione mista, in cui agiscono più categorie di operatori. La Regione Veneto con la medesima legge si incarica poi di distinguere dai mercati all’ingrosso altre strutture che tali non sono, quali

- i magazzini di commercio all’ingrosso;

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- i centri di raccolta, conservazione, lavorazione e trasformazione dei produttori singoli ed associati;

- gli stabilimenti delle aziende di trasformazione singole od associate. Per i magazzini di commercio all’ingrosso situati al di fuori dei mercati all’ingrosso riconosciuti l’art. 20 della L.R. n. 20/1979 stabilisce che l’esercizio del commercio all’ingrosso si svolga

“con il rispetto di tutte le norme del regolamento relativo al mercato all’ingrosso locale ove esista o del mercato del comune capoluogo di provincia o del comune più vicino, che non attengano al funzionamento interno”.

In particolare dovranno essere rispettate le norme relative

- alla vigilanza e al controllo igienico – sanitario e fitopatologico; - al calendario ed orario per le operazioni mercantili; - alla discarica dei rifiuti e ai servizi igienico – sanitari; - alla commercializzazione dei prodotti, alla confezione dei colli e delle

derrate, nonché, relativamente ai mercati delle carni, all’assegnazione di carni di bassa macellazione e al sequestro per motivi igienico – sanitari;

- alla rilevazione dei prezzi e alla compilazione delle statistiche che dovranno essere trasmesse sistematicamente alla Giunta regionale a cura del Comune competente;

- agli strumenti di pesatura; - ai mezzi di trasporto.

Si tratta, come si può rilevare, di norme alquanto rigide, dettate con l’intendimento di fare sì che le aziende grossiste collocate all’esterno dei mercati all’ingrosso operino con gli stessi vincoli di quelle che operano nell’ambito dei mercati all’ingrosso, che sono indubbiamente soggette a maggiori controlli predisposti dalla direzione del mercato. Alcune di queste norme sono decisamente astratte e velleitarie, quali quelle relative al calendario ed orario per le operazioni mercantili o quelle relative alla rilevazione dei prezzi, per cui restano in pratica senza una conseguente applicazione.

Anche la Regione Liguria con la L.R. 13 luglio 1998, n. 24 riprende la classificazione delle tipologie dei mercati adottata dalla Regione Veneto con L.R. n. 20/1979.

Di particolare interesse per la loro chiarezza nella L.R. n. 24/1998 le norme relative alla gestione dei mercati. Si afferma infatti che “i mercati sono gestiti dai soggetti istitutori o affidati in gestione, con apposita convenzione”, la quale “stabilisce, tra l’altro, l’importo del canone annuo da corrispondere da parte del soggetto gestore per la gestione della struttura mercantile”. Viene anche chiarito che “il soggetto istitutore fornisce al gestore la struttura immobiliare ed il compendio delle attrezzature di mercato. La struttura immobiliare è affidata al gestore in concessione o in locazione e gli interventi di manutenzione straordinaria della stessa, compresi quelli di trasformazione e ampliamento, sono,

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di norma, a carico dell’istitutore”. Anche la Regione Liguria si preoccupa di affermare che “la gestione del mercato è svolta secondo criteri di efficienza e di economicità e deve tendere al pareggio del bilancio”. Viene pure precisato che “le tariffe di mercato sono corrisposte dagli operatori commerciali al soggetto gestore e devono assicurare la copertura dei costi di gestione nonché dei costi dei servizi a domanda collettiva, dell’ammortamento tecnico degli impianti elettrotermoidrailici e di telecomunicazione e delle attrezzature di mercato, nonché degli oneri per la manutenzione ordinaria delle strutture mercantili e dei costi dei servizi a domanda individuale eventualmente resi”. Si fa infine presente che “in ogni caso non possono essere imposti o esatti pagamenti che non siano il corrispettivo di prestazioni effettivamente rese, nel rispetto dei principi di efficienza ed economicità”.

La legge della Liguria, essendo stata emanata in epoca recente, ha adottato una impostazione più semplificata rispetto ad altre leggi regionali, in quanto molte norme di natura regolamentare sono state rinviate ad uno o più regolamenti-tipo dei mercati all’ingrosso (vedi art.11), approvati dal Consiglio su proposta della Giunta regionale.

Più aggiornata ed innovativa la classificazione dei mercati all’ingrosso fornita dalla Regione Emilia Romagna con L.R. 19 gennaio 1998, n. 1, con la quale vengono abrogate le precedenti normative approvate con L.R. n. 38/1975 e con L.R. n. 35/1982.

La L.R. n. 1/1998 fornisce una prima distinzione tra mercati all’ingrosso e mercati all’ingrosso alla produzione (vedi art. 3). Sono considerati mercati all’ingrosso “le aree e le strutture destinate alla commercializzazione all’ingrosso…., alla concentrazione, alla conservazione e all’inoltro alle fasi distributive”. Vengono invece definiti mercati all’ingrosso alla produzione le aree e le strutture destinate prevalentemente a qualificare, promuovere e commercializzare le produzioni tipiche locali”. L’aspetto più innovativo è comunque rappresentato dall’introduzione della definizione di centro agro-alimentare. Secondo quanto indicato all’art. 2 “i centri agro – alimentari, comprensivi di strutture e di aree ad essi preposti, operano quali “centri polifunzionali integrati” e assumono un ruolo di riferimento centrale nelle fasi della aggregazione, della selezione, della conservazione e della distribuzione dei prodotti…”. Interessante l’indicazione degli elementi caratterizzanti un centro agro – alimentare:

- l’unitarietà della gestione; - lo svolgimento dell’attività di raccordo fra la produzione e la grande

distribuzione; - la posizione baricentrica rispetto alle vie di commercializzazione ed ai

centri di servizi; - la disponibilità nelle immediate adiacenze di aree idonee all’insediamento

delle attività connesse integrative e funzionali all’esercizio dei centri stessi; - la vocazione merceologica complessa.

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Viene infine precisato (vedi art. 12) che “nell’ ambito dei mercati all’ingrosso e dei centri agro – alimentari possono essere istituite sale di contrattazione e borse merci per la compravendita dei prodotti agro – alimentari in osservanza delle norme vigenti”.

Anche nella normativa della Regione Toscana (vedi L.R. 21 maggio 1975, n. 46 e L.R. 2 agosto 1983, n. 38) viene introdotto il concetto di centro agro – alimentare, anche se esso viene definito come “Centro Annonario Polivalente” (vedi art. 3 L.R. n. 57/1983), il quale costituisce “il principale strumento di politica annonaria dell’ente locale. Esso è costituito dalle strutture e dai servizi per la raccolta, conservazione e commercializzazione all’ingrosso dei prodotti…”. Viene anche precisata la sua funzione, affermando che “ha lo scopo di adeguare le strutture mercantili all’ingrosso alle attuali esigenze del sistema distributivo, con l’ampliamento della gamma dei prodotti e dei servizi, l’efficienza e l’economicità della gestione e una diretta azione di controllo commerciale”, nonché per favorire “l’azione delle competenti autorità per quanto concerne il controllo igienico – sanitario con particolare riferimento alla tutela dei consumatori”.

A tale scopo il piano regionale dei mercati all’ingrosso suddivide il territorio in zone, costituite da più comuni. Per ogni zona viene individuata la tipologia di struttura prevista (centro alimentare con o senza mercato ittico) e il dimensionamento di tali strutture (area ortofrutticola, carni, e alimentari vari). Si tratta, come si desume da questi pochi cenni, di una costruzione teorica ed astratta, affidata per la sua attuazione alla costituzione di Associazioni intercomunali, anche queste di non facile realizzazione.

Di notevole interesse la correlazione che viene stabilita tra il piano regionale dei mercati all’ingrosso e la pianificazione territoriale nella L.R. 7 dicembre 1984, n. 74 (art. 4) della Regione Lazio.

Il piano regionale dei mercati all’ingrosso, avente validità quinquennale, per quanto attiene alla localizzazione dei mercati, valuta le previsioni eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, ma una volta approvato il piano regionale, i Comuni devono procedere agli eventuali adeguamenti ed alle varianti necessarie per recepire le previsioni del piano regionale e per provvedere alle scelte definitive delle aree; in mancanza di una iniziativa comunale la Regione provvede alla nomina di un commissario “ad acta”.

Anche in questo caso il piano regionale deve prevedere una fascia di rispetto per le attività di commercio all’ingrosso attorno alle strutture del mercato, sentiti specificatamente i comuni interessati.

La L.R. n. 74/1984 si preoccupa inoltre di un aspetto trascurato da altre normative regionali, quello della formazione professionale degli addetti al mercato e degli stessi operatori commerciali (vedi art. 10).

Da segnalare a proposito della normativa della Regione Campania (L.R. 1 aprile 1975, n. 13) la previsione, contenuta peraltro anche in altre leggi regionali in questo campo, che “l’approvazione dei progetti equivale a dichiarazioni di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza delle opere, ai fini delle espropriazioni ai termini della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni, e tiene luogo di qualunque altra approvazione ed autorizzazione o licenza prevista da disposizioni legislative o regolamentari”.

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Inoltre la L.R. n. 13/1975 si preoccupa di istituire (vedi art. 13) un apposito fondo regionale per la concessione di contributi per

a) la realizzazione di opere destinate a:

- installazione, potenziamento, completamento degli impianti per la

selezione, la conservazione, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti;

- ampliamento dei posteggi di mercato; - miglioramento dei servizi igienico – sanitari;

b) l’acquisto di attrezzature necessarie agli impianti di selezione, conservazione, lavorazione e commercializzazione dei prodotti;

c) l’acquisto di mezzi di trasporto. Tali contributi sono concessi nella misura massima del 40% della spesa necessaria alla realizzazione delle iniziative.

Da rilevare ancora a proposito di questo fondo regionale l’entità della spesa prevista, pari a 2 miliardi e 200 milioni di lire per il triennio 1975 – 1978.

Da segnalare infine la previsione nella normativa della Provincia Autonoma di Trento (L.P. 22 dicembre 1983, n. 46) del concetto di “centro commerciale all’ingrosso”, definito come “una struttura attrezzata comprendente una pluralità di esercizi commerciali all’ingrosso, anche appartenenti a settori merceologici diversi, ubicati nella medesima area ed aventi infrastrutture e servizi in comune. Nei centri commerciali all’ingrosso di prodotti alimentari possono essere inseriti anche i mercati all’ingrosso…”.

Da sottolineare poi il fatto che le norme per il commercio all’ingrosso di cui al titolo VIII costituiscono parte di una organica disciplina di tutte le attività commerciali.

6.3. Le aree di sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio

Già la legge 11 giugno 1971, n. 426 aveva stabilito il divieto di esercitare congiuntamente nello stesso punto di vendita le attività di vendita all’ingrosso e al minuto (vedi art. 1, ultimo comma). Inoltre l’art. 40 della legge n. 426/1971 prevedeva per coloro che alla data di entrata in vigore della stessa legge fossero in possesso di licenze per la vendita all’ingrosso ed al minuto nello stesso punto di vendita l’obbligo di ottemperare nell’arco di un triennio ad una separazione fisica tra le due attività ovvero all’esercizio di una sola di queste attività di vendita.

Della rigidità di questa norma si era ben presto reso conto lo stesso Ministero Industria e Commercio, che non in sede di Regolamento di esecuzione della legge n. 426/1971, ma in sede di circolare interpretativa (n. 2261/c dell’8.03.1972)

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affermava di ritenere che “il divieto in questione non debba sussistere per quei rami particolari di commercio nei quali, per esigenze tecniche e operative e secondo un uso costante e generale, la vendita all’ingrosso e quella al minuto si svolgono nei medesimi locali”. A tale proposito a titolo esemplificativo venivano indicati il commercio delle ferramenta, degli autoveicoli e accessori, del materiale edilizio e del materiale elettrico.

Forti di questa interpretazione ministeriale molti Comuni hanno provveduto ad individuare nei loro piani commerciali una serie di attività per le quali il divieto di vendita congiunta all’ingrosso e al dettaglio nei medesimi locali non aveva effetto. La casistica proposta è molto estesa: macchine, attrezzature e articoli tecnici per l’agricoltura, l’industria, il commercio e l’artigianato; materiale elettrico; colori e vernici, carte da parati; ferramenta ed utensileria; articoli per impianti idraulici, a gas ed igienici; articoli per il riscaldamento; strumenti scientifici e di misura; macchine per ufficio; auto, moto, cicli e relativi accessori e parti di ricambio; combustibili; materiali per l’edilizia; legnami.

In questo modo si sono moltiplicati gli esercizi commerciali in cui non vi è più una divisione fisica tra attività grossista ed attività di vendita al dettaglio e si è realizzata una fusione tra le diverse tipologie di utenti (operatori professionali e consumatori finali).

Un’altra area di sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio si è verificata nel tempo a causa del forte sviluppo registrato dalla formula distributiva dei cash&carry, esercizi commerciali originariamente destinati alla prevalente vendita all’ingrosso di generi alimentari ai dettaglianti e agli esercenti di pubblici esercizi, poi estesa, data la forte espansione di questa tipologia distributiva, a molti settori merceologici non alimentari ( dai beni per la casa e il tempo libero agli stessi beni per la persona).

In tempi recenti questa tipologia di esercizio si sta sviluppando in forme sempre più specializzate (ad esempio nel campo dei prodotti elettronici o dei materiali per l’edilizia).

Il forte sviluppo di questa tipologia di esercizio commerciale è stato agevolato dall’interpretazione estensiva data all’art. 1, secondo comma, della legge n. 426/1971 in tema di “utilizzatori in grande” e di “utilizzatori professionali”. La già citata circolare ministeriale 8 marzo 1972, n. 2261/c affermava a questo proposito che “devono considerarsi utilizzatori in grande gli enti, le collettività ed i privati quando procedano ad acquisti i quali, per le forme in cui si effettuano e per la quantità delle merci che ne formano oggetto, siano comparabili a quelli usualmente effettuati dagli utilizzatori professionali”. A proposito di questa categoria veniva poi specificato che “le norme della legge riguardanti gli utilizzatori professionali debbono intendersi applicabili non soltanto ai prodotti che formano oggetto dell’attività propria delle aziende agricole, industriali, artigiane e commerciali e a quelli direttamente utilizzati nell’esercizio dell’attività, ma anche qualsiasi prodotto che sia destinato al funzionamento dell’impresa”.

Nella prassi dell’attività amministrativa di molti Comuni sono state adottate soluzioni ben al di là di questi criteri di interpretazione, che facevano perno sulla

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vendita di prodotti funzionali all’impresa e in quantità congeniali agli utilizzatori in grande.

Nella prassi corrente gli utilizzatori professionali sono stati considerati non solo i rappresentanti di aziende agricole, industriali, artigianali e commerciali (come indicato nella citata circolare ministeriale), ma tutti i titolari di partita I.V.A., con una estensione pertanto anche ai settori dei servizi e delle libere professioni; ciò che ha notevolmente ampliato la clientela target.

Forti di questa estensione della platea di potenziali utenti i cash&carry si sono trasformati nel tempo in strutture distributive alquanto simili agli ipermercati, senza dover sottostare ai vincoli amministrativi di insediamento e di orario di attività propri di queste grandi strutture di vendita al dettaglio.

Sia il primo che il secondo caso di sovrapposizione di attività tra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio sopra riportati richiedono ora, con il trasferimento della competenza esclusiva in materia di commercio dallo Stato alle Regioni a seguito della modifica del titolo V della Costituzione, una nuova regolamentazione da parte delle Regioni, possibilmente in modo coordinato (come già si è verificato nel campo dei pubblici esercizi) e in un’ottica di convergenza nella regolazione delle strutture distributive all’ingrosso con quella propria del commercio al dettaglio.

Peraltro è in atto una convergenza sul mercato tra strutture distributive all’ingrosso e strutture di vendita al dettaglio, sia nel senso che i cash&carry assomigliano sempre più come formato distributivo agli ipermercati ( sia nella distribuzione degli spazi interni dedicati alla vendita (lay out), che nelle dimensioni che hanno assunto all’esterno gli spazi dedicati al parcheggio per la clientela), sia nel senso che alcune strutture distributive al dettaglio di grandi dimensioni tendono ad assumere politiche di vendita proprie dell’ingrosso. E’ il caso della formula “più per meno” assunta dal Gruppo PAM nel nuovo punto di vendita ad insegna “Panorama” di Carena di Villorba (Treviso): acquistando maggiori quantitativi, infatti, i prezzi scendono, con un risparmio che va dal 10 al 30%, per quantità diverse a seconda della categoria merceologica. In questo modo il posizionamento del punto di vendita mira ad un duplice target: da un lato le famiglie numerose, per acquisti di cadenza quindicinale, dall’altro gli operatori professionali della ristorazione (settore Ho.Re.Ca.), togliendo spazio economico alle tradizionali strutture grossiste.

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Conclusioni

Il nuovo contesto istituzionale. In seguito alle modifiche al titolo V della parte 2° della costituzione ( LC 18/10/01 n.3 art.117), ha preso avvio una sorta di federalismo in materia di regolazione dell’attività distributiva che si presenta con contorni ancora molto incerti. Non è infatti ancora chiaro l’ambito di applicazione dell’autonomia regionale sia per il fatto che esistono materie “concorrenti” sia per l’incertezza sull’orientamento del Governo. Con la legge 5 giugno 2003, n.131, il Governo ha infatti ottenuto un anno di tempo per emanare:

- “…decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’art. 117, terzo comma, della costituzione, attenendosi ai principi della esclusività, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità …”

- “…decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Provincie e delle Città Metropolitane in modo da prevedere, anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per ciascun livello di governo locale, la titolarità di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente...”35

Il federalismo commerciale si fonda innanzitutto sulla convinzione che è possibile realizzare a livello regionale un miglior equilibrio tra obiettivi di efficienza economica e contenimento delle esternalità negative che il libero mercato può produrre. Ciò in quanto vi sono differenze economiche, sociali e territoriali, che una legge nazionale non sarebbe in grado di cogliere pienamente, nonostante l’ampia discrezionalità riconosciuta agli enti locali nella applicazione della normativa. Se però si guarda alla applicazione del decreto legislativo 31/3/1998 n.114 (Legge Bersani), si può constatare una notevole differenziazione regionale nella gestione delle barriere all’entrata e nella regolazione della condotta delle imprese.36 Il posizionamento delle Regioni che emerge dallo studio di Ferrucci-Porcheddu evidenzia diversi livelli di liberismo, che non sono direttamente riconducibili alle caratteristiche economiche, sociali e territoriali, delle varie

35 Legge 5 giugno 2003, n.131, art. 1, comma 4 e art. 2 comma 4. 36 L. Ferrucci – D. Porcheddu, Riforma del commercio, discrezionalità delle Regioni e

continuità col passato, Industria & Distribuzione, n.1/2002.

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Regioni. Parimenti, non emerge una forte relazione inversa tra livello di orientamento liberistico delle diverse Regioni e grado di modernizzazione dell’apparato distributivo locale; è quindi probabile che l’aumento della discrezionalità regionale che si riconnette al federalismo non porterà ad una convergenza della struttura distributiva sul piano territoriale.

Una seconda ragione che può essere portata a supporto del federalismo commerciale dev’essere ricercata nella opportunità di separare regolazione e controllo. Quando era lo Stato a disciplinare l’accesso al mercato e la condotta delle imprese, bastava scrivere che la norma aveva come obiettivo la tutela del cittadino-consumatore e la promozione della concorrenza per soddisfare tutti i requisiti di legittimità, anche se di fatto le misure introdotte andavano in senso contrario. Basti pensare alla legge che disciplina, limitandole, le vendite sotto costo; questa legge è stata proposta naturalmente nell’interesse del consumatore e nessuna obiezione poteva essere formalmente avanzata per la coincidenza tra ente regolatore e ente responsabile della promozione della concorrenza. Ora invece,la separazione tra ente regolatore e ente responsabile della tutela del consumatore attraverso la promozione della concorrenza pone, di fatto, un opportuno limite all’autonomia regionale e obbligherà il legislatore a mettere al centro del suo agire l’interesse del cittadino-consumatore. In teoria, il federalismo può portare a una politica commerciale molto meno restrittiva di quella che finora lo Stato ha potuto/voluto realizzare. In pratica, è ragionevole però supporre che la vicinanza del corpo elettorale indurrà molte regioni a interpretare l’autonomia in modo non coerente coi principi comunitari e nazionali di promozione della concorrenza e del libero mercato. In questi casi, lo Stato dovrebbe intervenire direttamente sollevando il principio di legittimità costituzionale in base all’art. 127; avremo inoltre un aumento esponenziale dei ricorsi all’Antitrust. Alcune Regioni potrebbero addirittura non avvertire alcun limite alla loro discrezionalità legislativa nei possibili ricorsi all’Antitrust e nelle sentenze avverse della Corte Costituzionale, dal momento che occorrono anni per arrivare ad un pronunciamento e nel frattempo la Regione può capitalizzare le positive relazioni create con le organizzazioni rappresentative dei portatori di interesse. Il contenzioso Stato – Regioni in materia di politica commerciale è già emerso nella applicazione delle leggi nazionali 37; è dunque probabile che il federalismo faccia

37 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in data 24 aprile 2003, ha segnalato alle istituzioni competenti il comportamento contrario ai principi di concorrenza e di libero mercato tenuto da alcune regioni ( Lombardia, Sicilia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia) in materia di applicazione di una legge nazionale sulla distribuzione dei prodotti editoriali. Sottolineiamo in particolare il seguente brano della segnalazione.

“Un primo elemento restrittivo della concorrenza, che l'Autorità intende porre in evidenza, riguarda la circostanza che molte delle circolari provvisorie emanate dalle regioni, così come gli indirizzi già adottati dalla Regione Lombardia33 [Delibera del Consiglio Regionale. n. VII/549 del 10 luglio 2002.], introducono il divieto generale per i punti vendita non esclusivi di vendere quotidiani e periodici, imponendo di scegliere alternativamente la possibilità di vendita di uno soltanto dei due tipi di prodotto. Siffatte disposizioni, oltre ad apparire in contrasto con lo spirito della legge n. 108/99 e del decreto legislativo (che prevedono la facoltà per i punti vendita non esclusivi di vendere entrambe le categorie di prodotti editoriali oppure di poter scegliere una delle due), introducono una significativa restrizione all'esercizio dell'attività di vendita di giornali

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esplodere un conflitto che le attuali istituzioni ben difficilmente riusciranno a comporre. Infine, il federalismo commerciale può portare a discriminazioni nei confronti delle imprese straniere / multinazionali nel caso in cui venga perseguito l’obiettivo di difendere non solo la distribuzione nazionale, ma anche l’industria nazionale, specialmente di piccola e media dimensione 38. Molti politici ritengono infatti da un lato che le multinazionali scelgano come copacker della marca commerciale fornitori del paese di origine e, dall’altro, che una minor quota di prodotti nazionali trovi spazio negli assortimenti delle multinazionali distributive. Questi comportamenti sono ovviamente contrari alle regole comunitarie, ma, soprattutto, sono sbagliati in quanto le tesi di cui sopra non hanno alcun fondamento logico e empirico. I distributori multinazionali sono costretti dal mercato a tarare i loro assortimenti sulle specificità della domanda locale che è fortemente differenziata. L’internazionalizzazione della distribuzione rappresenta invece un’opportunità per le piccole e medie imprese industriali, oltre che per i prodotti tipici, in quanto le insegne multinazionali sono un veicolo di espansione dei confini geografici del mercato.

Esiste poi un livello europeo di controllo competitivo della politica commerciale, che ha già cominciato a funzionare. La Catalogna, avendo approvato una legge che contempla delle barriere economiche all’entrata39, è stata quotidiani e periodici, che non appare sorretta da alcuna giustificazione di interesse generale. Se, infatti, l'aver previsto la possibilità di porre in vendita anche soltanto una delle due tipologie di prodotto editoriale rispondeva evidentemente all'esigenza di consentire l'accesso al mercato anche da parte degli esercizi di minore dimensione (i bar, ad esempio), la preclusione a vendere entrambi i ben determina un ingiustificato limite all'attività e l'innalzamento di una rigida barriera all'ingresso sul mercato, in contrasto con i principi posti a tutela della concorrenza.”

37 Il 15 ottobre 2002, L’assemblea della Regione Sicilia ha approvato il disegno di legge n. 298.3, cha all’art. 17 comma 8 recita : “ Al fine di consentire …la valorizzazione e la salvaguardia delle attività di commercializzazione delle produzioni regionali, con decreto dell’Assessore regionale per la cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca, sentito l’Osservatorio regionale per il commercio, vengono fissati limiti e condizioni per il rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 9 della presente legge, con periodicità biennale”

37 Trattasi di una tassa che grava solo sulle grandi strutture per costituire un fondo da utilizzare poi in provvidenze a favore delle piccole strutture.

37 “ …Aldi has filed a complaint against France at the European Commission over the country’s planning rules for large stores. The Tengelman discount retailer is challenging a 1996 law that requires the approval of local planning committees for all retail developpement of over 300 mq. Aldi is arguing that the regulations contravene European law on freedom of trade. The European Commission has also received a similar complaint from Tengelmann concerning planning restrictions in Portugal. The german group’s expansion plans has been affected by a 1998 law designed to protect traditional outlets”,

Cfr. CIES, news of the day, july 16, 2003 i, introdotta oggi dalle citate regioni, determina un ingiustificato limite all'attività e l'innalzamento di una rigida barriera all'ingresso sul mercato, in contrasto con i principi posti a tutela della concorrenza.”

38 Il 15 ottobre 2002, L’assemblea della Regione Sicilia ha approvato il disegno di legge n. 298.3, cha all’art. 17 comma 8 recita : “ Al fine di consentire …la valorizzazione e la salvaguardia delle attività di commercializzazione delle produzioni regionali, con decreto dell’Assessore regionale per la cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca, sentito l’Osservatorio regionale per il commercio, vengono fissati limiti e condizioni per il rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 9 della presente legge, con periodicità biennale”

39 Trattasi di una tassa che grava solo sulle grandi strutture per costituire un fondo da utilizzare poi in provvidenze a favore delle piccole strutture.

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citata dalla Commissione Europea davanti alla Corte di Giustizia per aver infranto un principio costitutivo dell’Unione. Aldi e Tengelmann hanno poi citato rispettivamente la Francia e il Portogallo davanti alla Commissione Europea per il carattere restrittivo di alcune norme della loro politica commerciale 40.

L’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato, nella sua relazione annuale del 6/8/2002, ha indicato le norme nazionali in contrasto coi principi della concorrenza e del mercato 41 ed avanzato in materia di federalismo la preoccupazione che “ …i vincoli alla concorrenza, eliminati a livello nazionale con la riforma avviata dal decreto legislativo 31/2/1998 n.114, possano poi essere mantenuti o reintrodotti a livello locale, peraltro in maniera assai diversificata.” Per contrastare il probabile orientamento delle Regioni alla iper – regolazione e alla adozione di politiche commerciali restrittive, l’Antitrust raccomanda :

- un “…forte coordinamento tra Stato e Regioni per tutto quanto riguarda

l’accesso ai mercati …individuando criteri affinchè le funzioni legislative e amministrative siano esercitate in modo da favorire la concorrenza e l’accesso ai mercati”

- “…forme di incentivi che premino le regolazioni regionali e locali idonee a promuovere la concorrenza.”

- una consultazione obbligatoria articolata nella comunicazione dell’avvio del processo di regolazione, nella pubblicazione dello schema di regolazione, nella fissazione del termine per presentare commenti prima dell’adozione del provvedimento;

- un’analisi di impatto costi-benefici per gli interventi di nuova regolazione (disegno di legge n.776 del 2001);

- un confronto sistematico delle misure regolamentari regionali e locali per incentivare l’adozione di best practices.

Da ultimo, ma non per importanza, il federalismo commerciale può spostare il governo della competitività al di fuori del controllo dell’AGCM. Le Regioni potrebbero infatti avvertire l’esigenza di governare l’accesso anche in funzione della promozione della concorrenza, attraverso un sistema di prelazioni volto ad

40 “ …Aldi has filed a complaint against France at the European Commission over the country’s planning rules for large stores. The Tengelman discount retailer is challenging a 1996 law that requires the approval of local planning committees for all retail developpement of over 300 mq. Aldi is arguing that the regulations contravene European law on freedom of trade. The European Commission has also received a similar complaint from Tengelmann concerning planning restrictions in Portugal. The german group’s expansion plans has been affected by a 1998 law designed to protect traditional outlets”, cfr. CIES, news of the day, july 16, 2003

41 L’Antitrust ha chiesto di :

- eliminare le rimanenti restrizioni quantitative dell’offerta commerciale nei settori delle farmacie, dei pubblici esercizi, delle rivendite di giornali e dei distributori di carburanti;

- eliminare la normativa che regolamenta le vendite sottocosto - liberalizzare ulteriormente gli orari di apertura dei negozi unitamente ad un

ampliamento della flessibilità nella definizione contrattuale dei tempi di lavoro.

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evitare che si creino situazioni di eccessiva concentrazione con la connessa possibilità di abuso della posizione di dominanza. La distribuzione italiana ha un alto livello di concentrazione territoriale e, allo stato, non esiste alcun controllo delle posizioni di dominanza che si determinano con lo sviluppo diretto. L’Antitrust si limita infatti ad intervenire nei casi di acquisizione e fusione e di abuso di posizione dominante, ma non ha ancora attuato una procedura di controllo della monopolizzazione del mercato locale che interviene per effetto dello sviluppo diretto, vale a dire con l’apertura di nuovi punti vendita. Tutto ciò premesso, riteniamo che si configuri una responsabilità regionale sul funzionamento della concorrenza, e quindi sul livello e sulla dinamica dei prezzi. Dal momento che la Regione governa l’accesso al mercato, mentre l’Antitrust interviene solo ex post nel caso di fusioni/concentrazioni e abuso di posizione dominante, occorre sviluppare strumenti di analisi competitiva e inserire questo elemento nel governo dell’accesso al mercato. Esiste già un tentativo di espansione del ruolo delle Regioni in materia di promozione della concorrenza, su cui si è espressa negativamente l’AGCM con motivazioni solo in parte condivisibili.

Il 9 luglio 2004, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato alle varie istituzioni interessate una segnalazione, adottata nell'adunanza dell’1 luglio, con cui vengono evidenziati due aspetti della regolamentazione della Regione Sicilia in materia di commercio, suscettibili di porsi in contrasto con gli obiettivi di tutela della concorrenza. Il primo aspetto è rappresentato dall'inclusione, tra i vari criteri di valutazione delle domande di autorizzazione per l'apertura, il trasferimento o l'ampliamento di grandi strutture di vendita (accanto a quelli relativi all'impatto urbanistico-ambientale), di considerazioni attinenti alla quota di mercato dell'impresa che intende realizzare l'iniziativa per cui è chiesta l'autorizzazione. Al riguardo, il decreto del Presidente della Regione Siciliana dell'11 luglio 2000, n. 165, Direttive ed indirizzi di programmazione commerciale e criteri di programmazione urbanistica commerciale, emanato in attuazione della Legge Regionale 22 dicembre 1999, n. 28, Riforma della disciplina del commercio, stabilisce infatti una quota massima dell'impresa richiedente pari ad un terzo del mercato, al di là della quale l'autorizzazione non può essere rilasciata42.

42 Il D.P.Reg. n. 165/00 stabilisce infatti che la valutazione dell'impatto commerciale “dovrà riguardare distintamente le quote di venduto che la nuova iniziativa sottrae alle medie e grandi

strutture di vendita esistenti e agli esercizi di vicinato (…); nel caso in cui il proponente già disponga di medie e grandi strutture di vendita operanti nello stesso comparto (alimentare e non alimentare) con la medesima insegna, in proprietà o collegata alla stessa centrale d'acquisto, nell'area definita dall'isocrona corrispondente a 30 minuti auto, va stimata la quota di mercato congiunta, eventualmente computando nella stima di mercato le vendite degli altri esercizi commerciali per la parte di vendite relativa all'area di sovrapposizione dei due bacini di mercato. La quota di mercato deve essere riferita a tutta la rete commerciale, includendo quindi esercizi di vicinato e medie e grandi strutture di vendita, con la medesima specializzazione merceologica (…). Se tale quota supera un terzo del totale, la nuova iniziativa commerciale non potrà essere autorizzata; nel caso dei centri commerciali, la presente verifica va effettuata relativamente a tutti gli esercizi commerciali singolarmente superiori alla soglia di una media struttura di vendita.”

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L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ritiene che questa normativa della Regione Sicilia sia “assolutamente impropria” in quanto:

- facendo riferimento ad una nozione di mercato rilevante e ad una quota di

mercato massima, si opera una sorta di valutazione antitrust che non compete alle Regioni;

- la tutela della concorrenza rientra tra le materie su cui lo Stato ha legislazione esclusiva;

- i criteri applicati dalla Regione Sicilia non trovano riscontro nella normativa e nella giurisprudenza nazionale e comunitaria riguardante la tutela della concorrenza43;

- la norma regionale in questione, essendo in grado di impedire la crescita delle imprese ed il conseguimento di economie di scala che possono condurre a benefici per i consumatori, è tale da determinare ingiustificate distorsioni della concorrenza.

Circa la competenza della valutazione antitrust in materia di accesso al mercato, riteniamo, diversamente dall’AGCM, che:

- in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, il governo

dell’accesso al mercato distributivo spetta alle regioni e che in questo ambito le regioni debbano adoperarsi per assicurare il miglior funzionamento della concorrenza;

- lo sviluppo delle imprese commerciali non può essere assimilato allo sviluppo delle imprese industriali perché il primo ha una forte componente territoriale che si traduce in barriere all’entrata, da governare nel momento dell’accesso al mercato;

- l’AGCM non ha mai analizzato in passato le posizioni di dominanza che si creano per effetto dello sviluppo diretto con apertura di nuovi punti vendita, proprio per la capillarità del fenomeno e la conseguente impossibilità di sottoporre al suo giudizio l’apertura di ogni punto vendita.

Consideriamo dunque del tutto legittima l’intenzione di promuovere il funzionamento della concorrenza attraverso un governo dell’accesso al mercato che eviti una eccessiva concentrazione dell’offerta. Si può discutere tuttavia se sia più opportuno regolare il fenomeno per legge, ovvero per via regolamentare o di indirizzi applicativi; vista la posizione dell’AGCM, riteniamo che la soluzione regolamentare o il ricorso agli indirizzi applicativi siano preferibili.

43 “In particolare, la norma regionale è caratterizzata dalla fissazione di una quota massima di

mercato pari ad un terzo, peraltro riferita ad un mercato rilevante che viene rigidamente predefinito e non individuato a seguito di un'analisi del singolo caso. Nella stessa norma non è contenuto alcun riferimento agli elementi che costituiscono parametri di valutazione nei casi antitrust, quali, tra gli altri, la presenza di qualificati concorrenti, la loro quota di mercato e la libertà di entrata nel mercato.”

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Per quanto riguarda le competenze in materia di legislazione sulla concorrenza, riconosciamo ovviamente il ruolo esclusivo dello Stato, ma invitiamo a separare la norma dalla sua applicazione. Se la Regione Sicilia avesse inserito il filtro di cui sopra nel regolamento o, meglio ancora, negli indirizzi applicativi, il problema non sarebbe sorto. Ancora, la soglia del 33% ci sembra particolarmente bassa rispetto alla concentrazione territoriale dell’offerta nelle regioni commercialmente più evolute. Inoltre, il vincolo non può essere così rigido e amministrato caso per caso; meglio sarebbe passare dall’autorizzazione amministrativa caso per caso alla valutazione comparativa di progetti strutturati secondo specifiche predefinite. Si può insomma discutere sul modo con cui la Regione Sicilia ha applicato il controllo competitivo dell’accesso al mercato, ma non sulla legittimità formale e sulla correttezza sostanziale del principio che ci sembrano del tutto condivisibili. Per quanto riguarda i criteri applicati dalla Regione Sicilia, che secondo l’AGCM non troverebbero riscontro nella normativa e nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, riteniamo che il riferimento ad un mercato rilevante predefinito sul piano territoriale sia imprescindibile proprio perché si tratta di governare l’accesso al mercato e non di effettuare una valutazione antitrust. Del resto, se il nulla osta dev’essere rilasciato sulla base dell’impatto economico e territoriale del nuovo insediamento, occorre predefinire il mercato in modo da formulare il contesto con riferimento al quale dev’essere espresso e valutato il progetto. Circa le misure della concentrazione, concordiamo che quella adottata dalla Regione Sicilia può essere affinata e aggiustata, ma resta l’esigenza di utilizzare un parametro di concentrazione per valutare in modo comparato i diversi progetti di insediamento. Infine, governare l’accesso al mercato in modo da evitare un’eccessiva concentrazione dell’offerta non significa impedire la crescita delle imprese ed il conseguimento di economie di scala né determinare ingiustificate distorsioni della concorrenza. La crescita delle imprese commerciali è in genere sempre positiva in termini di welfare, solo se si prescinde dalla sua dimensione territoriale. Non vi è dubbio che la dominanza di un’impresa commerciale in un territorio ristretto come la provincia può portare a un eccessivo potere di mercato a valle e a monte, che si ritorce contro il consumatore. Sarebbe interessante a questo proposito condurre analisi territoriali del livello e della varianza dei prezzi per verificare se e in che misura la concentrazione rientra tra le variabili esplicative. Ribadiamo comunque il principio che, se l’accertamento dell’abuso di posizione di dominanza spetta all’AGCM, evitare che la concentrazione territoriale dell’offerta aumenti fino a determinare posizioni di dominanza rientra nella missione della Regione cui spetta il governo dell’accesso al mercato.

Per quanto riguarda in particolare il commercio all’ingrosso, che rappresenta il focus di questo rapporto, ricordiamo che il decreto Bersani (art.26) vieta l’esercizio congiunto all’interno di uno stesso locale dell’attività di vendita all’ingrosso e al dettaglio, ma lascia alle Regioni la facoltà di derogare da tale disposizione. Alcune Regioni hanno infatti riconosciuto la possibilità di vendere all’ingrosso e al dettaglio all’interno dello stesso locale elencando in proposito i

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settori in cui il divieto del decreto Bersani può essere superato. In un recente studio dell’Antitrust 44 si afferma che “ la possibilità per i grossisti di vendere anche al dettaglio potrebbe portare ad una riduzione dei prezzi finali, grazie alla riduzione del numero di passaggi intermedi che dividono il produttore di un bene dal suo consumatore finale”45. Condividiamo il giudizio positivo sugli effetti della liberalizzazione della vendita all’ingrosso e al dettaglio, ma non la motivazione. Il numero dei passaggi intermedi, ovvero la lunghezza del canale, risponde al principio economico della specializzazione e della divisione del lavoro. La eliminazione di un passaggio con l’integrazione verticale ascendente o discendente non equivale alla cancellazione della relativa funzione / attività. L’intermediazione all’ingrosso si giustifica dunque sul piano economico proprio per il fatto che l’esercizio integrato di questa attività da parte del dettagliante o del produttore sarebbe svolto in condizioni di minore efficienza, vale a dire con costi più alti. Nei casi in cui il canale corto è più efficiente, produttori e distributori si organizzano per avere rapporti diretti senza bisogno che il legislatore intervenga per orientare il loro comportamento. Ciò detto, la separazione dell’attività di ingrosso e dettaglio è una barriera all’entrata che ostacola il pieno dispiegarsi della concorrenza. L’esercizio congiunto di queste attività attiverebbe una forma di intertype competition sicuramente positiva per il consumatore finale. Peraltro, cesserebbe una forma di discriminazione a danno dell’ingrosso ; mentre il dettagliante può vendere all’ngrosso, il grossista non può infatti di norma vendere al dettaglio. Bene hanno fatto dunque le Regioni che hanno approfittato della discrezionalità consentita dal decreto Bersani per ridurre questo vincolo. Visto che nel citato rapporto di ricerca Antitrust si posizionano le regioni in funzione del loro orientamento liberistico, abbiamo utilizzato queste informazioni per confrontare il comportamento regionale in materia di ingrosso col comportamento complessivo più o meno restrittivo in materia di politica commerciale. Dalla figura seguente, si può evincere che la Lombardia, assieme a Piemonte – Marche – Campania –Molise, si caratterizza per un orientamento altamente liberistico sia per l’ingrosso che per il dettaglio. Si può inoltre notare che, mentre per il dettaglio esiste una sostanziale differenziazione tra le Regioni che si distribuiscono quasi uniformemente tra basso-medio-alto livello di liberalizzazione, per l’ingrosso vi è un marcato orientamento generale alla liberalizzazione.

44 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Qualità della regolazione e performance

economiche a livello regionale : il caso della distribuzione commerciale in Italia, 2007 45 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Qualità della regolazione e performance

economiche a livello regionale : il caso della distribuzione commerciale in Italia, 2007, pag. 30

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LIBERALIZZAZIONE DEL DETTAGLIO

Valle d’Aosta Lombardia Piemonte Marche Campania Molise

Abruzzo Veneto

Calabria Basilicata Toscana

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Umbria Puglia Sicilia Friuli Venezia Giulia Trentino Alto Adige

BASSO MEDIO ALTO

La convergenza della politica commerciale dell’ingrosso e del dettaglio non può naturalmente riguardare i mercati agroalimentari, che hanno funzioni economiche specifiche e per i quali si rimanda al contributo di O. Zappi.

Fino alla fine degli anni sessanta, i mercati all’ingrosso svolgevano il ruolo di driver nella valorizzazione del prodotto e il prezzo all’origine così come il prezzo al consumo si formavano sulla base del prezzo all’ingrosso definito all’interno di queste strutture annonarie. Gli agricoltori inviavano i loro prodotti al mercato all’ingrosso prevalentemente in conto commissione e, quindi, accettavano di ricavare qualunque prezzo al netto del margine di intermediazione all’ingrosso. Anche nei casi in cui la merce veniva ceduta al grossista in conto proprio e, quindi, contro il corrispettivo di un prezzo di vendita negoziato tra le parti, il livello di questo prezzo si assestava sempre sulla soglia del previsto prezzo di vendita all’ingrosso al netto del margine di intermediazione; la formazione verticale del prezzo era dunque governata dalla domanda e invertita. Il singolo produttore in altri termini, in assenza di un controllo quantitativo e di marketing sull’offerta, non poteva imporre un prezzo di vendita aggiungendo un margine di profitto al suo costo unitario di produzione. L’unico modo per influire sul prezzo di prodotti venduti all’ingrosso come commodity era la scelta del mercato, in quanto il rapporto tra domanda e offerta poteva essere anche molto squilibrato sul piano territoriale ; ciò che era per altro testimoniato dalla forte varianza spaziale dei prezzi all’ingrosso di un dato prodotto. Il governo del valore da parte dei mercati all’ingrosso si esercitava sul piano fisico attraverso la concentrazione spaziale/temporale dell’offerta e sul piano economico attraverso la scoperta del prezzo che discendeva da negoziazioni a vista ; la trattativa in presenza del prodotto consentiva di risolvere da un lato il problema della forte variabilità della

ALTO MEDIO BASSO

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qualità e, dall’altro, di misurare la consistenza della domanda rispetto all’offerta lasciando alle fluttuazioni del prezzo il compito di portare in equilibrio il mercato. Le variazioni dei prezzi intervenivano dunque prima nei mercati all’ingrosso perché in questo contesto gli operatori erano in grado di valutare le variazioni della domanda e dell’offerta in anticipo rispetto agli operatori a valle e a monte. Il carattere previsivo delle variazioni dei prezzi all’ingrosso derivava poi anche dalla presenza di scorte nel commercio al dettaglio. Il singolo dettagliante partecipava ogni giorno alla scoperta del prezzo dei prodotti che acquistava e, contemporaneamente, traeva utili indicazioni dai prezzi all’ingrosso dei prodotti che non aveva ancora esaurito ed il cui acquisto poteva essere pertanto rinviato. Il prezzo all’ingrosso si formava pertanto sulla base di una previsione della domanda finale in rapporto alla produzione da collocare in un definito intervallo temporale. I mercati all’ingrosso erano dunque neutrali nella formazione del prezzo perché non contribuivano in alcun modo a determinare le condizioni di domanda e di offerta; compito dei mercati all’ingrosso era invece quello di contribuire alla scoperta delle suddette condizioni di domanda e offerta, ovvero, alla scoperta del prezzo. Secondo questa interpretazione dell’operare delle forze economiche, sono le variazioni dei prezzi al consumo che determinano le variazioni a monte dei prezzi all’ingrosso oltre che all’origine, e non viceversa come avviene nel caso dei prodotti industriali. Il dettagliante è infatti disposto a pagare un prezzo di acquisto che, una volta caricato del suo margine, non superi il prezzo di vendita che discende dal posizionamento dell’insegna rispetto al competitor di riferimento. E’ normale che nella trattativa l’acquirente dettagliante sottovaluti le condizioni di domanda rispetto al venditore grossista, che tende ad essere più ottimista anche perché è remunerato in percentuale sul prezzo di vendita. Quando però questa divergenza di vedute si amplia, la quantità acquistata risulta di conseguenza inferiore a quella disponibile ; questa situazione può durare qualche tempo in ragione della conservabilità del prodotto, ma è destinata a sfociare in un abbassamento del prezzo all’ingrosso per consentire l’integrale collocamento della produzione. Un sistema di mercati all’ingrosso efficienti sul piano strutturale era dunque in grado di assicurare rapidamente la scoperta del prezzo di mercato, vale a dire del prezzo che consente il collocamento della produzione disponibile nei tempi richiesti dalla domanda.

Le ragioni di questo ruolo guida dei mercati all’ingrosso devono essere ricercate in una serie di elementi strutturali :

- la stagionalità dei consumi, determinata anche dalla indisponibilità del

consumatore “povero” di allora a pagare un premium price per prodotti di importazione ;

- la forte varianza della qualità, determinata anche da carenze logistiche e dal limitato sviluppo di marchi collettivi ;

- la forte varianza della quantità disponibile per la commercializzazione, determinata da un lato dagli andamenti climatici e dall’altro dalle scelte dei produttori, ispirate spesso alle quotazioni della stagione precedente;

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- la polverizzazione della produzione, determinata dalla ridotta presenza di organizzazioni agricole in grado di interfacciare direttamente gli acquirenti ;

- la polverizzazione della distribuzione al dettaglio, determinata fra l’altro dalla difficoltà di estendere a questi prodotti la vendita a libero servizio.

L’insieme di queste circostanze strutturali rendeva necessaria la negoziazione a vista per la scoperta di un prezzo che portava in equilibrio domanda e offerta su basi territoriali ristrette e spesso coincidenti con la città / provincia. Ora, delle circostanze indicate più sopra, solo la varianza della quantità continua a svolgere un ruolo rilevante nel pricing dei prodotti freschi deperibili. Anche quest’ultima ha però un diverso impatto rispetto al passato ; lo sviluppo di insegne / gruppi distributivi nazionali e l’acquisto diretto alla fonte hanno infatti azzerato l’impatto territoriale della varianza della quantità, nel senso che una carenza / abbondanza di prodotto si riflette oggi in maniera uniforme su tutto il paese. Il diminuito ruolo dei mercati all’ingrosso nella distribuzione e valorizzazione dei prodotti freschi deperibili si evince anche dalla riduzione esponenziale dei consumi mercatizzati e dalla specializzazione di queste strutture nel servire il dettaglio tradizionale, l’HO.RE.CA. e gli ambulanti, che incidono sulle vendite in maniera via via decrescente. Questo fenomeno ha interessato tutti i settori, ma in diversa misura data la diversa “industrializzazione” dei vari comparti ; il ruolo economico dei mercati si è ridotto in maniera via via meno consistente per le carni, l’ortofrutta e il pesce. Il caso più emblematico è proprio quello del pesce che, malgrado l’industrializzazione della pesca, presenta ancora molte delle caratteristiche che richiederebbero l’intermediazione logistica e la valorizzazione dei mercati all’ingrosso. Le quantità disponili sono infatti aleatorie e soggette ai capricci del tempo, così come la componente della qualità che discende dalla dimensione del prodotto pescato. Ebbene, anche per il pesce si registra un crollo dei consumi mercatizzati.

La riduzione del ruolo logistico ed economico dei mercati all’ingrosso non implica un analogo ridimensionamento dell’ingrosso come settore. Infatti, dalle nostre interviste è emerso per esempio che COOP Italia si approvvigiona di ortofrutta direttamente alla produzione per il 50% dei volumi, all’ingrosso per il 38%, da importatori per l’11% e presso i mercati all’ingrosso per l’1%.

La rivitalizzazione dei mercati all’ingrosso non può essere ottenuta con una politica restrittiva dell’attività che si svolge al di fuori delle strutture annonarie 46,

46 Questo orientamento è stato assunto dalla Regione Veneto. Per i magazzini di commercio all’ingrosso situati al di fuori dei mercati all’ingrosso riconosciuti l’art. 20 della L.R. n. 20/1979 del Veneto stabilisce che l’esercizio del commercio all’ingrosso si svolga “con il rispetto di tutte le norme del regolamento relativo al mercato all’ingrosso locale ove esista o del mercato del comune capoluogo di provincia o del comune più vicino, che non attengano al funzionamento interno”. Una regolazione che prevede per le aziende grossiste collocate all’esterno dei mercati all’ingrosso gli stessi vincoli di quelle che operano nell’ambito dei mercati all’ingrosso, è decisamente sbagliata. Infatti, se applicata, non sortisce l’effetto di consolidare o aumentare i consumi mercatizzati, mentre favorisce un ulteriore sviluppo del canale corto senza che vi siano le condizioni economiche per giustificarlo.

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ma con la loro collocazione all’interno del Piano triennale per lo sviluppo del settore commerciale, onde stabilire connessioni con le problematiche delle attività commerciali all’ingrosso in generale e delle stesse attività di commercio al dettaglio. In questo caso, la sfida consiste nel far evolvere il contesto infrastrutturale e normativo in modo da internalizzare il commercio all’ingrosso di ortofrutta, carne e pesce, che attualmente si svolge al di fuori dei mercati; nel contempo, occorre mutuare l’esperienza degli altri paesi industrializzati che hanno saputo creare le condizioni per la presenza della Grande Distribuzione Organizzata nei mercati all’ingrosso.

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all’ingrosso

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Enti e Associazioni FNAARC – Federazione Nazionale Associazione Agenti e Rappresentanti di Commercio – Direzione Generale, corso Venezia, 51 – 20121, Milano; e-mail [email protected], sito web www.fnaarc.it USARCI – Unione Sindacati Agenti di Commercio Italiani – Federazione Nazionale, corso del Rinascimento, 11/1 – 00185, Roma;, e-mail [email protected], sito web www.usarci.it FIARC – Federazione Italiana Agenti e Rappresentanti di Commercio, via Nazionale, 60 – 00184, Roma;, e-mail [email protected], sito web www.fiarcweb.it FEDERAGENTI – Federazione Nazionale Agenti e Rappresentanti di Commercio, Organizzazione Sindacale, via Baldovinetti, 33, 00142, Roma; e-mail [email protected], sito web www.federagenti.org ASSOAGENTI – Associazione Agenti e Rappresentanti di Commercio, via Vitruvio, 43 – 20124, Milano; e-mail [email protected], sito web www.assoagenti.it UNIONCAMERE – Unione Italiana delle Camere di Commercio Industria Artigianato Agricoltura, piazza Sallustio, 21 – 00187, Roma;, e-mail [email protected], sito web www.unioncamere.it

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CONFCOMMERCIO – Confederazione Generale del Commercio del Turismo dei Servizi e delle Pmi, piazza G.G. Belli, 2 – 00153, Roma; e-mail [email protected], sito web www.confcommercio.it FONDAZIONE ENASARCO – Ente Nazionale Assistenza Agenti e Rappresentanti di Commercio, Direzione Generale, via Usodimare, 31 – 00154 Roma; sito web www.enasarco.it

Periodici delle Associazioni sindacali degli Agenti di Commercio Quaderni per le Imprese, Ruolo agenti e rappresentanti di commercio, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano, Milano, 2000. Agenti di Commercio – periodico di FNAARC Notizie Usarci – periodico di SARCI

Interviste Dott. Luigi Strazzella Responsabile delle relazioni sindacali F.N.A.A.R.C. Federazione Nazionale Associazioni Agenti e Rappresentanti di Commercio Rag. Tinelli Giuseppe Assorgenti - Associazione Agenti e Rappresentanti di commercio Vice presidente della Lega Internazionale del rappresentante di commercio Giancarlo Bonamenti Presidente Usarci Mantova e Consigliere nazionale Unione Sindacati Agenti e Rappresentanti di Commercio Italiani Dott. Raffaele Gelati Responsabile organizzativo UNCOM Mantova Unione del Commercio Collaborazioni: A. R. Dionisi Istituto nazionale di statistica Direzione centrale per la diffusione dell'informazione statistica e il supporto alla produzione editoriale

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Glossario CRM: customer relationship management. Ce.Di.: Centro di Distribuzione. Distribuzione organizzata (DO): gruppo strategico (forma aziendale) della distribuzione organizzata; con gruppo strategico si indica un insieme di imprese commerciali omogenee sul piano dell’organizzazione, del portafoglio prodotti e delle politiche di marketing. EDI: Electronic Date Interchange. E-procurement: la negoziazione on line. E-sourcing: la ricerca delle fonti di approvvigionamento e la loro valutazione comparata on line. Formato di punto vendita: differenziazione del servizio all’interno di una stessa forma distributiva (es. i formati dell’ipermercato - forma distributiva - vanno da 2.500 a 10.000 mq). Grande distribuzione (GD): gruppo strategico (forma aziendale) della grande distribuzione; con gruppo strategico si indica un insieme di imprese commerciali omogenee sul piano dell’organizzazione, del portafoglio prodotti e delle politiche di marketing. Grande distribuzione organizzata (GDO): l’insieme delle insegne che costituiscono la distribuzione moderna. Grocery: alimentari, bevande, articoli per la pulizia della casa e la cura della persona. Gruppi di acquisto: forma di associazionismo, in cui l’imprenditorialità origina dal dettaglio; il centro di distribuzione è posseduto pro-quota dai dettaglianti che si sono integrati a monte nella funzione di ingrosso. G.S.S.: Grandi superfici specializzate Ho.re.ca.: Hotel Restaurant Caffè. Micromarketing: la strategia di rivolgersi alla clientela specifica di punto vendita per fare marketing mirato nel messaggio e nelle proposte e, più specificatamente, la differenziazione dell’assortimento e dei prezzi dei punti vendita di uno stesso formato in funzione delle caratteristiche della domanda e dell’offerta locale. I criteri di segmentazione indicati in letteratura sono quelli sociodemografici, quelli geografici e, più recentemente, quelli legati agli economics della clientela. Questi ultimi si adattano bene alla distribuzione grocery data l’eterogeneità della base cliente e il mercato spazialmente determinato di ciascun punto vendita. Il micromarketing si basa quindi sulla comprensione del diverso contributo della clientela al profitto, è reso possibile dalle carte commerciali e/o dalla tecnologia

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dell’informazione e si manifesta nel fare marketing a ciascun segmento di clientela in modo più informato rispetto al passato. Prodotti diretti: tutti quei beni che vengono utilizzati una sola volta nel processo di produzione o vendita. Sell out: la vendita in quantità/valore realizzata nei confronti del consumatore, in contrapposizione con il sell in che misura la vendita in quantità/valore realizzata dall’Industria nei confronti della Distribuzione. Trade marketing: l’insieme di azioni che hanno come target i distributori e come obiettivo la realizzazione di un vantaggio competitivo nel mercato intermedio. Si tratta in particolare della manovra delle condizioni di vendita e del servizio industriale a supporto del referenziamento e del posizionamento in shop della marca industriale. Unioni volontarie: forma di associazionismo, in cui l’imprenditorialità origina dall’ingrosso; il centro di distribuzione è posseduto da un singolo imprenditore, ex grossista, che si è integrato a valle nel dettaglio, sia fornendo servizi aggiuntivi agli associati, che aprendo punti vendita di proprietà.