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Il colloquio pedagogico insegnanti – genitori nella scuola dell’infanzia Principi e linee operative Scuola dell’Infanzia dell’Istituto Comprensivo di Roncadelle (BS) Settembre 2016

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Il colloquio pedagogico insegnanti – genitori

nella scuola dell’infanzia

Principi e linee operative

Scuola dell’Infanzia dell’Istituto Comprensivo di Roncadelle (BS)

Settembre 2016

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INDICE Premessa Principi

1. Il colloquio insegnanti – genitori è un dispositivo importante nella logica della collaborazione educativa

2. Il colloquio insegnanti – genitori ha una specificità educativa che ha il suo punto focale nella crescita del bambino

3. Il colloquio pedagogico è un processo interattivo 4. Il colloquio pedagogico è un processo strutturato 5. Il colloquio pedagogico richiede attenzione non solo alle parole 6. La conduzione del colloquio pedagogico fa parte della professionalità dell’insegnante 7. La conduzione del colloquio chiede l’affiatamento tra i docenti

Linee operative

1. Considerare le caratteristiche fondamentali della comunicazione umana 2. Considerare i diversi atteggiamenti di fondo con cui si vive l’interazione 3. Considerare le conseguenze dei diversi modi di comunicare 4. Considerare la centralità dell’ascolto e le funzioni del colloquio 5. Riconoscere le implicanze emotive del colloquio 6. Riconoscere le difficoltà prevalenti nella gestione del colloquio e saper tenere presenti un

bagaglio di strategie 7. Realizzare una gestione costruttiva del colloquio

7.1 Il ruolo delle domande 7.2 La comunicazione verbale dell’attenzione 7.3 La comunicazione delle difficoltà dell’alunno

a) La descrizione del comportamento b) La descrizione delle conseguenze del comportamento c) L’eventuale manifestazione della preoccupazione e la descrizione delle priorità

educative d) La costruzione di indicazioni operative

7.4 Saper gestire le situazioni di conflittualità 8. Essere consapevoli che vi sono diversi modi per rovinare un colloquio 9. Curare l’organizzazione temporale dei colloqui

Conclusioni: aree di sviluppo Breve bibliografia di riferimento

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Premessa

Il presente documento è il frutto di un lungo lavoro di approfondimento e confronto svolto da tutto

il gruppo docenti della Scuola dell’Infanzia dell’’Istituto Comprensivo di Roncadelle durante l’anno

scolastico 2015-2016.

Il gruppo, guidato dal prof. Pierpaolo Triani, docente di Didattica Generale presso l’Università

Cattolica del Sacro Cuore, dopo aver dedicato un prima fase alla riflessione e alla condivisione sulla

funzione pedagogica del ‘colloquio’ tra insegnanti e genitori, ha condiviso l’idea di elaborare un

quadro di principi pedagogici e linee di azione da proporre come punto di riferimento per ogni

docente della scuola dell’infanzia dell’Istituto.

La costruzione di questo quadro è partita dall’analisi delle esperienze e delle pratiche in atto.

Proprio questa ‘lettura condivisa della realtà’ con i suoi punti di forza e di criticità ha permesso di

giungere, attraverso gli spunti tratti da alcuni approfondimenti teorici sulla dimensione

comunicativa e relazionale del colloquio, all’individuazione e alla stesura dei principi e delle linee

che sono qui proposti.

Lo scopo del documento può essere brevemente riassunto in tre parole chiave.

La prima è riflessione. L’impegno quotidiano si caratterizza per un succedersi continuo di azioni e

inter-azioni che alla fine però chiedono sempre di essere ricondotte al loro perché. Se perdiamo di

vista o fraintendiamo il senso e la funzione di ciò che facciamo, la nostra azione rischia di cadere

nel formalismo e nella mera esecuzione di richieste. Uno degli strumenti più importanti per

contenere questo rischio è il riflettere che comporta il soffermarci su un dato aspetto cercando di

comprenderlo maggiormente, lasciando spazio alle nostre domande. Proprio per questo motivo,

queste pagine intendono essere un piccolo strumento nella direzione di accrescere la riflessività

delle insegnanti e degli insegnanti sul colloquio con i genitori, sulla sua specificità, sulla sua

rilevanza, sui suoi punti nodali.

La seconda è condivisione. La scuola è una comunità educante dove l’assunzione di una linea

comune, declinata poi da ogni insegnante secondo il principio della libertà e della responsabilità

didattica, è un elemento qualificante fondamentale. I colloqui con i genitori richiedono alle

insegnanti una forte collaborazione e un comune orizzonte di intenti; questo documento intende

sostenere proprio questo progetto.

La terza è orientamento per l’azione. In campo educativo non esistono ricette, quanto piuttosto

indicazioni e linee che chiamano in causa l’intelligenza e la sapienza del singolo educatore. Questo

documento è stato scritto con questo spirito: permettere ai docenti di avere una mappa di

riferimento per valorizzare al meglio i colloqui con i genitori come una risorsa importante.

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Il percorso che ha portato a queste pagine ha richiesto a coloro che hanno partecipato ai lavori, un

supplemento di impegno e di energie; per questo motivo a ciascuno di loro va un sincero

ringraziamento.

Certo quando si finisce di elaborare un documento inizia la parte più complessa…tradurlo nella

quotidianità Un compito non semplice, ma che vale la pena affrontare insieme, con passione e

responsabilità educativa, tenendo sempre come punto focale lo sviluppo e il benessere di ogni

bambino.

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Principi

1. Il colloquio insegnanti – genitori è un dispositivo importante nella logica della alleanza

educativa

Vi è una stretta connessione tra educare e collaborare, lo sanno molto bene i genitori, gli insegnanti

e gli stessi bambini.

La logica dell’alleanza rappresenta perciò un asse portante di tutto il sistema scolastico e la scuola

dell’infanzia costituisce, a questo riguardo, un tempo particolarmente prezioso in quanto i genitori

hanno la possibilità di intessere un dialogo educativo sulla crescita del proprio figlio con altre figure

adulte, professionalmente preparate. Ugualmente le insegnanti, attraverso il confronto, hanno la

possibilità di crescere nella conoscenza dei propri alunni, personalizzare gli interventi educativi,

valorizzare la vita familiare come una risorsa.

E’ significativo, a questo proposito, che le Indicazioni nazionali per il curricolo, parlando della

Scuola dell’infanzia, dedichino un paragrafo specifico alle famiglie: Ecco alcuni passaggi:

“Le famiglie sono il contesto più influente per lo sviluppo affettivo e cognitivo dei bambini. Nella

diversità di stili di vita, di culture, di scelte etiche e religiose, esso sono portatrici di risorse che

devono essere valorizzate nella scuola, per far crescere una solida rete di scambi comunicativi e di

responsabilità condivise.

L’ingresso dei bambini nella scuola dell’infanzia è una grande occasione per prendere più

chiaramente coscienza delle responsabilità genitoriali” (MIUR, Indicazioni nazionali per il curricolo

della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma, Settembre 2012).

La collaborazione non è un fatto ‘meccanico’, oppure un oggetto che può essere ‘acquistato’; va

costruita nel tempo e sostenuta attraverso:

- una condivisione, da parte di tutti gli adulti coinvolti, delle finalità, degli obiettivi, delle

regole di funzionamento della scuola espressi dal Piano Triennale dell’Offerta Formativa;

- una reciproca disposizione fiduciaria nel riconoscimento della diversità di ruoli e funzioni;

- un riconoscimento da parte dei genitori del loro ruolo attivo nella realizzazione di un clima

accogliente nella scuola;

- una cura da parte della scuola degli aspetti comunicativi e relazionali attraverso la

costruzione di una trama quotidiana accogliente e di specifici incontri dedicati al dialogo e

al confronto.

E’ dentro questa logica complessiva di alleanza educativa che chiede di essere collocato il

‘colloquio’ tra gli insegnanti e genitori, inteso come un momento costruito intenzionalmente, e

quindi appositamente preparato, per valorizzare al meglio la comunicazione e l’interazione.

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2. Il colloquio insegnanti – genitori ha una specificità educativa che ha il suo punto focale

nella crescita del bambino

Quando si chiede alle persone di partecipare ad un colloquio è necessario avere ben chiara quale sia

la funzione che si attribuisce a questo momento.

Possiamo sintetizzare le ragioni del colloquio insegnanti – genitori nei seguenti punti:

- far sentire i genitori coinvolti a pieno titolo nel percorso formativo che il proprio figlio sta

compiendo nella scuola dell’infanzia;

- permettere alle insegnanti e alla scuola di comprendere meglio il punto di vista della

famiglia sull’alunno;

- confrontarsi con i genitori sulle risorse dell’alunno, sui passi che sta compiendo, sulle sue

eventuali difficoltà;

- permettere alle insegnanti di rimodulare il proprio intervento educativo con l’alunno;

- permettere ai genitori e alla famiglia, in ordine alla crescita e all’apprendimento del figlio, di

avere alcuni punti di riferimento.

Il colloquio ha dunque un punto focale che non può essere perso di vista: la crescita dell’alunno e il

suo accompagnamento educativo. Tutto quanto può essere oggetto di confronto (la situazione del

bambino, le sue risorse e le sue difficoltà, la situazione della classe, i comportamenti degli

insegnanti e dei genitori) e di scelta comune (le possibili azioni da svolgere a scuola e a casa) trova

il suo punto di riferimento fondamentale nell’intenzionalità educativa di promuovere nel modo

migliore le competenze del bambino.

Il colloquio perciò ha un carattere peculiarmente pedagogico (per questo d’ora in poi lo

chiameremo propriamente colloquio pedagogico), in quanto è ben di più che un momento

informativo; è uno spazio per pensare insieme alle azioni che possono essere messe in atto per

valorizzare le risorse del bambino, potenziarne le capacità, supportarlo adeguatamente, con uno

sguardo fiducioso e realistico.

In quanto pedagogico il colloquio ha a cuore di attivare processi di consapevolezza e di sostenere

scelte che a loro volta diano ad ogni bambino il tempo di crescere.

3. Il colloquio pedagogico è un processo interattivo

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Il colloquio pedagogico sebbene sia circoscritto, solitamente, in un tempo relativamente breve non è

un veloce scambio di opinioni, ma si configura come un vero e proprio processo di interazione dove

hanno il loro peso i ruoli, gli stili, gli atteggiamenti che vengono messi in atto dalle persone

coinvolte e le dinamiche che vanno generandosi.

Affinché questo processo sia costruttivo occorre, come si vedrà di seguito anche nella sezione

dedicata alle linee operative, porre intenzionalmente un’attenzione specifica agli aspetti

comunicativi e relazionali.

Dal punto di vista comunicativo è importante che il colloquio sia condotto secondo i principi della

chiarezza, coerenza, complessità, progettualità.

Una comunicazione chiara è attenta a precisare ciò che intende dire o chiedere; a non sovrapporre le

informazioni o fare contemporaneamente troppe domande; a lasciare tempo per la comprensione e

per la chiarificazione.

Una comunicazione coerente è attenta ad evitare messaggi e atteggiamenti contradittori; a tenere

uniti i diversi fili che si vanno intrecciando nel confronto.

Una comunicazione complessa è attenta ad aiutare l’interlocutore a non considerare solo singoli

aspetti quanto piuttosto ad avere uno sguardo d’insieme sul bambino; a considerare i diversi punti di

vista e cercare una sintesi comune.

Una comunicazione progettuale non si limita a dire che cosa sta succedendo, ma è attenta a

guardare in avanti, a delineare passi in avanti.

Dal punto di vista relazionale è importante che durante il colloquio, l’insegnante cerchi

intenzionalmente di attivare:

- un atteggiamento di ascolto verso i genitori e una disponibilità alla loro valorizzazione;

- un atteggiamento propositivo che, evitando di cadere nella lamentazione, delinei ai genitori

delle piste di azione;

- un atteggiamento responsabilizzante che chieda ai genitori, attraverso indicazioni concrete,

di fare la loro parte.

4. Il colloquio pedagogico è un processo strutturato

Il colloquio pedagogico, in ragione del fatto che è un processo interattivo che si svolge in un tempo

relativamente breve, per essere valorizzato appieno ha bisogno di una struttura base di riferimento.

La questione è delicata. Non si tratta infatti di definire a priori dei passaggi formali che debbono

essere sempre necessariamente attivati; così facendo infatti si ingabbierebbe un confronto che

proprio per la sua peculiarità educativa ha bisogno di restare aperto. Si tratta invece di offrire una

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mappa di riferimento che contrasti l’improvvisazione e contenga i rischi di perdersi in un confronto

senza meta.

Il confronto tra i docenti ha messo in evidenza come, sebbene ciascuno declini la conduzione dei

colloqui in modi leggermente differenti a seconda delle situazioni, si possano delineare alcuni

passaggi base che è bene considerare come punto di riferimento ideale.

a) Introduzione

In questo passaggio le insegnanti sono attente ad accogliere i genitori, a metterli a loro agio, a

spiegare il senso del colloquio, a riprendere, eventualmente, i contenuti di incontri precedenti.

b) Presentazione della situazione

In questo passaggio le insegnanti sono attente a descrivere quanto da loro osservato in merito al

bambino e al suo percorso formativo. E’ importante che la descrizione parta dalle risorse e che

anche nel momento in cui si descrivano difficoltà si cerchi di delineare degli obiettivi che l’alunno

potrà perseguire.

c) Ascolto della ‘lettura’ della famiglia

In questo passaggio le insegnanti, anche attraverso l’aiuto di alcune domande di avvio, sono attente

a porsi in ascolto del punto di vista dei genitori sul modo con cui il proprio figlio sta vivendo

l’esperienza scolastica, sulle sue potenzialità e le sue eventuali fatiche.

Questo punto c) può anche precedere, a seconda dei casi, il punto b).

d) Confronto

In questo passaggio le insegnanti promuovono un confronto con i genitori su aspetti che si ritiene

richiedano un ampliamento della riflessione; sono attente a chiarire dubbi, fornire o chiedere

ulteriori informazioni.

e) Individuazione di passi condivisi da compiere

In questo passaggio le insegnanti, se necessario, propongono e delineano con i genitori, alcune

azioni che possono essere svolte a scuola e a casa per dare concretezza alla riflessione pedagogica

che è stata condivisa

f) Sintesi finale e saluti

In quest’ultimo passaggio accanto ai saluti è bene ricordare gli accordi e gli impegni presi che sono

stati eventualmente definiti durante il colloquio.

5. Il colloquio pedagogico richiede attenzione non solo alle parole

E’ scontato affermare che le parole siano importanti nella realizzazione di un colloquio; in realtà,

come è noto, sono altrettanto decisivi altri aspetti che a volte si tende a sottovalutare.

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La postura del proprio corpo, il tono della voce, l’atteggiamento complessivo nei confronti

dell’altro incidono nell’interazione con le persone quanto le frasi che si pronunciano, anzi a volte,

come vedremo tra poco nelle linee operative, molto di più.

Anche il setting (ossia l’organizzazione dello spazio, all’interno del quale si svolge l’incontro, la

disposizione delle sedie e del tavolo) ha la sua rilevanza. E’ bene che esso sia curato il più possibile

affinché si possa comunicare accoglienza e predisposizione all’ascolto.

Non meno rilevante è il ruolo che svolgono gli strumenti (schede, documenti, questionari) che

eventualmente vengono utilizzati durante il colloquio. Essi infatti incidono sia sui contenuti

dell’interazione, sia sugli atteggiamenti delle insegnanti e dei genitori. E’ importante perciò che la

scuola aiuti gli attori in gioco a ricondurre sempre questi strumenti all’interno della valenza

pedagogica del colloquio.

Il tempo, infine, è fattore decisivo. Non si tratta solo di chiedersi quanto tempo si può mettere a

disposizione per ogni colloquio, ma anche interrogarsi sul quando, ossia su quale periodo durante il

percorso del bambino all’interno della scuola dell’infanzia sia più utile svolgere i colloqui con i

genitori.

Il tempo è una risorsa ‘scarsa’, che proprio per questo vale la pena di essere valorizzata

attentamente anche attraverso la cura delle parole, dei comportamenti, del setting, degli strumenti.

6. La conduzione del colloquio pedagogico fa parte della professionalità dell’insegnante

Ad ogni insegnante, e in modo particolarmente rilevante a quelli che operano nella scuola

dell’infanzia, è chiesto di saper inter-agire sia con i bambini, sia con i genitori.

Già alcuni fa P. Perrenoud aveva inserito tra le dieci nuove competenze per insegnare il saper

“Informare e coinvolgere i genitori”, indicando tra gli strumenti possibili anche quello del

colloquio. Dopo averne messo in luce le potenzialità, ma anche sottolineato il rischio che esso

diventasse un terreno di scontro, l’autore francese precisava: “Le competenze richieste ad un vero

professionista consistono piuttosto nel non impiegare tutta la sua energia a difendersi, a respingere

l’altro, ma al contrario nell’accettare di negoziare, nell’ascoltare e nel capire quello che i genitori

hanno da dire, senza per questo rinunciare a difendere le proprie convinzioni” (P. Perrenoud, Dieci

nuove competenze per insegnare, Anicia, Roma 2002, p. 126).

Il colloquio con i genitori, la sua conduzione e gestione, in quanto strumento importante della

propria professionalità, chiede ad ogni docente una cura specifica verso:

- le proprie competenze comunicative e relazionali, per poter rapportarsi in modo positivo

nelle diverse situazioni;

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- la propria intelligenza emotiva, per saper riconoscere e comprendere sia le proprie reazioni e

i propri vissuti sia quelle dei genitori con cui sta interagendo.

La qualità di un colloquio è determinata innanzitutto dal tono emotivo di fondo; quando infatti

prevalgono, anche in modo non dichiarato, paura, ansia di controllo, rabbia, il confronto è molto

difficile e la condivisione di linee comuni risulta sostanzialmente irrealizzabile. Quando invece le

emozioni negative sono riconosciute e si riesce a stemperarle attraverso l’alleanza su uno sforzo

comune, il colloquio ha molte più possibilità di svolgere adeguatamente le sue funzioni.

Alla luce di queste considerazioni, risulta chiaro come, in quanto capacità professionalmente

richiesta, la conduzione del colloquio abbia bisogno di essere sostenuta sia attraverso la formazione

iniziale, sia quella in servizio.

7. La conduzione del colloquio chiede l’affiatamento tra i docenti

La professionalità dell’insegnante comporta anche il saper lavorare assieme ai propri colleghi.

Questa competenza è particolarmente coinvolta nella conduzione del colloquio pedagogico, in

quanto la sua efficacia richiede un triplice affiatamento.

In primo luogo è necessario che, durante l’interazione con i genitori, le insegnanti, pur nella

diversità dei caratteri e degli stili, abbiano un’unità di intenti e siano particolarmente attente a non

trasmettere messaggi tra loro contradittori.

In secondo luogo è altrettanto importante che le insegnanti preparino prima insieme i colloqui, sia in

ordine agli elementi da mettere in luce, sia sul come comunicare particolari difficoltà.

In terzo luogo occorre considerare che ogni insegnante non rappresenta solo se stessa, ma la scuola

nel suo insieme. Per questo motivo è indispensabile che vi sia un orientamento comune in merito

alle funzioni e alla gestioni dei colloqui che riguardi tutto il gruppo docenti della scuola

dell’infanzia. A questo proposito vale la pena ricordare quanto scritto nelle Indicazioni nazionali:

“Ogni scuola vive e opera come comunità nella quale cooperano studenti, docenti e genitori.

Al suo interno assume particolare rilievo la comunità professionale dei docenti che, valorizzando la

libertà, l’iniziativa e la collaborazione di tutti, si impegna a riconoscere al proprio interno le

differenti capacità, sensibilità e competenze, a farle agire in sinergia, a negoziare in modo proficuo

le diversità e gli eventuali conflitti per costruire un progetto di scuola partendo dalle Indicazioni

nazionali” (MIUR, Indicazioni Nazionali per il curricolo, op. cit).

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Linee operative

1. Considerare le caratteristiche fondamentali della comunicazione umana

Comunicare è un fatto spontaneo, ma tutt’altro che semplice.

Per gestire i colloqui pedagogici è necessario che gli insegnanti considerino costantemente le

caratteristiche fondamentali della comunicazione umana. Sono molti gli aspetti che gli studi hanno

messo in luce e che andrebbero richiamati (le componenti, le funzioni, le dimensioni, gli assiomi,

ecc..); in una logica di sintesi, però, si ritiene indispensabile sottolinearne almeno alcuni.

a) Le persone comunicano con la complessità di loro stesse . “L’attività o l’inattività, le parole

o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non

possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro”

(Watzlawick, Beavin, Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, 1971,

p. 42). Lo stare attivamente dentro un processo comunicativo richiede perciò l’attenzione

simultanea ad una pluralità di aspetti.

b) Nella comunicazione comunichiamo sia con un modulo ‘numerico’, sia con un modulo

analogico. Come precisa Simeone, riprendendo Watzlawick, Beavin, Jackson, “il linguaggio

numerico riguarda l’uso di parole o di segni arbitrari usati in virtù di una convenzione

semantica. […] Nella comunicazione analogica, invece, esiste un legame diretto tra la cosa e

ciò che si usa per rappresentarla. Essa coincide praticamente con la comunicazione non

verbale, intesa non solo come cinesica, bensì come forma espressiva che comprende la

posizione del corpo, i gesti, l’espressione del volto, il tono della voce, il ritmo delle parole e

tutti quei segni di comunicazione presenti nel contesto in cui avviene l’interazione” (D.

Simeone, La consulenza educativa, Vita e Pensiero, Milano 2004, pp. 117-118).

Conseguentemente, lo stare attivamente dentro un processo educativo comporta la capacità

di saper leggere e comprendere sia quanto espresso con le parole, sia con i gesti e il

movimento.

c) La comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione e quest’ultimo

costituisce lo sfondo che delimita e condiziona l’interpretazione dei contenuti stessi. Una

parola o un gesto tra due o più persone infatti possono assumere un significato molto diverso

(serio o scherzoso) in rapporto alla relazione che essi stanno vivendo in quel momento. Ciò

significa che nella gestone del colloquio l’utilizzo delle parole chiede sempre di essere

contestualizzato tenendo presente la qualità relazionale dell’interazione che si sta vivendo.

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2. Considerare i diversi atteggiamenti di fondo con cui si vive l’interazione

La gestione del colloquio pedagogico chiede alle insegnanti la consapevolezza che le persone

possono porsi nell’interazione, a seconda dei casi, in modo diversi. L’esperienza lo insegna: vi è

chi collabora, chi teme di essere giudicato; chi sembra disinteressato; chi critica e attacca; chi

cambia discorso, chi ha fretta di finire, chi vorrebbe parlare ancora…

Il saper modulare la propria comunicazione di fronte ad atteggiamenti così diversi richiede molta

energia e una costante disponibilità a ricominciare sempre da capo in rapporto alla persone che si

hanno di fronte. Per sapersi muovere, però, in un contesto così differenziato, considerando sempre

l’unicità di ogni individuo, è bene avere qualche punto di riferimento.

A questo riguardo risulta utile riconoscere che le persone possono agire nel processo comunicativo

con orientamenti diversi che possono essere descritti attraverso quattro polarità, riportate

efficacemente in un volume di R. Rossi, L’ascolto costruttivo, EDB, Bologna 2001.

1) Possiamo comunicare con un orientamento che va da una posizione egocentrata ad una

posizione eterocentrata.

Orientamento Come si presenta Come comunicare con efficacia

Egocentrato Parla spesso di sé e delle proprie

esperienze;

Cerca poco confronto e

informazioni.

Utilizzare molto il suo registro

linguistico;

Dargli informazioni di ritorno

basandosi sulla sua esperienza

passata.

Eterocentrato Parla spesso di dati, ricerche,

studi;

Cerca molti confronti ed

informazioni.

Essere molto descrittivi, accettare

la tendenza all’oggettività;

Dargli informazioni di ritorno

basandosi su ricerche, dati,

testimonianze.

(rielaborazione della fonte R. Rossi, op. cit., p. 18).

2) Possiamo comunicare con un orientamento che va da una posizione di avvicinamento ad una di fuga.

Orientamento Come si presenta Come comunicare con efficacia

Avvicinamento Mostra curiosità e interesse;

Esprime quello che lo colpisce di

Dargli informazioni di ritorno

basandosi sulla desiderabilità che

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più. ha manifestato e sugli interessi

che ha manifestato

Fuga Sottolinea principalmente ciò che

teme e che vorrebbe evitare;

Tende ad essere titubante di fronte

al positivo;

Tende a connotare prima di tutto i

rischi e i pericoli di una situazione

Dargli informazioni di ritorno

basandosi sui disagi che ha

espresso, mostragli che abbiamo

compreso i suoi timori.

(rielaborazione della fonte R. Rossi, op. cit., p. 18).

3) Possiamo comunicare con un orientamento che va da una posizione centrata sulle necessità ad una

centrata sulle possibilità.

Orientamento Come si presenta Come comunicare con efficacia

Necessità Parla spesso di doveri, obblighi,

di ciò che è giusto e necessario.

Mira a soddisfare i parametri che

sono per lui fondamentali e

diventa impaziente di fronte a ciò

che ritiene dispersivo, non

essenziale.

Usare un registro che mette in

luce l’opportunità e l’importanza

di ciò che si sta trattando;

Dargli informazioni di ritorno

basandosi su ciò che ritiene giusto

e doveroso.

Possibilità Parla spesso di opportunità, scelte,

possibilità, sviluppi.

Manifesta il bisogno di novità e di

azione anche se non sempre

valuta le conseguenze.

Dargli informazioni valorizzando

il dinamismo e desiderio di

sviluppo che lo anima.

(rielaborazione della fonte R. Rossi, op. cit., p. 18).

4) Possiamo comunicare con un orientamento che va da una posizione centrata sulla relazione ad una

centrata sull’obiettivo.

Orientamento Come si presenta Come comunicare con efficacia

Relazione Parla spesso di incontri, parenti,

amici, relazioni.

Tende ad essere sensibile e

protettivo.

Si preoccupa di non soffrire e di

Dargli informazioni di ritorno

basandosi sul suo interesse per le

relazioni e per le persone, curare

in particolare la serenità e

l’accoglienza del clima.

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non far soffrire.

Si presenta con attenzione alle

persone.

Obiettivo Si preoccupa principalmente di

raggiungere dei risultati; può

vivere come fallimento la mancata

realizzazione di un obiettivo.

Si presenta con l’attenzione verso

ciò che si è realizzato.

Parla spesso di obiettivi e mete

che occorre raggiungere.

Mostrare accoglienza per la sua

tendenza alla sintesi.

Dargli informazioni di ritorno

considerando le sue attese.

(rielaborazione della fonte. R. Rossi, op. cit., p. 19).

Questi orientamenti si intrecciano nelle persone e generano , in rapporto ai contesti, l’atteggiamento di fondo

con cui viene vissuta e condotta da ciascuno l’interazione e la comunicazione.

3. Considerare le conseguenze dei diversi modi di comunicare

Non vi sono solo diversi atteggiamenti di fondo con cui possiamo entrare nel ‘gioco della

comunicazione’, ma vi è anche una pluralità di modi attraverso i quali possiamo comunicare con

altro. Anche questo è un aspetto che a volte tendiamo a sottovalutare come se esistesse una sola

modalità di parlare e rapportarsi con le persone. Per poter gestire positivamente un colloquio,

invece, così come per poter stare costruttivamente in una relazione educativa, è indispensabile avere

chiara consapevolezza che possiamo utilizzare registri comunicativi diversi e che ciascuno di essi

ha delle conseguenze nell’interazione che si sta svolgendo.

A questo proposito può essere molto utile prendere in considerazioni le dodici modalità

comunicative descritte da T. Gordon all’interno delle sue ricerche sulla comunicazione efficace.

Questo elenco si presenta particolarmente interessante per due motivi.

In primo luogo ci mostra chiaramente le molteplici possibilità attraverso le quali la nostra

comunicazione può essere modulata.

In secondo luogo ci ricorda con chiarezza come ognuno di questi registri, anche quelli che a noi

sembrano immediatamente più utili e costruttivi, possa nascondere delle insidie e generare così

chiusura alla comunicazione piuttosto che apertura. Non a caso queste modalità sono solitamente

presentate come ‘barriere alla comunicazione”.

Vediamo perciò queste modalità che Gordon descrive con un lungo elenco di verbi ; per ognuna di

esse verrà sottolineata, sinteticamente, una possibile conseguenza negativa.

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1) Ordinare, comandare, pretendere

Questi messaggi tendono a dare un messaggio di non riconoscimento dei bisogni e dei sentimenti

espressi dall’altro. Possono provocare sentimenti di risentimento o rabbia che spesso inducono a

reagire ostilmente.

2) Avvertire, minacciare

Questi messaggi possono rendere una persona timorosa o remissiva; ma possono anche suscitare

risentimento e ostilità.

3) Rimproverare, esortare, fare la predica

Questi messaggi possono far nascere sensi di colpa, trasmettere un basso apprezzamento, indurre

una persona a credere che non ci si fida della sua capacità di giudizio.

4) Consigliare, offrire suggerimenti e soluzioni

Questi messaggi, se svolti in modo generico senza contestualizzare l’interazione, possono essere

interpretati dall’interlocutore come un atto non dovuto di superiorità da parte dell’altro; oppure

possono indurre un atteggiamento di dipendenza e di scarsa fiducia nelle proprie capacità.

5) Persuadere con argomentazioni

Questi messaggi possono generare chiusura in quanto possono attivare nell’interlocutore un senso di

fastidio e di inadeguatezza rispetto al fatto che un altro cerchi di spiegargli qualcosa.

6) Criticare, biasimare, esprimere giudizi generici

Questi messaggi, ancora più di altri, possono far sentire le persone inadeguate, generare un

sentimento di rabbia, attivare un atteggiamento difensivo.

7) Elogiare, fare apprezzamenti, dare valutazioni positive

Può sembrare strano ma anche questi messaggi hanno controindicazioni. Possono indurre chiusura

in quanto il giudizio espresso può non coincidere con l’idea che una persona ha di sé, oppure

possono generare difficoltà in quanto ci si sente costretti a dovere corrispondere sempre all’elogio

ricevuto.

8) Etichettare, ridicolizzare, umiliare

E’ evidente come messaggi di questo tipo portano con sé il forte rischio che una persona si senta

catalogata, disprezzata, non compresa.

9) Analizzare, diagnosticare

Questi messaggi possono far sentire la persona in imbarazzo, oppure, quando l’analisi è sbagliata,

generare un atteggiamento di rifiuto.

10) Rassicurare, consolare, incoraggiare

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Anche in questo caso può sembrare strano indicare delle controindicazioni eppure questi messaggi

possono, a volte, far sentire l’interlocutore non compreso autenticamente nelle preoccupazioni che

va manifestando.

11) Fare domande, indagare

Questi messaggi, se non adeguatamente contestualizzati, possono essere percepiti come una

indebita invasione di campo e possono far credere ad una persona che si nutrono dubbi nei suoi

confronti.

12) Cambiare discorso, distrarre, scherzare

Questi messaggi possono comunicare alla persona disinteresse e poco rispetto verso i sentimenti che

sta vivendo e le idee e le preoccupazioni che sta esprimendo.

4. Considerare la centralità dell’ascolto e le funzioni del colloquio

Come è possibile comunicare efficacemente se tutti i registri che possiamo utilizzare hanno delle

controindicazioni?

Secondo diversi autori, tra cui Gordon, la strada maestra è quella di gestire il processo comunicativo

ponendo al centro innanzitutto l’ascolto e la comprensione dell’altro. Si tratta certamente di un

elemento basilare in cui il ruolo dell’insegnante è fondamentale. Senza questa disposizione di

partenza il colloquio rischia fortemente di trasformarsi in una ‘pratica da sbrigare il prima

possibile’, oppure in un monologo.

Certo a volte il problema sorge perché una tale disponibilità sembra essere carente negli

interlocutori. Vi sono genitori disposti all’ascolto, ma anche altre che si sottraggono, si chiudono,

utilizzano il colloquio per parlare senza cercare di comprendere. Anche di fronte a questi

atteggiamenti problematici, porre alla base della comunicazione l’apertura e l’ascolto risulta essere

per il docente il punto di partenza indispensabile.

Occorre però coniugare questa tensione positiva verso l’altro con un altro aspetto che possiamo

chiamare: consapevolezza delle funzione del colloquio pedagogico tra insegnanti e genitori. Esso ha

lo scopo, come abbiamo visto, di mettere in comune, approfondire, far crescere la consapevolezza,

responsabilizzare, delineare azioni. Sono questi funzioni i punti cardinali su cui tenere fermo il

processo comunicativo anche quando esso diventa complesso e a volte, purtroppo, conflittuale.

Occorre, insomma, che l’insegnante abbia sempre presente anche quando si sente pressato verso

altri aspetti, le finalità del colloquio che sta gestendo e vivendo in prima persona.

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5. Riconoscere le implicanze emotive del colloquio

La centralità dell’ascolto e la coerenza con le finalità del colloquio tra insegnanti e genitori

richiedono ai docenti di aver ben chiaro la carica emotiva che questo momento può comportare.

Un colloquio formale genera sempre nell’interlocutore che è stato invitato (in questo caso i genitori)

uno stato di ansia più o meno forte e più o meno consapevole (che cosa ci diranno? Il nostro figlio

avrà dei problemi? Noi saremo all’altezza?). Normalmente questo stato emotivo va stemperandosi

nel corso dell’interazione stessa, ma soprattutto all’inizio può indurre a comportamenti di chiusura,

di fuga oppure di particolare agitazione. Per questo motivo sono molto importanti, come già

evidenziato altrove, la fase di accoglienza e la capacità delle insegnante di entrare dentro il tema

con gradualità senza far sentire i genitori sotto pressione.

Nel corso del colloquio inoltre vi possono essere dei passaggi in cui la dimensione emotiva gioca un

ruolo cruciale. Fino a quando si mettono in luce i punti di forza, i genitori tendono generalmente ad

avere un atteggiamento positivo, ma nel momento in cui si descrivono delle difficoltà, si fanno

strada (come per tutti noi) le emozioni della paura e in alcuni casi anche della rabbia (ma perché il

mio bambino si comporta così? Che cosa avrà? Di chi è la responsabilità?, ...). Questi emozioni

possono diventare talmente forte da rendere il colloquio molto difficile da gestire. Per questo è

chiesto alle insegnanti la capacità di non contrapporsi in modo difensivo di fronte a questi stati

emotivi, evitando di andare alla ricerca delle responsabilità e invece cercando di percorrere insieme

la strada dell’approfondimento comune e delle possibile azioni concrete da mettere in atto.

La dimensione emotiva, naturalmente, non coinvolge soltanto i genitori, ma le insegnante stesse. Lo

spettro dei vissuti può essere molto ampio. Vi sono colloqui dove prevale la serenità e la

soddisfazione per l’andamento del confronto. Ve ne sono altri invece dove, a seconda dei casi,

l’insegnante vive senso di frustrazione, può provare rabbia, delusione, risentimento, amarezza,

paura. Così come per i genitori anche per gli insegnanti, generalmente, il colloquio, proprio per le

funzioni importanti che svolge, genera sempre uno stato normale di ansia, che però può diventare

più forte di fronte a situazioni nuove o inaspettate. Per sostenere l’impegno emotivo che i colloqui

richiedono è perciò importante che le insegnanti abbiano occasioni di formazione e momenti di

condivisione e confronto tra colleghi.

6. Riconoscere le difficoltà prevalenti nella gestione del colloquio e saper tenere presenti

un bagaglio di strategie

La conduzione e la gestione concreta dei colloqui, può porre le insegnanti di fronte a diverse

difficoltà. Può essere utile avere un quadro di quelle che nell’esperienza delle docenti sembrano

essere quelle che chiedono più energie e generano maggiori ansie.

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• Comunicare ai genitori una qualche particolare difficoltà che hanno osservato nella vita

scolastica del loro figlio.

• Motivare alle ragioni del colloquio quando gli interlocutori sembrano viverlo con

superficialità.

• Poter tenere aperto il canale comunicativo con quei genitori che non si presentano al

colloquio

• Confrontarsi con i genitori che mostrano un atteggiamento di fuga e sembrano poco

predisposti all’ascolto.

• Rispondere in una situazione dove prevale in uno o entrambi i genitori un tono polemico (a

volte addirittura accusatorio) nei confronti delle insegnanti o della scuola.

• Capire se il genitore ha compreso adeguatamente quanto gli è stato descritto.

• Dare una risposta adeguata alla richiesta di aiuto espressa dai genitori.

• Non farsi condizionare dal pregiudizio che può nascere in base all’esperienza di colloqui

precedenti.

Come affrontare queste difficoltà? Non esistono, logicamente, ricette, ma vi sono alcuni

orientamenti che è importante che ogni insegnanti tenga presenti. Al punto 7. di questa sezione

metteremo in luce il ruolo centrale giocato da:

- La cura nel porre le domande.

- La modalità verbale con cui si comunica l’attenzione.

- La modalità con cui si comunicano le eventuali difficoltà dell’alunno.

- La modalità con cui si affrontano delle situazioni conflittuali.

L’esperienza concreta delle docenti racconta che per affrontare momenti di difficoltà è bene

attingere ad un bagaglio di strategie che riguardano:

- L’aspetto relazionale: mantenere la calma; mostrare attenzione alle parole dell’altro;

rassicurare; esprimere fiducia sui passi possibili da compiere.

- L’aspetto linguistico: partire dai punti di forza per poi arrivare alle difficoltà; descrivere con

attenzione; utilizzare termini semplici; mostrare esempi di successo.

- L’aspetto della disposizione personale: non manifestare apertamente la propria eventuale

rabbia; dare tempo per la comprensione e l’accettazione.

7. Realizzare una gestione costruttiva del colloquio

Come accennato poco sopra la realizzazione costruttiva del colloquio pedagogico richiede alle

insegnanti una specifica cura di alcuni aspetti comunicativi.

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7.1 Il ruolo delle domande

L’interazione verbale durante i colloqui comporta sia per l’insegnante, sia per i genitori, anche

l’utilizzo di domande. A questo proposito è utile riconoscere che non è indifferente la forma con

cui si formula ciò che si intende chiedere all’altro.

Come nota M. Comoglio nel volume Educare Insegnando, possiamo distinguere almeno quattro

tipologie di domande:

- Domande dirette chiuse: «Suo figlio mangia la verdura?»

- Domande dirette aperte: «Che rapporto ha suo figlio con la verdura?»

- Domande aperte di cortesia: «Potrebbe dirmi, se vuole, come si comporta suo figlio con la

verdura?»

- Domande indirette: «Mangiare la verdura per i bambini è solitamente difficile…».

Ognuna di queste tipologie presenta dei punti di forza e dei punti di debolezza.

Le domande aperte richiedono solitamente una risposta descrittiva e sono utilizzate per acquisire

più informazioni e promuovere una consapevolezza. Le domande aperte di cortesia inoltre

tendono anche a comunicare accoglienza e rispetto dell’altro.

Le domande aperte hanno il limite di invitare l’altro a scoprirsi per primo e quindi spingerlo ad

affrontare il rischio della conversazione.

Le domande indirette servono per aprire il discorso e per manifestare disponibilità ad

approfondire un tema. Possono però non essere colte immediatamente dall’interlocutore, o

comprese come segno di poca chiarezza.

Le domande chiuse sono quelle che comportano una risposta molto secca e netta. Si usano

quando si vuole avere un’informazione molto precisa e tendono a chiudere la conversazione.

Le domande chiuse proprio per la loro struttura possono generare molta resistenza

nell’interlocutore.

7.2 La comunicazione verbale dell’attenzione

Più volte, all’interno di questo documento, è stata ribadito quanto sia importante che le

insegnanti, nel corso del colloquio, mostrino attenzione verso i genitori, attraverso la

complessità dei loro atteggiamenti e comportamenti.

Come si può comunicare attenzione, durante il confronto, attraverso il linguaggio verbale?

A questo riguardano risulta certamente molto significativo tenere presenti le indicazioni

suggerite da T.Gordon e in generale da tutti gli studi sulle pratiche di counseling. Possono

essere sintetizzate in tre passaggi.

a) Parafrasare ciò che l’altro ha detto

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La parafrasi è una tecnica che permette di riformulare con parole nostre il messaggio ricevuto e

riproporlo all’interlocutore. Essa si concentra sul contenuto del messaggio e ha l’obiettivo

principale di dare all’altro una verifica della nostra corretta comprensione.

Per utilizzare la parafrasi si inizia in genere il discorso con allocuzioni del tipo: «mi pare di

capire che..»; «tu dunque ritieni che…»; «mi stai dicendo che..»

b) Formulare domande aperte che richiedono ragione di una affermazione senza attribuire

giudizi

Una domanda aperta senza giudizio si esprime riprendendo il contenuto della comunicazione e

chiedendo ulteriori chiarimenti e approfondimenti, senza lasciar trasparire alcuna valutazione

personale. Questo tipo di domanda può essere introdotta da allocuzioni come «Vuoi dire che?

Vorresti dire che?...»

c) I messaggi-io

Di fronte a comportamenti che sono fonte di problema per l’insegnante, Gordon ritiene che la

modalità comunicativa più adatta non sia rappresentata né da messaggi direttivi (voi dovete…),

né da messaggi repressivi (il vostro problema è che…), né da messaggi generici. Egli invece

ritiene efficaci i messaggi io attraverso i quali l’insegnante entra direttamente in gioco

manifestando il suo disagio.

Il messaggio-io richiede tecnicamente i seguenti passaggi:

* Descrizione del comportamento problematico;

* Enunciazione degli effetti tangibili e concreti;

* Dichiarazione dei sentimenti di reazione.

Proponiamo due esempi:

“Quando i quaderno non vengono risposti nell’armadio, debbo passare molto tempo a

raccoglierli e metterli ha posto. Ciò mi impedisce di fare altre cose con i bambini e mi fa molto

molto arrabbiare».

«Se si muove sempre senza guardare gli altri, è possibile che qualcuno si faccia male e questo

mi mette molta ansia».

7.3 La comunicazione delle difficoltà dell’alunno

Come si è visto la comunicazione delle difficoltà dell’alunno è il punto considerato più critico

all’interno del colloquio tra gli insegnanti e i genitori.

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Per questo motivo è necessario dedicare a questo aspetto una particolare attenzione precisando

nuovamente il fatto che: nei colloqui scuola - famiglia la funzione della comunicazione di una

eventuale difficoltà del bambino non è né di carattere diagnostico (definire clinicamente il

problema), né di carattere legalista (definire di chi sono le responsabilità), ma di carattere

pedagogico.

Questo tipo di comunicazione pedagogica può essere svolta avendo come riferimento una sequenza

riassumibile nel seguente schema:

a) La descrizione del comportamento

E’ molto importante che nella descrizione del comportamento problematico le insegnanti pongano

attenzione a:

* Evitare l’utilizzo di:

- espressioni di giudizio (ad esempio: «suo figlio è maleducato», «suo figlio non rispetta gli altri»)

- termini clinici (“suo figlio ha problemi di ansia”; «suo figlio presenta dei disturbi nel linguaggio»)

* Descrivere presentando ciò che sì è notato in modo pacato e preciso, cercando di descrivere anche

il contesto e l’antecedente (ossia se i comportamenti sono preceduti generalmente da qualcosa di

specifico).

* Descrivere le risorse del bambino

Si tratta, spiegano gli studiosi, di ridurre le interpretazioni e innalzare lo sforzo descrittivo. Ciò

significa ad esempio evitare espressione del tipo “è oppositivo”; “è ribelle” ed invece comunicare le

operazioni che l’alunno, in determinate situazioni, compie: “batte i pugni sul tavolo”; “butta il cibo

per terra”.

Descrizione

comportamento

Descrizione

conseguenze

comportamento

Descrizione

priorità e

(Eventuale)

manifestazione

preoccupazioni

Indicazioni

operative

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La comunicazione tesa a formulare subito dei giudizi accresce le possibilità di generare nei genitori

le resistenze e le paure; la comunicazione invece mirata a descrivere alimenta la disposizione degli

interlocutori a capire e approfondire. Vediamo la differenza tra queste due modalità con due esempi.

Comunicazione tesa a formulare subito giudizi

“il bambino sembra rifiutarsi di giocare con i compagni ed è molto dipendente dalla figura

dell’insegnante; quando è il momento di uscire dalla sezione disturba; parla male”.

“il bambino ha problemi di comportamento; si nasconde spesso sotto il tavolo; ubbidisce poco e

risponde spesso di no e appena ha finito di mangiare si alza senza chiedere il permesso”.

Comunicazione tesa a descrivere

“il bambino tende a giocare molto poco con i compagni; ricerca sempre la presenza dell’insegnante;

mostra un atteggiamento di resistenza, quasi di paura quando è il momento ad uscire dalla sua

sezione; utilizza un linguaggio non sempre comprensibile da parte dei compagni e di noi

insegnanti”.

“il bambino in diversi momenti della giornata si nasconde sotto il tavolo senza una chiara

motivazione; di fronte alle richieste di noi insegnanti risponde spesso di no; appena ha finito di

mangiare si alza senza aspettare gli altri e così anche durante altre attività”.

b) La descrizione delle conseguenze del comportamento

Dopo aver descritto un comportamento, è importante che l’insegnante cerchi di descrivere ai

genitori quali conseguenze problematiche esso ha per il bambino stesso e per i compagni.

Esempi:

“Non giocando molto con gli altri e tendendo a stare sempre vicino all’insegnante, il bambino

potrebbe sentirsi progressivamente isolato dagli altri”

“Con questo comportamento fa fatica a svolgere le attività che svolgono gli altri e a volte mette in

difficoltà i propri compagni”.

c) L’eventuale manifestazione della preoccupazione e la descrizione delle priorità

educative

Dopo aver descritto il comportamento problematico e le sue conseguenze, le insegnanti possono

anche esprimere le proprie eventuali preoccupazioni: «non vorremmo che il bambino si trovasse

sempre più in difficoltà»; «sarebbe bene capire un po’ meglio questo tipo di comportamento». E’

però decisivo non fermarsi alla comunicazione di una preoccupazione, ma proporre ai genitori delle

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priorità educative. Si tratta di descrivere quali possano essere, anche alla luce delle risorse

dell’alunno, i cambiamenti che l’insegnante si attende e su cui vorrebbe lavorare anche con l’aiuto

dei genitori. (es: «ci sembra importante intervenire sulla diminuzione di questo comportamento e

sulla sua capacità di attenzione; sarebbe bene concentrarsi innanzitutto sulla regola di imparare di

alzarsi solo dopo aver controllato che anche gli altri abbiano finito…»)

d) La costruzione di indicazioni operative

Proprio per la sua natura pedagogica, è importante che durante il colloquio si chiuda la parte

dedicata alle difficoltà precisando su quali aspetti si intende aiutare il bambino e in che modo,

precisando ciò che possono fare le insegnanti e ciò che possono fare i genitori. Può essere utile a

riguardo questo semplice schema:

Aspetti precisi su cui intervenire

Azioni da parte delle insegnanti Azioni da parte dei genitori Passi in avanti da chiedere al

bambino

7.4 La gestione delle situazioni di conflittualità

Nonostante tutte le attenzioni, può capitare che durante i colloqui vi siano momenti di conflitto più

o meno aperto.

Anche in questo caso è bene innanzitutto che l’insegnante, la cui professionalità chiede di saper

gestire situazioni conflittuali, abbia consapevolezza di ciò che è bene ‘non fare”:

cedere alla rabbia; proporre la soluzione prima di ascoltare attentamente il problema; pretendere

sempre l’ultima parola; insistere su un aspetto dicendo che è un principio fondamentale quando

invece è una preferenza.

Congiuntamente è importante che l’insegnante:

a) Abbia consapevolezza del proprio atteggiamento verso i conflitti.

b) Si orienti ad affrontare la situazione in modo costruttivo.

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Per quanto riguarda gli atteggiamenti di fondo, gli studi riconoscono come, a seconda dei casi, può

prevalere in ciascuno di noi una modalità aggressiva, sfuggente, arrendevole, accomodante oppure

negoziale, ossia tesa a cercare la migliore soluzione possibile.

Nei colloqui pedagogici è la modalità negoziale quella preferibile, nella consapevolezza però che

ciò non significa modificare la propria lettura della situazione oppure abbassare gli obiettivi

formativi per il bambino, quanto piuttosto cercare di costruire una lettura condivisa del problema e

delle azioni possibili.

Per questo motivo vi sono alcuni passaggi da tenere presenti nella gestione costruttiva di una

conflittualità:

• circoscrivere il problema;

• gestire la propria rabbia;

• identificare i propri bisogni e le proprie priorità;

• cercare di comprendere la prospettiva dell’altro;

• proporre possibili soluzioni;

• valutare le soluzioni e sceglierne una;

• stabilire il modo di attuare la soluzione scelta.

8. Essere consapevoli che vi sono diversi modi per rovinare un colloquio

Infine vale la pena ricordarci che se la conduzione positiva di un colloquio richiede molte energie, a

volte basta poco per portarlo su un vicolo cieco. Vi sono diversi modi per rovinare un confronto tra

le persone. Ecco alcuni esempi:

• esprimere sarcasmo;

• agire con autoritarismo senza dare ragioni;

• accusare l’altro;

• porre domande ironiche per le quali non vi è risposta;

• etichettare le persone.

Come si sarà notato questi esempi ci riconducono alla barriere della comunicazione messe in luce

da Gordon. A volte possiamo cadere in questi errori quando siamo particolarmente stanchi o

preoccupati. Ragione in più perché le insegnanti durante il colloquio si aiutino a vicenda per tenere

l’interazione nella giusta direzione.

9. Curare l’organizzazione temporale dei colloqui

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Assieme alla cura degli spazi (che è bene risultino i più accoglienti possibile e funzionali allo

svolgimento di un dialogo) è molto importante considerare operativamente il fattore tempo in

merito a due aspetti: la durata di ogni singolo colloquio; il numero di colloqui per ogni genitore nel

corso dell’intero percorso della scuola dell’infanzia.

Per quanto riguarda la durata di ogni singolo colloquio l’esperienza delle insegnanti indica nel range

tra i 15-20 un tempo sufficientemente adeguato per svolgere un colloquio pedagogico con i genitori.

Qualora nel corso del dialogo emergessero problemi che richiedono più tempo è bene che le

insegnanti prendano in considerazione la possibilità di invitare i genitori a svolgere in tempi brevi

un altro incontro, sottolineando l’importanza di avere un tempo più disteso per confrontarsi

adeguatamente.

Per quanto riguarda invece il numero di colloqui nel corso dell’intero percorso del bambino ad ogni

famiglia sono proposti almeno quattro momenti di colloquio: uno per fascia d’età e uno generale cui

possono accedere liberamente tutte le famiglie che ne sentano il bisogno. Naturalmente a questi

appuntamenti vanno ad aggiungersi altri incontri destinati a tutte le famiglie, i brevi scambi

informali di informazioni nel corso della vita ordinaria della scuola, la possibilità dei genitori di

richiedere un incontro ad hoc con le insegnanti.

Per aiutare le famiglie ad avere un quadro complessivo dei momenti di incontro con la scuola e le

insegnanti è utile predisporre all’inizio di ogni anno il calendario degli appuntamenti.

Breve bibliografia di riferimento

M. Comoglio, Educare insegnando, LAS, Roma 1998.

J. D. Francesch, Elogio dell’educazione lenta, La Scuola, Brescia 2011

T. Gordon, Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze 2003.

MIUR, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di

istruzione, Settembre 2012, Roma.

A. Morganti, Intelligenza emotiva e integrazione scolastica, Carocci, Roma 2012.

R. Rossi, L’ascolto costruttivo, EDB, Bologna 2001.

D. Simeone, La consulenza educativa, Vita e Pensiero, Milano 2002

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P. Watzlawick – J. H. Beavin – D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio,

Roma 1971.