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Il formalismo testamentario: un’analisi critica Articolo, 31/07/2017 di Domenico Griffo Pubblicato il 31/07/2017 Il testamento è un atto essenzialmente formale alla luce dell’importanza che ogni ordinamento giuridico riconosce allo stesso[1] . In ossequio a tale tradizione proseguita dal nostro legislatore, che trae le sue origini dalla codificazione napoleonica, la quale sancì il principio della forma scritta e della nullità del testamento in tutto il suo contenuto in caso di inosservanza delle prescritte formalità[2] , il codice civile prevede un impianto di svariate norme, le quali individuano i formalismi da rispettarsi ad opera del testatore nella redazione della scheda, le quali si traducono nella possibilità di redigere l’atto di ultima volontà nelle forme ordinarie ovvero nelle forme speciali, qualora ne ricorrano i peculiari presupposti. Bisogna evidenziare come, nonostante siano previste diverse forme redazionali, queste siano tutte ugualmente efficaci alla luce del generale principio di equipollenza delle forme testamentarie. Alla luce di tale principio, nella prassi, il formalismo più utilizzato è quello redatto di pugno dal suo autore, ossia il testamento olografo. Nel prosieguo del presente contributo, conseguentemente, l’attenzione sarà principalmente rivolta a quest’ultima forma testamentaria, che, tra tutte quelle previste legislativamente, è quella più debole laddove l’accertamento della volontà non passa per il filtro di un pubblico ufficiale il quale, sia nel testamento pubblico che in quello segreto, incontrovertibilmente sancisce la provenienza del documento

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Il formalismo testamentario: un’analisi critica

Articolo, 31/07/2017

di Domenico Griffo

Pubblicato il 31/07/2017

Il testamento è un atto essenzialmente formale alla luce dell’importanza che ogni ordinamento giuridico

riconosce allo stesso[1].

In ossequio a tale tradizione proseguita dal nostro legislatore, che trae le sue origini dalla

codificazione napoleonica, la quale sancì il principio della forma scritta e della nullità del testamento in

tutto il suo contenuto in caso di inosservanza delle prescritte formalità[2], il codice civile prevede un

impianto di svariate norme, le quali individuano i formalismi da rispettarsi ad opera del testatore nella

redazione della scheda, le quali si traducono nella possibilità di redigere l’atto di ultima volontà nelle

forme ordinarie ovvero nelle forme speciali, qualora ne ricorrano i peculiari presupposti.

Bisogna evidenziare come, nonostante siano previste diverse forme redazionali, queste siano tutte

ugualmente efficaci alla luce del generale principio di equipollenza delle forme testamentarie.

Alla luce di tale principio, nella prassi, il formalismo più utilizzato è quello redatto di pugno dal suo

autore, ossia il testamento olografo.

Nel prosieguo del presente contributo, conseguentemente, l’attenzione sarà principalmente rivolta a

quest’ultima forma testamentaria, che, tra tutte quelle previste legislativamente, è quella più debole

laddove l’accertamento della volontà non passa per il filtro di un pubblico ufficiale il quale, sia nel

testamento pubblico che in quello segreto, incontrovertibilmente sancisce la provenienza del documento

dal proprio autore, bensì attraverso l’analisi della calligrafia utilizzata nella redazione della scheda,

prestando il fianco a numerose criticità (attuali) che, lette in chiave propositiva, offrono lo spunto per

un’auspicabile riforma dei formalismi ritenuti idonei dal codice civile al perseguimento degli effetti

giuridici loro propri.

1. Forme ordinarie di testamento

Procedendo ad una rapida disamina delle forme cc.dd. ordinarie, a queste è dedicata la sezione I del

Capo IV del Libro II del codice, ed in particolare gli articoli 602, 603 e 604, i quali individuano tre

formalismi differenti cui corrispondono tre tipologie di testamento (testamento olografo, pubblico e

segreto), rispondenti pur sempre alla medesima esigenza di garantire in primo luogo la spontaneità delle

dichiarazioni in esso rese, nonché la provenienza delle stesse dal testatore.

Procedendo con un’analisi ordinata, che riservi, però, al testamento olografo il giusto approfondimento

alla luce del tenore del presente contributo, analizzeremo in primo luogo il testamento segreto, per poi

proseguire con il testamento pubblico per concludere, appunto, con l’olografo.

Qualora il testatore voglia preservare la segretezza della scheda, ma tutelarsi contro eventuali abusi

perpetrabili dai suoi futuri eredi, ricorrerà alla forma del testamento segreto.

Questa particolare forma testamentaria, per parte della dottrina, si compone di due elementi distinti

ovvero la scheda, avente natura di scrittura privata sulla quale il notaio che riceve il verbale non ha

alcun potere di verifica circa il contenuto, e l’atto di ricevimento, avente natura pubblicistica[3].

Tuttavia sul punto la giurisprudenza di legittimità[4] offre una lettura interpretativa differente,

ritenendo il testamento segreto quale atto unico complesso.

Per quel che riguarda le formalità, però, bisognerà pur sempre distinguere quelle relative alla scheda,

rispetto a quelle riferibili all’atto di ricevimento.

A norma dell’art. 604 c.c. la scheda potrà essere redatta sia dal testatore che da un terzo, sia a mano

che con mezzi meccanici, dovendo essere sottoscritta dallo stesso solo in calce qualora la scheda sia

autografa, viceversa anche in ciascun mezzo foglio qualora la scheda sia stata scritta anche solo in

parte con mezzi meccanici o da altri.

La scheda poi, per preservare la segretezza, dovrà essere formalmente sigillata potendo procedere a

ciò sia il testatore che il notaio al momento della consegna.

Il de cuius in presenza del notaio e dei testimoni dichiara che in quel plico sigillato è contenuto il

proprio testamento.

Il notaio a questo punto, sulla stessa carta su cui è scritto il testamento ovvero su un ulteriore

supporto all’interno del quale è stata inserita la scheda (e dal notaio debitamente sigillato) scrive l’atto

di ricevimento.

La procedura è molto complicata e, sebbene questa tipologia di testamento presenti i vantaggi della

segretezza e della sicurezza, è scarsamente utilizzato nella prassi, potendosi raggiungere il medesimo

obbiettivo depositando presso un notaio od una persona di fiducia un testamento olografo.

Altra forma ordinaria di testamento è il testamento pubblico, atto pubblico ricevuto dal notaio alla

presenza dei testimoni.

Il vantaggio di questa forma consiste nella possibilità di essere accessibile a tutti i soggetti a

prescindere da problemi connessi a cecità, sordomutismo od alfabetizzazione, essendo sottoposto ad un

rigoroso formalismo.

La segretezza di questa forma testamentaria, tuttavia, è relativa nei termini in cui all’atto di

ricevimento della volontà del testatore parteciperanno, oltre al notaio, anche i testimoni.

Entrambe le forme testamentarie testé brevemente analizzate sono accomunate dal medesimo

meccanismo di recepimento della volontà la quale è ricevuta da un Notaio il quale accerta la provenienza

della dichiarazione dal proprio autore in entrambe le fattispecie.

Differentemente, il testamento olografo, disciplinato dall’art. 602 c.c., è l’atto privato (scrittura

privata[5]) scritto per intero, datato e sottoscritto per mano del proprio autore, in maniera da rendere

incontrovertibile la provenienza del documento dal de cuius.

La scritturazione potrà avvenire con qualsiasi mezzo su qualsiasi supporto, purché idoneo ad essere

ricevuto[6].

Per quel che concerne il requisito dell’autografia, in particolare, questo sarà rispettato solo qualora il

documento risulti essere scritto integralmente per mano del suo autore con la propria calligrafia

abituale senza l’aiuto per mano di terzi.

Questo requisito è letto in maniera estremamente stringente dalla giurisprudenza di legittimità

secondo la quale “In presenza di aiuto e di guida della mano del testatore da parte di una terza persona,

per la redazione di un testamento olografo, tale intervento del terzo, di per sé, esclude il requisito

dell'autografia di tale testamento, indispensabile per la validità del testamento olografo, a nulla

rilevando l'eventuale corrispondenza del contenuto della scheda alla volontà del testatore”[7].

Questa sentenza si inserisce perfettamente nell’alveo della ratio legislativa cui le norme sul formalismo

sono preposte, ovvero garantire la provenienza dell’atto dalla mano del proprio autore, da intendersi

quale più alta manifestazione di volontà.

Requisito implicito perché si possa validamente utilizzare questa forma testamentaria è la necessaria

alfabetizzazione intesa quale capacità di scritturazione[8], escludendo dunque validità al testamento

olografo dell’illetterato che abbia copiato il testo di un terzo senza comprenderne il contenuto, in

quanto in tal caso saremmo di fronte ad un difetto di volontà.

Viceversa, qualora il soggetto sia in grado di scrivere, comprendendo il significato delle lettere, potrà

legittimamente procedere a redigere il testamento olografo anche sotto dettatura ovvero copiando la

minuta redatta da un terzo, risultando fondamentale, dunque, la consapevolezza del contenuto del

documento.

Per quel che concerne il requisito della data, questa dovrà contenere l’indicazione del giorno, del mese e

dell’anno essendo ammissibile la prova della sua falsità solo qualora serva per accertare la capacità del

testatore ovvero la priorità di un testamento rispetto ad un altro.

Il punto merita un approfondimento ed in particolare è opportuno soffermarsi sulla questione

dell’apposizione di una data non veritiera, posto che si registrano orientamenti contrastanti tra

dottrina e giurisprudenza.

Quest’ultima[9] propende per la validità del testamento cui sia apposto una data non veritiera, potendo

rilevare, la prova di un’eventuale non veridicità, solo qualora da ciò discenda l’accertamento di una

questione sostanziale quale, ad esempio, la validità tra più testamenti successivi.

Per la dottrina più tradizionale[10], invece, sarebbe senza senso prevedere tra i requisiti di validità la

datazione se poi sia totalmente irrilevante che questa corrisponda al vero o meno.

Si dovrebbe concludere, quindi, che o la data, quale un qualsiasi altro requisito formale, sia essenziale

per la validità del testamento e quindi la sua assenza, al pari di una sua erroneità o non veridicità,

implichi l’invalidità (nella forma dell’annullabilità) del testamento; ovvero, sarebbe stato preferibile e

più coerente eliminare la data dai requisiti formali.

Tuttavia, alla luce della Relazione del Guardasigilli, si deve avere al riguardo un atteggiamento più

pragmatico e pratico dettato dal legislatore, improntato a considerare valida anche la scheda con una

data non veritiera posto che “la data fittizia non importa nullità del testamento…” e,

conseguentemente, ”…tale principio per ogni verso approvabile, impedisce facili impugnative del

testamento.”

Per quel che riguarda la sottoscrizione, per concludere, questa non è che la firma apposta dal testatore

in calce alla propria dichiarazione di ultima volontà dovendo essere necessariamente, anche questa,

autografa.

Perché la scheda sia considerata validamente sottoscritta è necessario che la firma sia in calce alle

disposizioni, salva la facoltà di sottoscrizione marginale qualora non vi sia a tal fine spazio materiale

sufficiente sulla scheda[11].

Viceversa una sottoscrizione apposta nel corpo delle disposizioni invaliderà solo quelle successive

facendo salve quelle antecedenti solo se abbiano una compiuta autonomia, in ciò evidenziandosi ancora

una volta l’esigenza di certezza e determinatezza del volere testamentario, segnando la provenienza del

documento e l’appropriazione del suo contenuto da parte del de cuius.

Il testamento olografo, a differenza delle altre forme ordinarie, presenta l’indubbio vantaggio di poter

essere confezionato in qualunque momento su un qualsiasi supporto, mantenendo la segretezza più

assoluta.

Tuttavia la stessa segretezza oltre ad essere un indubbio vantaggio di questa forma testamentaria ne

rappresenta anche il più grosso limite in quanto, una volta rinvenuta la scheda dopo la morte del de

cuius, i soggetti che risulterebbero essere eredi legittimi potrebbero non avere interesse alla

pubblicazione della stessa distruggendola e favorendo la successione legittima.

Conseguentemente il formalismo legato al testamento olografo, oltre all’ovvio requisito dell’autografia,

si compone di una molteplicità di dettami che, se non rispettati ne determinano l’invalidità.

2. Limiti del formalismo ed analisi critico-propositiva: a) Il testamento orale; b) Il testamento

informatico

La forma, in tutti i modelli giuridici esistenti, e lo strumento predisposto dal legislatore per il

perseguimento di obiettivi di politica legislativa che si reputa possano o debbano essere raggiunti

attraverso di essa.

La forma non è che il mezzo attraverso il quale la volontà del soggetto riesce ad estrinsecarsi nel

mondo esteriore e produrre effetti giuridici[12].

La volontà è il contenuto dell’atto il quale non è altro che la forma della volontà.

Volontà e forma, quindi, sono complementari in quanto la volontà, quale contenuto dell’atto, non avrà

alcuna rilevanza se non riveste il formalismo necessario, ovvero se non è racchiusa in un determinato

atto.

E’ in questa logica che deve analizzarsi il rigore formale richiesto dal legislatore del 1942 per le

manifestazioni di ultima volontà per le quali è richiesta la forma scritta secondo quanto supra precisato.

La ragione di tale rigoroso formalismo risiederebbe nel garantire la provenienza del documento (inteso

quale atto) dal testatore, al fine di assicurare l’autenticità della provenienza della dichiarazione dal de

cuius, stante la sua irripetibilità.

In quest’ottica di stretto formalismo testamentario non troveranno spazio, all’interno del nostro

ordinamento, altre forme di testamento che potremmo definire “atipiche”, laddove la volontà non

sarebbe veicolata attraverso un atto tipico ma differente quale, ad esempio, il testamento nuncupativo

dove la manifestazione della volontà è fatta oralmente, eventualmente, davanti a testimoni, come

accadeva nel diritto romano classico e dove il veicolo utilizzato è una dichiarazione resa in pubblico,

ovvero il testamento informatico o digitale che estrinsecherebbe l’ultima volontà attraverso l’utilizzo di

un atto informatico, ossia una forma (e dunque un atto-veicolo) legata alla tecnologia della società

moderna in cui viviamo.

a) Il testamento orale

La giurisprudenza di merito si è occupata raramente del testamento orale, tentando di comporre un

dibattito mai sopito ed ancora oggi vivace, soprattutto in ambito dottrinario alla luce della rarità delle

sentenze che si sono occupate della tematica.

Nell’esaminare la questione non potrà prescindersi, in primo luogo, dall’analisi circa l’applicabilità o meno

dell’articolo 590 c.c. alla fattispecie de qua, questione che farà da corollario alla ricostruzione

giuridica del testamento nuncupativo prescelta.

Secondariamente sarà necessario affrontare la diatriba sull'ammissibilità o meno del negozio di

accertamento e dell’area operativa sua propria.

Strettamente connesso alla tematica dell’applicabilità o meno dell’istituto della conferma, disciplinato

dall’articolo 590 c.c., è la ricostruzione offerta da dottrina e giurisprudenza sulla natura giuridica del

testamento nuncupativo.

Anche in quest’ambito, come in altri settori codicistici, si risente dell’influenza del code civil francese,

il quale non ammetteva espressamente la confermabilità delle disposizioni testamentarie nulle per vizio

di forma, tali da ritenersi quelle espresse in forma orale, con ciò considerando il testamento

nuncupativo radicalmente inesistente e non nullo.

Tuttavia, essendo pur sempre un codice strettamente ispirato alla tradizione romanistica che

riconosceva validità al testamento orale, la stessa dottrina francese, maturando, riconobbe

espressamente l’applicabilità dell’istituto giuridico della conferma anche al testamento nullo per difetto

di forma.

Analogamente a quanto accaduto oltralpe, il legislatore italiano del 1865 non recepì immediatamente il

contributo esegetico della dottrina francese, con la conseguenza che sul finire dell’ottocento gli

interpreti erano soliti distinguere tra testamento nullo per vizio di forma (confermabile) e testamento

inesistente per mancanza assoluta della forma scritta, estraneo all’istituto della conferma.

Sotto la vigenza dell’attuale codice civile, la dottrina, pur non sopendo le proprie divergenze, propende

maggiormente[13] nel ravvisare nell’oralità del testamento un vizio determinante la nullità, osservando

che la sanzione prevista dal nostro ordinamento per la mancanza della forma

prescritta ad substantiam è generalmente la nullità e non l’inesistenza, che per altra parte della

dottrina, addirittura, non sarebbe una categoria giuridica autonoma[14].

Similmente in giurisprudenza prevale nettamente l'orientamento favorevole[15] alla conferma del

testamento nuncupativo, argomentando, principalmente, sulla base di una considerazione: non può

essere tacciata di giuridica inesistenza la dichiarazione resa dal de cuius, la quale è certamente esistita

nella realtà fattuale, con cui il testatore ha disposto delle proprie sostanze per il tempo successivo alla

morte.

In sostanza si tratterebbe di dare rilievo giuridico ad un comportamento fattuale del testatore (nello

specifico l’aver reso una dichiarazione orale della propria volontà testamentaria).

Il fenomeno non è nuovo al legislatore il quale, in ambito testamentario, già attribuisce a svariati

comportamenti fattuali del de cuius rilevanza giuridica, quali, ad esempio, la distruzione, la lacerazione

o la cancellazione del testamento, atti materiali che “tradotti” e calati nel mondo del diritto sono

ritenuti idonei a determinarne la revoca (articolo 683 c.c.).

La criticità da affrontare, allora, consisterà nel far acquisire a quelle dichiarazioni, rese oralmente dal

testatore ed esistenti nella realtà fattuale quale fatto storico che estrinsecano la volontà del defunto,

una rilevanza anche giuridica.

E’ di tutta evidenza che trattasi di un problema eminentemente di natura pratica, consistendo,

sostanzialmente, nell’accertare la volontà del testatore la quale si sarebbe esteriorizzata in una

dichiarazione (resa non davanti ad un notaio deputato a riceverla), ritenuta dal codice civile una forma

non idonea al conseguimento degli effetti suoi propri.

Il compito è assai arduo, potendosi procedere con due differenti modalità: per via stragiudiziale ovvero

per via giudiziale.

Qualora l'accertamento avvenga nel corso di un giudizio civile, è necessario provare il contenuto delle

disposizioni testamentarie rese oralmente, evidenziandosi che l’onere probatorio potrà assolversi anche

attraverso l’assunzione di prove testimoniali, purché i capi di prova siano articolati analiticamente, in

modo tale da consentire la precisa ricostruzione delle disposizioni testamentarie.

Qualora, invece, la conferma avvenga per atto notarile, spetterà al notaio, sulla base delle dichiarazione

rese dalle parti che intendono confermare il testamento orale, procedere alla ricognizione delle ultime

volontà del de cuius.

Il notaio, nell’indagare approfonditamente l’effettiva volontà del testatore interrogherà a tal fine le

parti intervenute in atto per compiere la conferma ai sensi dell’articolo 590 c.c. onde consentire alla

dichiarazione orale di ultima volontà di dispiegare pienamente la propria efficacia anche nel mondo

giuridico.

Nel ricevere le dichiarazioni dei soggetti, testi della volontà espressa dal de cuius, non invade i compiti

di accertamento riservati all'Autorità giudiziaria in ordine all'esistenza ed alla nullità

del testamento nuncupativo, nonché all’intervenuta realizzazione della fattispecie sanante prevista

dall’articolo 590 c.c. e non è quindi suscettibile di esser disciplinarmente sanzionato, come chiarito dalla

giurisprudenza di legittimità che si è occupata di un caso disciplinare di cui era stato parte un notaio

che aveva provveduto a ricevere un atto di conferma di un testamento orale[16].

La giurisprudenza si spinge oltre sottolineando che il testamento nuncupativo non sarebbe contrario ai

principi fondamentali del diritto successorio nonché all’ordine pubblico[17].

In sostanza ciò che non si riesce a far entrare dalla porta nel diritto successorio, lo si fa rientrare

dalla finestra.

Infatti da un lato si sancisce la nullità per difetto di forma del testamento orale, ma dall’altra se ne

riconosce la sanabilità attraverso la conferma, istituto che, qualora la nullità fosse dipesa da ragioni di

ordine pubblico non sarebbe stata applicabile alla fattispecie de qua.

Conseguentemente, non ostandovi ragioni di ordine pubblico ma prettamente formali, non si capisce

la ratio della chiusura legislativa ad una forma testamentaria non completamente sconosciuta alla

nostra tradizione di matrice romanistica, posto che l’accertamento della volontà sarebbe rimesso, oltre

che a prove testimoniali, anche a scritti indiziari redatti dal medesimo de cuius invece che all’analisi di

un documento autografo non esente da criticità, come si sottolineerà in prosieguo.

b) Il testamento informatico

L’opinione legislativa secondo cui la manifestazione della volontà del testatore in forma scritta

risulterebbe essere l’unica atta a garantire la certezza della provenienza della stessa dal de cuius non

sembra essere condivisibile, non solo sulla base delle osservazioni svolte supra, ma anche alla luce delle

tecnologie informatiche oggigiorno utilizzate sempre di più anche in ambito legale oltre che nella vita

quotidiana.

E’ infatti incontestabile che lo stato attuale di avanzamento tecnologico è in grado di offrire strumenti

ben più sofisticati rispetto alla tradizionale scritturazione autografa per garantire la certezza della

provenienza della dichiarazione resa dal proprio autore.

In quest’ottica di informatizzazione (la quale ha già fatto breccia nel mondo legale, basti pensare alla

possibilità per i notai di redigere gli atti pubblici informatici e per gli avvocati ed i giudici la facoltà -

ed in alcuni casi, sempre più frequenti, l’obbligo - di redigere i propri atti in formato digitale) non si

comprende la ragione legislativa di escludere dal formalismo ritenuto idoneo a produrre effetti

giuridici il testamento redatto su supporto informatico.

Se infatti è necessario garantire la certezza della provenienza del documento redatto dal proprio

autore sarebbe sufficiente che lo stesso fosse firmato mediante un dispositivo di firma digitale o

grafometrica, a nulla valendo la critica che le chiavi di accesso a questa modalità di sigillatura del

documento potrebbero essere copiate o sottratte, in quanto ciò equivarrebbe a sostenere l’inidoneità

del testamento olografo a conseguire il proprio scopo in quanto falsificabile per mano di un terzo.

Tuttavia così, ovviamente, non è ed in tale ultima evenienza, il codice civile ex articolo 463 nn. 5 e 6

prevede l’indegnità a succedere del falsificatore.

Conseguentemente sarebbe sufficiente estendere la disciplina de qua anche all’ipotesi di copiatura o

sottrazione fraudolenta delle chiavi di accesso alla firma digitale per sanzionare il comportamento volto

al perseguimento del medesimo obiettivo, ovvero quello di falsare il documento.

Il legislatore del 1942 nelle proprie scelte di politica legislativa in ambito di formalismo successorio fu

animato unicamente da ragioni di certezza volte a garantire la provenienza del documento scritto di

pugno e sottoscritto dal proprio autore, deponendo, in sostanza, nell’autografia una sorta di valore

probatorio della paternità che nessun altro mezzo, all’epoca conosciuto, era in grado di offrire.

Tuttavia quell’esigenza ha da sempre risentito di alcune criticità che oggi si acuiscono a causa della

modernizzazione delle forme di comunicazione interpersonale.

La scritturazione a mano, in primo luogo, si è sempre prestata alla falsificazione, rendendo dubbia la

provenienza del documento dal proprio autore, dovendosi eventualmente (anche se nella prassi è molto

frequente la contestazione di testamenti olografi) procedere alla verifica della paternità in un

momento critico posta la sua irripetibilità.

Ciò rende necessaria la verificazione della calligrafia attraverso l’ausilio di un perito il quale, nelle

proprie valutazioni non potrà prescindere dall’analisi di scritture comparative.

Queste ultime, se già in assoluto non forniscono la certezza della provenienza del documento dal de

cuius, posto che la grafia può andare incontro a delle significative modificazioni con l’avanzamento

dell’età rendendo di fatto inutilizzabili gli scritti comparativi, oltre al fatto che questi ultimi

potrebbero essere falsificati a loro volta ad hoc, si scontrano con la realtà moderna, nella quale si

tende ad usare sempre meno la scritturazione a mano a favore dell’utilizzo di forme di comunicazione

interpersonale diverse quali e-mail, sms, whatsapp, pec, ecc.

Queste moderne forme di dichiarazioni hanno sostanzialmente mandato in pensione la scritturazione a

mano dei documenti, con ciò comportando il venir meno di gran parte degli scritti di comparazione.

Alla luce di queste considerazioni la redazione del testamento su di un supporto informatico

sottoscritto digitalmente o mediante sistema di firma grafometrica offrirebbe maggiori garanzie circa

la provenienza della dichiarazione di ultima volontà consacrata nel documento informatico, non essendo

nemmeno necessario dover ricostruire una qualche valenza giuridica per analogia od interpretazione

estensiva al documento informatico stesso posto che il DPR 513/1997 precisa che lo stesso, qualora sia

stato sottoscritto con la firma digitale, ha l’efficacia probatoria della scrittura privata ai sensi

dell’art. 2702 c.c.

In sostanza il legislatore del 1942 aveva ideato un sistema di “provenienza” della dichiarazione dal

proprio autore rafforzata, richiedendo per la paternità del testamento olografo non solo la semplice

sottoscrizione (al pari di una qualsiasi scrittura privata) ma anche l’integrale scritturazione a mano, il

tutto sulla base delle conoscenze tecnologiche dell’epoca le quali conoscevano, per la redazione di

documenti, o la grafia manuale o la scritturazione a macchina.

3. Conclusioni

Alla luce delle considerazioni svolte nel presente contributo non può che concludersi sottolineando

l’assoluta necessità di una revisione completa del formalismo imposto in ambito successorio posto che

la ratio di certezza imposta dal medesimo sarebbe figlia di un’epoca ormai passata, potendo essere

ugualmente raggiunta con mezzi diversi e più affidabili dell’autografia alla luce delle conoscenze

tecnologiche odierne.

Allo stato attuale, infatti, quella scelta di politica legislativa si rileva anacronistica e lesiva

dell’interesse alla redazione del documento testamentario.

Basti pensare a situazioni estreme nelle quali il testamento olografo sarebbe impossibile da redigere, si

immagini ad esempio ad un soggetto vittima di una slavina che intrappolato sotto metri di neve e

destinato a morte certa non ha altro mezzo che registrare le ultime volontà sul proprio cellulare,

magari inoltrando il file realizzato via pec ad una casella di posta di un amico.

Tuttavia, allo stato attuale, entrambe le forme di testamento “atipiche” (orale ed informatico) sono

tacciate di nullità per difetto del formalismo richiesto dall’impianto codicistico.

Al pari del testamento orale anche l’estrinsecazione della volontà in un documento informatico

sottoscritto digitalmente non potrà ritenersi radicalmente inesistente, posto che nel mondo fattuale è

vera ed esistente (con ancora maggior vigore rispetto ad una dichiarazione orale), con il corollario di

doverla necessariamente ritenere confermabile al pari del testamento nuncupativo.

In conclusione, il legislatore non dovrebbe perdere di vista uno dei principi fondamentali che guida il

nostro ordinamento che consiste nel piegare le forme alla volontà e non il contrario, agevolando

l’ingresso di queste forme testamentarie invece che dalla finestra, attraverso l’istituto della conferma,

dalla porta principale, annoverando queste ultime tra i formalismi ritenuti idonei alla produzione degli

effetti loro propri, quantomeno per quel che concerne il testamento informatico, che allo stato attuale

sembrerebbe offrire più garanzie sulla paternità della dichiarazione in esso consacrata piuttosto che il

testamento olografo.

(Altalex, 31 luglio 2017. Articolo di Domenico Griffo)

[1] Sia consentito il rinvio a Le successioni a causa di morte, Griffo, p. 190 e ss.

[2] Sul punto si rimanda agli artt. 967 ss. e 1001 Code Civil.

[3] Giannattasio, Delle successioni. Le successioni testamentarie, cit., p. 127.

[4] Cass. n. 83/1962.

[5] Per Ambanelli, Il testamento olografo, in Bonilini, Trattato diritto delle successioni e donazioni, II,

Milano, 2009, p. 1268, è una “forma speciale” di scrittura privata in quanto per assumere la paternità

del documento non è sufficiente la semplice sottoscrizione in calce ma serve la scritturazione per

intero a mano.

[6] Cicu, Testamento, cit., p. 38 il quale ritiene supporto idoneo anche una parete rocciosa su cui si

possono legittimamente scrivere le proprie ultime volontà, essendo poi riproducibile mediante

allegazione al verbale di pubblicazione di una copia fotografica della parete.

[7] Cassazione, ordinanza 6 marzo 2017, n. 5505.

[8] Possibilità riconosciuta anche al cieco che sappia scrivere anche se poi in concreto non potrà

rileggerne il contenuto.

[9] Da ultimo si è espressa implicitamente sul punto Cass. 23014/2015.

[10] Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, p. 145.

[11] Contra Cass. n. 16186/2003: «… in detta ultima pagina, spazio più che sufficiente per apporvi la

sottoscrizione, atteso che il testo scritto occupa solo la parte del foglio, lasciando libere ben 17 righe

prive di qualsiasi interlineatura …», la quale però si esprime su di un caso specifico in cui sulla scheda lo

spazio per la sottoscrizione finale era più che sufficiente..

[12] Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, nona edizione, 2012, p. 135 e ss.

[13] In questi termini si esprime Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, cit., p.

640 contra Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, nona edizione, cit., p. 243.

[14] Per una completa ricostruzione del dibattito sulla distinzione tra negozio invalido e negozio

inesistente si rimanda a Carnelutti, Inesistenza dell’atto giuridico?, Riv. dir. proc., 1955, I, p. 208 e ss.

[15] Cass., 24 aprile 1965, n. 719, Cass. civ. Sez. III, 11/07/1996, n. 6313.

[16] Cass. 11 luglio 1996 n. 6313.

[17] Il Tribunale di Belluno (con la sentenza 22 dicembre 1997, in Dir. fam., 2000, p. 1100 e ss.) dovette

affrontare, ai sensi della l. 218/95, la questione della validità di un testamento orale austriaco di una

donna con cittadinanza italiana e austriaca per matrimonio, residente in Austria, realizzato a norma

della legge austriaca. Il Tribunale non solo confermò la validità del testamento orale perché fatto in

ottemperanza alla legge austriaca che, similmente al modello tedesco (§ 2250 “Testamento in stato di

necessita davanti a due testimoni”), ammette, sia pure a determinate condizioni, questa forma

testamentaria, ma anche il suo riconoscimento in Italia perché non contrario ai principi fondamentali

del diritto successorio italiano e non contrario all'ordine pubblico.

( da www.altalex.com )