Il Collirio #04

36
1

description

Rivista Culturale Indipendente Gennaio 2015 - Fede

Transcript of Il Collirio #04

Page 1: Il Collirio #04

1

Page 2: Il Collirio #04

2

“In nome del padre che tutto vede e tutto

sente. Nel nome della madre televisione,

e più sarà grande, più avrò una migliore

risoluzione della verità che gentilmente mi

elargite. Figli di Google, e fede in tutte le

risposte, perché mi sento fortunato”.

In copertina: “Googlalo” di Gianni Bardi

Page 3: Il Collirio #04

3

utti gli uomini seri.Il mistero reale del mondo è quello dell’uomo giusto – o dell’uomo serio, figura più vicina al nostro soleggiato quotidiano – che soffre. Il problema di fede nasce in questo contesto, dinanzi all’ingiustizia – alla palese ingiustizia che circonda i vissuti di ognuno. Vivere in un universo ordinato è cosa semplice, non richiede sforzo, non richiede lo struggimento mentale della contraddizione. L’universo provvidenziale si dispiega nelle fantasie degli ottimisti dalla prospettiva consolatoria. Tutto ha un senso, tutto si risolve, rimbombati dai fattucchieri new age, teorici del karma. Poi c’è il mito, tutto cristiano, delle opere di bene e del demitizzato ruolo di queste nella costruzione di un sistema capitalistico. Il Dio della prescienza, quello del telos, è una divinità cui si vuole un sacco bene. Niente che riguardi in qualche modo l’uomo serio, l’uomo di fede.L’uomo serio non si fa rabbonire dal mondo che è buono, non si fa bastare il profumo di determinismo nella retribuzione della giustizia. Non può credere necessariamente che il buono è premiato e il cattivo è punito. Non può crederci perché l’esistenza, lampante, di fronte, asfissiante, gli dimostra che non è così. L’uomo serio allora chiede risposte, perché è cresciuto nella dimostrazione di un ordine che non gli si è mai palesato. Le chiede al suo Dio, le chiede ai suoi emissari, le chiede a chi gli è vicino. La risposta che gli è data è ancora più seria di lui. Il silenzio. È una risposta che nessuno può sopportare, che nessuno senta possa bastare. Nessuno, tranne lui. Perché l’uomo serio sa che dietro il silenzio enigmatico della disperazione alle ingiustizie non c’è nient’altro. E non perché sia un immanentista, o perché vi sia un disegno provvidenziale nascosto – perché nulla si può nascondere all’uomo serio. L’uomo serio lo sa perchè è un uomo giusto. E tanto basta per avere fede nel mondo.

Editoriale

T

Page 4: Il Collirio #04

4

Perché è così difficile, mia Fede?Tra poco col petto esausto entrerò nella cittàdel sogno, e allora sorgerà luna senza sede.

Dinanzi al baratro attenderà nero il destriero;è come un brivido nuovo questo Tempo,

che disperde gli animi nel vento.Tutte le stelle cadranno sul sentiero.

Salendo spettacoli di luce ed un’eclissi; ho pianto troppo disteso alla mia ombra

ricordando eterni i tuoi occhi fissi.

-la piramide-

LA MIA FEDE

Page 5: Il Collirio #04

5

Page 6: Il Collirio #04

6

Fu un capodanno surreale. I tecnici incaricati dal governo del CUM (Continente Unico Mondiale) sapevano bene che, ormai, in atmosfera non restava molto ossigeno. E la sfida tecnologica suprema era stata persa. Secoli trascorsi a difendere le proprie divisioni, piuttosto che a cementare le forze, avevano fatto perdere tempo prezioso all’uomo. Sparuti protagonisti illuminati avevano suggerito, in passato, di concentrare energie e risorse per giungere a portare l’uomo, o quantomeno una sua rappresentanza colonica, fuori dal pianeta. L’umanità nel suo complesso non si sarebbe certo potuta salvare. Ma, almeno, il genere umano avrebbe potuto continuare ad esistere, in qualche luogo oltre una singolarità nascosta, all’orizzonte degli eventi. E invece, il comportamento naturale dell’uomo portò – non necessariamente per sua esclusiva responsabilità cosciente, ma anche per istinto di conservazione immediato, non rivolto alle future discendenze– alla situazione presente. Troppo tardi, per riuscire a tradurre il genere altrove.

Che cos’è il progresso? E’ ciò che viene dopo, qualunque cosa sia? O ciò che ci fa vivere meglio, anche se si dovesse trattare di concetti ripresi dal passato?

Il pannello di scienziati, condannati come tutti gli altri ad un lento dissolvimento, metteva quindi energie e conoscenze a disposizione, per provare almeno a far rinascere il genere in qualche altro punto. La tempesta cerebrale che era in atto, aleggiando nei pressi del tavolo della sala di controllo, si dipanò in un momento. Non ci fu un solo scienziato che ci pensò prima degli altri. Realizzarono, dentro di loro, praticamente insieme. “Cosa ci manca, qui, per continuare a vivere?” “Ci mancano gli alberi.”

Verso la fine di quello stesso anno solare, l’embrione di idea era divenuto una realtà ben visibile. Tangibile. Radici, radici specialmente preparate, destinate allo spazio. Radici in grado di generare alberi. Di varia tipologia. Radici che, di lì a poco, sarebbero state inviate a lontananze non percorribili da un’umanità senziente, per mezzo di navi cosmiche, guidate da robot. Robot che avrebbero avuto il compito di impiantarle sul pianeta Dendron, dove certamente la vita non era ancora presente. Ma, nei secoli precedenti, i sondaggi avevano fatto capire agli scienziati che si trattava di uno degli infiniti pianeti con caratteristiche generali simili a quelle della Terra. La nave cosmica partì.

***

“Questo è un messaggio lasciato nell’etere da me, robot #26175. Dopo un viaggio lunghissimo, io e la squadra da me diretta siamo giunti sul pianeta Dendron. E’ tutto come gli uomini avevano previsto. Il pianeta si è presentato con terre aride, ma circondate da grandi distese d’acqua. Ha il suo Sole, e cicli dì/notte simili a quelli della Terra. Simili anche le temperature, e l’alternarsi delle stagioni. L’atmosfera, però, è molto ricca in anidride carbonica ed azoto, e povera

LETTERA AD UNA RAGAZZA DI 10 ANNISTORIA DI RADICI , TRONCHI , RAMI , FOGLIE , L INFA. E R I N A S C I TA D I U N A M O L E C O L A D I O S S I G E N O .

Page 7: Il Collirio #04

7

STORIA DI RADICI , TRONCHI , RAMI , FOGLIE , L INFA. E R I N A S C I TA D I U N A M O L E C O L A D I O S S I G E N O .

in ossigeno. Abbiamo impiantato le radici, seguendo le indicazioni del genere umano che ci ha progettato, e che a questo punto probabilmente non esiste più, poiché, già quando eravamo partiti, l’ossigeno sulla Terra stava per terminare. Abbiamo aspettato qualche anno, potendo continuare ad operare grazie all’energia del Sole locale. Le radici hanno trovato la linfa giusta. E hanno dato vita a tronchi d’albero. Essi a rami. Rami a foglie. Le foglie, appena nate, hanno subito desiderato respirare. Respirare il loro elemento naturale. Anidride carbonica. Emettendo, dai loro stomi, ossigeno.”

“Come era giusto accadesse, io e la mia squadra stiamo per autodistruggerci. Il nostro compito era far cominciare il processo di arricchimento in ossigeno dell’atmosfera di Dendron, e lasciare fluttuare nello spazio cosmico questo messaggio, se mai qualche generazione futura (o passata, qui la freccia del tempo si involve) dovesse intercettarlo. La vita nascerà sul nuovo pianeta, e noi robot non dovremo essere presenti, quando ciò accadrà. Ci vorranno ere, la vita comincerà con organismi molto semplici, unicellulari. E poi ci sarà la diversificazione. Ed una nuova evoluzione. Le specie animali. E di nuovo il genere umano. Concludo il messaggio ricordando a tutti che ciò è stato possibile grazie agli uomini della Terra, che ci hanno costruiti per arrivare sin qui. Noi robot siamo stati soltanto dei tramiti. E’ tempo di morire.”

***

Era un sereno pomeriggio di primavera, su Dendron. Il genere umano che lo abitava era arrivato ad un punto di tecnologia tale, da essere riuscito ad intercettare il messaggio del capo robot, che fluttuava da milioni di anni nel vuoto cosmico. Il messaggio era noto da quasi un anno, ed era divenuto oggetto di dibattiti, seminari, programmi televisivi, discorsi tra amici e parenti…praticamente, non si parlava d’altro. Una giovane ragazza di 10 anni ne aveva sentito parlare dai genitori. Andò nella sua stanza. Guardò il panorama fuori dalla finestra. Il Sole stava tramontando. Pensò che avrebbe dovuto ringraziare la fede degli uomini del pianeta Terra, che avevano individuato in Dendron un luogo con la linfa adatta per generare nuova vita. Ma poi si chiese se anche gli uomini del pianeta Terra non fossero stati lì per merito di una generazione precedente, abitante su un altro pianeta, che inviò prima ancora dei robot sulla Terra. E via dicendo, indietro nel tempo, quasi all’infinito. Anzi: sino all’infinito. La ragazza capì che alcune domande sarebbero restate per sempre senza risposta. E chiuse gli occhi sorridendo, con un po’ di malinconia.

f.

Page 8: Il Collirio #04

8

La spiritualità e il misticismo, l’espressione di tutto ciò che per noi è inesprimibile; la musica e il canto, viatici universali per dimostrare la propria devozione agli esseri trascendenti.

“Un viaggiatore mi raccontò un giorno che, tempo prima in un paese lontano, incontrò un uomo dall’apparenza e dalle abitudini alquanto singolari. Mani forti da lavoratore, calda voce da cantante soul, volto scavato dall’età e della fatica, con uno sguardo illuminato da una luce intensa di cui è difficile comprendere la provenienza. Vive da solo in una casa semplice, che ha costruito lui stesso in mezzo ai campi abbandonati. E’ una casa di legno, terra, cocci di vetro, e qualche rottame levigato dal tempo. Veste in modo comodo e adatto al duro lavoro che svolge ogni giorno per sfamarsi: esce presto al mattino, al canto del gallo, e torna all’imbrunire, coperto di terra e sudore; fa il bagno in una pozza fresca sul retro, ancora vestito, facendo di una cosa sola vasca da bagno e lavatrice. Alla sera, dopo un pasto frugale, fuma un po’ di tabacco e intona un canto di ringraziamento per la grandiosa giornata che ha vissuto: con la terra sotto i piedi, il cielo sulla testa, qualche dolore alla schiena, ma la pancia piena e il sorriso sulle labbra. Il fumo si alza lieve nell’aria dal foro che ha fatto nel tetto del suo rifugio e il suo canto disegna, danzando col fumo, un’atmosfera mistica, devota e tribale di canto e memoria eterna. Si dice che quell’uomo sia sempre stato lì, che nessuno ricordi il giorno in cui nacque o in cui arrivò per stabilirsi in quel posto. Si dice che sia lo spirito della terra, un silenzioso e discreto guardiano, che regala sorrisi e condivida volentieri il poco che ha con chi ne ha bisogno. Si dice che abbia vissuto più di chiunque altro, che abbia camminato lungo tutta la circonferenza della terra, che sia diventato immortale”.

cotton fiocigiene auricolare

The Como Mamas – Old Landmark

The Wallers – Rastaman Chant

Tom Waits – Take Care of All my Children

Oscar Peterson – A Child is Born

Al Green – Free at Last

Paniyolo – Silent Night

Nina Simone – He’s got the whole World in his Hand

Willie Nelson – Nobody’s Fault but mine

Page 9: Il Collirio #04

9

Page 10: Il Collirio #04

10

Nell’approcciare il tema del rapporto tra fede e scienza, uno scienziato può assumere essenzialmente due posizioni antitetiche. Da un lato, può pensare che fede e scienza siano complementari, per cui egli può impostare tutta una serie di ragionamenti più o meno rigorosi che permettono in qualche modo di coniugare le conoscenze scientifiche con la propria visione religiosa dell’esistenza. Dall’altro lato, egli può trovare tutta un’altra serie di motivazioni, allo stesso modo più o meno rigorose, che tendono ad escludere la presenza di un disegno divino che governi l’universo. Da parte mia, pur sposando la prima posizione, anche in virtù dell’educazione cattolica che mi è stata data, sono comunque profondamente convinto che il limite della natura umana non permetta di trovare una risposta univoca e oggettiva che non possa prescindere da un atto di fede.D’altra parte, anche nelle scienze, perfino nella più elevata tra esse, ossia in Matematica, esiste qualcosa che può essere interpretato come un limite delle capacità logico-deduttive dell’uomo. Infatti, nella logica matematica un enunciato è considerato valido soltanto se esso è ricavabile mediante una rigorosissima dimostrazione formale sulla base di altri risultati validi, cioè sottoposti a loro volta a una dimostrazione. Tuttavia, ci si rende subito conto che è impossibile procedere a ritroso verso un regressus ad infinitum. E infatti, ad un certo punto si scopre che è necessario introdurre degli enunciati che pur non essendo dimostrabili sono considerati veri: essi sono i cosiddetti assiomi. Ribaltando il punto di vista, si può dire

I DOGMI DELLA SCIENZA-il bosone di beppe-

che una qualunque teoria matematica, e più in generale scientifica, è costruita a partire da un predefinito insieme di assiomi, sui quali si basa la validità e l’applicabilità dell’intera teoria stessa.La cosa interessante è che alcuni assiomi, che vanno sotto il nome di assiomi non-logici, non hanno un carattere di verità assoluta, bensì sono da considerarsi validi solo nell’ambito del quadro teorico all’interno del quale vengono formulati, per cui anche la loro potenzialità risulta in qualche modo limitata. Ad esempio, la geometria euclidea si basa, tra gli altri, sul postulato che afferma che per un punto passa un’unica parallela ad una retta data, e ciò sembra essere in effetti verificato se si prova a fare il disegno su un foglio piano. Tuttavia, se al posto di un piano si considera la superficie di una sfera, ci si accorge che è possibile disegnare infinite linee dritte che, chiudendosi su se stesse, non hanno inizio né fine (le quali quindi ricadono nella definizione di rette), passano per uno stesso punto e non intersecano un’altra retta assegnata così come vuole la definizione di parallelismo. Tale considerazione ha permesso di costruire teorie alternative denominate geometrie non euclidee.Alla luce di quanto detto, pur non volendo assolutamente negare la potenza delle scienze e della matematica ai fini della descrizione delle leggi che governano l’universo, bisogna constatare che anch’esse, forse proprio a causa del fatto che sono comunque frutto del limitato intelletto umano, si arrendono quando bisogna dare una spiegazione ai concetti fondamentali.

Page 11: Il Collirio #04

11

Solamente raccoglieva un pensiero nascostotra fiori dimenticati

e anni trascorsi,indovinando l’umore contando i respiri,

a un palmo dai tuoi occhi,quanti dolci sospiri.

Con te,anche la notte

ha un altro odoree l’iride lieve

mi sussurra in silenzioversi d’estate,

anche d’inverno.

essendo

-effetti collaterali-

Page 12: Il Collirio #04

12

hi siamo noi per decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato? Un atto di fede non sarebbe tale se conoscessimo tutte le risposte, se fossimo sicuri che dall’altra parte ci sia un’entità pronta ad ascoltarci. L’unica possibilità che abbiamo è lasciarci andare, smussare la razionalità, fumare un po’ dell’oppio dei popoli e pensare di poter per trovare la luce.

ede, “credenza piena e fiduciosa che si fonda su intima convinzione o sull’autorità altrui più che su prove positive”.Al giorno d’oggi, tempi in cui il mondo clericale spinge verso il rinnovamento strutturale del suo approccio ai fedeli, sembra si stia facendo un passo avanti verso la sovrapposizione dei due poteri per eccellenza: quello temporale e quello papale.Questo sembrerebbe l’ennesimo passo di un’evoluzione lunga millenni, ma la storia insegna e soprattutto si ripete, dimostrando come svariate volte nel tempo ci siano stati tentativi di rinnovamento, finiti con esiti molto diversi.Germania, XVI secolo. Il sacerdote Martin Lutero, dopo una gioventù passata fra rigido ambiente cattolico e studi in convento, affigge nel 1517, sulla porta della chiesa di Wittenberg, 95 enunciati contro le indulgenze papali, aprendo inconsapevolmente un nuovo capitolo nella storia.

Dopo un primo tentativo di riconciliazione tramite una bolla papale, con la quale il pontefice suggerì a Lutero di ritrattare, e in seguito al rogo pubblico in cui il tedesco bruciò la suddetta bolla in gesto di protesta, scattò la scomunica. Martin Lutero quindi, nel tentativo di rinnovare una fede ormai compromessa dai giochi di potere, si trovò in guerra aperta contro la propria chiesa.In quella che chiameranno “esperienza della torre”, Lutero sviluppò l’assioma fondamentale della dottrina luterana: la giustificazione per fede. Secondo il teologo, infatti, è esclusivamente Dio ad avere la facoltà di salvare dal peccato i propri fedeli, in quanto l’unico a poter comprendere la natura benevola dei mortali. L’essere umano non può quindi guadagnarsi la salvezza eterna dell’anima in alcun modo, dogma che lascia trasparire un’immagine prettamente medievale di un Dio giudicatore, per molti versi ancora attaccata ad un velo di superstizione rurale, caratteristica di questo periodo storico. Oltre a questo caposaldo, Lutero basò la sua rivoluzione sul libero esame delle sacre scritture, togliendo ogni forma di importanza ai sacerdoti, ormai troppo attratti dalla scalata delle cariche nel mondo clericale; sulla negazione dell’infallibilità papale, secondo la quale il pontefice non potrebbe sbagliare poiché guidato dalla mano di Dio; sull’eliminazione di tutti i sacramenti eccetto Battesimo ed Eucarestia, considerata l’impossibilità di poter trovare la salvezza attraverso di essi. La sua fede lo portò, quindi, da uno dei gradini più alti del mondo religioso, quello di sacerdote, allo strato più basso, cioè quello di scomunicato, allontanato da Dio; la rottura tra Lutero e la Chiesa lascia presagire la deriva etica di un’istituzione che in nessun modo sarebbe potuta permettersi un dissidente fra le sue fila. Eppure Lutero la sua battaglia con il papato la vinse: dopo decenni di lotte intestine in gran parte d’Europa, con la pace di Augusta del 1555 il luteranesimo venne riconosciuto come religione “istituzionalizzata” nel Sacro Romano Impero e si sancì il principio del cuius regio, eius religio, ovvero la possibilità per i sudditi dell’Impero di praticare la religione cattolica o quella della Confessio Augustana. Da questo momento in poi, il significato di fede non fu più lo stesso. O meglio, si aprì la strada per un nuovo concetto di essa, non più collegata in modo univoco alla religione ma a ciò che ogni individuo sentiva personalmente. Cominciò così un’era di atti di fede, alcuni particolarmente impulsivi e figli della scelleratezza umana, altri basati su strutture mentali maggiormente definite, pur sempre provenienti dell’interiorità dell’individuo.

LA FEDE AI TEMPI DI LUTERO

Page 13: Il Collirio #04

13

Page 14: Il Collirio #04

14

L’essenza del neoclassicismo può essere racchiusa in un’unica e semplice proposizione: la nobile semplicità e la calma grandezza.È in questa breve formula che il Winckelmann identifica i tratti fondamentali dell’arte classica, quella greca in maniera particolare, da lui considerata la madre di tutte le arti, coacervo di armonia e serena bellezza, grazia pura e ragionata compostezza.La scoperta e la rappresentazione di una bellezza ideale, frutto di un’intima unione tra umano e divino, è questa la sfida che deve accogliere l’uomo nuovo, l’artista neoclassico; e come può riuscirci? L’unica strada percorribile è un’attenta operazione di razionalizzazione, un magistrale controllo di passioni ed emotività.L’arte deve raggiungere, con la compostezza e la semplicità delle sue forme, l’armonia di luci e ombre, quell’equilibrio ideale ricercato nell’arte del passato, metafora perfetta di un altrettanto perfetto connubio tra corpo e anima, il cui ultimo e sommo traguardo è racchiuso nell’essenza del sublime.Jacques Louis David riesce a sintetizzare ne Il Giuramento degli Orazi l’insieme delle teorie estetiche del neoclassicismo, realizzando un eccellente omaggio all’eroismo del suo tempo, mediante la rappresentazione di una celebre leggenda romana: lo scontro tra Roma e Alba Longa durante il regno di Tullio Ostilio, rappresentate rispettivamente dagli Orazi e dai Curiazi, dal quale soltanto uno dei tre Orazi ne uscirà vivo, sancendo così la vittoria di Roma.La scena, racchiusa in un classico porticato a tre fornici, è scandita in tre parti; sul lato sinistro, l’artista mostra tutto l’eroismo dei tre fratelli Orazi, gli sguardi decisi e impavidi, la posa a gambe divaricate e braccio proteso che giura massima fedeltà e onore alla patria, pronti a combattere e a sacrificare la loro giovane vita, la famiglia e gli affetti per un’unica e gloriosa causa: la patria; nella parte centrale c’è il padre, che in tutta la sua dignità consegna le spade ai figli, consegnandoli a un unico e tragico destino; sulla destra, a completare la scena, ci sono le donne, le mogli degli Orazi, raccolte in un intimo e composto cordoglio, sintomo di una sofferenza affrontata con dignità e consapevole rassegnazione. Seguendo i dettami della grande pittura classica, David esegue un magistrale monumento ai più profondi valori etici del passato, primo fra tutti l’eroismo, valori fondamentali che necessitano di essere ritrovati in un

-oltre lo sguardo di medusa-

Il giuramento degli orazi

Page 15: Il Collirio #04

15

momento storico così delicato, in cui la società francese si prepara ad affrontare la grande rivoluzione del 1789. Non a caso, il quadro è stato realizzato pochi anni prima della rivoluzione e, quindi, il soggetto storico si presta facilmente ad essere interpretato in chiave politica, adattando l’episodio romano alla situazione della Francia prerivoluzionaria; l’artista, infatti, sceglie di rappresentare il momento clou del giuramento, un momento eterno, un puro atto di fede in ciò in cui si crede profondamente, una sorta d’invito ai suoi connazionali a recuperare l’essenza di quei valori antichi, in nome dei nuovi valori di libertà, uguaglianza e fraternità. Lo scopo originario del quadro, commissionato dal re di Francia, era quello di esaltare il potere della Monarchia in un momento difficile, tramite l’esplicita rappresentazione di un episodio della storia della Roma monarchica; ma, dopo lo scoppio della Rivoluzione, gli Orazi, dipinti per celebrare la Monarchia, si sono simbolicamente rivoltati contro il sovrano, diventando per i nuovi patrioti francesi il vessillo della lotta al trono francese.Gli espliciti riferimenti alla Rivoluzione francese si possono scorgere nei colori degli abiti dei tre fratelli, che riproducono simbolicamente quelli della Francia, l’ideale della fraternità può essere incarnato dall’abbraccio fraterno dei valorosi Orazi, l’uguaglianza può essere scorta nella loro altezza pressoché identica, mentre l’inno alla libertà si può desumere dal fine ultimo del loro combattimento, la liberazione di Roma e la sua supremazia sulla città di Alba Longa.

“Dulce et decorum est pro patria mori” ( Orazio, Odi, III, 2, 13 )

Page 16: Il Collirio #04

16

“Se qualcuno vede una certa opera, della quale non ne aveva vista una simile, e non conosce l’intenzione dell’artefice, egli senza dubbio non potrà sapere se quell’opera sia perfetta o imperfetta [...] ma, dopo che gli uomini hanno cominciato a formare idee universali e a escogitare modelli di case, edifici, torri ecc. e a preferire certi modelli delle cose ad altri, è accaduto che ciascuno ha chiamato perfetto quel che vedeva concordare con l’idea universale che egli si era formato e, al contrario, imperfetto quello che vedeva concordare di meno con il modello da lui concepito, sebbene secondo il parere del suo artefice fosse completamente compiuto”.

[Baruch Spinoza]

Page 17: Il Collirio #04

17

Page 18: Il Collirio #04

18

lenti a contatto igiene visualeA Megiddo, in Israele, i cristiani pensano che avverrà la fine del mondo dopo un’aspra battaglia tra Cristo e Satana. In Florida, invece, la Terra Santa è più ilare: si chiama Holy Land Experience ed è un parco divertimenti religioso. Una Disneyland in cui gli attori che interpretano i personaggi della Bibbia si sostituiscono alle principesse e a topolino. Ma tra le “stranezze” della fede ritroviamo anche un sofisticato Museo della Creazione ubicato nel Kentucky, che promette di insegnare a piccoli e grandi “la Scienza dietro la Creazione”. E poco importa se ciò implica il posizionare in una scenetta una bambina insieme a un velociraptor smentendo di fatto la scienza, quella vera. Nel documentario “Religiolus” Bill Maher fa un vero e proprio viaggio attraverso gli aspetti più bizzarri della fede e delle religioni, cercando il dialogo con fedeli ed esponenti di varie correnti. Come “l’ex gay” che si è sposato con “l’ex lesbica” e ora guariscono gli omosessuali con la parola del Signore. O il predicatore che afferma di essere la seconda venuta del Messia.Benché il tutto sia condito con il celebre umorismo del comico americano, il film non vuol essere una presa in giro fine a se stessa, semmai uno spunto di riflessione verso il dubbio, che tra dogmi e imposizioni è troppo spesso sostituito dalla fede dannosa: quella cieca.

(Religiolus - Vedere per credere, Larry Charles - 2008)

Page 19: Il Collirio #04

19

Page 20: Il Collirio #04

20

“Vanno errando le mie pecore – dice Dio – sono smarrite, disperse, nessuno si prende cura di esse; i loro pastori...pensano solo a se stessi”. Così il signore decise di mandare loro un pastore, Emilio suo servo”Chiamato a sé il suo fido discepolo diede a lui potere di scacciare la stampa faziosa: “Ebbene, io ho posto te, figlio d’uomo, come sentinella sulla casa di Arcore, guarirai l’informazione radiotelevisiva, malata di anti-berlusconismo”.Emilio sposò in pieno il percorso di vita che il Signore aveva disegnato per lui, facendo della sua lingua una potente arma compiacente. Diffuse la sua fama in tutti i dintorni, lo difese dagli scribi impenitenti, si prese cura dei suoi soddisfacimenti fisici e spirituali, designò per lui nuove discepole da far sedere alla sua mensa e da far abbeverare alla sua fonte.Il fido discepolo non fu, però, ripagato dalla sua fede come avrebbe meritato, come Dio premia il servo vigilante, colui che tiene accesa la lucerna in attesa del padrone, che aspetta desto il suo ritorno dalle nozze. Il Signore trattò Emilio come il servo che, conoscendo la volontà del suo padrone, non ha apparecchiato e non ha agito con solerzia al fine di soddisfarlo, intimandogli di avere fiducia e credere nel percorso della fede: “Tutto andrà bene grazie alla Provvidenza: io ho Fede.”Sopraggiunse la sciagura, piombò su di lui una catastrofe che non potè evitare, condanna e solitudine colpirono quello che era una volta l’eletto, abbandonato dal Padre sulla croce. Ad aspettarlo ci fu, però, il regno dei cieli: coperto dall’azzurro delle bandierine di Forza Italia, Emilio trovò quella che per lui fu la pace eterna: una meteorina da reclutare, un comunista da fustigare, un Gabriele Paolini da insultare e una redazione da sodomizzare.

ATT I INCOND IZ IONAT I D I F E D E ( E M I L I O )

Page 21: Il Collirio #04

21

Nasce nel mare, si spegne in un orizzonte infinito. Creature marine, angeli,

e nel mezzo noi, Uomini.

Realismo storico? Fiction filosofica? No, noi facciamo realismo fantastico.

Page 22: Il Collirio #04

22

Avevo preso la decisione di reinnestare i miei belli quanto oramai tristemente inutili alberi di arance. L’idea era quella di “trasformarli” in limoni, che a quanto pare non bastano mai. L’innesto è una pratica interessante, l’avevo ben studiato, sapevo tutto ma di certo non avevo la manualità per farlo da solo. In pratica si tratta di far combaciare un piccolo ramo (detto marza o nesto), in questo caso di limone, con il ramo di un altro albero (il portainnesto), nel nostro esempio di arancia, in modo tale che si saldino e dal nesto cresca una pianta di limone. Scelsi il giusto periodo dell’anno, al principio di Maggio, e decisi di chiedere il supporto tecnico-manuale di Salvatore, un agricoltore davvero esperto. “Salvatò, dovresti venire da me per gli innesti, il periodo è ottimo”“Sì sì, penso che tra domani e giovedì sono libero… però aspetta forse c’è un problema.” Disse il caro amico dalle mani esperte. “Sei pieno di lavoro eh?! Vabbè, rimandiamo non ti preoccupare.” E lui: “No, Piè guarda, non c’entra niente il lavoro, il problema è il periodo: non te li faccio gli innesti, ora non vengono bene!” Un po’ contrariato e un po’ stupito dissi: “Ma il periodo è ottimo! La fase fenologica è giusta e non fa neanche troppo caldo…” Mi interruppe di colpo:“ No Piè, il tempo è buono… ma la luna no!” “ La luna?!” Le mie certezze vacillavano, mi fidavo dei suoi anni di esperienza, ma non riuscivo a focalizzare le sue parole: “Cosa c’entra la luna?” gli chiesi, e lui subito: “La luna c’entra sempre: quando semini, quando poti, quando innesti…” avrebbe continuato per ore: “Quello che ho imparato sul lavoro della terra è frutto di centinaia di anni di fatica, di segreti tramandati da padre in figlio. Scusa Pietro, non ti sei mai accorto di come la luna riesca a cambiare tutto?: le maree sono l’esempio più evidente.” “Sì, Salvatò, hai ragione, però la luna non è capace di influenzare il potenziale idrico di suolo e piante tanto da essere tenuta in così alta considerazione: esistono fenomeni e processi ben più rilevanti”.Non mi sentivo tuttavia di poterlo contraddire appieno, eppure la scienza è univoca e rigida sulla descrizione dei fenomeni: non esiste quasi mai interpretazione, al più possono esistere diversi punti di vista. “Piè mi dispiace, ma non tutto è scritto sui libri, né lo si capisce con esperimenti e prove. Queste sono conoscenze antiche, vere: non si discutono.” A quel punto mi arresi. È così e basta, meglio non rischiare. D’altronde, pensai, gli eroi che hanno coltivato la terra prima dell’avvento della scienza erano armati solo di questo: una terribile forza di volontà sorretta da pura ed incondizionata fede: “Ok Salvatò, mi fido di te. Gli innesti li facciamo quando la luna sarà buona.”

-THE AGRONOMIST-

BUCOLICA lunare

Page 23: Il Collirio #04

23

Page 24: Il Collirio #04

24

L A P I E T À D E L M A R E

Page 25: Il Collirio #04

25

INT. PESCHERIA- ISOLA DELLA MADDALENA. MATTINO

Il pallido sole di un’alba di fine settembre si fa strada inuna piccola pescheria. Alcune reti da pesca pendono dalsoffitto e il PESCIVENDOLO prepara il pesce in recipienti divimini. Un vecchio pescatore entra a passo lento, indossauna maglietta sporca e consunta, un pantaloncino e deisandali in legno. Vincenzo detto "U Moncu", 73 anni, portanella mano destra un cappello di paglia e nella sinistra uncesto di vimini.

PESCIVENDOLOBonghjornu Moncu! Cume state?

U Moncu non risponde e si avvicina ad un bancone di legnosul quale poggia il cesto. Il pescivendolo si avvicina econtrolla il modesto contenuto del paniere : una piccolaocchiata e due saraghi. Il pescivendolo sorride e guarda ilMoncu con un velo di compassione negli occhi.

PESCIVENDOLOPure il mare e’ povero in questigiorni.

Il pescivendolo prende alcune monete dalla tasca e le porgeal Moncu. U moncu le prende e le infila in tasca, si rimetteil cappello, prende il cesto ed esce dalla pescherialasciandosi alla spalle il pescivendolo che ha ripreso lesue mansioni.

EXT. CIMITERO. MATTINO

U Moncu cammina a passo lento tra lapidi di granito rosso diun cimitero a ridosso del mare con sguardo perso nelvuoto. Un ragazzo incrocia il suo cammino.

RAGAZZOBonghjornu Moncu!

U Moncu incrocia lo sguardo del ragazzo ma non ricambia ilsaluto e continua a camminare. La sua lenta marcia siinterrompe davanti ad una semplice tomba sulla quale e’cresciuta dell’erba. Solo il nome e’ ancora leggibile sullarossa lapide: Letizia. U Moncu si toglie il cappello dipaglia. Gli occhi dell’uomo si socchiudono un po’ per ilsole che viene dal mare un po’ per il ricordo. Saluta lalapide con un cenno di mano fanciullesco e va via.

FADE TO2.

EXT. AL LARGO DELLA MADDALENA. GIORNO

E’ una calda giornata di fine settembre, il mare cristallinoe’ calmo e l’azzurro del cielo si macchia di qualchesporadica nuvola bianca. Vincenzo dorme steso in una piccolabarca di legno consumata dal vento e dalla salsedine. Ha latesta rivolta verso poppa, il cappello appoggiato sul voltoper proteggersi dal sole. Da entrambi i lati della barcapendono cinque spesse lenze innescate. A prua giacciono duecesti di vimini di diverse dimensioni: il piu’ piccolocontiene vermi ed altri tipi di esche, il piu’ grande ilpescato del giorno, una piccola occhiata.

Improvvisamente U Moncu sente lo strappo di una delle lenze,si alza di scatto e la prende tra le dita, facendolascorrere lentamente. Ancora uno strappo. Ora la lenza scorrepiu’ velocemente. U Moncu tira con grande fatica adintervealli regolari. Finalmente si intravede l’ombra dellapreda: una creatura della stesse dimensioni della barca. Lostupore fa allentare la presa a U Moncu che rapidamentericomincia a tirare, questa volta con maggiore energia. Labarca si sposta leggermente trainata dal pesce.Improvvisamente la creature compie un salto e gli occhi delvecchio osservano increduli la grande coda scomparire dinuovo. U Moncu si fa girare la lenza attorno alla schienafacendola passare per la spalla destra e ricomincia atirare.

U Moncu ha il volto contratto nello sforzo, la schiena curvae le mani graffiate dall’attrito con la lenza. Dopo unalunga ed estenuante lotta, la lenza si spezza e U Moncu e’sbalzato all’indietro, perdendo nella caduta il cappello.

Si sentono delle note di launeddas, strumento a fiato tipicosardo, provenire dalla poppa della barca. U Moncu si gira,sorpreso e intimorito verso la fonte del suono. Un uomo dibell’aspetto, sulla trentina, gli occhi ed i capelli neropece, con vestiti da pescatore, puliti e ben tenuti, glisorride e lo saluta.

PESCATOREBonghjornu Moncu!

U Moncu non risponde.

PESCATORENeanche con me parli?

Il vento si alza e le nuvole si addensano alle spalle delpescatore.

(CONTINUED)

SCHERMO NERO

A.A.(VOICE OVER)Mio fratello era morto.

INT. TAXI. POMERIGGIO-GIORNO

Due uomini discutono animatamente all’interno di unaMercedes privata ferma nel traffico. L’uomo seduto sulsedile posteriore e’ A.A.: capelli neri all’indietro e occhiazzurri, il volto marcato dalla stanchezza e dal dolore diun uomo che non riesce a colmare il vuoto dell’oblio. Iltassista e’completamente girato verso A.A. e agitafuriosamente le braccia.

A.A.(con tono agitato)

Non arrivero’ mai in tempo!

TASSISTALa colpa non e’ mia signore!

A.A.Invece le avevo detto di nonpassare per il ponte! Dovrestesapere che a quest’ora...

TASSITA(interrompe A.A.)

Non mi dica come fare il miomestiere!

A.A.(puntando il dito contro ilTassista)

Lei...!

A.A. sembra rassegnarsi e torna a sprofondare tra i sedili.

A.A.(calmo)

Sa cosa? Non importa!

A.A. esce dal taxi e si dirige verso la ringhiera del ponteche affaccia sul mare. Il sole sta calando. Dell’erba altacresce al lato del marciapiede. Gli occhi di A.A. fissano ilsole. Un Close Up rivela la mano di A.A. che accarezza l’erba, un movimento gentile, come se accarezzasse un volto.

A.A. (V.O.)Come faccio a sentire tutto questo?

(CONTINUED)

Page 26: Il Collirio #04

26

CONTINUED: 3.

U MONCUIo parlo ogni giorno. Parlo con ilvento che ha portato via mia mogliee con il mare che l’ha inghiottita.E ogni giorno li maledico entrambi.

PESCATOREIl vento l’abbraccio’ e il mare lasposo’. Tu, Moncu, non ci riuscistimai.

Le onde si ingrossano. Il cielo e’ ora completamentecoperto da pesanti nuvole scure. Il pescatore sorride.

PESCATORENon e’ il mare che maledici ma iltuo riflesso.

U MONCU(sdegnato)

Veleno sulle tue mani e dalle tuelabbra. Infido, ingiusto ementitore. Te la portasti via solae fredda, e con quest’acqua tuaserva mi torturi ogni giorno.

U Moncu si gira di spalle.

PESCATOREVent’anni non ti bastarono a capireche a me non si danno le spalle.Fosti tu a farla fredda e sola, elei da te non seppe mai fuggire.Corse invece da me che la resibianca e leggera. Fu pietà e nonperfidia che mosse il mare intempesta a luglio.

Ormai il mare è in burrasca. U Moncu si gira di nuovo versoil pescatore, si inginocchia e scoppia in lacrime.

U MONCUNon è perfidia la tua? Nacqui monconon solo di tre dita, ma anche dicuore. Lei mi diede il suo ed io,cieco e sordo, non lo vidiappassire, né lo sentii quandosmise di battere. Ora anche lelacrime vuoi di questo vecchio?Dov’è la tua pietà in questotormento?

La morte sorride, si china e bacia U Moncu sulla fronte. Poisi gira e ricomincia a suonare la launeddas.

2.

EXT. AL LARGO DELLA MADDALENA. GIORNO

E’ una calda giornata di fine settembre, il mare cristallinoe’ calmo e l’azzurro del cielo si macchia di qualchesporadica nuvola bianca. Vincenzo dorme steso in una piccolabarca di legno consumata dal vento e dalla salsedine. Ha latesta rivolta verso poppa, il cappello appoggiato sul voltoper proteggersi dal sole. Da entrambi i lati della barcapendono cinque spesse lenze innescate. A prua giacciono duecesti di vimini di diverse dimensioni: il piu’ piccolocontiene vermi ed altri tipi di esche, il piu’ grande ilpescato del giorno, una piccola occhiata.

Improvvisamente U Moncu sente lo strappo di una delle lenze,si alza di scatto e la prende tra le dita, facendolascorrere lentamente. Ancora uno strappo. Ora la lenza scorrepiu’ velocemente. U Moncu tira con grande fatica adintervealli regolari. Finalmente si intravede l’ombra dellapreda: una creatura della stesse dimensioni della barca. Lostupore fa allentare la presa a U Moncu che rapidamentericomincia a tirare, questa volta con maggiore energia. Labarca si sposta leggermente trainata dal pesce.Improvvisamente la creature compie un salto e gli occhi delvecchio osservano increduli la grande coda scomparire dinuovo. U Moncu si fa girare la lenza attorno alla schienafacendola passare per la spalla destra e ricomincia atirare.

U Moncu ha il volto contratto nello sforzo, la schiena curvae le mani graffiate dall’attrito con la lenza. Dopo unalunga ed estenuante lotta, la lenza si spezza e U Moncu e’sbalzato all’indietro, perdendo nella caduta il cappello.

Si sentono delle note di launeddas, strumento a fiato tipicosardo, provenire dalla poppa della barca. U Moncu si gira,sorpreso e intimorito verso la fonte del suono. Un uomo dibell’aspetto, sulla trentina, gli occhi ed i capelli neropece, con vestiti da pescatore, puliti e ben tenuti, glisorride e lo saluta.

PESCATOREBonghjornu Moncu!

U Moncu non risponde.

PESCATORENeanche con me parli?

Il vento si alza e le nuvole si addensano alle spalle delpescatore.

(CONTINUED)

SCHERMO NERO

A.A.(VOICE OVER)Mio fratello era morto.

INT. TAXI. POMERIGGIO-GIORNO

Due uomini discutono animatamente all’interno di unaMercedes privata ferma nel traffico. L’uomo seduto sulsedile posteriore e’ A.A.: capelli neri all’indietro e occhiazzurri, il volto marcato dalla stanchezza e dal dolore diun uomo che non riesce a colmare il vuoto dell’oblio. Iltassista e’completamente girato verso A.A. e agitafuriosamente le braccia.

A.A.(con tono agitato)

Non arrivero’ mai in tempo!

TASSISTALa colpa non e’ mia signore!

A.A.Invece le avevo detto di nonpassare per il ponte! Dovrestesapere che a quest’ora...

TASSITA(interrompe A.A.)

Non mi dica come fare il miomestiere!

A.A.(puntando il dito contro ilTassista)

Lei...!

A.A. sembra rassegnarsi e torna a sprofondare tra i sedili.

A.A.(calmo)

Sa cosa? Non importa!

A.A. esce dal taxi e si dirige verso la ringhiera del ponteche affaccia sul mare. Il sole sta calando. Dell’erba altacresce al lato del marciapiede. Gli occhi di A.A. fissano ilsole. Un Close Up rivela la mano di A.A. che accarezza l’erba, un movimento gentile, come se accarezzasse un volto.

A.A. (V.O.)Come faccio a sentire tutto questo?

(CONTINUED)

CONTINUED: 2.

Un C.U. di due occhi azzurri di un bambino ci guardano perpochi secondi.

CUT TO BLACK

A.A.(V.O.)Mio fratello era morto ed io nonero li’.

INT. SALA DA PRANZO. GIORNO - 1979

Una Donna dai lucenti capelli scuri e’ seduta su unapoltrona. E’ la MADRE. Il suo volto triste e fiero guarda idue figli che sono seduti all’altro lato del salone su ungrosso divano, in silenzio. Sono un giovane A.A. e ilfratello, di quattro anni piu’ piccolo, Jack.

JACKDov’e’ la nonna?

A.A. guarda il fratellino, poi la madre. La Madre prendetempo, occhi rossi e gonfi si posano sul figlio piu’piccolo.

MADRE(lentamente)

Lei e’ su un treno...che si fermasoltanto ad una stazione...Prima ditornare qui.

JACKLa prossima volta voglio andare conlei!

A.A. si alza in piedi e vede alcune persone che salgono alpiano di sopra. Le segue. Lentamente, seguendo il passodelle persone, supera la fila ed entra nella camera deigenitori.

INT. CAMERA DA LETTO. GIORNO

La stanza e’ buia, illuminata da due piccoli lumi ai latidel letto. Sul letto, coperta da lenzuola bianche, c’e’ lanonna, defunta. La Nostra Vista si posa sul volto pallidodella nonna. A.A e’ intimorito, ma resta a fissarla.

FADE TO BLACK

Lux Aeterna di Preisner viene udita in sottofondo.

(CONTINUED)

Page 27: Il Collirio #04

27

4.

EXT. COSTA DELLA MADDALENA. GIORNO

Una barca si infrange sulle rocce della costa. La NostraVista si posa sul cappello di paglia di U Moncu chegalleggia sulla supericie.

FINE

CONTINUED: 3.

U MONCUIo parlo ogni giorno. Parlo con ilvento che ha portato via mia mogliee con il mare che l’ha inghiottita.E ogni giorno li maledico entrambi.

PESCATOREIl vento l’abbraccio’ e il mare lasposo’. Tu, Moncu, non ci riuscistimai.

Le onde si ingrossano. Il cielo e’ ora completamentecoperto da pesanti nuvole scure. Il pescatore sorride.

PESCATORENon e’ il mare che maledici ma iltuo riflesso.

U MONCU(sdegnato)

Veleno sulle tue mani e dalle tuelabbra. Infido, ingiusto ementitore. Te la portasti via solae fredda, e con quest’acqua tuaserva mi torturi ogni giorno.

U Moncu si gira di spalle.

PESCATOREVent’anni non ti bastarono a capireche a me non si danno le spalle.Fosti tu a farla fredda e sola, elei da te non seppe mai fuggire.Corse invece da me che la resibianca e leggera. Fu pietà e nonperfidia che mosse il mare intempesta a luglio.

Ormai il mare è in burrasca. U Moncu si gira di nuovo versoil pescatore, si inginocchia e scoppia in lacrime.

U MONCUNon è perfidia la tua? Nacqui monconon solo di tre dita, ma anche dicuore. Lei mi diede il suo ed io,cieco e sordo, non lo vidiappassire, né lo sentii quandosmise di battere. Ora anche lelacrime vuoi di questo vecchio?Dov’è la tua pietà in questotormento?

La morte sorride, si china e bacia U Moncu sulla fronte. Poisi gira e ricomincia a suonare la launeddas.

CONTINUED: 3.

A.A. (V.O.)Oscure sono le sembianze in cui timostri.

EXT.SPIAGGIA.GIORNO - A.A. ADULTO

Maestose nuvole si poggiano sull’orizzonte grigio e blu delmare. A.A. cammina con l’abito grigio a piedi scalzi sullaspiaggia. Vede un ragazzino da lontano, che piano piano siavvicina. Il RAGAZZINO, 12 anni- capelli neri e occhiazzurri- lo prende per il braccio, lo ferma e gli mostra unpunto indefinito all’orizzonte. A.A. guarda, non sembravedere , ne’ capire nulla. Il bambino lo invita a sedersicon lui. A.A. si siede accanto al bambino,incrociando legambe. La Nostra Vista si posa sul volto perso di A.A..

A.A. (V.O.)La distanza del tempo miintimorisce. Dove sono i tuoi occhifieri che un tempo mi mostravano lavia?

A.A. sembra vedere qualcosa all’orizzonte, verso il puntoindicato dal bambino. Si alza e lentamente entra in acqua.

EXT. SPIAGGIA. TRAMONTO -TEMPO INDEFINITO

La Nostra Vista si posa sulla schiena di una donna daicapelli lunghi e neri. Il sole si sta abbassando rapidamenteverso l’orizzonte. E’ incinta ed immersa nell’acqua finoalla vita. Ci spostiamo dalle spalle della donna, fino adarrivare a vedere il suo volto sofferente e pieno di gioia.Alle sue spalle dieci donne- cinque al lato destro e cinquea quello sinistro- nude, coperte da un sottile telo biancoche parte dal capo; si muovono lentamente, quasi fluttuando,verso la donna che accarezza il grembo.

A.A. (V.O.)(dolcemente)

Madre!

La Nostra Vista si sposta sott’acqua, dove intravediamo ilneonato che lentamente viene al mondo tra le braccia diun’ancella. Subito la donna lo abbandona tra le bracciasicure della madre.

Page 28: Il Collirio #04

28

Page 29: Il Collirio #04

29

C’è qualcosa, nell’atteggiamento di devozione degli uomini d’arte e nella loro personale concezione di Dio, che va aldilà del semplice riuscire a coglierne l’entità superiore (facoltà che potrebbe accomunare, come del resto ha fatto e continua a fare, tutti i cosiddetti “credenti”). Infatti, nei secoli, lo spirito degli straordinari uomini d’arte (specialmente italiani) che ci hanno preceduto, ha prodotto non solo l’intima, personale, più o meno fideistica e interiore elaborazione di Dio, ma anche migliaia di immagini nelle più varie versioni e rappresentazioni, nel tentativo non solo di illustrarLo, ma, soprattutto, di coglierLo. Per donarlo all’umanità. Di privilegiare i popoli di una concretezza visiva strettamente legata alle rappresentazioni che, di Lui, se ne sono fatte. La relazione spirituale, che ha collegato taluni uomini illuminati alla fede, ha configurato, in questo rapporto tra uomini e Dio, un’attinenza talmente profonda e sofisticata per cui l’inevitabile naturale conseguenza della fede è l’arte. L’arte nella sua esplosiva multiformità rappresentativa. Dapprima immobile per circa mille anni con il filone bizantino, poi espressiva in ogni sua testimonianza. E’, a questo punto, inevitabile pensare che sia dalla religione che ne derivi la creazione artistica di Dio. La sua “eterna attualità”. Tutta l’arte, o almeno la maggior parte di essa, poggia sulla rappresentazione di Dio (o almeno sul suo tentativo), fino a quando, con l’avvento delle avanguardie, un’arte più laica ha iniziato a prendere con prepotenza piede negli animi degli autori più recenti, dei loro interpreti e dei loro appassionati seguaci osservatori. Insomma, se Dio esiste, la “prova” della sua esistenza è l’arte in quanto, questa, ne è la forma di conoscenza ed esperienza più vicina e pertinente. Parlare d’arte, nella maggior parte dei casi e nella nostra civiltà occidentale soprattutto, è parlare di Dio. Che esista o meno, gli effetti della fede degli uomini sono concreti e indiscutibili e, per questo, l’arte è quanto di più vicino abbiamo a Dio. E non solo nella pittura. La musica, ad esempio, da Corelli, a Scarlatti, passando per Vivaldi, Frescobaldi e Puccini fino a Bach, Beethoven, Wagner, Puccini, Mahler, Stravinskij, Rachmaninov e addirittura con l’intrepido e inquietante Chopin si pone in come in un continuo omaggio a Dio, che ha prodotto Bellezza, grazie al quale, ancora oggi ne traiamo godimento. La parte più importante della letteratura e della filosofia Da Socrate a Dante, da Vasari o Testori a Manzoni o Juan de la Cruz poggia sulle folgorazioni baluginanti che hanno costellato la vita dei più grandi uomini della nostra civiltà. Addirittura anche Leopardi, nel suo ateismo, risulta indignato e collerico nei confronti di un Dio che per lui non c’è, stizzendosi con la Natura e trovando conforto solo nell’Infinito (identificandolo come il proprio “non-Dio”).Ma vediamo… com’è possibile che tutto ciò sia accaduto? Come è possibile che gli esseri umani, dal basso della loro dimensione e inferiorità rispetto ad un Dio che non ha tempo, spazio e forme, riescano, non solo a comprenderlo ma addirittura a rappresentarlo? Come è possibile che la stessa inadeguatezza che connota

la dimensione umana, rispetto a quella divina, sia la stessa che, paradossalmente, ne consente la capacità di rappresentazione nonostante la sua sostanziale ineffabilità?Semplicemente perché la chiave di volta è Cristo.La perspicace intuizione “teo-logica” della cristianità è proprio lui che, sebbene contraddistinto da sostanziale solitudine, si presenta agli uomini semplicemente come uomo. Diventando, e non più solo iconograficamente, nostro Dio, o perlomeno un’appendice di Esso, dalle fattezze concrete e tangibili oltre che storiche e testimoniate.Cristo, intriso di Dio, si presenta come uomo prim’ancora che come divinità.E addirittura lo fa, al contrario di molte altre religioni, in un modo che lo incornicia sofferente, piangente, dolente e afflitto; abbandonando la sua, nonostante tutto congrua, dimensione di figura celestiale da adorare e consegnandosi all’umanità più sconfitto di chiunque altro nonostante la sua natura divina.Probabilmente è proprio questo che lo consacra ai nostri occhi: la sua natura divina profondamente sola, commiserevole e terrestre, che ci rivela la sua grandezza quando “costringendosi ad uomo” si palesa alla terra adattandosi alle sofferenze degli uomini.Il cardine, la giunzione tra un Dio ineffabile e un’umanità reale è Cristo.Il “rappresentabile” Cristo che rivela al mondo come ci sia un collegamento drammaticamente umano tra l’immortalità e l’eternità di Dio e la sua evanescenza di uomo.Tutta la varietà di Bellezza prodotta identifica, a sua volta, la varietà di quella che è stata definita, più o meno consapevolmente dato che il discorso verteva su altre fondamenta, da Osvaldo Pogliani durante una delle sue lezioni: la “commedia umana” (come il titolo dei libretti di Balzac) dando con spontanea naturalezza una definizione genuinamente antropologica alla “messa in scena” i cui quotidiani artefici e protagonisti sono gli uomini. E se per Dante, la commedia cui apparteniamo recitando, era “divina”, non è un caso; così come non è un caso che lo sia per Giotto o per il preraffaellita Henry Holiday. I mestieri creativi, grazie alla religione, vivono in libertà sfrenata per cui è evidente che il “racconto” di Dio passi non solo per gli addetti ai lavori (preti, vescovi, cardinali e Papi) ma soprattutto per gli artisti in tutte le loro tendenze, declinazioni e capacità. Dio, nella sua seppur per alcuni dubbia esistenza, ha ispirato la Bellezza. Ed è proprio questo l’unico vero inoppugnabile “miracolo” a cui noi umani assistiamo da secoli: il contagio.Il contagio generoso e reciproco tra religione e arte per cui la Bellezza esiste, da sempre e ci auguriamo esisterà per sempre, principalmente grazie al mutuo e tacito accordo tra realtà e spiritualità.

L’ A R T E D I E S S E R E D I OL A D I F E S A D I D I O , D I U N A T E O C O N V I N T O

Page 30: Il Collirio #04

30

A A A bat m a n c e r c a s i-radicale libero-

Page 31: Il Collirio #04

31

Tutto ebbe inizio scoprendo che le notti insonni aspettando Babbo Natale scendere dal camino erano state vane (solamente dopo anni si rese conto che, non avendo un camino in casa, era abbastanza improbabile che Babbo Natale scendesse da un camino inesistente: anche alla fantasia c’è un limite); le cose peggiorarono quando si rese conto di non esser capace di generare un’onda energetica, mentre il colpo di grazia fu scoprire che i bambini non arrivavano né con la cicogna né con lo Spirito Santo, ma in un modo molto più entusiasmante che chissà come mai i suoi genitori gli avevano tenuto nascosto.Da quel momento in poi fu tutto un’onda anomala: vide certezze e convinzioni sgretolarsi come castelli di sabbia in riva al mare; l’unico modo per sopravvivere fu iniziare a costruire dighe per difendersi da quel mare di menzogne.Iniziò a costruire dighe con libri, DVD, opuscoli, biglietti di musei e qualunque cosa potesse dare una risposta ai suoi interrogativi. Non si accontentò di risposte elargite da pusher improvvisati ma pretese sempre la merce migliore; in altre parole passò da una droga all’altra: era stato imbottito di false convinzioni e credenze, quindi decise di disintossicarsi, ma finì per rimanere intrappolato in un’altra forma di dipendenza, quella dei “perché”.La diga cresceva a dismisura, e lui con essa: guardava film, ascoltava musica, visitava musei, leggeva libri. Un giorno arrivò a leggere che la religione è l’oppio dei popoli: metafora scientificamente ineccepibile, dal momento che ognuno di noi produce quotidianamente “oppioidi endogeni” chiamati endorfine.Queste sostanze agiscono sulle vie del dolore che si diramano in tutto il corpo ed hanno lo scopo di attutire il dolore: in pratica fanno in modo che un pizzicotto non sia doloroso come un parto.Una macchina perfetta, il problema è il conducente.Il rilascio di endorfine è finemente regolato: una quantità troppo alta conduce alla soppressione totale del dolore, evento pericolosissimo visto che spesso è proprio il dolore a metterci in guardia da un pericolo; d’altro canto, una quantità troppo bassa di queste sostanze porta a rendere insopportabile anche il dolore derivante dall’urto di un mignolo nello spigolo di un mobile.Se in questa fine regolazione il conducente decide di inserire oppioidi dall’esterno, (che siano droghe illegali o totale abnegazione ad un’entità superiore, lascio a voi trovare la differenza), la macchina risponde con un calo della produzione di oppioidi endogeni per fare in modo che la quantità di “droga” totale nel serbatoio sia sempre la stessa.In questo modo, drogandoci di sostanze e convinzioni, proprio nel momento in cui ci sentiamo al sicuro in un microcosmo di allucinazioni e spiritualità, può succedere che le riserve di oppio esogeno finiscano: sequestrate dalle forze dell’ordine o bruciate dall’ultima scoperta scientifica. In questo momento il dolore si fa atroce proprio come quella chiusura allo stomaco scoprendo che Babbo Natale non esiste.Intanto la diga cresce, e dietro di essa si sviluppa una società che non necessità più di Droghe e di Dei; ci sono abbastanza oppioidi nelle vene di ognuno per sopportare la prospettiva di una solitudine dettata dall’assenza di un’entità superiore; ormai nessuno aspetta Superman che arriva sulla Terra come regalo di un Dio lontano: la vera star è Batman, che nasce uomo, smaschera le bugie e i difetti del mondo, non si arrende a quel medievale scenario e quindi diventa supereroe.

Page 32: Il Collirio #04

32

aria morì qualche ora dopo. Prima di irrigidirsi definitivamente, il suo corpo aveva attraversato tutte le possibili sfumature del rosso. Marco si sorprese a fissare il co-lore più che la persona, assolutamente stranito dalla piega degli eventi. Era stato Jean-Louis a scuoterlo dal torpore e a provare a praticarle il primo soccorso. Poi si sentì il rumore dell’ambulanza in lontananza e tutti si sentirono autorizzati a delega-re la problematica a qualcuno che ne sapesse di più, a qualcuno che indossasse un camice con piena cognizione di causa. Marco vide la barella che andava via, trasportando un corpo che non sapeva se fosse ancora corpo o fosse già preci-pitato verso l’indolente definizione di cadavere, un crogiuolo di insetti sgradevoli nati da una problematica striatura di verde. I portantini sembrarono scuotere la testa. Era ancora giorno, e il sole, seppure alle prese con la parte discendente del suo giro, continuava a splendere. Marco lo sentiva battere, ne sentiva ogni raggio, come se gli entrasse nella carne attraverso il sudore e i tessuti. Era la sensazione di sfinimento di un’estate in cui non appaiono gazebi.

M“Un Inizio”

Page 33: Il Collirio #04

33

LA STORIA NEL SANGUECAPITOLO QUARTO

I

Dopo il secondo, fortissimo, rumore, che proveniva da un idrante che era stato forzato eccessivamente da un signore obeso armato di chiave inglese, nulla potette impedire a Marco e Jean-Louis di abbracciarsi, nemmeno la visione della storia del secondo. Visione divenuta però sorprendentemente poco pertinente alle circostanze stesse, per come la vedeva Marco. Si ripromise di chiederglielo, con tutto il tatto possibile, appena il caos del mattino si fosse diradato, sperando di non incorrere nell’imbarazzo del dialogo forzoso con gli amici dipartiti, quelli verso cui l’entusiasmo dell’incontro è maggiore della reale intenzione comunicativa. I sensi dell’umorismo nel mondo sanno essere notevolmente polivalenti. “Ho fatto bene a lasciare la Francia nonostante il caldo della vostra penisola, allora. Credo che incon-trarti qui sia un mirabile avvento della provvidenza”, disse Jean-Louis a Marco, con un eccellente italiano condito dall’accento francese. Mentre parlava si guardava nervosamente intorno, agitando i piccoli occhi, ma senza mai soffermarli su Maria, in disparte ma prossima, curiosa, ad unirsi alla conversazione. “Ah, non credo di avervi presentati. Jean-Louis, lei è Maria, una mia compagna d’università. Maria, lui è Jean-Louis, un vecchio amico”, disse Marco, un po’ infastidito dal dover fare presentazioni.“Ci conosciamo, o, almeno, lo conosco di fama. È uno dei leader del nostro movimento”, rispose Maria nell’incre-dulità di Marco. “Tu il leader di un movimento? Da quanto? Perché?”, chiese dunque stizzito.Jean-Louis rise di gusto. “Sono cambiate tante cose, Marco. Ne parleremo dopo con calma, mi mancavi. Con te l’imbarazzo non esiste mai”. Mentre l’ambulanza andava via, Marco e Jean-Louis non proferirono parola. Non era il momento di riprendere il discorso interrotto precedentemente. Non era però neanche il momento di rinchiudersi in religioso silenzio. Erano i rumori della città a impedire che l’incapacità di parlare creasse un varco troppo grande tra i due amici da poco ritrovati. Nessuno dei due aveva la macchina, quindi dovettero affrontare il viaggio in ospedale sulla W baraonda dei mezzi pubblici. Ma gli stessi colori, un attimo prima ravvivati dal sole estivo, l’attimo dopo erano sommersi dall’ombra del mondo, spegnendosi, rassomigliando di più ad una carta crespa, una pelle rugo-sa che, in controluce, lasciava sprigionare le brillanti macerie delle gemme preziose.Maria sorrise senza troppa convinzione davanti alla perplessità di Marco. Ma furono poi tutti soggiogati da un ulteriore avvicendarsi nella folla. Non era il contesto più appropriato al simpatico rendez-vous che andava profilandosi. Il cambiamento di Jean-Louis, tramutatosi in un leader progressista, era lampante anche nell’estetica. Ai capelli sporchi e ai denti anneriti si univa una camminata leggermente dinoccolata, una sciarpa che sapeva vagamente di ribellione e una giacca con delle toppe vere. Era diventato estremamente diverso dal disfatti-smo – in qualche modo indolente, reazionario – che propugnava. Era come se avesse deciso di immergersi nel focolaio dinamico che il mondo suggeriva, salvo poi venirne bruciato, nei baffi e nei denti, appunto.“E tu e Maria come vi conoscete?”, chiese Jean-Louis a Marco, “non mi sembra di averti visto in simili contesti prima”. Rispose lei. “Ci siamo conosciuti all’università, anche se si può dire che questo è stato il nostro incontro di maggiore durata”. Poi strinse i denti in una smorfia di dolore, con gli occhi volgarmente arrossati, e un leggero grumo di sudore all’origine dei capelli. Sembrava stesse per cadere, Marco e Jean-Louis si avvicinarono brusca-mente per afferrarla. “Tutto bene? Cos’hai?”, chiesero quasi all’unisono, con parole forse diverse ma non dissimili nel concetto. Lei sorrise e si rimise in piedi, ma l’espressione del volto tradì una certa inquietudine che Marco non potette fare a meno di notare. Voleva chiederle di più, ma non sapeva se la presenza di Jean-Louis potesse essere deleteria per un discorso in piena confidenza, o se magari fosse la sua stessa presenza ad inibire in qualche modo la ragazza. In fondo era lui, Marco, l’estraneo al contesto. Jean-Louis, dal canto suo, non sembrava meno turbato dalla questione. La fronte gli si era corrugata, e parte della sciarpa pendeva, cadente, alle sue spalle. Fu lui, però, a smorzare la situazione. “Mangiamo qualcosa?”. Arrivarono all’ospedale che era pomeriggio inoltrato. Le sale d’ingresso erano tutto meno che ovattate, quasi sporche, rese ancora più sporche dalla fauna opprimente che erano in fila per farsi curare le menomazioni e le ipocondrie, i mal di stomaco immaginari e quelli veri, pulsanti, affogati nel sangue. Apprendere che Maria fosse morta fu più mortificante che scioccante. Non si sentivano le persone più adeguate a ricevere l’informa-zione, non erano parenti, o amici, o conoscenti che sapessero il suo cognome. Non avevano alcuna voglia di

Page 34: Il Collirio #04

34

proseguire nei lunghi, bassi, corridoi per affrontare un rapporto con chi poteva volerne sapere di più. Forse la polizia si sarebbe potuta interessare a qualcosa, forse no. Nessuno li aveva cercati. Il ristorante che aveva scelto Jean-Louis era piccolo e non particolarmente invitante, ma rassicurò i suoi commensali sul basso prezzo. Poi andò in bagno, e Maria provò a dissotterrare i demoni di giornate troppo lunghe. “Non sto bene, Marco. Non sto per nulla bene. Va avanti da qualche settimana, non so cos’ho. Clinica-mente non è emerso nulla, ma mi sento continuamente stanca, arroventata, destabilizzata”, disse lei. Non vi erano lacrime né sotto gli occhi né nella voce. Erano parole pronunciate con un’asciuttezza quasi irreale. “Non credi possa essere solo una stanchezza cronica? Non mi sembra ci sia motivo di preoccuparsi”, le rispose Marco, deresponsabilizzato ma non rasserenato. “Non è tutto qui. Il vero problema è un uomo”, disse lei. “Ah, ecco, c’è sempre un uomo di mezzo. E la salute passa in secondo piano”, disse Marco, ormai infa-stidito dalla questione. Non si era mai sentito pertinente ad un dialogo su “altri uomini”. Fortunatamente, proprio mentre Maria, spaventata, agghiacciata, stava dicendo “non è come credi”, Jean-Louis tornò al tavolo, silenziando pienamente la conversazione, arenatasi in una reciproca mancanza di fiducia o di interesse. I due erano ora fuori l’ospedale, seduti su di una panchina. “Una volta mi hai parlato del dilemma del sole, della storia che era finita. Per anni ho ricordato con estremo piacere le nostre conversazioni, e ho fatto mie gran parte di quelle teorie. Pensa la mia sorpresa nel trovarti qui, in questo contesto”, disse Marco. “È simpatico che tu me lo chieda in questi termini. La vita è una cosa che non scorre con la semplicità di tutti per tutti. A volte ti si ferma, bloccata, come un masso gigantesco. A volte per arrivare al giorno successivo non basta l’inerte e arrogante cinismo di chi crede di aver dato la sua fulminea interpretazione del fatto”, rispose Jean-Louis. “Non credi di starti mentendo nel momento stesso in cui mi dai una risposta del genere? Se la poni in questo modo così ragionato hai comunque perso tutta la forza e la spontaneità dell’ideale”, gli disse ancora Marco. “Ma questo è il modo in cui io rispondo a te”, rispose Jean-Louis sorridendo, “il mio è un problema di senso risolto dalla fede in qualcos’altro”. “E come la metti la fede con Maria?”, disse Marco, sapendo di essere in procinto di creare un gelo incontrollabile. Il mondo all’esterno tuonava di un caldo insopportabile. Tuonava del ricordo di un uomo che po-teva averla distrutta, tuonava del momento in cui, in strada, era caduta, così, senza preavviso, ai piedi dei suoi due inediti compagni di viaggio. Poi il mondo smise di tuonare, e Jean-Louis iniziò a piangere, facendo cadere, consapevole e apocalittico, la sua sciarpa sull’asfalto bollente.

Page 35: Il Collirio #04

35

Page 36: Il Collirio #04

36