IL CODICE DI AUTODISCIPLINA COME STRUMENTO DI CORPORATE...

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UNIVERSITA’ CARLO CATTANEO – LIUC FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA Corso di laurea in Giurisprudenza IL CODICE DI AUTODISCIPLINA COME STRUMENTO DI CORPORATE GOVERNANCE: IL CASO ITALIANO ALLA LUCE DELL’ESPERIENZA ANGLOSASSONE Relatore: Prof.ssa Alessandra Stabilini Correlatore: Prof. Alberto Toffoletto Tesi di Laurea di: Filippo Galluccio matricola 3473 Anno accademico 2001 - 2002

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UNIVERSITA’ CARLO CATTANEO – LIUC

FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA Corso di laurea in Giurisprudenza

IL CODICE DI AUTODISCIPLINA COME STRUMENTO DI CORPORATE GOVERNANCE: IL

CASO ITALIANO ALLA LUCE DELL’ESPERIENZA ANGLOSASSONE

Relatore: Prof.ssa Alessandra Stabilini Correlatore: Prof. Alberto Toffoletto

Tesi di Laurea di: Filippo Galluccio matricola 3473

Anno accademico 2001 - 2002

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Autorizzazione alla consultazione della tesi di laurea

Il sottoscritto Filippo Galluccio n° matricola 3473

nato a Legnano il 24/10/1979

autore della tesi di laurea dal titolo “Il Codice di autodisciplina come strumento di

corporate governance: il caso italiano alla luce dell’esperienza anglosassone”

Autorizza

Non autorizza

la consultazione della tesi stessa, fatto divieto di riprodurre, in tutto o in parte, quanto in essa

contenuto.

Data Firma

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INDICE PARTE PRIMA: IL CODICE DI AUTODISCIPLINA

INTRODUZIONE LA NOZIONE DI CORPORATE GOVERNANCE

CAPITOLO 1: LA REDAZIONE DEL CODICE LE RAGIONI ALLA BASE DEL CODICE GLI OBBIETTIVI DEL CODICE

CAPITOLO 2: IL CONTENUTO DEL CODICE COMPOSIZIONE E RUOLO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE LA DISCIPLINA DEI FLUSSI INFORMATIVI GLI AMMINISTRATORI INDIPENDENTI I COMITATI SPECIALIZZATI IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE I RAPPORTI CON GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI E ALTRI SOCI ASSEMBLEE E SINDACI

CAPITOLO 3: EFFICACIA DEL CODICE PARTE SECONDA: L’APPLICAZIONE DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA

CAPITOLO 1: PREMESSE METODOLOGICHE CAPITOLO 2: ANALISI DEI RISULTATI CONCLUSIONI

BIBILIOGRAFIA APPENDICE

TABELLA LEGENDA DATI SOCIETA’ QUOATE GRAFICI

TESTO DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA

4

PARTE PRIMA: IL CODICE DI AUTODISCIPLINA INTRODUZIONE

Di recente, sulla scia degli influssi provenienti dagli ambienti accademici statunitensi, la

disciplina delle società per azioni è stata complessivamente ripensata in un'ottica di corporate

governance.

Il decreto legislativo n. 58 del 1998 (cd. Testo Unico della Finanza) ha riformato solo una

parte di questa realtà normativa, che si presenta assai complessa, e si è limitato a dettare nuove

regole solamente per le società quotate. Oggetto di revisione infatti sono state la disciplina delle

offerte pubbliche, del collegio sindacale e della tutela delle minoranze, dato che le esigenze di

intervento in questi ambiti risultavano maggiori e più urgenti.

La disciplina degli amministratori (e dei relativi consigli e comitati) è rimasta invece

inalterata, dato che la delega che autorizzava il Governo ad attuare la riforma non comprendeva

tale materia.

L'autoregolamentazione ha quindi trovato spazio per completare il quadro delle pratiche di

governo societario. Come vedremo, questo strumento normativo presenta caratteri di duttilità e

elasticità, che lo rendono idoneo, molto più dello strumento legislativo, a dettare regole in grado

di adattarsi alle esigenze della prassi in maniera semplice e rapida.

La presente tesi si pone l’obiettivo di valutare l'impatto che il Codice di autodisciplina ha

avuto sul sistema di corporate governance delle società quotate italiane.

Il Codice si presenta infatti come un modello di riferimento per la best practice verso cui

tendere, pensato per le società che intendono migliorare la propria competitività, adeguando

volontariamente i propri sistemi di governo alle soluzioni proposte. Tali soluzioni vengono

mutuate dalla prassi statutaria e amministrativa delle imprese che si sono mostrate

maggiormente sensibili e attente a perseguire modelli evoluti di governo societario, e si

pongono come standard a livello internazionale.

5

Pur tenendo conto, infatti, delle specificità dei vari sistemi giuridici e delle peculiarità dei

singoli ordinamenti societari, i redattori del Codice si sono ispirati a itinerari già percorsi in

alcuni ordinamenti stranieri, tenendo anche in considerazione soluzioni richiamate dalla dottrina

nazionale e anticipate, almeno per alcuni profili, dalla Consob.1

Dopo aver analizzato da vicino le regole contenute nel Codice, il presente lavoro proseguirà

a confrontare il differente grado di successo che regole simili hanno avuto in diversi

ordinamenti giuridici, cercando di comprendere le ragioni del diverso impatto, al fine di trarne

riflessioni utili in un’ottica di interventi normativi futuri.

LA NOZIONE DI CORPORATE GOVERNANCE

Prima di proseguire nella trattazione, occorre esaminare la nozione di corporate governance

e i significati che la locuzione assume in campo economico e in campo giuridico, per

puntualizzare l'accezione in cui questa terminologia è usata nel Codice.

Il termine governance deriva dal latino gubernator ed è usato dagli economisti per indicare il

sistema con cui le imprese vengono guidate. Si pone in particolare l'attenzione su come vengono

regolati i rapporti tra i vari soggetti coinvolti nell'impresa e il modo in cui viene perseguito il

fine ultimo dell'azienda. Non si può prescindere, pertanto, dai principi fondamentali che stanno

alla base dell'azienda e dalle relazioni contrattuali che essa attua.

Non si vuole qui entrare nello specifico, ma è opportuno tuttavia ricordare che, al riguardo,

sono ravvisabili due posizioni estreme. Secondo la prima tutto deve essere finalizzato alla

massimizzazione dell'interesse degli azionisti, in quanto l'azienda appartiene ad essi: da va

dunque perseguita la massimizzazione del profitto, o del cd. shareholder value.

La seconda mette in luce come nell'azienda confluiscono interessi di molteplici soggetti (cd.

stakeholder) e come questi interessi debbano in qualche modo essere tenuti in considerazione; la

massimizzazione del profitto, dunque, non esaurisce la funzione-obiettivo dell'impresa. 1 Comunicazione 20 febbraio 1997, n. DAC/RM/97001574 ; cfr. PG Marchetti, Le raccomandazioni Consob in materia di controlli societari: un contributo alla Riforma, in Riv Soc, 1997, p. 193 sa; P Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società, “corporate governance”, Padova, 1999, p. 197 ss.

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Questa contrapposizione può essere ricondotta a due diverse concezioni di azienda, di cui

sono esemplificazioni concrete il modello tedesco e quello statunitense. Negli U.S.A. la

struttura giuridica è costituita in modo tale da porre gli azionisti in posizione superiore rispetto

agli altri portatori di interessi. I manager, infatti, sono legati da un rapporto fiduciario agli

azionisti che li hanno eletti e subiscono quindi un forte obbligo ad agire nel loro interesse.

In Germania il quadro si presenta molto più articolato, perché tutti gli interessi che gravitano

attorno all'impresa sono tenuti in ugual considerazione. Il modello applicato è quello della

codeterminazione (Mithestimmung), sancita da una legge del 1967 e applicata alle imprese con

più di duemila dipendenti.

Entrambe le impostazioni vedono come punto centrale dell'impresa quello in cui vengono

prese le decisioni fondamentali. Grande importanza riveste, quindi, la struttura degli organi

sociali: diverse concezioni dell'impresa portano ad organi diversi, con peculiari articolazioni e

poteri e a diversi meccanismi per la loro elezione. In particolare, l'ordinamento statunitense

prevede un unico organo di amministrazione (il consiglio di amministrazione o board of

directors), mentre l'ordinamento tedesco è caratterizzato dalla presenza di un sistema duale,

basato su un organo di gestione (Vorstand) e uno di controllo (Aufsichsrat). A testimonianza del

fatto che gli interessi diversi da quelli dei soli azionisti vengono tenuti in grande considerazione,

si può ricordare che l'organo di controllo è composto per metà da rappresentanti dei lavoratori.

Da un punto di vista strettamente finanziario la corporate governance, è vista come “il

complesso degli strumenti attraverso cui i finanziatori si assicurano di ottenere un rendimento

dal loro investimento”2.

Una definizione classificabile come “istituzionale” intende la corporate governance come il

sistema mediante il quale le imprese vengono gestite, e focalizza quindi l'attenzione sui modi in

2 M. Onado, Mercati e intermediari finanziari, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 385.

7

cui vengono rappresentati e composti gli interessi dei molteplici soggetti che hanno o possono

avere rapporti economici con l'impresa.3

Vi è poi una definizione ristretta, classificabile come “manageriale”, che vede la corporate

governance come il sistema tramite cui le imprese vengono dirette e controllate. In questo caso

l'attenzione viene posta sugli organi sociali, in particolare sul consiglio di amministrazione, in

quanto organo che decide di interessi strategici. Specifico risalto assumono inoltre il

meccanismo con cui vengono nominati i dirigenti, i sistemi che permettono una supervisione

sull'operato dell'azienda e sui rischi interni, i meccanismi che regolano il flusso di informazioni

da dare agli azionisti.4

L'espressione corporate governance, mutuata come abbiamo visto dagli economisti e dai

teorici della politica, trova ulteriore applicazione nel lessico giuridico, dove è usata per indicare

non solo le regole alla base dell'organizzazione della società intesa come persona giuridica, ma

anche l'insieme delle regole che, data l'importanza che assumono all'interno dell'ordinamento

giuridico, sono capaci di condizionare istituzionalmente l'assetto societario.5 Il riferimento è, ad

esempio, alla disciplina bancaria e tributaria, alla disciplina dei mercati e del fallimento.

Nello specifico, il Codice, con il termine corporate governance, intende “il sistema delle

regole secondo le quali le imprese sono gestite e controllate"6: privilegia dunque l'accezione più

ristretta dell'espressione; in questo modo viene ripresa quasi alla lettera la nozione formulata nel

Cadbury Report.7 Viene dunque tralasciato il significato più ampio, che normalmente la

3 Si veda, ad esempio, S. Sheikh, W. Rees, Corporate governance and corporate control, Cavendish, London, 1995, p VI e ss. I due autori insistono sul fatto che la nozione di corporate governance non deve comprendere unicamente i rapporti ed i doveri che legano amministratori e azionisti, ma deve considerare anche lavoratori, creditori, clienti e la comunità intera. In questo senso indirizzano anche i principi dell’OCSE, che danno un significato molto ampio all'espressione corporate governance. 4 Sulle diverse concezioni dell’impresa: P Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, CEDAM, Padova, 1999. Per un approfondimento dell’impresa da un punto di vista economico: F. H. Easterbrook, D.R. Fischel, L’economia delle società per azioni, Giuffrè, Milano, 1999. 5 Si veda, per tutti, G. Visentini, Argomenti di diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 1997, p. 449. 6 Rapporto Preda, p. 18 7 Nel documento citato si specifica che l’espressione è da intendere come “the system by which companies are directed and controlled”.

8

locuzione assume, di reticolato di rapporti tra tutti i soggetti portatori, a diverso titolo, di un

interesse nei confronti della società, e che ne sono condizionati dai risultati di gestione.8

8 Si veda, sul significato ampio attribuibile all’espressione, Associazione Desiano Preite, Rapporto sulla società aperta, Bologna, 1997, p. 23 ss.

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CAPITOLO 1: LA REDAZIONE DEL CODICE

La redazione del Codice è stata promossa da Borsa Italiana S.p.A., società che gestisce il

principale mercato regolamentato italiano. A fine 1998 l’allora presidente, Stefano Preda, ha

coordinato un Comitato appositamente formato per la stesura del testo normativo, completato

nell'aprile 1999.1 Il Comitato per la Corporate Governance delle società quotate era (ed è, in

quanto rimane in vita per svolgere i compiti che verranno esaminati in seguito) costituito dai

massimi esponenti della stessa Borsa Italiana S.p.A. e delle società in grado di rappresentare

tutti i soggetti interessati, ovvero emittenti, investitori istituzionali e revisori, e dalle

associazioni di categoria di tali soggetti.

Il Codice è destinato ai consigli d'amministrazione di tutte le società quotate italiane; auspica

tuttavia che la generalità delle società italiane trovi utile conformarsi ai principi in esso

contenuti.

Secondo alcuni2, nonostante ciò non sia espressamente previsto nel Codice, la cerchia dei

soggetti destinatari va allargata a tutti quei soggetti che fanno appello al risparmio diffuso, in

particolare alle società emittenti strumenti finanziari che, sebbene non quotati, siano diffusi tra il

pubblico in maniera rilevante. Ci si riferisce agli emittenti italiani che sono dotati di un

patrimonio netto non inferiore a dieci miliardi di lire o di un numero di azionisti o di

obbligazionisti non inferiore a duecento, così come previsto dal combinato disposto dell'articolo

116, n. 1 del T.U.F. e dell'articolo 2, lettera e del regolamento Consob n. 11971 del 1999 in

materia di emittenti.

Questi soggetti infatti condividono con le società quotate l'esigenza di finanziarsi sul mercato

e di diversificare il proprio portafoglio e, in ultima analisi, di avere una gestione efficiente.

Pertanto, risultano calzanti i suggerimenti del codice riguardo ai meccanismi di corporate

1 La scelta, per la redazione del Codice, di predisporre un Comitato ad hoc, costituito dai massimi esponenti delle società rappresentati i diversi soggetti interessati (emittenti, investitori istituzionali, revisori), ricalca la strada seguita dai Paesi anglosassoni. 2 cfr. M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance; in Rivista di Diritto Privato, n. 1, 2000, p. 142.

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governance da adottare al fine di accrescere l'apprezzamento dei propri strumenti finanziari

presso il pubblico degli investitori.3

L'ambito soggettivo di applicazione del Codice è da ritenere ristretto alle società emittenti di

strumenti finanziari italiani. A questa conclusione si può giungere seguendo l’'opinione

interpretativa secondo cui solo le norme di mercato possono trovare applicazione anche nei

confronti delle imprese estere; invece, le norme di diritto societario che disciplinano i soggetti

emittenti possono essere applicate solamente alle imprese italiane.4 Le disposizione del Codice,

sebbene non giuridicamente vincolanti, sono dirette ad integrare la disciplina

dell'organizzazione societaria e pertanto non possono interessare soggetti stranieri che ottengano

la quotazione in Italia o che abbiano strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura

rilevante secondo i criteri descritti in precedenza.

È stabilito che il Comitato che ha redatto il Codice rimanga in vita per i primi due anni

dall'inizio della sua operatività, con il compito di formulare e ricevere proposte in ordine a

un'eventuale rivisitazione delle raccomandazioni, affinché rimangano allineate alla normativa

italiana e internazionale e tengano conto delle nuove esigenze.

LE RAGIONI ALLA BASE DEL CODICE

Numerosi Paesi stranieri hanno adottato rapporti e principi in materia di governo societario;

ricordiamo ad esempio Francia, Spagna, Belgio e Olanda. Menzione particolare meritano le

esperienze di autodisciplina che si sono avute negli ordinamenti anglosassoni, in quanto hanno

assunto il ruolo di modello circolato in molti altri ordinamenti. Nel Regno Unito troviamo il

Cadbury Report (Report of the Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance,

London, 1992) sulle regole di corporate governance, il Greenbury Report (directors

Remuneration. Report of a Study Group, London, 1995) sulla determinazione dei compensi

3 M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, in Riv. Dir. Priv., n. 1, 2000, p. 142, nt. 7. 4 Si veda R. Costi, Il governo delle società quotate tra ordinamento dei mercati e diritto di società, in Dir. Comm. Int., 1998, p. 66 ss.

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degli amministratori, e da ultimo il Final Report (Committee on corporate governance, Final

Report, London, January, 1998), il quale ha continuato il lavoro intrapreso dai Cadbury e

Greenbury Reports. Negli Stati Uniti troviamo invece i Principles of Corporate Governance del

1994 (American Law Institute, Principles of Corporate Governance: Analysis and

Reccomendations, 2 voll., St. Paul, 1994).

Le ragioni che hanno spinto alla redazione di un codice di autoregolamentazione anche in

Italia non sono diverse da quelle che hanno ispirato analoghe iniziative all'estero.

La ragione principale dell'intervento sta nel fatto che si ritiene che l'esistenza di un Codice di

autodisciplina produca un effetto positivo sulla crescita della domanda di capitale di rischio e,

più in generale, sull'interesse dei risparmiatori ad investire in Borsa. La vita delle società per

azioni, infatti, dipende dal mercato, che le sottopone al suo giudizio economico. Il giudizio,

indubbiamente, si fonda anche sulla valutazione dell'assetto organizzativo e delle norme di

funzionamento che la società spontaneamente si è data.5

In un'ottica internazionale, la globalizzazione delle imprese e dei mercati induce a adottare

regole di best practice alla luce delle quali la comunità finanziaria internazionale può valutare i

comportamenti delle imprese. Le regole di governo societario alle quali le imprese si

conformano, quindi, devono essere in sintonia con quelle in uso in altri Paesi. Ciò permette sia

di effettuare comparazioni tra gli ordinamenti, sia di evitare di essere penalizzati nel confronto

internazionale sul piano della concorrenza tra sistemi.

Questi obiettivi erano già stati individuati dal presidente della Commissione che ha

predisposto il T.U.F. Il prof. Draghi, analizzando la realtà italiana, aveva sottolineato inoltre che

la via da percorrere per completare quegli aspetti della riforma che ragioni di opportunità

sconsigliavano di affidare alla normativa primaria o secondaria, era rappresentata

dall'autodisciplina.

5 Assonime, Principi di comportamento in materia di governo societario e di informazione al mercato, Roma, 1997, p. 2.

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A fine 1998 si sono determinate alcune condizioni favorevoli all'elaborazione di un codice

destinato alle società che si affacciano sul mercato. Il mercato dei capitali, infatti, ha

riacquistato uno ruolo centrale e la Borsa si è internazionalizzata e ha aumentato la sua

capitalizzazione. Infine le norme introdotte dal T.U.F. hanno creato un terreno ideale per

garantire l'allineamento dell'Italia ai mercati finanziari esteri più evoluti.6

GLI OBBIETTIVI DEL CODICE

Per meglio comprendere la filosofia ispiratrice del Codice, si procede ad un’analisi degli

obbiettivi che esso si propone di raggiungere.

In primo luogo bisogna precisare che il Codice si pone nei confronti delle società come uno

strumento in grado di rendere ancor più conveniente l'accesso al mercato dei capitali, in quanto

capace di garantire un alto livello di tutela dei risparmiatori e degli investitori istituzionali e si

presenta come garanzia della serietà delle imprese che lo adottano.

Sembra qui opportuno puntualizzare l'importante ruolo assunto dagli investitori istituzionali.

Essi, fino a pochi anni fa, manifestavano la loro insoddisfazione nei confronti di performance

negative di strumenti finanziari in cui avevano investito vendendo quanto in loro possesso (cd.

Wall Street Rule). Oggi questo non è più possibile senza che venga influenzato negativamente il

corso dei titoli, data la gran quantità di strumenti finanziari posseduta da tali soggetti. Essi

tendono quindi a difendere il valore dei propri investimenti monitorando e controllando l'attività

dei manager.7

In secondo luogo il Codice propone un modello di organizzazione societaria adeguato a

gestire il corretto controllo dei rischi d'impresa e i potenziali conflitti d'interesse, che sempre

possono interferire nei rapporti tra amministratori e azionisti e tra maggioranza e minoranze.

6 Si veda l’introduzione al Codice di autodisciplina scritta da S. Preda anche relativamente a quanto si dirà in seguito. 7 Cfr. F. Denozza, Analisi economica e diritto delle società per azioni, in AA.VV., Analisi economica del diritto privato, Milano, 1998, p. 317 ss; R. Costi, Risparmio gestito e governo societario, in Giur. Comm., 1998, I, p. 322 ss. In tale senso si esprime anche il Final Report, cit. Il potere di monitoraggio e controllo si estrinseca ad esempio attraverso l'esercizio del diritto di voto da parte delle società di gestione del risparmio relativamente agli strumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti.

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Questo modello organizzativo, si badi bene, non è da intendere come un insieme rigido di regole

e procedure da applicare senza impegno, ma come un'occasione di sviluppo per mercati e

imprese.

Ulteriore finalità individuata dal Codice è poi la massimizzazione del valore per gli azionisti,

il cui perseguimento è affidato in generale ad un buon sistema di corporate governance. Questo

dovrebbe innescare, nel lungo periodo, “un circolo virtuoso, in termini di efficienza e integrità

aziendale”, in grado di ripercuotersi positivamente anche sugli interessi dei cd. stakeholder.

Nonostante il formale riferimento agli interessi ulteriori rispetto a quello degli azionisti, in

concreto il Codice fa propria una nozione di efficienza intesa a massimizzare gli interessi degli

shareholder.8

I principi su cui si basa il Codice sono riconducibili alla flessibilità, alla libertà di

organizzazione delle imprese, alla trasparenza, e si pongono in maniera strumentale al

raggiungimento degli scopi sopra descritti. Flessibilità e libertà di organizzazione sono

necessarie per consentire al Codice di adeguarsi alle scelte strutturali delle diverse società che lo

adotteranno; la trasparenza è indispensabile per il buon andamento del mercato e per la tutela

dei risparmiatori e degli investitori istituzionali.

8 Sulle nozioni di efficienza, C. Angelici, Le “minoranze” nel decreto 58/98 “tutela”e” poteri”, in Riv Dir. Comm., 1998, I, p. 210, nt. 10.

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CAPITOLO 2: IL CONTENUTO DEL CODICE

Proseguiamo ora a esaminare in modo dettagliato il testo normativo, così da evidenziarne gli

aspetti più significativi e puntualizzare le tematiche che hanno maggiormente suscitato

l'attenzione dei compilatori durante il lavoro di redazione.

I principali problemi che hanno dovuto essere affrontati sono stati due. Da un lato, le norme

di diritto positivo, spesso a carattere inderogabile, hanno pesantemente condizionato e limitato i

possibili spazi di autoregolamentazione. Dall'altro, la struttura proprietaria delle imprese

quotate, che in Italia vede presenti molte società a proprietà concentrata accanto ad un numero

relativamente piccolo di società ad azionariato diffuso, ha contribuito a rendere eterogenea la

realtà da regolamentare. È stato necessario dunque, per non pregiudicare la significatività delle

previsioni del Codice, inserire al suo interno adeguati elementi di flessibilità.

Bisogna inoltre tener conto della funzione di supporto e di integrazione della normativa in

vigore che è stata assegnata al Codice: i redattori hanno dovuto determinare regole di best

practice, prima lasciate alla sensibilità delle singole imprese, e influenzare la prassi esistente

per renderla più coerente rispetto alle funzioni e alle esigenze delle società quotate.

Il testo normativo si compone di tredici articoli, dei quali i primi dieci trattano il consiglio

d'amministrazione e i comitati; l'undicesimo disciplina i rapporti tra società, investitori

istituzionali e soci; gli ultimi due riguardano il funzionamento dell'assemblea e del collegio

sindacale.

COMPOSIZIONE E RUOLO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

Il tema delle regole in materia di consiglio d'amministrazione negli ultimi anni, in Italia, è

stato oggetto di particolare attenzione da parte della letteratura giuridica, che da tempo ormai

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manifesta l'esigenza di un intervento volto a riformare, alla luce delle nuove esigenze, l'intera

disciplina del diritto societario.1

Il riferimento centrale nell'impianto del codice è costituito dal consiglio di amministrazione,

in quanto si ritiene che una buona corporate governance non può che avere come punto di

riferimento il ruolo, le competenze e i poteri dell'organo di gestione. Tale centralità è

riscontrabile anche in tutti gli altri codici europei. Il consiglio di amministrazione, infatti,

rappresenta lo snodo fondamentale per perseguire una politica di trasparenza dell'attività

d'impresa, di diffusione di un corretto flusso di informazioni all'interno della società e nei

confronti dei terzi e per raggiungere quella che gli anglosassoni chiamano accountability della

società.2

In via preliminare occorre tenere in considerazione i rapporti che intercorrono tra il disegno

dell'organo delineata dal Codice in esame e quello tracciato dalla normativa civilistica. Notiamo

un allineamento laddove viene tracciata una linea netta tra le competenze gestionali e le funzioni

di controllo e di sorveglianza sulla gestione. Occorre anticipare infatti che i redattori del Codice

si sono preoccupati di far sì che il governo delle società venga affidato contestualmente ad

amministratori esecutivi e ad amministratori non esecutivi. Questi ultimi devono avere

un'autorevolezza e essere in numero tale da garantire che il loro giudizio possa essere

determinante nelle decisioni del consiglio attraverso funzioni di vigilanza sulla gestione.3

Per rendere effettiva la funzione di vigilanza viene inoltre raccomandato che un congruo

numero di amministratori non esecutivi presenti anche la caratteristica dell'indipendenza. Questa

nozione viene ripresa dall’art. 3, che ne individua i tratti. Perché un amministratore possa essere

considerato indipendente non deve intrattenere relazioni economiche con la società di rilevanza

tale da condizionare il suo giudizio e non deve partecipare a patti parasociali per il controllo

della società stessa.4

1 G. Visentini, Argomenti di diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 1997. 2 Il termine è di difficile traduzione, letteralmente “responsabilità” . 3 Codice di autodisciplina, art. 2, c. 1. 4 Codice di autodisciplina, art. 3, lett. a e b.

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Viene specificato però che tutti gli amministratori dovrebbero presentare queste

caratteristiche, non esclusivamente quelli che, in particolare, vengono definiti indipendenti.5

Al consiglio di amministrazione fanno capo le funzioni e le responsabilità degli indirizzi

strategici e organizzativi, la verifica dell'esistenza dei controlli necessari per monitorare

l'andamento delle società. Proprio su questo punto il Codice sembra tracciare uno dei tratti di

maggiore novità e originalità rispetto al T.U.F. Fino alla sua adozione infatti l’efficienza della

corporate governance era affidata esclusivamente al T.U.F. Questo fatto trova giustificazione

nei limiti contenuti nella legge di delega6, che circoscriveva il capo d'intervento del legislatore

delegato alle materie del collegio sindacale, dei poteri delle minoranze, dei sindacati di voto, dei

rapporti di gruppo, con criteri che avevano come obiettivo quello di rafforzare la tutela del

risparmio e degli azionisti di minoranza. Nulla prevedeva riguardo al consiglio di

amministrazione. Il T.U.F. è solamente intervenuto indirettamente in materia di amministratori

per disciplinare l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e i flussi

informativi tra questi ultimi e il collegio sindacale.7

Erano previsti solamente strumenti esterni di controllo (quali la vigilanza e di controlli della

Consob, le offerte pubbliche di acquisto o di scambio8 e, più in generale, il mercato in tutte le

5 Si legga, a proposito, la Relazione al Codice di autodisciplina, p. 37: “il Comitato rileva che nella società ad azionariato diffuso l'aspetto più delicato consiste nell'allineamento degli interessi degli amministratori delegati con quelli degli azionisti. In tali società, quindi, prevale la caratteristica della loro indipendenza dagli amministratori delegati. Invece, nella società con proprietà concentrata, o dove si è comunque identificabile un gruppo di controllo, pur continuando sussistere la problematica nell'allineamento degli interessi degli amministratori delegati con quelli degli azionisti, emerge la necessità che alcuni amministratori siano indipendenti anche dagli azionisti di controllo, per permettere al consiglio di verificare che siano valutate con sufficiente indipendenza di giudizio i casi di potenziale conflitto tra gli interessi della società e quelli degli azionisti di controllo (…) la qualificazione dell'amministratore indipendente, non assume alcuna valenza, né positiva, né negativa, ma è semplicemente il risultato di una situazione di fatto: assenza, come recita la regola di relazioni economiche con gli amministratori delegati della società (specialmente per le società ad azionariato diffuso) e con i soci di controllo (specialmente per le società a proprietà concentrata) tali da condizionare per la loro importanza da valutare caso per caso, l'autonomia di giudizio ed il libero apprezzamento dell'operato del management. 6 Art 21, c. 4, l. 6 febbraio 1996, n. 52. 7 D. Lgs. n. 58/1998, rispettivamente art. 129 e 150. 8 E’ opinione diffusa in letteratura, e non solamente quella statunitense, che le offerte pubbliche di acquisto o scambio, dato che costituiscono eventi in grado di mettere a rischio la posizione del management, siano strumenti capaci di attenuare o risolvere il cd. agency problem. Il problema si verifica nel caso gli amministratori approfittino della loro posizione a svantaggio degli interessi degli azionisti e, più in generale, dei titolari di interessi istituzionali nei confronti della società, mostrando disinteresse e trascuratezza per i principi di gestione efficiente delle imprese. Cfr. D.R. Fischel, op. cit., p. 196. C Angelici, Le minoranze nel decreto 58/1998: tutela e poteri; in Riv Dir Comm, I, 1998, p. 209 e ss.

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sue componenti9) e rimedi cd. di autotutela diretta (cioè i poteri attribuiti direttamente alle

minoranze qualificate10) o delegata11.

Il Codice prende atto che i meccanismi di mercato e l'attribuzione di poteri alle minoranze

non sembrano, da soli, né sufficienti né adeguati per allineare gli interessi dei manager a quelli

degli azionisti. Di conseguenza cerca di favorire le gestioni più efficienti, operando nella

convinzione che una struttura interna e funzionale dell'organo amministrativo, rispettosa delle

norme vigenti, possa giocare un ruolo essenziale nel controllo dell'efficienza della gestione.

Il modello organizzativo e di gestione proposto tende, pertanto, ad individuare e a far luce su

alcune zone d'ombra del dettato normativo primario e su quanto normalmente viene dedotto dai

principi generali o risulta implicito.

All'articolo 1 è introdotto il principio di effettività, uno dei principi ispiratori del codice, che

impone che il consiglio, nella sua collegialità deve essere organo guida e di indirizzo strategico

tramite il quale gli azionisti sono in grado di monitorare l'operato del management. Da tale

principio si possono logicamente far discendere alcuni collari. Dato che proprio la collegialità e

le regole sulla composizione del consiglio12 hanno lo scopo di affievolire un rapporto di

derivazione e di dipendenza che potrebbe altrimenti sussistere tra proprietà e gestione, le società

quotate non possono avere un amministratore unico.13 Inoltre, il consiglio deve riunirsi con

cadenza regolare e con modalità tali da garantire che le sue funzioni vengano svolte

effettivamente e efficacemente. Possiamo notare che il tema della regolarità delle riunioni è

comune alla maggior parte dei codici europei; tra tutti facciamo riferimento al Cadbury Code,

che proprio all’art. 1.1 prevede che “the board should meet regulary, retain full and effective

control over the company and monitor the executive management”.

9 Secondo la visione che i mercati sono i migliori “cani da guardia” per sorvegliare l'opportunismo dei gruppi manageriali. 10 Art. 125, convocazione dell'assemblea; art. 128, denuncia al collegio sindacale e al tribunale; art. 129, azione sociale di responsabilità. 11 Art. 138, sollecitazione delle deleghe di voto; art. 148, sindaco di minoranza. 12 La soluzione proposta dal Codice garantisce una maggiore rappresentatività del consiglio, che si fa così portatore degli interessi di tutti gli azionisti. 13 Codice di autodisciplina, art 1.1

18

Il consiglio di amministrazione ha come funzione primaria quella di determinare gli obiettivi

strategici della società e di assicurare che questi vengano raggiunti, in un'ottica di creazione di

valore per gli azionisti.

Per questo scopo il Codice, all’art 1.2, precisa i poteri che spettano al consiglio di

amministrazione nella realizzazione di tali obiettivi. Le competenze del consiglio rappresentano

funzioni che non possono essere delegate e che vanno recepite nei singoli statuti come tali.

I compilatori hanno scelto di tipizzare potere, funzioni e responsabilità del consiglio come

organo collegiale. La scelta deriva dalla considerazione, già sperimentata in sede di redazione di

altri codici europei, che, prima di affermare la centralità del consiglio, è necessario formalizzare

competenze sue proprie; così si supera una tendenza legislativa secondo la quale destinatari di

doveri e vincolati rispetto ai cd. fiduciary duties sono gli amministratori come singoli, non il

consiglio in quanto tale.14

Emerge il quadro di un consiglio di amministrazione con funzioni di propulsione e controllo:

funzioni complesse che si estrinsecano sia nel potere-dovere di monitorare che non vi sia

un'eccessiva concentrazione di poteri di gestione in capo agli organi delegati15 e che non si

verifichino ipotesi di conflitto di interessi.16

La lettera a dell'articolo 1.2 attribuisce al consiglio il compito di esaminare e approvare piani

strategici, industriali e finanziari della società e la struttura societaria del gruppo di cui essa sia

capo. Rimane invece delegabile il potere di organizzare la struttura della società capogruppo. In

questa logica la norma si rivela come un'ulteriore specificazione di una novità strategica e di

controllo sulla struttura generale: appare naturale, del resto, che, se una società è holding di un

gruppo, il consiglio di amministrazione è chiamato a definire una strategia di gruppo.

Come previsto dalla lettera b dell'articolo 1.2 è il consiglio ad attribuire e revocare le deleghe

agli altri amministratori delegati e al comitato esecutivo. La norma definisce anche i limiti, le

14 A riguardo si veda F. Ghezzi, I “doveri fiduciari degli amministratori nei “Principles of Corporate Governance”, in Riv. Soc., 1996, p. 465 ss. 15 Codice di autodisciplina, art. 1.2 lett. b e d. 16Codice di autodisciplina, art. 1.2 lett. d.

19

modalità di esercizio e la periodicità con la quale i delegati devono riferire al consiglio in merito

all'attività svolta; il precetto viene poi ribadito all'articolo 5.

Questa norma ribadisce quindi il principio secondo il quale solo il consiglio è fonte di

attribuzione di deleghe, principio già affermato dalla dottrina che interpreta l'art. 2381 c.c.

Viene in tal modo impedito il ricorso alle cd. deleghe a cascata.

Troviamo inoltre cristallizzato il principio dell'informativa frequente tra consiglio e organi

delegati. Tale regola era già stata proposta in più occasioni da dottrina autorevole17, ed è stata

caldeggiata dalla stessa Consob con la Raccomandazione del 20 febbraio 1997.18

L’informativa sull'attività svolta dagli organi delegati, come emerge dal commento alla

norma in questione, deve essere commisurata alla frequenza dell'esercizio delle deleghe, al

variare del settore di attività e dalle dimensioni aziendali della società, al fine di evitare sedute

consiliari eccessivamente oberate, in quanto ciò che rileva è la qualità dell'informazione.

Il compito di vigilare sul generale andamento della gestione si concretizza nell'esame e

nell’approvazione delle operazioni che hanno un rilievo economico, patrimoniale e finanziario

significativo. Particolare attenzione va prestata alle operazioni con parti correlate, di cui all’art.

1.2, lett. d e e. La norma mutua, sebbene faccia uso di una terminologia che non sempre appare

sovrapponibile, quanto già disposto dalla citata Raccomandazione Consob e poi accolto

all'articolo 150 del T.U.F. La Consob, infatti, raccomandava gli amministratori che si trovassero

17 P. G. Marchetti, Corporate governance e disciplina societaria vigente, in Riv. Dir. Civ., 1996, p. 422, osservava che “si può pensare di utilizzare la delega ad un comitato esecutivo (...) per concentrare (nei limiti dell’art. 2381) in capo a quest'ultimo la gestione, con un'attenta disciplina dei rapporti tra esecutivo e plenum del consiglio tale da assicurare a quest'ultimo (...) con un'informativa interna regolamentata, tempestive puntuale, l'espletamento della vigilanza sul generale andamento. 18 Si veda P. Montalenti, Corporate Governance, Raccomandazioni Consob e prospettive di riforma, in Riv. Soc., 1997, p. 712 ss. Il problema dei flussi informativi, in quanto indissolubilmente legato ai profili di responsabilità, costituisce materia delicata. L'autore sottolinea come individuare tassativamente le informazioni che gli amministratori con deleghe di voto devono dare al consiglio, non appare una strada soddisfacente per garantire una corretta funzione di controllo da parte dei consiglieri non esecutivi e del consiglio in generale. Infatti, “se è vero che gli amministratori devono esercitare una funzione di vigilanza sul generale andamento della gestione, e quindi non già sui singoli atti gestori, e anche vero però che su di essi grava un dovere di attivazione con finalità interdittive o riparatorie in relazione a tali atti - quindi singoli atti - pregiudizievoli di cui siano conoscenza. Sotto questo profilo, se è vero che la carenza di informazioni rischia di svilire il ruolo degli amministratori non delegati, per contro l'eccesso di informazioni rischia di restringere sensibilmente l'area di responsabilità esclusiva dei delegati - gestori diretti dell'impresa sociale - espandendo in misura difficilmente prevedibile l'area della responsabilità solidale di tutti gli amministratori. Ma vi è di più: ove il consiglio venisse investito non solo ex post ma preventivamente di informazioni dettagliate di previsione o di indirizzo relativi a specifiche operazioni, potrebbe sorgere il dubbio che tutti gli amministratori siano e questo punto gravati da una responsabilità gestoria e diretta e non già da una responsabilità per omessa vigilanza.

20

a compiere operazioni infragruppo o con parti correlate, di valutare attentamente l'interesse della

società al compimento dell'operazione e di fornire una pubblicità adeguata e articolata.

Quest'ultima doveva consistere in un'esauriente informativa, fornita con cadenza periodica, in

merito all'attività svolta nell'esercizio delle deleghe; in un'informativa specifica e

particolareggiata per le operazioni in grado di incidere in maniera rilevante sulla situazione

economico-patrimoniale della società; in un'ulteriore informativa in caso di operazioni

infragruppo o con parti correlate o in caso di operazioni inusuali rispetto alla normale gestione

di impresa.19

Occorre qui precisare il principio che si desume dall’art. 1.2, lett. d e e. Dato che le regole in

esame individuano competenze del consiglio indelegabili, tali competenze devono essere

maggiormente specificate al fine di trovare un equilibrio tra due esigenze che derivano dal

principio di effettività. Una prima è che il consiglio sia centro strategico-politico; l'altra è che

l'attività del consiglio sia mantenuta snella.20 Gli statuti o la prassi delle singole società

dovrebbero dunque individuare le operazioni che si ritiene possano avere significativo rilievo

economico, patrimoniale o finanziario. Tali operazioni vanno esplicitate con il ricorso a criteri

qualitativi (si pensi, ad esempio, alle operazioni infragruppo per le quali non vi c'è ragione di

ritenere che siano indistintamente di competenza del consiglio) e non solamente quantitativi

(dimensione dell'operazione).

Una volta attribuita centralità al ruolo collegiale del consiglio, preoccupazione del Codice è

quella che, a prescindere dalle deleghe che possono essere attribuite, tutti coloro che lo

compongono siano in grado di dedicare il tempo necessario allo svolgimento di diligente dei

loro compiti. In caso contrario, come previsto all'articolo 13, gli amministratori non dovrebbero

accettare la carica.

19 A riguardo si veda P. Montalenti, Corporate governance, Raccomandazioni Consob e prospettive di riforma, cit., p. 713 ss. 20 Per una chiara esposizione dei rischi che derivano da un appesantimento delle competenze del consiglio (cd. alluvione informativa), si faccia riferimento a P. Montalenti, cit, p 727, che richiama anche le Reccomendations dell’American Law Institute.

21

La soluzione proposta non prevede un numero massimo di incarichi che la stessa persona

può assumere, dato che il limite sarebbe a priori difficilmente identificabile. Il criterio seguito,

più elastico, è tuttavia stringente in quanto gli amministratori devono rimanere occupati per un

congruo numero di ore in relazione alle attività che vengono loro affidate.

Come emerge dalla descrizione delle attribuzioni del consiglio di amministrazione, il Codice

intende tracciare una distinzione netta tra la gestione della società e il controllo e la sorveglianza

sulla gestione.21

Questa tendenza è molto diffusa nella prassi societaria italiana e si mostra in linea con la

struttura dell'organo amministrativo disegnata dal nostro ordinamento (art. 2392, c. 2, c.c.).

A conferma di quanto detto, il Codice distingue tra amministratori esecutivi22, con compiti

gestori, e amministratori non esecutivi, ai quali spettano funzioni di vigilanza sulla gestione. La

componente non esecutiva dà un contributo importante nei casi in cui si verifica un

disallineamento tra gli interessi gli amministratori esecutivi e quelli degli azionisti, come ad

esempio nel caso di lancio di un’opa ostile: il management della società target può attuare

tecniche di difesa semplicemente per conservare la propria leadership, mentre gli amministratori

esecutivi, in quanto estranei alla gestione, sono in grado di valutare da un’ottica disinteressata e

obiettiva le operazioni proposte dai manager, e indirizzare l'azione del consiglio alla sola

massimizzazione del profitto degli azionisti.

La differenza tra non executive directors e executive directors è conosciuta sia nel sistema

americano sia in quello francese, oltre ad essere raccomandata anche nel Cadbury Report e nei

Principles of Corporate Governance.

21 D. Casadei, La riforma della disciplina delle società con azionariato diffuso, in Riv. Soc, p. 982 ss, osserva che “il fondamento che, nei Paesi democratici, sembra sostituire quello della proprietà privata viene ad essere individuato nella responsabilità verso il mercato: a fronte di una posizione di controllo senza rischio di impresa, i poteri vengono equilibrati e rendono responsabili che effettivamente agisce. Allo stato attuale i fatti dimostrano che questo principio non risulta adeguatamente attuato e, stando ai risultati dell'analisi sin qui condotta, la prima causa è nell'insufficienza degli strumenti predisposti dalla legge al fine di garantire l'effettiva separazione fra gestione della società e poteri di controllo sulla stessa. 22 Per tali devono intendersi gli amministratori delegati, tra cui il presidente, quando gli vengano attribuite deleghe, e gli amministratori che ricoprono funzioni direttive della società.

22

Il Codice, tuttavia, non considera la contrapposizione tra il momento gestionale e quello di

controllo, se presa a sé stante, sufficiente a rendere effettiva la funzione di vigilanza e di

monitoraggio sul management. Per questo auspica l'adozione di alcuni meccanismi e strumenti

che vengono ritenuti adeguati a rafforzare tale funzione: una corretta disciplina dei flussi

informativi, un numero congruo di amministratori indipendenti e la presenza di comitati

deputati a specifici compiti.

LA DISCIPLINA DEI FLUSSI INFORMATIVI

Il Codice prevede che vengano attivati flussi informativi interni al consiglio

d'amministrazione, da coloro che sono preposti alla direzione verso coloro che ricoprono

funzioni di controllo23. Infatti, il comitato esecutivo e gli amministratori delegati, con cadenza

almeno trimestrale, devono rendere conto al consiglio delle attività che hanno svolto

nell’esercizio delle deleghe loro attribuite. In particolare, devono fornire adeguate informazioni

riguardo le operazioni atipiche, inusuali o con parti correlate il cui esame e la cui approvazione

non siano riservate al consiglio d'amministrazione24.

Questa previsione è volta a consentire un maggiormente consapevole esercizio della

funzione di sorveglianza, in quanto coloro che sono deputati al controllo si trovano a vigilare su

ciò di cui sono stati informati in precedenza. Gli amministratori, inoltre, grazie alla circolazione

continua delle informazioni, sono in grado di adempiere più puntualmente all'obbligo di

informare il collegio sindacale in merito all'attività svolta e alle operazioni effettuate dalla

società o da sue controllate che assumono maggiore rilievo economico, finanziario e

patrimoniale, in particolare le operazioni in potenziale conflitto di interessi.25

Tuttavia, l'esigenza di distribuire in modo completo le informazioni va temperata sempre

dall'esigenza di riservatezza: per questo il Codice, all’art. 6, prevede l'adozione di una procedura

23 Anche il legislatore tende ad individuare nell'informazione societaria in mezzo più adeguato per tutelare gli investitori e la trasparenza e l'efficienza del mercato. 24 Codice di autodisciplina, art 1.2, lett. b e art. 5. 25 Cfr T.U.F., art 150. Le modalità con cui gli amministratori devono provvedervi sono stabilite nell'atto costitutivo.

23

interna per la comunicazione di notizie relative alla società. La regola focalizza l’attenzione

sulla rilevanza e sulla delicatezza del trattamento della informazioni cd. price sensitive, ovvero

capaci, se divulgate, di influenzare il maniera rilevante l’andamento degli strumenti finanziari

emessi dalla società. Gli amministratori delegati sono considerati i soggetti più adatti a gestire

queste informazioni, e devono quindi valutare e proporre meccanismi adeguati per divulgare

all'esterno documenti riguardanti la società, con particolare riferimento, dunque, a quelle

informazioni la cui diffusione può incidere sul prezzo dei titoli.

Concludendo, è compito degli amministratori valutare le modalità con cui raggiungere un

buon sistema di circolazione delle informazioni; spetta invece al consiglio, nella sua collegialità

e sotto la propria responsabilità, adottare i provvedimenti necessari perché questo risultato sia

raggiunto.

GLI AMMINISTRATORI INDIPENDENTI

L’esigenza che l'interesse sociale sia in ogni momento perseguito e valutato da parte del

management nell'esercizio dell'attività, spinge il Codice a raccomandare la presenza, tra gli

amministratori non esecutivi, di un numero adeguato di amministratori cd. indipendenti.

La figura dell'amministratore indipendente è conosciuta da tutti i codici di

autoregolamentazione europei, i quali considerano tale presenza come significativa e

qualificante dell'autoregolamentazione stessa. In merito va di sottolineato come, dalla lettura dei

rapporti allegati ai vari codici, emerge non di rado la consapevolezza che per raggiungere buoni

livelli di governance non si può prescindere dal consolidamento, nei vari ordinamenti giuridici,

di una tradizione che affermi l’importanza per un'impresa del suo livello di credibilità sul

mercato. Non servono dunque solo regole, ma è necessario lo sviluppo della cultura della cd.

accountability.

24

Inoltre, stando a quanto emerge da alcune statistiche26, l'introduzione della figura

dell'amministratore indipendente nell'organico di una società risponde ad un'aspettativa di

mercato.

Nel commento all’art. 3 si legge che la qualificazione dell'amministratore non esecutivo

come indipendente non assume alcuna valenza positiva o negativa, ma è semplicemente il

risultato di una situazione di fatto. La norma prevede che vengano considerati indipendenti

coloro che non stringono con la società e le sue controllate, con gli amministratori della società

e con i soci di controllo, relazioni economiche di entità tale da condizionare l'autonomia di

giudizio e il libero apprezzamento dell'operato del management. Ulteriore requisito è dato

dall’assenza di titolarità, diretta o indiretta, di partecipazioni che permettano di esercitare il

controllo o di partecipare a patti parasociali per il controllo della società.

Come sottolineato da De Mari27, il criterio dell'indipendenza è stato preferito a quello

dell'amministratore “di minoranza”, talvolta considerato come strumento adeguato per

fronteggiare il potere dei gruppi di controllo in sede di gestione, in quanto ritenuto criterio

idoneo a rappresentare gli interessi dell'azionariato diffuso. Sembra dunque che il Codice abbia

tenuto conto di quelle istanze che additavano come populista la battaglia per l'amministratore di

minoranza, che non assicurava di per sé la competenza, la funzionalità e l'autonomia del

consiglio.28

L’introduzione della figura dell'amministratore indipendente assolve almeno a due

importanti funzioni.

26 Cfr ABI, serie legale n. 43, 15 novembre 1999, p. 11, nt. 23. Nel 1997 una società specializzata nell'assistenza agli investitori istituzionali di minoranza, la De Minor, ha riscontrato che, su un campione di 110 investitori istituzionali europei, l'85% richiedeva la presenza dei consiglieri indipendenti e il 79% l'adozione di un codice di comportamento. A risultati simili perviene Astra nel settembre 1998, con un sondaggio commissionato da Assogestioni. 27 M. de Mari, op. cit, p. 151. 28 In questo senso si esprime P.G. Marchetti, Corporate Governance, cit., p. 421. C'è tuttavia chi ha sostenuto che la nomina da parte delle minoranze rafforza l'indipendenza dell'organo, che diventa espressione di tutti i soci e non soltanto del gruppo di controllo: cfr. R. Weigmann, Il buon governo delle società bancarie, in Banca, impresa, società, 1998, p. 24, nt, 4.

25

In primo luogo consente di adeguare la governance italiana ai Codici e alle listing rules delle

principali Borse valori, che considerano una regola di best practice tale presenza nel consiglio

di amministrazione29.

In secondo luogo si bilancia il rischio di autoreferenzialità dei consigli di amministrazione.

Questi infatti, come mostra la prassi, sono spesso espressione esclusiva del gruppo di controllo

o, comunque, sono nella maggior parte composti da soggetti interni al gruppo stesso.

I COMITATI SPECIALIZZATI

L'esperienza di quelli che vengono definiti committees nasce e si sviluppa in connessione con

il funzionamento delle cd. public companies statunitensi e anglosassoni, ovvero in quelle realtà

societarie in cui l'azionariato è diffuso. In tali contesti si crea una netta separazione tra

l'azionariato e i manager, e prendono vita quei problemi di agenzia che la presenza di un

azionariato ristretto di controllo rendono di minor rilevanza.

In Italia si può osservare che il principale problema di agenzia sussiste tra il capitale di

controllo e le minoranze; solo in casi limitati è possibile ipotizzare conflitti tra mercato e

manager, data l'assenza di situazioni societarie paragonabili a quelle delle public companies

americane. Occorre poi considerare che nel nostro sistema societario la dialettica

gestione/controllo è attribuita al rapporto tra consiglio di amministrazione e collegio sindacale.

Il T.U.F. ha affidato a quest'ultimo organo, la cui composizione risulta arricchita dalla presenza

di soggetti espressione della minoranza azionaria, compiti di verifica sostanziale sull'operato di

amministratori. Tutto ciò mette in luce come nel nostro Paese, sia per l'assenza di società di

dimensioni tali da richiedere la presenza di organi satelliti del consiglio di amministrazione, sia

per il radicato convincimento che il sistema duale consiglio/collegio sindacale sia sufficiente a

29 Non va trascurata l'esigenza di colmare i divari di disciplina che esistono tra i vari ordinamenti qualora ci si trovi a decidere se aderire o meno ad una determinata regola di best practice. L'omologazione dei comportamenti delle società italiane con quelli riscontrabili nei mercati dotati di maggiore vastità consentono di affievolire una supposta “maggior opacità” con la quale le nostre imprese si presentano sul mercato, nonostante tali scelte possono apparire eccentriche rispetto alla nostra tradizione giuridica. A riguardo si veda M. Cattaneo, L’attività dei “Committees”, in Il governo delle banche in Italia, a cura di Riolo e Masciandaro, Roma, 1999., p 312.

26

garantire un'adeguata dialettica interna alla società, non è mai stato posto il problema dei

comitati esterni al consiglio in termini generali.

I Codici europei, tuttavia, anche nei Paesi che presentano una situazione societaria simile a

quella italiana (come la Francia e la Spagna), conoscono, disciplinano o raccomandano

l'istituzione di comitati composti da amministratori non esecutivi, e in maggioranza

indipendenti, con la funzione di monitorare specifiche questioni di interesse delle minoranze e

del mercato, tra i quali troviamo i sistemi di controllo interno, la remunerazione degli

amministratori e la completezza dell'informazione.

La presenza dei comitati può dunque interessare non solo le grandi società o le società con

azionariato estremamente frammentato, ma tutte le società quotate che intendano dotarsi di un

sistema adeguato di governance.

Per sostenere questa tesi si deve tener presente che i processi di privatizzazione, tuttora in

corso, e l'aumento della contendibilità del controllo societario garantito da una recente

normativa sull’opa, rendono possibile una reazione del capitalismo italiano, che deve muoversi

sui mercati in modo adeguato per non essere soppiantato dal generale controllo straniero sulle

grandi imprese.30 Ciò può avvenire mediante l'adozione di modelli organizzativi adeguati e

conformi a quelli internazionalmente riconosciuti, ossia realizzando nelle imprese italiane

schemi integrati di controlli interni capaci di accompagnare la creazione di nuovo valore nelle

diverse aree d'affari in cui si articola l'impresa. Tali schemi implicano un'attività complessa, che

risulta difficilmente esercitabile qualora ci si limiti a mantenere la struttura tradizionale del

consiglio di amministrazione.

La soluzione proposta dal Codice era stata caldeggiata dalla dottrina, che già aveva

riconosciuto la legittimità di quelle previsioni statutarie che consentivano di costituire comitati

specializzati tramite il rilascio di deleghe da parte del consiglio di amministrazione31.

30 In tale senso M. Cattaneo, L’attività dei “Committees”, cit., p. 334. 31 Si veda P.G. Marchetti, Corporate Governance, cit., p. 422.

27

IL COMITATO PER LE PROPOSTE DI NOMINA

L'articolo 7 del Codice invita le società ad operare secondo una procedura trasparente e

flessibile con riguardo alle proposte di nomina dei componenti del consiglio d'amministrazione.

Dal commento alla norma emerge come venga preso atto della circostanza per cui le proposte di

nomina sono responsabilità degli azionisti, in particolare quelli di maggioranze di controllo. Si

raccomanda che siano dichiarate con adeguato anticipo le caratteristiche personali e

professionali dei candidati che, a giudizio di chi li propone, li rendono idonei alla nomina.

Questa previsione, oltre a contribuire ad una politica di trasparenza delle nomine, svolge

l'importante funzione di assicurare che, a nomine fatte, vi siano soggetti dotati dei requisiti

necessari a ricoprire la carica di amministratore indipendente. È opportuno che già al momento

della proposta un soggetto sia indicato come idoneo a ricoprire tale carica, permettendo così agli

azionisti e agli investitori istituzionali di esercitare il proprio voto in maniera consapevole.

La regola in questione implicitamente raccomanda al consiglio di valutare la possibilità di

costituire un apposito comitato per le nomine32, la cui utilità è evidente soprattutto nelle società i

cui azionisti, essendo il capitale polverizzato, possono incontrare difficoltà nel predisporre le

proposte di nomina; infatti, più l'azionariato e disperso, maggiori sono le difficoltà nel

raccogliere consensi in merito a possibili candidati comuni.

L'adozione di tale comitato non è obbligatoria, nel senso che, anche qualora non venga

costituito, non comporta l'onere per le singole società di giustificare l'avvenuto disallineamento

dal dettato del Codice.

32 La raccomandazione di adottare un Nomination Committee è piuttosto diffusa nei Codici (o Rapporti) europei; si veda, ad esempio, il Cadbury Report, art. 4.21, e l’Hempel Report, par. 3.19., che prevedono che tale comitato sia costituito da amministratori non esecutivi.

28

IL COMITATO PER LA REMUNERAZIONE

L’importanza della questione relativa alla determinazione del compenso dei manager della

sua rilevanza in termini di corporate governance non è sfuggita ai redattori del Codice.33

L'articolo 8, infatti, raccomanda espressamente l’istituzione di un comitato per le proposte sulla

remunerazione degli amministratori delegati e di quelli che ricoprono particolari cariche,

nonché, su indicazione di amministratori delegati, dell'alta dirigenza.

La remunerazione degli amministratori è una tematica centrale nella logica

dell’accountabilty delle società quotate: prova ne sia la grande importanza che essa assume

nelle regole di best practice.

Dai vari codici europei emergono in materia diversi principi comuni, che si fondano in primo

luogo sulla necessità che i compensi siano tali da attrarre e mantenere i consiglieri di cui la

società ha bisogno per essere guidata con successo34.

In secondo luogo viene sottolineata l'opportunità che gli emolumenti siano proporzionati alla

qualità e alla quantità del lavoro prestato e che siano anche strutturati in modo da collegare la

parte variabile del compenso all'andamento della società.

Per gli amministratori indipendenti viene raccomandata l'adozione di un meccanismo che

proporzioni la retribuzione al tempo dedicato alla società, dato che la funzione da svolgere

all'interno della società non è tanto quella di far aumentare i profitti, quanto quella di fornire un

contributo alla elaborazione di strategie e al controllo del buon funzionamento della gestione.

Per gli amministratori esecutivi invece la parte non fissa di retribuzione deve essere collegata

all'andamento della società e alle performance personali35.

33 Nel Regno Unito il Code of Best Practice predisposto dal Greenbury Commitee affronta in maniera specifica l'argomento ed è servito come chiaro punto di riferimento ai redattori del nostro Codice. Inoltre, la questione della remunerazione dei dirigenti costituiva problema centrale dell'analisi della scissione tra proprietà e controllo nelle grandi società: cfr. A.A. Berle, G.C. Means, The modern Corporation and Property, New York, 1932, trad. it. Società per azioni e proprietà privata, Torino, 1996, p. 112 ss. 34 In tal senso si esprimono, all'art. 1, l’Hempel Report ed il recente Combined Code anglosassone, formulato proprio per esplicitare, alla luce delle esperienze maturate in seguito all'entrata in vigore dei codici Cadbury ed Hempel, nuovi criteri di best practice in materia di remunerazione. 35 Cfr. Cadbury Code, art. 3.2; Hempel Report, art. B-1; Combined Code, Preamble.

29

Viene inoltre esplicitata la necessità che la parte di retribuzione variabile non sia sterilizzata

a tal punto da determinare il rischio che possa essere perseguita una strategia di breve periodo

volta a creare profitto nell'immediato, ma poco proficua e lungimirante ai fini della

massimizzazione, nel medio-lungo periodo, del valore degli strumenti finanziari e quindi delle

partecipazioni dei soci. L’incentivo che spinge il management, data la partecipazione agli utili,

ad attuare una strategia diretta all'ottimizzazione nel breve termine, viene annullato o temperato

attraverso l'adozione i meccanismi di maggiorazione retributiva legata ai corsi azionari. Infatti,

la tecnica di attivare stock options o premi parametrati alle performance dei titoli azionari

risente necessariamente anche delle eventuali valutazioni negative del mercato sulle aspettative

di lungo periodo della società36. A proposito di stock options occorre segnalare che nell’Hempel

Report, all’art 4.8, le società sono invitate ad utilizzare lo strumento con cautela, pur

considerando l’indubbia utilità che mostra per la finalizzazione e incentivazione alla

massimizzazione del valore delle partecipazioni37.

Da ultimo i codici europei invitano a far sì che le modalità e le procedure per la

determinazione della remunerazione siano trasparenti, e quindi adeguatamente pubblicizzate38.

Questi principi comuni sono trasfusi nel Codice, che propone un sistema secondo il quale in

materia di remunerazione le decisioni vengano prese con un sistema tale per cui nessun

amministratore può, individualmente, influire sulla determinazione del proprio compenso, dato

che esiste una procedura trasparente che impone la diffusione di un'informativa adeguata sia sul

quantum dei compensi, sia sui metodi per la sua determinazione. Al riguardo è possibile notare

che in questa materia la normativa in vigore risulta già orientata verso una logica di trasparenza

anche. Lo dimostrato, da ultimo, le disposizioni regolamentari della Consob di attuazione del

T.U.F., che obbligano gli emittenti a divulgare articolatamente l'entità e le caratteristiche dei

compensi degli amministratori nell'ambito della nota integrativa al bilancio d'esercizio.

36 Si veda a riguardo, Milgrom, Roberts, Economia, organizzazione e management, Bologna, 1994, p. 618 e ss. 37 “We do not recommend what proportion of remuneration should be paid in this way, nor do we think that this need be universal practice”. 38 Cfr. Cadbury Code, art. 2.2; Combined Code, art. 1.

30

Viene inoltre esplicitato il principio, esaminato in precedenza, in forza del quale i compensi

degli amministratori delegati sono , per la parte variabile, parametrati ai risultati economici della

società o al raggiungimento di obiettivi specifici preventivamente indicati dal consiglio di

amministrazione.

E’ da escludersi, data la funzione solo propositiva del comitato in esame, un contrasto con

l'articolo 2389, c. 2, cc., che attribuisce al consiglio di amministrazione, sentito il parere del

collegio sindacale, il potere di stabilire i compensi di amministratori incaricati di particolari

cariche in conformità all'atto costitutivo.

L'articolo 8 attribuisce inoltre al Comitato in esame il compito di proporre al consiglio, in

conseguenza delle indicazioni fornite da lì amministratori delegati, l'adozione di criteri di

remunerazione dell'alta direzione utili, come si legge nel commento alla norma, ad attrarre e

motivare persone di livello e esperienza adeguati. Per perseguire questo scopo esso può

avvalersi di consulenti esterni, che vengono spesati dalla società. Quest'ultima previsione risulta

in sintonia con quanto già sperimentato in altri Paesi, sancendo ciò che altrove è ormai prassi

acquisita, ma che in Italia può essere considerato come una novità. Infatti, il T.U.F. attribuisce

ai membri del collegio sindacale la facoltà di fare ricorso soggetti esterni alla società, ma a

proprie spese39.

La regola del Codice fa dunque proprio il principio del cd. outside advice da parte del

comitato, a patto che la possibilità non si trasformi in un onere eccessivo a carico della società e

che il ricorso a consulenti esterni venga fatto solo in caso di reale necessità.

IL COMITATO PER IL CONTROLLO INTERNO

Nell'ambito dei comitati specializzati assume particolare rilievo il Comitato per il controllo

interno, previsto all'articolo 10 del Codice, a cui è affidato il compito di valutare l'adeguatezza

del sistema di controllo interno. Tale funzione va assumendo un ruolo centrale e una valenza

39 T.U.F., art. 151, c. 3. In materia si veda la trattazione di D. Caterino, Collaboratori del sindaco e organizzazione del controllo contabile nelle società di capitali, in Giur. Comm., 1, p. 183 ss.

31

strategica all'interno dell'organizzazione aziendale delle grandi imprese; l'istituzione di questo

organismo sembra, inoltre, avere una ricaduta significativa sulle competenze e sulle

responsabilità del collegio sindacale, e sembra riservare all’organo un ruolo di seconda istanza

nella sorveglianza dei sistemi di controllo.

L'ordinamento bancario aveva già da tempo riservato attenzione al sistema dei controlli

interni, ma in Italia, fino all'entrata in vigore del T.U.F., mancava una disciplina in materia

applicabile alle società quotate.

Tale assenza ha rappresentato un disallineamento significativo tra l'ordinamento italiano e

quelli europei.

La funzione di controllo interno, infatti, può essere intesa come quel processo che ha lo

scopo di fornire ragionevole sicurezza sull'efficienza e l'efficacia delle procedure e delle

strutture organizzative finalizzate a realizzare gli obiettivi e le strategie aziendali. In tal senso

essa garantisce la diffusione della cultura dell’accountability40, a tutti i livelli della struttura

organizzativa della società.

Recependo quella che era stata una diffusa prassi aziendalistica, il T.U.F. ha conferito

rilevanza giuridica al sistema di controllo interno, senza però definire cosa si dovesse intendere

con questa locuzione41. La funzione di controllo interno è, invece, espressamente definita con

riguardo agli intermediari autorizzati all'esercizio di servizi di investimento e con riguardo alle

banche e ai gruppi bancari.42

40 L’ISVAP, con circolare n. 336 del 3 marzo 1999, in materia di revisione, collegio sindacale e sistema di controllo interno, sottolinea l'esigenza che le imprese di assicurazione diffondano la “cultura del controllo”. 41 Gli standard di revisione contabile nazionale e internazionali definiscono il sistema di controllo interno come insieme delle direttive, delle procedure, delle tecniche che vengono adottate dall'azienda al fine di garantire la conformità dell'attività aziendale all'oggetto sociale ed alle direttive ricevute, la salvaguardia del patrimonio aziendale e l'attendibilità dei dati prodotti dal sistema informativo. Ne fanno parte sia il sistema di controllo gestionale, ovvero la contabilità analitica ed il controllo di gestione in generale, sia il sistema amministrativo-contabile, che ha come oggetto la contabilità generale, la formazione dei bilanci e la predisposizione delle altre informazioni finanziarie esterne, ad esempio la relazione semestrale. Rientrano inoltre nel sistema di controllo interno alle direttive e le procedure per il corretto funzionamento delle diverse unità organizzative come i servizi e gli uffici. In merito cfr. M. Carattozzolo, I nuovi principi di comportamento per i sindaci delle società quotate: un primo commento (prima parte), in Le Società, 1999, p. 1296 e ss. 42 Cfr. artt. 56 e 57 del Regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, che concerne la disciplina degli intermediari.

32

Il dettato normativo stabilisce solamente che il collegio sindacale vigila sull'adeguatezza del

sistema di controllo interno43 e sottrae alla normale struttura gerarchica coloro che sono preposti

al controllo interno, dal momento che essi devono riferire direttamente collegio sindacale44.

Implicitamente emerge la necessaria esistenza del sistema di controllo interno e il dovere per i

sindaci di segnalare agli altri organi sociali e alla Consob non solo l'eventuale sua

inadeguatezza, ma, a maggior ragione, la sua assenza.

Il Codice si inserisce in questo contesto prevedendo due regole: la prima, generale, descrive

l'oggetto e la funzione del controllo interno; la seconda prescrive l'adozione di un apposito

Comitato di audit.

Da quanto si legge nell'articolo 9.2, compito del sistema di controllo interno è quello di

“verificare che vengano effettivamente rispettate le procedure interne, sia cooperative, sia

amministrative, adottate al fine di garantire una sana e efficiente gestione, nonché al fine di

identificare, prevenire e gestire nei limiti del possibile rischi di natura finanziaria e operativa e

frodi a danno della società”.

Allo scopo vengono nominati uno o più preposti che sono privi di vincoli gerarchici nei

confronti dei soggetti sottoposti al loro controllo. Questo avviene già in alcune società quotate

ed è previsto dalle disposizioni di vigilanza applicabili ad alcune categorie di intermediari

finanziari, per evitare qualunque forma di interferenza con l'autonomia di giudizio di tali

soggetti.

Gli amministratori delegati devono assicurare che il sistema di controllo interno sia

funzionale e persegua i propri obiettivi in modo adeguato. Nei codici anglosassoni l'attribuzione

agli amministratori del dovere di rendere conto dell'efficacia dei sistemi di controllo interno –

locuzione utilizzata dal Cadbury Code, art. 4.5 – ha suscitato vivaci polemiche, tali da indurre

43 T.U.F., art. 149, c. 1, lett. c. 44 T.U.F., art. 150, c. 3.

33

la successiva commissione Hempel ad eliminare il riferimento alla “efficacia”, perché

eccessivamente oneroso per gli amministratori stessi.45

Il Comitato per il controllo interno è obbligatorio e deve essere costituito da un numero

adeguato di amministratori non esecutivi e organizzato in modo tale servire come struttura

capace di condurre una dialettica adeguata sia con gli amministratori delegati sulle tematiche di

salvaguardia dell'integrità aziendale, sia con le società di revisione, sia con il collegio sindacale

– il cui presidente, così come gli amministratori delegati, può partecipare alle riunioni del

comitato stesso.

Nel commento alle regole in esame viene specificato che le materie elencate costituiscono

un'indicazione non esaustiva, ed è pertanto nei poteri del consiglio integrare ulteriori compiti da

affidare al comitato in funzione delle caratteristiche aziendali.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

E’ opportuno a questo punto precisare brevemente il ruolo ricoperto dal Presidente del

consiglio di amministrazione.

Le soluzioni accolte dai vari codici europei risultano anche in questo caso sostanzialmente

trasfuse nell'articolo 4 del Codice. Il Presidente è responsabile del funzionamento del consiglio

e del coordinamento delle sue attività, nonché del flusso di informazioni che il consiglio deve

ricevere dagli amministratori esecutivi per poter decidere con consapevolezza.

La figura svolge un ruolo attivo, come emerge dal combinato disposto dell'articolo 4 e

dell'articolo 11, nel curare i rapporti con gli azionisti, e in particolare con gli investitori

istituzionali. Questi soggetti, infatti, data la rilevanza che assumono nella vita della società, sono

destinatari di un dialogo privilegiato con gli organi della società in cui investono.

Anche i codici di autoregolamentazione europei prestano particolare attenzione alla figura

degli investitori istituzionali e contengono regole volte a rendere più efficace l’informativa in 45 Cfr. Hempel Code, art 6.12 : “the word effectiveness should be dropped from point 4.5 in the Cadbury Code”. Si prescrive che la regola in questione deve essere letta nel senso che gli amministratori dovrebbero rendere conto del sistema di controllo interno della società escludendo qualunque valutazione sulla sua efficienza.

34

merito all'attività della società. Gran parte delle regole concernono il flusso informativo tra

consiglio di amministrazione e azionisti, tra cui, in particolare, gli investitori professionali, e si

pongono lo scopo di formalizzare il necessario dialogo che la società deve intrattenere,

attraverso incontri periodici, con questi azionisti, senza sottovalutare il rischio che ciò possa

comportare l'accesso ad informazioni sensibili.46

Quindi, ferma restando la possibilità per ciascun socio di intrattenere rapporti individuali con

gli amministratori e con il Presidente, si può anche immaginare che quest'ultimo, ovvero gli

amministratori esecutivi, decidano di organizzare strutture adatte a mantenere in via stabile i

rapporti con gli investitori istituzionali, le associazioni dei piccoli azionisti e gli altri soci.

Questa sembra essere, inoltre, la ratio sottesa al disposto dell’art. 11.

L'articolo 4. 3 si occupa del caso in cui il Presidente sia dotato di deleghe operative.

Un'indagine conoscitiva effettuata dalla Borsa Italiana S.p.A. nel corso dei lavori di redazione

del Codice dimostra che nella realtà italiana accade di frequente che il Presidente ricopra anche

la funzione di amministratore delegato o che riceva deleghe operative, a volte anche in presenza

di altri amministratori delegati.

I Codici europei si mostrano sfavorevoli al fatto che le cariche di Presidente e di

amministratore delegato coincidano nella stessa persona. Come regola di best practice viene

infatti individuata la separazione dei ruoli, perché la sovrapposizione delle due funzioni chiave,

ossia quella di chairman e di chief executive, all'interno delle società quotate, rischia di portare

ad un'eccessiva concentrazione di poteri decisionali nelle mani di un'unica persona, a scapito

dell'equilibrio delle decisioni assunte.47

Su questo punto il Codice afferma solamente che, qualora si verifichi tale concentrazione di

funzioni, devono essere compiutamente indicate quali ragioni hanno portato ad intraprendere

questa scelta organizzativa e quali conseguenze si hanno in termini di attribuzione delle varie

competenze tra il Presidente-amministratore delegato e gli altri consiglieri con delega.

46 In tal senso si esprime l’Hempel Report, par. 33 ss. 47 A proposito si veda Cadbury Code, art. 1.2; Cadbury Report, art. 4.9: Hempel Report, art 3.8.

35

I RAPPORTI CON GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI E GLI ALTRI SOCI

Come già anticipato, l'articolo 11 prende in considerazione i rapporti tra società e soci, con

particolare riferimento all'interazione con gli investitori istituzionali.

Il Presidente e gli amministratori delegati devono curare con questi soggetti un dialogo che

rispetti la procedura sulla comunicazione di documenti di informazioni che riguardano la

società, ovvero senza anticipare agli investitori stessi alcuna notizia che possa influenzare il

mercato. Tale dialogo, nell'intenzione dei redattori, dovrebbe costituire un elemento apprezzato

dai soci, sia attuali sia potenziali48.

Il Codice prevede la presenza della figura di un responsabile delle relazioni con gli

investitori professionali – che nelle società di dimensioni medio-piccole può anche essere

rappresentata dai vertici aziendali – senza tuttavia esplicitarne i compiti e i doveri.

Del resto in Italia già nello stesso T.U.F. si può rinvenire l'inizio di un processo che ha

portato alla presa d'atto dell'importanza di coinvolgere quegli investitori che, data la loro

capacità di comprensione di analisi, costituiscono uno stimolo costruttivo alla buona

governance delle imprese. Tale testo normativo, in particolare con riferimento alla disciplina

delle deleghe di voto, sembra attribuire poteri e strumenti di più intensa partecipazione alla

gestione non tanto a minoranze disorganizzate, quanto a soggetti in grado di raccogliere e

rappresentare porzioni rilevanti di capitale. Alcuni hanno rilevato che l'istituto in questione,

postulando l'intervento di un intermediario e il possesso di un investimento pari almeno al 1%

del capitale sociale rappresentato da azioni con diritto di voto, risulta oneroso; la legge tuttavia

attribuisce alla Consob il potere di stabilire, per le società dall'elevata capitalizzazione e ad

48 A riguardo si veda S. Erede, R. Cera, Il ruolo di investitori istituzionali, in Il governo delle banche in Italia, cit., p. 381. L'autore sottolinea che, perché si possa parlare di un mercato dei capitali d'impresa evoluto e moderno, occorre la presenza ed il coinvolgimento degli investitori istituzionali. Un mercato che non sia in grado di consentire a questa categoria di investitori di influenzare la corporate governance delle imprese nelle quali hanno investito, è destinato a non attrarre i capitali che tali operatori potrebbero mettere a disposizione.

36

azionariato diffuso, percentuali di capitale inferiori con riguardo al limite del possesso

azionario.49

Risulta pertanto convincente l'opinione di chi, invece, considera questo strumento un'arma

efficace per indurre gli investitori istituzionali ad aprire quel dialogo continuativo con il

management delle società, dialogo che “oggi è appannaggio soltanto delle cosiddette prestazioni

agli analisti, normalmente deputate ad assolvere ad altre finalità, senza necessariamente tradursi

in un effetto per il mercato e per l'interesse degli investitori medesimi”.50

Il comitato ha funzioni consultive, propositive e istruttorie in ordine alla funzione di

controllo interno, svolge pertanto un compito strumentale rispetto a quello del consiglio di

amministrazione, affinché quest'ultimo sia in grado di esercitare una vigilanza effettiva sulle

procedure interne. Il comitato valuta e non semplicemente vigila sull'adeguatezza del sistema di

controllo interno, come è invece imposto al collegio sindacale dall'articolo 149, c. 1, lett. c,

T.U.F. Da alcuni è stato sottolineato, pertanto, che l'istituzione generalizzata di una funzione di

controllo interno nella previsione di un comitato specializzato per il controllo di tutte le

procedure finalizzate ad assicurare la funzionalità e l’adeguatezza del sistema di controllo

interno è in grado di determinare aree di possibile sovrapposizione tra competenze, poteri e

responsabilità degli amministratori non delegati e dei sindaci51. Conseguentemente, il ruolo del

collegio sindacale è ridimensionato allo svolgimento di compiti di mera supervisione sulla

vigilanza già svolta dal consiglio di amministrazione.52

49 Alcuni criticano il fatto che la disciplina sulle deleghe di voto possa rappresentare uno strumento, seppur indiretto, idoneo ad incentivare la partecipazione di investitori alla vita della società. Essi sottolineano come gli investitori istituzionali che intendessero aggregarsi per conseguire le finalità sottese dallo strumento a disposizione, andrebbero incontro ad alcune problematiche per gli effetti previsti dall'articolo 122 del T.U.F., con particolare riferimento a quanto disposto dalla lett. d sub c. 4. “Non si può escludere infatti che una forma di associazionismo fra investitori istituzionali volta l'utilizzo dello strumento della richiesta di convocazione dell'assemblea, seguita da un comportamento coerente in sede assembleare, sia idonea a far ritenere tra essi l'esistenza di uno di quei patti, in qualunque forma stipulati, da cui possa risultare l'esercizio di un'influenza dominante sulla società a diffusa capitalizzazione con ogni conseguenza in ordine all'applicabilità di effetti di cui all'articolo 109 del T.U.F”, S. Erede, R. Cera, Il ruolo di investitori istituzionali, in Il governo delle banche in Italia, cit., p. 392 50 S. Erede, R. Cera, Il ruolo di investitori istituzionali, in Il governo delle banche in Italia, cit., p. 393 – 4. 51 M. de Mari, op. cit., p. 155. 52 Non è opportuno affrontare in questa sede il tema del nuovo sistema dei controlli sindacali nelle società per azioni quotate, occorre tuttavia dire che, dopo che è stata sottratta al collegio sindacale la competenza contabile e gli è stato attribuito un ruolo di supervisione di seconda istanza sui sistemi di controllo, la dottrina si interroga sull'opportunità di mantenere il collegio sindacale nel sistema normativo vigente ed insiste sulla necessità di rivedere questa figura. P.G. Marchetti, Corporate governance, cit., p 422; R. Costi, Il governo delle società quotate, cit., p. 86.

37

ASSEMBLEE E SINDACI

Le previsioni del codice Codice in materia di assemblee – art. 12 – e di sindaci – art. 13 –

non sembrano assumere una portata particolarmente innovativa.

L'articolo 12 detta regole che hanno il compito di recuperare la centralità del ruolo

dell'assemblea come momento principe del dibattito sociale, in un sistema in cui si affermano

sempre più principi che autorizzano e incentivano una gestione extra assembleare. Del resto,

tutti i Codici di best practice dedicano particolare attenzione a quella che viene definita come

crisi dell'assemblea e all'analisi dei possibili rimedi capaci di contenere l'assenteismo dei soci e

di conferire all'organo in questione maggiore efficacia.

Generalmente, le soluzioni proposte si sostanziano nel raccomandare alle società di inviare

preventivamente a tutti gli azionisti un documento che illustri le proposte in discussione, di

organizzare seminari informativi, di articolare le riunioni sul modello “domanda e risposta” , di

inviare resoconti delle discussioni che si sono tenute in assemblea.

Il Codice prevede che gli amministratori facilitino la partecipazione più ampia possibile

degli azionisti, avendo in considerazione tale obiettivo nello scegliere il luogo, la data e l'ora di

convocazione dell'assemblea; auspica che alle assemblee partecipino tutti gli amministratori e

che siano presenti, comunque, gli amministratori che, per gli incarichi che ricoprono nei

consiglio e/o nei comitati specializzati, possano apportare un utile contributo alla discussione

assembleare.

A norma dell'articolo 12.4 il consiglio di amministrazione è tenuto a proporre

all'approvazione dell'assemblea un regolamento che abbia il compito di disciplinare lo

svolgimento ordinato dell'assemblea ordinaria e straordinaria della società. Il testo normativo

deve porsi come obiettivo quello di garantire il diritto del socio di prendere la parola sugli

argomenti posti in discussione. La prescrizione appare senza dubbio di grande interesse,

sebbene l'esperienza operativa abbia messo in risalto come sia difficile, a meno di ricorrere ad

espressioni generiche, pervenire alla redazione di un simile regolamento.

38

Una certa rilevanza assume il riferimento alle informazioni price sensitive: notizie capaci di

influenzare il mercato non possono essere diffuse agli azionisti se contestualmente non sono

state diffuse anche al pubblico. Come è stato sottolineato da qualcuno53, sembra trovare

conferma anche in questo caso la tendenza manifestata dal legislatore primario di far prevalere

nelle società quotate l'interesse degli investitori attuali e potenziali e del mercato rispetto a

quello sociale. L’articolo 114, c. 4, T.U.F., infatti, lascia trasparire piuttosto chiaramente che

l'interesse del pubblico ad essere informato tende a prevalere sull'interesse sociale: la Consob

può escludere anche parzialmente o temporaneamente la comunicazione al pubblico delle

informazioni che possono cagionare grave danno agli emittenti quotati e ai soggetti che

controllano, a meno che ciò possa indurre in errore il pubblico su fatti e circostanze essenziali.

Così come previsto per la nomina degli amministratori, il Codice raccomanda all'articolo 13

che anche di sindaci siano eletti mediante una procedura trasparente; i soci devono ricevere le

informazioni necessarie per esercitare in maniera consapevole in diritto di voto.

A specificare ulteriormente principi che trovano la loro fonte primaria nella legge, viene

stabilito che i sindaci devono agire con autonomia e indipendenza anche nei confronti degli

azionisti che li hanno eletti (cd. divieto di mandato imperativo) e devono operare nell'interesse

sociale e per la creazione di valore per la generalità degli azionisti, sia nell'ipotesi in cui

vengano nominati dalla maggioranza, sia nel caso di una loro nomina da parte della minoranza.

Cade sui sindaci l'obbligo di mantenere riservati le informazioni e i documenti di cui entrano

in possesso nello svolgimento delle loro funzioni e di rispettare la procedura adottata per

comunicare all'esterno tali informazioni e documenti.

53 M de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, cit., p. 156.

39

CAPITOLO 3: EFFICACIA DEL CODICE

Senza dubbio uno dei problemi di maggiore rilevanza legati al Codice di autodisciplina è

quello della sua efficacia, ovvero del suo effettivo rispetto da parte delle società quotate in

Borsa.

I redattori del Codice hanno dovuto affrontare infatti la questione di fondo relativa al grado

di enforcement, ossia relativa alle modalità di applicazione del codice e alle eventuali sanzioni

conseguenti al suo inadempimento. Questi profili costituiscono uno degli aspetti più delicati e

caratterizzanti delle esperienze di autoregolamentazione.

In effetti, in questi ambiti, l'autodisciplina dà origine a situazioni molto diverse. Si va dai

casi di self regulation prevista da norme legislative o regolamentari, e quindi avente carattere di

piena vincolatività per i destinatari1, a norme vincolanti solo su un piano etico o deontologico,

per cui è escluso qualunque tipo di sanzione a parte la perdita della cd. market credibility.

Le maggiori esperienze in argomento hanno evidenziato soluzioni di due tipi. In alcuni casi

le regole di autodisciplina sono state adottate in un regolamento di borsa, come condizione per il

listing, ovvero come regole di comportamento che gli emittenti che intendono affacciarsi su un

mercato di Borsa sono obbligati a adottare. In altri casi le norme vengono incluse in Codes of

best practice: gli operatori non hanno l'obbligo di rispettarle, ma hanno tuttavia l'obbligo di

informare il pubblico in merito all'eventuale disapplicazione e alle ragioni che hanno portato a

tale scelta.

In Italia il dibattito sull’enforcement del codice Preda ha messo in luce tre possibili

alternative. In primo luogo, si era proposto di inserire le disposizioni esaminate nel regolamento

dei mercati gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A. In questo modo, tuttavia, ci si esponeva al rischio

di una possibile rigidità sia nell'approvazione sia nei successivi aggiornamenti delle regole del

Codice, poiché occorre tener presente che il regolamento del mercato e le sue modifiche sono

sottoposte al vaglio della Consob, secondo quanto previsto dall'articolo 63 del T.U.F. 1 Un esempio può essere rinvenuto nel codice di comportamento previsto dall'articolo 58 del regolamento Consob n. 115 22/1998.

40

Questa soluzione, inoltre, avrebbe conferito al codice un'impronta di formalità che mal si

adatta alle caratteristiche dei codici di autoregolamentazione in uso in altri ordinamenti.

La seconda alternativa suggeriva di includere le regole in un Code of best practice che la

Borsa avrebbe richiamato nei suoi provvedimenti regolamentari, obbligando le società emittenti

a chiarire la loro posizione rispetto ai principi e alle regole contenute in tale codice.

L'ultima soluzione, possibile ma tuttavia di difficile attuazione, prevedeva per il Codice di

autodisciplina una valenza sul piano meramente deontologico, con nessun tipo di effetti

vincolanti.2

La scelta italiana prevede sostanzialmente la seconda modalità di enforcement esaminata nel

presupposto, richiamato nel Rapporto al Codice, che esso è “un modello di riferimento di natura

organizzativa e funzionale e in quanto tale non è fonte di alcun obbligo giuridico”.

In particolare, nei regolamenti di Borsa Italiana S.p.A. verrà preso atto dell'esistenza del

Codice. Le società con azioni quotate nei mercati gestiti da tale società dovranno dunque fornire

una completa informativa in merito all'adeguamento del proprio sistema di corporate

governance alle raccomandazioni in esso contenute ovvero in merito alle ragioni che hanno

spinto ad un disallineamento rispetto a quanto prescritto.

È il consiglio di amministrazione a decidere se adottare, e in che misura, le regole di best

practice, e ad assumersi le relative responsabilità, che ricadono nella responsabilità generale

sulla gestione. Il principio guida nell'applicazione del Codice è pertanto quello della freeom with

accountability.

Data la natura non vincolante delle regole in questione, non sono previste sanzioni per la loro

mancata adozione ovvero per l'immotivato scostamento da quanto esse suggeriscono: nell'ottica

dei redattori la sanzione dovrebbe derivare dal mercato.

Sotto il profilo comparatistico, la soluzione italiana prevede sostanziali elementi di

somiglianza con le scelte effettuate nei principali ordinamenti stranieri. In tal senso occorre

2 Tale strada è stata percorsa in Francia: il rapporto Vienot non contiene alcuna previsione di vincolatività delle proprie norme e non include alcun collegamento con le listing rules, ovvero non impone di motivare le scelte di corporate governance adottate.

41

ricordare che i codici inglesi non hanno efficacia vincolante ma solamente valore

programmatico; la vincolatività delle norme in essi contenute viene recuperata attraverso la

previsione operata nelle listing rules dello Stock Exchange (dette anche Yellow Book) in base a

cui le società quotate devono dichiarare se hanno recepito le disposizioni dei codici nell'ambito

della loro gestione e amministrazione e devono specificare quali raccomandazioni hanno seguito

e quali no, indicando i motivi di tale scelta. A riguardo è interessante notare che nella prefazione

al Cadbury Code si legge che la dichiarazione di conformità dovrebbe essere rivista dagli

auditor.

Il Codice spagnolo, quello olandese e quello belga prevedono un sistema di enforcement

analogo: alle società quotate viene chiesto di includere nella relazione annuale informazioni

sulle pratiche di governo societario e su eventuali disallineamenti dalle regole di best practice

proposte.

Stando a quanto detto, non sembra si possa considerare il Codice di autodisciplina come

fonte del diritto, neppure come fonte secondaria, in quanto non rientra in nessuno degli atti o

fatti idonei a produrre diritto conosciuti dall'ordinamento in vigore nel nostro Paese. In merito è

opportuno tuttavia precisare che i Codes of best practice diffusi nei paesi di common law

nemmeno in questi sistemi, che presentano una maggiore elasticità nella gerarchia delle fonti del

diritto rispetto ai sistemi di civil law , assumono il rango di fonti del diritto.3

D'altro canto non sembra che il Codice possa essere ricondotto nell'alveo del cd. diritto

convenzionale, ossia di quel complesso di regole che le parti si possono dare al fine di

disciplinare i propri interessi o alle quali possono aderire volontariamente in un momento

successivo alla loro stipulazione. Si fa risalire il valore vincolante di tali regole all'autonomia

negoziale che il legislatore riconosce ai privati. Alcune esperienze di autodisciplina conosciute

nel nostro ambiente normativo sono caratterizzate dal diritto convenzionale: si pensi ad esempio

al Codice di autodisciplina pubblicitaria che, secondo la dottrina prevalente, si pone come un

3 Cfr. U. Mattei, Common Law (il diritto angloamericano) , nel Trattato di Diritto Comparato diretto da R. Sacco, Torino, 1992, p. 212 ss.

42

ordinamento autonomo non statuale e tuttavia in rapporto di stretta complementarietà e

coesistenza con l'ordinamento giuridico statuale, che ad esso è sovraordinato.

Come è stato evidenziato 4, infatti, “il Codice di autodisciplina non è un patto concluso tra le

società quotate e aperto all'adesione di ogni entità che faccia appello al pubblico risparmio, ma è

un atto che (…) promana dalla Borsa Italiana S.p.A., la quale, al di là del suo potere di

regolamentazione del mercato, riconosciutole dall'articolo 62 del T.U.F., non ha potere

dispositivo nei confronti delle società che negozio nei propri strumenti finanziari sul mercato da

essa gestito”.

Il Codice allora non opera su un piano strettamente giuridico, ma utilizza lo strumento della

cd. moral suasion, ossia del potere persuasivo che la società di gestione del mercato esercita

sugli operatori.

Il modello a cui le società quotate sono chiamate a conformarsi viene proposto come una

“guida capace di accrescere i propri standard di corporate governance”, e non come

un’ulteriore imposizione a cui adattarsi passivamente.

Se dunque appare condivisibile l'idea che alle regole di best practice non possa essere

riconosciuta efficacia vincolante e che la loro mancata adozione o la loro violazione non possa

di conseguenza comportare l'applicazione di sanzioni giuridiche, è possibile tuttavia pensare ad

una loro efficacia, per così dire, metagiuridica.

In particolare, l'adesione al codice rappresenta una sorta di marchio di qualità e si auspica

che gli investitori che conferiscono capitale di rischio e i finanziatori che forniscono capitale di

debito incrementino la loro disponibilità solamente nei confronti di quelle società che si

adegueranno al modello raccomandato. Tali imprese potranno vantare una gestione efficiente, e

cioè, volendo seguire l'idea che sta alla base del Codice, finalizzata ad assicurare il cd.

shareholder value. Sarà sostanzialmente il mercato a premiare le società che, manifestando la

scelta di volersi sottoporre ad un'intensa e efficiente rete di controlli, rivelano l'intenzione di

realizzare una gestione migliore nell'interesse degli investitori. 4 M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, cit., p. 146.

43

Le società che invece non si adegueranno alle regole di best practice o violeranno gli

impegni presi, subiranno una ricaduta negativa in termini di perdita di reputazione di mercato,

ossia in termini di minor favore che quest'ultimo rivolgerà agli strumenti finanziari da loro

emessi.

Questa visione, secondo cui il mercato premierebbe le gestioni più efficienti, è assai diffusa

dalla scuola di pensiero dell'analisi economica del diritto; tuttavia vi è chi dimostra come le

scelte degli investitori istituzionali solo in casi eccezionali sono influenzate dalle prospettive di

reddito e dalla valutazione dell'efficienza della gestione delle società quotate, mentre le risorse

vengono in realtà allocate essenzialmente sulla base di meccanismi speculativi, ovvero, per

usare le parole di Gliozzi, sulla base di “una previsione di quelle che saranno le previsioni del

grande pubblico degli investitori sul futuro andamento delle quotazioni dei titoli”5.

Che la sola sanzione alla non adozione del Codice sia la perdita della reputazione di mercato

emerge anche dal Rapporto stesso, ove si prevede le società quotate diano ampia informativa

alla Borsa Italiana S.p.A. in merito al proprio sistema di corporate governance. In particolare,

tale società di gestione del mercato ha previsto che consigli di amministrazione delle società che

emettono azioni devono comunicare, con cadenza annuale, se e in quale misura si siano

uniformati alle indicazioni contenute nel Codice, segnalando le ragioni di un eventuale mancato

rispetto delle regole.6

Le società che, invece, intendono presentare domanda di ammissione alla quotazione di

Borsa devono dare comunicazione nella stessa domanda degli “esiti del confronto tra proprio

modello di governo societario e quello proposto dalla Borsa Italiana S.p.A.”. Una previsione

analoga è rinvenibile nelle raccomandazioni Consob7, che richiedevano “ai consigli di

amministrazione e ai collegi sindacali che riterranno di non uniformarsi ai comportamenti

5 E. Gliozzi, Società per azioni e mercati finanziari, in Riv. Trim. Proc. Civ., 1999, p. 759 ss. 6 Cfr. serie IA, 2, 11, delle istruzioni al Regolamento dei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A. del 29 febbraio 2000. 7 Comunicazione 20 febbraio 1997, n. DAC/RM/97001574, in Riv. Soc. 1997, p. 200 ss.

44

raccomandati di dichiararlo esplicitamente nelle rispettive relazione di bilancio, fornendo i

motivi per i quali si è ritenuto di non adeguarsi a quanto raccomandato”.

L’onere di informare il mercato in ordine alla struttura organizzativa prescelta da un lato

ribadisce la non vincolatività delle norme contenute nel Codice, dall'altro ha la funzione di

rendere palese ai terzi interessati il sistema di gestione e di controllo prescelto dalla società, al

fine di rendere più consapevole la loro scelta di investimento o di finanziamento. La

valutazione, tuttavia, è appannaggio quasi esclusivo degli investitori professionali, che si

servono del supporto di analisti finanziari specializzati, e non è certo alla portata del singolo

investitore isolato, il quale non dispone delle competenze tecniche per operare tali scelte.

Quanto è stato osservato fino ad ora non esclude che le prescrizioni del codice vengano

recepite negli statuti societari, opportunamente adattate alle specifiche esigenze delle società. In

questo modo verrebbero ad assumere un valore vincolante dal punto di vista giuridico, in quanto

frutto dell'autonomia statutaria.

Si può pure ipotizzare che in un futuro poco lontano l'adesione al Codice di autodisciplina

costituisca una delle condizioni per ottenere o mantenere nella quotazione gli strumenti

finanziari sui mercati regolamentati, sulla scia di quanto avvenuto negli ordinamenti

anglosassoni. L'efficacia giuridicamente vincolante del modello sarebbe dunque ottenuta con il

tramite del Regolamento delle società di gestione del mercato, ai sensi dell'articolo 62 del

T.U.F.

Il dibattito in merito all'efficacia nel Codice continua a dividere i sostenitori di due differenti

teorie.

In primo luogo troviamo coloro che ritengono che la specificità del settore del governo

societario nonché della tutela dei risparmiatori-investitori non può essere affidata alla semplice

autoregolamentazione, e propugnano quindi la regolamentazione pubblica della materia.

Ci sono poi coloro che evidenziano i fallimenti della regolamentazione legislativa e

amministrativa e sostengono che il mercato sia in grado di eliminare autonomamente gli

operatori che tengono condotte in efficienti. Essi mettono in luce anche come l'imposizione

45

normativa di obblighi e doveri possa comportare costi superiori rispetto ai vantaggi

conseguibili.

Per verificare se il Codice può essere veramente considerato uno strumento di tutela dei

risparmiatori e dell’efficienza del mercato pare opportuno riflettere sulla sua reale effettività,

cercando di capire se la sanzione fondata sulla perdita di reputazione per il singolo operatore

economico può costituire una sanzione più efficace di quella amministrativa. L'analisi

economica sì è espressa in tal senso più volte, affermando che in alcuni contesti la perdita della

credibilità rappresenta l'unica sanzione dotata del grado d’effettività necessario per assicurare un

livello di deterrenza adeguato.8 Per le società quotate, il desiderio di mantenere un'elevata

credibilità sul mercato garantisce una compliance sostanziale, e non esclusivamente formale ai

principi, condivisi dagli operatori economici, della correttezza e della trasparenza che devono

permeare le relazioni tra questi ultimi.

Al contrario, una regolamentazione pubblica eccessivamente pervasiva spingerebbe gli

operatori a distorcere i loro comportamenti in base agli incentivi nascosti nei meandri del

sistema normativo pubblico; inoltre le difficoltà di monitorare e sanzionare e comportamenti

illeciti potrebbero contribuire ad affievolire nelle società quotate la percezione di tali precetti

giuridici come imperativi. Il Codice di autodisciplina non va ad appesantire, dato che non

assume la veste di un onere aggiuntivo, un ambito che coinvolge interessi pubblici rilevanti ed è

quindi pesantemente normato.

Questa tesi, peraltro, sembrerebbe trovare una conferma nella prassi di alcune esperienze

autodisciplinari straniere che hanno mostrato un elevato grado di effettività e efficacia .9

Sarebbe tuttavia un errore cercare di estendere in blocco questa conclusione anche al caso

italiano, data la scarsa maturità dei mercati finanziari nazionali rispetto a quelli più evoluti.

8 D. Corrado, Società quotate ed autoregolamentazione: commenti al Codice di autodisciplina, in Politeia, 2000, n. 57, p. 120. 9 E’ il caso del City Code on Takeovers and Mergers, adottato e rispettato da tutte le società quotate inglesi. A riguardo si veda L. de Angelis, Il City Code dieci anni dopo, in Riv Soc, 1978, p. 1313.

46

La seconda parte del presente lavoro intende tracciare un bilancio del grado di

implementazione del Codice e del suo apprezzamento da parte delle società quotate italiane.

47

PARTE SECONDA: L’APPLICAZIONE DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA CAPITOLO 1: PREMESSE METODOLOGICHE

Per tracciare un bilancio del grado di applicazione che il Codice di autodisciplina ha avuto

nelle società quotate italiane, si è scelto di esaminare la comunicazione che ciascuna di esse ha

inviato a Borsa Italiana S.p.A. per descrivere il proprio sistema di governo societario.

Ricordiamo, infatti, che, ai sensi delle istruzioni al regolamento dei mercati gestiti da Borsa

Italiana S.p.A., Sez. IA. 2.12, "al fine di garantire il buon funzionamento del mercato e una

corretta informativa societaria, i consigli di amministrazione delle società emittenti azioni,

danno informativa, con cadenza annuale, sul proprio sistema di corporate governance e

sull'adesione al Codice. I consigli di amministrazione delle società che non hanno applicato le

raccomandazioni del Codice, o le abbiano applicate solo in parte, danno inoltre informazione

delle motivazioni che le hanno indotte a tale decisione"1.

Per chi ha intenzione di approfondire la propria conoscenza concernente il sistema di

governo societario in atto nelle varie emittenti, è dunque legittima l'aspettativa di trovare in tali

resoconti esauriente informativa in merito all'impatto che il Codice ha avuto sulle scelte

organizzative. Utile, infatti, per un potenziale investitore, risulterebbe un confronto tra le scelte

di governance operate dalle emittenti al fine di orientare conseguentemente le proprie scelte di

investimento.

Proprio questo si aspettavano i redattori del Codice, convinti che gli investitori saranno in

grado di premiare con il proprio capitale quelle emittenti la cui corporate governance risulti in

linea con le regole di best practice, elaborate per garantire in ultima analisi maggiore

trasparenza, maggiore protezione per gli investitori e un più efficiente equilibrio di poteri tra gli

organi di governo. Condizione necessaria per il funzionamento del meccanismo sanzionatorio

1 Le relazioni redatte in ottemperanza alla citata previsione regolamentare sono reperibili sul sito internet di Borsa Italiana S.p.A, all’indirizzo <<http://www.borsaitalia.it/ita/subsite/ssocietaquoatateeipos/corporategovernance/>.

48

basato sulla market credibility è, infatti, che la mancata adesione ai suggerimenti del Codice di

autodisciplina possa facilmente essere individuata anche dal pubblico degli investitori.

Purtroppo, parecchie emittenti non sono entrate in quest’ottica nel redigere le relazioni e le

aspettative rimangono in parte deluse. Come sottolineato nel Rapporto al Codice di

autodisciplina, le regole proposte costituiscono un modello, un'occasione offerta alle emittenti

per migliorare la propria competitività sul mercato dei capitali e non un ulteriore onere

nell’ambito di una disciplina già dettagliatamente normata. In molti casi, invece, le imprese

hanno vissuto l'onere della relazione come un inutile gravame, e hanno preferito adempiere in

poche righe all’obbligo imposto piuttosto che cogliere l’occasione per riflettere sul proprio

sistema di governo societario.

Un esame del grado di applicazione di ogni punto del Codice di autodisciplina trova quindi

un primo ostacolo nell’incompletezza delle relazioni.

Borsa Italiana S.p.A., indubbiamente, ha commesso l'errore di non predisporre un modello

uniforme di relazione, delle linee guida che le emittenti sarebbero state tenute a seguire.

L’esposizione, quindi, ha seguito strade eterogenee, e un confronto tra i contenuti si rivela poco

immediato.

In molti casi, infatti, non tutti i punti del Codice sono stati tenuti in considerazione e il

quadro della governance di molte emittenti emerge monco.

La società di gestione del mercato di Borsa si è tuttavia resa conto di questo problema, e ha

deciso di rimediare predisponendo una bozza di resoconto per guidare le emittenti nell’analisi

delle proprie scelte relative all’applicazione o meno dei suggerimenti del Code, come è spiegato

più avanti. Con le relazioni del prossimo anno sarà quindi possibile trarre un quadro più

completo e organico del grado di implementazione del Codice nella realtà italiana.

Il materiale raccolto quest’anno ha tuttavia consentito a chi scrive di strutturare una tabella

capace di fornire un primo bilancio riguardante l’iniziativa del Codice di autodisciplina.

Vengono ora spiegate le scelte metodologiche compiute nell’organizzare i dati; seguirà nel

capitolo successivo l’analisi dei dati ottenuti.

49

Sono utili alcuni cenni sulle relazioni. Nel redigerle, le emittenti hanno seguito

essenzialmente tre modelli.

Generalmente, l’esposizione è aperta da una premessa in cui si elogia l’iniziativa promossa

da Borsa Italiana S.p.A. e si dichiara una formale adesione alle regole del Codice. L’adesione

non significa che, in concreto, a livello di statuto e di regolamenti interni, siano già stati posti in

atto tutti i cambiamenti necessari per rendere operativi i suggerimenti del Codice.

Seguendo un primo modello, dunque, alcune emittenti hanno stilato un elenco dei punti di

governance trattati dal Codice per confrontare così le scelte intraprese dal consiglio di

amministrazione, sottolineando se e quali cambiamenti risultavano già implementati.

Poche imprese hanno riportato le parti dello statuto relative a ciascun argomento, nella loro

vecchia e nuova formulazione. Questa modalità espositiva è senza dubbio da elogiare, poiché

permette, a chi intende approfondire la propria conoscenza del sistema di governance, di capire

puntualmente come i suggerimenti del Codice sono stati adattati alle necessità della società in

esame; rende inoltre certi che il cambiamento introdotto ha acquisito il carattere della

definitività.

Nella tabella vengono indicate con il simbolo CA (confronto con il Codice di autodisciplina)

le relazioni che hanno seguito tale schema.

Seguendo un secondo modello, altre società hanno elaborato un proprio Codice di

autodisciplina, riprendendo, spesso integralmente, il testo del Codice Preda.

In questi casi è difficile avere la certezza che le disposizioni elencate trovino effettiva

applicazione nella governance dell’emittente. Si può solamente presumere che, se non già

implementati al momento in cui la relazione veniva elaborata, i necessari cambiamenti siano al

vaglio dell’assemblea o comunque in fase di attuazione. Solo poche società hanno fatto

chiarezza elencando i provvedimenti adottati (con relativa data) per dare effettività al Codice di

autodisciplina aziendale.

50

Nella tabella vengono indicate con il simbolo C (Codice di autodisciplina aziendale) le

relazioni che hanno seguito tale schema.

Seguendo un altro modello ancora, alcune imprese si sono limitate a considerare quei punti

del Codice che trovavano concreta attuazione nel proprio sistema di governance, senza nulla

dire in merito ai restanti argomenti. In questi casi non è dato sapere quali siano state le scelte

attuate con riferimento ai punti del Codice non trattati. Per questi punti chi scrive ha scelto di

lasciare bianche le corrispondenti caselle della tabella, in quanto se le scelte di attuate fossero

allineate ai precetti del Codice sarebbe stato nell’interesse dell’emittente farlo notare.

Per le relazioni che hanno seguito questo schema, nella tabella è indicato soltanto il numero

di pagine e alcune caselle sono rimaste bianche.

Non occorre sottolineare come il terzo modello sia stato preferito da quelle società che hanno

inteso la relazione come un obbligo informativo cui adempiere in maniera sbrigativa.

I consigli di amministrazione che hanno colto l’occasione per riflettere sul proprio sistema di

governance e per spiegare agli azionisti e ai potenziali investitori gli sforzi fatti per allinearsi

alle regole di best practice, hanno invece preferito il primo o il secondo modello.

Questa differenza di approccio spiega perché in molti casi la relazione non si sia soffermata,

contrariamente a quanto espressamente previsto nella norma regolamentare citata, a motivare le

difformità rispetto a quanto previsto dal Codice.

Ciò detto, appare ancor più criticabile la scelta di Borsa Italiana di non esplicitare in maniera

puntuale l’obbligo informativo a carico delle emittenti circa le scelte di governance attuate. Tale

impostazione è perfettamente in linea con la filosofia sottesa al Codice, che conta su sforzi fatti

volontariamente e non imposti, ma ha dato modo ad alcune società di sottrarsi ad un serio

confronto con le regole di best practice, eludendo sostanzialmente l’iniziativa.

Esaminiamo ora nello specifico le caratteristiche della tabella.

Nella prima colonna sono riportati i nomi delle società quotate sul mercato di Borsa.

Seguono varie colonne, ognuna dedicata ad un articolo del Codice.

51

Per quanto riguarda l'articolo 1, abbiamo cercato di individuare se il consiglio di

amministrazione ricopre un ruolo centrale nella governance, se si riunisce con cadenza regolare,

se opera in maniera effettiva e efficace secondo quanto previsto dal Codice.

Nella tabella, l’emittente che è dotata un consiglio di amministrazione con queste

caratteristiche, viene indicata con il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina), in

caso contrario il simbolo riportato è NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).

Per quanto riguarda l’articolo 2, abbiamo cercato di individuare se in seno al consiglio di

amministrazione fosse presente un congruo numero di amministratori non esecutivi, in grado di

contribuire all’assunzione di decisioni nell’interesse della società.

Anche in questo caso nella tabella viene usata la simbologia A (allineato con il Codice di

autodisciplina) e NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).

Per quanto riguarda l’articolo 3, se alcuni amministratori non esecutivi sono qualificabili

come indipendenti nella tabella viene riportato il simbolo Sì; in caso contrario compare il

simbolo No.

Relativamente a quanto previsto nell’articolo 4, abbiamo cercato di individuare se il ruolo

del Presidente in seno al consiglio di amministrazione fosse in linea con quanto suggerito dal

Codice. In caso affermativo, nella tabella viene riportato il simbolo A (allineato con il Codice di

autodisciplina).

In aggiunta, abbiamo considerato se il Presidente fosse dotato o meno di deleghe operative.

Nella tabella, rispettivamente, vengono usati i simbolo D (Presidente dotato di deleghe

operative) e ND (Presidente non dotato di deleghe operative).

Con riferimento all’articolo 5, se gli organi delegati hanno l’obbligo di fornire adeguata e

periodica informazione al consiglio di amministrazione in merito allo svolgimento delle attività

delegate, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina); in caso

contrario viene riportato il simbolo NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).

Per quanto riguarda l’articolo 6, abbiamo cercato di evincere se il trattamento delle

informazioni sensibili sia regolato da un’apposita procedura o faccia capo a soggetti specifici

52

(come per esempio il Presidente del consiglio di amministrazione, gli amministratori delegati o

un responsabile nominato ad hoc). Nella tabella i simboli usati sono rispettivamente P

(procedura per il trattamento di informazioni sensibili) e S (soggetti responsabili del trattamento

di informazioni sensibili). In alcune società la procedura per il trattamento delle informazioni

sensibili era in corso di definizione o di approvazione; in questo caso nella tabella compare il

simbolo PA (procedura in corso di approvazione).

Con riferimento a questo previsto dall’articolo 7, abbiamo esaminato se sussiste l’obbligo di

depositare, corredate da un’adeguata informativa circa le caratteristiche personali e professionali

dei candidati, le candidature almeno dieci giorni prima della data fissata per l’assemblea. Se ciò

avviene, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina); in caso

contrario compare il simbolo NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).

Con il simbolo C (presenza del comitato per le proposte di nomina) si segnala, inoltre, se

l’emittente ha deciso di costituire un Nomination Committee. Nel caso il Comitato sia ancora in

corso di costituzione, compare il simbolo CA (comitato in fase di attuazione).

Per quanto riguarda la remunerazione amministratori, disciplinata all’articolo 8, si è cercato

di verificare se il consiglio di amministrazione delle società in esame abbia nominato o meno un

Comitato per la remunerazione. In caso affermativo, nella tabella compare il simbolo C

(presenza del comitato per le remunerazioni).

Segnaliamo, inoltre, con la simbologia RP (retribuzione parametrata) se un'impresa ha deciso

di legare parti del compenso degli amministratori delegati ai risultati economici raggiungimento

di obiettivi predeterminati.

Con riferimento all’articolo 9, abbiamo verificato se l’emittente in esame fosse dotata di un

sistema di controllo interno in grado di svolgere le funzione previste dal Codice e di ridurre

quindi i rischi operativi. Se questo avviene, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il

Codice di autodisciplina). Nel caso in cui le procedure non siano ancora definite o il preposto al

controllo interno sia sottoposto a vincolo di dipendenza gerarchica da un responsabile di aree

operative, la simbologia usata è NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).

53

Qualora l’emittente abbia scelto di costituire un Comitato per il controllo interno, nella

tabella viene riportato il simbolo C (presenza del comitato per il controllo interno). Se il

Comitato è in via di costituzione, compare il simbolo CA (comitato in fase di attuazione).

Per quanto riguarda il dettato dell’articolo 11, abbiamo cercato di capire se il dialogo con la

generalità degli azionisti e in particolare con gli investitori istituzionali sia curato da apposita

struttura aziendale deputata a questo scopo, nel qual caso nella tabella compare il simbolo F

(funzione aziendale), oppure faccia capo ad un responsabile, nel qual caso nella tabella compare

il simbolo R (responsabile).

In materia di assemblee, abbiamo evidenziato se le emittenti dichiarano espressamente di

favorire la partecipazione più ampia possibile riportando nella tabella il simbolo P (incoraggiata

la partecipazione).

Nel caso in cui sia stato approvato un regolamento assembleare per garantire il disciplinato

svolgimento delle riunioni, nella tabella compare il simbolo R (regolamento assembleare).

Qualora il regolamento sia stato predisposto ma non ancora approvato, il simbolo usato è RA.

Infine, con riferimento al dettato dell’articolo 13, abbiamo esaminato se sussiste l’obbligo di

depositare le candidature almeno dieci giorni prima della data fissata per l’assemblea, corredate

da un’adeguata informativa circa le caratteristiche personali e professionali dei candidati. Se ciò

avviene, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina). Se la

relazione fa espressamente riferimento all’adozione del meccanismo del volto di lista, nella

tabella compare il simbolo L (voto di lista).

La colonna finale contiene i dati inerenti alla relazione.

Le relazioni che, a nostro giudizio, sono state considerate del tutto insufficienti a chiarire il

sistema di governance adottato dall’emittente, vengono indicate nella tabella con il simbolo N

(non adeguata).

Tali problemi di inadeguatezza verranno sicuramente risolti se le emittenti decideranno, per

l’anno prossimo, di seguire puntualmente lo schema tipo elaborato e caldeggiato da Borsa

Italiana S.p.A.

54

Questo schema espositivo, infatti, non è vincolante, ma costituisce un riferimento

fondamentale per far convergere le emittenti verso il medesimo standard espositivo, in modo da

rendere ai lettori più facile e immediato l’esame delle scelte attuate.

Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione, il documento elaborato da Borsa Italiana

S.p.A. prevede che siano indicati in maniera chiara e precisa la composizione, il funzionamento,

il ruolo concretamente svolto da quest’organo in seno alla società.

In merito alla composizione del consiglio di amministrazione, la società dovrebbe indicare

analiticamente i nomi dei consiglieri e la scadenza del loro mandato, con la precisazione se essi

sono esecutivi, non esecutivi e indipendenti. In particolar modo, dovrebbe essere suffragato da

motivazioni il giudizio di indipendenza.

Relativamente alle funzioni svolte dal consiglio di amministrazione, è opportuno che

vengano indicate le materie che siano riservate alla competenza esclusiva del consiglio, con

l'ulteriore precisazione se questa riserva deriva dalla clausola statutaria, da prassi societaria,

ovvero sia deducibile in via residuale dall'ampiezza delle deleghe conferite.

Nel caso sia stato riservato al consiglio l'esame delle operazioni più significative e di quelle

con parti correlate, le società sono invitate a chiarire i criteri qualitativi e quantitativi che

permettono di individuare le operazioni da sottoporre alla preventiva approvazione del

consiglio.

Per quanto riguarda le principali deleghe conferite, la relazione dovrebbe fornire

informazioni sintetiche e precisarne i limiti. Se il Presidente del consiglio di amministrazione ha

ricevuto deleghe gestionali, il fatto deve essere segnalato. Auspicabile è che venga anche

indicata la periodicità con cui gli organi delegati riferiscono al consiglio in merito all'attività

svolta.

Le emittenti sono invitate a indicare il numero delle riunioni consiliari che si sono tenute nel

corso dell'esercizio precedente e di quelle previste per l'esercizio in corso, precisando se lo

statuto sociale prevede una cadenza minima delle riunioni del consiglio. È opportuno che la

relazione evidenzi se gli amministratori, in occasione delle riunioni consiliari, ricevono con

55

anticipo ragionevole le informazioni necessarie per consentire al consiglio di esprimersi con

consapevolezza sulle materie che vengono sottoposte al suo esame.

In merito alle modalità di nomina degli amministratori, occorre precisare se il curriculum

vitae dei candidati viene depositato presso la sede sociale prima dell'assemblea e se tale

comportamento sia obbligatorio per una precisa disposizione statutaria o del regolamento

assembleare, o sia oggetto di una raccomandazione agli azionisti.

Auspicabile è inoltre che venga indicato se si sia scelto di adottare il meccanismo di voto di

lista per la nomina degli amministratori.

Relativamente alla remunerazione dei consiglieri, gli emittenti sono invitati a chiarire

sistematicamente il sistema di remunerazione, specificando se la parte variabile dei compensi è

legata in misura significativa a risultati economici conseguiti o al raggiungimento di obbiettivi

specifici. Simile informativa dovrebbe essere fornita in merito ai piani di stock options

eventualmente adottati.

Se gli emittenti hanno scelto di nominare in seno al consiglio un Comitato per le proposte di

nomina e un Comitato per la remunerazione (lo stesso vale, poi, per il Comitato per il controllo

interno), la relazione dovrebbe contenere l'indicazione nominativa della composizione, una

descrizione dei compiti assegnati, delle modalità di funzionamento e dell'attività svolta.

Un argomento senza dubbio importante è quello del controllo interno. Secondo la nozione

elaborata dal Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission (CoSO

Report)2 e accolta dai vari Codici di autodisciplina diretti alle società quotate il controllo interno

va inteso come un processo che, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali, deve fornire adeguata

garanzia circa l'efficacia e l'efficienza con cui vengono condotte le operazioni aziendali,

2 La Treadway Commission del Committee of Sponsoring Organisations (CoSO) americana ha commissionato alla PricewaterhouseCoopers USA uno studio sulla corporate governance, in quanto ritenuta meglio capace di mobilitare tutte le competenze finanziare, economiche, informatiche, organizzative, manageriali e strategiche richieste, uno studio sulla corporate governance, che si è concluso con un Rapporto, il cosiddetto “CoSO Report”. Tale Rapporto è diventato oggi negli Stati Uniti d'America uno strumento indispensabile di supporto metodologico e attuativo per moltissimi tra gli operatori più rappresentativi del mondo economico, istituzionale e accademico.

56

l'affidabilità dell'informazione finanziaria, il rispetto della normativa applicabile e la

salvaguardia dei beni aziendali.

I consigli di amministrazione sono invitati a dare informativa esaustiva sul punto, indicando

se ritengono il sistema di controllo interno idoneo a presidiare in maniera efficace i rischi tipici

delle principali attività esercitata dalla società e dalle sue controllate e a monitorare la situazione

economica e finanziaria della società del gruppo. Devono essere indicati i nomi dei preposti al

controllo interno, con specificazione delle funzioni, precisando se essi sono gerarchicamente

indipendenti dai responsabili di aree operative e la frequenza con la quale essi danno

informativa del loro operato al di amministratori delegati, ad un eventuale comitato per il

controllo interno e ai sindaci.

In materia di informazioni riservate, le emittenti dovrebbero segnalare le modalità con cui le

informazioni vengono gestite e comunicate all'esterno. Sé è stata adottata un'apposita procedura,

la relazione dovrebbe contenere una descrizione sintetica, con la precisazione se essa è stata

formalizzata in un regolamento interno, e indicare le responsabilità che vengono attribuite agli

organi e alle funzioni aziendali coinvolte.

Dato che uno degli obiettivi del Codice è quello di facilitare agli azionisti una conoscenza

più approfondita delle società, è opportuno che gli emittenti esplicitino se esiste all'interno della

società una struttura dedicata ai rapporti con gli investitori oppure se sono i vertici aziendali a

svolgere direttamente questa funzione.

Relativamente al funzionamento dei lavori assembleari, auspicabile è inoltre, che venga

precisato se sia stato adottato uno specifico regolamento assembleare, e se questo sia stato

recepito all'interno dello statuto o tramite altra forma.

Non va trascurata, inoltre, l’informativa in merito alla raccomandazione del Codice che

invita gli amministratori a valutare l'opportunità di proporre modifiche all'atto costitutivo per

facilitare l'esercizio delle azioni e delle prerogative poste a tutela delle minoranze.

Infine, relativamente alla nomina dei sindaci, le società sono invitate a dichiarare se le

proposte di nomina vengono o meno depositate presso la sede sociale prima dell'assemblea. In

57

caso affermativo, sarebbe auspicabile specificare se questo comportamento viene reso

obbligatorio dalla disciplina statutaria del voto di lista o se è il frutto di una prassi

volontariamente seguita dagli azionisti.

Se le relazioni conterranno effettivamente tutti i dati richiesti, potrà essere tracciato un esame

più approfondito di come in concreto il Codice abbia inciso sulle modalità di governo delle

emittenti.

Per concludere, lungi dal perseguire il predetto scopo, la tabella allegata si pone l’obbiettivo

quello di fornire prime indicazioni sul gradimento dell’iniziativa, presentando le tendenze in

atto relativamente alla sua implementazione.

58

CAPITOLO 2: ANALISI DEI RISULTATI

Esaminiamo ora i dati strutturati raccolti nella tabella.

Sul sito di Borsa Italiana S.p.A. l’elenco delle emittenti era comprensivo di

duecentosettantanove voci.

Relativamente a dieci società, purtroppo, nel momento in cui abbiamo visitato il sito internet,

la comunicazione non era disponibile o una dicitura ammoniva che non erano ancora scaduti i

termini per la presentazione della relazione. Pertanto, le società effettivamente esaminate sono

state duecentosessantanove.

Occorre innanzitutto sottolinearne che l’iniziativa del Codice è stata gradita dalla quasi

totalità delle emittenti. Duecentosessantuno società, infatti, dichiarano di voler procedere ad un

adeguamento della propria corporate governance convinte che le regole di best practice

suggerite sono in grado di aiutare a migliorare l’efficienza e la competitività sul mercato dei

capitali.

Solo cinque relazioni manifestano l’intenzione di non aderire formalmente al Codice, ma

tuttavia precisano che, in alcuni punti, il proprio sistema di governance segue sostanzialmente la

filosofia del Codice. La relazione del Banco di Napoli nemmeno tratta l'argomento; Caltagirone

sostiene di dover effettuare ulteriori approfondimenti in materia.

La Banca Popolare dell'Adriatico ritiene, come le viene suggerito dalla capogruppo Cardine

Banca S.p.A., non necessario recepire i contenuti del Codice, in considerazione del fatto che

gran parte degli assetti di governance ivi previsti sono già sussistenti nella società. Dichiara

inoltre che un adeguato livello di affidabilità della gestione esiste già nell’organizzazione della

banca e che il sistema normativo interno risulta essere molto stringente, grazie all'ottemperanza

alla normativa in vigore per l'ordinamento del credito e per l'effetto di autonome scelte adottate

59

a livello di gruppo di banca. In che cosa queste scelte si concretizzino, ovviamente, al lettore

non è dato sapere.

La Banca Popolare di Sondrio sottolinea che i precetti del Codice sono sostanzialmente

rispettati per quanto riguarda la composizione del consiglio di amministrazione, il ruolo del

presidente, l'informativa al consiglio di amministrazione, il trattamento delle informazioni

riservate, la funzione di controllo interno e i rapporti con gli investitori, ma tuttavia ritiene di

non aderire formalmente in quanto l'amministrazione reputa necessario valutare meglio

l'opportunità e la convenienza per una società di caratteristiche e dimensioni come quella in

esame, di “aderire a forme organizzative pensate con riferimento particolare al modello della

società per azioni”. La Banca sottolinea che il corpo sociale continua a riflettere i caratteri tipici

delle cooperative e specifica che le regole di governo societario sono improntate a criteri di

chiarezza e funzionalità e finalizzate ad una gestione sana e prudente della società.

L'Immobiliare Lombarda decide di non adottare il Codice in quanto evidenzia che, per il

numero e la tipologia delle operazioni svolte, la società mantiene una struttura organizzativa

gestionale semplice, che non si ritiene debba essere modificata. La relazione indica che se in

futuro l'attività della società si dovesse articolare in fattispecie più complesse, verrà redatto e

adottato un regolamento di corporate governance adeguato e allineato alle raccomandazioni

emanate dalla Borsa Italiana S.p.A.

Roncadin ritiene di non adeguarsi ai precetti del Codice in virtù della dimensione aziendale

ridotta. Anche in questo caso si precisa che, qualora le dimensioni aziendali dovessero mutare,

si considera opportuno rivedere la propria scelta di non adesione.

Simili motivazioni sono riscontrabili anche nella relazione della SO.PA.F.

Due società, il Banco Santander e il Banco Bilbao, dichiarano che il proprio sistema di

governance è allineato con i precetti contenuti nel Codice di autodisciplina spagnolo.

Ricapitolando, in due casi la mancata adozione del Codice è stata motivata con la particolare

forma dell'emittente, ossia quello di società cooperativa; in altri tre casi sono le ridotte

dimensioni aziendali a suggerire al consiglio di amministrazione di non procedere ad una

60

revisione delle modalità di gestione della società; in due casi il sistema di governance segue i

suggerimenti di un Codice di autodisciplina straniero.

Tra le società che hanno dichiarato di aderire al Codice, tuttavia, ben diciassette non

specificano quali cambiamenti organizzativi si siano rivelati necessari in vista

dell’adeguamento, indicando con formula generica che l’implementazione dei suggerimenti era

in corso nel momento in cui veniva presentata la relazione.

Ciò detto, procediamo ad esaminare quante società hanno adottato i suggerimenti del Codice,

punto per punto.

Articolo 1.

L'80 % delle emittenti risulta allineato con le disposizioni di questo articolo.

Articolo 2.

Nell’80 % delle emittenti il consiglio di amministrazione rispetta la composizione proposta,

presentando una numero di amministratori non esecutivi tale da poter contribuire

significativamente al momento dell’assunzione delle decisioni consiliari, apportando specifiche

competenze e guidando le scelte verso il perseguimento dell'interesse sociale. Solo due società

dichiarano di non avere amministratori esecutivi in seno al proprio consiglio di

amministrazione.

Articolo 3.

Il 72 % delle società individua tra gli amministratori non esecutivi un congruo numero di

amministratori indipendenti. Il 3 % delle emittenti dichiara di non avere consiglieri

indipendenti in seno al proprio consiglio.

Dal restante 25 % delle relazioni non si può ricavare se qualche amministratore non

esecutivo presenti anche i requisiti richiesti per l’indipendenza.

Articolo 4.

Per quanto riguarda ruolo del Presidente, il 66 % delle società risulta allineato con quanto

prescrive il Codice.

Il 34% delle relazioni non fa cenno al ruolo del presidente all'interno della società.

61

Dal 40% delle relazioni si ricava che il Presidente è dotato di deleghe operative. Solo nel

20% dei casi il Presidente non è dotato di deleghe operative.

Articolo 5.

Nel 63% delle emittenti gli amministratori delegati riferiscono puntualmente del loro operato

al consiglio di amministrazione. Il restante 37% delle relazioni non contiene riferimenti al flusso

informativo in questione.

Articolo 6.

Il 36% delle società ha adottato una procedura per il trattamento e la comunicazione

all'esterno di informazioni price sensitive, il 12% sta adottando la procedura. Un altro 12% delle

società ha invece individuato soggetti deputati a comunicare all'esterno questo tipo di

informazioni.

Solo l'1% delle società dichiara espressamente di non ritenere opportuno adottare una

procedura. La scelta di non cristallizzare i compiti e le responsabilità inerenti al trattamento

delle informazioni sensibili viene in qualche caso motivato con il ricorso alla ridotta dimensione

aziendale, sostenendo che una procedura rigida non permetterebbe di adattarsi con flessibilità e

rapidità a tutti i casi potenziali.

Altre società si giustificano asserendo che le informazioni sensibili passano in ogni caso dal

consiglio di amministrazione e è il consiglio nella sua totalità a trattare con la dovuta cautela le

informazioni price sensitive.

In altri casi invece si sottolinea che l'obbligo di non divulgare informazioni sensibili sia

ampiamente disciplinato dalla legge e che i vertici aziendali sono in grado di controllare che

coloro che entrano in possesso di tali informazioni ne facciano uso attento e conforme a quanto

previsto dalla disciplina in vigore.

Articolo 7.

Il 27% delle società, in ottemperanza quanto suggerito dal Codice, impone di presentare le

candidature, corredate da un’adeguata informativa personale e professionale dei candidati nella

62

sede societaria almeno dieci giorni prima della data fissata per l'assemblea, in modo tale che gli

azionisti possono esercitare consapevolmente il voto.

Solo il 5% delle emittenti dichiara che non vi è un’apposita norma, o statutaria o suggerita

nella prassi, che garantisce il deposito preventivo delle informazioni. Le relazioni motivano

questo disallineamento asserendo che il meccanismo che prevede che i candidati presentino le

proprie credenziale oralmente, poco prima della votazione, si è sempre rivelato efficace.

Il 7% delle società ha deciso di dotarsi di un comitato per le nomine alla carica di

amministratore.

Una percentuale così esigua trova giustificazione nel fatto che per moltissime emittenti esiste

un gruppo di controllo, e è quindi facile trovare un accordo per la presentazione delle

candidature. Su questa scelta incide la concentrazione della proprietà, caratteristica delle

imprese italiane: vi è la presenza di un azionista di riferimento in grado di guidare la nomina del

consiglio di amministrazione. La creazione di un comitato per le nomine si adatta

indubbiamente meglio al contesto anglosassone, dove la base azionaria frammentata rende

necessaria la presenza di un apposito comitato prepari liste di candidati alla carica di

consigliere.

Articolo 8.

Maggior successo ha ottenuto invece il comitato per la remunerazione degli amministratori,

adottato nel 52% dei casi. L’ulteriore 1% delle relazioni asserisce che il comitato sta per essere

costituito.

Il 19% delle emittenti prevede inoltre che parte del compenso degli amministratori esecutivi

o dell'alta dirigenza sia legato al raggiungimento risultati economici o al conseguimento di

specifici obbiettivi.

Articolo 9.

Il 62% delle relazioni garantisce la presenza di un sistema di controllo interno in grado di

aiutare a prevenire i rischi. Occorre sottolineare che la totalità delle banche ne è dotata, dal

63

momento che la normativa bancaria pone particolare attenzione al problema del controllo

interno e ne disciplina dettagliatamente le modalità di svolgimento.

Solo l’l% delle società dichiara che non è previsto un sistema di controllo interno.

Articolo 10.

Una percentuale leggermente inferiore, il 58%, ha scelto di costituire al proprio interno un

comitato di controllo interno. In un restante 3% dei casi il comitato sta per essere costituito.

La mancata adozione del comitato viene spesso motivata sostenendo che, date le ridotte

dimensioni aziendali, non è necessario procedere alla sua costituzione. In altri casi si asserisce

che il comitato esecutivo o il consiglio di amministrazione nella sua interezza sono in grado di

svolgere efficacemente le funzioni che il Codice affida al comitato di controllo interno. In

particolar modo nelle relazioni delle banche si fa notare come la normativa di settore imponga

stringenti controlli come e la costituzione del comitato comporterebbe una poco efficiente

duplicazione di funzioni.

Articolo 11.

Molte imprese sono risultate sensibili alla necessità di mantenere un dialogo proficuo e

continuativo con la generalità di azionisti e in particolare con gli investitori istituzionali. Ha

nominato un responsabile a tale fine, infatti, il 42% delle società e il 23% delle società ha

predisposto una apposita funzione aziendale.

Articolo 12.

Il 29% delle emittenti dichiara di incentivare la più ampia partecipazione alle assemblee.

Per rendere più ordinato lo svolgimento delle riunioni, è stato predisposto e approvato nel

22% dei casi un regolamento assembleare, mentre è in corso di approvazione nel 24% delle

società. Il rifiuto di dotarsi di un regolamento viene spesso motivato con il riferimento alla

ristretta base azionaria e sostenendo che le assemblee si sono fino ad oggi svolte in maniera

efficiente. Alcune società fanno notare che la predisposizione di un regolamento può rivelarsi

uno strumento scarsamente flessibile e incapace di adattarsi alle esigenze delle realtà. Altre

64

relazioni asseriscono invece che lo statuto e la prassi garantiscono già l’ordinato e regolare

svolgimento dei lavori.

Articolo 13.

Solo nel 10 % dei casi sussiste l'obbligo di depositare nella sede societaria almeno dieci

giorni prima della data fissata per l'assemblea le candidature corredate da una adeguata

informativa in merito alle caratteristiche personali e professionali dei candidati. Nel 36 % dei

casi si asserisce che il meccanismo di lista impone quest’obbligo.

Relazione.

Il 18% delle relazioni, a giudizio di chi scrive, non presentano neppure gli elementi minimi

per chiarire al lettore le scelte di governance.

Al contrario, nel 25% dei casi la relazione è stata strutturata a guisa di confronto tra i singoli

precetti del Codice e le implementazioni già in atto o le scelte organizzative divergenti.

Il 12% delle società ha preferito invece scrivere un proprio codice di autodisciplina,

adattando il testo del Codice Preda alle esigenze interne.

Osservando la tabella, si nota subito il fatto che siano numerose le caselle ad essere lasciate

in bianco, per i problemi esposti sopra.

E’ lecito dedurre che, qualora la relazione abbia omesso di trattare determinati argomenti, i

cambiamenti necessari all’adeguamento non siano stati posto in atto. Nello spirito del Codice

infatti, sarebbe stato di primario interesse per le emittenti spiegare agli investitori che i massimi

sforzi sono stati fatti per dotare il sistema di governance delle soluzioni più efficienti.

E’ tuttavia possibile ritenere che alcune relazioni si siano soffermate a spiegare i punti

ritenuti più significativi, dando per scontato che i punti non trattati seguissero già i precetti del

Codice.

A nostro avviso, la prospettiva più corretta è fare riferimento soltanto a quanto viene

espressamente dichiarato nelle relazioni.

65

Nel complesso l'iniziativa sembra aver avuto un discreto successo: almeno il 40 % delle quotate

ha implementato cambiamenti nella direzione auspicata dal Codice. Evidentemente le

emittenti italiane colgono la necessità di aumentare la propria competitività sul mercato dei

capitali e hanno accolto di buon grado suggerimenti in grado di aiutare a perseguire questo

obbiettivo.

La percentuale di adesione sale in maniera significativa con riferimento al consiglio di

amministrazione.

Questo significa che, a fronte di una normativa primaria lacunosa in materia, le imprese si

trovano concordi nel riconoscere al consiglio il ruolo centrale nella propria governance e nella

convinzione che sia indispensabile un processo decisionale rapido e efficiente, in cui siano presi

in considerazione tutti gli interessi che gravitano attorno all’impresa.

La realtà italiana si scosta invece dai dettami del Codice nei poteri attribuiti al Presidente del

consiglio di amministrazione: nel 40 % dei casi il Presidente è dotato di deleghe operative.

Questo fenomeno è spiegabile considerando che le nelle nostre imprese la proprietà spesso è

concentrata, e il consiglio di amministrazione è espressione diretta della maggioranza azionaria.

Nelle mani del Presidente, quindi, la maggioranza di controllo vuole che sia ben salda la guida

non solo del processo decisionale in ambito strategico, ma anche operativo.

Con riferimento alle informazioni sensibili, sarebbe auspicabile che aumentasse la

percentuale di imprese dotate di una procedura, in quanto la cristallizzazione dei procedimenti

da adottare e delle responsabilità conseguenti al trattamento di tali informazioni contribuisce in

maniera determinante ad evitare il rischio di abusi.

Molte società hanno visto nei comitati la vera innovazione proposta dal Codice.

Con la costituzione dei comitati la realtà organizzativa delle imprese italiane si avvicina

sempre più al modello anglosassone; non bisogna tuttavia dimenticare che questo modello,

riconosciuto in ambito internazionale come il più equilibrato e efficiente, è pensato per una

realtà in cui la base azionaria è polverizzata e quindi la sua applicazione potrebbe rivelarsi

66

controproducente laddove un azionista o un patto di sindacato domini da solo le scelte di

gestione.

Indubbiamente, l’adozione dei comitati contribuisce ad aumentare significativamente i poteri

di controllo attribuiti alla componente non esecutiva del consiglio di amministrazione, che così

è posta a diretto contatto con i processi e la realtà aziendali.

Dei tre, scarso successo ha ricevuto il comitato per le nomine alla carica di amministratore. Il

dato non stupisce, sia perché il Codice poneva la costituzione di questo comitato come

eventuale, sia per quanto detto in merito alla struttura proprietaria: è l’azionista di riferimento a

pilotare la nomina del consiglio e pertanto i candidati proposti saranno solamente quelli di suo

gradimento.

Questo può spiegare, inoltre, perché spesso non vi sia l’obbligo di deposito preventivo delle

candidature: colui che detiene la maggioranza dei voti in assemblea è sicuramente a conoscenza

delle caratteristiche personali e professionali di chi è scelto per rappresentare i suoi interessi. Gli

altri soci non sono in grado di compiere una vera scelta, non tanto perché non adeguatamente

informati, quanto perché il loro voto non è in grado di incidere sul risultato della votazione.

Più consenso è stato raccolto dal comitato per le proposte di nomina, probabilmente perché è

unanimemente riconosciuto che il fatto che a determinare i compensi siano soggetti diversi dai

destinatari dei compensi stessi, mette al riparo da eclatanti abusi.

Poche sono le imprese che legano parte della retribuzione degli amministratori esecutivi e

degli alti dirigenti ai risultati della società, evidentemente perché il problema dell’agenzia, per la

cui riduzione i piani di retribuzione parametrata vengono progettati, è meno sentito in una realtà

in cui i manager sono diretta espressione della proprietà.

Ha goduto ancora maggior apprezzamento il comitato per il controllo interno. Trova quindi

crescente diffusione il convincimento che con l’aumentare della complessità dei processi

aziendali, per l’impresa è vitale dotarsi di un sistema capace di monitorare e prevenire i rischi

che si accompagnano all’esercizio dell’attività.

67

Le imprese, consce che la propria crescita sul mercato dei capitali dipende in maniera

determinante dal dialogo con gli investitori istituzionali, dedicano un’attenzione particolare al

dialogo con questa specifica categoria di azionisti.

Per concludere, si rivela opinione diffusa che l’assemblea costituisca il momento principe

nella vita di una società. Pertanto, per incoraggiare la più ampia partecipazione alle riunioni e

fare sì che i lavori si svolgano in modo ordinato e regolare, quasi la metà delle emittenti ha

accolto volentieri il suggerimento di predisporre un apposito regolamento.

68

CONCLUSIONI

Esaminati i dati della tabella, emergono due importanti interrogativi a cui cerchiamo di dare

risposta.

In primo luogo viene da chiedersi in quale modo, a fronte di un’adesione entusiasta e

generalizzata da parte delle emittenti, le regole del Codice siano in grado di incidere sulle

procedure concrete che determinano il loro sistema di governance. Il rischio, infatti, è che la

best practice non trovi applicazione sostanziale ma solamente “programmatica”.

Per sciogliere questo dubbio, meritano particolare attenzione le modalità di funzionamento

del consiglio di amministrazione, che nella prassi risentono più significativamente di anomalie e

storture.

In secondo luogo ci si interroga sulla possibilità di applicare con successo alla realtà

italiana, caratterizzata dalla presenza di imprese a proprietà concentrata, una testo normativo

dichiaratamente ispirato alle public companies anglosassoni.

Si intende così chiarire quale sia il ruolo positivo che il Codice è in grado di svolgere

nell’indurre le emittenti e il mercato dei capitali verso una significativa crescita e una maggior

efficienza.

Prima di cercare di rispondere a tali interrogativi, appare tuttavia opportuno affrontare la

questione relativa all’efficacia, dal punto di vista economico, che caratterizza il sistema di

governance proposto dal Codice, in rapporto al contesto economico, sociale e normativo in cui

viene applicato.

Abbiamo visto che il Codice segue l'idea, dominante nel panorama attuale, secondo la quale

un sistema efficiente di corporate governance è quello che assicura pieni poteri agli azionisti e

promuove la massimizzazione del valore del capitale azionario.

Quest'idea può essere interpretata come una risposta al problema di agenzia che esiste tra i

manager e agli investitori esterni, cioè quelli che forniscono il proprio capitale sul mercato.

69

L'unica interpretazione possibile non è tuttavia questa, poiché altrimenti non si terrebbero in

giusta considerazione gli interessi dei creditori, altra categoria di investitori esterni che hanno

una netta preferenza per una gestione più improntata alla cautela rispetto a quanto desiderato

dagli azionisti.

Ci si chiede come sia possibile quindi giustificare una simile preferenza assoluta per una sola

classe di stakeholder. Partendo dal presupposto che un'azienda viene definita come un insieme

di contratti tra i vari stakeholder, ci si interroga cioè su quali siano le ragioni che dovrebbero

rendere efficiente l'assegnazione del potere in modo da favorire la massimizzazione della quota

di surplus sociale goduto da una sola categoria di soggetti in gioco.

Un incremento del valore per gli azionisti, in fin dei conti, potrebbe andare di pari passo con

una diminuzione del surplus totale di valore prodotto dall’esercizio dell’impresa qualora un

ammontare sufficiente di ricchezza fosse trasferito dagli altri portatori di interessi agli azionisti.

Il paradigma della massimizzazione del valore dell'azionista presenta inoltre un'ambiguità di

fondo, in quanto è stato sviluppato nel contesto statunitense che, come sappiamo, è

caratterizzato da un elevato numero di società quotate ad azionariato diffuso.

In un simile contesto il paradigma in esame deve intendersi come massimizzazione del

valore per l'azionista esterno. Nel contesto dell'Europa continentale invece, dove la proprietà

delle azioni è di solito modo più concentrata e vi è un confronto tra azionisti di maggioranza e

azionisti di minoranza, non è chiaro quale valore debba essere massimizzato, se il capitale totale

di entrambi i gruppi di azionisti o di uno di essi.

Oltre al codice Preda, solo il codice Olivencia spagnolo cade in questa ambiguità. Né il

rapporto Vienot né il codice di condotta tedesco finalizzano un buon sistema di governance alla

massimizzazione del valore dell'azionista.

A sostegno della scelta di progettare un sistema di corporate governance finalizzato a

proteggere e a massimizzare il valore per l'azionista si possono trovare due fondamenti logici.

Entrambi i fondamenti sono in realtà però riferiti al concetto originario di valore per

l'azionista esterno o di minoranza.

70

Primo fondamento sta nel presupposto che gli altri stakeholder godano comunque di una

protezione contrattuale completa, e che siano quindi indifferenti nei confronti di una struttura di

governance favorevole alla tutela dell'interesse dei soli azionisti.

La pretesa di questi ultimi nei confronti del valore prodotto dall'azienda viene infatti

soddisfatta in via residuale, e quindi tra i diversi stakeholder essi sono quelli più esposti alle

potenzialità di guadagno di perdita determinate dalle decisioni di gestione. Ponendo un valore

prefissato e tutelato in modo certo dei diritti degli altri stakeholder, massimizzare il valore dei

diritti degli azionisti equivale dunque a massimizzare valore totale dell'impresa.

Nella realtà, purtroppo, queste condizioni non si verificano.

Come fa notare Lazzari1 "dal momento che la contrattazione è incompleta, e, in larga misura

di natura strategica, i diritti residuali di controllo possono essere utilizzati per modificare ex post

il valore di tutte le legittime pretese economiche, persino quelle all'apparenza con un valore

fissato da leggi e condizioni contrattuali esplicite. Un'impresa che assuma nuovo debito può

ridurre il valore di mercato di quello esistente se così facendo aumenta il rischio di fallimento.

La maggiore difficoltà che dipendenti possono incontrare nell'ottenere una promozione dopo

che la propria società è stata acquisita da un'altra comporta il deprezzamento di una componente

non monetaria della loro remunerazione: la speranza di fare carriera. Le opzioni di uscita, poi,

sono spesso più disponibili in teoria che in pratica: i dipendenti con capitale umano specifico

per un particolare tipo di azienda potrebbero incontrare difficoltà a vendere il proprio lavoro

altrove. Lo stesso vale per fornitori clienti che abbiano predisposto la propria produzione nel

proprio ciclo di consumo in base alle esigenze dell'azienda. Anche le banche potrebbero non

trovare facile prescindere i rapporti con i propri mutuatari ".

Dunque, un sistema di corporate governance finalizzato ad esaltare il solo interesse degli

azionisti potrebbe rivelarsi troppo pericoloso e iniquo rispetto agli altri stakeholder, le cui

pretese economiche potrebbero non trovare adeguata protezione contro il rischio che vengano

1 Traduzione dall’articolo di V. Lazzari, Corporate governance: first principles, current debates, future prospects, in European Business Forum, Spring 2001, pp. 6 -13.

71

espropriate da parte chi dispone dei diritti residuali di controllo. Questo potrebbe avvenire in un

contesto sociale come quello dell'Europa continentale, in cui la mobilità geografica degli

individui è ancora ridotta, il mercato del lavoro presenta rigidità e è necessario ricorrere anche

alla contrattazione strategica a causa dei limiti della contrattazione esplicita che derivano dalle

inefficienze del sistema legislativo e giudiziario.

Nei paesi anglosassoni invece i sistemi legislativi e esecutivi sono più efficienti, il mercato

del lavoro è deregolamentato e flessibile e c'è una lunga tradizione che porta alla redazione di

contratti espliciti assai sofisticati e dettagliati. Questi fattori assicurano una migliore protezione

alle diverse classi di stakeholder e riducono lo scostamento dalle condizioni teoriche in presenza

delle quali il principio di massimizzazione del valore per le azionisti ha maggiore efficacia nel

promuovere il benessere sociale.

Il modello anglosassone può essere pertanto considerato come il modello migliore e

dominante solamente se si è convinti che l'ambiente sociale e legale a livello internazionale stia

convergendo verso lo standard anglosassone.

Il secondo fondamento logico a giustificazione di una corporate governance incentrata sulla

massimizzazione del valore per l'azionista si fonda sulla volontà di creare un sistema di

incentivi in grado di promuovere la crescita economica capaci di assicurare che sia portata a

realizzazione un'alta percentuale dei potenziali progetti di investimento validi.

Per capire questo concetto occorre una piccola premessa: quando non c'è separazione tra

imprenditori e finanziatori è ottimale che le decisioni di investimento da parte delle aziende

siano prese in conformità alla cd. “regola del valore attuale netto”, che porta ad accettare quei

progetti che presentano valore attuale netto positivo dei flussi di cassa generati

dall'investimento. Se così non è, l’investimento deve essere rifiutato.

Qualora sia necessario reperire capitali con emissione di strumenti finanziari sul mercato,

mutano i criteri in base ai quali valutare l'opportunità di finanziare un progetto. A causa dei

problemi di agenzia, infatti, né gli imprenditori né i manager possono garantire agli azionisti

esterni che l'utile conseguibile venga di fatto realizzato e distribuito ai finanziatori. C'è la

72

concreta possibilità che parte dell'utile conseguibile scompaia trasformandosi in benefici privati

del management.

Quando dunque si trovano a decidere se finanziare o meno un progetto di investimento, gli

investitori esterni non tengono conto del futuro flusso di cassa totale, ma solo della parte di

questo flusso di cassa che i soggetti insider possono impegnarsi a produrre e distribuire.

Un sistema di corporate governance concepito per proteggere gli azionisti esterni,

incrementando il flusso di cassa cosiddetto "garantibile" per dato flusso di cassa complessivo,

può facilitare il finanziamento di un numero maggiore di progetti di investimento, con un

aumento di benessere generale della società.

E’ opportuno, pertanto, che la massimizzazione del valore per gli azionisti non venga

considerata come l'obiettivo finale da perseguire, ma piuttosto come un vincolo da soddisfare

affinché siano intrapresi tutti quei progetti di investimento potenzialmente capace di produrre

ricchezza ma che necessitano di finanziamenti esterni.

Per concludere, appare discutile la scelta dei redattori del Codice di aver finalizzato

l’implementazione delle regole di best practice alla massimizzazione del valore per l’azionista.

Tale principio infatti, come appena dimostrato, in un contento socio-economico come quello

italiano rischia di nuocere al vasto numero degli interessi che gravitano attorno all’impresa. Per

scongiurare questo pericolo, il Comitato avrebbe dovuto porre in maggior risalto la necessità

che gli interessi di tutti gli stakeholder trovino adeguata tutela e soddisfazione, in vista di un

maggiore sviluppo del mercato dei capitali.

Infatti, volendo capire le ragioni per cui i mercati azionari sono meno sviluppati nell’Europa

continentale rispetto ai Paesi anglosassoni, non si può prescindere dall'esame della struttura del

sistema legale e giudiziario che caratterizza i due sistemi.2

Questo perché, se da un lato le leggi pongono limiti all'autonomia contrattuale delle parti,

preassegnando determinati diritti e doveri, dall'altro, il valore dei diritti degli obblighi legali e

2 Porta R., Lopez de Silanes F., Schleifer A., Vishny R. , Legal determinance of external finance, in Journal of Finance, 52, 1997, pp. 1131 – 1150.

73

contrattuali che vincola i contraenti dipendono dalla qualità dei meccanismi che garantiscono il

rispetto delle norme di legge e dei contratti.

Facendo riferimento all'entità e all'efficacia della protezione concessa per legge e garantita

dal sistema giudiziario agli investitori esterni si può spiegare il livello di concentrazione

proprietaria delle aziende e il grado di sviluppo dei mercati azionari e obbligazionari . I Paesi

anglosassoni si giovano di mercati azionari e obbligazionari più sviluppati: la protezione

accordata agli azionisti di minoranza è maggiore e l’applicazione delle leggi più forte rispetto ai

paesi di civil law, nei quali per gli imprenditori è più difficile ottenere finanziamenti da terzi

sotto forma di capitale azionario, dal momento che gli azionisti di minoranza sono la classe di

stakeholder maggiormente soggetta alla rischio di espropriazione da parte di chi gestisce

l’impresa.

Possiamo aggiungere che quei Paesi di diritto comune la cui tradizione giuridica è stata

influenzata dal Codice napoleonico, nella protezione degli investitori esterni hanno dato risultati

peggiori rispetto a quelli di tradizione tedesca o scandinava3.

I Paesi di common law garantiscono agli investitori esterni, e in particolare agli azionisti di

minoranza, una maggiore e migliore protezione rispetto ai Paesi di civil law, facilitando

l’instaurarsi di relazioni tra questi e gli imprenditori.

Per garantire agli azionisti esterni adeguata protezione è necessario innanzitutto che ci sia un

vincolo stretto tra diritti ai dividendi e diritti di voto, poiché in questo caso diventa meno grave

il problema di agenzia tra insider e outsider.

In secondo luogo rivestono importanza le procedure relative all'assemblea degli azionisti .

Più semplice è per gli azionisti di minoranza indire un'assemblea e votare, grazie ad un facile

ricorso alla delega o al voto per posta, più difficile è per i manager affermare la propria

posizione indipendentemente dai risultati aziendali conseguiti. In questo senso si è mosso il

T.U.F. e lo stesso Codice di autodisciplina, che raccomanda di abbassare nelle clausole

3 V. Lazzari, Corporate governance: first principles, current debates, future prospects, in European Business Forum, Spring 2001.

74

statutarie le percentuali di capitale necessarie per la convocazione dell’assemblea ad opera della

minoranza.

In terzo luogo è necessario lo scambio periodico di un flusso di informazioni completo tra i

vari organi sociali: dai dati emersi dalla presente ricerca si può evincere che molte emittenti

hanno già adottato modalità di circolazione delle informazioni volte a soddisfare quest’esigenza.

Determinante è, inoltre, la composizione del consiglio di amministrazione. In questo ambito,

come abbiamo visto, il Codice ha riscosso cospicue adesioni.

Tuttavia una mancanza può essere osservata: per facilitare il controllo sulle azioni che

vengono intraprese dai soggetti insider, alle minoranze azionarie dovrebbe essere garantita una

rappresentanza in seno al consiglio di amministrazione, ma i redattori del Codice hanno omesso

di pronunciarsi al riguardo.

Nel complesso, quindi, il fatto che le società che intendono quotarsi in Borsa debbano

dimostrare di avere un sistema di corporate governance in linea con quanto previsto dal Codice,

può contribuire ad un più elevato sviluppo del mercato dei capitali anche in Italia. Occorre

tuttavia sollecitare un intervento del legislatore, in quanto nel nostro Paese è necessario

intervenire in modo rapido deciso nell'approntare strumenti incisivi sia organizzativi che

legislativi in grado di garantire una vigilanza attenta sui comportamenti delle imprese.4

Passiamo ora a chiarire il primo interrogativo, se, cioè, a fronte di una dichiarata adesione ai

precetti del Codice, operi contestualmente il concreto funzionamento dei meccanismi che il

Codice delinea. Abbiamo scelto di affrontare la tematica con riferimento al consiglio di

amministrazione, poiché consideriamo le modalità di funzionamento dell’organo

rappresentative di possibili storture e anomalie.

E’ indispensabile dichiarare le procedure da mettere in atto per perseguire determinati

obiettivi. Bisogna, tuttavia, essere consci allo stesso tempo che la visione deontica delineata

4 Cfr più avanti, dove si fa riferimento ai tre pilastri su cui si basa il modello anglosassone.

75

rischia di scontrarsi con una realtà in cui gli organi di governance hanno caratteristiche e

modalità di funzionamento completamente diversi.

E’ largamente sostenuto, infatti, che, in moltissimi casi, ad un funzionamento dal punto di

vista formale dei consigli di amministrazione, si accompagna il loro sostanziale essere

nient'altro che organi di ratifica di decisioni prese altrove. Tale modello di consiglio di

amministrazione sembrava molto diffuso nelle grandi imprese fino a una decina di anni fa. Oggi

invece sembra che stia crescendo il numero di consigli di amministrazione nei quali

effettivamente si decide.

L'interrogativo potrebbe essere posto sul punto se sia effettivamente necessario un consiglio

di amministrazione con un forte ruolo decisionale reale, come il Codice presumibilmente

auspica.

Volendo andare oltre gli aspetti squisitamente legali in linea di principio a questa domanda è

possibile dare una risposta negativa.

Perché le imprese siano ben governate, è necessario che le decisioni fondamentali siano

prese da più persone che, a livello di gruppo, rappresentino adeguatamente tutti gli stakeholder

più importanti e che abbiano competenze sufficientemente articolate e differenziate così da

garantire l'alta qualità delle scelte. Non è detto che questo insieme di soggetti debba operare

secondo le strutture e le modalità tipiche di un consiglio di amministrazione, anche se è

necessario riconoscere che nelle situazioni più complesse difficili anche la forma di

organizzazione può fornire un contributo positivo.

Nella prassi si rileva come siano pochi i consigli di amministrazione che lavorano su

un'attenta riflessione concernente le diverse alternative possibili di azione per poi sceglierne

una. Molto spesso è il management a scegliere un'alternativa tra quelle possibili e a chiedere su

di essa il parere del consiglio di amministrazione. Dal punto di vista dell'intero consiglio, in

questo caso è difficile parlare di scelta, dato che non si conoscono le alternative.

Se ai consiglieri si mostrassero le varie alternative, essi avrebbero una più ampia visione

della questione da affrontare. Questa è senza dubbio l'intenzione del Codice nel suggerire che

76

consigli di amministrazione siano composti da un numero congruo di amministratori non

esecutivi e indipendenti, in grado di apportare, con il loro contributo e le loro competenze,

valore aggiunto nel discernere, tra le alternative possibili, quale in concreto persegue in misura

maggiore l'aumento di valore per gli azionisti.

A fronte di ciò, si riscontrerebbe tuttavia un sensibile aumento del tempo necessario per

prendere la decisione. È chiaro quindi che la gestione è affidata all'amministratore delegato o a

un comitato esecutivo ristretto e anche al management, e che le discussioni più complesse

avvengono in prima battuta in un ambiente ristretto. Ma è poi l’intero consiglio, mediante

riunioni successive e organizzate in tempi brevi, a lavorare su quanto presentato e a contribuire

alla soluzione di un importante problema o all'assunzione di scelte strategiche determinanti.

Questo è il metodo di funzionamento che comunemente è ritenuto più efficiente, in quanto il

consiglio di amministrazione non deve essere messo in condizioni di interferire pesantemente

nella gestione ordinaria.

Il modello americano prevede infatti che l'amministratore delegato sia garante non solo della

corretta gestione aziendale, ma anche della corretta preparazione delle decisioni del consiglio di

amministrazione.

L'agenda del consiglio di amministrazione è saldamente nelle mani del Presidente, il cui

ruolo fondamentale di guida è, come abbiamo visto, sottolineato nel Codice.

Tuttavia, varie circostanze possono influenzare significativamente il funzionamento del

consiglio.

Il riferimento è, ad esempio, alla presenza o meno di un amministratore delegato dotato di

personalità carismatica, che potrebbe lasciare più o meno spazio alla discussione collegiale: di

fronte ad un amministratore delegato carismatico si riscontra una tendenza dei consiglieri a non

intervenire.

Come sembra essere nello spirito del Codice, il consiglio non deve assumere il ruolo attivo

di gestione della società, ma ricoprire il fondamentale incarico di tracciare gli indirizzi, le linee

generali di sviluppo, le politiche e controllare che essere le decisioni seguano tali binari.

77

La presenza o meno di determinate regole formali non garantisce quindi che, in concreto, sia

applicato il modello di consiglio di amministrazione che matura la propria decisione lasciando

spazio a discussioni molto articolate o il modello di consiglio di amministrazione con un ruolo

di mera ratifica. Il manifestarsi dell'una o dell'altra forma può dipendere da vari fattori, quali

l'autorevolezza e la posizione di forza dei vari componenti del consiglio, il numero dei membri

del consiglio e la fiducia di cui il vertice manageriale e l'amministratore delegato godono nei

confronti del consiglio. Anche la composizione degli assetti proprietari potrebbe indurre il

consiglio a limitarsi a ratificare quanto stabilito dal comitato esecutivo o dalla proprietà. In

questi casi ci potrebbe essere anche una discussione ampia, ma i suoi esiti appaiono fin

dall'inizio scontati.

Anche in queste ultime situazioni c'è, in fondo, un organo collegiale che decide, benché non

è il consiglio di amministrazione ma l'assemblea del patto di sindacato. Nelle riunioni di tale

organo, i maggiori azionisti vagliano i progetti e può capitare che un progetto portato per

l'approvazione non venga condiviso da tutti i partecipanti al patto e sia quindi accantonato.

In queste circostanze il meccanismo è tale per cui una pluralità di soggetti pensa e decide,

anche se non si tratta dell'organo amministrativo della società.

Una situazione del genere si rivela come la meno peggiore, dato che il vero rischio e il vero

problema si sostanziano nella mala gestione, cioè nei consigli nei quali il potere decisionale è

concentrato in un solo soggetto, in assenza di un sistema di controllo, di qualsiasi natura, che lo

vagli.

Ad un livello superiore si può sostenere che le decisioni, se prese collegialmente, sono

migliori. Senza dubbio un momento di collegialità, di vaglio della decisione, di controllo

reciproco è essenziale. Da questo punto di vista l'ideale è avere, in seno ai consigli comitati

rappresentativi di persone che hanno un collegamento con l'azionariato e competenze, tempo, e

voglia di decidere, come insegna il Codice di autodisciplina.

Tornando al discorso sull'opportunità che consiglio scelga tra varie alternative, il fatto che i

consigli debbano prendere una decisione tra un ventaglio di ipotesi può essere interpretato da

78

qualcuno come assenza di una strategia. Il consigliere indipendente, nella prassi, sembra non

gradire di dover scegliere tra innumerevoli alternative, e preferisce esprimere un'opinione,

positiva o negativa, sul singolo progetto proposto o su una gamma ristretta di proposte.

Dunque è importante il modo in cui il consiglio viene preparato, poiché se sono esposte varie

alternative, queste non dovrebbero essere poste tutte sullo stesso piano, ma occorre che ci sia

qualcuno che le ordini per i consiglieri. Un consiglio che funzioni bene e che si avvicini ad

essere un organo decisionale, pur essendo di ratifica, in sé e per sé dovrebbe avere qualcuno che

illustri le varie alternative e che spieghi per quali ragioni alla fine ne viene proposta una come la

migliore.

In questo caso il consigliere capisce che potevano esserci varie alternative e se all'interno del

consiglio qualcuno ha validi motivi per mettere in discussione la scelta, può farlo presente a

tutti.

Secondo quanto previsto dal Codice all'articolo 5, la presenza di un'adeguata informativa

della gestione permette al consiglio di amministrazione nel suo complesso un maggior controllo

sulle decisioni operative che vengono assunte, ed è così possibile che la discussione consiliare

emerga soltanto in presenza di fatti importanti. Se quindi, come abbiamo detto, l'ipotesi di un

consiglio che gestisca in maniera operativa la società ha scarsa aderenza con quanto avviene

nella realtà, è importante che il consiglio sia nelle condizioni di verificare puntualmente e

approfonditamente le scelte compiute dall'organo di gestione, per verificare se quest'ultimo si è

mantenuto entro i binari precedentemente tracciati dal consiglio.

Nella prassi la situazione non potrebbe essere diversa non perché in assoluto sia impossibile,

ma perché ciascun amministratore dovrebbe dedicare molto più tempo al suo incarico, in pratica

rimanendo presente in azienda per l'intera giornata, approfondire le proprie competenze poiché

solo in questo modo potrebbe partecipare alla gestione con perfetta cognizione di causa. Questo,

evidentemente, è improponibile.

Dove invece il singolo amministratore può fare molto è nel verificare se le proposte

sottoposte all'esame del consiglio seguono l'indirizzo collegialmente deliberato. Attenti alle

79

carte che vengono prodotte e alle proposte che vengono illustrate, i consiglieri possono capire la

bontà di un progetto ed esprimere osservazioni pertinenti e domande opportune, de

eventualmente richiedere il supplemento d'informazione necessario per esprimere un giudizio

consapevole.

Ulteriore problema che si pone alle società quotate è quello della riservatezza, dato che su

alcune questioni il consiglio non può che essere informato all'ultimo minuto, e la decisione deve

essere presa in seduta senza che i consiglieri abbiano la possibilità di uscire. Pertanto, per

quanto concerne la decisione su questioni riservate, il consiglio si presenta come un punto

terminale, un luogo ove si assumono decisioni formali.

Il Codice di autodisciplina auspica che, in vista di una riunione del consiglio di

amministrazione, la documentazione sia trasmessa dal Presidente e ai consiglieri con adeguato

anticipo, per consentire loro di discutere con cognizione di causa al momento opportuno.

C'è da chiedersi tuttavia come questa esigenza si possa conciliare con la normativa

sull'insider trading. La cosa può destare perplessità in alcuni Presidenti, poiché, se un

amministratore, destinatario dell'informazione preventiva, ne fa uso non appropriato per trarne

vantaggi economici, non si può escludere che qualche magistrato possa individuare nell'azione

del Presidente un concorso nell'illecito.

Il problema della riservatezza nasconde un profilo anche sostanziale. Se si presume infatti

che in consiglio possano verificarsi fughe di notizie, significa che per qualche verso il

meccanismo non funziona. Potrebbe essere quindi più opportuno prevedere consigli più ristretti,

più dedicati, così da creare un adeguato coinvolgimento nei consiglieri, un senso di

responsabilità diretta che rischia di andare disperso in un consiglio di grandi dimensioni.

Il fatto che il Codice Preda abbia avuto bisogno di definire quali siano i compiti di un

consiglio di amministrazione fa supporre che determinati comportamenti, effettivamente, non

fossero così normali o così diffusi. Evidentemente si voleva porre l'attenzione su particolari

aspetti, come quello che il consiglio sia un organo di indirizzo e di controllo. La realtà mostra

che esistono casi in cui al consiglio di amministrazione partecipa il commercialista di famiglia,

80

rispetto al presidente, all'amministratore delegato o comunque alla famiglia proprietaria non può

esistere vero contraddittorio. In questo caso il consiglio non può dare nessun valore aggiunto, e

forse è proprio questo ciò che il Codice di autodisciplina vuole evitare. Probabilmente le piccole

aziende che decidevano di affacciarsi sul mercato di Borsa non credevano di doversi presentare

con un consiglio di amministrazione diverso da quello che avevano in precedenza: oggi invece

sono obbligate ad adottare il Codice se vogliono accedere alla Borsa e il sistema di governance

delineato porta automaticamente il consiglio di amministrazione a dover decidere sui problemi

più importanti e sugli investimenti.

Generalmente le aziende sono organizzate in maniera tale che il management possa decidere

fino ad investimenti al di sotto di un certo livello, mentre oltre tale soglia la decisione deve

essere portata in consiglio. Il consiglio viene quindi informato dal management preventivamente

e, successivamente, nel caso in cui vi sia qualche novità rilevante. Come previsto dal Codice, se

circolano più informazioni, il consigliere è aiutato a capire meglio i processi dell'azienda, i

processi decisionali migliorano e il consiglio di amministrazione comincia a funzionare,

costituendo un punto fermo in cui si formalizza la decisione. L’informazione agisce un po' come

un dovere: quando la si riceve, non si ha più la possibilità di dichiarare di non sapere, cade

l'alibi. I consiglieri devono fare domande e sono più invogliati a farle, allargando la materia

della discussione.

Il Codice ha l’indubbio merito di contribuire a far avanzare culturalmente un sistema che era

un po' arretrato, avanzamento culturale che nasce dalla massa delle informazioni che il consiglio

riceve. Con l’iniziativa si è mosso un sistema che continuerà a progredire presenterà novità:

basta lasciare spazio a interventi di autodisciplina, senza contare solo su imposizioni legislative,

altrimenti si rischia il rigetto.

Nonostante alcune sue manchevolezze, dunque, il Codice si rivela come strumento di

stimolo utile a diffondere la cultura della governance nell'ambiente italiano, dove la natura

prevalentemente familiare delle aziende ha appiattito la loro conduzione nella figura

81

dell'imprenditore e della sua famiglia, evitando quei contrappesi dialettici che permettono di

ridurre i rischi che l'attività di impresa necessariamente comporta.

Per quanto riguarda i compiti affidati al consiglio, il legislatore non dovrebbe cedere alla

tentazione di fissare per legge le materie ad esso non delegabili, dato che in materia di

governance è difficile fornire ricette generali. Tale pratica potrebbe provocare gravi danni in

tema di flessibilità e non riservare al consiglio materie che nel caso concreto si possono rivelare

strategiche. La realtà delle imprese è infatti talmente varia che una materia può essere strategica

per l’una e non per l'altra e, d'altra parte, l’imposizione per legge potrebbe continuare a

perpetuare o addirittura esaltare la discrasia tra il formale e il reale.

Il problema dei compiti da riservare al consiglio deve essere affrontato tenendo conto anche

dei connessi rischi di deresponsabilizzazione del consiglio stesso o del management aziendale.

Si presentano, infatti, casi in cui all’interno dell’impresa una sola figura ritiene di dover

ricoprire il ruolo di supremo decisore e concede pochissimo spazio al consiglio di

amministrazione. Se questo avviene, i consiglieri si accorgono di essere poco informati e ancor

meno ascoltati; è facile, quindi, che si adattino ad un ruolo solo formale, lasciando al decisore

facile gioco nel trovare conferma alla sua ipotesi iniziale, secondo la quale il consiglio di

amministrazione serve a poco o nulla, nella logica delle profezie autoverificantesi.

All'opposto, se si assegnano al consiglio di amministrazione spazi decisionali

eccessivamente ampi, sarà il management aziendale a sentirsi deresponsabilizzato, ritirandosi

dalle decisioni. A questo punto il consiglio di amministrazione si sentirà in dovere di rafforzare

ulteriormente il suo ruolo, entrando anche nelle decisioni operative. È un gioco di equilibri

delicato, dove, oltre alle regole, contano le percezioni individuali.

Se da un lato è opportuno che i processi decisionali delle imprese si adattino alle situazioni,

senza lasciarsi ingabbiare in strutture formali, dall’altro è pericoloso rinunciare completamente

alla ritualità, perché per certi versi la ritualità ha una funzione intrinseca.

82

Infatti, il fatto stesso di sapere che una determinata decisione deve essere “ratificata” in una

certa data, da un determinato insieme di persone riunite, condiziona evidentemente colui che

formula le proposte e ne limita la discrezionalità e le tentazioni di opportunismo.

E’ quindi importantissimo che il consiglio di amministrazione si riunisca con regolarità.

E’opportuno che venga applicato questo insegnamento del Codice anche nelle imprese non

quotate, soprattutto in quelle con forti componenti familiari: il solo fatto che il consiglio si

riunisca, che ci sia un po' di rito, produce una forma di confronto che può essere efficace. Se il

consiglio non si riunisce, cresce la possibilità che si acuiscano molti problemi, che possono

essere molto gravi in questo tipo di imprese, come ad esempio quello dei rapporti tra parenti.

Un consiglio di amministrazione che operi attivamente è senza dubbio condizione di buon

funzionamento di tutte le imprese, anche quelle non particolarmente complesse e che sino ad

oggi hanno attuato processi di governo molto destrutturati. Quindi, se è opportuno che i consigli

di amministrazione abbiano un ruolo più ampio, occorre creare maggiore rappresentatività.

Da questo punto di vista il Codice può costituire un importante strumento di cambiamento,

in quanto oggi il consigliere può lamentare il fatto che l'impresa abbia dichiarato la propria

adesione codice e poi non sia stato modificato il funzionamento del consiglio.

Per cercare di dare risposta al secondo interrogativo, occorre in primo luogo evidenziare che

la corporate governance di matrice anglosassone ha rappresentato il principale modello di

riferimento per le riforme proprietarie e del diritto societario e mobiliare avviate in Italia nel

1992. Il modello, ancora giovane, si basa su tre pilastri: il mercato del controllo e il meccanismo

delle scalate ostili; l'influenza di pochi grandi investitori istituzionali; il giudizio di soggetti terzi

che possono essere istituzioni pubbliche, associazioni di autoregolamentazione, tribunali.

Per il funzionamento del modello, è necessaria la coesistenza di tutti e tre questi elementi.

Il sistema anglosassone va quindi imitato sotto tutti i profili, se non si vuole ottenere un

sistema monco e instabile. In Italia è necessario quindi implementare il terzo meccanismo,

quello relativo all'arbitraggio dei soggetti terzi. In America opera una mano invisibile, fatta di

83

istituzioni pubbliche, statali e non, fortemente legittimate e competenti, fondate su principi etici

condivisi. In particolare il ruolo di arbitro principale è assegnato ai tribunali, il cui potere è

grande ma assoggettato a due forme potenti di controllo: quello delle assemblee legislative,

statali e federali, e quello della concorrenza tra i tribunali di diversi Stati. Se il tribunale di uno

Stato persiste nell'utilizzare in maniera sbilanciata il potere discrezionale, il gruppo di interessi

colpito di ogni singola società è spinto ad agire per ottenere che la società sposti la propria sede

giuridica fuori dallo Stato in questione. Nel modello statunitense si viene perciò a creare una

forte e indispensabile interazione tra mercato e potere giudiziario.

Una prima grande differenza tra il sistema italiano e quello anglosassone è dunque

rappresentata proprio dalla carenza di queste istituzioni di controllo.

La seconda grande differenza, che è emersa più volte nel corso della trattazione, è relativa

alla struttura proprietaria delle imprese: nel sistema anglosassone il modello dominante è quello

della public company, con azionariato diffuso.

Come negli altri Paesi europei, in Italia spesso la proprietà è concentrata nelle mani degli

stessi soggetti: i manager-proprietari o gli azionisti-imprenditori. Questi soggetti, attraverso un

sistema di partecipazioni incrociate, società a catena e accordi parasociali, siedono nei consigli

di amministrazione della maggior parte delle società quotate e sono pronti a soccorrersi

vicendevolmente, fungendo da cavaliere bianco l'uno per l'altro in caso di scalata ostile.

Autorevole dottrina5 sostiene che in ogni caso in cui la proprietà è concentrata o il controllo è

esercitato direttamente o indirettamente attraverso coalizioni di azionisti, non sono in grado di

modificare gli assetti esistenti né il diritto societario, né la disciplina dei mercati finanziari.

Tali argomentazioni sono supportate dalla teoria della cd. Path dependence6, che ammonisce

riguardo a una certa “vischiosità” che i modelli giuridici presentano qualora vengano esportati e

applicati fuori del contesto socio-economico e culturale che ne ha determinato la nascita.

5 G. Rossi, Le c.d. regole di corporate governance sono in grado di incidere sul comportamento degli amministratori?, in Riv. Soc., I, 2001, pp. 6-20.

84

Applicare alla realtà italiana regole di best practice ispirate al modello anglosassone lascia

quindi parecchie perplessità, in quanto il nostro Paese risulta essere “prigioniero del proprio

passato”.

La dottrina citata7 dubita inoltre che le regole di best practice siano capaci di determinare in

concreto il comportamento degli amministratori. Si dice, “il linguaggio spesso incerto e elusivo

di tali regole rende facile, per le società che volessero, sottoscriverle “in pubblico” e

disattenderle "”in privato””, pertanto il rispetto delle regole di autodisciplina da parte di una

società non può costituire una seria ragione, ancorché indiretta, per indurre gli investitori ad

acquistarne le azioni. Volendo sfatare il “mito” della corporate governance britannica, viene

sottolineato che “ogni sistema di corporate governance deve tenere conto delle condizioni

sociali, economiche, legali politiche nelle quali andrà ad operare”, in quanto “le abitudini e di

comportamenti passati sono estremamente resistenti a qualunque raccomandazione di buon

governo societario”.

Tali obiezioni appaiono senza dubbio rilevanti, ma occorre non dimenticare che il punto

forte dell’autoregolamentazione sta proprio nella sua flessibilità. Dal momento che il Comitato

che ha redatto il Codice rimane in vita, le emittenti potranno, con i loro feeback, provocare un

adeguamento del testo normativo, che lo renda maggiormente calzante alle esigenze della realtà

italiana.

Il presidente della Consob, Spaventa, ammonisce che non c'è teoria o evidenza empirica che

indichi quale sia la struttura proprietaria preferibile per una società.8Il modello anglosassone,

infatti, testimonia che una adeguata protezione degli investitori esterni crea le condizioni per

alimentare la proprietà diffusa, ma non dimostra che altri tipi di assetti proprietari non possono

risultare altrettanto soddisfacenti.

6 Cfr. V.L.A. Bebchuk, M.J. Roe, A theory of path dependence in corporate ownership and governance, in 52 Stanford L. Rew., 1999. 7 Idem, p 16. 8 L. Spaventa, Consob, Relazione annuale , 1999.

85

Quattro in definitiva sono i perni attorno ai quali far ruotare un buon impianto di regole:

l’informazione, il consiglio di amministrazione, i rapporti con gli azionisti, il conflitto

d'interessi.

Senza dubbio, su primi due punti l'applicazione del Codice di autodisciplina costituisce un

notevole passo avanti. Dove invece nel Codice si ravvisa carenza di regolamentazione è in

materia di conflitto di interessi, oltre che riguardo alle operazioni con parti correlate, alle

strutture piramidali, amministratori indipendenti9.

Infatti, il modo in cui i consigli d’amministrazione trattano i conflitti di interesse rimane uno

dei principali problemi di governance che affliggono le società quotate italiane. Sul punto, la

legislazione primaria è debole10. Il testo unico sulla finanza dispone semplicemente, all'articolo

150, che gli amministratori devono informare costantemente collegio sindacale sull'operazione

in conflitto di interesse. Il Codice interviene ai punti 1.2 d-e, dove si dice che il consiglio di

amministrazione vigila sull'andamento della gestione, con particolare attenzione alle situazioni

di conflitto di interesse, e esamina le operazioni di rilievo significativo “con particolare

riferimento alle operazioni con parti correlate”.

Se da un lato queste enunciazioni appaiono del tutto condivisibili, dall’altro si rivelano poco

incisive. Nel Regno Unito vi è una buona ragione a giustificare il fatto che i Codici di

autodisciplina non sono nella materia specifici. Infatti, nelle listing rules per le società che si

vogliono quotare sul London Stock Exchange, le operazioni con parti correlate sono sottoposte

ad una severa regolamentazione.

Da noi manca questo supporto di regolamentazione, e fino a quando non sarà introdotto

sarebbe auspicabile che le indicazioni del Codice si presentassero come più precise e cogenti.

In materia di separazione tra diritti di controllo e diritti patrimoniali, che di frequente nella

prassi viene realizzata attraverso strutture piramidali di gruppo (cd. scatole cinesi), il Codice

non dà suggerimenti. Esiste una norma regolamentare della Borsa Italiana che impedisce la

9 L. Spaventa, L’autoregolamentazione come espressione di self-interest illuminato e i problemi di governance delle società quotate, in Politeia, n. 57, 2000, pp. 123 e ss. 10 Il riferimento è all’articolo 2373 del codice civile.

86

quotazione di holding finanziarie le cui principali attività siano costituite da partecipazioni di

società già quotate. Questa norma può tuttavia essere facilmente elusa mediante operazioni di

scorporo o scissione o con l'acquisizione di una società già quotata. È auspicabile che il

Comitato che ha presieduto la redazione del Codice voglia considerare la questione e proporre

soluzioni adeguate.

Il Codice traccia i requisiti che devono presentare gli amministratori indipendenti. A ben

vedere, le condizioni indicate sono certamente necessarie, ma non sufficienti per caratterizzare

l'indipendenza. Infatti, amministratori assai autorevoli ma provenienti da campi diversi dalle

materie societarie, rischiano di essere semplici fiori all'occhiello, senza avere la capacità di

valutare le proposte del management o degli amministratori che rappresentano l'azionista di

controllo in funzione degli interessi della società e degli azionisti di minoranza.

Non si tratta dunque solo di iniziativa e di esperienza dell'amministratore indipendente:

costui deve trovare uno stimolo a manifestare la sua indipendenza nell'ambiente che lo circonda,

deve trovare conforto dalla diffusione di una vera e propria cultura di mercato e di una vera

cultura di impresa.

Occorre un breve cenno in merito alla sanzionabilità del Codice. Esso è giustamente un

modello di riferimento senza carattere di obbligatorietà. Ma, una volta adottato, il Codice deve

anche essere rispettato: esiste un problema di compliance. L'osservanza è affidata alla

responsabilità dei manager e degli organi sociali. Questo avviene anche in altre esperienze. Il

Cadbury Code dice che "Individuals and companies are responsible for ensuring that their

action meet the spirit of the Code" 11. Perché questo avvenga è necessario in primo luogo la

trasparenza, ossia che significativi episodi di inosservanza delle regole liberamente accettate

divengano noti a tutti. In secondo luogo occorre un ambiente e una cultura che rendano pesanti e

efficaci le sanzioni basate sulla reputazione, erogate dal mercato a chi rompe una promessa e

non osserva gli impegni presi.

11 Cadbury Code, 3.10.

87

Come osservato12, nella fisiologia di un mercato sviluppato la perdita di reputazione

costituisce una sanzione più importante di quella amministrativa, perché viene inflitta dalla

società e non dà un'autorità.

Si può quindi sperare che anche nella nostra realtà si manifesti la necessaria sensibilità per

assicurare il rispetto dell'autoregolamentazione.

Sarebbe tuttavia possibile adottare alcuni accorgimenti per incentivare la compliance.

Interessanti al riguardo appaiono le proposte di M. Draghi13, che suggerisce in primo luogo

di istituire un organismo privato indipendente che pubblichi periodicamente il rating di

emittenti quotate sotto il profilo dell'affidabilità e dell'accountability delle regole di governo

societario. In secondo luogo potrebbe essere attuata un'azione di vigilanza che tenda a

concentrarsi sulle gestioni più restie ad adeguarsi a corretti modelli comportamentali, fino al

punto di tenere conto nella commisurazione dei contributi dei diritti dovuti alle autorità di

vigilanza dell'applicazione o meno del codice. Da ultimo, Borsa Italiana S.p.A. potrebbe

adottare tariffe scontate per l'accesso ai servizi da parte delle società più virtuose in tema di

governance, poiché “il favor in oggetto si giustificherebbe con il presumibile maggior livello di

scambi che dovrebbe caratterizzare i titoli emessi dalle stesse”14.

Prima di concludere, è opportuno un breve cenno a due questioni che interessano il futuro

del Codice Preda.

In primo luogo, occorre ricordare che nel 1999 la Commissione Europea ha promosso uno

studio15 sui Codici di corporate governance esistenti negli Stati Membri, con lo scopo di

identificare le barriere legali o amministrative che potrebbero ostacolare lo sviluppo di un

mercato finanziario comune.

12 Cfr, sopra, parte I, cap. 4 13 M. Draghi, Regolazione pubblica, autodisciplina e reputazione delle società quotate, in Politeia, n. 57, 2000, pp. 127 e ss. 14 M. Draghi, idem, p. 132. 15 Lo studio è reperibile sul sito internet della Commissione Europea, all’indirizzo <http://europa.eu.int/comm/internal_market/en/company/company/news/corp-gov-codes-rpt_en.htm>.

88

Lo studio è stato intrapreso da Weil, Gotshal & Manges LLP, in collaborazione con

l’European Association of Security Dealers l’European Corporate Governance Network,

nell’intenzione di approfondire la conoscenza di elementi comuni e delle differenze che si

riscontrano negli Stati Membri relativamente alle pratiche di corporate governance.

Ne emerge che le pratiche in esame sembrano differire non tanto a causa dei precetti

contenuti nei Codici, quanto per le diversità riscontrabili a livello di disciplina del diritto

societario e dei mercati mobiliari.

In questa materia, infatti, negli anni recenti è stato raggiunto nell'Unione Europea un

significativo grado di standardizzazione, ma continuano ad esistere significative differenze. Le

differenze che resistono sono quelle più radicati nelle tradizioni nazionali, e sono quindi le più

difficili da appianare.

Al contrario, i Codici tendono ad esprimere una visione relativamente uniforme di quello in

cui si sostanzia una buona governance, e di come fare per raggiungere l’obbiettivo.

Ovviamente, le specifiche raccomandazioni in essi contenute presentano sì differenze, ma

necessarie per rendere i Codici compatibili con le diverse norme di diritto societario esistenti.

Ciò detto, la tendenza a convergere verso pratiche uniformi sembra essere più forte e incisiva

di quanto non sia quella verso la differenziazione.

I Codici, insieme alle pressioni che vengono dal mercato, costituiscono una forza aggregante,

perché concentrano l'attenzione e stimolano la discussione sui problemi della governance, oltre

ad incoraggiare le emittenti ad adottare regole di best practice.

I Codici producono uno sviluppo positivo sia per le imprese sia per gli investitori, poiché

spingono ad illustrare agli investitori le scelte di governance. Inoltre, possono essere presi

come parametro di riferimento per monitorare l'operato delle imprese e contribuiscono a

preparare il terreno per futuri cambiamenti nella regolamentazione del mercato dei capitali e del

diritto societario.

89

Lo studio in esame sottolinea che né le minime differenze riscontrabili nei Codici, né il

numero dei Codici in potenziale competizione tra loro sembra porre ostacoli alla creazione di un

mercato europeo dei capitali.

La Commissione Europea pertanto, tenuto conto di questi rilievi e considerando che alle

società emittenti occorrono regole di governance flessibili, che permettano loro di adattarsi

continuamente alle variabili ambientali, non ritiene necessario sviluppare un codice applicabile

a tutte le società operanti nell’Unione Europea. Sottolinea che l’'idea di best practice che

emerge dai Codici deve essere lasciata sviluppare ulteriormente dalla comunità degli operatori e

degli investitori, sotto l'influsso delle forze di mercato.

Lo sforzo per raggiungere una vasta base di consenso tra gli Stati Membri su regole di best

practice dettagliate e compatibili con i diversi ordinamenti nazionali, infatti, avrebbe l’esito di

individuare un “minimo comune denominatore”, piuttosto di una vera best practice.

In alternativa, un Codice comune per l'Unione Europea potrebbe concentrarsi

sull’individuazione dei principi base di una buona governance. Tuttavia, già l’OCSE ha

provveduto in questo senso.

L’Unione Europea dovrebbe quindi focalizzare i suoi sforzi più che altro sulla rimozione

delle barriere che impediscono agli azionisti di votare oltre frontiera (cd. Partecipation

barriers), e di quelle che minano la capacità degli azionisti e dei potenziali investitori di

valutare il sistema di governance di una società (cd. Information barriers).

Una seconda questione attiene l’entrata in vigore del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 che

disciplina nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i

reati commessi a suo vantaggio dai dipendenti, in attuazione dell'articolo 11 della legge 29

settembre 200, n. 300, di ratifica delle convenzioni OCSE e UE in materia di lotta alla

corruzione.

Il decreto regolamenta in maniera dettagliata i casi in cui sorge la responsabilità

amministrativa dell'ente, le sanzioni applicabili e le eventuali esimenti; sono inoltre previste

norme procedurali. Tuttavia, quello che rileva maggiormente ai fini del presente lavoro, sono le

90

disposizioni contenute nell'articolo 6 del decreto legislativo, secondo le quali non viene ritenuto

responsabile l'ente che abbia adottato modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati

considerati, affidando ad un organismo interno dotato di autonomi poteri di iniziativa e di

controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il loro

aggiornamento. La responsabilità non sorge, pertanto, quando, adottati i modelli di

organizzazione e di gestione e rispettati i controlli, il reato sia stato commesso attraverso

un’elusione fraudolenta degli stessi.

Per quanto riguarda tali modelli, il decreto specifica che l'ente dovrà individuare le attività

nel cui ambito possono essere commessi reati; prevedere specifici protocolli diretti a

programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da

prevenire; indicare le modalità di individuazione di gestione delle risorse finanziarie destinate

all'attività nel cui ambito possono essere commessi reati; stabilire obblighi di informazione nei

confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;

apprestare un sistema disciplinare per sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel

modello.

La difficile attività di predisposizione dei modelli di organizzazione e di gestione da parte

degli enti viene facilitata dall'attività delle associazioni di categoria, che hanno il compito di

predisporre Codici di comportamento, da comunicare al Ministero della Giustizia, con funzione

di guida per la successiva elaborazione dei singoli statuti.

La legge prevede l'adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo in termini di

facoltatività, e non di obbligatorietà, tuttavia la mancata adozione del modello espone l'ente alla

responsabilità per gli illeciti realizzati da amministratori e dipendenti. L'adozione del modello

diviene, pertanto, di fatto obbligatoria se si vuole beneficiare dell'esimente. Apparentemente

quindi, per quanto riguarda la vincolatività, i Codici di condotta si pongono sulla stessa linea del

Codice di autodisciplina. Dati gli interessi in gioco, è tuttavia corretto ritenere che le imprese

vorranno attivarsi per implementare i cambiamenti suggeriti dalle Linee Guida elaborate dalle

associazioni di categoria più sollecitamente di quanto non sia avvenuto per il Codice.

91

Infatti, l'applicazione delle sanzioni alle imprese incide direttamente su gli interessi

economici dei soci, e, nel caso in cui si è commesso un reato per il quale è prevista la

responsabilità dell'impresa, i soci potrebbero legittimamente esperire l'azione di responsabilità

nei confronti degli amministratori inerti che, non avendo adottato il modello, abbiano impedito

alla società di beneficiare del meccanismo di esonero dalla responsabilità.

Anche in questo caso ribadiamo che l'adozione di un sistema di regole volte a ribadire la

compliance dell'impresa non solo rispetto a norme giuridiche, ma anche a valori di tipo etico,

può costituire un'opportunità. L'adozione di un modello organizzativo che renda più trasparenti

le procedure interne e aumenti l'accountability, come si è già detto a proposito del Codice,

costituisce occasione di crescita e di sviluppo per le imprese.

Ciò detto, sembra ora opportuno chiedersi se il modello organizzativo che emerge dalle linee

guida possa conciliarsi con quello suggerito dal Codice. Quest'ultimo, come sappiamo, è

finalizzato alla ricerca dell'efficienza e della massimizzazione del valore per l'azionista.

Ai fini del decreto legislativo in parola, occorre invece creare un modello organizzativo atto

a superare positivamente il giudizio di idoneità che il giudice penale è chiamato a formulare in

occasione del procedimento penale a carico dell'autore materiale del fatto illecito, affinché l'ente

possa essere esonerato dalla responsabilità. La particolare prospettiva finalistica impone a gli

enti di valutare l'adeguatezza delle proprie procedure in base all'esigenza di cui si è detto, anche

a scapito dell’efficienza, tenendo presente che la disciplina in esame è già entrata in vigore.

Le disposizioni del Codice di autodisciplina che vengono in rilievo sono quelle dettate in

materia di controllo interno, e sembrano potersi integrare con quanto previsto dalle Linee

Guida fino ad ora diffuse16, in quanto sia le raccomandazioni contenute in tali documenti , sia

quelle contenute nel Codice presentano il carattere della generalità ed è compito delle singole

16 Il riferimento è alle “Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D. Lgs. n. 231/2001”, elaborate da Confindustria e disponibili all’indirizzo internet <http://www.confindustria.it/DBlmg2002.nsf/HTMLPages/Documenti>, e alle “Linee Guida dell’Associazione Bancaria Italiana per l’adozione di modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche”, elaborate dall’ABI e disponibili all’indirizzo <http://www.abi.it>.

92

imprese individuare in concreto le procedure indispensabili per la realizzazione di un sistema di

gestione del rischio.

Confindustria, ad esempio, suggerisce che un sistema di controllo preventivo da attuare a

livello aziendale per garantire l'efficacia del modello organizzativo ai fini del decreto in esame,

sia composto dai seguenti protocolli:

a) un Codice etico con riferimento ai reati considerati. Infatti, l'adozione di principi

etici in relazione ai comportamenti che possono integrare le fattispecie di reato

previste costituisce la base su cui impiantare il sistema di controllo preventivo. Tali

principi possono essere inseriti in codici etici di carattere più generale, laddove siano

previsti, come quello adottato da molte emittenti con l’intenzione di allinearsi alle

disposizioni del Codice Preda;

b) un sistema organizzativo sufficientemente formalizzato e chiaro. Particolare

attenzione va prestata ai sistemi premianti dei dipendenti, che, se basati su target di

performance palesemente inarrivabili, potrebbero costituire un velato incentivo al

compimento di alcune fattispecie di reato;

c) procedure manuali e informatiche tali da regolamentare lo svolgimento dell'attività ,

prevedendo gli opportuni punti di controllo;

d) poteri autorizzativi di firma assegnati in coerenza con le responsabilità organizzative

e gestionali definite;

e) un sistema di controllo di gestione in grado di fornire tempestiva segnalazione

dell'esistenza e dell'insorgere di situazioni di criticità generale e/o particolare

f) continue comunicazioni ai dipendenti riguardanti il Codice etico e in generale tutto

quanto contribuisca a dare trasparenza nell'operare quotidiano, e un adeguato

programma di formazione rivolto al personale delle aree a rischio.

Una volta adottato un modello idoneo a prevenire i reati considerati dal D. Lgs. n. 231/2001,

le società sono tenute a costituire un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di

controllo, che vigili sul effettività del modello (verificando se c'è coerenza tra i comportamenti

93

concreti e il modello istituito) e sulla sua adeguatezza, ovvero sulla sua reale capacità di

prevenire i comportamenti non voluti, che si occupi del mantenimento nel tempo dei requisiti di

solidità e funzionalità del modello e curi il suo necessario aggiornamento in senso dinamico.

E’ lecito ritenere che tale organismo possa coincidere con il comitato per il controllo interno

previsto dal Codice di autodisciplina. Quelle che l'organismo deve svolgere sono tuttavia attività

specialistiche, che presuppongono la conoscenza di tecniche e strumenti ad hoc, nonché una

continuità di azione elevata. Inoltre, la Relazione di accompagnamento al D. Lgs n. 231/2001,

con riferimento all'organismo parla di "una struttura che deve essere costituita al suo (dell'ente)

interno". Il riferimento al comitato per il controllo interno va quindi escluso, anche perché il

Codice di autodisciplina gli attribuisce poteri soltanto consultivi e propositivi.

Da scartare è anche il collegio sindacale, in quanto appare arduo riscontrarvi i caratteri di

struttura interna e di continuità di azione che il legislatore ha inteso attribuire all'organismo,

benché sotto il profilo della professionalità risulti ben attrezzato per adempie efficacemente al

ruolo di vigilanza sul modello.

Dove il comitato per il controllo interno assume rilievo, se esistente17, è come referente

istituzionale privilegiato per l'organismo interno di controllo, in quanto tale organismo deve

essere inserito in una posizione gerarchica la più elevata possibile.

Le procedure che le imprese introdurranno in ottemperanza al D. Lgs. n. 231/2001 sono

pertanto da accogliersi come positive integrazioni delle disposizioni del Codice Preda, la cui

intenzione è, tra l’altro, quella di porre l’accento sul fatto che la costituzione di un sistema di

controllo interno è elemento qualificante di una buona gestione. Nel Rapporto Preda, infatti, si

sottolinea come i rischi che tale sistema deve aiutare a prevenire non sono solamente quelli

finanziari, ma anche quelli operativi, inclusi, quindi, i rischi relativi al rispetto delle leggi e dei

regolamenti.

17 Occorre sottolineare che la legge 366/2001, che conferisce al Governo una delega per la riforma del diritto societario consente a tutte aziende, nell'ambito delle diverse opzioni previste, di dotarsi di un consiglio di amministrazione "all'interno del quale sia istituito un comitato preposto controllo interno sulla gestione, di cui facciano parte in maggioranza amministratori non esecutivi in possesso di requisiti di indipendenza, al quale devono essere assicurati adeguati poteri di informazione e di ispezione".

94

In conclusione è opportuno ribadire l'importanza che Codice di autodisciplina riveste, dato

che “rappresenta un'espressione di self-interest illuminato, una manifestazione di comprensione

di esigenze generali, il cui rispetto genera esternalità positive e il cui mancato rispetto genera

per contro esternalità negative”18.

L’iniziativa promossa da Borsa Italiana S.p.A. segna una tappa importante nel progresso

verso un ambiente in cui la presenza di regole serie e la conformità ad esse da parte dei

comportamenti consente al mercato di funzionare meglio e di essere strumento più efficiente di

allocazione delle risorse e di creazione di valore. Infatti, come è stato autorevolmente osservato,

“una collaborazione efficace tra regolamentazione pubblica e privata è essenziale per la buona

riuscita di qualsiasi sistema di governo societario”19.

I meriti del Codice non stanno quindi nell’aver fornito una “ricetta” per risolvere tutti

problemi di corporate governance che affliggono le società italiane, ma nell’aver iniziato un

mutamento di ambiente e di cultura.

18 L. Spaventa, op. cit. 19 A. Cadbury, Il codice di condotta delle società quotate, in Notizie di Politeia, n. 56, 1999.

95

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105

APPENDICE TABELLA LEGENDA Articolo Previsione Simbologia

1 Ruolo del Consiglio di Amministrazione A: allineato con i dettami del Codice

NA: non allineato con i dettami del Codice

2 Composizione del Consiglio di Amministrazione A: allineato con i dettami del Codice

NA: non allineato con i dettami del Codice 3 Amministratori indipendenti Sì: sono presenti amministratori indipendenti

No: non sono presenti amministratori indipendenti

4 Presidente del Consiglio di AmmInistrazione

A: il Presidente svolge le funzioni indicate dal Codice D: il Presidente è dotato di deleghe operative

ND: il Presidente non è dotato di deleghe operative

5 Informazioni al Consiglio di Amministrazione

A: il flusso informativo risponde ai dettami del Codice

NA: il flusso informativo non risponde ai dettami del Codice

6 Trattamento informazioni riservate P: procedura per il trattamento di informazioni price sensitive PA: procedura in corso di approvazione

S: soggetti responsabili del trattamento delle informazioni prive sensitive

7 Nomina degli amministratori A: allineato con i dettami del Codice NA: non allineato con i dettami del Codice 8 Remunerazione degli amministratori C: comitato per la remunerazione RP: piani di retribuzione parametrata 9 Controllo interno A: allineato con i dettami del Codice NA: non allineato con i dettami del Codice

10 Comitato per il controllo interno C: è presente il comitato per il controllo interno

CA: il comitato sta per essere costituito

106

11 Rapporti con gli investitori istituzionali e altri soci F: funzione aziendale di investor relations

R: responsabile del rapporto con i soci 12 Assemblee P: viene incoraggiata la partecipazione

R: è stato approvato un regolamento assembleare

RA: il regolamento assembleare è in corso di approvazione

13 Sindaci A: allineato con i dettami del Codice

L: si fa espressamente riferimento al meccanismo di voto di lista

Relazione Numero di pagine

N: relazione inadeguata a spiegare le scelte di governance C: Codice di autodisciplina interno

CA: confronto della governance interna con i dettami del Codice

107

DATI SOCIETA’ QUOTATE Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneAC ROMA A A C R 1, N ACEA C C R 2, N

ACEAGAS A A Sì ND, A A S A

C, RP A C R R L 7, C

ACOTEL A A Sì D, A A NA C C R P L 2, CA ACQUA PIA A D, A A C RA 2, N ACQUE POTABILI A A

ND, A A F

P, RA 6, N

ACQUEOTTO DE FERRARI A A Sì D, A A P

C, RP A C R

P, RA A 8, CA

ACQUEOTTO NICOLAI A A Sì

ND, A A NA A R

P, RA L 3, CA

ACSM A A Sì D, A A P C A C R P,R 10, C AEES 1, N AEM A A Sì D, A A P C A C 4 AEM TORINO C 1, N AEROPORTO DI FIRENZE A A Sì D, A S C A C R 4 AIRDOLOMITI 1 AIRSOFTW@RE A A Sì D, A P C A C F L 2 ALITALIA A A Sì A C C R L 2 ALLEANZA ASSICURAZIONI A A Sì D, A A P C A C F R 10 AMGA A A Sì D, A A S A A C F P L 9, CA ARNOLDO MONDADORI EITORE A A Sì

ND, A A P RP A C F

P, RA L 6, CA

ARQUATI 1

ART'E' A A Sì D, A A P A RP A C R P, RA A 5, CA

ASSICURAZIONI GENERALI A A Sì

ND, A A P C A C R R 8

AUTOGRILL A A Sì ND, A A P RP A F 4

AUTOSTRADA TORINO MILANO A A Sì A A P

C, RP A C R R A 8, C

AUTOSTRADE A A Sì D, A A PA C A C R P, RA 17, C

AUTOSTRADE MERIDIONALI

ND, A A A CA 3, N

108

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneBANCA AGRICOLA MANTOVANA A A Sì

ND, A A P C A C F R L 6, CA

BANCA CARIGE A A Sì A C C R L 1, N BANCA DI CREITO POPOLARE SIRACUSA A A Sì D, A A PA NA A F P L 4

BANCA DI ROMA A A Sì ND, A A PA A C A C F RA L 14, C

BANCA FIDEURAM A Sì C C 1, N BANCA IFIS A A Sì A A S NA A F R L 3 BANCA INTERMOBILIARE A A Sì D, A A S A R P A 11, CA BANCA INTESA BCI A A Sì

ND, A A P

C, RP A P L 2

BANCA LOMBARDA C A C F 1, N

BANCA MPS A A Sì ND, A A P A C A C F RA L 5, CA

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO A A Sì

ND, A A P C A C F R 2

BANCA PROFILO A A Sì D, A A A RP A R P L 4 BANCA TOSCANA A A Sì

ND, A A P A C A C R RA L 10 CA

BANCO BILBAO 10 BANCO DI CHIAVARI A A Sì NA A P L 3, N BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA A A Sì

ND, A A PA C A C F R L 8, CA

BANCO DI NAPOLI 1, NA BANCO DI SARDEGNA A A Sì D, A A P A C F P 4 BANCO SANTANDER

BASIC NET A A Sì A A S A C, RP A C R

P, RA L 17, CA

BASTOGI A A Sì ND, A A P R RA L 3

BAYERISCHE VITA A A Sì D, A A PA A RP A C F

P, RA L 10, C

BEGHELLI A A S R R 1, N BENETTON GROUP A A Sì D, A A S A C A C F 3 BENI STABILI A P C C A C F R 2 BIOSEARCH ITALIA A A Sì P A C RA 1, N

BIPOP CARIRE A A Sì D, A A PA C, RP A C R P L 6, C

BOERO BARTOLOMEO R 1, N

BONAPARTE A A Sì ND, A A PA A A C R

P, RA L 8, C

109

BONIFICHE FERRARESI A A Sì D, A A 1 BORGOSESIA A A Sì D, A A S A R P L 4 BP ADRIATICO 1

BP BERGAMO A A Sì ND, A A P C A F

P, RA L 8, C

BP COMMERCIO E INDUSTRIA A A Sì D, A A S C A R 3

BP CREMA A A No ND, A A P A RP A C F R A 3, CA

BP CREMONA A A Sì ND, A A P A C RA L 5

BP EMILIA ROMAGNA A A Sì

ND, A A P RP A F P, R 2

BP ETRURIA E LAZIO A A Sì C C R RA 4

BP INTRA A A Sì ND, A A P A RP A C R

P, RA L 9, C

BP LODI A A Sì D, A A P A A C F R L 4, CA BP LUINO E VARESE A A Sì

ND, A A S A F 3

BP MILANO A A Sì D, A A L 3, N

BP NOVARA A A Sì ND, A A P A RP A C F R A 12, CA

BP SONDRIO A A Sì D, A A P A F 4 BP SPOLETO 1

BP VERONA A A Sì A A PA C C, RP A F

P, RA A 4, C

BREMBO R 1 BRIOSCHI FINANZIARIA A A Sì

ND, A A P R RA L 3, CA

BULGARI A A Sì D, A A RP A F 3 BUZZI UNICEM A A Sì D, A A PA R RA L 8

110

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Relazione

C.A.L.P. A NA No ND, A A P RP R P A 2

C.I.R. A A Sì A A A C A C F P, RA L 7

CAD IT A A Sì D, A A P A C A C R P, R L 16, CA CAIRO COMMUNICATION C C A C 2, N CALTAGIRONE 1 CALTAGIRONE EITORE Sì C 2, N CAMFIN A A Sì D A P A C A C P L 9 CARDNET GROUP A A D, A A S A C C R L 4, CA CARRARO A A Sì D, A A PA A C A C R P A 10, C CASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE A A Sì

ND, A A P C A F RA L 2

CATTOLICA ASSICURAZIONI A A Sì A A NP NA C A C F

P, RA L 25, CA

CDB WEB TECH C A C 2, N CDC A A Sì P C A C R RA 2 CEMBRE A A Sì A P A A F RA L 4 CEMENTIR A A Sì PA C A C R 2 CENTENARI E ZINELLI A A L 1, N CENTRALE DEL LATTE DI TORINO A A Sì D, A A P RP A C R P A 4 CHL A A Sì D A C A C R R A 5 CIRIO FINANZIARIA A A Sì D P C C 2 CLASS EITORI A A Sì P P 2 CMI A A Sì A A P A A R P A 8, C COATS CUCIRINI A A Sì D, A PA A P A 5, CA

COFIDE A A Sì D, A A PA A C A C R P, RA L 7, CA

CREITO ARTIGIANO A A Sì D, A A P C C A C F

P, RA L 8, CA

CREITO BERGAMASCO A A Sì

ND, A A P NA C A F P A 16, CA

CREITO EMILIANO 1 CREITO VALTELLINESE A A Sì D, A A P C C A C F R A 5, CA CREMONINI A A C C A C R 1, N CRESPI A A Sì D, A A P NA A R P L 20, CA CSP INTERNATIONAL A A Sì D, A A PA A A R RA A 4, CA CTO A A Sì D, A A NP A A C R R A 7, CA

111

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneDADA A A Sì C C A C 1, N DALMINE A A Sì P C C R 1, N DANIELI & C. A A Sì D, A A P A R P L 4 DATA SERVICE C A C 2, N DATAMAT A A Sì D, A A P A C A C R R L 10, CA DAVIDE CAMPARI 1 DE LONGHI 1 DIGITAL BROS A A Sì D, A PA

C, RP C F R 2

DMAIL A A Sì D, A A PA NA C A C R P 4 DUCATI MOTOR HOLDING A A Sì D, A A P RP A C F R 3

112

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneE.BISCOM A A Sì A S C C A C P L 3E.PLANET A A Sì A C R 2, N

EISON A A Sì A P C, RP A C F P A 3, CA

EL.EN. A A Sì A C C A C 2, N EMAK D, A A A C A C R A 2, N ENEL A A Sì A P A C A C F P, R 10, CA ENGINEERING A A Sì P C R R 2ENI A A Sì D, A A C C F R 3

ERG A A Sì ND, A A S C A C F RA A 9, CA

ERICSSON A A Sì D, A A C A C R R L 8, C

ESAOTE A A Sì D, A A PA A RP A R P, RA A 3, CA

ESPRINET EUPHON A A Sì D, A A P A C A C R R L 8, CA

113

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneGABETTI HOLDING A A A PA A CA RA 2 GANDALF A A Sì P C C CA RA 2 GARBOLI CONICONS R 1

GEFRAN A A Sì ND, A A PA R R A 2

GEMINA A A Sì ND, A P A R 2, CA

GEWISS A A Sì D, A A P A C AS R P,R A 3, CA GIACOMELLI SPORT GROUP

GILDERMEISTER A A Sì ND, A A S A

C, RP A C R P A 9, CA

GIM A A ND, A A C, RP C R P 4

GRANDI NAVI VELOCI A A Sì D, A A C R L 2 GRANITI FIANDRE GRUPPO CERAMICHE RICCHETTI GRUPPO COIN A A D, A A A C R 10, C GRUPPO EITORIALE L'ESPRESSO A A Sì D, A A PA C A C R RA L 7, CA HdP A A Sì D, A P A C A C F P A 4, CA

114

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneI GRANDI VIAGGI 1 I VIAGGI DEL VENTAGLIO A A Sì A A PA A C A C R RA L 11, C I.NET A A Sì D, A A P A C A C R R 3 IDRA PRESSE 1 IFI A A D, A A RP A R 3 IFIL A A Sì D, A A C A C R L 2

IFIS A A Sì ND, A S A F R L 3, CA

IMA A A Sì D, A A PA A C A CA RA A 6, CA IMMOBILIARE LOMBARDA 1 IMMOBILIARE METANOPOLI 2

IMMSI A A Sì ND, A A R L 2

IMPREGLIO P C A C R RA 1 INDUSTRIE ZIGNAGO A A Sì D, A A P A C A C R

P, RA A 11, C

INFERENTIA C C R 1, N INTEK A A Sì D, A A P RP C RA 6 INTERBANCA A A Sì D, A A PA NA C A C R P L 7, C INTERPUMP GROUP A A Sì C A C RA 2INVESTIMENTI IMMOBILIARI LOMBARDI A A Sì RA 1 IPI A A Sì D, A P A RP A R P L 4 IRCE A A Sì F 1, N IT HOLDING A A Sì D, A A C A C F RA 4, CA IT WAY

ITALCEMENTI A A Sì ND, A A P C A C P 7

ITALDESIGN GIUGIARO A A Sì

ND, A A P CA RA 2

ITALGAS A A Sì D, A A C C F 7 ITALMOBILIARE A A Sì D, A A P NA C A C P A 7, C JOLLY HOTELS A A Sì D, A S C A C R L 4

LA DORIA A A Sì ND, A A PA A NA C R RA A 8, CA

LA FONDIARIA A A Sì ND, A A P A F P 5

LA GAIANA A A Sì D, A PA A C A C R R A 4, C LA RINASCENTE A A A C C 1, N LAVORWASH A A Sì D, A A P C C A C R P, R L 7, CA LINIFICIO E CANAPIFICIO NAZIONALE A A Sì D, A A P C A C R RA A 11, C LOCAT A A Sì C C 1, N LUXOTTICA C 2, N

115

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneMAFFEI 1 MANULI RUBBER INDUSTRIES A A Sì D, A A A C A C F P L 5, CA MARANGONI A A D, A A A 2, N MARCOLIN

MARIELLA BURANI A A Sì D, A A P C, RP A C R P L 15, CA

MARZOTTO A A Sì A A P A C, RP A C R R L 10, CA

MEIASET A A Sì A A P A C, RP A C F P L 9, C

MEIOBANCA A A Sì D, A A P C C A P L 6, CA

MEIOLANUM A A Sì ND, A A P RP A C F RA L 7

MELIORBANCA A A Sì ND, A A S A C A F RA L 13, CA

MERLONI ELETTRODOMESTICI A A Sì D, A A P A C R RA L 3 MILANO ASSICURAZIONI A A Sì D, A A P RP A F P 5MIRATO A A Sì D, A A P A A R R L 6, CA

MITTEL A A Sì A A S C, RP A R P L 5, CA

MONDO TV A Sì C 1, N MONRIF C C 1, N

MONTEISON A A Sì ND, A A

C, RP A C F L 10

MONTEFIBRE A A Sì ND, A A P A A R R L 6

116

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneNAVIGAZIONE MONTANARI A A Sì D, A A S RP C R

P, RA L 4, CA

NECCHI A A Sì D, A A S A C R RA L 13

NOVUSPHARMA A A Sì ND, A A P A C A C R P,R L 7, CA

OLCESE A A Sì D, A A C 3, N

OLIDATA A NA No D, A A P A RP A R P, RA L 3, C

OLIVETTI & C A A ND, A A C A C F 2

ONBANCA C C 1, N OPENGATE GROUP A A Sì D, A A P NA

C, RP A C F P L 23, CA

117

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazionePAGNOSSIN A Sì PA C C R RA 1 PARMALAT FINANZIARIA A A Sì A A P NA C A C F RA 9, CA

PERLIER A A Sì ND, A P A C R R A 2

PERMASTEELISA A A Sì P A A R L 2 PININFARINA A P C C C L 1, N PIRELLI A A Sì D, A A S A RP A C F P L 14 PIRELLI & C A A No D, A A S A C A C F P L 8 POLIGRAFICA S. FAUSTINO A A Sì D, A A S A C A C R P L 7, CA POLIGRAFICI EITORIALI C C 2, N PREMAFIN FINANZIARIA A A Sì D, A A NA R RA L 10, CA

PREMUDA A A No A A A C, RP NA R P L 2, CA

PRIMA INDUSTRIE A A Sì

ND, A A P A, C

C, RP A C R

P, RA L 9, C

118

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Relazione

RAS A A Sì ND, A A S C C A C R P 12, C

RATTI A A Sì D, A A PA A C, RP A C R P A 10, C

RECORDATI A A Sì D, A A P A C, RP A C R P A 8, C

RENO DE MEICI A A Sì D, A A A RP A C 2 REPLY A A Sì A C C 2, N

RICHARD GINORI Sì P C, RP A C R 2

RISANAMENTO NAPOLI A A Sì A A S A R

P, RA L 7, C

ROLAND EUROPE A A Sì A A R 2 ROLO BANCA A A Sì A C C R 3 RONCADIN A 3 ROTONDI EVOLUTION A A Sì PA

C, RP R 2, N

119

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneSABAF Sì PA C C RA 1, N SADI A A Sì D, A A A R P L 4 SAECO INTERNATIONAL GROUP A A Sì D, A A C C C R 2 SAES GETTERS A A Sì D, A A PA A C A C F P L 7, C SAIAG 1, N

SAIPEM A A Sì ND, A A C A C F R 2

SANPAOLO IMI A A Sì ND, A A P A C R L 2

SAVINO DEL BENE A A No D, A A A R 3 SCHIAPPARELLI 1824 A A Sì D, A A P C R R 2 SEAT PAGINE GIALLE A A A P A CA CA R R L 2 SICC A A Sì A A S A A R P L 6, CA

SIRTI A A Sì ND, A A RA L 3

SMI A A ND, A A

C, RP A C R 4

SMURFIT SISA A A Sì D, A A S A A R A 6, CA SNAI 1 SNAM RETE GAS 1 SNIA A A Sì D, A A C R 1 SO.PA.F A 1 SOGEFI A A Sì D, A A PA C A C R RA L 7, CA SOL A A No D, A A P A CA A R RA A 6, CA SS LAZIO A A D, A A 3, N STAYER A A D, A A S A A CA R P L 4, CA STEFANEL A A Sì D, A A S C C A C R L

120

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Relazione

TARGETTI A A Sì P C C, RP F R L 2

TAS A A Sì D, A A P A A C R R 3

TC SISTEMA A A Sì ND, A A P

C, RP A C R P L 10, C

TECNODIFFUSIONE ITALIA A A Sì D, A A P RP R 4

TELECOM ITALIA A A Sì D, A A PA C, RP A C F RA L 9, C

TELECOM ITALIA MOBILE A A Sì

ND, A A PA

C, RP A C P, RA 8, C

TERME DEMANIALI DI ACQUI A A Sì D, A A P C C R 3 TISCALI A A Sì D, A A P A C A CA R RA L 15, CA

TOD'S A A Sì D, A A S C, RP A C R 4

TREVI GROUP A A Sì C C R 2, N TXT A A Sì P C A C 4

121

Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneUNICREITO ITALIANO A A Sì

ND, A A P C C A C F R A 30, CA

UNIME A A Sì A A S NA A R RA L 7, CA UNIPOL A A Sì S C C C F R 4 VEMER SIBER GROUP A RA L 1 VIANINI INDUSTRIA 1 VIANINI LAVORI A A Sì 2, N

VITAMINIC A A Sì ND, A A P A

C, RP C R RA L 7, CA

ZUCCHI A A Sì D, A C A C R RA 2

122

RISULTATI Società in elenco 279 100% Aderiscono al Codice 261 93%Non aderiscono al Codice 8 3%La relazione non è disponibile 10 4%

Non ad.AderisceN.d.

Articolo Dati Percentuale 1 Caselle bianche: 56 20% A: 223 80%

BiancheA

2 Caselle bianche: 57 19 %A: 220 80%

NA: 2 1%

BiancheANA

123

3 Caselle bianche: 71 25%Sì: 200 72%

No: 8 3%

BiancheSìNo

4 Caselle bianche: 93 34%A: 184 66%D: 112 40%

ND: 55 20%

BiancheA

5 Caselle bianche: 103 37% A: 176 63%

BiancheA

124

6 Caselle bianche: 111 40%P: 100 36%PA: 33 12%S: 33 12%

NP: 2 1%

BiancheP S

7 Caselle bianche: 169 61%A: 76 27%NA: 14 5%

C: 20 7%

Bianhce ANAC

8 Caselle bianche: 108 39%C: 145 52%CA: 2 1%

RP: 54 19%

BiancheCCa

125

9 Caselle bianche: 102 37%A: 174 62%

NA: 3 1%

BiancheANA

10 Caselle bianche: 106 38%C: 164 59%

CA: 9 3%

BiancheCCA

11 Caselle bianche: 97 35%R: 117 42%

F: 65 23%

BiancheRF

126

12 Caselle bianche: 99 36%P: 81 29%R: 61 22%

RA: 68 24%

BianchePRRA

13 Caselle bianche: 139 50%A: 40 14%

L: 101 36%

BiancheAL

Relazione N: 50 18%C: 32 12%

CA: 70 25%

NCCAAccettabili

TESTO DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA

1. Ruolo del consiglio di amministrazione

1.1. Le società quotate sono guidate da un consiglio di amministrazione che si riunisce con

regolare cadenza e che si organizza e opera in modo da garantire un effettivo e efficace

svolgimento delle proprie funzioni.

1.2 . Il consiglio di amministrazione:

a) esamina e approva i piani strategici, industriali e finanziari della società e la struttura

societaria del gruppo di cui essa sia a capo;

b) attribuisce e revoca le deleghe agli amministratori delegati e al comitato esecutivo

definendo i limiti, le modalità di esercizio e la periodicità, di norma non inferiore al

trimestre, con la quale gli organi delegati devono riferire al consiglio circa l'attività

svolta nell'esercizio delle deleghe loro conferite;

c) determina, esaminate le proposte dell'apposito comitato e sentito il collegio

sindacale, la remunerazione degli amministratori delegati e di quelli che ricoprono

particolari cariche, nonché, qualora non vi abbia già provveduto l'assemblea, la

suddivisione dei compenso globale spettante ai singoli membri del consiglio e del

comitato esecutivo;

d) vigila sul generale andamento della gestione, con particolare attenzione alle

situazioni di conflitto di interessi, tenendo in considerazione, in particolare, le

informazioni ricevute dal comitato esecutivo (ove costituito), degli amministratori

delegati e dal comitato per il controllo interno, nonché confrontando,

periodicamente, i risultati conseguiti con quelli programmati;

e) esamina e approva le operazioni aventi un significativo rilievo economico,

patrimoniale e finanziario, con particolare riferimento alle operazioni con parti

correlate;

128

f) verifica l'adeguatezza dell'assetto organizzativo e amministrativo generale della

società e del gruppo predisposto dagli amministratori delegati;

g) riferisce agli azionisti in assemblea.

1.3. Gli amministratori agiscono e deliberano con cognizione di causa e in autonomia,

perseguendo l'obiettivo della creazione di valore per gli azionisti. Gli amministratori accettano

la carica quando ritengono di poter dedicare allo svolgimento diligente dei loro compiti il tempo

necessario.

1.4. Gli amministratori sono tenuti a conoscere i compiti e le responsabilità inerenti alla loro

carica. Gli amministratori delegati si adoperano affinché il consiglio venga informato sulle

principali novità legislative e regolamentari che riguardano la società e gli organi sociali.

2. Composizione del consiglio di amministrazione

2.1. Il consiglio di amministrazione è composto di amministratori esecutivi (per tali

intendendosi gli amministratori delegati, ivi compreso il presidente quando allo stesso vengano

attribuite deleghe, nonché gli amministratori che ricoprono funzioni direttive nella società) e

non esecutivi. Gli amministratori non esecutivi sono per numero e autorevolezza tali da

garantire che il loro giudizio possa avere un peso significativo nell'assunzione delle decisioni

consiliari.

2.2. Gli amministratori non esecutivi apportano le loro specifiche competenze nelle

discussioni consiliari, contribuendo all'assunzione di decisioni conformi all'interesse sociale.

3. Amministratori indipendenti

Un numero adeguato di amministratori non esecutivi sono indipendenti, nel senso che:

non intrattengono relazioni economiche di rilevanza tale da condizionarne l'autonomia di

giudizio con la società, con le sue controllate, con gli amministratori esecutivi, con l'azionista o

gruppo di azionisti che controllano la società;

129

non sono titolari, direttamente o indirettamente, di partecipazioni azionarie di entità tali da

permettere loro di esercitare il controllo sulla società, né partecipano a patti parasociali per il

controllo della società stessa.

4. Presidente del consiglio di amministrazione

4.1. Il presidente convoca le riunioni del consiglio e si adopera affinché ai membri del

consiglio siano fornite con ragionevole anticipo rispetto alla data della riunione (fatti salvi i casi

di necessità e urgenza), la documentazione e le informazioni necessarie per permettere al

consiglio stesso di esprimersi con consapevolezza sulle materie sottoposte al suo esame e

approvazione.

4.2. Il presidente coordina le attività del consiglio di amministrazione e guida lo svolgimento

delle relative riunioni.

4.3. Allorché il consiglio, ai fini di una gestione efficace e efficiente della società, abbia

conferito deleghe al presidente, il consiglio stesso, nella relazione sulla gestione, fornisce

adeguata informativa sulle competenze attribuite in conseguenza tale scelta organizzativa.

5. Informazioni al consiglio di amministrazione

Il comitato esecutivo - tramite il suo presidente - e gli amministratori delegati rendono

periodicamente contro al consiglio delle attività svolte nell'esercizio delle deleghe loro

attribuite.

Gli organi delegati, inoltre, forniscono adeguate informativa sulle operazioni atipiche,

inusuali o con parti correlate, il cui esame della cui approvazione non siano riservati al consiglio

di amministrazione.

Essi forniscono al consiglio di amministrazione e ai sindaci le medesime informazioni.

130

6. Trattamento delle informazioni riservate

6.1. Gli amministratori delegati curano la gestione delle informazioni riservate; a tal fine essi

propongono al consiglio di amministrazione l’adozione di una procedura interna per la

comunicazione all'esterno di documenti informazioni riguardanti la società, con particolare

riferimento alle informazioni "price sensitive".

6.2. Tutti gli amministratori sono tenuti a mantenere riservati i documenti e le informazioni

acquisite nello svolgimento dei loro compiti e a rispettare la procedura adottata per la

comunicazione all'esterno di tali documenti e informazioni.

7. Nomina gli amministratori

7.1. Le proposte di nomina alla carica di amministratore, accompagnate da un esauriente

informativa riguardante le caratteristiche personali e professionali dei candidati, sono depositate

presso la sede sociale almeno dieci giorni prima della data prevista per l'assemblea, ovvero al

momento del deposito delle liste, ove previste.

7.2. Laddove il consiglio di amministrazione costituisca al proprio interno un comitato per le

proposte di nomina alla carica di amministratore, esso è composto, in maggioranza, di

amministratori non esecutivi.

8. Remunerazione degli amministratori

8.1. Il consiglio di amministrazione costituisce al proprio interno un comitato per la

remunerazione. Tale comitato, composto prevalentemente di amministratori non esecutivi,

formula una proposta al consiglio per la remunerazione degli amministratori delegati e di quelli

che ricoprono particolari cariche, nonché, su indicazione di amministratori delegati, per la

determinazione dei criteri per la remunerazione dell'altra direzione della società. A tal fine, esso

può avvalersi di consulenti esterni, a spese della società.

8.2. Di norma, il consiglio di amministrazione, nel determinare i compensi complessivi degli

amministratori delegati, prevede che una parte di questi sia legata ai risultati economici

131

conseguiti dalla società e, eventualmente, al raggiungimento di obiettivi specifici

preventivamente indicati dal consiglio stesso.

9. Controllo interno

9.1. Gli amministratori delegati assicurano la funzionalità e l'adeguatezza del sistema di

controllo interno, di cui definiscono le procedure e nominano uno o più preposti, dotandoli di

mezzi idonei.

9.2. Il sistema di controllo interno ha il compito di verificare che vengano effettivamente

rispettate le procedure interne, sia amministrative, adottate al fine di garantire una sana e

efficiente gestione, nonché al fine di identificare, prevenire e gestire nei limiti del possibile

rischi di natura finanziaria e operativa e frodi a danno della società.

9.3. I preposti al controllo interno non dipendono gerarchicamente da alcun responsabile di

aree operative e riferiscono del loro operato agli amministratori all'uopo delegati, nonché al

comitato per il controllo interno, di cui al successivo art. 10, e ai sindaci.

10. Comitato per il controllo interno

10.1. Il consiglio di amministrazione costituisce un comitato per il controllo interno, con

funzioni consultive e propositive, composto da un numero adeguato di amministratore non

esecutivi. Ai lavori del comitato possono partecipare il presidente del collegio sindacale e gli

amministratori delegati.

10.2. In particolare il comitato per il controllo interno:

a) valuta l'adeguatezza del sistema di controllo interno;

b) valuta il piano di lavoro preparato dai preposti al controllo interno e riceve le

relazioni periodiche degli stessi;

c) valuta le proposte formulate dalle società di revisione per ottenere l'affidamento del

relativo incarico, nonché il piano di lavoro predisposto per la revisione e i risultati

esposti nella relazione e nella lettera di suggerimenti;

132

d) riferisce al consiglio, almeno semestralmente, in occasione dell'approvazione del

bilancio e della relazione semestrale, sull'attività svolta e sull'adeguatezza del

sistema di controllo interno;

e) svolge gli ulteriori compiti che gli vengono attribuiti dal consiglio di

amministrazione, particolarmente in relazione ai rapporti con la società di revisione.

11. Rapporti con gli investitori istituzionali e con gli altri soci

Il presidente e gli amministratori delegati, nel rispetto della procedura sulla comunicazione

di documenti e informazioni riguardanti la società, si adoperano attivamente per instaurare un

dialogo con gli azionisti, nonché con gli investitori istituzionali, fondato sulla comprensione dei

reciproci ruoli. Essi provvedono alla identificazione di un responsabile e, se del caso, alla

costituzione di una struttura aziendale incaricata di questa funzione.

12. Assemblee

12.1. Gli amministratori incoraggiano e facilitano la partecipazione più ampia possibile degli

azionisti alle assemblee.

12.2. Alle assemblee, di norma, partecipano tutti gli amministratori.

13.3. Le assemblee sono occasione anche per la comunicazione agli azionisti di informazioni

sulla società, nel rispetto della disciplina sulle informazioni "price sensitive".

12.4. Il consiglio di amministrazione propone all'approvazione dell'assemblea un

regolamento che disciplina l'ordinato e funzionale svolgimento dell'assemblea ordinaria e

straordinaria della società, garantendo il diritto di ciascun socio di prendere la parola su di

argomenti posti in discussione.

12.5. Gli amministratori, in caso di variazioni significative del valore complessivo della

capitalizzazione, della composizione della compagine sociale e il numero degli azionisti della

società, vantano l'opportunità di propone all'assemblea modifiche dell'atto costitutivo,

133

relativamente alle percentuali stabilite per dar corso alle azioni e per l'esercizio delle prerogative

poste a tutela delle minoranze.

13. Sindaci

13.1. Le proposte all'assemblea dei soci per la nomina alla carica di sindaco, accompagnate

da un’esauriente informativa riguardante le caratteristiche personali e professionali dei

candidati, sono depositate presso la sede sociale della società almeno dieci giorni prima della

data prevista per l'assemblea, ovvero al momento del deposito delle liste.

13.2. I sindaci agiscono con autonomia e indipendenza anche nei confronti degli azionisti

che li hanno eletti.

13.3. I sindaci sono tenuti a mantenere riservati i documenti e le informazioni acquisite nello

svolgimento dei loro compiti e a rispettare la procedura adottata per la comunicazione

all'esterno della società di tali documenti e informazioni.

FINE

134

135

136