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01. Definizione di coaching Pag. 03
02. I due mondi che si incontrano Pag. 06
03. Paradigmi psicologici e loro utilità nel coaching Pag. 10
04. Un nuovo modello di lavoro Pag. 14
05. La relazione a due nel mondo del lavoro Pag. 18
06. Raggiungere l’obiettivo di sviluppo Pag. 22
07. Bibliografia Pag. 25
Sommario
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Il termine “coaching”, in un’accezione simile a quella attribuitagli oggi, ebbe
origine durante i primi decenni del 1800 in Inghilterra, presso l’Università di
Oxford, e stava ad indicare il lavoro del tutor che aveva il compito di aiutare lo
studente a passare un esame.
Influenzato nella sua evoluzione dall’apporto di diverse scienze, tra cui quelle
psicologiche e sociali, è soprattutto dagli anni ’80 che il coaching si è costituito
sempre di più come una disciplina indipendente, caratterizzata da linee guida
applicative specifiche e condivise, e ha visto il concomitante sorgere di
associazioni di professionisti del settore all’estero e solo più recentemente
anche in Italia. La fondazione della prima società di coaching italiana, infatti,
risale al 2007, anno in cui nasce ICF (Federazione Italiana di Coaching).
Il coaching può essere oggi
definito come una pratica
attraverso la quale un
professionista, il coach, può
aiutare il coachee che lo richiede,
o cliente, a raggiungere uno
specifico risultato. Si tratta
quindi di un metodo, fondato sulla
relazione che si instaura tra questi due soggetti; quest’ultima è all’insegna
della creatività e della ricerca, con l’obiettivo di individuare quelle che sono
le potenzialità e le abilità del soggetto richiedente l’intervento del coach
professionista, ed eventualmente potenziarle.
01. Definizione di Coaching
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Nasce quindi come metodologia di lavoro one-to-one, assetto nel quale
esprime tutte le sue peculiarità; fin dagli anni ‘70, però, trova applicazione
anche con i gruppi (team coaching), ambito in cui risulta caratterizzata da
momenti altamente esperienziali, attraverso i quali è possibile far convergere
un numero anche vasto di persone verso obiettivi concreti comuni e
condivisi. I risultati di tale processo possono essere potenziati se ai momenti
di coaching di gruppo si abbinano anche dei momenti separati di coaching
individuale.
Le tecniche che il coach più frequentemente
utilizza sono l’ascolto attivo del coachee e
l’utilizzo di domande mirate; queste ultime
hanno la finalità di aiutare la persona a fare
chiarezza sulla situazione attuale, cercando di
far sì che il coachee riesca a considerare le
questioni sotto diversi punti di vista,
scoprendo talvolta soluzioni che in precedenza non erano state immaginate. Si
tratta, di fatti, di un processo in cui il coach si pone principalmente come
facilitatore nei confronti del coachee.
È sulla base di questo processo iniziale che il cliente/coachee riesce a delineare
gli obiettivi concreti che intende raggiungere, li condivide con il coach e
assieme a lui struttura un piano di lavoro, anche dal punto di vista temporale,
per poterli raggiungere. Il coach non deve necessariamente essere un esperto
dell’ambito all’interno del quale il coachee si trova ad operare: il suo ruolo
consiste infatti nel fare sì che sia il cliente stesso a individuare e decidere gli
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obiettivi da raggiungere. È pur vero, però, che il coach deve possedere alcune
conoscenze di base relative al contesto, personale o professionale, in cui il
coachee si trova a operare.
La pratica del coaching può quindi essere applicata in più contesti: lavorativo,
sportivo, personale. È per questo motivo che sono nati il Business Coaching, il
Career Coaching, l’Executive Coaching, il Financial Coaching, lo Sport
Coaching, ecc. . Ciò che è centrale e trasversale a queste applicazioni è la
metodologia usata e il ruolo del coach in rapporto agli obiettivi del cliente, che
sono sempre personali e mai definiti dal coach.
Nell’ambito più strettamente organizzativo e aziendale, il coaching ha
l’obiettivo di offrire consulenze mirate a individui o gruppi di individui
all’interno di un’azienda, che risulta quindi il committente dell’azione di
coaching. Il focus è quello di individuare delle modalità attraverso le quali
migliorare la produttività dell’azienda stessa. È per questo che alcuni coach si
specializzano in determinate aree di intervento, quali la leadership coaching, il
corporate coaching o l’executive coaching. Quest’ultimo, ad esempio, prevede
come target i dirigenti d’azienda che, il più delle volte, hanno bisogno che il
coach li aiuti a raggiungere determinati obiettivi di carriera, ad implementare la
propria efficacia comunicativa, a gestire al meglio i conflitti, a costruire un
team di lavoro efficiente, ad affrontare cambiamenti.
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Il coaching inizia ad essere applicato al contesto aziendale negli anni ’70, in
America ed in Inghilterra, da due coach dello sport, Tim Gallway, ex tennista
e John Whitmore, Psicologo dello Sport ed ex pilota di automobili sportive.
Entrambi hanno cercato di trovare il modo di trasferire le loro competenze
nell’ambito delle organizzazioni lavorative. L’interesse suscitato, anche e
soprattutto alla luce dei risultati che le aziende erano in grado di ottenere
attraverso il coaching organizzativo, è all’origine della diffusione dagli anni ’80
in poi di questo tipo di intervento anche al di fuori di quei contesti, con un
conseguente interesse da parte delle riviste scientifiche, in particolare quelle di
matrice psicologica come il Consulting Psychology Journal: Practice and
Research.
Il coaching organizzativo può oggi
essere definito come un programma
di sviluppo e cambiamento che ha
lo scopo di potenziare la persona
(o il gruppo) che opera
nell’Organizzazione, rafforzandone
anche il ruolo. E quella dello psicologo
è sempre stata una delle figure professionali che si sono occupate, e che si
occupano ancora oggi, di coaching organizzativo.
In generale, il coach, che lavora in questo ambito, deve essere in possesso di
strumenti che gli permettono di comprendere le logiche del business, l’assetto
organizzativo delle aziende, le logiche di potere e i processi organizzativi che le
02. I due mondi che si incontrano
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caratterizzano. Si occupa quindi di comprendere il contesto aziendale,
comprensivo al contempo di opportunità e vincoli, di coniugare quindi
conoscenze di tipo economico, organizzative, di pianificazione e di chance
management, oltre a valutare costantemente i risultati. Per il coach, che lavora
in azienda, è fondamentale la capacità di costruire e sviluppare, in modo
fiducioso, la partenership sia con l’azienda-committente che con il coachee, con
la finalità di potenziare l’individuo coerentemente con gli obiettivi che
l’azienda pone.
Quando il coach che lavora in azienda è anche psicologo, l’integrazione di
competenze di business-organizzative e psicologiche conferisce a questa
tipologia di figura professionale un valore aggiunto grazie alla sua capacità di
stare in relazione con il coachee, utilizzando lo scambio di feedback e di
usare le tecniche di coaching con modalità che ne possono amplificare
l’efficacia.
“Il coach che è anche psicologo del lavoro ha una preparazione che è un valore
aggiunto alla qualità del suo operato”
Rispetto ai coach che possiedono una preparazione diversa, infatti, il coach
psicologo ha la capacità di dare valore ai processi di conoscenza di sé, ed
è quindi in grado di guidare la persona nell’assumere una progressiva
consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza anche quando è
alle prese con momenti critici.
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Utilizza quindi strumenti standardizzati quali test, questionari, Assessment
Center, Feedback 360°, Leadership Profile o li integra con strumenti più
prettamente qualitativi, come intervista, colloquio, osservazione e raccolta di
materiale organizzativo. La sua abilità consiste nel saperli utilizzare in modo
coerente rispetto alle finalità dell’intervento di coaching che si prefigge di
costruire insieme al coachee.
Il coach psicologo è in grado di gestire
le situazioni critiche che possono
venirsi a creare quando il processo di
coaching ha già preso il via, ad
esempio facilitando la conciliazione
degli obiettivi di azienda e coachee
nel caso emergessero delle divergenze
fra questi. È altresì in grado di rilevare
la presenza di disagi più o meno
strutturati, che vanno dalla presenza di
un vero e proprio problema personale,
alle condotte comportamentali
disfunzionali. Tali problematiche sono da considerarsi critiche se impediscono
alla persona di svolgere il proprio lavoro, o hanno delle ripercussioni sui
colleghi. In tali casi il coach psicologo sarà in grado di indirizzare la persona
perché si avvalga di un aiuto professionale adeguato.
Il coach psicologo, in sintesi, possiede gli strumenti adeguati per individuare in
modo molto tempestivo le caratteristiche del coachee al fine di trovare delle
strategie individuali di sviluppo, è in grado di leggere e utilizzare la relazione
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sia con l’azienda che con il coachee per pervenire a un obiettivo condiviso e
ottimale, ha gli strumenti per decodificare il contesto organizzativo in senso
multidimensionale considerandone tutte le dinamiche che lo caratterizzano.
La formazione base dello psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, se
integrata con una formazione adeguata relativa ai processi organizzativi, di
business e alle metodologie di coaching, permette di offrire quindi un
contributo professionale distintivo.
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Abbiamo visto come un coach che è al contempo anche psicologo possa
conferire un valore aggiunto al proprio operato. Ma in che modo le teorie ed i
diversi paradigmi psicologici possono contribuire all’attività di coaching?
Così come i diversi orientamenti teorici, e i conseguenti modelli di
funzionamento mentale, guidano gli psicologi nel proprio lavoro, allo stesso
modo i coach psicologi declinano le proprie pratiche sulla base del
paradigma psicologico, e quindi del modello di uomo, a cui si
riferiscono.
Esiste infatti il coaching umanistico, ma anche quello sistemico, quello
strategico, o quello di stampo cognitivo comportamentale.
Il coaching umanistico, ad esempio, si fonda sulla Psicologia positiva e sulla
filosofia umanistica, e che pone il coachee e le sue potenzialità al centro
dell’azione di coaching.
Le attività di coaching sistemico o strategico, che si applicano maggiormente ai
gruppi e alle organizzazioni, affondano invece le loro radici nella teoria
sistemico-relazionale. Nel coaching organizzativo o nel team coaching, infatti,
si affronta il percorso con una prospettiva diversa, con l’obiettivo di
permettere a tutti i membri del gruppo di trarre vantaggio da un cambiamento.
La struttura di personalità così come viene delineata nell’analisi transazionale,
per citare un altro tipo di approccio, può essere invece una guida per alcuni
03. Paradigmi psicologici e loro utilità nel coaching
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coach nella diversificazione degli interventi nelle diverse fasi di lavoro e per
comprendere lo stile relazionale del coachee.
I concetti di “credenza” e di significato attribuito agli eventi, per fare un altro
esempio, guidano i coach psicologi ad approccio cognitivo comportamentale nel
consentire alla persona di pensare a se stesso o a ricercare delle soluzioni
efficaci secondo differenti modi di pensare. Basti pensare alle tecniche
immaginative e ai metodi di visualizzazione che vengono utilizzate nel coaching
sportivo.
La possibilità di usufruire
dell’apporto delle diverse teorie
psicologiche sul funzionamento
della mente umana non stanno
però a significare che il coach
psicologo in qualche modo
svolge un’attività di tipo
terapeutico. I paradigmi
teorici, infatti, sono
semplicemente delle griglie
che guidano il coach psicologo nella sua azione e nella relazione con il
coachee.
Il cliente che domanda un intervento di coaching non è portatore di una
richiesta d’aiuto, bensì desidera raggiungere obiettivi concreti, che devono
essere tradotti in comportamenti manifesti e non in cambiamenti profondi.
Secondo Cavanagh (2005), tra l’altro, i clienti che maggiormente possono
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beneficiare di un intervento di coaching sono quelli con un funzionamento
mentale sufficientemente sano.
L’orientamento è quindi verso l’azione, con l’obiettivo di raggiungere un
miglioramento, obiettivo che andrà di volta in volta verificato per capire se
l’attività di coaching è stata efficace o meno.
“È dagli anni ’90 che il coaching personale e organizzativo affonda sempre più le sue radici
nelle teorie psicologiche”
Palmer e Whybrow (2007), del resto, definiscono il coaching psicologico come
uno strumento per migliorare il proprio benessere e le proprie prestazioni nella
vita personale e lavorativa; si tratta di un approccio olistico e ampio nei
confronti della persona che usufruisce del coaching, la quale può ottimizzare
aree della propria vita che sono in continuità l’una con l’altra.
Trattandosi di una disciplina giovane, è però solo recentemente che il coaching
ha cercato di definire le basi dei proprio modello teorico in modo più
preciso e puntuale, anche per poter dare validità ai risultati ottenuti da un
punto scientifico. In questo tentativo ha certamente trovato un valido apporto
da parte della psicologia positiva, branca della psicologia che sta avendo
successo negli Stati Uniti. Si tratta di un approccio che si occupa dello
sviluppo delle potenzialità dell’uomo e che, di conseguenza, fa ricerca e
interviene in tale ambito.
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Le scoperte della psicologia positiva stanno permettendo ai coach di costruire
strumenti di assessment particolarmente utili ed efficaci, ma sta anche
portando allo sviluppo di nuove tecniche e metodologie di intervento. Ciò che
avvicina la psicologia positiva e il coaching umanistico, e che permette uno
scambio a livello teorico-metodologico, è la medesima visione dell’uomo, inteso
come individuo unico e irripetibile.
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L’attività di coaching prende il via da una richiesta da parte della cosiddetta
committenza, ossia l’ente/la persona che ha richiesto un’azione di
coaching al professionista. La committenza costituisce il riferimento a cui il
coach deve poi riportare i risultati finali ottenuti.
Nel caso del coach personale committenza e coachee coincidono. Nel caso del
coaching organizzativo, però, committenza e coachee non costituiscono la
medesima entità, perché è un’azienda che chiede l’intervento di coaching
affinché una o più persone che ne fanno parte riescano a raggiungere degli
obiettivi.
Una volta definiti i macro obiettivi con il committente, il coach stipula il
contratto di coaching con il coachee: è qui che inizia il vero e proprio processo
di coaching.
“Il primo step è costituito dall’analisi dei bisogni
di sviluppo che la persona porta”
Tali bisogni non sono indipendenti da un altro elemento fondamentale, che
guida costantemente il coach psicologo nelle sue azioni: l’analisi del
contesto. Senza infatti prendere in esame l’ambiente in cui il coachee si trova
ad operare, le dinamiche di cui è protagonista, i soggetti con cui si interfaccia e
04. Un nuovo modello di lavoro
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le aspettative che lui e gli altri ripongono nelle sue attività non è possibile
trovare delle soluzioni adeguate.
L’analisi del contesto è frutto non solo dell’incontro con il cliente, ma anche con
il committente. I bisogni del coachee, quindi, sono sempre rapportati al
contesto in cui si trova a operare.
Una volta che il coach psicologo è riuscito a portare a termine una dettagliata
analisi dei bisogni e del contesto in cui questi si situano, è possibile delineare
insieme al coachee un adeguato piano di sviluppo.
Quest’ultimo è un vero e proprio
programma che viene stilato insieme
e che prevede una serie di step che
il coachee è chiamato a fare per
raggiungere obiettivi di volta in volta
definiti.
Una volta stabilito il piano di
sviluppo, il coach psicologo e il
coachee si incontrano in una serie di sessioni di coaching, intervallate da
qualche settimana l’una dall’altra, durante le quali si discute delle azioni che
sono state messe in atto dal cliente, degli obiettivi che sono stati raggiunti e
delle difficoltà che hanno invece impedito il raggiungimento degli stessi.
Il piano di sviluppo può e deve essere modificato in itinere a seconda
delle variabili che emergono strada facendo; ciò che è fondamentale, infatti, è
che coach psicologo e coachee verifichino sempre i risultati ottenuti. Alla luce
di questa valutazione continua lungo il percorso si interviene sulla struttura del
piano di sviluppo.
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Le azioni, infatti, non possono essere mai svincolate dalla valutazione
dei risultati che si ottengono: scopo del processo di coaching, del resto, è
prima di tutto raggiungere degli obiettivi concreti. Se questi non vengono
ottenuti significa che il percorso di coaching non ha funzionato e che va
modificato ancora una volta in funzione degli obiettivi.
Sia il coach psicologo che il coachee hanno quindi come interlocutore
privilegiato la committenza in merito ai risultati ottenuti attraverso il processo
di coaching (o, eventualmente, al suo fallimento). Tutti e 3 i soggetti sono poi
coinvolti in un continuo processo di feedback reciproci per monitorare
l’andamento del lavoro.
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È anche vero, però, che la relazione tra professionista e cliente è
caratterizzata dal rispetto e dal mantenimento della privacy su aspetti
che, eventualmente, il coachee può desiderare che non vengano svelati.
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Il coach psicologo ha bisogno, nella fase iniziale del processo, di
contestualizzare il percorso di coaching all’interno del mondo aziendale. È
fondamentale, quindi, che possa entrare nelle sue logiche, capire come
funziona e come approcciarlo, individuare quali sono le dinamiche di potere,
con chi bisogna parlare per avere un commitment adeguato.
Altro obiettivo importante consiste nell’analizzare in modo approfondito le
esigenze possibili all’interno dei diversi contesti di business per potersi meglio
immedesimare nei futuri coachee. È quindi centrale comprendere il
linguaggio, la mentalità, il mondo dei nostri interlocutori, capire in che scenario
si muovono per permetterci di entrare in sintonia e quindi in empatia nel
modo più efficiente per poter essere efficaci.
Lo step successivo consiste nel
saper fare una sintesi dei
bisogni e delle criticità del proprio
coachee e del contesto nel quale
vive. Questa deve essere la base
sulla quale si individuano i
risultati da ottenere, legati a
obiettivi specifici e misurabili,
accettati da entrambi gli
interlocutori (coach e coachee). Obiettivo importante è che i target da dover
raggiungere siano supportati da indicatori comportamentali ben precisi,
05. La relazione a due nel mondo del lavoro
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perfettamente contestualizzati nella realtà del coachee e che siano basati su
una scala temporale che venga percepita come “giusta” e “su misura”.
Fondamentale è la condivisione del piano di sviluppo tra cliente e coach.
Per fare questo il coach psicologo deve riuscire a coinvolgere il coachee anche
sul piano dei sentimenti e delle emozioni al fine di ottenere un ingaggio
ottimale, e non solo sul mero piano della razionalità.
Durante il percorso il coach psicologo aiuta il cliente a superare momenti
di difficoltà ed empasse utilizzando tecniche diverse (es. sedia vuota, dialogo
interiore, scrittura creativa, specchio riflesso, bacchetta magica, macchina del
tempo, ecc); tali tecniche possono anche essere create ad hoc a seconda delle
diverse situazioni e contesti che il coachee vive, chiamando sia lui che il coach
psicologo a compiere un vero e proprio atto creativo nella risoluzione dei
problemi.
Il rapporto tra coach psicologo e coachee è improntato all’insegna del rispetto
reciproco e della consapevolezza che il coachee è unico e va ascoltato con
attenzione: lui più di tutti e come nessun altro è portatore della migliore lettura
della situazione, della scelta e della decisione.
È altresì importante che il coach psicologo chiarisca al cliente quali sono i
limiti e le caratteristiche del processo che mettono in atto, che è diverso
dalla formazione, dal counseling, o dalla psicoterapia: è solo così che il coachee
può aderire al piano di sviluppo delineato in piena consapevolezza e all’interno
di un rapporto fiducioso con il coach psicologo.
La relazione fra coach e coachee costituisce per il cliente una vera e propria
palestra, all’interno della quale affinare le proprie competenze relazionali a
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livello cognitivo ed emotivo, unitamente allo sviluppo e al mantenimento della
propria professionalità.
La competenza del coach psicologo sta anche poi nel dare e ricevere feedback
positivi e negativi tra coachee, committente e, più in generale, tra tutti gli
attori coinvolti nel programma di coaching.
Una solida relazione di partnership con l’Organizzazione che ha richiesto
l’intervento di coaching è del resto fondamentale. Il coach deve esplorare i
bisogni della committenza, chiarire le caratteristiche del processo, verificarne
la fattibilità, concordare gli obiettivi, verifica la coachability con i potenziali
coach, concorda le modalità di lavoro con flessibilità rispetto a eventuali
cambiamenti organizzativi e i ruolo.
Il coachee, in
ultimo, deve sentirsi
compreso e potersi
fidare del suo coach.
A tal fine sono
fondamentali alcune
tecniche, in primis
quella di dare e
ricevere feedback
positivi e negativi.
Quest’ultima è uno strumento attraverso il quale si restituiscono al coachee,
cercando di renderli chiari ma senza interpretarli, i comportamenti e le
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emozioni che sono stati osservati dal coach psicologo. L’obiettivo è quello di
avviare un processo di consapevolezza ed esplorazione, in modo da
raggiungere comportamenti sempre più funzionali per il raggiungimento
dell’obiettivo. Si tratta di uno strumento privilegiato sia per implementare la
fiducia all’interno del rapporto, sia per esplorare gli aspetti emotivi che
risultano centrali nel far crescere l’ingaggio del cliente all’interno del processo.
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Il processo di coaching è funzionale al raggiungimento di obiettivi di sviluppo
precisi e ben identificati. Si identificano apposite “palestre” e si mettono
all’attenzione indicatori comportamentali che evidenzieranno al coachee che si
sta raggiungendo l’obiettivo di sviluppo. Per poter fare questo il coach
psicologo ha il mandato si agisce sulla consapevolezza di sé del proprio
coachee, attivando le risorse personali e costruendo strumenti ad hoc.
Tutto ciò per poter fronteggiare le “sfide” nelle quali ci si trova di fronte anche
in diversi contesti, dai lavorativi oppure a quelli personali.
In concreto si cerca di acquisire delle competenze che possano essere anche
trasversali nella vita della persona ad esempio la capacità di reagire ad
eventi stressanti o la
self efficacy.
È quindi all’interno della
relazione tra coach e
coachee che vengono
utilizzate delle tecniche
tali da attivare nel cliente
elaborazione, sviluppo
di competenze e
cambiamenti a livello
comportamentale.
06. Raggiungere l’obiettivo di sviluppo
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L’intervento di coaching mira a dare fiducia alla persona, nella
consapevolezza (e nell’esplorazione!) dei propri limiti, cercando però di
trasformare le difficoltà e gli ostacoli in vantaggi da usare a proprio favore.
Questo avviene non solo andando oltre la cosiddetta zona “di ruggine”,
modalità in cui la persona non fa progressi e mette in atto sempre gli stessi
comportamenti (non più adattivi), per lo più in risposta agli stimoli esterni, e
quindi passivamente.
Ciò da cui il coach psicologo spinge a uscire è anche la zona “di comfort”, area
nella quale siamo più o meno adattati, senza però essere veramente
entusiasmati da ciò che facciamo.
Il tentativo è quello di approdare a un’area “di stretch”, all’interno della
quale forse si sta meno comodi, ma dove si possono imparare nuove abitudini
e acquisire nuove competenze.
Il cambiamento, infatti, impone l’approdo anche solo momentaneo in un’area
di incertezza che generalmente è poco rassicurante: è per questo che è così
difficile abbandonare consolidate, ma note, vecchie abitudini per raggiungere
obiettivi importanti.
Le tecniche usate dal coach psicologo per lavorare con il cliente sul
raggiungimento degli obiettivi sono quindi a matrice relazionale e non
nozionistico o “educativo”.
Il coach psicologo prima di tutto crea un clima favorevole e di fiducia con il
cliente, il quale deve sentirsi compreso al massimo per poter pensare di
condividere il percorso con il coach psicologo.
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La sintesi e la riformulazione di contenuti portati dal cliente aiutano da un
lato a far sentire il coachee compreso e dall’altro contribuiscono alla percezione
di un coach psicologo fortemente presente all’interno della relazione. Il
rispecchiamento in questo senso costituisce un passaggio ulteriore
dell’operazione di sintesi, perché agisce a livello cognitivo ed emotivo: i
vissuti del cliente vengono raccolti e restituiti in modo empatico dal coach
psicologo, in modo da stimolare al massimo la consapevolezza di sè
L’utilizzo di domande aperte molto concrete stimola il coachee alla
riflessione, alla presa in considerazione di punti di vista nuovi e diversi, aprono
al cliente nuovi scenari che prima non erano stati considerati. È importante che
le domande non siano in alcun modo giudicanti, altrimenti il rischio è che non
ci si riesca a muovere verso nuove prospettive.
Anche le tecniche di creatività vanno nella direzione della stimolazione del
pensiero, con la finalità di mettere in crisi schemi di pensiero e comportamenti
consolidati, che però ci fanno rimanere nella nostra “zona di comfort”
precedentemente citata.
Nell’ottica dello sviluppare una sempre maggiore e più efficace capacità
di immedesimarsi nell’altro, e quindi di poter essere in grado di leggere le
tante e diverse relazioni (per livello di confidenza ma anche per diversa
posizione lavorativa) che il coachee intreccia in ambito lavorativo, possono
essere attivati dei giochi di ruolo particolarmente funzionali.
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Guerini E Associati, 2004.
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Editore, 2004
Bibliografia
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