Il cielo stellato sopra di me sete, - Diocesi di Civita ... 2017/Pastorale Giovanile... · Cosa...

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1. Il cielo stellato sopra di me …desideri infiniti dentro di me [desiderio - cielo - stelle - costellazioni] Quando senti di avere sete, prendi qualcosa da bere e bevi. Semplice. Sai che per far “tacere” la sete devi bere. Semplice… ma se questa cosa, invece, non la sapessi? Se non sapessi che per dissetarti dovresti bere? Ancora di più… se non sapessi neanche che quello che provi si chiama “aver sete”? Se non riuscissi neanche a dare il nome a questo bisogno fondamentale? Cosa potrebbe succedere? Non sai che bisogno hai, non sai di che cosa si tratta, non sai neanche che per stare meglio basterebbe, semplicemente, bere un bicchiere di acqua. La soluzione è semplice, il bicchiere d’acqua potrebbe essere a portata di mano, potresti averlo anche davanti agli occhi ma non sai che basterebbe quello per stare meglio… Sentire un disagio, un bisogno e non sapere che cosa è… Non sapere cosa “ti prende”… All’inizio il bisogno è sottile, piccolo, ma se il tempo passa il bisogno ti trasforma: se non riesci a capire cosa hai, se non riesci a capire cosa devi fare per “stare meglio”… e il tempo passa… come ti sentiresti? Sentire un bisogno fortissimo, non sapere di cosa si tratta, non sapere come farlo tacere… si potrebbe morire. E se invece qualcuno, mentre provi tutto questo, decidesse di non farti morire? Di farti impazzire, di farti provare quel bisogno fino all’esasperazione? E se fossi “condannato” a vivere in questa situazione? E se fossero gli altri a costringerti addosso a questo muro? Se continuassi ad aver sete, fame, caldo o freddo… per sempre! senza mai bere un bicchiere d’acqua o mangiare qualcosa, senza morire mai e continuando però a sentire, sempre di più, fino all’esasperazione…. sete, fame… vivere diventerebbe una condanna. Con la sete, con la fame, con il caldo, con il freddo… è tutto abbastanza facile da capire, è tutto abbastanza semplice: semplice perché è istintivo, perché è legato alla nostra sopravvivenza. Non a caso stiamo parlando di “bisogni”. Altre volte, invece, chiamiamo bisogni cose che non lo sono affatto. Ci sono cose legate non alla nostra sopravvivenza ma alla nostra esistenza: anche un animale beve e mangia ma noi non siamo semplicemente animali. Dove sta il nostro “di più”? Cosa rende l’uomo uomo? Stiamo parlando delle volte in cui ti capita di provare interiormente qualcosa di molto forte, stati d’animo intensi… profondi… a volte incomprensibili, altre volte insostenibili, a volte belli, altre volte opprimenti… E’ un viaggio prezioso, profondo e non facile. E’ un viaggio dinamico e sorprendente quello che ti porta attraverso i tuoi “desideri”. Cominciamo dall’inizio: De sidus vuol dire senza stelle, cioè alzare lo sguardo per cercarle sapendo che ci sono, ma non potendole vedere a causa delle nubi! Che bello questo: “sapendo che ci sono!”. Allora il viaggio si fa interessante perché la prima domanda che ci possiamo fare è: come faccio a sapere che le stelle ci sono? Non ti confondere, non ci riferiamo alle stelle del cielo, ma a quelle del vero cielo: la tua anima! Ho mai guardato me stesso, la mia coscienza, la mia anima, come prima cosa sapendo che c’è? Mi sono mai guardato dentro? Un cielo: il cielo è profondo e oscuro a volte, il cielo è puntellato di piccole luci e di alcune ombre. Se vai a fondo nel cielo, con i telescopi, emergono anche tanti colori bellissimi, ma devi andare a fondo… emergono anche solitudini e costellazioni che abbracciano le solitudini! E poi le stelle sembrano fredde mentre invece brillano per il caldo! Ti è mai capitato di sentire che non sei fatto per guardare in basso, per guardare semplicemente per terra? Ti è mai successo, ascoltando una poesia, una canzone, un personaggio che ti ha catturato… ti è mai capitato 3

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1. Il cielo stellato sopra di me

…desideri infiniti dentro di me [desiderio - cielo - stelle - costellazioni] Quando senti di avere sete, prendi qualcosa da bere e bevi. Semplice. Sai che per far “tacere” la sete devi bere. Semplice… ma se questa cosa, invece, non la sapessi?

Se non sapessi che per dissetarti dovresti bere?

Ancora di più… se non sapessi neanche che quello che provi si chiama “aver sete”? Se non riuscissi neanche a dare il nome a questo bisogno fondamentale? Cosa potrebbe succedere?

Non sai che bisogno hai, non sai di che cosa si tratta, non sai neanche che per stare meglio basterebbe, semplicemente, bere un bicchiere di acqua. La soluzione è semplice, il bicchiere d’acqua potrebbe essere a portata di mano, potresti averlo anche davanti agli occhi ma non sai che basterebbe

quello per stare meglio… Sentire un disagio, un bisogno e non sapere che cosa è… Non sapere cosa “ti prende”…

All’inizio il bisogno è sottile, piccolo, ma se il tempo passa il bisogno ti trasforma: se non riesci a capire cosa hai, se non riesci a capire cosa devi fare per “stare meglio”… e il tempo passa… come ti sentiresti? Sentire un bisogno fortissimo, non sapere di cosa si tratta, non sapere come farlo tacere… si potrebbe morire. E se invece qualcuno, mentre provi tutto questo, decidesse di non farti morire? Di farti impazzire, di farti provare quel bisogno fino all’esasperazione? E se fossi “condannato” a vivere in questa situazione? E se fossero gli altri a costringerti addosso a questo muro? Se continuassi ad aver sete, fame, caldo o freddo… per sempre! senza mai bere un bicchiere d’acqua o mangiare qualcosa, senza morire mai e

continuando però a sentire, sempre di più, fino all’esasperazione…. sete, fame… vivere diventerebbe una condanna. Con la sete, con la fame, con il caldo, con il freddo… è tutto abbastanza facile da capire, è tutto abbastanza semplice: semplice perché è istintivo, perché è legato alla nostra sopravvivenza. Non a caso stiamo parlando di “bisogni”.

Altre volte, invece, chiamiamo bisogni cose che non lo sono affatto. Ci sono cose legate non alla nostra sopravvivenza ma alla nostra esistenza: anche un animale beve e mangia ma noi non siamo semplicemente animali. Dove sta il nostro “di più”? Cosa rende l’uomo uomo? Stiamo parlando delle volte in cui ti capita di provare interiormente qualcosa di molto forte, stati d’animo intensi… profondi… a volte incomprensibili, altre volte insostenibili, a volte belli, altre volte opprimenti… E’ un viaggio prezioso, profondo e non facile. E’ un viaggio dinamico e sorprendente quello che ti porta attraverso i tuoi “desideri”. Cominciamo dall’inizio: De sidus vuol dire senza stelle, cioè alzare lo sguardo per cercarle sapendo che ci sono, ma non potendole vedere a causa delle nubi! Che bello questo: “sapendo che ci sono!”. Allora il viaggio si fa interessante perché la prima domanda che ci possiamo fare è: come faccio a sapere che le stelle ci sono? Non ti confondere, non ci riferiamo alle stelle del cielo, ma a quelle del vero cielo: la tua anima!

Ho mai guardato me stesso, la mia coscienza, la mia anima, come prima cosa sapendo che c’è? Mi sono mai guardato dentro? Un cielo: il cielo è profondo e oscuro a volte, il cielo è puntellato di piccole luci e di alcune ombre. Se vai a fondo nel cielo, con i telescopi, emergono anche tanti colori bellissimi, ma devi andare a fondo… emergono anche solitudini e costellazioni che abbracciano le solitudini! E poi le stelle sembrano fredde mentre invece brillano per il caldo!

Ti è mai capitato di sentire che non sei fatto per guardare in basso, per guardare semplicemente per terra? Ti è mai successo, ascoltando una poesia, una canzone, un personaggio che ti ha catturato… ti è mai capitato

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di sentire dentro di te aspirazioni grandi, il semplice percepirle…. Il cielo ci appartiene perché il cielo è dentro di noi. Allora prima cosa: il cielo dentro di te c’è perché ci sono i desideri, c’è qualcosa che ti spinge a puntare alle stelle, anche se non le vedi… se non le vedi ancora.

Guarda bene i desideri! Cosa trovi? Anche tu a volte trovi solitudini e cerchi le costellazioni? Trovi la freddezza del non amore? Trovi forse anche la rabbia, la fatica, lo scoraggiamento? Forse trovi giudizi dati e ricevuti che alterano o spengono o raffreddano i tuoi desideri?

Cosa “puntella” tutto? Cosa regge tutto? Cosa avvolge tutto quello che hai dentro? Che bello, vedi, mentre cerchiamo, mentre ci poniamo domande viaggiando in questo cielo unico ed irripetibile, emerge una parola: tutto! Questa parola non somiglia tanto al colore dei tuoi desideri? Non ha lo stesso tratto dei tuoi desideri?

Abbi il coraggio di entrare, perché un grande freno spesso è quello dell’indifferenza, dell’apatia (mancanza di pathos, di passione, di desideri!): ma come si fa ad essere indifferenti a questo cielo così speciale? Anche se ad una prima “superficiale” esplorazione esso ti può sembrare non attraente… lo sai che è il tuo speciale cielo? Lo sai che certamente non lo conosci tutto?

Quanti desideri ci sono? Perché, ce ne sono tanti? Mentre viaggi però è necessario guardare bene e conoscere bene. Come faccio a riconoscere quelli buoni e quelli non buoni? Che bello: vedi che, parlando, ancora una volta emerge un’altra parola preziosa, “riconoscere”. Posso imparare, posso scoprire, posso farlo lentamente, non avendo la fretta di capire tutto e subito. Posso anche scoprire di non dover fare per forza questo viaggio da solo. Quindi non sono solo nel viaggio di conoscenza di me! Può esserci chi impedisce di arrivare nel profondo, come chi desidera, a tutti i costi, che io scopra il grande dono che è dentro di me, il pozzo dei desideri….

Entra, non temere: il tuo cielo è fatto per te, da chi ama te!

DAL VANGELO DI MARCO (5,1-20)

1Giunsero all'altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. 3Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.

6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: "Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!". 8Gli diceva infatti: "Esci, spirito impuro, da quest'uomo!". 9E gli domandò: "Qual è il tuo nome?". "Il mio nome è Legione - gli rispose - perché siamo in molti". 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. 11C'era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. 12E lo scongiurarono: "Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi". 13Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.

14I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunsero da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. 19Non glielo permise, ma gli

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disse: "Va' nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te". 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

La cosa più importante di questo Vangelo è che questo uomo sia “posseduto”? Perché questo uomo vive tra le tombe? Chi ce lo ha messo? Come è stato trattato? Come hanno provato a risolvere i suoi problemi? Cosa vuol dire cercare di “domare” una persona? Cosa vuol dire legare una persona con delle catene e dei ceppi? Quale è la “giornata tipo” di questo uomo? Questo uomo urla e si percuote notte e giorno, incessantemente: lo fa solo perché è indemoniato o perché vive con esasperazione una situazione dalla quale non riesce a venire fuori? È esasperato perché altri non vogliono e non riescono ad aiutarlo? Questo uomo riesce a vedere vie di uscita dalla sua situazione? Cosa fa la comunità per lui? Se il suo comportamento fosse riconducibile solo al suo essere indemoniato, perché si butta ai piedi di Gesù, perché corre da Gesù? Se tutto potesse essere la metafora di un uomo che non riesce a trovare soddisfazione dei suoi desideri primari? Come può sentirsi amato e come può amare chi è stato condotto con forza ad abitare in mezzo ai morti? Come può non sentirsi odiato, emarginato ed isolato? Come può non sentirsi non accolto, non accettato? Come può non sentirsi un problema insolubile vivente? Come può non pensare che per lui non c’è proprio più niente da fare? Cosa vuol dire allora urlare? Perché urlare? Cosa urlare secondo te? Cosa vuol dire percuotersi con pietre notte e giorno? Sembra di assistere, impotenti, al lento spegnersi e uccidersi di una persona che non è trattata come tale. Eppure… eppure è possibile rompere muri, barriere che sembrano infrangibili… problemi che sembrano insormontabili… cosa ha fatto Gesù? Cosa ha restituito Gesù a questo uomo?

«QUEST’ANSIA ARCANA CHE MI TIENE E CHE MI FA SOSPIRAR LE STELLE»

In una lirica del Mal giocondo (1889) il ventiduenne Luigi Pirandello afferma che se in qualche astro del firmamento abitassero creature intelligenti, nulla potremmo sapere della loro fisionomia, ma certo sarebbero come noi piene della domanda sulla ragione della realtà:

O stelle… questo è certo, che degli esseri curiosi in voi saranno che, sì come noi, de l’essere la ragione sapranno.

È quell’inestirpabile, indistruttibile curiosità che fa uomo l’uomo. In un appunto del 1889, dopo aver preso atto che la mentalità diffusa del tempo suggerisce di accontentarsi del “come” senza porsi il grande “perché”, Luigi Pirandello si chiede: “Ma è possibile che la domanda non sorga, se la terra rimane pur sempre circondata di cielo?”. All’uomo non basta la terra che la ragione illuminista sa misurare: l’uomo si protende, allunga le mani, stende il cuore e la mente verso il cielo dell’incommensurabile mistero:

Spesso la grandezza mia consiste nel sentirmi infinitamente piccolo: ma piccola anche per me la terra, e oltre i monti, oltre i mari cerco per me qualche cosa che per forza ha da esserci, altrimenti non mi spiegherei quest’ansia arcana che mi tiene, e che mi fa sospirar le stelle…

Alla mia solitudine di gelo, al mio sgomento, al mio lento morire parla ne le stellate notti il cielo d’altre arcane vicende da subire

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sempre dentro al mistero e in questo anelo. “E fino a quando?”, l’anima sospira. Infinito silenzio in alto accoglie la sua dimanda. Pur tremarne mira le stelle in ciel, quasi animate foglie d’una selva, ove arcano alito spiro.

(da: Dialoghi tra il Gran Me e il piccolo me – Natale 1897)

La mente curiosa, quando riflette su di sé e sul mondo in modo critico, intuisce la possibilità, anzi la necessità di un oltre “che per forza ha da esserci”: risulterebbe altrimenti inspiegabile il “cuore” stesso dell’uomo, tutto ingombrato da una misteriosa “ansia”, da uno struggente de-siderio (etimologicamente: “sospirar le stelle”). All’uomo gelato nella sua solitudine, il notturno cielo stellato suggerisce cupi pensieri e l’anima si chiede “fino a quando?”. Ma sembra che le stelle, impassibili, stiano a guardare: nessun cenno di celeste risposta alla domanda che sale dall’uomo. Poi, d’improvviso, lo scatto positivo: pare che lassù qualcuno senta, qualcosa si muova. L’uomo contempla il tremolio delle stelle, mosse da un misterioso vento che le anima come fa con le foglie di una selva. L’uomo non può spiegare il mistero ma il mistero può sorprendere l’uomo, facendogli intuire di essere la sorgente di quel tremolio (o di quella voce).

In una novella, Sopra e sotto, scrive ancora di questa ansia nascosta dentro il cuore dell’uomo eppure emergente, sovente, così chiaramente. Il vecchio professor Sabato si riconosce “piccolo, piccolo” e, mirando le stelle, sente subito “la nostra infinita, inferma piccolezza inabissarsi”. Lamela gli risponde:

“Ma dentro di me dev’esserci per forza, capite? Qualcosa di infinito, se no io non l’intenderei, come non l’intende… che so? Questa mi scarpa, putacaso, o il mio cappello. Qualcosa che, se io affiso… così… gli occhi alle stelle, ecco, s’apre…”.

UN ANGOLO DI CIELO (Pino Daniele)

Non hai torto né ragione

se dici che in questa vita

devi essere un leone

bisogna vincere la sfiga

Questo mondo è nero è bianco

pieno di perplessità

e fa' comodo allo stato

la nostra solidarietà

Signore io ti chiedo se c'è

un angolo di cielo per me

che vivo una vita sola

e che vita seria è questa qua

se ti strappano il cuore

se ti vendono parole

Che vita seria è questa qua

se sei bianco se sei nero

ti buttano giù dal grattacielo

perché mi sento ancora

perché ti senti ancora

perché mi sento ancora un diverso

Non hai torto né ragione

se dici che questa vita

è una partita di pallone

ma nessuno l'ha mai vinta

Dai primi giorni della scuola

fino all'università

ti martellano il cervello

e coltivano la pietà

Signore io ti chiedo se c'è

un angolo di cielo per me

che vivo una vita sola

che vivo una vita sola

perché mi sento ancora

perché ti senti ancora

perché mi sento ancora un diverso. 9

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Un cuore che si scopre capace di infinito

Gesù chiama beato chi non ha perso l’appetito dello spirito, chi non ha rinunciato all’anelito del cuore giovane, chi non giudica acerba l’uva per il semplice fatto che non è riuscito a procurarsela. Gesù chiama beato chi è aperto e chi in ogni stagione della vita mantiene viva ed efficace la sensibilità dello spirito.

Una grande malattia che serpeggia nel regno dello spirito è il torpore, è l’accontentarsi di vivacchiare, perché vivere all’altezza delle proprie aspirazioni, o meglio, della propria profonda aspirazione costa, è faticoso, è… da giovani!

L’anoressia dello spirito si presenta con sintomi simili all’anoressia del corpo. La disaffezione e il rifiuto del corpo come si presenta spingono a un atteggiamento definibile come suicida. Il rifiuto dello spirito e la sua anoressia nascono da un disagio che a sua volta è frutto del contrasto tra lo spirito – sveglio, dinamico, vivace e audace – e

l’anima assonnata, statica, pigra e fifona. Anche qui siamo alle prese con un suicidio lento, silente, abortivo, crudele e tanto pericoloso quanto apparentemente impercettibile.

Disattendere i bisogni della nostra natura spirituale porta a una frustrazione… Essa è la nevrosi di chi non trova più senso in una vita che apparentemente ha tutto (soldi, sicurezze, successo…), ma a cui manca l’essenziale: il senso di tutto il quadro e il senso per me. Riconoscere la propria apertura all’infinito, ascoltare la propria sete, è la prima esperienza religiosa dell’uomo. Sì, tanti scoprono Dio in momenti di indigenza, di sofferenza, di bisogno, ma le scoperte più belle di Dio sono quelle che avvengono nella spontaneità di un cuore che si apre all’infinito, o meglio, di un cuore che si scopre capace di infinito.

- R. Cheaib, Un Dio umano -

A Dio per realizzare il suo sogno è necessario entrare nel sogno degli uomini; e l’uomo deve poter sognare i sogni di Dio.

(Heschel)

A lungo durerà il mio viaggio

e lunga è la via da percorrere

Uscii sul mio carro ai primi albori

dei giorno, e proseguii il mio viaggio

attraverso i deserti dei mondo

lasciai la mia traccia su molte stelle e pianeti.

Sono le vie più remote

che portano più vicino a te stesso;

è con lo studio più arduo che si ottiene

la semplicità d'una melodia.

Il viandante deve bussare

a molte porte straniere

per arrivare alla sua,

e bisogna viaggiare per tutti i mondi esteriori

per giungere infine al sacrario

più segreto all'interno del cuore.

I miei occhi vagarono lontano

prima che li chiudessi dicendo: «Eccoti!»

Il grido e la domanda «Dove?»

si sciolgono nelle lacrime

di mille fiumi e inondano il mondo

con la certezza: «lo sono!»

Rabindranath Tagore

“Da dove sono venuto, dove mi hai preso?” chiese il piccolo a sua madre. E lei, fra il pianto e il riso, stringendo il bambino al petto, rispose: “Amore mio, eri un desiderio nascosto nel mio cuore”.

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IL VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA Caspar David Friedrich è uno dei pittori più rappresentativi del romanticismo, ma soprattutto uno degli interpreti del “sublime”. Lavorava ininterrottamente nel suo atelier, in cui si trovavano soltanto il cavalletto, una sedia e un tavolo, poiché riteneva che tutti gli oggetti esteriori disturbassero il mondo delle immagini interiori. L’unica sua musa era quella solitudine ricercata e a volte temuta. Nel suo studio, egli combatteva ogni giorno la sua battaglia per cancellare la muraglia invisibile che divide il mondo reale da quello ideale, cercando dentro di sé immagini che sapessero innestare nella memoria di ciò che aveva visto e disegnato, quel sentimento che rapisce e annienta ogni progetto umano di fronte alla vastità e il desiderio di trovare nella natura una consolazione alla mortalità.

Il suo obiettivo era quello di creare un nuovo tipo di paesaggio, dove l’invisibile, avesse maggior peso del visibile. Se per il poeta romantico Novalis, il luogo dell’anima sta nel punto di contatto tra il mondo interiore e quello esterno, le immagini che riesce a trasmetterci Friedrich sono paesaggi dell’anima. Una delle figure più caratteristiche del romanticismo è quella del viandante, l’uomo in perenne contemplazione della natura e che si confronta con la stessa.

Il dipinto che meglio rappresenta quest’idea è Il viandante sul mare di nebbia (1818) - qui a fianco. Il personaggio, rappresentato di spalle, è assorto nella contemplazione di qualcosa che è al di sopra della comprensione umana. Separato dal tempo e nella più assoluta solitudine, l’uomo è colui che resta straniero a ogni cosa. Questo viandante è colui che ha raggiunto il limite dell’esperienza terrena e ora si confronta con l’indicibile esperienza estrema.

Padre, non sappiamo più ascoltare; Padre, nessuno più ascolta nessuno: nessuno sa fare più silenzio! Abbiamo perso il senso della contemplazione, perciò siamo così soli e vuoti, così rumorosi e insensati; e inevitabilmente idolatri! Anche quando l'angoscia ci assale donaci, o Padre, di non dubitare; o anche di dubitare, ma insieme di sempre più credere: di credere alla tua fedeltà, al tuo amore al di là di tutte le apparenze; e con il tuo Spirito sempre presente nella nostra storia.

David Maria Turoldo

L'intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione. Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell'otre o di qualsiasi altro contenitore adottato. Ampliandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo si comporta Dio.

Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l'animo e, dilatandolo, lo rende più capace. Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti.

Allora che cosa fai in questa vita, se non sei arrivato alla pienezza del desiderio? La nostra vita è una ginnastica del desiderio. […] Già abbiamo detto altre volte che per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. […] Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa e questa “cosa” si chiama Dio. Protendiamoci verso di lui perché ci riempia quando verrà. «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).

Sant’Agostino, Trattato sulla prima lettera di Giovanni, 4,4

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IL FALENINO E LA STELLA

Una piccola falena d'animo delicato s'invaghì una volta di una stella.

Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d'invaghirsi invece di un

abat-jour. «Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro», gli spiegò.

«Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro».

«Almeno lì approdi a qualcosa», disse il padre. «Andando dietro alle

stelle non approdi a niente».

Ma il falenino non diede ascolto né all'uno né all'altra. Ogni sera, al

tramonto, quando la stella spuntava s'avviava in volo verso di essa e

ogni mattina, all'alba, se ne tornava a casa stremato dall'immane e

vana fatica.

Un giorno il padre lo chiamò e gli disse: «Non ti bruci un'ala da mesi,

ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli

si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di

strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle

lampade di casa. Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella

scottatura! Un falenotto forte e robusto come te senza neppure un

segno addosso!».

Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai

lampioni di strada ne intorno alle lampade di casa: continuò

ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana

migliaia di anni luce. Lui credeva invece che fosse impigliata tra i

rami più alti di un olmo.

Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un

certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. I genitori, i fratelli

e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi.

(Bruno Ferrero, 40 storie nel deserto)

2. I miei desideri…

… chi li può realizzare? [parole chiave: chi - realizzazione]

Tu mi dirai: aspetta un attimo, andiamo per ordine, non stiamo andando troppo in fretta, non è un salto troppo grosso? Per me tutto sommato va bene così… che cosa dovrei fare poi? Sento un po’ di disagio… Mi parli di un “chi” e addirittura di “realizzarli”? Sì! E ancora una volta “che bello!”. Ma partiamo sempre dalle domande che come i cingoli di una macchina spaziale, lentamente e pienamente affondano nel “terreno” di questo cielo, che come vedi è molto più concreto di quello che potevamo pensare!

Perché tanti desideri se poi non li posso realizzare?

Metti ordine, perché la posta in gioco è grande, metti ordine nei tuoi desideri, ormai gli occhi li hai alzati dentro di te, hai messo a fuoco che davvero c’è qualcosa dentro di te che ti chiede di guardare in alto, di non accontentarti del “solito”, dello “scontato”, del “già conosciuto”, del banale… Metti ordine, distingui e unisci, da’ nomi ed importanza a ciascuno di essi… Guarda bene, in questo fascio di desideri trovi anche un po’ di sporcizia, non ti spaventare, da’ un nome… Cosa vedi?

Come sono fatti i tuoi desideri? I desideri sono miei, sono desideri personali, cioè fatti a forma di persona. Ma allora forse mi sembrano irrealizzabili perché cerco “qualcosa” che li realizzi? Hai capito il filo sottile? Qualcosa può realizzare qualcuno?

Dove cerchi la realizzazione dei tuoi desideri? Può andare bene la prima “cosa” che ti viene in mente, la prima “cosa” che mette una “toppa”, che spegne l’intensità di quello che provi ma che si ripresenta poi ancora più forte di prima? Ma come cerchi la realizzazione dei tuoi desideri? Se anche non la cercassi non senti dentro di te che ora che ne stiamo parlando emerge di nuovo, proprio come quando eri piccolo, il desiderio di realizzarli? Non spegnerlo… cammina.

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Può un libro, una teoria, una droga, uno sballo, una cosa, un oggetto, un idolo, realizzare qualcuno come me? Non hai forse bisogno di “qualcuno” che ti realizzi, in modo da parlare la stessa lingua, risuonando sulla stessa armonia?

Allora cercando ti accorgi che solo un Grande Desiderio Personale, fatto come i tuoi, può realizzare i tuoi desideri personali: è Gesù, il Signore! Andiamo alla ricerca di chi ha aperto per te il cielo dentro di te e intorno a te!

DAL LIBRO DELLA GENESI (12,1-4)

1Il Signore disse ad Abram:

"Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. 2Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra".

4Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran.

La chiamata di Dio ti mette a disagio? Rompe i miei progetti… Mi impedisce di controllare/gestire la mia vita… Mi costringe a ripartire, riformularmi… Mi strappa da alcune abitudini...

La chiamata di Dio ti affascina? Mi offre una possibilità nuova… Mi apre un orizzonte imprevisto Mi dà valore come soggetto… Mi dà dignità e prospettive….

DAL VANGELO DI GIOVANNI (4,5-42)

5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: "Dammi da bere". 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva". 11Gli dice la donna: "Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?". 13Gesù le risponde: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna". 15"Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua". 16Le dice: "Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui". 17Gli risponde la donna: "Io non ho marito". Le dice Gesù: "Hai detto bene: "Io non ho marito". 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". 19Gli replica la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". 21Gesù le dice: "Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene

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l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità". 25Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa".26Le dice Gesù: "Sono io, che parlo con te".

27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: "Che cosa cerchi?", o: "Di che cosa parli con lei?".28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29"Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?". 30Uscirono dalla città e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". 32Ma egli rispose loro: "Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". 33E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?". 34Gesù disse loro: "Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura"? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica". 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: "Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".

Ascolta la tua sete L’immagine è zero, la sete è tutto. Ascolta la tua sete. Così recitava un’efficace slogan pubblicitario di una nota bevanda gassata, qualche anno fa. Copiando il vangelo, ovvio. E senza diritti d’autore. La sete è tutto.

Perché parlare di acqua? Perché parlare di sete? Perché parlare di qualcuno che può offrire un’acqua capace di dissetare per sempre? La donna samaritana è una donna felice? Perché andare a prendere l’acqua al pozzo nell’ora più calda della giornata? Sembra che la sua speranza sia quella di non essere vista da nessuno, di non voler incontrare nessuno… perché prova vergogna? Prova soltanto vergogna?

Qual è il nome del desiderio che questa donna non riesce a capire come soddisfare? Cosa provoca in lei questa frustrazione? È esagerata la sua vergogna e la sua frustrazione? Perché? Siamo fatti di desideri grandi che ci portano a “vivere alla grande”: se non sappiamo di quali desideri si tratta chi ci rimette? Se non sappiamo come soddisfarli chi ci perde? Se non viviamo dei nostri desideri come viviamo? Perché ci sono stati messi dentro questi desideri? Non è come sentire il profumo di qualcosa di buonissimo e accontentarsi solo dell’odore? Perché accontentarsi? E se non sapessi verso dove cercare, cosa cercare? E se nessuno mi aiutasse? È solo colpa mia?

Tutti vogliono vivere felici, ma hanno l’occhio confuso quando devono

discernere ciò che rende felice la vita. Giungere a una vita felice è

un’impresa difficile a tal punto che ciascuno, se appena esce di strada se ne

allontana tanto più, quanto più in fretta cammina.

(Seneca, La vita felice, 1,1)

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“PERCHÉ, DOV'È IL TUO TESORO, LÀ SARÀ ANCHE IL TUO CUORE” (Vangelo di Matteo 6, 21)

Per chiederti: verso dove va la tua vita? Dove si trova il tuo tesoro? Dove riposa il tuo inquieto cuore? Per cosa o per CHI realmente vivi? Cosa veramente t’interessa più di tutto?

“Perché, dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”: la frase pronunciata da Gesù ti offre un grande punto interrogativo che invita a guardarti dentro per capire te stesso, dove stai andando, dove stai mettendo il tuo cuore. È un bene prezioso, infatti, il tuo cuore. I giovani lo sentono istintivamente, capiscono l’importanza di affidarlo a grandi progetti, a grandi relazioni, a grandi sogni. Poi, spesso, si scontrano con il limite del quotidiano che li mette tutti in difficoltà: l’accontentarsi di piccoli compromessi, il restare abbagliati da scelte che in realtà li portano fuori strada, il riporre la propria fiducia in mani sbagliate… e il cuore si perde e essi, senza accorgersene, sbagliano direzione. Vale la pena allora di interrogarti su cosa è davvero importante per te: quali cose, quali persone, su quali sogni stai scommettendo, in questo momento della tua vita? In un mondo che continuamente ti propone modelli, stili di vita, persone alle quali “somigliare”, vorresti provare a chiederti su cosa “stai puntando”, su cosa costruisci le tue giornate, dirigi le tue scelte, impegni il tuo tempo. Occorre chiederti se sia davvero qualcosa per cui “valga la pena” spendersi. Perché altrimenti, come accade ad uno dei personaggi del libro e film Il Signore degli Anelli, Gollum, quello finisce per essere il tuo idolo, un “tesoro” che assorbe tutti i tuoi pensieri e le tue attenzioni e consuma il tuo cuore nell’ansia di possederlo, di goderne nascondendolo ad altri occhi che potrebbero portartelo via. Diventi così chiuso in te stesso, geloso di quello che hai, timoroso di perderlo e ciò accade per i beni materiali, ma anche per gli affetti. Proprio perché i “tesori” catalizzano il cuore dell’uomo, Gesù ti invita a fare bene attenzione al posto in cui stai costruendo il tuo tesoro: si tratta di una scelta importante, fondamentale, perché «là dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

IL DESIDERIO DI UNA FELICITÀ SENZA LIMITI

Il vivente si ama senza limite nessuno e non cessa mai di amarsi e quindi desidera per sé un bene senza limiti. Qualunque piacere, per quanto grande possa essere, ha per forza dei limiti. Il vivente, come tale, si ama illimitatamente, i piaceri invece sono limitati e quindi non potranno mai soddisfarlo. Il piacere sarà perciò sempre minore del desiderio che un uomo prova: l’umanità intera non potrà mai essere pienamente soddisfatta, non potrà mai provare un vero piacere. Immaginiamo che l’uomo sia definitivamente soddisfatto: questo vorrebbe dire che egli non ha più bisogno di felicità, né tanto meno di piacere e non avviene mai. Inoltre il desiderio che l’uomo prova è un desiderio assoluto di felicità e non di una certa felicità, una qualsiasi, ma bensì di una felicità senza limiti: non esistendo una tale forma di piacere, l’uomo non sarà mai soddisfatto.

(Leopardi, Zibaldone, 646 ss.)

«Sì, ma verso dove?», era lo slogan preferito da padre Pino Puglisi: verso dove vogliamo che vada la nostra vita? «Ognuno di noi sente dentro di sé una inclinazione, un carisma. Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile. Questa chiamata, questa vocazione è il segno dello Spirito Santo in noi. Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita». «Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d’amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito e poter dire: sì, ho fatto del mio meglio. Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione?».

DON PINO PUGLISI

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Un sinonimo di cuore è volontà. Un attento osservatore della natura dell’uomo, nonché un grande filosofo profondamente cristiano del secolo scorso, Maurice Blondel, ha notato che la nostra volontà ha un volto doppio. […] Ogni giorno e in ogni esperienza noi vogliamo delle cose concrete e ben precise. […] Ora, se guardiamo bene le cose che vogliamo, ci rendiamo conto che nel momento in cui otteniamo ciò che vogliamo non esauriamo il nostro volere. La prova di ciò è che continuiamo a volere, vogliamo ancora e soprattutto vogliamo oltre […]. In ogni nostra volontà, oltre alla cosa determinata che vogliamo, noi vogliamo qualcos’altro… in fin dei conti noi vogliamo l’infinito.

Egli usa un’immagine espressiva che rende l’idea: il nostro volere è come una pietra lanciata nell’acqua che crea delle ondulazioni in cerchi concentrici che vanno allargandosi sempre di più. Com’è naturale per ogni onda propagarsi in un’onda successiva, così è naturale per ogni nostro volere aprirsi a un volere maggiore.

Se rifiutiamo di seguire quest’espansione del nostro volere, Blondel ci avverte che in pratica stiamo effettuando un aborto, un aborto di noi stessi, della grandezza che c’è nel nostro cuore, della bellezza e della grandezza che siamo noi.

La fedeltà a se stessi e l’ascolto dei propri aneliti ci portano a riconoscere che in ciò che vogliamo e in ciò che non vogliamo c’è qualcosa/qualcuno che vogliamo più di ogni cosa. Scopro che tra me e me, tra ciò che sono e ciò che voglio essere, c’è un abisso infinito che niente di finito può colmare.

Dio si mostra e si affaccia al nostro orizzonte non come esperienza estranea che si aggiunge alla nostra lista della spesa e delle cose da fare, come l’esigenza, la possibilità e la risposta più intima e più necessaria che la vita, la nostra stessa vita, invoca.

(R. Cheaib, Un Dio umano) SANT’AGOSTINO «Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te!». (Confessioni, 1)

IL TUO DESIDERIO È LA TUA PREGHIERA

Mi faceva urlare il gemito del mio cuore (cfr. Sal 37,9). C'è un gemito segreto del cuore che non è avvertito da alcuno. Ma se il tormento di un desiderio afferra il cuore in modo che la sofferenza intima venga espressa e udita, allora ci si domanda quale ne sia la causa. Chi ascolta dice fra sé: Forse geme per questo, forse gli è accaduto quest'altro. Ma chi lo può capire se non colui ai cui occhi, alle cui orecchie si leva il gemito? I gemiti che gli uomini odono se qualcuno geme, sono per lo più i gemiti del corpo, ma non è percepito il gemito del cuore. Chi dunque capiva perché urlava? Aggiunge: Ogni mio desiderio sta davanti a te (cfr. Salmo 37,10). Non davanti agli uomini che non possono percepire il cuore, ma davanti a te sta ogni mio desiderio. Se il tuo desiderio è davanti a lui, il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà.

Il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo è il tuo desiderio, continua è pure la tua preghiera. L'Apostolo infatti non a caso afferma: «Pregate incessantemente» (1Ts 5,17). S'intende forse che dobbiamo stare continuamente in ginocchio o prostrati o con le mani levate per obbedire al comando di pregare incessantemente? Se intendiamo così il pregare, ritengo che non possiamo farlo senza interruzione. Ma v'è un'altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio. […] Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce. Tacerai, se smetterai di amare. Tacquero coloro dei quali fu detto: «Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà» (Mt 24,12). La freddezza dell'amore è il silenzio del cuore, l'ardore dell'amore è il grido del cuore. Se resta sempre vivo l'amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, desideri sempre; se desideri, hai il pensiero volto alla pace. «E davanti a te sta ogni mio desiderio» (Sal 37,10). Se sta davanti a Lui il desiderio, come può non essere davanti a Lui anche il gemito che è la voce del desiderio? […] Se c'è il desiderio, c'è pure il gemito: questo non sempre arriva alle orecchie degli uomini, ma non cessa di giungere alle orecchie di Dio.

Sant’Agostino, Commento al Salmo 37

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Mi hai fatto senza fine

questa è la tua volontà.

Questo fragile vaso

continuamente tu vuoti

continuamente lo riempi

di vita sempre nuova.

Questo piccolo flauto di canna

hai portato per valli e colline

attraverso esso hai soffiato

melodie eternamente nuove.

Quando mi sfiorano le tue mani immortali

questo piccolo cuore si perde

in una gioia senza confini

e canta melodie ineffabili.

Su queste piccole mani scendono i tuoi doni infiniti.

Passano le età, e tu continui a versare,

e ancora c'è spazio da riempire.

L’apertura a un orizzonte assoluto, a un Dio possibile, non

avviene per disperazione o grazie a una carenza, a un fallimento,

ma avviene soprattutto grazie all’ascolto attento delle

aspirazioni più profonde del cuore, nell’apertura dell’uomo alla

sua grandezza profonda che supera la sua limitatezza immediata.

«L’uomo sorpassa infinitamente l’uomo»: così Blaise Pascal

definiva il destino universale dell’uomo. Sarai quello che sei se ti

apri a quello che sarai. Sarai felice ora se capisci che il tuo cuore

è proteso a una grandezza infinita.

Dio non si presenta quindi come un tappabuchi delle miserie

della vita, ma come la pienezza, come il colmo di un desiderio

che non si sazia con niente di finito.

Tutto sta nella riscoperta del vero Desiderio, spesso offuscato dai

nostri desideri effimeri. Tutta sta nell’imparare a decifrare il

linguaggio del nostro cuore. Così ci esorta il Siracide: «Segui

anche il consiglio del tuo cuore, perché nessun altro ti può essere

più fedele» (37,13).

(R. Cheaib, Un Dio umano)

PAPA FRANCESCO - Mercoledì 28 agosto 2013

«Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali, giovani!

Ma quando un giovane mi dice: “Che brutti tempi, questi, Padre, non si può fare niente!” Mah! Lo mando dallo psichiatra! Perché, è vero, non si capisce! Non si capisce un giovane, un ragazzo, una ragazza, che non vogliano fare una cosa grande, scommettere su ideali grandi, grandi per il futuro. Poi faranno quello che possono, ma, la scommessa è per cose grandi e belle. E voi siete artigiani del futuro. Perché? Perché dentro di voi avete tre voglie: la voglia della bellezza. A voi piace la bellezza, e quando voi fate musica, fate teatro, fate pittura - cose di bellezza - voi state cercando quella bellezza, voi siete ricercatori di bellezza. Primo. Secondo: voi siete profeti di bontà. A voi piace la bontà, essere buoni. E questa bontà è contagiosa, aiuta tutti gli altri. E anche - terzo -, voi avete sete di verità: cercare la verità. “Ma, Padre, io ho la verità!”. Ma sbagli, perché la verità non si ha, non la portiamo, si incontra. E’ un incontro con la verità, che è Dio, ma bisogna cercarla. E queste tre voglie che voi avete nel cuore, dovete portarle avanti, al futuro, e fare il futuro con la bellezza, con la bontà e con la verità. Avete capito? Questa è la sfida: la vostra sfida. Ma se voi siete pigri, se voi siete tristi – è una cosa brutta, un giovane triste – se voi siete tristi… mah, quella bellezza non sarà bellezza, quella bontà non sarà bontà e quella verità sarà qualcosa… Pensate bene a questo: scommettere su un grande ideale, l’ideale di fare un mondo di bontà, bellezza e verità. Questo, voi potete farlo, voi avete il potere di farlo. Se voi non lo fate, è per pigrizia. Questo volevo dirvi, questo volevo dirvi».

(Saluto al pellegrinaggio dei giovani della Diocesi di Piacenza-Bobbio)

M. BUBER – Il cammino dell’uomo

«C’è una cosa che si può trovare in un unico luogo al mondo: è un grande tesoro, lo si può chiamare il compimento dell’esistenza. Il luogo in cui si trova questo tesoro è il luogo in cui ci si trova… …Dio abita dove lo si lascia entrare». 25 26

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HO IMPARATO A SOGNARE (Negrita)

Ho imparato a sognare,

che non ero bambino

che non ero neanche un' età

Quando un giorno di scuola

mi durava una vita

e il mio mondo finiva un po’ là

Tra quel prete palloso

che ci dava da fare

e il pallone che andava

come fosse a motore

C'era chi era incapace a sognare

e chi sognava già

Ho imparato a sognare

e ho iniziato a sperare

che chi c'ha d’avere avrà

ho imparato a sognare

quando un sogno è un cannone,

che se sogni ne ammazzi metà.

Quando inizi a capire

che sei solo e in mutande

quando inizi a capire

che tutto è più grande

C'era chi era incapace a sognare

e chi sognava già

Tra una botta che prendo

e una botta che dò

tra un amico che perdo

e un amico che avrò

che se cado una volta

una volta cadrò e da terra, da lì m'alzerò

C'è che ormai

che ho imparato a sognare

non smetterò

3. La gioia di partire

[parole chiave: cammino – itinerario - fiducia] Ormai hai imparato che puoi non avere paura e andare avanti: guarda bene e riconosci che quello che si è riacceso in te è una luce di gioia che indica una nuova strada. Hai voglia di camminare vero? Guarda che puoi camminare anche se non ne hai voglia…

Meno male che si tratta di una strada, se fosse un deserto che disorienta capirei la tua paura! No, è una strada che se guardi bene (ancora una volta!) è già stata percorsa da altri, prima e intorno a te: vogliamo dire che non è del tutto inesplorata! E’ inesplorata solo per quanto attiene alla tua originale camminata e alla tua originale novità, ma la strada è sicura!

Ci sono personaggi che ti hanno colpito per le cose grandi che hanno fatto? Ci sono persone che ti rimangono impresse per la capacità di “vivere alla grande” ogni cosa, anche le cose più banali? Ti è mai passato per la mente il desiderio di farlo anche tu? Pensi di non esserne capace? Pensi ti manchi qualcosa? Pensi riguardi solo gli altri il “vivere alla grande”? Pensi di non meritartelo? Pensi che non valga la pena? Pensi sia troppo? Credi sia più comodo accontentarsi? E di che cosa? Se non punti alle stelle, se non guardi verso il cielo… quale è la tua mèta? Pensi si possa vivere senza una mèta, senza volgere il proprio sguardi verso qualcuno? E se la mèta te la attaccassero addosso gli altri, come una cosa “appiccicaticcia” che non ti appartiene? La mèta indica una direzione, un orientamento, un senso che vuoi e puoi dare alla vita, alla tua vita… puoi semplicemente rimandare? Per quanto tempo ancora? Quando sarà il momento giusto? Non potrebbe essere, prima o poi, troppo tardi per fare aggiustamenti? E se i tuoi desideri indicassero anche questo?

Individua se vuoi, già ora, alcuni “pit stop” che ti sono necessari, cercando di vedere quali domande premono mentre ti affacci su questo itinerario che, mettendo ordine, punta ad un incontro che realizzi il tuo cielo! Come a dire: mettiamo le carte in chiaro!! No, non mi voglio compromettere troppo… finché dobbiamo guardare e pensare, va bene, ma ora anche camminare? E se non mi piace?

Ho imparato a sognare,

quando inizi a scoprire

che ogni sogno ti porta più in là

cavalcando aquiloni,

oltre muri e confini

ho imparato a sognare da là

Quando tutte le scuse,

per giocare son buone

quando tutta la vita

è una bella canzone

C'era chi era incapace a sognare

e chi sognava già

Tra una botta che prendo

e una botta che dò

tra un amico che perdo

e un amico che avrò

che se cado una volta

una volta cadrò

e da terra, da lì m'alzerò

C'è che ormai

che ho imparato a sognare

non smetterò

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Forse hai anche un’altra domandina segreta che ronza nel tuo cielo…. forse somiglia a questa: “Devo proprio cambiare le mie abitudini?” oppure: “Ma Gesù è esigente!”. Allora se questa domandina “ombreggia” sugli “irti colli” ti domando: “La gioia è esigente o hai l’esigenza della gioia?”. Partiamo insieme, lasciando scoperchiare il tuo cielo all’Autore del Cielo… perché scoperchiare il cielo vuol dire tuffarsi nella più bella avventura della vita: la Fede!

LIBRO DI GIONA

CAPITOLO 1

1Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: 2"Àlzati, va' a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me". 3Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore. 4Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. 5I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. 6Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che cosa fai così addormentato? Àlzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo". 7Quindi dissero fra di loro: "Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura". Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. 8Gli domandarono: "Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?". 9Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare

e la terra". 10Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: "Che cosa hai fatto?". Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato. 11Essi gli dissero: "Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?". Infatti il mare infuriava sempre più. 12Egli disse loro: "Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia". 13Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. 14Allora implorarono il Signore e dissero: "Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di quest'uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere". 15Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. 16Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.

CAPITOLO 2

1Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. 2Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, 3e disse:

"Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha risposto; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. 4Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare, e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. 5Io dicevo: "Sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio".

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6Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l'abisso mi ha avvolto, l'alga si è avvinta al mio capo. 7Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore, mio Dio. 8Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino al tuo santo tempio. 9Quelli che servono idoli falsi abbandonano il loro amore. 10Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore".

11E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia.

CAPITOLO 3 1Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: 2"Àlzati, va' a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico". 3Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.

Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. 4Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta". 5I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. 6Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. 7Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: "Uomini e animali,

armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. 8Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. 9Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!". 10Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

CAPITOLO 4 1Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato. 2Pregò il Signore: "Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. 3Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!". 4Ma il Signore gli rispose: "Ti sembra giusto essere sdegnato così?". 5Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all'ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. 6Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino. 7Ma il giorno dopo, allo spuntare dell'alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. 8Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: "Meglio per me morire che vivere". 9Dio disse a Giona: "Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?". Egli rispose: "Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!". 10Ma il Signore gli rispose: "Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte

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è perita! 11E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?".

Giona è un profeta suo malgrado, un profeta che è tale ma non vuole esserlo, non gli va, non se la sente di vivere quello che il Signore gli chiede… perché costa, costa fatica e sacrificio perché Dio ti chiede di metterti in discussione, di mettere in discussione le tue opinioni. Eppure è un profeta: è una persona chiamata non a “fare qualcosa” ma a “essere qualcuno”. Se non trovi, se non assecondi, se non esprimi e realizzi il dono che Dio ti ha fatto e che ti realizza al massimo, se non rendi ragione alle aspirazioni più profonde che hai dentro… chi vuoi diventare? Non rischi di diventare una “caricatura” di ciò che non sei?

Scappare dalle mie aspirazioni più profonde… per avere che cosa? Per andare dove?

Come torno sui miei passi, appena ci provo, accade l’insperato: sembra che a Giona basti sfiorare il dono che Dio gli ha fatto per ottenere molto di più di quello che ci si potrebbe aspettare. Giona sente per due volte una stessa richiesta: la prima volta fugge, la seconda volta la asseconda a malincuore.

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Noi siamo abitati da due desideri in conflitto: il desiderio di essere sorpresi dalla vita e il desiderio di avere tutto sotto controllo

------------------------- “La vita è davvero un mistero profondo, perché è abitato da due desideri contrastanti, radicali e che non possono essere tutti e due esauditi. Da una parte il desiderio di sapere quali sono le difficoltà che avrò davanti per potermi attrezzare; e dall’altra il desiderio che

la vita mi sorprenda, che mi regali qualcosa che non mi sono dovuto meritare, che qualcosa di nuovo mi raggiunga e sia un dono bello, un’occasione festiva. Perché se dovessimo immaginare che la nostra vita sarà tutta uguale a quella che oggi ci siamo data e a ciò che abbiamo saputo conquistarci, ci verrebbe una tristezza assolutamente incredibile. E tutti speriamo che la nostra vita vada bene, che ci siano le cose buone che ci siamo preoccupati di costruire, ma anche che a un certo punto ci sia una botta di vita, un amore, una festa, una vincita, un lavoro nuovo, una vacanza… Poi, progressivamente, andando avanti, abbassiamo le nostre aspettative, ci accontentiamo e alla fine, al massimo, speriamo in una vacanza ben riuscita, che è il massimo dell’aspettativa in tutto il ciclo dell’anno. Questi due desideri: che tutto sia prevedibile e che possiamo anche vantarci un po’ delle fatiche che affrontiamo, e che la vita ci sorprenda, sono normalmente, per gli esseri umani, due desideri assolutamente coestensivi e sopportabili ed è per questo che abbiamo paura della nostra vita, perché abbiamo nello stesso tempo paura che ci sorprenda e che non ci sorprenda. Credo che sia un’esperienza abbastanza diffusa; a diciotto anni abbiamo una gran voglia di diventare grandi, di decidere, di essere autonomi, autosufficienti, e appena abbiamo smesso di desiderare di diventare adulti, cominciamo a temere di invecchiare”

(Stella Morra)

SIA LODE AL DUBBIO

Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai.

Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio.

Non credono ai fatti, credono solo a se stessi.

Con coloro che non riflettono e mai dubitano si incontrano

coloro che riflettono e mai agiscono. Non dubitano per

giungere alla decisione bensì per schivare la decisione.

Brecht

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HO PRESO LA PAROLA, SIGNORE

Ho preso la parola, Signore, e sono stizzito, Sono stizzito perché mi sono agitato, speso, con il gesto e con la voce.

Ce l'ho messa tutta nelle mie frasi, nelle mie parole, e temo di non aver dato l'essenziale.

Perché l'essenziale non è in mio potere, Signore, e le parole sono troppo strette per contenerlo.

Ho preso la parola, Signore, e son inquieto, Ho paura di parlare, perché è grave; Ho paura di parlare perché è grave;

E' grave disturbare gli altri, farli uscire da loro, immobilizzarli sulla soglia di casa loro;

E' grave trattenerli lunghi minuti, a mani tese, cuore teso, alla ricerca di un lume o di un po' di coraggio per vivere e per agire.

Se io li rimandassi a mani vuote, Signore! Eppure debbo parlare.

Mi hai donato la parola per alcuni anni, e debbo servirmene. Son debitore della mia anima agli altri, e sulle mie labbra le parole

attendono per trasportarla presso gli altri in lunghi convogli serrati. Perché l'anima non saprebbe esprimersi se le fosse tolta la parola.

Non si sa nulla del bimbo racchiuso nella sua carne E la famiglia tutta esulta quando, a sillabe, a parole, a frasi,

la sua anima appare davanti alla nostra anima. Ma la famiglia si raccoglie disperata al capezzale del morente,

ascoltando religiosamente le ultime parole, che egli pronuncia. Egli se ne va, chiudendosi nel silenzio,

ed i parenti non conosceranno più la sua anima quando pietosamente ne avranno chiuso gli occhi e serrato le labbra.

La parola è una grazia, Signore, e non ho il diritto di tacere per orgoglio, viltà, negligenza o paura dello sforzo.

Gli altri hanno diritto alla mia parola, alla mia anima, perché ho un messaggio da trasmettere da parte Tua. E nessun altro che me, Signore,

sarebbe in grado di dirlo loro. Ho una frase da pronunciare, breve, forse, ma ripiena della mia vita.

Non mi posso sottrarre. Ma le parole che lancio debbono essere parole vere.

Sarebbe abuso di fiducia captare l'attenzione altrui se sotto la scorza delle parole non dessi la verità dell'anima.

Le parole che spando debbono essere parole vive, ricche di quanto la mia anima unica ha colto

del mistero del mondo e del mistero dell'uomo. Le parole che dono debbono essere portatrici di Dio,

perché le labbra, che mi hai donato, Signore, sono fatte per dire la mia anima,

e la mia anima Ti conosce e ti tiene avvinto. Perdonami, Signore, per aver parlato tanto male;

Perdonami per aver spesso parlato per non dir nulla; Perdonami i giorni in cui ho prostituito le mie labbra pronunciando parole vuote, parole false, parole vili,

parole in cui Tu non hai potuto infiltrarti. Sorreggimi quando debbo prendere la parola in un'assemblea, intervenire

in una discussione, conversare con un fratello. Fa soprattutto, o Signore, che la mia parola sia un seme

E che quanti ricevono le mie parole possano sperare una bella messe.

Michel Quoist

COSE CHE DIMENTICO – Cristiano de Andrè

C'è un amore nella sabbia un amore che vorrei

un amore che non cerco perché poi lo perderei

C'è un amore alla finestra tra le stelle e il marciapiede

non è in cerca di promesse e ti da quello che chiede

Cose che dimentico, cose che dimentico

sono cose che dimentico

C'è un amore che si incendia quando appena lo conosci

un' identica fortuna da gridare a due voci

C'è un termometro dei cuore che non rispettiamo mai

un avviso di dolore un sentiero in mezzo ai guai

Cose che dimentico, sono cose che dimentico

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Qui nel reparto intoccabili dove la vita ci sembra enorme

perché non cerca più e non chiede

perché non crede più e non dorme

Qui nel girone invisibili per un capriccio del cielo

viviamo come destini

e tutti ne sentiamo il gelo, il gelo

e tutti ne sentiamo il gelo

C'è un amore che ci stringe e quando stringe ci fa male

un amore avanti e indietro da una bolgia di ospedale

Un amore che mi ha chiesto un dolore uguale al mio

a un amore così intero non vorrei mai dire addio

Cose che dimentico, sono cose che dimentico

Qui nel reparto intoccabili dove la vita ci sembra enorme

perché non cerca più e non chiede

perché non crede più e non dorme, non dorme

Qui nel girone invisibili per un capriccio dei cielo

viviamo come destini e tutti ne sentiamo il gelo, il gelo

Viviamo come destini e tutti ne sentiamo il gelo, il gelo

Sono cose che dimentico, sono cose che dimentico

cose che dimentico, sono cose che dimentico.

DON TONINO BELLO

Maria, donna in cammino Se i personaggi del Vangelo avessero avuto una specie di contachilometri

incorporato, penso che la classifica dei più infaticabili camminatori

l'avrebbe vinta Maria.

Gesù a parte, naturalmente. Ma si sa, egli si era identificato a tal punto con

la strada, che un giorno ai discepoli da lui invitati a mettersi alla sua

sequela confidò addirittura: «Io sono la via».

La via. Non un viandante!

Siccome allora Gesù è fuori concorso, a capeggiare la graduatoria delle

peregrinazioni evangeliche è indiscutibilmente lei: Maria!

La troviamo sempre in cammino, da un punto all' altro della Palestina, con

uno sconfinamento financo all'estero.

Viaggio di andata e ritorno da Nazaret verso i monti di Giuda, per trovare la

cugina, con quella specie di supplemento rapido menzionato da Luca il

quale ci assicura che «raggiunse in fretta la città». Viaggio fino a Betlem.

Di qui, a Gerusalemme per la presentazione al tempio. Espatrio clandestino

in Egitto. Ritorno guardingo in Giudea col foglio di via rilasciato dall'

Angelo del Signore, e poi di nuovo a Nazaret. Pellegrinaggio verso

Gerusalemme con lo sconto comitiva e raddoppio del percorso con

escursione per la città alla ricerca di Gesù. Tra la folla, ad incontrare lui

errante per i villaggi di Galilea, forse con la mezza idea di farlo ritirare a

casa. Finalmente, sui sentieri del Calvario, ai piedi della croce, dove la

meraviglia espressa da Giovanni con la parola stabat, più che la

pietrificazione del dolore per una corsa fallita, esprime l'immobilità

statuaria di chi attende sul podio il premio della vittoria.

Icona del «cammina cammina», la troviamo seduta solo al banchetto del

primo miracolo. Seduta, ma non ferma. Non sa rimanersene quieta. Non

corre col corpo, ma precorre con l'anima. E se non va lei verso l'ora di

Gesù, fa venire quell'ora verso di lei, spostandone indietro le lancette,

finché la gioia pasquale non irrompe sulla mensa degli uomini.

Sempre in cammino. E per giunta, in salita.

Da quando si mise in viaggio «verso la montagna», fino al giorno del

Golgota, anzi fino al crepuscolo dell' Ascensione quando salì anche lei con

gli apostoli «al piano superiore» in attesa dello Spirito, i suoi passi sono

sempre scanditi dall'affanno delle alture.

Avrà fatto anche le discese, e Giovanni ne ricorda una quando dice che

Gesù, dopo le nozze di Cana, «discese a Cafarnao insieme con sua madre».

Ma l'insistenza con cui il Vangelo accompagna con il verbo "salire" i suoi

viaggi a Gerusalemme, più che alludere all' ansimare del petto o al gonfiore

dei piedi, sta a dire che la peregrinazione terrena di Maria simbolizza tutta

la fatica di un esigente itinerario spirituale.

Santa Maria, donna della strada, come vorremmo somigliarti nelle nostre

corse trafelate, ma non abbiamo traguardi. Siamo pellegrini come te, ma

senza santuari verso cui andare. Siamo più veloci di te, ma il deserto ingoia

i nostri passi. Camminiamo sull' asfalto, ma il bitume cancella le nostre

orme.

Forzàti del "cammina cammina", ci manca nella bisaccia di viandanti la

cartina stradale che dia senso alle nostre itineranze. E con tutti i raccordi

anulari che abbiamo a disposizione, la nostra vita non si raccorda con

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nessuno svincolo costruttivo, le ruote girano a vuoto sugli anelli dell'

assurdo, e ci ritroviamo inesorabilmente a contemplare gli stessi panorami.

Donaci, ti preghiamo, il gusto della vita. Facci assaporare l'ebbrezza delle

cose. Offri risposte materne alle domande di significato circa il nostro

interminabile andare. E se sotto i nostri pneumatici violenti, come un tempo

sotto i tuoi piedi nudi, non spuntano più i fiori, fa' che rallentiamo almeno

le nostre frenetiche corse per goderne il profumo e ammirarne la bellezza.

Santa Maria, donna della strada, fa' che i nostri sentieri siano, come lo

furono i tuoi, strumento di comunicazione con la gente, e non nastri isolanti

entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine.

Liberaci dall'ansia della metropoli e donaci l'impazienza di Dio.

L'impazienza di Dio ci fa allungare il passo per raggiungere i compagni di

strada. L'ansia della metropoli, invece, ci rende specialisti del sorpasso. Ci

fa guadagnare tempo, ma ci fa perdere il fratello che cammina accanto a

noi. Ci mette nelle vene la frenesia della velocità, ma svuota di tenerezza i

nostri giorni. Ci fa premere sull' acceleratore, ma non dona alla nostra

fretta, come alla tua, sapori di carità. Comprime nelle sigle perfino i

sentimenti, ma ci priva della gioia di quelle relazioni corte che, per essere

veramente umane, hanno bisogno del gaudio di cento parole.

Santa Maria, donna della strada, «segno di sicura speranza e di

consolazione per il peregrinante popolo di Dio», facci capire come, più che

sulle mappe della geografia, dobbiamo cercare sulle tavole della storia le

carovaniere dei nostri pellegrinaggi. È su questi itinerari che crescerà la

nostra fede.

Prendici per mano e facci scorgere la presenza sacramentale di Dio sotto il

filo dei giorni, negli accadimenti del tempo, nel volgere delle stagioni

umane, nei tramonti delle onnipotenze terrene, nei crepuscoli mattinali di

popoli nuovi, nelle attese di solidarietà che si colgono nell' aria.

Verso questi santuari dirigi i nostri passi. Per scorgere sulle sabbie dell'

effimero le orme dell'eterno. Restituisci sapori di ricerca interiore alla

nostra inquietudine di turisti senza meta.

Se ci vedi allo sbando, sul ciglio della strada, fermati, Samaritana

dolcissima, per versare sulle nostre ferite l'olio della consolazione e il vino

della speranza. E poi rimettici in carreggiata. Dalle nebbie di questa "valle

di lacrime", in cui si consumano le nostre afflizioni, facci volgere gli occhi

verso i monti da dove verrà l'aiuto. E allora sulle nostre strade fiorirà

l'esultanza del Magnificat.

Come avvenne in quella lontana primavera, sulle alture della Giudea,

quando ci salisti tu.