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XXIII Iannis Xenakis Architettura sinfonica

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XXIII

Iannis Xenakis

Architettura sinfonica

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Sospetti sollevati dalla teoria

Iannis Xenakis appartiene alla stirpe sinfonica, quella delle grandi orchestre,come Hector Berlioz o Ludwig van Beethoven. Se non si tiene conto di que-sta caratteristica della sua vocazione diventa impossibile capire tanto la suamusica quanto la teoria musicale su cui si fonda. Nel Ventesimo secolo, le duecose vanno sempre di pari passo, come abbiamo avuto modo di notare perArnold Schönberg, Pierre Boulez, John Cage, Karlheinz Stockhausen. La cri-si del linguaggio musicale rende ineludibile questa mediazione teorica, filoso-fica o scientifica, senza la quale la composizione diventa impossibile.

Se un brano musicale non può mai legittimarsi come «documento» cheesemplifica una teoria, pure, quest’ultima può e deve costituire il fondamen-to di una creazione musicale che, nella nostra epoca, richiede sempre, per as-sumere lo statuto di arte, una riflessione teorica e filosofica.

Questo fatto, che ebbe forse il suo akmḗ nei primi decenni del secondodopoguerra, e che le tendenze postmoderne degli anni Ottanta e Novantahanno in parte sfumato e attenuato, genera molti fraintendimenti. La co-scienza romantica mascherata di postmodernismo, nostalgica dell’artigianato,delle arts and crafts, non può in alcun modo tollerare questa insidiosa e co-stante intromissione della teoria, della riflessione filosofica e della conoscen-za scientifica nelle arti; e meno che mai nella musica (nonostante i prestigiosiprecedenti di Philippe Rameau e di Johann Sebastian Bach).

L’antintellettualismo intransigente è responsabile del significativo ritardocon cui la musica recepisce i grandi compositori del nostro secolo, in partico-lare della seconda metà. Come se pensare, riflettere e conoscere, o introdurre

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una relazione tra musica e riflessione fosse un delitto. Come se le vecchie tra-dizioni che apparentavano la musica al quadrivium – fisica, aritmetica, geo-metria – o al trivium – retorica, grammatica, dialettica – dovessero essere di-menticate o ricordate soltanto come una curiosità storica per appassionati del-la cultura da museo.

Un musicista con eccessive conoscenze, o che sembra voler rivitalizzare inpieno Ventesimo secolo un enciclopedismo integrale, in cui scienza e arte sicongiungono, dove il trivium convive con il quadrivium, e le lettere classichecon le scoperte scientifiche, deve essere guardato con sospetto.

Questa grande attitudine a unire scienza e tecnica alle lettere, a partire dalduplice progetto vocazionale dell’architettura e della musica, si materializza eincarna in maniera sorprendente in Iannis Xenakis: a un tempo ingegnere, ar-chitetto, musicista, studioso della matematica e delle scienze naturali. Non-ché buon conoscitore delle rovine che ancora rimanevano della musica grecaantica, e dei trattati di quell’epoca che ci sono pervenuti. D’altronde Xenakisera un grande appassionato della cultura greca, arcaica, micenea, omerica;della filosofia presocratica, specialmente pitagorica; del mondo tragico diSofocle, Eschilo ed Euripide; e della grande filosofia di Platone.

Tale straordinaria dýnamis di conoscenza e cultura è forse quanto si finiscesempre per rimproverare a questo grande musicista, a causa delle nostre me-schine modalità di ricezione. L’invidia non conosce confini: quando vengonomesse in evidenza le proprie lacune, si sviluppa sempre risentimento. La do-lorosa eperienza di perdersi nella selva dei formalismi logici e matematici de-gli scritti teorici di questo compositore, come Musique formelles, o Musiquearchitecture, suscita spesso obiezioni e sospetti.1 Come la sua iniziale propen-sione, in seguito attenuata, a dare eccessiva priorità al supporto formale sulquale costruisce le proprie opere, o il ricorso a titoli provocatori comeST/4, I-080262 (quartetto d’archi basato sul principio stocastico, prima ope-ra di questo genere, «calcolata» in data 8 febbraio 1962)2 o, ancora, Pitho-prakta (Azioni delle probabilità). Si deve anche ricordare, tra gli altri brani diquesto primo periodo creativo di Xenakis, la splendida opera per pianoforte,due trombe e tromboni dal titolo Eonta, in scrittura sillabica cipriota.3

La tesi della «morte dell’arte» ne richiede, anzi ne esige, l’immolazione sul-l’altare sacrificale del sapere, della scienza, della epistḗmē: in base a questa te-si di radice hegeliana, tanto diffusa e dibattuta negli ultimi decenni del Ven-tesimo secolo, l’arte sembra essere morta quando è diventata concettuale e fi-losofica. Si sostiene che sia morta per eccesso di riflessione, di teoria, o che si

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sia volatilizzata e idealizzata nelle gelide alture di un’intelligenza spettrale, per-dendo così il proprio appoggio sulla sensibilità, sulla aísthēsis.

Nel caso della musica il fenomeno potrebbe sembrare inevitabile. Si è sem-pre pensato che la musica fosse attratta, in maniera irresistibile, da quel cantodelle sirene che è la «musica delle sfere» che queste – le sirene – intonavano (co-me racconta Er nel X libro della Repubblica platonica) dall’alto di un podio col-locato sopra ciascuno dei circoli cristallini delle orbite planetarie e stellari.

I grandi musicisti della seconda metà del Ventesimo secolo mettono in evi-denza questa sintonia con i grandi progressi scientifici. Pierre Boulez giustifi-ca il carattere definitivamente incompiuto di molte sue composizioni facendoriferimento all’«universo in continua espansione» delle moderne teorie co-smologiche. Karlheinz Stockhausen parla della necessità di ricreare il quadri-vium medievale, e paragona alcuni suoi brani a una costellazione galattica inmoto spirale, oppure a orbite di soli e pianeti intorno all’asse centrale di unpiano, o, ancora, afferma che si siano generati dalla sintesi di una banda elet-tromagnetica e strumenti a percussione.

Edgar Varèse anticipò tutto questo quando qualificò come creazione di so-li e costellazioni la propria famosa opera Ionization, per orchestra di percus-sioni.4 E Iannis Xenakis paragona, nel suo brano elettromagnetico per spet-tacolo di suono e luce, il mito di Er, il magnifico racconto finale della Repub-blica platonica, alla descrizione dell’esplosione di una supernova registratadalla stampa quotidiana.

L’arte, nell’opinione di qualcuno, in queste incursioni teoriche perde labuona pratica artigianale, il carattere di poíēsis artistica senza ambizioni, gon-fiandosi di concetti, teorie, riflessioni scientifiche, filosofiche e persino teoso-fiche. E più di ogni altra arte, la musica.

L’unico supporto teorico di un’arte ormai condannata risulterebbe essere ilgesto diffidente e almeno in apparenza lucido dell’ironia neodadaista. È questala generale convinzione rispetto alla creazione artistica propria del nostro mon-do postestetico e poststorico. Ma un’arte musicale che pretenda di operare la sin-tesi tra scienza e creazione, tra l’operato artigianale e l’avanzata conoscenza scien-tifica, o che voglia riportare la musica in linea con i tempi, al livello della mate-matica e della fisica del Ventesimo secolo, come nel caso della musica di Xenakis,può sembrare inappropriata rispetto all’opinione convenzionale più diffusa.

Aleggia, comunque, in questa impresa, un germe fecondo di verità, di ne-cessario riferimento utopico e metastorico, da paesaggio futuro anelato, chenemmeno la più putrida coscienza del cinismo della nostra era di disincantopuò impedire, ostacolare o dimenticare.

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E la ragione di tutto questo è la più convincente ed eloquente: la musica diIannis Xenakis è, in maniera incondizionata e folgorante, al di là dei suoi sup-porti teorici e formali, musica vera. Prova ne è, come ha segnalato un critico,che esiste «un suono Xenakis». Ciò gli assicura e garantisce un posto nella sto-ria della composizione musicale. Non è solo «musica delle sfere». Né soltan-to «musica silenziosa». È soprattutto musica da ascoltare; musica per l’orec-chio. E che nell’ascolto costruisce il proprio tempio.*

La musica, l’architettura e la tradizione pitagorica

Nella celebre controversia tra Aristosseno da Taranto e i pitagorici, Iannis Xe-nakis si posiziona con il primo.** La musica non è, esclusivamente, una que-stione legata all’intelligenza. È anche sensibilità, aísthēsis. L’orecchio deve in-tervenire in maniera determinante. Solo così si giunge alla sua ragione, al suológos: nella musica deve realizzarsi il congiungimento di intelligenza e sensi-bilità, e tra il mondo sonoro e le ragioni che lo governano.

Xenakis afferma che fare musica significa «esprimere l’intelligenza conmezzi sonori». Sembra, allora, che un intellettualismo estremo lo collochi dal-la parte della tradizione pitagorica, per la quale nutre senz’altro ammirazione.Ma non è così. Crede, come Aristosseno da Taranto, che la musica deve veni-re compresa dall’orecchio, benché questo non implichi che non debba essereponderata dall’intelligenza, così che quest’ultima ne scopra la ragione, comepensavano i pitagorici.

Per la tradizione pitagorica la musica possedeva esistenza solo nel mundusintelligibilis, quello che Platone, influenzato dal pitagorismo, popolò di ideeassimilabili ai numeri (secondo l’idea aristotelica relativa alla dottrina «esote-rica» del maestro). Questi erano i principi di intellegibilità del cosmo, per ilpitagorismo: erano loro ad attribuire all’insieme degli esseri quel carattere no-bile e ordinato che la parola cosmo, inventata dai pitagorici, suggerisce.

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* «Il y a une raison pour laquelle Xenakis restera dans l’histoire de la musique, parmi d’autres,c’est qu’il y a un son Xenakis qu’est tellement marqué, qui est neuf et qui a été important dans lamusique contemporaine.» («C’è una ragione per cui Xenakis verrà ricordato nella storia dellamusica, ed è che esiste un suono Xenakis, che è estremamente caratteristico, nuovo e significa-tivo per la musica contemporanea.») Michel Chion, estratto dall’interessante intervista diFrançois Delalande, «Entretiens avec Xenakis», Paris, P.O. 1977.

** Aristosseno da Taranto pensava che la percezione (aísthēsis) e la sua realizzazione uditi-va (akoḗ, udito) occupassero una posizione di preminenza insieme alla ragione (lógos), al con-trario della tradizione pitagorica che identifica la ragione come unica facoltà che permette lacomprensione della musica.

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I numeri erano i principi generatori del mondo, e il motivo per cui il mondopoteva essere percepito dall’intelligenza, in modo tale da determinarne la ragio-ne e le proporzioni. In questo modo si riusciva a trovare armonia e ordine nel co-smo, o esorcizzare il caos primigenio (a rigore apertura, abisso o fondo senzaprincipio né fondamento).* Il disordine, sempre temibile e minaccioso, venivaquindi scongiurato grazie al Numero e alla sua caratteristica di introdurre unprincipio di ragione nell’universo, o di fecondarlo con armonie aritmetiche, geo-metriche, astrali. Ma anche musicali. L’irrazionale veniva così allontanato e am-mansito: diventava possibile sublimarne la potenza distruttiva, diaballica.

Il lógos si sarebbe manifestato in questioni e proporzioni matematiche. Primadi tutto nella serie numerica generata dalla «Monade» e dalla «Diade», con leproprietà specifiche di ognuno dei numeri interi dai quali derivano gli insie-mi di tutte le cose: gli elementi fisici, le figure geometriche, le armonie e leconsonanze musicali, le distanze e gli intervalli della sfera celeste e la naturadei percorsi circolari delle figure astrali.5

La Terra, i pianeti, la sfera delle stelle fisse, tutti i corpi celesti – secondola tarda convinzione pitagorica – girano intorno a un fuoco centrale, invisibi-le. La Terra stessa non è fissa, immobile al centro dell’universo. Ma anch’essacompie rotazioni intorno al centro di forza ed energia che Platone, nel Fedro,evocava con il nome mitologico di Estia, la dea vestale, o dea del focolare, chemantiene sempre vivo il fuoco di natura invisibile al centro del cosmo, intor-no al quale gira la Terra.

In opposizione e agli antipodi rispetto a essa, come un fratello gemello, sipuò postulare l’esistenza di un corpo identico ma antagonista, anch’esso invi-sibile, che i pitagorici del Quinto secolo chiamavano «Antiterra» (e al qualeXenakis dedica una composizione orchestrale, una specie di poema sinfonico,inteso in senso completamente nuovo, Antikhthon).6

Il fuoco centrale si rifletteva nel Sole, il quale in realtà non era altro che unospecchio riflettente della luce proveniente da quel cerchio igneo ed energetico.Intorno al fuoco centrale, secondo quanto riportato da Platone nel Fedro relati-vamente a queste concezioni pitagoriche, girano gli dèi aurighi dei corpi celesti,nella loro cavalcata circolare che percorre il cielo (fino alla sfera sopracceleste).

Ermes, Afrodite, Ares, Zeus, Cronos, ma anche Elio, Selene e la Terra: tuttiruotano intorno a quel focolare che, dalla sua ubicazione invisibile, nel cuore ga-

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* Letteralmente, «sbadiglio»: immensa bocca spalancata che ributta o vomita in disordine,in un totum revolutum, l’insieme di tutto ciò che esiste, e che in seguito, secondo la Teogonia diEsiodo, si diversificherà in cielo e terra.

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lattico del Tutto, fornisce loro energia, potenza e illuminazione. Un Tutto cir-condato e avvolto, nella sua estremità superiore, da un fuoco esterno, confinan-te con un vuoto che sembra anticipare l’inutile, tenebrosa, sterile vita interstella-re o intergalattica: quel vuoto esteriore ed extracosmico rendeva possibile, se-condo i pitagorici, che l’universo nel suo insieme potesse respirare.*

Eraclito e gli stoici avrebbero divinizzato il Fuoco creatore, Ignis artifex:prima di loro, i pitagorici lo concepivano comunque come la figura materia-lizzata, incarnata, di quel principio divino che nel pitagorismo era la Luce,contrapposta alle Tenebre. Chiamata anche «Monade» (in opposizione a«Diade»); o Unità (rispetto alla Dualità).

Quel fondamento primo e ultimo era chiamato dai pitagorici «Limite» (Pé-ras): «determinazione» che costituisce l’archḗ próta, vero principio primo ditutto ciò che esiste. La stessa concezione si ritrova nel Platone maturo del Fi-lebo. Il «Limite» è identico al «genere supremo» dello «Stesso» (Tautón), con-trapposto al principio contrario, l’«Altro», l’Alterità, la Differenza (tò héte-ron). Entrambi, lo Stesso e l’Altro, derivano dalla medesima natura «monadi-ca» o Uno primordiale.

Lo «Stesso» (che è anche principio luminoso, Monade suprema, Limiteoriginario) ha in sé il principio della propria esistenza. E concepisce il suo op-posto, senza il quale non può essere fecondo. Quell’opposto è, per la tradi-zione pitagorica, il principio «femminino», «Diade» primordiale, principio dialterità e movimento: indeterminazione e infinito originari.

Il «Limite» – secondo concezioni tardive, già vicine al neopitagorismo deiprimi secoli della nostra era – è inaugurale e androgino.** Porta in grembo edemana anche la coppia opposta: l’indefinito, l’indeterminato, l’ápeiron (dalquale prese avvio la riflessione filosofica di Anassimandro, maestro di Pitago-ra; e con lui la filosofia greca, presocratica).

Il Limite (sempre in queste concezioni), da cui deriva anche l’illimitato el’aoristo (il tempo indefinito), costituisce una zona circolare di confine che«dà spazio ed essere» a se stesso e alla propria alterità. Unità e Identità si con-figurano rispetto a quel principio primo – ontologico e teologico – che è il Li-mite. È questo che fornisce numero e determinazione all’ápeiron.

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* Quel vuoto esteriore veniva chiamato ápeiron.** Si tratta di tradizioni dei primi secoli dell’era cristiana, impregnate del monismo tipico di

quell’epoca (stoicismo, monoteismo implicito – giudeo, giudeocristiano, gnostico), che reinter-pretano sulla base di quei presupposti le tradizioni pitagoriche e platoniche. Avevano un orien-tamento dualista, anche se il primo dei due principi era sempre concepito come superiore al se-condo. Si veda il saggio dedicato a Platone nella «Coda filosofica» conclusiva di questo libro.

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*

Il Limite genera, con la serie dei numeri, tutte le cose, e le condizioni per laconoscenza e comprensione di sé, promuove la concretizzazione della «Mo-nade» superiore nella rappresentazione numerica, aritmetica, dell’unità o nel-la sua manifestazione geometrica in un punto.

Il punto è il limite della linea, che è il limite della superficie, che è il limitedel corpo solido. Il punto è il limite di ciò che gli si contrappone: un secondopunto. Nello spazio tra i due punti è possibile tracciare una linea: linea rettache inaugura la dimensione della lunghezza. Un terzo punto aggiunge super-ficie e larghezza alla linea che esprime dualità. La linea è il limite della super-ficie, che a sua volta lo è del corpo solido. Quest’ultimo incarna e dà concre-tezza al numero quattro, numero sacro che rappresenta il tetraktýs.

Péras, il Limite, è il principio supremo, la «Monade» primordiale. Ed ècongenere al Noûs, o è il Noûs stesso, l’intelligenza, la mente, principio di co-noscenza e di consapevolezza. Esso stesso crea e origina la propria unità «mo-nadica» e la sua contrapposizione (la «Diade»).

Grazie alla Diade, l’Uno può spostarsi e muoversi: o ruotare verso l’Alterità.Allora la Diade è congeniale al movimento e all’Altro (tò héteron), così come sipuò dedurre dalla versione platonica di quella dialettica di generi supremi chetrova nel Sofista, nel Parmenide e nel Filebo la sua più nobile espressione.

I pitagorici formulavano il loro giuramento invocando il tetraktýs, principio ditutte le cose.* Esso dava inizio all’universo dei solidi, del quale Platone de-scrisse le caratteristiche fondamentali nel Timeo, dialogo in cui spiegava l’al-fabeto, con le cinque lettere principali, o elementi atomici, a partire dal qua-le leggere e comprendere l’universo.7

Il dodecaedro, con le sue facce pentagonali, imprime il pentagramma**sulla parete superiore del cosmo, avvicinandosi come nessun’altra figura allaforma sferica. Questa è la più divina, la più prossima al Limite, poiché si de-termina e autodetermina in maniera autonoma, così che in essa si congiungo-no Inizio, Metà e Fine.8

Il pentagono si distingue come la forma nella quale, nelle sue proiezionistellate sulla superficie della figura, si scoprono triangoli la cui ipotenusa è in-

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* Il giuramento si pronunciava nel nome di «Colui che ha rivelato alle nostre menti il te-traktýs, fonte e origine della natura inesauribile».

** Il riferimento non è musicale, ma ha di mira la stella a cinque punte, che è un simbolo delpitagorismo (pentagramma stellato). [N.d.C.]

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commensurabile rispetto ai lati, ma con il calcolo è possibile sconfiggere lacontraddittoria irrazionalità del continuo e del discreto: è la famosa «sezioneaurea», grazie alla relazione tra le proporzioni dei rettangoli di diverse misu-re, equiparabile al rapporto tra i numeri nella loro progressione e successione(serie di Fibonacci: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, nella quale ogni numero costituiscela somma dei due precedenti).*9 Quel «numero aureo» sembra perpetuare eproseguire un impressionante progetto di esorcismo e di ammaliamento del-l’irrazionale, attraverso l’aritmetica che si proietta nella geometria e attraver-so la sua applicazione nelle piante e nei prospetti architettonici, o nelle com-posizioni musicali.

Matila Ghyka, nel suo celebre libro Il numero d’oro, parla, a questo pro-posito, di una sintesi che integra quel sustrato irrazionale che costituisce lachiave della bellezza (poiché il nulla è privo di ombra): la produzione di figu-re e forme dove risplende una simmetria che non è meccanica ma dinamica**(in virtù della componente diaballica, o della «commensurabilità potenziale»di cui si parla nel Teeteto platonico).***

Le Corbusier si ispirò a principi di questo tipo, consigliato anche da Ian-nis Xenakis, per condensare e sintetizzare il famoso Modulor, espresso nella fi-gura umana che tiene il braccio destro puntato verso l’alto.10

Le principali consonanze musicali di ottava, quinta e quarta, sono con-frontabili con le radici e le proporzioni che si scoprono nelle tradizioni pitago-riche e platoniche, o nella formulazione della sezione aurea. Gli architetti ri-nascimentali, come dimostra il notevole libro Principi architettonici nell’età del-l’Umanesimo di Rudolf Wittkower,11 davano forma alle piante dei loro edificiin termini musicali: dià-pasôn, dià-pénte, dià-tessárōn (ottava, quinta, quarta).

Nella teoria e nella pratica artistica di Iannis Xenakis è presente tanto l’an-tica speculazione pitagorica e platonica relativa al numero aureo quanto la più

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* La serie progredisce a partire dalla somma dei due numeri precedenti: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13,21, 34, 55… I due elementi successivi di questa serie presentano una relazione reciproca tale checiascuno tende verso un limite: 0,61803398875... e 1,61803398875... (entrambi numeri incom-mensurabili, o irrazionali, in base all’equazione Fi [iniziali di Fidia] = 1 ± √5 / 2, che dà quelledue cifre [rispettivamente della radice positiva e di quella negativa].

** Dynámei sýmmetroi: simmetrie dinamiche, o potenziali. *** Matila Ghyka attribuisce la presenza del numero aureo in natura (cristalli, fiori) all’in-

tervento simultaneo del principio di Hamilton, relativo a una minima azione, o azione staziona-ria, e del principio di Ockam con il suo famoso rasoio: entia non sunt multiplicanda. Con ciò siriferisce alla tendenza verso stati di equilibrio di tutto il sistema materiale fisico-chimico, guida-to da un’evoluzione che passa dagli stati meno probabili verso quelli più probabili (Boltzman).Si tratta della legge dei grandi numeri che permette di trovare regolarità dove sembra invece re-gnare solo il caso.

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rigorosa riflessione scientifica e matematica della seconda metà del Ventesimosecolo. Forse sono ragioni «stocastiche», o leggi di probabilità, quelle che per-mettono di scindere la ragione dal torto, e un principio di ordine e propor-zione dal caso; anche nella conformazione di elementi naturali (cristalli, fiori,eccetera).*12

Il demiurgo architettonico e musicale può trovare ispirazione nella «leggedei grandi numeri», per muovere le grandi masse sonore, o le masse di ce-mento, suggerendo il gemellaggio tra il cosmo sonoro e il mondo architetto-nico dello spazio e della luce. Come sapeva Le Corbusier, l’architetto tratteg-gia, scolpisce, taglia la luce e la diffonde e la irradia: questo è progettare, co-struire.** Nello stesso modo è possibile far suonare e cantare la «musica pie-trificata». Goethe diceva del tempio edificato: «Adesso può cantare!» (puòcominciare a risuonare, a emettere armonie e consonanze).

L’architettura traccia in simultaneità ciò che la musica sviluppa in succes-sione. Nella prima, lo spazio-tempo propende verso lo spazio (e verso la luce),mentre nella seconda verso il principio – variazionale – in base al quale scor-re, con il movimento, anche il tempo.

In architettura il tempo si trascende nel tota simul, come segnala IannisXenakis nella fondamentale prefazione a un testo in cui Le Corbusier presen-ta il monastero di La Tourette. Nella composizione musicale, invece, il dise-gno deve svilupparsi nel tempo.***

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* L’idea è che nella tendenza asintotica verso un fine (che si realizza nei Grandi numeri) siarriva a una legge probabilistica che governa lo stesso caso, e che fornisce razionalità a ciò che alivello locale appare casuale e irrazionale.

Non c’è razionalità nel tiro di dadi se prendiamo in considerazione solo pochi eventi. Ma sesi prosegue l’azione fino a un miliardo di lanci compaiono regolarità, norme.

** «La lumière est pour moi l’assiette fondamentale de l’architecture. Je compose avec la lu-mière» («Per me la luce è alla base dell’architettura. Io compongo con la luce»). La citazione sitrova in Stanislaus von Moos, Le Corbusier, Frauenfeld, Huber 1969.

*** Nella prefazione a Le Couvent de La Tourette de Le Corbusier (Marseille, Parenthèses1987), Iannis Xenakis afferma: «En musique vous partez d’un thème, d’une mélodie, et vous di-sposez de tout un arsenal d’amplification, polyphonique et harmonique, plus ou moins donné d’a-vance (autant pour composer une sonate classique qu’un morceau de musique sériell), vous partezdu mini pour aboutir au global; alors qu’en architecture, vous devez concevoir au même moment etle détail et l’ensemble, sinon tout s’écroule» («In musica si parte da un tema, da una melodia, e sidispone di un intero armamentario d’amplificazione, polifonica e armonica, una specie di pun-to di partenza [sia per comporre una sonata classica sia per un frammento di musica seriale]; siparte dal piccolo per arrivare all’insieme; mentre in architettura si deve concepire nello stessoistante sia il dettaglio che l’insieme, altrimenti tutto crolla»).

Ciò che dà forza all’architettura, aggiunge, sono le proporzioni: la relazione coerente tra ildettaglio e l’insieme. Xenakis sottolinea che Le Corbusier ha contribuito a gettare ponti tra idue: «Les pans de verre ondulatoires sont un exemple concret du passage du rythme, des echelles

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La musica è esibizione in movimento, o lo spostamento di masse sonore,attraverso un progetto e un disegno che può risalire a forme progettuali ar-chitettoniche (come il Padiglione Philips dell’Esposizione di Bruxelles del1958, di Le Corbusier-Xenakis). Ma in essa lo spazio-tempo trova il proprioritmo e la propria misura nel tempo, con tutti i suoi fenomeni di variazione esviluppo.

Il Movimento prevale sulla Quiete. Il nomadismo delle durate sembra pre-valere sulla sedentarietà dell’insediamento in un luogo: il nómos della melodia,del ritmo e del tono prescelto tendono a imporsi sul nómos della terra, dellospazio; o nella delimitazione di un tempio, che si possa comporre ed erigere:nella musica il tempio, come ben sapeva Rilke, lo si costruisce nell’ascolto.

Si suggerisce e si intraprende, così, il doppio compito demiurgico dellacomposizione e del progetto architettonico. Il Padiglione Philips di Xenakis-Le Corbusier, o la loro collaborazione per il monastero di La Tourette, trova-no esatta corrispondenza nella composizione musicale, in particolare in Me-tastasis. Quest’opera venne concepita sulla base dei medesimi principi geo-metrici che erano serviti per delineare le superfici (paraboloidi, iperboliche econoidi) che formano il disegno del Padiglione Philips dell’Esposizione diBruxelles del 1958.*

Gli stessi principi costitutivi dell’architettura del cosmo, secondo quanto af-ferma la tradizione pitagorica ricreata nel Timeo di Platone, permettono ditrovare argomentazioni e proporzioni armoniche di natura musicale: essi so-no visibili all’occhio dell’anima, o noûs, che ne percepisce la figura illuminatariprodotta nel mundus intelligibilis abitato dalle idee, a loro volta udibili co-me figure sonore percepite dall’intelligenza.

C’è un’intelligenza che corrisponde all’occhio e alla sua capacità di perce-zione, e la stessa intelligenza, governata dai medesimi principi, si utilizza an-che nell’ascolto. In un caso è l’architettura del cosmo che si sviluppa; nell’al-tro è la musica delle sfere resa percepibile all’udito.

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musicales (oreille) à l’architecture, comme plus tard, le passage des glissando en masse des cordes àla définition des coques réglées du Pavilion Philips» («I pezzi di vetro oscillanti [del monastero diLa Tourette] sono un esempio concreto del passaggio del ritmo, delle scale musicali [l’orecchio],all’architettura, come avverrà in seguito per il passaggio in massa dei glissando degli strumenti acorde alla definizione dei coques réglées del Padiglione Philips»).

* A questo proposito, cfr. gli scritti di Xenakis sul Padiglione in Revue Technique Philips, 10settembre 1958, «Genèse de l’architecture du Pavillon», in cui si descrive la successione delletrasformazioni dello «stomaco» iniziale (che assorbe ed espelle l’effimero, dopo averlo trattenu-to per dieci minuti).

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L’orecchio percepisce gli intervalli, dia-stḗmata, di quinta, quarta, ottava; e ilsistema (sys-stḗmata) che essi compongono. L’orecchio avverte i meridiani chepercorrono tutta la scala, di ottava in ottava, in vero e proprio dià-pasôn, oltreagli accordi di quinta (dià-pénte), di quarta (dià-tessárōn), di sesta e di terza.

E ogni nota o tonalità forma un disegno circolare, equiparabile alle cordedella lira di Apollo e ai circoli planetari, i cui nomi greci corrispondono alleorbite di satelliti e stelle;* la scala inizia con la Terra (che gira intorno al fuo-co centrale Estia, la dea del focolare, la divinità vestale).

Si traccia così un cosmo sonoro, uno sviluppo «fono-logico» che, in ana-logia con il «cerchio dello spazio e della luce» dell’architettura del cosmo, mo-stra le medesime argomentazioni, proporzioni, lógoi: ciò che l’intelligenza vi-siva percepisce. L’architettura del cosmo immobilizza nella quiete, in perce-zione simultanea, sviluppata nello spazio come coordinata privilegiata, ciò chel’orecchio riconosce come movimento e scorrere del tempo nel percorso so-noro e nella massa di suoni in movimento.

Entrambe, architettura e musica, coordinate nella stessa argomentazione eproporzione – numerica, geometrica, fisica – si biforcano in progetti (archi-tettonici), o in grandi movimenti di masse sonore (musicali), a seconda che inprimo piano si ponga lo spazio o il tempo, la quiete o il movimento, la simul-taneità o la successione.

La ragione – il lógos –, oltre a essere compresa dall’intelligenza, deve esse-re espressa dalla sensibilità (nel suo doppio canale in prevalenza uditivo o vi-sivo, o di ascolto e visione). Doppia percezione di profonde radici germinaliin cui si radica tutto il progetto (sperimentato da Xenakis e Le Corbusier) dicombinare l’universo della luce e del suono, o di luce-e-suono.

In questo modo si realizza il gemellaggio di quelle arti di frontiera che so-no l’architettura illuminata e la musica estremizzata. Entrambe guidate e di-rette da un lógos rischiarato da principi aritmetici e geometrici, fisici e meta-fisici: quelli che governano il congiungersi delle vie della conoscenza, o dellagnosis più elevata, che in epoca medievale si definivano quadrivium.

Il lógos, oltre che essere compreso, deve essere anche percepito. Deve co-niugarsi con la sensibilità, con la aísthēsis. La musica non è soltanto musicadelle sfere, udibile solo da Pitagora, figlio o avatar di Apollo, che procede dalmondo iperboreo. La musica, come seppe comprendere Aristosseno da Ta-

* A ogni nota della scala corrisponde un corpo celeste: a nḗtē, (N), Selene (la Luna); a paranḗtē(Pn) Afrodite; a trítē (T) la Terra; a paramḗsē (Pm) Ermes; a mḗsē (M) Elio; a líchanos (L) Ares; aparypátē (Ph) Zeus; a hypátē (H) Cronos. L’ordine che li governa è dal più vicino al più lontano.

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ranto, deve essere compresa per la parte che compete alla ragione e allo stes-so tempo sentita per la sensazione che produce. Deve generare ascolto sensi-bile e se ne deve poter individuare la natura fonica, la materia sonora.

Si deve comprendere come phōnḗ. La musica è sintesi di lógos e di phōnḗ,ma di un genere diverso da quello che regge la linguistica, il destino della fo-no-logía propria e specifica del linguaggio verbale, o la scrittura fonetica chelo trascrive (nella e a partire dalla grande rivoluzione della scrittura dei mon-di mediterraneo, fenicio, greco).

Lógos e phōnḗ

I principi che governano la musica delle sfere sono quelli che compongonol’architettura del cosmo. I numeri (principio di ogni essere) si proiettano lu-minosi con le stesse modalità, rendendo possibile la visualizzazione nell’ar-chitettura del cosmo, nonché l’ascolto della musica delle orbite celesti. Pita-gora, secondo la leggenda, era in grado di ascoltare le armonie del cielo, rive-lando così la propria origine divina (apollinea, iperborea), sottolineata dagliagiografi tardivi (Porfirio e Giamblico).13

Scoprì il lógos di quella musica che era in grado di sentire e riprodurre conla propria lira eccelsa, ascoltando nella bottega di un fabbro i suoni dei diver-si metalli, corrispondenti a distinte tonalità. Verificò egli stesso tale scopertacon il famoso esperimento delle corde tese a sostenere pesi diversi in rappor-to proporzionale. Poté quindi determinare le relazioni tra le principali conso-nanze: di ottava, quinta e quarta.

Secondo la tradizione pitagorica il lógos della phōnḗ, o la musica delle sfe-re, era, nella sua perfezione, proprio ed esclusivo del mundus intelligibilis: daqui il carattere esultante di una musica capace di trasportarci nell’eternità, odi renderci immortali, che sorgeva integra dalla lira di Apollo, e che Pitagorariproduceva suonando il proprio strumento.

In lei si evocavano gli stessi principi percepibili dall’orecchio dell’intelli-genza attraverso le visioni intellettuali realizzate dalle orbite e i circoli, o sfe-re, che componevano il cosmo (in cui ognuna di esse aveva il corrispondenteauspicio di un dio, auriga e guida di ogni tonalità musicale e del relativo in-tervallo): solo così si poteva sviluppare l’ottacordo musicale del cosmo, fon-dato su principi aritmetici e geometrici.

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Questo rigore logico elevò la musica al rango di scienza suprema, in accordocon il progetto demiurgico e architettonico del cosmo, congenere dell’Archi-tecnica (architettonica) e dell’aritmetica, della geometria e della fisica, o conle ragioni e le proporzioni del macrocosmo, del microcosmo umano e civile edel micromondo delle particelle elementari, vere e proprie lettere dell’alfabe-to (cifrato, numerato) che rendevano possibile la comprensione del libro del-la natura.

Ma la stessa esaltazione della musica nell’ordine supremo del quadrivium,scienza medievale superiore che perpetuò questa concezione pitagorica e pla-tonica, determinò anche l’infelice degradazione della musica reale, strumen-tale, udibile, percepibile ai sensi, alla aísthēsis. Soprattutto la svalutazione del-la musica che non utilizza prioritariamente la mano, organo specifico dell’in-telligenza (secondo Aristotele), ma il soffio delle labbra, la capacità polmo-mare e respiratoria, il ritmo cardiaco delle emissioni «pneumatiche» (e la ma-no solo come accompagnamento ausiliare).

La mano come complemento della voce sancì la supremazia di una musi-ca (come quella prodotta dalla lira, dall’arpa, dalla cetra) subordinata alla let-tera, al testo, al canto. Di fronte a essa, come modalità inferiore e degradata,appariva la musica aulātica (il flauto, o l’oboe, aulós, oppure il flauto di Pan),caratteristica di personaggi accusati di essere selvatici (Marsia, lo stesso Pan,Sileno, o il corteo delle Menadi in trance, eccitate dal suono di quel melodio-so strumento).

La musica, avvicinandosi così al mundus intelligibilis – del lógos – sviluppòla tendenza a separarsi dalla sensibilità, dalla aísthēsis, nella sua condizione dimusica udibile, incarnata nella phōnḗ. Per una certa tradizione aristocratiz-zante questa doveva essere sempre al servizio e in subordine al canto, alla poe-sia, o al testo verbalizzato e scritto della poíēsis epica, drammatica o lirica.

Di fronte a quelle tradizioni accolte, non senza contraddizioni interne, daipitagorici, e perpetuate in Platone e nello stesso Aristotele, un discepolo diquest’ultimo, Aristosseno da Taranto, difese l’unione di ragione e sensibilitànella phōnḗ, o di lógos e aísthēsis nel cosmo musicale-sonoro. Ad Aristossenoda Taranto, tante volte evocato nei suoi scritti teorici, Iannis Xenakis dedica,insieme ad altre due figure del mondo della matematica, la sua composizioneper violoncello solo intitolata Nómos Alpha.

Aristosseno credeva che il lógos della musica esigesse anche sensibilità, aí-sthēsis, capacità uditiva. Riteneva che la musica dovesse abitare l’intelligenza,o costruire a quest’ultima un tempio in forma di lógos (figlio del noûs, secon-

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do l’Ermete Trismegisto, nella prima parte intitolata «Poimandres», che Xe-nakis evoca come uno dei testi complementari della Légende d’Eer, brano elet-troacustico composto nel 1977 per uno spettacolo son-et-lumière).

Ma questo noûs, e le cose che vengono pensate (noómena),* come le sueragioni e proporzioni (lógos) devono esprimersi, come dice Xenakis, attraver-so il mondo del suono, o degli oggetti sonori. Quel lógos richiede, allora, ilconcorso della sensibilità, della aísthēsis, senza il quale la musica non realizzala verità fono-logica, sempre alternativa alla fonologia che soggiace al lin-guaggio parlato e articolato, e alla scrittura (fonetica) che lo traduce e trascri-ve in lettere, grammaí: unità minime o «tipi» suscettibili di essere percepiti da-gli occhi.

Questi, con i loro intervalli verticali relativi alle altezze tonali, o con i loroperiodi orizzontali di misure e ritmi temporali, compongo un lógos phono-ló-gico forse anteriore, più arcaico. Più aurorale. A un tempo pre-liminare e ar-cheologico.

C’è, quindi, una sintesi di intelligenza e sensibilità, di ragione (lógos) ephōnḗ, senza la quale la musica non si realizza (come arte, creazione, poíēsis).Xenakis, in questo senso, prosegue e prolunga la tradizione che ha in Ari-stosseno da Taranto il suo illustre precursore.

Masse sonore

Iannis Xenakis non è solo un costruttore di dispositivi formali, o di grandiequazioni hors temps (di carattere atemporale).**14 Quelle forme algebriche,e quelle figure matematiche, proiettandosi in maniera geometrica attraverso ledue coordinate cartesiane, ordinata e ascissa, che in termini musicali rappre-sentano l’altezza tonale e la durata temporale, generano e scatenano la possi-bilità di configurazioni geometriche (e di corpi solidi di carattere specifica-mente architettonico).

La partitura musicale richiede, come il progetto architettonico, un pro-spetto in tre dimensioni: la costruzione di un plastico dettagliato che, a diffe-

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* C’è anche un’opera sinfonica di Xenakis con questo nome, Noomena (1974). Fu la primaa utilizzare «arborescenze» (rappresentazioni grafiche delle traiettorie dei suoni; sorta di boz-zetto preparatorio che poi viene riscritto con la notazione tradizionale).

** Hors temps è sempre un materiale in stato di quiete, in riserva virtuale, mentre en tempsè già il risultato di una scelta. Il vettore musicale sul quale si proietterà en temps la struttura mu-sicale è temporel.

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renza del bozzetto architettonico, si sviluppi, attraverso una notevole mobili-tazione di masse sonore, en temps, in tempo.

Quella materializzazione «architettonica» di un’idea musicale, o quellacreazione «musicale» di un’idea architettonica, è ciò che attribuisce interessee fascino alla correlazione percepibile tra la composizione Metastasis – spe-cialmente alcune battute vicine al finale – e la realizzazione del PadiglionePhilips dell’Esposizione di Bruxelles del 1958.

Tra il paraboloide iperbolico e conoide, con cui si formalizzavano le su-perfici della figura iniziale di quell’opera architettonica, e le terse continuitàdei glissando percepibili all’orecchio della composizione Metastasis si scopreuna corrispondenza assoluta.

La figura architettonica compare, nella sua superiorità atemporale, comela materializzazione di un progetto realizzato in completa simultaneità, comeil dispositivo che provoca, nel movimento, nel tempo, il flusso sonoro del con-trasto tra i glissando dell’orchestra, specialmente degli strumenti ad arco, el’assembramento di accordi saturi in forma di cluster che aprono o chiudonoquel generale slittamento strumentale sullo scivolo del tempo.

Le arti di frontiera, come ho definito architettura e musica nel mio libro Ló-gica del límite, trovano la conferma più eloquente alla loro parentela struttu-rale nella creazione musicale-architettonica di Iannis Xenakis. Nella compo-sizione Metastasis, per sessantuno strumenti, si crea un continuum che tendead annullare – in forma asintotica – l’unità discreta di tempo e altezza (il quar-to di secondo temporale / il quarto di tono).

I glissando oscillano nello spazio-tempo dove si congiungono o diffrangono,dove cercano di unirsi in forma di fascio, a partire da ogni singola linea vocale, odove alla fine si diversificano con aperture graduali, che si allargano, a ventaglio.

Questo stesso ritmo di unificazione e diversificazione, che si esprime at-traverso curve paraboliche modellate sulle pareti del Padiglione Philips, mo-stra quella «musica silenziosa», pietrificata nel cemento armato, che sembracostituire il plastico del grande brano musicale.

L’atomo del tempo, l’unità discreta dell’altezza tonale, sembra essere abo-lita dal generale scivolamento, interrotto, in modo brusco, dalla forma all’e-stremo opposto: la Schreckenfanfare* dei feroci cluster che a poco a poco, insuccessione di accordi, guadagneranno terreno nell’immaginazione formale e

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* «Spaventosa fanfara», è la fortunata espressione con cui Richard Wagner definì l’inizio delquarto movimento della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven.

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nel pensiero musicale di questo compositore, specialmente nell’opera più tar-da, in cui tende a scomparire la propensione per i glissando delle prime com-posizioni.

Nel caso del Padiglione Philips, si tratta dell’immagine di uno stomaco cheassimila e digerisce persone, e che accoglie al suo interno un numero com-preso tra seicento e settecento passanti in un arco di tempo di otto-dieci mi-nuti. Nel Padiglione, gli altoparlanti trasmettono la musica acustica predi-sposta per la fiera, il Poème électronique di Edgar Varèse, primo brano realiz-zato con strumenti elettromagnetici di questo grande compositore dalla vitadifficile, tragica, sempre tormentata da dolorose traversie.

Varèse: forse l’influsso più importante e significativo esercitato su Xenakisnell’arte della composizione. Un musicista grandioso che possedeva, come inseguito Xenakis, il dono dell’orchestrazione, o l’intuizione necessaria al rin-novamento della sinfonia, e la comprensione del fatto che in musica ciò cheimporta sono soprattutto le masse sonore, o che comporre è una specie disvolgimento e riavvolgimento di un contrappunto di «piani» musicali massic-ci, massificati, che devono essere congiunti o contrapposti, trattati in manieradialettica, confrontati, amalgamati, polverizzati.

Come afferma lo stesso Varèse nella descrizione di una delle sue opereprincipali, Hiperprism, considerata come «un’impressione uditiva con defor-mazioni prismatiche»:

Il movimento di piani e masse sonore, variando di intensità e densità, sostitui-sce nelle mie opere il vecchio contrappunto lineare, fisso. Nel momento in cuisi sentono le collisioni, ne derivano reazioni di attrazione o repulsione. Alcunetrasformazioni si verificano nel piano. Proiettate su altri piani creerebberol’impressione uditiva di una deformazione prismatica. Abbiamo quindi di nuo-vo, come un punto di partenza, gli stessi procedimenti incontrati nel contrap-punto classico, con la differenza che adesso, invece delle note, ci sono masseorganizzate di suoni che si muovono una contro l’altra.15

Questa straordinaria riflessione rappresenta in larga misura il punto di parten-za dell’arte musicale di Xenakis. Egli compie la rivoluzione musicale della qua-le Varèse è precursore, autentico verus propheta: il tragico Giovanni Battista che,nonostante la più incredibile congiura di incomprensioni, o in un vuoto assolu-to di accettazione e consenso, annuncia una nuova sinfonia, un nuovo modo diconcepire i movimenti delle masse sonore. Così che queste, in maniera simile al-la luce che si rifrange in un hiperprisma musicale, si decompongono e si dif-

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frangono sui piani, provocando una specie di cubismo sonoro che trasferisce almondo della musica i principi di quel movimento pittorico.

L’espressione masse sonore, rappresenta la parola d’ordine di quel grandesognatore della musica del futuro che è stato Edgar Varèse, ed è sicuramen-te il termine con cui Iannis Xenakis inizia il suo itinerario di creatore e teori-co della musica. Xenakis, come lo stesso Varèse, fu soprattutto un grandesinfonista. Entrambi sono figli ed eredi della grande tradizione che ebbe inLudwig van Beethoven il suo alfiere e in Hector Berlioz la sua figura para-digmatica.

Iannis Xenakis compone opere di natura molto diversa: per gruppi di per-cussioni, per strumenti elettromagnetici, per spettacoli di luci e suoni, per sce-ne di cantate, di oratori, o di genere quasi-operistico, come le sue versioni del-l’Oresteïa, della Medea latina di Seneca, delle Baccanti, e del discorso finale diPallade Atena nelle Eumenidi di Eschilo e, in un certo senso, la sua versionedella nékya omerica, o descensus ad inferos dell’Odissea, nell’opera Aïs (Ade).

Ma Xenakis è soprattutto un grande compositore di notevoli brani orche-strali. Molti sono solo per grande orchestra e, talvolta, richiedono più di uncentinaio di strumentisti. Altri sono per orchestra e pianoforte.

Con Xenakis si può dire, forse, che riappaiono alcune caratteristiche del-la musica del Diciannovesimo secolo che sembravano già obsolete nel Vente-simo: senz’altro la grande orchestra; l’orchestra con pianoforte; ma anche igruppi concertanti da camera, il duo per violino e pianoforte, il trio e il quin-tetto con pianoforte. Come se il più smodato e fauve dei musicisti della gene-razione del secondo dopoguerra auspicasse una paradossale sintesi dell’or-chestra «umana» dell’Ottocento, o del gruppo da camera concertante, unitialle più audaci torsioni del linguaggio musicale create da irrisolti atonali e dis-sonanti.

Nella sua musica torna la presenza massiccia degli strumenti ad arco, l’e-sercito di violini ingiuriato nella pratica (di rassegnazione collettiva) daKarlheinz Stockhausen. Tanto ignorati e trascurati dalla musica della secondametà del Ventesimo secolo, sempre incline ai gruppi di percussioni, al suonocrepitante dei legni, al balenio di stridente parodia corale degli ottoni, ma as-sai poco amante degli strumenti ad arco: violini, viole, violoncelli.

Con questi mezzi, soprattutto con gli strumenti ad arco, Xenakis inizia lasua titanica sfida alla musica elettroacustica, producendo sonorità e timbri chenei glissando sinusoidali, negli accordi tranciati di netto – come grossolana-mente tagliati con un’accetta – dei cluster, o negli accordi saturi che si intrec-

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ciano in brusche progressioni ascendenti e discendenti, a volte con un unicostrumento, forniscono la risposta più disarmante alla musica elettromagneti-ca (che lo stesso Xenakis pratica, con grande senso artistico).

In Kottos, una splendida opera per violoncello solista, suggerisce l’immagi-ne della sfida lanciata da un gigante, Kottos, appunto, che affrontò Zeus e nevenne sconfitto: cento braccia, quelle di una grande orchestra in grado di mo-bilitare masse sonore, ma questa volta a partire da un unico interprete con unostrumento, il violoncello, sottoposto a un’audacissima prova dei propri limiti.

Nella musica della seconda metà del Ventesimo secolo gli strumenti ad arco –i violini, le viole, i violoncelli – sembrano condannati: come se portassero ad-dosso lo stigma dell’espressività romantica, o delle forme melodiche cantabi-li che dominavano nell’orchestra dell’Ottocento.

Rispetto agli strumenti ad arco dovevano risaltare le percussioni, antica-mera della musica elettromagnetica (secondo l’azzeccata opinione di JohnCage), o lo stridio degli ottoni, oppure un uso percussivo del pianoforte, chelo apparentava allo xilofono, alla xilomarimba e ad altri strumenti con lo stes-so tipo di timbro.

Le percussioni cominciano a diversificarsi, come dimostrano le belle com-posizioni che Iannis Xenakis dedica a questo gruppo di strumenti. Progettapersonalmente alcuni strumenti metallici, che si alternano con le membrane dipelle, con il gruppo degli strumenti a percussione pianistica, o con la combi-nazione di ottoni e pianoforte nell’opera Pléïades. Nella prima parte appare lapercussione metallica; nella seconda i piani (xilofono, xilomarimba eccetera);nella terza, la mescolanza di ottoni e pianoforti; nella quarta le pelli: mem-brane di tamburi, timpani, grancassa, bongos africani. In tutta l’opera si evo-ca la costellazione celeste delle Pleiadi, figlie del titano Atlante, supporto e so-stegno del globo terrestre: folgorazione che propaga a cascata attraverso mol-ti solisti il cosmo uditivo di un insieme di percussioni diviso in tre sezioni (ot-toni, piani, pelli).

Ma la cosa più sorprendente in Xenakis è certamente il già menzionato ri-torno ai violini (e in generale agli strumenti ad arco), anche se la torsione e la sol-lecitazione alle quali è sottoposto lo strumento sono così estreme, e la prova co-sì vicina al limite e al confine, che l’effetto è smisurato, inaudito: benché in cam-po avverso, riesce a convincere e a superare i mezzi elettromagnetici. Li con-quista sul loro terreno, attraverso un’orchestra umana sottoposta a sollecitazio-ni manuali che evocano la crocifissione di Matthias Grünnewald: tale è la tor-tura fisica e spirituale sopportata da questi mezzi di emissione sonora.

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Ingenti masse di archi scorrono con impressionanti movimenti uniforme-mente accelerati verso ascese o discese della gamma tonale non ottotonica (incui si evita l’ottava, concludendola su un intervallo precedente o successivo).Scivolamenti simultanei delle durate in direzione asintotica verso un finale ri-solutivo di brutali cluster, che sostituiscono gli accordi tradizionali. In modoche si stabiliscano dei punti fermi che separano le diverse sezioni: sei, sette,nove per composizione orchestrale, o per gruppo da camera.

Una successione di cluster pone in genere fine ai glissando, in maniera chese ne possa intuire la direzione, il movimento, il cambiamento improvviso ditraiettoria, grazie alla modificazione nella progressione del continuum con labrusca irruzione del discreto.

Il doppio espediente dei cluster, usati come un colossale e massiccio ac-cordo, e dei glissando, che fluttuano su piani convergenti, fornisce una gran-diosa risposta alla musica elettroacustica. Si traccia il zigzag delle interruzio-ni con i cluster, e il continuum in progressione uniformemente crescente o de-crescente con i perpetui glissando.

La dimensione spazio-temporale della musica, con le sue coordinate di altez-za e durata, trova in queste due modalità strumentali la propria forma-limite.Glissando e cluster sono, come l’«identità» e la «contraddizione» nello spaziologico-linguistico del Tractatus di Wittgenstein, le due forme che saturano, se-condo Pierre Boulez, lo spazio-tempo musicale.*

Il cluster costituisce un affastellamento di massima densità che può stabi-lirsi come primo limite dello spazio musicale-sonoro. È ciò che costituisce lapietra miliare dell’invalicabile linea di frontiera, il finis terrae dell’asse verticaledelle simultaneità: tutte le note strimpellate nello stesso momento, in un in-sondabile buco nero armonico.

E in opposizione a questa «contraddizione» logica, ma di lógos musicale,in cui tutto lo «spazio logico» scopre una simultanea conflagrazione di toni etimbri, appare quanto di più diverso e antitetico: l’«identità» pura e vuota,l’annullamento della differenza discrezionale in onore al più rigoroso conti-nuum aritmetico, geometrico. La «diversità» di altezza e durata in tendenzaasintotica verso l’annullamento del suo opposto, l’«identità».

In un caso, nel cluster, vince per eccesso assoluto la componente «diafore-

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* Si veda il saggio dedicato a Karlheinz Stockhausen, nel quale si fa riferimento a questa in-teressante riflessione di Pierre Boulez, che sviluppò il proprio pensiero nel saggio Penser la mu-sique aujourd’hui. Il cluster è un accordo saturo; il glissando, un arpeggio ugualmente saturo.

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tica» o discreta. Nell’altro, nel glissando, vince per difetto di differenza il con-tinuum ripristinato, e con esso l’identità. L’eccessiva intensità simultanea con-trasta con l’infinitesima estensione degli scivolamenti tonali sull’asse delle suc-cessioni: quarti di tono, quarti di secondo.

Entrambi costituiscono i limiti categorici, assoluti degli assi continuo e di-screto, verticale e orizzontale, spaziale e temporale della musica: il cluster co-pre e satura lo spazio, in puro annientamento del tempo, in accordo assoluto,infinito; il gissando riduce il tempo all’infinitesimo e le gradazioni delle altez-ze alle unità minime percepibili (forse il quarto di tono).

La volontà di ridurre e abolire il tempo da parte di Xenakis, il dominiodell’hors temps su quella cassa vuota, nera, che è per lui la durata, assume nel-la sua opera un carattere titanico. E quella volontà – sempre frustrata – èsmentita dalla vis drammatica con la quale, in una forma espressiva straordi-naria, muove ingenti masse di materia musicale a partire da questo dupliceespediente, evidenziando la natura spazio-temporale dell’ambito sonoro, incui il tempo, in ultima istanza, sviluppa una particolare predilezione per la vo-ce dello strumento: con la phōnḗ.

Si vuole annullare il tempo con un’abolizione drastica, feroce. Il tempo ri-sponde con un cluster in un vacuum di interruzione, a mo’ di coitus interrup-tus del discorso, che si spezza. E in contrapposizione a esso, saturando l’assedelle successioni, o l’ascissa delle durate, si diffonde la progressione perpe-tua, come fa il moto uniformemente accelerato, mediante l’annullamento asin-totico delle diverse altezze, o la loro riduzione fino al massimo livello soppor-tabile, attraverso lo scivolamento delle corde, o una vertiginosa successionedi pizzicati, o di pulsazioni sulla cassa del violino (come in Pithoprakta, la pri-ma opera stocastica di Xenakis).

Il glissando satura completamente l’asse delle durate. Sussume le diversi-ficazioni delle altezze in un continuum di riduzione asintotica della frazionetonale che tende verso l’infinitesimo. Affinché si realizzi la restaurazione delcontinuum, viene effettuata una mediazione da parte di un nuovo modo di ra-gionare nella crisi della scienza della seconda metà del Ventesimo secolo: ilpensiero statistico, che si trova all’intersezione tra il determinismo estremodella scienza ottocentesca e la sfida dell’indeterminatezza dei fenomeni legatialla microfisica (come la scoperta della posizione e della velocità dei movi-menti degli elettroni).

Xenakis si ispira alla formulazione di questa nuova legge, non causale ma sto-castica, per ripensare la musica nel suo complesso, tormentata, come se fosse

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lo specchio fedele degli avatar della scienza negli anni Cinquanta, e della suafrattura: tra caso e necessità, tra determinazione estrema (seriale) e indeter-minatezza aleatoria.

Si correva il rischio di annullare il significato; e non solo per l’irrazionale ri-corso al lancio di monete, o di dadi, per risolvere le scelte musicali del composi-tore, o la sua relazione con l’interpretazione. Iannis Xenakis, in un famoso arti-colo, spiegava come un rigido serialismo, e la modalità di pensiero deterministache questo implica, estendendo il pensiero seriale a tutti i parametri musicali, fi-niva con generare proprio il contrario dell’ordine musicale, cosmo uditivo, chia-rificazione nella creazione.16 Ciò che alla fine risulta nella composizione, e anco-ra di più all’ascolto, è l’assoluta negazione di quanto cercato: un disordine, uncaos, una conflagrazione causata proprio dall’impulso iperdeterminista.

Tra questo determinismo e il ricorso rapido al caso, all’«alea», vi era unaposizione intermedia; un atteggiamento, un éthos, nella modalità del in mediavirtus. Si puntava ad avvicinare la musica allo stadio raggiunto in quell’epocadalla fisica e dalla matematica, e di favorire, di conseguenza, un ragionamen-to statistico che permettesse di prendere in considerazione, al di là del divi-sionismo dogmatico di molti orientamenti seriali, le grandi masse sonore, su-scettibili di un’analisi non puntuale (o non basata in maniera univoca ed esclu-siva su unità minime, come le note e le relazioni tra esse), bensì globale.

Era necessario sostituire la nota isolata, e il suo legame con le altre note, co-me avveniva con il vecchio contrappunto – linea per linea, «punto contro pun-to» –, con la congiunzione e la divergenza di piani sonori, quelli di cui parlavaEdgar Varèse; piani, superfici, in grado di comporre e costruire solidi, corpi insenso platonico, corpi forse di geometria a proiezione non euclidea; figure, quin-di, che potevano servire come partitura per composizioni che richiedevano, da-vanti al pentagramma, o agli «ideogrammi» pittorici della musica aleatoria, nel-lo stile di John Cage, il plastico architettonico a tre dimensioni, suscitando e sug-gerendo però ciò che è proprio e specifico della musica: il movimento, il tempo,la durata; la mobilitazione di grande masse orchestrali.

Masse in movimento

La teoria e la pratica musicale di Xenakis cercavano quindi di mediare tra idue estremi: un asfissiante determinismo, come quello che caratterizza il se-rialismo integrale, che alla fine generava confusione, entropia, caos uditivo; e,all’altro estremo, un irresponsabile ricorso al caso, alla moneta, al dado, o al-

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l’I Ching, che permettevano di trincerarsi dietro un alibi di autoannullamen-to della composizione (sullo stile di Wittgenstein), come un harakiri creativo,che rappresentava il modo catartico, socratico, di responsabilizzare l’inter-prete. Tra queste Scilla e Cariddi caratteristiche degli anni Cinquanta, appareuna terza via, sul genere del tríton ti platonico del Sofista (tra gli amanti delleForme e i sostenitori della Materia).

In primo luogo c’è il ragionamento seriale integrale, che porta a una con-fusione uditiva causata dall’avere iniziato ad aggregare punti atomici suscetti-bili di scompaginatura in base a parametri diversi (altezza, ritmo, attacchi, in-tensità dinamiche, e persino la distribuzione stereofonica dei timbri).

La risposta ironica – neodadaista – a questo eccessivo rigore pitagorizzan-te, è una sorta di irrazionalismo deformato: il culto del caso, dell’«alea», o laversione attenuata di tale estremismo attraverso il concetto di opera aperta.

Xenakis introduce una bisettrice, che definisce musica stocastica. Mettequindi in discussione soprattutto l’ossessione esasperata di volersi basare e im-perniare su unità minime, atomi di durata, eventi puntuali di suoni e silenzi,individuazioni di macchie sonore costellate di elementi estranei che oscuranola voce e ai quali si concede statuto di «musica taciturna».

Si dimentica e si tralascia di considerare che in musica il tempo, la durata,conta solo fintanto che costituisce la misura, la periodizzazione, il ritmo, i bat-titi e il respiro del «movimento». È il movimento il vero protagonista dellamusica. Attraverso il movimento tutto si trasforma, come dice Rilke. Il movi-mento, il cui modello deriva dalla danza, suggerisce T.S. Eliot. È il movimen-to che libera masse ingenti di suono. Il movimento è il vero mezzo musicale.È il movimento che mette in moto e lancia sullo scivolo del tempo il confinespaziale, delle altezze, che in Occidente si tende a privilegiare, almeno fino aWebern. Ma anche ciò che orienta verso la durata la distribuzione nello «spa-zio fisico» delle voci sonore con i relativi timbri: ciò che da quest’epoca in poisi chiamerà stereofonia.

In musica, sicuramente, come in tutti i sistemi in grado di esprimere e comu-nicare «messaggi», contano le unità minime, i «fonemi» (che nel mondo mu-sicale sono irriducibili a quelli linguistici). Ma altrettanto importante, e forseanche di più, è la percezione panoptica dell’insieme architettonico (e persinourbano, civile) del movimento messo in gioco in un brano musicale.

Non c’è nessun motivo per cui il punto di partenza debba essere la notasingola per come si presenta rispetto alle coordinate, o nella relazione di al-tezze con gli altri toni, e nel suo conseguente legame, sintagmatico, attraverso

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la durata (in forma ritmica e melodica). Non si tratta di concentrarsi sul sin-golo suono, la goccia di suono, assolutamente indistinguibile dalle altre, comesuccedeva per le gocce d’acqua nella contemplazione di Leibniz. Né di for-mare un accordo o un sintagma con altre gocce d’acqua che fluiscono una sul-l’altra, attraverso il duplice asse di altezza e successione, o creando livelli di-versi di intensità e velocità, modalità di attacchi, o il suono degli strumenticon i relativi timbri.

E se la goccia come unità minima, o il granello di sabbia – e il processo diaggregazione cui corrisponde questo «atomismo logico musicale» – venisserosostituiti da un’unità maggiore: un’unità più complessa e meno divisionista,che permette di passare dall’impressionismo al cubismo musicale come sug-geriva Edgar Varèse, oppure da una musica plein air alla composizione di pia-ni musicali, sullo stile di Paul Cézanne?

E se invece di considerare l’enorme insieme di gocce che compongono l’o-ceano, o la formazione di nubi, si prendesse un’unità complessa come princi-pio generativo e costruttivo? Un’unità ampia, passibile di essere configurata inuna topologia geometrica in accordo con i tempi: la nuvola, per esempio. Ian-nis Xenakis insiste sempre sulla nuvola. Suscettibile di rovesciare energia e li-berare la pioggia; la cui risonanza martella musicalmente il tendone di un cir-co, come una percussione folgorante.

Xenakis mette al primo posto la massa sonora. In questo modo risponde auna fenomenologia dell’evento sonoro di un’ottica e di una logica assai diverse daquelle che derivavano dalla Seconda scuola di Vienna e sfociate nel serialismo in-tegrale. A entrambi, Varèse e Xenakis, interessava l’assunzione della massa delsuono più che la sua decomposizione in unità minime discrete, come nella nuo-va scala seriale, o la sua diversificazione in base a tutti i parametri musicali.

Quell’unità originaria, la massa sonora, poteva essere «determinata», comeun ápeiron musicale, in virtù di una rifrazione iperprismatica, che permettes-se di disgiungere i piani sonori: le superifici piane di un corpo solido; le su-perfici irregolari di un constructo in forma di plastico, come l’iperboloide pa-rabolico del Padiglione Philips (che alloggiava all’interno del proprio stoma-co il Poème électronique di Varèse).

Il contrappunto e la polifonia smettevano di essere lineari, di intrecciarsiin note isolate, in linee vocali, o di partire da note affogate nei silenzi (comein Webern). Smettevano di derivare da una saturazione determinista e causa-le di un’analisi del suono che rende la partitura una sorta di «automa musica-le» (del quale parla anche, in riferimento al proprio formalismo matematicostocastico, Xenakis nell’intervista con Françoise Delalande).

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Si arriva così alla confusione di tutti i parametri nell’ascolto, lasciando qua-le unica alternativa al determinismo totalizzante l’ironico procedimento neo-dadaista, nichilista e deresponsabilizzante, del tiro di dadi o dell’utilizzo del-l’I Ching (come fa John Cage).

Iannis Xenakis rappresenta il mēsótes, il termine medio in cui risiede la virtù(in questo caso musicale): quello di una coscienza illuminata che vuole porrela musica all’altezza epistemologica dei tempi, come all’epoca avevano fattoJean-Philippe Rameau e Johann Sebastian Bach, che la portarono al livellodella teoria della gravità e del calcolo infinitesimale attraverso i principi del-l’armonia e della tecnica del temperamento equabile.

Ma il tempio della scienza, nella seconda metà del Ventesimo secolo, nonè quello di La Place – e del suo genio onnisciente –, o quello di un determini-smo causale onnicomprensivo, bensì quello che emerge dalla grande crisi exabundantia, vera e propria crisi dello sviluppo, indotta dalla teoria della rela-tività, dagli esperimenti sul corpo nero, dalla microfisica dei quanti e dal«principio di indeterminatezza» di Werner Heisenberg; di fronte allo scosso-ne dell’indeterminatezza, con tutte le sue implicazioni epistemologiche, si so-stituiscono le leggi causali con leggi statistiche.

Anche il lancio di dadi e di monete, e persino consultare l’I Ching, pre-suppone un ordine superiore, o una legalità in vigore in pieno disordine, nelmezzo del caso o del caos, e delle turbolenze più irrequiete. È questo che af-ferma la fisica, soprattutto la fisica dei gas, che mira a trovare regolarità dovesembra sussistere soltanto il più cieco caso, come accade, per esempio, con icolpi delle molecole gassose contro le pareti di un recipiente.

Quando si ha a che fare con i Grandi numeri e si ripete il lancio di mone-te o dadi per miliardi di volte, si riscontrano regolarità, norme: leggi statisti-che. Così, per esempio, per la velocità dei colpi dei gas contro le pareti di unrecipiente, o nel modo indeterminato di riferirsi a un elettrone quando si vuo-le sapere la sua posizione e/o la sua velocità, o immaginarlo in termini corpu-scolari o immerso in onde elastiche.

Nel progetto di Xenakis si assumono come base di partenza le masse so-nore in movimento. Queste sono considerate al plurale, in maniera che si in-treccino formando piani nei quali si possono determinare le note in forma sta-tistica. Piani massicci, massificati, che insieme possono creare forme di con-giunzione e disgiunzione diverse dal contrappunto.

Il punctus contra punctum viene superato e trasceso grazie al «piano contropiano». In questo modo si passa dalla superficialità del pentagramma, o dalla li-

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nearità coniugata del discorso (omofonico o polifonico), a una specie di corposolido, di tetraktýs, come si trattasse di una partitura espositiva del progetto dicomposizione realizzata in una forma architettonica, che però incombe sul tem-po, o che deve suggerire il movimento che si viene così a disegnare.

In tal modo si aggiunge alla latitudine verticale delle altezze del suono e al-la longitudine orizzontale della melodia e del ritmo, o alla misura e periodiz-zazione della durata, una nuova dimensione, la terza. Le superfici si proietta-no nell’aria come se fossero pareti di un corpo dotato di volume, attraverso iltempo, grazie alla mobilità del corpo solido. Un plastico concepito come unprogetto architettonico, disegnato hors temps, in un ambito atemporaleproiettivo, ma che si limita al foglio, oppure che si proietta attraverso un mo-vimento argomentato nel tempo, en temps, in grado di scindersi in sezioni.Tutta la musica di Xenakis si caratterizza per la modalità marcata con cui trac-cia le sei, sette, otto, nove sezioni in cui di norma si dividono le sue opere.

Sono opere con una vocazione orchestrale, sinfonica, anche quando si trat-ta di brani da camera, di quartetti (come il secondo e il terzo che scrisse), epersino degli incredibili tour de force di violoncello solista (Nómos Alpha), ca-paci di trasformare quello strumento in un insieme orchestrale predisposto al-le trasformazioni più insolite. Ma anche in Kottos, nome del gigante dalle cen-to braccia che affrontò Zeus, anche questo per violoncello solista, che ricordaun’orchestra di un centinaio di musicisti.

Iannis Xenakis* è, soprattutto, un grande sinfonista; forse il più grande della suagenerazione. Le sue opere tendono verso la sinfonia, o il concerto sinfonico conpianoforte. Questa tendenza si manifesta fin dalle prime realizzazioni: Metasta-sis, Pithoprakta. Anche le sue composizioni da camera, nelle quali ricompare tal-volta la combinazione «neoromantica» del trio o del quintetto con pianoforte, ola sonata per pianoforte e violino (come in Dikhtas), sono tutte echi di grandibrani sinfonici orchestrali, o di sinfonie concertanti per pianoforte.

In altre opere, l’orchestra si adegua alla duplice voce del baritono, in fal-setto e in basso, come in Aïs, o in Palas Atenea, o nel passaggio «Cassandra»,con percussioni, dell’Oresteïa.

Persino i brani per percussioni hanno un evidente carattere orchestrale,sinfonico, come in Pléïades: anche in questo Xenakis segue l’esempio del suo

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* Ricordiamo almeno due raccolte di scritti di Xenakis, reperibili in italiano: Iannis Xenakis,Musica Architettura, Spirali, Milano 1981, 2003, e Universi del suono. Scritti e interventi 1955-1994, a cura di Agostino Di Scipio, BMG Ricordi, Milano 2003. [N.d.C.]

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predecessore e maestro, Edgar Varèse, il primo compositore che nella genia-le opera Ionization compì la prodezza di proporre un brano sinfonico, o di ca-rattere chiaramente orchestrale, a partire da un insieme di percussioni.

Il carattere sinfonico che mobilita grandi masse sonore si avverte in modo ri-velatore e sintomatico all’inizio del suo libro Musique formelles, in uno scrit-to importante che sottolinea la capacità della vera arte, specialmente nell’am-bito musicale, di trascendere se stessa in quello che si è soliti definire religio-ne. O la sublimazione (sono le sue parole) del lavoro artigianale in meta-arte.

L’esempio che fornisce relativamente a questo tipo di arte che è più chearte (forse ciò che in passato si considerava religione) non è un brano classicoper pianoforte, un quartetto o una sonata per violino e piano. È la Settimasinfonia di Beethoven. Proprio la Settima di Beethoven, forse la quintessenzasinfonica delle nove di quel compositore, in particolare nel suo impressio-nante primo movimento:

L’art (et surtout la musique) a bien une fonction fondamentale qui est de cataly-ser la sublimation qu’il peut apporter par tous les moyens d’expression. Il doit vi-ser à entraîner par des fixations-repères vers l’exaltation totale dans laquelle l’in-dividu se confond, en perdant sa consciencie, avec une vérité immédiate, rare,enorme et parfaite. Si une oeuvre d’art réussit cet exploit ne serait-ce qu’un in-stant, elle atteint son but. Cette vérité géante n’est pas faite d’objets, de senti-ments, de sensations, elle est au-delà, comme la 7e de Beethoven est au-delà dela musique. C’est pourquoi l’art peut conduire aux regions qu’occupent encorechez certains les religions.Mais cette transmutation de l’artisanat quotidien qui métamorphose le produitstriviaux en méta-art est un secret.*17

Iannis Xenakis appartiene alla stirpe del Beethoven sinfonista, o di HectorBerlioz. Le sue opere inaugurali sono orchestrali. Non sono Klavierstücke

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* «L’arte (e la musica in particolare) ha soprattutto una funzione, che è quella di catalizzarela sublimazione che è in grado di produrre in tutti i mezzi espressivi. Deve aspirare a trasporta-re, attraverso riferimenti prefissati, verso l’esaltazione totale in cui l’individuo si confonde, per-de la propria coscienza, con una verità immediata, rara, enorme e perfetta. Se un’opera d’arteriesce a compiere questa impresa anche per un solo istante, avrà raggiunto il proprio fine. Que-sta enorme verità non è formata da oggetti, da sentimenti, da sensazioni, ma è oltre tutto ciò, co-me la Settima di Beethoven trascende la musica. È per questo che l’arte può condurre in regio-ni che per altri sono proprie della religione.

Ma questa metamorfosi dell’artigianato quotidiano che trasforma gli oggetti banali in meta-arte rimane un mistero.»

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(brani per pianoforte) come in Stockhausen; o sonate per piano, come in Bou-lez; o brani per pianoforte preparato, nello stile di Cage. Con Xenakis tornala grande orchestra. Anticipata in maniera profetica e geniale da quel martiredella musica del Ventesimo secolo che è Edgar Varèse.

Nelle sue composizioni l’elemento preponderante non è la relazione tra lenote. Non è la nota puntuale che viene presa come unità, né il legame (verti-cale/orizzontale) che quella nota ha con le altre, formando accordi o sintagmi,armonie o melodie e ritmi. Nei poderosi argomenti musicali di Xenakis l’unitàoriginaria, la Urform, è una nuvola di suoni che, almeno da Phitoprakta in poi,vengono costruiti a partire da principi stocastici.

Le nuvole si formano in maniera lenta, graduale, per scaricare le massed’acqua accumulata in uno scroscio improvviso o in una pioggerellina, oppu-re come un gocciolio tambureggiante sul tendone di un circo o di una tendada campeggio.

Le note singole non possono né devono isolarsi dall’insieme, e nonostantequesto mantengono il proprio carattere inconfondibile; in tal modo la lineafonica che tracciano, come scie sul piano inclinato della superficie massiva,può essere seguita con minuziosità analitica. Ma sempre in accordo con tuttigli altri insiemi della linea vocale, attraverso impercettibili scivolamenti di du-rata (frazioni di secondo) e di altezza (quarti di tono), grazie all’unione di stru-menti che «glissano» ascendendo o discendendo e, come su una pista da sci,alla fine si scontrano con alcuni mucchi di ghiaccio accumulati e tagliati at-traverso possenti cluster.

La massa è l’unità presa in considerazione. La massa sonora in movimento, inun gioco dialettico – di opposizione, di congiunzione, di contrasto – tra i di-versi piani in cui quelle masse si diffrangono.

La parola chiave è massa: la più usata e ripetuta negli scritti teorici di Xe-nakis. E gli esempi sono sempre tipici di ciò che Elias Canetti, nel suo libroMassa e potere, chiama «simboli della massa»:18 quelli che compongono for-me naturali significative, fondate e saldate in masse a partire da unità discre-te (l’accumulo di granelli di sabbia di una spiaggia, con le ondulazioni, le du-ne, le nubi di polvere), oppure unità ininterrotte percorse da tumultuosi mo-vimenti interni (il mare e la sua ondosità che cambia in superficie, soprattut-to in prossimità della costa).

È massa il fuoco che si propaga, che si alimenta del legno del bosco, e checonsuma e divora tutto al suo passaggio travolgente, sono massa le nuvolementre si formano, nel loro percorso, raccogliendosi e unendosi (formando

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cirri, cumuli e altocumuli), e ancora, il rovescio della pioggia, della grandine,della neve. Nuvole di polvere di suoni che si accumulano e si scatenano:un’immagine assai tipica del mondo sinfonico di Iannis Xenakis.

Masse sonore che scorrono dolcemente, ma che finiscono polverizzando-si. Xenakis fornisce alcuni esempi sintomatici di quelle masse, naturali o so-ciali: le nuvole (di polvere, d’acqua); il gocciolio in percussione della pioggiache mitraglia il tendone del circo; l’accumulo di gocce in cui l’individualitàesiste soltanto nell’unione con la cospicua massa di cui fanno parte.

Lo stesso accade con gli esempi politici tratti dai ricordi cupi o fulgidi del-la sua drammatica avventura nelle milizie partigiane greche: la massa in for-mazione che si sgretola appena iniziano le scariche di fucile o i colpi della mi-tragliatrice.

Xenakis propone anche esempi tratti da letture classiche, come il mito del-le cicale del Fedro platonico. Il canto delle cicale viene spiegato come esem-pio dell’effetto prodotto dal casuale congiungersi di miriadi di suoni isolati dicicale singole: insieme formano un’orchestra sinfonica ben aggregata.

Alcuni uomini vennero, secondo Platone, tramutati in cicale canterine.Ammaliati dalla musica delle sette muse, da poco comparse al seguito di Apol-lo, si dimenticarono di mangiare, bere, dormire, e quindi morirono. Gli dèiconcessero loro il dono di resuscitare nella forma di cicale, animali che canta-no da quando nascono a quando muoiono, e che non devono preoccuparsidel proprio sostentamento.

Espressionismo astratto

Gli effetti delle masse, la mobilitazione delle masse sonore: è questo ciò chemeglio definisce il carattere, l’éthos, di questa musica. Di qui la sua natura ti-tanica, demiurgica; o specificamente prometeica. Come quella del Beethovensinfonico. O del Beethoven prometeico come venne evocato sulle scene delballetto Le creature di Prometeo, che fornisce il tema con variazioni dell’ulti-mo movimento della sinfonia Eroica. Anche in Xenakis, come in Beethoven,si può parlare di una sublimazione del dolore in vigorose forme sinfoniche.

Come in Beethoven, soprende in Xenakis la rudezza vigorosa di questo ar-tista epico del Novecento, con la sua tendenza alle forme fauves, di una bru-talità stridente. All’improvviso la critica deve ripescare un termine che sem-brava ormai archiviato, o utilizzato solo per questioni storiche: la parola«espressività».

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Ascoltando Xenakis si ha quasi l’impressione di sentire l’unico rappresen-tante musicale, piuttosto tardivo, di quello che in pittura i mezzi di informa-zione europei chiamarono espressionismo astratto, o «informalismo». In queimovimenti, proprio come avviene per il compositore greco, si riservava allamateria (pittorica/sonora) un vero e proprio culto quasi religioso.

Allo stesso modo di quelle tendenze, il formalismo si autotrascende, gra-zie alla capacità di elaborazione e trasmissione, profondamente espressiva,delle qualità e disposizioni stesse della materia, e dei suoi molteplici modi diplasmarsi. Subentra un culto liturgico per la materia, per il matriciale, perquella Magna Mater a metà strada tra la platonica chṓra e l’aristotelica hýlē, oil concetto stoico di silva, selva.

Strati massicci di materia sonora tagliati di netto, con rudezza, come a colpid’accetta. I notevoli piani carichi di spigoli e angolosità producono una forteconflagrazione (piano contro piano), che nella durata temporale si suddividein varie sezioni.

Si è risolto l’impressionante contrasto con il formalismo estremo che que-sto compositore usa per proiettare (in senso architettonico) quei brani monu-mentali: calcoli probabilistici, teoria degli insiemi, «arborescenze» geometri-che, che sembrano servire quale arguzia strategica, o supporto fantasmagori-co, per una musica che richiede il recupero della parola tabù per tutti i com-positori della sua generazione, da Stravinskij a Cage, da Boulez a Stockhau-sen: la parola «espressione», «espressività».

La musica di Xenakis è espressiva; persino espressionista; di un neoe-spressionismo che sembra superare secoli, millenni di civilizzazione. Ma inve-ce di far rivivere in maniera miracolosa l’Età della pietra, come fa Igor Stra-vinskij nella Sagra della primavera, si situa nell’alba micenea della nostra cul-tura occidentale greco-latina e scopre nell’immaginario arcaico della sua ter-ra d’origine, la Grecia, la principale fonte d’ispirazione: il mondo dei gigantidalle cento braccia che sfidavano Zeus (Kottos), o del titano Atlante, condan-nato a portare sulle spalle il cosmo, e che scaglia le proprie sette figlie, le Pleia-di, nella costellazione che portano quel nome.

Ma anche il mondo omerico della discesa all’Ade di Ulisse; oppure l’iniziodel pensiero e del concetto «razionale» di giustizia, o la formulazione di una«chiara legge civica» nell’Oresteïa, o nel discorso di Pallade Atena nell’ultimaparte di quest’opera, o nella versione, contrapposta a Omero, della nékya pla-tonica alla fine della Repubblica, attraverso La légende d’Eer, e nei tanti braniin cui è evocato quel mondo greco arcaico, o di «stile severo».

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La stessa cosa accade per il mondo presocratico, pitagorico, al quale dedi-ca il poema sinfonico Antikhthon («Anti-terra»), in evocazione del pianeta in-visibile degli antipodi che gira, insieme alla Terra, intorno all’altrettanto invi-sibile fuoco centrale, secondo la concezione pitagorica tarda, forse del Quin-to secolo, o nel brano Nómos Alpha, dedicato ad Aristosseno da Taranto.

Iannis Xenakis vuole essere il rappresentante della più esigente modernità ar-chitettonica e musicale, ma anche il ricreatore di un neopitagorismo all’altez-za dei tempi, in cui valga il grande progetto dell’unione delle arti del quadri-vium: astronomia, aritmetica, geometria, musica.

Questa grandiosa utopia si materializza e si concretizza in associazionecon il trivium; la filologia e la storia forniscono i principali argomenti lette-rari, filosofici, che Xenakis intesse in grandi poemi sinfonici: la tradizioneomerica, quella delle tragedie – Eschilo, Sofocle, Euripide –, e dei filosofi,come Platone.

Attraverso questa musica – atonale e ruvida come nessun’altra – si sugge-risce, quindi, un ideale di paideía, o di educazione integrale, in cui le arti e lelettere, le scienze della natura e la matematica, trovano nella musica un possi-bile punto di unione.

La musica agirebbe così come la cosa più simile all’operato di Estia, o delfuoco centrale: il principio intorno al quale si realizza tutto il grande proget-to di mathesis universalis, oppure sarebbe unita al suo gemello cooriginario, lastella architettonica, il binomio generato da uno sviluppo onto-teo-logico chetroverebbe forse nell’espressione musicale, e nella proiezione architettonica,il modo migliore per avvicinarsi ai misteri della Luce e del Suono; o dello Spa-zio e del Tempo; o della Quiete e del Movimento (Platone).

Questo grande sviluppo magistrale, questa scienza a un tempo matemati-ca e fisica, insieme all’arte di proiettare tipica dell’architettura, in associazio-ne con la capacità umanistica di ricreare gli scenari filologici e storici dellaGrecia arcaica, micenea: tutta questa grandiosa paideía serve a dare voce, o afare suonare una musica particolarmente espressiva, semplice e diretta nellasua grande capacità comunicativa, che giunge predisposta alla sensibilità, allaaísthēsis, e che sa armonizzarla con l’intelligenza e il lógos, secondo il deside-ratum aristossenico.

Una musica nella quale sembrano sempre evocarsi, sublimarsi, trasfigu-rarsi, l’orrore, il dolore, la vicinanza della morte che graffiano il corpo e l’ani-ma, feriti dal proiettile di una scarica di mitragliatrice, che lasciò Xenakis conun occhio inservibile e parte del volto sfigurato: stigmate della dura battaglia,

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o dell’epica della resistenza e della libertà, contro la Germania hitleriana, glieserciti di occupazione fascista, e la successiva repressione britannica dellaguerriglia e della maquis comunista (con cui Xenakis era allineato). Per sal-varsi la vita, Xenakis dovette intraprendere un cammino da perenne stranie-ro in Francia, dove acquisì una nuova nazionalità. Questa condizione di eter-no straniero risplendeva, di fatto, nel suo stesso nome: Xénos, Xenakis.

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XXIII. Iannis Xenakis. Architettura sinfonica

1 Iannis Xenakis, Musiques formelles, Stock, Paris 1981, e Musique arquitecture, Tour-nai, Casterman 1976 (trad. it. Musica architettura, Spirali, Milano 2003). Anche il bre-ve scritto Musique et originalité, Paris, Séguier 1966. Riguardo Xenakis, cfr. Makis So-lomos, Iannis Xenakis, P.O., Paris 1966, e la notevole intervista di François Delalan-de, Entretiens avec Xenakis, P.O., Paris 1977. Interessanti sono anche i testi di HarryHalbreich inclusi nell’edizione dell’opera orchestrale completa di Xenakis su compactdisc, Timpani, Luxembourg 2002 (Orchestra Filarmonica del Lussemburgo diretta daArturo Tamayo); come le pagine dedicate a Xenakis in Andrea Lanza, Storia della mu-sica, vol. X Il Novecento II, EDT, Torino 1980.

2 Cfr. i commenti di Harry Halbreich all’edizione di Musica da camera 1955-1990,con il quartetto Arditti e Claude Helffer al pianoforte. Il quartetto (ST/4), con un ti-tolo che richiama i nomi dei computer, venne effettivamente calcolato da un elabora-tore Ibm 7090.

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3 Cfr. gli eccellenti commenti di Claude Rostand, Musique?, 1965, edizione in com-pact disc di Le Chant du Monde de Metastasis, Pithoprakta et Eonta, Orchestre Na-cional de l’Ort, diretta da Maurice Le Roux.

4 Cfr. Javier Maderuelo, Edgar Varèse, Madrid, Círculo de Bellas Artes, Madrid1985. Cfr. anche Heinz Klaus Metzger e Rainer Riehn, Edgar Varèse, Rückblick auf dieZukunft, Musik-Konzepte n. 6, Münich, Text und Kritik 1983.

5 Sul pitagorismo, si vedano le fonti classiche di Porfirio, Vita di Pitagora, Milano,Mimesis, Paris 1996, e di Giamblico, La vita pitagorica, BUR, Milano 2001, oltre ai pas-saggi di Diogene Laertius (Delle vite e sentenze de’ filosofi illustri) e alla Metafisica diAristotele in cui vi si fa riferimento. Cfr. anche Peter Gorman, Pythagoras: a life, Lon-don, Routledge 1978; Jean-François Mattéi, Pythagore et les pythagoriciens, PUF, Paris1996. E per una visione d’insieme, William K. C. Guthrie, History of Greek Philo-sophy, 6 voll., The earlier Presocratics and the Pythagoreans, vol. I, Cambridge Univer-sity Press, Cambridge 1962.

6 Cfr. l’eccellente analisi che Harry Halbreich dedica a questa composizione, al-l’interno dell’edizione del compact disc dell’opera orchestrale già citata, volume II. Iltesto si intitola «Un Prometeo della musica».

7 Cfr. l’eccellente commento di Luc Brisson e F. Walter Meyerstein «Le modèle de l’u-nivers à Timée», in Inventer l’univers, Paris, Le Belles Lettres 1991; oltre al classico lavo-ro di Francis Macdonald Cornford, Plato’s Cosmology, London, Routledge 1937.

8 Una delle più profonde riflessioni che siano state espresse sulla mortalità dellacondizione umana è forse pitagorica, oppure attribuibile ad Alcmeone di Crotone:«Gli uomini muoiono perché non possono ricongiungere il principio con la fine». Cfr.Los filósofos presocráticos, Conrado Eggers Lan e Victoria E. Juliá (coords.), tomo I,Madrid, Gredos 1981.

9 Delalande, op. cit., pp. 21-22, fa riferimento alla presenza di tale sezione aurea inXenakis (come anche nel Modulor di Le Corbusier). Cfr. anche Matila C. Ghyka, Lenombre d’or, Vol. 2, Gallimard, Paris 1931 (nuova ed. 1977), che include una letteradi Paul Valéry all’autore (trad. it. Il numero d’oro, Amiedi, Milano 2008).

10 Cfr. Stanislaus von Moos, Le Corbusier, Huber, Frauenfeld 1968, in particolareil capitolo dedicato al Modulor.

11 Rudolf Wittkower, Architectural Principles in the Age of Humanism, WarburgInstitute University of London, London 1949, (trad. it. Principi architettonici nell’etàdell’Umanesimo, Einaudi, Torino 1994).

12 Sul concetto di «stocastico», dal greco stóchos (tendenza, finalità), cfr. IannisXenakis, Musiques formelles, Musique architecture e Musique et originalité, opere cita-te sopra.

13 Porfirio, op. cit., e Giamblico, op. cit. 14 Riguardo la distinzione tra musica hors temps, en temps e temporel, si veda Ian-

nis Xenakis, Musiques formelles, Musique architecture e Musique et originalité, già ci-tati, e Delalande, op. cit.

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15 Odile Vivier, Varèse, Paris, Seuil 1973. La citazione è tratta da Maderuelo, op.cit.

16 Quell’articolo, che rese Xenakis famoso, si intitola «La crise de la musique sé-rielle», originariamente pubblicato nella rivista Gravesaner Blätter, di Hermann Scher-chen (daímōn protettore di Xenakis nel primo periodo di attività professionale).

17 Iannis Xenakis, «Musiques stochastiques», nella sopra citata Musiques formelles.18 Elias Canetti, Masse und Macht, Hamburg, Classen 1960 (trad. it. Massa e pote-

re, Milano, Adelphi 1982).

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