Cronaca Di Un Delitto D_onore (1)

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CRONACA DI UN DELITTO D’ONORE La vera storia del Mostro di Firenze Di G. e O. Dell’Amico

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CRONACA DI UN DELITTO D’ONORE

La vera storia del Mostro di Firenze

Di G. e O. Dell’Amico

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Premessa

La storia che mi appresto a raccontare, tratta da un caso di cronaca vera, ancora senza una fine, considerandone i processi e le pubblicazioni tuttora a carico e fattane debito le numerose questioni irrisolte al riguardo, tragica ed incredibile nei suoi aspetti, così come complessa ed unica nel suo genere, a dimostrazione dell’eco che se ne ebbe da più parti e dello stesso coinvolgimento di più Procure, in più atti, nel seguito del proprio cammino, si può dire composta, al suo interno, da più storie, avanzate nel tempo e tra loro intersecanti in alcuni tratti, ciascuna delle quali caratterizzata e definita nel proprio particolare contesto, che, per circostanze assolutamente imprevedibili e sotto condizioni probabilmente irripetibili, si orientarono tutte verso una medesima direzione, dandone così forma e struttura all’insieme : per questi motivi potrà risultare non facile ad una prima lettura, rendendosi, più volte, necessario ripercorrerne a ritroso la narrazione, alla ricerca di quei nessi, sotto forma di particolari, date, luoghi o personaggi, che, congiuntamente, concorsero a svilupparne l’intero corpo.

L’analisi degli avvenimenti, alla luce delle fonti utilizzate, per lo più di natura giuridica ed investigativa, traendone spunto, ne seguirà, più o meno, gli stessi criteri adottati, riservandosi, comunque, l’accortezza, oltre che cogliendone l’occasione, di poterne valutare, finalmente appieno, la pressoché totalità degli elementi già esaminati, seppure nel corso di più fasi e distintamente tra loro, nei singoli gradi di giudizio fino ad oggi percorsi.

Ne resteranno, comunque, conclusioni amare, per ciò che ebbe a significare e per le stesse responsabilità lasciateci a carico : la vita spezzata di otto giovani coppie, lo strazio ed il dramma vissuti da ognuna di quelle famiglie, l’inconfutabile certezza che quattro di quei delitti, gli ultimi, potevano e dovevano essere evitati …

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A mio padre, Olinto Dell’Amico ( Carrara, 06/12/1930 – 20/02/2012 ) ;

Ai suoi colleghi di lavoro, scomparsi ;

A tutte le vittime del Mostro.

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“ La natura delle cose ama nascondersi “ ( Eraclito )

“ In una catena, ogni anello deve congiungersi con l’altro ”

“ Ogni qual volta si smarrisca una strada, o si arrivi ad un vicolo cieco, occorre saper tornare indietro, fino a ripartirne dall’inizio ”

“ Caratteristica fondamentale di due rette parallele è quella di non incontrarsi mai, eccetto che in un punto, detto infinito…e l’infinito, implicitamente, è ciò che non si vede, ciò di cui non si ha né si può aver prova…”

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Prologo

Mio padre, a quel tempo, tenente dei carabinieri, in servizio presso il nucleo investigativo di Firenze, per ragioni territoriali di competenza, fu tra i primi inquirenti ad occuparsene - coadiuvato, in seguito, dall’allora giovane procuratore Pier Luigi Vigna - a partire da quel lontano agosto del 1968, fino ai primi anni ottanta, quando fu poi istituita una squadra speciale apposita, cui fece seguito, a metà anni novanta, una nuova assegnazione dell’inchiesta.

Negli ultimi tempi provai a riafferrargliene alcuni ricordi, forse anche sentendomi in colpa per non averlo fatto prima, per non aver saputo condividerne il lavoro, come spesso succede da ragazzi.

E’ questa la ricostruzione di un’indagine che ha lo scopo di far luce, una volta per tutte ed aldilà di ogni dubbio o condizionamento possibile, su tutta quella serie di fatti, rimasti oscuri e senza risposta, che contribuirono a creare uno dei casi investigativi più discussi del ventesimo secolo e che ebbe a denominarsi come quello del “ Mostro di Firenze “.

Molti sarebbero gli avvenimenti, correlati, da chiarire, ma mi limiterò qui a trattarne solo quelli principali, quelli utili all’identificazione di come si svolsero le cose nel loro percorso primario, lasciando libero arbitrio, ad ognuno, di approfondirne particolari e contorni, per proprio conto : quello che ne emergerà sarà, del resto, un quadro sufficientemente completo e sorprendente dell’intera storia fin qui conosciuta ...

Sarebbe, in ogni caso, impossibile, per la vastità degli argomenti e delle persone che, anche solo marginalmente, vi presero parte, e non meno ingeneroso, nei confronti di chi ebbe a subirne maggiormente le conseguenze, arrivati a questo punto, rispondere a tutte le domande, riaffrontarne tutti i temi … Riaprendone le ferite ...

Non ho trovato altro modo che renderne un’esposizione frammentata nei resoconti, in quanto fu la stessa vicenda a svolgersi così, rimandando, di continuo, a sempre nuovi collegamenti : nell’invitare il lettore a tenere ben presenti i differenti archi temporali in cui mossero gli eventi, nonché ad un’attenta valutazione in merito alla localizzazione ed alle dinamiche degli stessi, sarà mio compito, per quanto possibile, districarne e riannodarne tutti i fili, lasciando a lui medesimo, da ultimo, la facoltà di incastonarne definitivamente i pezzi.

Le dichiarazioni che seguono, risulteranno tutte agli atti dei verbali. Le parti dei dialoghi, nella sezione finale, sono state dedotte sulla base degli stessi avvenimenti che ne diedero corso.

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La serie omicida

21 agosto 1968, Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, Signa

14 settembre 1974, Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini, Borgo San Lorenzo in Mugello

6 giugno 1981, Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio, Scandicci

22 ottobre 1981, Stefano Baldi e Susanna Cambi, Calenzano ( Prato )

19 giugno 1982, Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, Baccaiano di Montespertoli

9 settembre 1983, Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rusch, Giogoli di Scandicci

29 luglio 1984, Claudio Stefanacci e Pia Rontini, Vicchio di Mugello

8 settembre 1985, Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, Scopeti in San Casciano di Val di Pesa

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Legenda

S.M. - Stefano Mele

S.V. – Salvatore Vinci

F.V. – Francesco Vinci

P.M. – Piero Mucciarini

G.M. – Giovanni Mele

N.M. – Natale Mele

P.P. – Pietro Pacciani

F.N. – Francesco Narducci

F.C. – Francesco Calamandrei

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Il caso

Due indagini, due filoni d’inchiesta, montagne di carta e d’inchiostro, tra atti d’ufficio, carte processuali, ricerche, pubblicazioni, teoremi, il tutto a far da sfondo ad un comune sentire che mai avrebbe immaginato tutto ciò.

Eppure, nella civilissima Firenze di oggi, la stessa che dalle vestigia di un illustre passato, di poeti, pittori, architetti, scultori, artisti di ogni genere, ed ancora inventori e scienziati, si era fatta vanto, nelle sue campagne così ricercate, meta da ogni dove e di chiunque fosse alla ricerca di una qualunque cosa, qualcosa di impensabile era rinvenuto a galla, a testimonianza di un passato creduto ormai sepolto, fatto di congiure e tradimenti, roghi ed impiccagioni, vendette e sangue.

Chi lo avrebbe mai creduto ?

Da una parte, è stato scritto che sia il retaggio di una società arcaica, per molti aspetti, ed in comunanza con molti altri luoghi, ferma alle tradizioni ed alle condizioni del passato, una sorta di deja-vù che credevamo superato ma che invece sta lì, solo a ricordarci come eravamo.

Dall’altra, come dall’altra parte del muro, vista invece come un benessere che si diffonde a macchia d’olio, con noncuranza, fedele ai propri istinti ed alle proprie voglie.

Ed in entrambi i casi con molto in comune : nei tempi, nei silenzi, nelle pause e nelle improvvise accelerazioni.

Ma cosa era successo realmente ?

Volendone apporre, ad origine, il suo primo atto delittuoso - benché escluso dalla casistica in oggetto, per effetto di una sentenza, inoppugnabile, già passata a giudizio negli anni 50 - l’intera vicenda, con i suoi strascichi, avrebbe attraversato, nel suo complesso e nel corso del suo evolversi, un intervallo di tempo di oltre mezzo secolo, fino a raggiungere l’alba di un nuovo millennio, andandone a sollecitare una memoria che si andava, sul finire, ormai sbiadendo, insieme ai drammi, le ansie, i dubbi, questi, tuttavia, ancor ben vivi e presenti in chi, quella storia, la visse, invece, fino in fondo, sulla propria pelle.

Otto coppie assassinate, una catena di duplici omicidi seriali, avvenuti tra il 1968 ed il 1985, nelle campagne della provincia di Firenze, secondo caratteristiche e ad intervalli di tempo dapprima singolari ed isolati, e poi via via sempre più omogenee e ravvicinati.

Eccezion fatta per i primi due della serie, e di altri due, tra quelli compresi dal 1981 al 1985, per i quali erano stati commessi degli errori di valutazione - il primo, sui luoghi e sui tempi : una strada ad alto scorrimento ed in concomitanza con una festività patronale nelle vicinanze ; il secondo, sull’identità stessa delle vittime - era stato asportato il pube dal corpo delle vittime femminili, un macabro rituale che si sarebbe ripetuto per ben quattro delitti.

Com’erano andate veramente le cose ?

Insomma, alla fine, chi era il “Mostro di Firenze” ?

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La pistola fantasma

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Come detto, vi erano stati, fondamentalmente, due tronconi d’inchiesta.

Il primo a sostenere la cosiddetta “pista sarda”, storia di emigranti e povertà, di clan, patti d’onore e supremazia del più forte, così come di denaro, passioni, tradimenti e vendette.

L’altro sulla scia dei rinomati “compagni di merende”, anch’esso dipinto in tutto il suo squallore e accompagnato, in seguito, da altre rivelazioni, in merito a fantomatiche sette sataniche, riti esoterici e presunti mandanti altolocati.

Se non stessimo parlando di fatti tragici, dati comunque in pasto ad un’opinione pubblica sempre più vasta e generalizzata, nonché affamata di notizie, direi quasi che ce n’era per tutti i gusti.

Obiettivamente, avendone letto entrambe le istanze di accusa, i procedimenti a carico, il susseguirsi delle indagini con i vari resoconti, testimonianze, etc. etc., e considerandone l’assiduità degli inquirenti, da ogni parte, nonché la loro serietà e professionalità, a me, personalmente, risulta difficile credere che possano esserci stati degli errori di giudizio, al punto che mi verrebbe da chiedere se non siano stati effettivamente più i “Mostri”.

Certo è che, ancor più difficilmente mi riuscirebbe credere che una sola persona, per così tanti anni, abbia potuto fare tutto ciò che ha fatto da sola, senza un aiuto : parlando con una persona completamente estranea ai fatti, un avvocato straniero, che nulla sapeva al riguardo, e raccontandogli un po’ tutta la storia, con la descrizione delle modalità in cui avvenivano i delitti e tutto il resto, la prima cosa che mi ha chiesto è stata come si fosse potuto pensare che un solo individuo avesse potuto esserne capace.

Esattamente ciò che balzò, da subito, agli occhi degli inquirenti.

Ma, facciamo un po’ di ordine.

La chiave, per chi abbia letto un po’ di quelle cronache, ma anche per chi ne fosse all’oscuro e volesse semplicemente farsene un’idea, è da ricercarsi nella famosa pistola che ha sparato, la beretta calibro 22, che è risultata sempre la stessa arma, a partire da quel primo e più lontano omicidio del 1968, quello per cui, successivamente, erano stati tirati in ballo i sopraccitati sardi e sui quali era venuto a convergere proprio uno dei rami d’inchiesta, in virtù del fatto che un’arma del genere, ovvero servita ad un delitto, mai e poi mai sarebbe passata di mano, per ovvie ragioni, a meno, come fu detto, che qualcuno non se ne fosse sbarazzato, e qualcun altro l’avesse ritrovata - ipotesi già considerata improbabile – oppure fosse stata oggetto di furto, come, invece, altri sostennero.

Occorre ricordare che, almeno all’inizio, niente ancora faceva presupporre ad un collegamento tra i sardi e coloro che ne ereditarono le cronache, ovvero i famosi “compagni di merende” : non vi erano elementi, e quindi, le due parti inquirenti, in seguito, continuarono ognuna a tirare l’acqua al proprio mulino, ferme nelle proprie ragioni e convinzioni.

Del resto, come dar loro torto ?

Le prove raccolte da entrambe, le rispettive testimonianze, i riscontri, con le medesime ammissioni a carico, come risultò anche dai processi, seppure apportate da fonti in egual misura di natura assai poco affidabile, così come erano le due cerchia di inquisiti, erano, oltremodo, talmente evidenti da fugare ogni dubbio.

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Solo successivamente, va detto, emerse un elemento di unione tra le parti, e questo fu il coinvolgimento di un appartenente al clan dei sardi, tal Francesco Vinci, pregiudicato, alle poi rese note, occasioni di “svago” e di intrattenimento, con prostitute occasionali, che già da tempo accomunavano i sopraccitati “compagni di merende”.

Uno degli anelli della catena che veniva a materializzarsi.

Un altro sarebbe riaffiorato, anch’esso, solo anni più tardi, allorquando si venne a sapere che alcuni soggetti legati al suddetto gruppo, ne ricambiassero a loro volta le visite, cominciando a frequentarne, sul finire degli anni 70, un certo bar di Prato, considerato il ritrovo dei sardi.

Tuttavia, tornando al 1968, così raccontano le cronache.

Stefano Mele, manovale, trasferitosi dalla Sardegna in Toscana sul finire degli anni ’50, persona già debole mentalmente e facilmente suggestionabile, marito “cornuto” e consenziente dell’uccisa - al contrario di lei, donna dai “facili costumi” e, se possibile, ancor più generosa nelle continue elargizioni di denaro - servizievole al punto di portare la colazione a letto agli occasionali amanti della stessa, risultò positivo all’esame balistico cui fu sottoposto l’immediata mattina seguente il duplice omicidio, e fu poi riconosciuto da Natalino, suo figlio, allora bambino - e che dormiva sul sedile posteriore dell’auto, all’epoca del fatto - come presente sul luogo del delitto.

Come si evincerà in seguito, questioni di soldi a parte, si disse che non fosse da solo ma che vi fu portato perché convinto da qualcun altro del clan, appartenente al giro degli amanti della moglie, o comunque geloso del nuovo arrivato, ad assumersi responsabilità da marito e da maschio, e Francesco Vinci era da considerarsi, assiduamente e morbosamente, uno tra questi.

Il Vinci risultava, peraltro, già schedato nella vicenda dalle autorità locali – già di conoscenza nella persona del maresciallo Ferrero, comandante della tenenza di Signa - a causa di una denuncia sporta dalla moglie per concubinato ed abbandono del tetto coniugale.

Ma se così fosse, se era la gelosia il movente personale che lo spinse ad uccidere, che motivo avrebbe avuto, lui come un altro, di portarsi dietro il marito ?

L’esame del guanto di paraffina, cui fu sottoposto, insieme al Mele, quella prima mattina, risultò per lui negativo.

Tuttavia, dopo un’iniziale dichiarazione d’innocenza, ben presto smentita alla prova dei fatti, il Mele, in un primo momento, aveva fatto ricadere le colpe su tal Salvatore Vinci, fratello di Francesco, anch’egli già amante della moglie.

Il processo che si svolse a Firenze nel marzo del 1970, vide la condanna a quattordici anni di reclusione di Stefano Mele, chiamato a rispondere anche del reato di calunnia nei confronti dei due fratelli Vinci e di tal Carmelo Cutrona, altro ex-amante della moglie, da lui chiamato in causa : ma fu soprattutto Francesco Vinci che ebbe a discolparsi maggiormente dalle accuse ed a risultarne, per questo, in testa alle cronache.

Dopo il 1968, il successivo delitto del cosiddetto mostro avviene nel 1974, sei anni dopo … e l’arma era sempre la stessa, anche se ancora non si sapeva.

Ma il punto è : era già cambiata di mano, oppure no ?

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I sardi rientrarono nell’inchiesta solo dopo il giugno del 1982, a serialità riconosciuta negli ultimi omicidi, grazie ad un ricordo accesosi nella memoria del maresciallo Fiore, in forza ai carabinieri, anch’egli all’epoca dei fatti del 1968 in servizio a Signa, che faceva presente agli inquirenti - nella fattispecie mio padre, ufficiale di servizio in quel giorno festivo - quel vecchio delitto, avvenuto con le stesse modalità dei seguenti, asportazione dei feticci ed accanimento sui corpi a parte.

Col tempo, a siffatta connessione, sarebbe poi stata confutata l’origine, attribuendone la causa ad una presunta segnalazione anonima - si dice una lettera - ma sta di fatto che niente risultò mai agli atti, ed appare, sinceramente, anche assai poco credibile che un reperto del genere non sia stato conservato.

A seguito di immediate perizie, fu subito accertato che la pistola fosse sempre la stessa.

Cominciò così, a turno, come da prassi ed in assenza di altri elementi, l’ingresso negli indagati dei vari soggetti legati al clan, di volta in volta scagionati dai delitti che, in quel periodo, il cosiddetto Mostro, sempre più frequentemente, metteva a segno.

Logica vorrebbe che a quel primo delitto, per le motivazioni che lo addussero, nuovamente al vaglio degli inquirenti, soldi o gelosia che fosse, e che medesime ne verrebbero a decadere con l’avvenuto espletamento, non ne seguissero altri ad opera degli stessi esecutori.

Un fatto destò comunque stupore : gli incartamenti di quel vecchio processo del 1970, di cui vennero richiesti gli atti, per l’assolvimento delle formalità del caso, si trovavano a Perugia, in Umbria, presso la competente sezione del tribunale.

Nel faldone, tornato indietro, addirittura, furono ritrovati i bossoli repertati in quel lontano 1968, rendendone possibile la perizia, ed in seguito ci si chiese anche come mai quel materiale non fosse stato, nel frattempo, già distrutto, come da normativa vigente, in quanto trascorsi 10 anni, ovvero il tempo massimo del loro periodo di archiviazione, dalla data di scadenza del procedimento.

Presumibilmente, come spesso accadeva, doveva ancora esserne eseguito un inventario : queste attività, di minor rilevanza, spesso, subivano dei ritardi, per cause contingenti ; oppure fu fatto, seppure in ritardo, ma la pratica, a quel tempo, era già stata trasferita.

Ma, soprattutto, viene da chiedersi, cosa ci faceva quel fascicolo a Perugia ?

Allora non fu possibile stabilirlo - come a risultarne un insabbiamento - ma sta di fatto, ed è bene ricordarlo, che solo un’autorità interessata avrebbe potuto farne richiesta, prima ed una volta scaduti i termini.

Ci sarebbe, quindi, da domandarsi : e perché ne avrebbe fatto richiesta ?

Va qui ricordato che negli anni 80, precisamente a partire dal secondo omicidio del 1981, cominciava a diffondersi, sempre più, la voce che ad esserne responsabile potesse essere un dottore, un medico : voce accreditata dalle modalità, peculiari, in cui avvenivano i delitti, come pure dalle medesime perizie - peraltro non uniformi, anche sul tipo di lama usata per le escissioni - che sembravano ricondurre, tutte, ad una particolare precisione nel taglio.

Come un medico, od anche, come fu detto, un cacciatore pratico nello scuoiare le pelli.

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Fu un’indovina, una sensitiva - a nome Teresa Stoppioni - per prima, ad indirizzarne l’attenzione verso un dottore, un medico … esattamente nel novembre del 1981 : fu ascoltata dagli inquirenti, su sua pressione, perché aveva qualcosa da dire loro, in un momento in cui le indagini - come si dice in gergo - languivano, e rilasciando una deposizione assai singolare, presenti due ufficiali, uno medico ed uno dei carabinieri, responsabile delle indagini (cfr.: a quel tempo, mio padre ) che altro non poterono se non prenderne atto e rilasciando la cosa in sospeso.

Era una mitomane od aveva uno o più motivi per farlo ?

Rileggendole oggi, tuttavia, è possibile estrapolarne e coglierne, da quelle dichiarazioni, talune frasi ed elementi - allora, nel loro insieme, così apparentemente disgiunti e, soprattutto, privi di riscontri … sebbene non in modo tale dall’impedirne, ad una stampa, a quel tempo, sulle spine ed a caccia di notizie, a farne circolare, appunto, una “voce” … - che già riconducevano, come sarebbe stato possibile appurare solo in seguito, verso qualcuno, una persona che, in quel frangente, non avrebbe mai potuto obiettare niente, forse, perché già coinvolta, seppure in maniera indiretta ...

Un discorso concordato e preparato ad arte, nel quale erano state raccolte tutte le informazioni di cui, allora, si disponesse. Un segnale forte : si era voluto mandare un avvertimento.

"L’assassino ha in casa dei quadri con vedute marine, ha avuto a che fare con una donna mulatta, porta occhiali scuri, giacca scura, veste elegantemente, sta in ufficio e la sua casa ha una terrazza con un muretto come ringhiera. Lo vedo attraversare una piazza con archi e porticati, senza alberi e di sera, forse ha un amico che si chiama G…. vive con la madre, non è sposato e soffre di gastrite. Non ha mai toccato i seni delle donne uccise ed è un pederasta. Ha in casa un letto ed un armadio stile antico di colore marrone ... tiene tutto in ordine. In casa c’è una statuina marrone che forse raffigura un indiano, uno specchio con cornice dorata. Lui ama mascherarsi e gli piacciono i giovani… In cantina ha una enoteca, odia la Chiesa, si tinge i capelli o porta una parrucca… usa spesso le parole celibe, celebre, cervo. È amico di un ingegnere, ha in casa molta roba vecchia, forse una casa di campagna, è un chirurgo e ha a che fare con Domodossola. Va all’estero, più che altro in Germania e non va per lavoro… Forse ha studiato dai Gesuiti… ed ha a che fare con la medicina, forse è un ginecologo … Lo vedo con una donna mulatta al mare … Frequenta la Galleria degli Uffizi e guarda sempre un quadro raffìgurante un nudo di donna. Va spesso in una mesticheria in via dell’Ariento e per 3 o 4 giorni è stato fuori Firenze ..."

Alcuni collegamenti risultano, oggi, fin troppo evidenti, come sarà chiaro più avanti …

Di altri, solo la famiglia avrebbe potuto darne conferma ...

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Francesco Narducci

Giovane e noto medico di Perugia, di famiglia importante : bello, ricco, sportivo, giovanile, elegante, narcisista, di ottima cultura, una figura sempre in primo piano … quella che si poteva, benissimo, definire come una persona di successo.

Così lo avrebbero conosciuto tutti.

Ma a quel tempo era ancora uno studente di medicina, non ancora laureato : in quella fase di crescita e di ricerca propria di un ragazzo, di un adolescente come un altro … seppure, almeno fino a quel momento, per lui , assai più fortunata.

Considerandone le disponibilità economiche familiari e l’ampia libertà di cui godeva, avrebbe anche abitato a Firenze, città che ebbe modo di conoscere ed apprezzare durante il servizio militare … Ma, soprattutto, da qualche anno, aveva preso con il farsi affittare dal padre una casa colonica, da quelle parti della campagna toscana, in località San Casciano, trascorrendovi dei periodi di vacanza ed allargandovene, al contempo, il giro di conoscenze.

Dapprincipio fu il figlio del farmacista del paese, tra l’altro, collega di studi … poi ne seguirono anche altri, tra gli abituali e coetanei frequentatori della zona, tutti di ottima famiglia e, come lui, aperti alle nuove “avventure” che quella particolare fase di vita comportava.

Probabilmente instradatovi da talune nascoste abitudini paterne, che ne avevano smosso la curiosità, subì l’influenza di un vicino di casa, di nazionalità straniera, anch’egli lì per periodi occasionali, interessato di storia delle religioni antiche, ed a quel tempo dedito allo studio di pratiche nella conservazione dei corpi, lasciandosene così addentrare, insieme a quegli altri ragazzi, nel mondo dell’occulto …

Insieme, impararono anche a conoscere, sempre più da vicino, i differenti tipi di abitanti del luogo, cominciando, per gioco, a condividerne, con alcuni, ritenuti tra i più “interessanti”, sempre più spesso, il tempo e le esperienze.

Non immaginava, allora, come sarebbero andate a finire le cose.

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Francesco Narducci – 2

Era di famiglia fin troppo “ bene “ e conosciuta e non poteva, certo, permettersi di ritrovarsi invischiato in quella vicenda.

All’inizio, per lui, era stato come un “gioco“, una sorta di “passatempo”, nel quale era rimasto coinvolto assieme ad altri suoi amici, e che si sarebbe concluso con il presenziare ad un particolare “rito propiziatorio“, pagano, in un certo luogo.

Era stato introdotto in quell’ambiente, qualche anno prima, da un collega di studi ( F.C. ), appassionato di quadri, figlio del farmacista del paese.

Ad essi s’erano poi aggregati altri “ rampolli “, della zona o, come lui, in semplice visita …

Un gioco viziato tutto - seppur non per lui - da un uso sistematico di droghe pesanti, sintetiche ed artificiali, e che però, alla fine - per ognuno di loro - si era rivelato tutt’altro, andando ben oltre le regole, ben oltre le aspettative.

Qualcuno dei suoi amici si era, persino, lasciato trascinare più a fondo, arrivando fin dove lui non poteva.

Il padre era spesso assente per motivi di lavoro e lui, da giovane, trascorreva la gran parte del tempo in casa in compagnia della madre … e nonostante fosse ancora nel periodo degli studi, per tutti, era già il dottore … A quel tempo, celibe … padre, celebre ginecologo, del quale si pensava avesse potuto seguire le orme … Possedeva una giacca in pelle di cervo, di cui andava fiero, facendone sfoggia … sempre elegante nel vestire ... Si professava ateo … Giovanile e narcisista, con l’ossessione di perdere, come il padre, i propri capelli … Con problemi di gastrite, tanto che ne avrebbe, in futuro, presa la specializzazione … Raccontava spesso dei suoi viaggi, anche all’estero … e si diceva avesse avuto una relazione con una donna mulatta, d’origine brasiliana ( cfr. Alves Jorge Emilia Maria ) … Amante del mare … Aveva, di famiglia, una casa di campagna, con mobili antichi, una cantina ed un’enoteca … Gli piaceva mascherarsi, tanto da guadagnarsi, tra la gente del posto in cui il padre aveva quella seconda casa, sulle rive di un lago, un particolare soprannome … E non partecipava a quelle orge, rimanendosene in disparte e finendo con l’essere scambiato dagli altri, da qualcuno di quell’altra combriccola di disgraziati e pervertiti, cui s’erano accodati, prima, per un omosessuale - cosa che lo avrebbe spinto a vantarsi, nei loro confronti, nell’aver preferenze più giovanili al proposito, considerandone l’età dei partecipanti - e poi, in un secondo momento, da qualcun altro di loro, più lesto e calcolatore, per un soggetto debole, un possibile bersaglio …

Le cose sarebbero ben presto, degenerate, così che lui, già provato ed impaurito, dapprima cercò di mettersi in contatto con la famiglia dell’ultima uccisa - il giorno successivo al delitto di Calenzano del 22 ottobre 1981 - quando, spinto dal rimorso, fu bloccato nel tentativo ; ed a carte oramai scoperte, allorché non poté più fare a meno di chiedere aiuto al padre, medico di fama e con molte conoscenze altolocate, già affiliato a loggia massonica, che, in assoluta segretezza, fece a modo di prendersene a carico tutta la situazione, assumendosene, al principio, anche le spese, e ponendo, successivamente, fine al tutto.

Ma il danno era ormai fatto, così che quel giovane medico di Perugia, cui si prospettava un sicuro avvenire, dopo averne, ripetutamente, tratte e considerate le conseguenze, non fu più capace a reggerne il peso.

Ad un’ulteriore rivendicazione di un ennesimo misfatto - che sarebbe, poi, anche coincisa, insieme ad essi, con l’ultima della serie - e reiterata richiesta di denaro, così come era avvenuto per tutte le altre volte, dopo

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averne lasciato una lettera - scomparsa - a spiegazione e confessione dei propositi, sopraffatto dalla vergogna e dai sensi di colpa, e con in mente l’onore di una famiglia, ormai, a causa sua, compromesso, decise a farla finita, “costringendosi” (1), in nome e di fatto, a non doverne mai più far parola e spingendo la stessa famiglia ad organizzarne un’incredibile messinscena, al fine di nasconderne, all’esterno, i reali motivi ed a farne apparire il tutto come una tra le più naturali e terribili delle disgrazie.

Tra quegli amici vi fu chi scomparve, cancellando le proprie tracce, e chi ebbe a pensare a se stesso, facendo, così, calare il silenzio più assoluto su tutta quella storia.

Sarebbero trascorsi altri anni prima che uno di loro ( F.C. ), a seguito dei travagli di un processo ed all’abbandono ed alla cessione di un’avviata e già condotta attività paterna, ne riprendesse in mano una vecchia passione, lasciandone a testamento una serie di quadri - realizzati con chiodi, fili spinati, siringhe, materiali organici ed in disfacimento - nei quali erano più che espliciti i riferimenti alla violenza e ad un mondo dominato da sostanze psicoattive, quale testimonianza di una discesa agli inferi che lo aveva visto coinvolto in prima persona ...

( 1 ) “…L'impiccamento può essere totale, se il corpo pende senza alcun appoggio, o parziale, se invece una qualche parte del corpo può comunque trovare appoggio, quando il suicida non ha valutato bene il suo teatro d'azione…”

Il mistero del doppio cadavere

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Se inserito nel contesto del suo insieme, avrebbe perso molti di quei caratteri …

Le cronache del tempo raccontano che Francesco Narducci, l’ 8 ottobre 1985, durante un turno di servizio in ospedale, ricevette una telefonata che lo indusse ad abbandonare anzitempo il lavoro…

Dopo essere passato dalla moglie ed averla rassicurata su di un pronto ritorno, congedatosi da lei in un modo che - come in seguito raccontò - le apparve strano ed inaspettatamente “affettuoso”, quasi a voler significare un addio, si diresse con la motocicletta verso la tenuta familiare di campagna di San Feliciano, sul lago Trasimeno …

Arrivatovi, previ accordi con il tenutario del molo, si allontanò con la barca personale, ivi ormeggiata, e da quel momento se ne persero le tracce.

Ne fu, ufficialmente, ritrovato il cadavere, emerso dalle acque del lago, il giorno 13 ottobre 1985.

Ciò che andò poi a rimettere in discussione il tutto, fu il fatto che alla salma, allora “ripescata”, furono impedite tutte le normali e convenzionali operazioni del caso, quali un’autopsia e tutti gli eventuali ed ulteriori accertamenti più approfonditi che, di norma, erano previsti, e questo per espressa e ferma volontà dei familiari, lì presenti, cui facevano eco le stesse disposizioni allora impartite dal questore di Perugia – appartenente alla stessa loggia massonica del padre del medico deceduto - anch’egli, di persona, lì sul posto, in maniera imprevedibilmente tempestiva, allo scopo di farne sbrigare e chiudere, nel modo più repentino possibile, tutte le formalità : si disse che non ve n’era motivo ; si trattava, o doveva comunque trattarsi, di un annegamento, come appariva evidente ; di una pura, semplice e tragica disgrazia …

Eppure, come si dimostrò poi anche in seguito, dai rilievi fotografici che vennero eseguiti, quel corpo era, addirittura, di una statura differente rispetto a quella del medico, così come la conformazione e gli stessi tratti somatici : perfino allora, all’epoca del ritrovamento, vi fu chi espresse meraviglia e fece fatica nel riconoscerne od anche solo nell’ammetterne un’effettiva corrispondenza …

Vi furono, tuttavia, alcuni pescatori del luogo che rilasciarono dichiarazioni assolutamente contrastanti rispetto a quanto risultò essere l’ufficialità delle cose, ma che a quel tempo non trovarono spazio : il corpo del medico, in realtà, era stato rinvenuto la mattina del 9 ottobre 1985, ben quattro giorni prima, con le mani ed i piedi legati, unitamente al collo, su di una spiaggia di un isolotto del lago, ed il padre, prontamente avvertito, si sarebbe, quel giorno, raccomandato e prodigato affinché non ne venisse fatta parola …

Il caso poi volle che nel 2001, in seguito a più intercettazioni telefoniche per un caso di usura, in Umbria, fu ufficialmente riaperto il fascicolo e successivamente rimesso in discussione l’avvenuto decesso del medico perugino, allora attribuito a disgrazia, facendone ipotizzare un omicidio e dandone così adito ad ulteriori congetture e coinvolgimenti : nel 2002 fu riesumata la salma e riscontrato che presentava lesioni compatibili con lo strozzamento, unitamente a tracce di narcotizzanti nei tessuti ( materiale, quest’ultimo, facilmente reperibile per un medico e, soprattutto, necessario alla realizzazione di ciò che si era prefisso ; d’altronde, se fosse stata opera di terzi, dove ne sarebbe stata l’esigenza ? )

A darne corso, nella prima di queste, un gruppo di pregiudicati avrebbe minacciato una tale “Dora” di farle fare la stessa fine del “medico ucciso sul Trasimeno” : tale traccia, confermata dalle altre che seguirono,

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deviò subito gli inquirenti umbri ed il magistrato che si stava allora occupando del caso, per uno strano scherzo del destino, proprio verso la figura di Francesco Narducci, anche se questi non aveva mai avuto rapporti con il mondo dell’usura, al contrario di un altro medico, scomparso più recentemente, in circostanze analoghe, cui molto più probabilmente veniva fatto riferimento …

La diffusione della notizia fece il resto, spingendo i presunti usurai, col proposito di spaventarne maggiormente la suddetta commerciante “Dora”, come da successive intercettazioni avvenute, a citarne esplicitamente e volutamente quei nomi che erano sempre più sulla bocca di tutti (cfr.: Narducci e Pacciani).

Ad avvalorarne, per non dire complicarne, il tutto, si venne poi a sapere che vi erano state anche una serie di segnalazioni anonime, ricevute dagli inquirenti, che, a partire dalla data della sua morte, mettevano, direttamente, il Narducci in relazione ai delitti del cosiddetto Mostro di Firenze : quasi a volerne, da parte dei mittenti e per effetto di esse, ad un certo punto, allontanare i sospetti da qualcun altro … tanto più che, ormai, ne avrebbe rappresentato il “capro espiatorio” ideale, anche considerato che non avrebbe potuto più negarne gli addebiti …

Da ricordarne, che in seguito al primo delitto del 1981, fu fermato dagli inquirenti - e poi rilasciato, successivamente ad altro omicidio, il quarto, complessivo, della serie, che, di fatto, personalmente, lo

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scagionava - un autista di autoambulanze, sospetto testimone, sulla scena, in qualità di “ guardone “, attività cui era dedito, che, per paura, codardia, senso dell’onore od altro, dopo ripetute contraddizioni e ritrattazioni, si trincererà dietro un assoluto e sprezzante mutismo, senza consentirne l’identificazione dei responsabili : atteggiamento che indispettì non poco gli inquirenti nei confronti dei cosiddetti “ indiani “, visto che era emerso dagli interrogatori, in maniera inequivocabile, che avesse appreso dell’omicidio e di alcuni particolari ad esso inerenti, prima ancora che la scoperta dei cadaveri fosse resa ufficiale e che la sua stessa auto era stata riconosciuta in prossimità della piazzola del delitto.

Nel mentre era in prigione, gli sarebbe stato fatto arrivare un messaggio di sostegno, visto che non aveva parlato, con la rassicurazione che presto sarebbe stato liberato.

Risentito successivamente, avrebbe poi alluso - in tono di sfida e di scherno - in riferimento a quanto accaduto, alla presenza di qualcuno di importante : ribadì, a suo giudizio, che alla propria colpevolezza si era giunti allo scopo di proteggerne il figlio di qualcuno che stava “in alto” …

A coincidere con l’ultimo delitto della serie omicida, avvenuto nel 1985, sarebbero, da poi, accaduti altri avvenimenti particolari.

Nell’immediato, la spedizione di un lembo di pelle, che si appurò proveniente dal seno sinistro dell’ultima vittima femminile, indirizzato alla procuratrice Silvia Della Monica, che si era occupata del caso e che aveva, a suo tempo, lanciato una sfida all’assassino ; una brusca ripresa nell’intensificazione dei sospetti nei confronti di un dottore, tra le cui cause furono prima il rinvenimento di un bossolo calibro 22 della serie H, nel piazzale antistante un ospedale, e successivamente, l’invio di tre buste indirizzate ai pubblici ministeri che stavano, allora, conducendo le indagini - Vigna, Fleury e Canessa - e contenenti, ciascuna, una cartuccia dello stesso tipo, avvolta ad un’estremità tagliata da un guanto di lattice, di quelli ad uso chirurgico, accompagnate tutte da un messaggio minatorio ; di lì a poco, la morte di un noto medico di Perugia, ritenuto annegato, che sarebbe entrato parallelamente nell’inchiesta ; e più in seguito, per malattia, nell’agosto del 1986, quella di un mago, fino ad allora sconosciuto, che operava nella zona di San Casciano in Val di Pesa.

Sebbene fosse all’attenzione degli inquirenti fin dal 1985, per una segnalazione anonima di un compaesano, e mentre questi era già in carcere dal 1987, per violenza carnale nei confronti delle figlie, nei primi anni 90 un ramo d’indagine s’era spostato, più decisamente, verso la figura di Pietro Pacciani e successivamente sui “compagni di merende”.

Chi fossero quelle persone risulta assai avvilente dirlo, soprattutto per chi ne abbia letto le cronache a quel tempo o seguito il processo …

Pacciani abusava delle sue due figlie, fin da quando erano in giovane età ; picchiava la moglie e, per un certo periodo, “… aveva nutrito la famiglia con cibo per cani …” ; quando era più giovane, inoltre - correva l’anno 1951 - aveva commesso un omicidio nei confronti di un amante della sua compagna ( cfr. Miranda Bugli ), spaccandogli la testa con una pietra, avendo trovato i due appartati in atteggiamenti intimi - lei a seno sinistro scoperto - e costringendovi lei ad un rapporto sessuale accanto al cadavere del di lui … e per questo scontando anni di carcere …

Vanni, detto Torsolo, il postino, era un pervertito sessuale, per non parlare degli altri componenti : tra tutti si dedicavano ad attività di “ voyeurismo “, andavano a prostitute, si intrattenevano in rapporti omosessuali, con orge e quant’altro.

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Pacciani, in particolare, di questo gruppo era da considerarsi, a tutti gli effetti, il maschio “ alfa”, l’elemento dominante : caratterizzato da una personalità violenta, bugiarda, perversa, scaltra, approfittatrice, sicura di sé, incosciente, imprevedibile, ed a suo modo ed interesse, calcolatrice, fisionomista e di ottima memoria.

In seguito emerse anche il coinvolgimento di un tale mago Indovino, agli atti, Salvatore Indovino, siciliano, ex-pregiudicato, trasferitosi nella zona di San Casciano sul finire degli anni 70, e nella cui casa si dice avvenissero riti legati a pratiche esoteriche.

Si era ritagliato uno spazio, a suo modo, in quel posto : trovandosi una “ combriccola “ di ambulanti e aspiranti creduloni, tra la gente del luogo - anche se di qualcuno v’era da preoccuparsi - e cominciando ad interagirvi.

Insomma, tra i possibili esecutori dei delitti, questo nuovo ramo d’inchiesta aveva trovato di che nutrirsi.

Il processo a Pacciani, dopo un primo e secondo grado che lo avevano visto prima condannato e poi assolto, non arrivò ad un terzo dibattimento per intervenuto decesso di questi, il 22 febbraio 1998 : fu trovato morto nella sua abitazione di Mercatale, con i pantaloni abbassati ed il maglione tirato in alto fino al collo, e dall’esame tossicologico cui fu sottoposto furono rilevate nel sangue tracce di un farmaco antiasmatico fortemente controindicato per lui, affetto già da malattia cardiaca.

Forse, qualcuno, già provato duramente, era intervenuto per porre fine alla storia.

Ulteriormente da questo, se ne aprì un terzo di filone d’inchiesta, e ciò avvenne perché si ritenne poco probabile che i suddetti “compagni di merende” avessero potuto agire solo di propria iniziativa, soprattutto considerando alcuni resoconti finanziari sullo stesso Pacciani - proprio tra gli anni 1981 e 1985 - tali da non essere giustificabili, a prima vista, in altro modo.

In particolare, gli vennero riscontrate somme di denaro fin troppo ingenti per il tipo di vita che conduceva : depositati presso più conti correnti postali della zona, risultavano più versamenti eseguiti a suo nome e favore ; tanto che se ne pensò ad una committenza, ipotesi avvalorata dalle voci che ne vedevano addivenuti coinvolti - per chiamata in correità da parte di uno dei testi, legato al sopraccitato gruppo ed interrogato a giudizio - alcuni personaggi altolocati … ma trascurandone, al contempo, un altro possibile motivo della provenienza, forse più attinente, in quella situazione ed a tutt’oggi mai preso in considerazione : il ricatto.

Il processo - che non aveva visto “ alla sbarra ” un altro indiziato ( F.N. ), solo perché già deceduto - si sarebbe concluso nel 2007, da ultimo, per gli imputati accusati di esserne i mandanti ( F.C. ), con formula di assoluzione piena, in quanto “ il fatto non sussiste “.

Furono in quel periodo, pure, attribuite - sebbene si vivesse in un’epoca già più abituata ai moderni telefilm d’azione d’oltreoceano - alle indagini che si svolsero in quel primo e più lontano arco temporale, talune omissioni, imputandovene delle mancanze : ebbene, solo oggi è possibile stabilirne, per certo, l’infondatezza, come se ne evidenzierà meglio più avanti, data l’allora completa assenza di riferimenti o controprove a riscontro.

Stupisce semmai il fatto che, chi fece tali ammissioni e ne ereditò l’inchiesta, seppure in maniera tardiva, col compito di ricondurne le indagini, avesse, a quel punto, lui stesso, invece, proprio tutti gli elementi necessari

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per poter inquadrarne, per intero, le fila : ma commise, anzi, un errore, quello di dimenticarne, o comunque, sottovalutarne il passato di quella storia, le sue medesime origini.

Rimaneva, nel computo generale, l’assoluta discordanza tra il primo delitto e quelli avvenuti in seguito.

Sull’altro versante, tra le carte, risultava anche l’episodio di una denuncia, da parte del Salvatore Vinci, riguardo un ipotetico furto, subìto dal medesimo, nel proprio magazzino : i fatti risalgono al periodo di marzo/aprile del 1974, precedentemente al secondo delitto, ed a tal proposito fu detto che la pistola avrebbe potuto cambiare di mano proprio in quel frangente, senza, peraltro, spiegare come mai un sospettato di omicidio avesse potuto rivolgersi alle autorità in piena coscienza delle cose, a meno di non voler denunciare, così facendo, se stesso.

Trovò il garage in disordine, ma non essendo stato in grado di riferire alle autorità cosa gli fosse stato rubato, la denuncia fu reiterata in violazione di domicilio.

Forse non fu la pistola ad essere sottratta, ma qualcos’altro ad essa strettamente legato, ed il cui valore era tale da non poter essere banalmente gettato, bensì conservato e dimenticato, tra gli altri oggetti, proprio in un magazzino.

E fu fatto anche un nome : si disse che ad essere accusato per quella effrazione, in quell’occasione, fu Antonio Vinci, figlio di Salvatore, che all’epoca dei fatti aveva già abbandonato la casa del padre, a causa dei continui contrasti, trasferendosi a Montelupo, presso lo zio Francesco, per il quale, invece, stravedeva.

Antonio aveva da sempre ritenuto colpevole il padre, per la morte della madre, avvenuta diversi anni prima, quando ancora i due risiedevano in Sardegna.

Secondo alcuni era Antonio il principale indiziato degli omicidi seriali, ipotesi suffragata anche da un rapporto inviato dall’F.B.I., circa la personalità e le caratteristiche che più si adattavano al tipo di serial killer ricercato.

Ma c’è da dire che Antonio, all’epoca, era soltanto un ragazzo.

La verità, in effetti, non era lontana, seppure da una parte e dall’altra ognuno fosse certo delle proprie ragioni, ma doveva altresì stare nel mezzo, come era logico che fosse, a testimonianza che quell’anello mancante, l’elemento chiave che legava le due storie, e che ormai tutti riconducevano alla famosa pistola, ma di cui nessuno aveva, ancora, saputo dire niente, era invece lì a portata di mano, anche se a tutti gli effetti non era ancora visibile, ancora non del tutto chiaro, come probabilmente non lo era mai stato, se non per qualcuno, accidentalmente …

Bisognava tornare laggiù, a quella notte, nel 1968, nella campagna di Signa, dove tutto era cominciato, tenendo presente che a quell’ora non v’erano soltanto due persone che venivano uccise, e molto probabilmente, come si pensava, uno o più carnefici, ma v’era anche una terza presenza, distinta, più volte nominata nell’arco di tutta la vicenda, eppure mai discussa in quella occasione : una figura nell’ombra, che stava lì per determinate e proprie ragioni, giunta da non molto lontano, come altre volte avrebbe ripetuto, e che quella sera assistette a qualcosa che lei stessa non aveva previsto …

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Quella persona doveva ancora maturare, per diverso tempo, ciò che fece in seguito ; ancora rivelarsi come la presenza inquietante cui fece riferimento, nei giorni precedenti la propria morte, la ragazza vittima a Borgo San Lorenzo nel 1974, trafitta sul seno sinistro da una serie impressionante di coltellate e penetrata nella vagina da un tralcio di vite - scena che provocò, al dibattimento in aula, lo svenimento di un carabiniere - ed alla quale occorreva fargliela pagare, magari per un normalissimo diniego ; ancora trovare dei compagni di merende e di “gioco”, come fece, a distanza di anni, con i quali spartire e condividere le “avventure” ; ancora incontrare, sebbene sia ancora storia non nota, in questa infinita, tragica ed assurda vicenda, qualcuno disposto a lasciarsi ricattare.

Ma per fare chiarezza, occorreva, adesso, tornare indietro a ripercorrerne quel lontano 21 agosto 1968 ed all’inchiesta che ne seguì.

Allora, una cosa sembrava, altresì, certa, per gli elementi a carico : il delitto, doveva essere stato eseguito per mano, o partecipazione, di uno o più dei sardi.

Tra questi, con gli anni, risultarono inquisiti per i delitti, ed in seguito assolti “per non aver commesso il fatto” : F.V., S.V., G.M., P.M. ( 1989 - Sentenza del Giudice Rotella ).

Già durante le indagini del 1968 si era arrivati a sostenere, con buone ragioni, che il di lì a poco condannato, tal S.M., non poteva essere da solo sul luogo del delitto, ma che vi dovesse essere stato accompagnato da qualcun altro.

Le ricerche, allora, purtroppo, non poterono dare gli esiti sperati.

Troppe cose ormai si andavano accavallando, tra dichiarazioni, ritrattazioni, contraddittori, alibi precostituiti, da parte di tutti gli indagati, come sarebbe successo, anche in seguito, coi nuovi omicidi, che, col tempo, avrebbero via via scagionato i vari sospettati, ed il tutto in assenza di quell’unica e vera prova : la pistola.

Lei, la stessa, che da sola, ad unire il tutto, per tutti quegli anni, non fu mai ritrovata : seppur “pesante”, s’era come smaterializzata, scomparsa, volatilizzata, come le era, forse, fin già dall’inizio, destino …

In quale cassetto era stata ferma e nascosta ? Lei, l’Arma Letale ... E per quanto tempo ?

Ora era giunto il suo momento. Come lo sarebbe divenuto ancora … E non sarebbe mai più rimasta chiusa, così a lungo.

Sarebbe più volte passata di mano, compiendo finalmente il suo dovere … Ed arroventandosi sempre di più, avrebbe dato completo e libero sfogo ai suoi impulsi, al suo stesso motivo d’esistere.

Fino ad esser raccolta, ormai fredda, logora e stanca, da un’ultima mano, già provata, che ne dispose, così, lo smembramento e la fine.

Nel maggio del 1992, fu recapitata agli investigatori, in forma anonima, un’asta guida molla di una pistola, avvolta ad un pezzo di stoffa, dello stesso tipo rinvenuto - unitamente ad una cartuccia esplosa, serie H calibro 22 e a del materiale di cancelleria di provenienza tedesca - nel corso di più perquisizioni eseguite presso l’abitazione del Pacciani.

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Sull’altra faccia della medaglia, l’immagine di un bambino, sconvolto, impaurito, abbandonato, caduto in disgrazia, perduto … innocente come tutti i bambini, ma lui ancor di più, e le cui ultime notizie riportano ad un avvistamento presso un campo di senzatetto - una baraccopoli situata nella zona dell’ex-ospedale psichiatrico di San Salvi - alla periferia sud di Firenze.

Era venuto, adesso, il momento di legare le due storie, convergerne le direzioni, riunirne - facendone combaciare, come in un puzzle - tutti i caratteri … nell’unico modo possibile … e dare, finalmente, un senso al tutto.

Ne tratterò nel modo più semplice e diretto, presentandone, come in una sorta di “macchina del tempo” ed aiutato dai ricordi di mio padre, i protagonisti più prossimi e che per primi s’intercalarono in quella vicenda, partendo da dove tutto ebbe inizio.

Ecco, di seguito, i fatti di allora.

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Nel buio

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Stefano Mele

Quel giorno che rientrò a casa, accompagnato, in orario così anticipato dal lavoro, uno dei giorni dei tanti, lui si sentiva già stanco.

Aveva lavorato sotto il sole cocente, fin tutto agosto, come sempre, ogni giorno, per portare a casa uno stipendio.

Ma non ebbe modo di ritemprarsi al meglio quel pomeriggio, per ciò cui assistette sin dal suo rientro, cose di cui aveva già memoria, fin troppo radicata nel suo inconscio.

Accadde la visita di due tra i nuovi amanti della moglie.

Quasi in contemporanea, l’uno, il più vecchio, quasi infastidito dalla presenza dell’altro.

E nessuno a far caso a lui.

Lui era stanco.

I carabinieri lo prelevarono a casa l’indomani sul presto, con le mani ancora sporche di grasso, poiché così in macchina, durante il ritorno, lui così poco avvezzo alle armi, era stato istruito, essendo quello il miglior solvente del caso.

Ma non era bastato il tempo e dai successivi rilievi erano emersi, da quelle stesse mani, residui di polvere da sparo.

In Caserma si ritrovò con un tal altro, F.V. , già amante di lei, oltremodo denunciato dalla moglie per concubinato ed abbandono del tetto coniugale.

Una volta l’altro lo aveva investito con la moto, ed approfittando della sua degenza in ospedale, si era piazzato in casa sua con la moglie.

Le piste si erano orientate, da una parte e dall’altra, alla ricerca di un possibile movente, e trovandone, anche, uno in comune : la gelosia.

Ma per le indagini che ne seguirono, era stato il marito a risultare il meno credibile.

Ad un punto, disse anche di aver gettato la pistola nel torrente, che fu dragato minuziosamente, tra l’altro in una stagione di secca, senza che questa, però, venisse mai ritrovata.

S.M. – Che faccio, cosa dico …? Sono innocente …? … Come puro esercizio di sopravvivenza.

Per poi ritrovarsi a dire … No sono colpevole !

Infine, rigettare la colpa di volta in volta verso i di lei convenuti amanti, e finendo il resto dei suoi giorni, anni dopo il carcere, in un istituto di cura, lontano da casa.

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Quel giorno, dopo la visita inattesa e prima di ciò che di lì a breve sarebbe avvenuto, lui era scappato : era fuggito a chiedere aiuto.

Ne trovò in tal S.V., anch’egli ex-amante della moglie, meteora già di passaggio, col quale era doppiamente legato, per via di una relazione omosessuale ai tempi in cui lo aveva ospitato in casa, che gliene rammentò l’onore, offrendosi a procurargli una vecchia pistola, rubata a suo tempo, e ad accompagnarlo fino al luogo del delitto.

Era giunto il momento, per lui, di farla finita e di comportarsi da uomo.

Lei, quella sera, era uscita con quel suo nuovo amante, recandosi insieme, prima ad un cinema, e poi in un luogo già conosciuto per la frequentazione di coppiette in cerca di intimità … e loro avevano seguito quell’auto, arrivando anch’essi in macchina, lui e l’amico, che, una volta arrivati sul posto, gli diede la pistola e lo fece scendere.

Tutt’attorno era avvolto nel buio : nelle strade e nei dintorni, a lontananza, non si vedevano ormai che poche luci ; la luna, al primo stadio, era confusa e inviluppata in una lieve foschia … e lui era solo, con una pistola in mano …

Le armi lui le riconosceva, in quanto uomo, ma nulla più, non avendone mai fatto ricorso.

Gli tremavano le gambe in quel breve tratto di strada, così come, ancor più, per altri motivi, le mani.

Lo avrebbe fatto davvero …?

Cosa lo attendeva più avanti …?

E poi c’era lui, il bambino, suo figlio …

Li aveva visti, seguiti assieme all’amico, quella sera ...

E i due si erano appartati col figlio di dietro !

Cosa sarebbe successo ?

Nel mentre si svolgevano le indagini, si riscontrò anche che non potesse essere lì da solo : troppa l’indecisione nel ricostruire la scena e l’assoluta poca confidenza con l’uso dell’arma.

Gli inquirenti lo spinsero a confermare.

E così lui fece il nome del suo amico.

Ad un confronto tra i due la cosa che più emerse fu lo sguardo, fermo e con un senso di disprezzo, dell’amico accusato.

Sì, era stato lui, doveva esser stato lui, così doveva chiudersi quella faccenda : ne andava del suo onore !

Al che si produsse, in caserma, in una scena di pianto e di scuse verso l’amico, il quale, successivamente, trovò il modo di aiutarlo una seconda volta, arrivando ad indicare come presunto responsabile F.V. , l’altro sospettato, addirittura suo fratello, anche se era già di dominio pubblico che tra i due non corresse buon sangue.

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L’altro, in fondo, era la pecora nera della famiglia, il meno avvezzo all’ordine, già causa di fin troppi problemi, a cui lui stesso, in prima persona, più volte, aveva dovuto por rimedio.

Gli sarebbe servito da lezione.

Ecco di chi è la colpa !

Degli amanti. Sì ! E’ a causa loro che ho patito tutti questi turbamenti !

Furono così, a turno, da lui accusati questi, sebbene F.V. risultasse, a sua buona ragione, il maggiormente additato.

In questo quadro, nonostante le delusioni patite, intervenne poi la famiglia a sistemare definitivamente le cose, dapprima nella figura di un cognato a nome Piero ( P.M. ), che immediatamente lo assistette nelle prime fasi dell’inchiesta - ed anni più tardi inquisito, in quanto identificato dal bambino, addirittura, come presente sul luogo del delitto - e successivamente in suo fratello, G.M., il quale, mettendogli in tasca un biglietto, si era, in un certo modo, adoperato al fine di strappargli la promessa che avrebbe poi fatto, finalmente, quel nome, dopo aver scontato la pena ; spiegato chi fosse quello “Zio Pieto”, nominato in precedenza dal ragazzino, che, così facendo, inconsapevolmente, aveva messo nei guai un’intera famiglia ; ed il tutto facendo leva su di una perizia balistica, agli atti, che già lo aveva riconosciuto, formalmente, come colpevole.

Considerandone il diffuso grado di analfabetismo nei vari soggetti, questo risultò essere il testo del biglietto, rinvenuto dagli inquirenti, consegnato da G.M. al fratello :

RIFERIMENTO DI NATALE riguaRDO LO ZIO PIETO

Che avesti FATO il nome doppo SCONTATA LA PENA

COME RisulTA DA ESAME Ballistico dei colpi sparati

Ma troppi erano stati i danni, le ingiustizie, gli errori ed orrori, così che passò, in seguito, il resto dei suoi giorni in cura, ripetendo sempre le stesse cose e senza dir più niente di nuovo a nessuno.

Lontani erano quei giorni in cui viveva al paese natio,lontana quella giovinezza, lontani i torti e le angherie subite, e non sarebbero più tornati … Qui, ora, finalmente, dentro di sé, aveva ritrovato la pace ed anche il suo onore.

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Salvatore Vinci

Veniva da un passato lontano, duro negli insegnamenti, dal quale aveva appreso a convivere con una particolare forma di solitudine : aveva conosciuto un tradimento, accompagnatosi a tutta quella serie di circostanze esterne, venutesi a creare, non di sua volontà, che ne avrebbero macchiato, in quei luoghi, per sempre, la sua stessa esistenza.

Per questo aveva deciso di fuggire.

Da quel momento e da quel fatto, avvenne anche una specie di cambiamento in lui, che lo portò ad interiorizzare ed a sviluppare, forse a spirito di conservazione, una sorta di promiscuità generalizzata nei rapporti interpersonali, unitamente ad una mentalità decisamente più aperta nelle libertà sessuali.

Fu scagionato, una volta, dall’accusa di reato per “ favoreggiamento alla prostituzione “ : era un tipo sveglio, anche se non, esattamente, uno stinco di santo.

Ma ciò non aveva comunque impedito di portarsi dietro, da quella terra natia, quel senso di onore che, da sempre, marchiava gli uomini come lui.

Giunto a nuova destinazione, fu presentato dal fratello maggiore a tale S.M. e, soprattutto, alla moglie di lui, donna assai bella e disponibile, avviandone una relazione e ricevendone oltremodo, ed assai facilmente, dal marito, ospitalità, cosa che un po’ lo stupì, ma che accolse certamente di buon grado, facendoglielo vedere di buon occhio.

Fu il periodo antecedente alla nascita di N.M., fatto che determinò, in qualche modo, anche un graduale distacco - sostenuto più da lei che non da lui, ignaro - nei rapporti coi suoi ospiti.

Nel frattempo, aveva anche sempre maggiormente da badare ad un fratello minore, che a differenza di lui, pareva così ribelle e assai poco disponibile agli insegnamenti della vita.

Ma quella sera aveva qualcos’ altro da fare, altro era il compito da portare a termine, non fosse altro che per dovuta riconoscenza, ed in fondo si trattava pur sempre d’una faccenda d’onore.

Perché tardava …? Cos’era successo …?

Aveva sentito gli spari, dapprima uno isolato e poi sette in rapida successione … era poi passato del tempo e lui ancora non si vedeva.

Aveva fatto bene a fidarsi …? Del resto non c’erano altre soluzioni.

In passato, lo aveva voluto rassicurare più volte sulla sua amicizia.

Tra loro non c’erano misteri, e lui, si ripeteva, anzitutto era un uomo d’onore.

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Scese dalla macchina e avanzò per il tratturo che costeggiava il torrente Vingone, dove gli altri s’erano appartati più avanti, con circospezione, approfittando della vegetazione più folta in quel periodo dell’anno, e riparandosi tra le canne.

Vide l’altro con il bambino e lo esortò ad accompagnarlo e ripararlo ad una delle case laggiù, oltre i campi, nella quale abitava un suo servo, mentre lui lo avrebbe aspettato in macchina, poco distante.

L’altro, così, se lo mise in braccio e partì, lasciando poi il ragazzo vicino ad un ponte in pietra, in prossimità dell’abitato, e spiegandogli fin dove proseguire.

Solo che il bambino si sbagliò, e suonò alla casa vicina, dove ad accoglierlo fu un altro che allertò i carabinieri.

Le ricerche dell’auto, nella quale era avvenuto il delitto, si svolsero nella notte.

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Francesco Vinci

A quei tempi operava già nella zona un ramo di quell’associazione, denominata “Anonima Sarda“, di stampo consociativo e con finalità a delinquere, dedita soprattutto a sequestri, i cui membri risultavano tutti uomini d’onore.

Aveva da sempre desiderato esser come loro.

Era il suo cruccio.

Ma, per un motivo od un altro, aveva sempre fatto di testa sua … Gli piaceva ragionar con la propria, e non era assai ben disposto ad ascoltare i consigli ed i rimbrotti, specialmente da quel fratello, seppur maggiore, le cui idee ed aspirazioni apparivano così distanti dalle sue.

E così tante volte aveva fatto dentro e fuori - quasi più dentro che fuori - per piccoli reati, ponendosi assai spesso in imbarazzo e disaccordo con la propria famiglia.

Più volte il fratello lo aveva tolto dai guai, anche se lui se ne infischiava, preferendo una vita da donnaiolo e da ladro di pecore.

Per questo, era noto a molti.

Come altri, aveva avuto un debole per l’uccisa, un forte debole, dovuto al suo carattere sanguigno, al punto da averla seguita per diverso tempo, anche dopo la scoperta, da parte della moglie, della sua relazione con la di lei, e la successiva denuncia.

Non sapendo, di esser stato, nel frattempo, notato.

Così come non si era neanche mai fermato davanti a nessun ostacolo, collezionando per se, a distanza di anni, altre conquiste, insieme a nuovi coinvolgimenti giudiziari, per via di un’indole fin troppo focosa, che avevano finito col porlo, sempre più, al centro dell’attenzione e con l’alimentare ulteriori dissapori in famiglia.

E fu proprio in una di queste circostanze, a sua insaputa, ed in maniera assolutamente imprevedibile, ad esser riconosciuto ed avvicinato.

I fatti risalgono al 1974, prima del secondo delitto : nei primi mesi aveva conosciuto una donna che viveva con la madre a Borgo San Lorenzo, un piccolo paese del Mugello nella provincia di Firenze, prendendo a frequentarne insistentemente la zona, e successivamente aveva obbligato la propria famiglia ad accoglierla in casa.

Poi, contravvenendo ad un obbligo di residenza, fu incarcerato dall’aprile dello stesso anno fino ai primi di settembre, ma non trovando l’amante al suo rientro a casa, andò fino a Borgo San Lorenzo a ricercarla, rendendosi un giorno protagonista di una scenata furiosa con la madre di lei : l’avvenimento fu registrato da un verbale dei Carabinieri.

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Non sapeva all’inizio chi avesse di fronte, quel giorno, a chiedergli conto di alcune pallottole, qualcuno che aveva, comunque, l’aria di conoscere fin troppo bene il suo ambiente.

E non ci mise molto a ricollegarne i fili.

Ecco, adesso lui sapeva.

Non certamente dall’inizio – i fatti risalgono al 1968 - allorquando si stupì delle accuse iniziali rivoltegli contro dal fratello, alle quali non aveva potuto far altro che rispondere, quasi, in tono canzonatorio, dicendo che l’altro poteva dire quel che gli pareva, ma che non era stato certamente lui a commettere il reato …

Aveva una sorta di debito di riconoscenza verso di lui, ma il tempo era ormai scaduto, soprattutto adesso che aveva capito come erano andate realmente le cose : rammentandosi di quella vecchia pistola, rubata, a suo tempo, in Sardegna, ad un anziano parente, ed intuendo, così, a cosa fosse poi servita … e di cui il fratello l’aveva perfino accusato ! … Anche se si avvide bene, in seguito - come risulterà da un’intervista ad un giornale, rilasciata i giorni successivi alla propria scarcerazione nel 1984 - dal farne esplicitamente il nome.

Nel frattempo, aveva così fornito l’occasione a qualcun altro, in ottemperanza al proprio spirito ribelle e vendicativo, seppure inconsapevole riguardo alle conseguenze, di perseguire altri e premeditati scopi.

In cambio, ne avrebbe ricevuto, in seguito, ciò che non era riuscito ad ottenere per sé nell’ambito dei propri conterranei e soprattutto della propria famiglia : un senso di appartenenza e comunanza, e poco importa se questo si concretizzava in sedute orgiastiche o quant’altro.

A lui piaceva, anche se gli sembrava, davvero, una ben strana compagnia quella.

E comunque fosse, alla fine, non poteva certo tradire il suo sangue.

Gli occorreva al più presto un’altra occasione, gli serviva, come per tutte le altre volte, un riscatto.

Era testardo ed aveva ancora qualcosa da dimostrare.

Non ne ebbe però il tempo, essendo, a quel punto, egli stesso già passato in giudicato presso la propria famiglia, e ritenuto, a tutti gli effetti, inaffidabile, nella condotta e nei principi.

Dapprima ne fu facilitato il suo incarceramento, quand’egli, fidandosi, ebbe a trovar rifugio, presso un loro amico, sulle montagne a ridosso dell’Appennino tosco-emiliano, nel medesimo atto finale delle sue follie : dal momento in cui ebbe a tornare, inesorabilmente, sconfitto, da una nuova escursione in quelle terre di Maremma, in procinto di nuove ruberie e vecchie conquiste, rendendosi, così, ancor più vulnerabile in quei luoghi che già aveva “visitato” e che lo avevano riconosciuto, così come agli occhi di chi già lo conosceva.

Fu da quel momento che cominciò con l’aver paura, a temere per se stesso e, ironia della sorte, per i propri familiari, senza sapere che, tra loro, qualcuno era già stanco di lui.

Voleva fuggire ed era finito, a sua insaputa, col cadere in trappola, organizzata da chi, ormai, lo conosceva fin troppo bene.

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Nell’agosto del 1982, i carabinieri lo prelevarono in quel di Ca’ di Borraccia, sulle montagne pistoiesi, dalle parti di Firenzuola, giunti fin lì grazie ad una segnalazione anonima, che faceva seguito ad altre precedenti, sempre nei suoi riguardi, e nelle quali sembrava che il mittente avesse molte cose da sapere.

Attraverso i giornali provarono a stabilire un contatto con l’anonimo, con la speranza di riuscire a carpire qualche altra informazione, ma senza alcun esito.

Lui scontò la pena, ed ebbe anche modo di tirarsi fuori dalle accuse che più gravemente gli si andavano imputando, grazie ai nuovi delitti del Mostro, quella gente che conosceva, e che, di fatto, lo scagionava.

Fu all’epoca dell’omicidio dei due ragazzi tedeschi, entrambi di sesso maschile : un gioco del destino, quasi un favore inaspettato ; la prima volta in cui gli esecutori materiali, seppure ingannati dalle sembianze, sembravano non essersi dati troppo peso nel preoccuparsi sulla precisa identità delle vittime, nel perpetrare i loro propri e consueti scopi.

Ma fu per lui una breve consolazione.

Altre erano le pene che ormai lo tormentavano, al punto che decise di riparare all’estero, tagliando così, una volta per tutte, di netto, il cordone ombelicale che così tanto, ultimamente, lo affliggeva.

Ritornò poi in Italia, convinto dalla moglie, e ricadde negli stessi errori, che ne decretarono stavolta la fine, probabilmente da parte di chi aveva già subìto, fin troppo, in termini di onte familiari e furti : meritava una eliminazione definitiva … e questa fu eseguita secondo le antiche usanze in vigore al “ codice barbaricino “, lo stesso cui, ironia della sorte, anelava ispirarsi, ed alle quali si veniva ad aggiungere un particolare ed ulteriore elemento di condanna, finendo bruciato, così come bruciata fu la sua stessa vita.

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Natale Mele

Era il bambino presente sull’auto.

Che si ritrovò col tempo abbandonato da tutti, cosa forse già scritta nel suo destino, da quando il suo vero padre, seppur inconsapevole, non se ne prese a cura.

Fu svegliato di soprassalto dagli spari … e cosa vide ?

Dapprincipio disse che il babbo era a letto malato, in fondo era così che sapeva, e come si era raccomandato lui stesso di dire, prima di lasciarlo.

Aveva camminato per i campi, quasi scalzo, con i soli calzini addosso, e raggiunto quella casa da solo, ma troppo improbabile sembrò la qual cosa agli inquirenti, così che, alfine, ammise come il padre fosse invece presente, e ve ne fosse stato accompagnato, spingendo questi, dopo un’iniziale e dichiarata estraneità ai fatti, a riconoscerne un proprio coinvolgimento.

Poi disse poche altre cose.

Anni più tardi, sarebbe stato costretto, su pressione degli inquirenti, a loro volta sollecitati da un’opinione pubblica sempre più impaziente, a stravolgerne i termini su qualcuna, mettendo così, inconsapevolmente, per un certo periodo, nei guai una famiglia.

Ma tra queste cose, una era e rimaneva per lui significativa, ormai entrata a far parte del suo abitudinario : gli amanti della madre erano gli “ zii ”, così come tutte le persone, occasionali, che aveva modo di incontrare o frequentare con lei ...

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Pietro Pacciani

Aveva lavorato in più possedimenti del Mugello, in qualità di bracciante, spostandosi spesso in zone tra loro limitrofe, mettendosi così da parte del denaro, col quale si sarebbe poi comprato un piccolo e modesto appezzamento di terreno dalle parti di Mercatale, nel comune di San Casciano in Val di Pesa.

In passato, aveva fatto anche la guerra, ed era soprannominato il “ Vampa “, per via del suo carattere litigioso, rissoso, collerico, e per via d’una stessa “bravata”, col fuoco, che gli aveva ustionato il viso.

Possedeva già un fucile, col quale andava a caccia … e da un certo periodo, si vantava pure di una pistola, facendosi vedere con quella a sparare ai fagiani, dopo essersene procurato anche dei proiettili.

Con il tempo, era rimasto sempre più affascinato da quel lato oscuro che occupa l’esistenza delle cose, cominciando con il lasciarsi credere un predestinato - come altri dei suoi compari - per via d’una faccenda d’onore occorsagli in passato, alla quale aveva preso parte e ponendovi, a suo modo di vedere, rimedio.

Fu così che entrò nel mondo dell’esoterismo e dell’occulto : lui aveva già fatto proprio il suo ruolo, divenendone, in seguito, il “giustiziere dell’onore” ed al tempo stesso procurandosene i trofei, da esibire e concedersi in un rito sacrificale surreale.

In alcuni momenti, in precedenza, aveva anche condiviso con qualcun altro - allora ignaro di chi avesse, in realtà, di fronte - perfino una sua passione per i quadri, tutti a carattere astratto.

Una personalità multipla, nell’arco del tempo.

Aveva creato, attorno a sé, tutta una combriccola - tra cui v’erano indovini e sensitivi - di cui lui era il capo, che avrebbe istruito per tutto l’arco della vicenda, e che aveva suscitato, all’inizio, anche particolari interessi in un gruppo di giovani, di ottima famiglia, alla ricerca di nuove emozioni …

Anni prima gli era successo un fatto, pagandone le conseguenze, e col tempo, avrebbe elaborato un pensiero nel quale il suo errore fosse stato, allora, quello di lasciare in vita la compagna : anche lei avrebbe meritato di morire.

( Le donne, quelle puttane, traditrici, e noi qui a soffrire … e tutto per colpa di quella cosa che si ritrovano in mezzo alle gambe … )

Fu a partire da quel giugno del 1981, quando, attuati tutti i preparativi, se ne sarebbe andata a rappresentare l’“iniziazione”.

Il secondo avrebbe costituito il banco di prova, e sarebbe stata anche l’occasione per mettere alle corde qualcuno, a quel punto forzatamente partecipe ma estraneo alla “ banda ”, che iniziava a dare segni di cedimento.

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Poi, consecutivamente a due errori, che impedirono di officiarne il rito - dai quali, al primo, uno dei magistrati, nel tentativo di fare uscire allo scoperto i responsabili, aveva fatto trapelare la voce che una delle vittime avesse potuto rivelare qualcosa prima di morire, destandone timore ; ed al secondo, facendosene modo e ragione per averne riabilitato qualcun altro ( F.V. ) - avrebbe deciso che nulla sarebbe dovuto più rimanere al caso : tanto che si sarebbe scelto un luogo, a lui, maggiormente familiare e dedicandovene il tempo che ritenne più opportuno, in quanto tutto sarebbe dovuto filare liscio ...

Dopo ripetuti girovagare, tra i concomitanti comuni e campagne della provincia, quello che si rivelò anche come l’ultimo, fu deciso di tenersi lì d’appresso, in quegli stessi luoghi che avevano visto l’origine di quel gruppo che ne prese a parte.

Alfine, sarebbe arrivata una segnalazione su di lui e si sarebbe iniziato con il metterlo sotto controllo.

Aveva, appena, fatto a tempo, a rispondere ad un vecchio guanto di sfida ed a rilanciare.

Ma torniamo adesso ai fatti che si svolsero nel 1968, ancor prima che ciò fosse maturo …

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Pietro Pacciani – 2

Era ancora ossessionato da lei, tanto da diventarne, per molto tempo, un chiodo fisso, sebbene avesse già trascorso ben tredici anni in giudicato.

Andava lì spesso, dove lei adesso s’era trasferita, senza però mai arrischiarsi ad un passo falso.

Così che, ormai, aveva imparato bene a riconoscerne la zona …

Nella frazione di Lastra a Signa, le abitazioni delle due donne risultavano, peraltro, sulla stessa strada, assai vicine ... uno degli anelli principali della catena, finora mancante …

Gli era bastato, dunque, esplorarne con lo sguardo i paraggi e più di tutto lo aveva colpito quella ragazza, bella, e che aveva visto, col tempo, circondarsi di sempre nuove compagnie.

Gli scattò una molla.

Sei anni più tardi si sarebbe ritrovato a vivere un’esperienza simile, seppure inversa.

Qualcun altro sarebbe stato lì, stavolta nella sua zona, a reinterpretarne il soggetto, a rievocarne la memoria.

E fu esattamente allora che lo avrebbe riconosciuto.

Uno degli ultimi giorni di febbraio, primi di marzo, lo avvicinò – avviandone, da quel momento, una reciproca relazione d’interesse – chiedendone ad informazione di alcuni proiettili, di cui l’altro doveva, o poteva, in qualche modo, sapere.

Questi, seppur inizialmente non avesse compreso, d’improvviso realizzò, decidendosi a procurargliene, così che lui, a breve, poté disporre di ciò che gli mancava.

Ma ritornando addietro nel tempo, a quel giorno di fine agosto, aveva comunque deciso di seguire quella ragazza.

Chissà cosa ne avrebbe ottenuto.

In qualche modo lui era interessato.

E così la seguì, come più volte aveva fatto nei giorni precedenti, lei e adesso con quel suo nuovo uomo.

Poi, quand’essi s’appartarono, si nascose e si mise ad osservare.

Ciò che lo attendeva e che poi accadde quella sera, in futuro, sarebbe tornato a lui quasi come un rendiconto a svolgere, ben affisso nella sua memoria...

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Stefano Mele – 2

Era arrivato fin davanti all’auto, ed aveva cominciato a vederli in atteggiamenti sempre più intimi.

Alzò l’arma e quasi senza guardare sparò un colpo, finendo col colpire maldestramente la donna su di un braccio, poi si fermò, in un impeto di rimorso e di paura.

L’uomo nella macchina fu il primo ad accorgersene, e provò un ultimo tentativo nel ricomporsi.

Il ragazzo si svegliò.

Passavano i momenti, e per qualcun altro, nascosto lì appresso, che ne aveva capito l’intenzione, ma non compreso l’attesa, l’indecisione, era venuto il tempo di passare all’azione : era così che doveva finire … l’altro già lo sapeva.

Per lui fu un istante, fu colto quasi all’improvviso : gli fu presa di mano la pistola, e vide l’altro sparare, più colpi …

Attento ! C’è un ragazzo di dietro ! E’ mio figlio ! Non lo uccidere !

L’altro si spostò, finendo con lo svuotare il caricatore …

Poi, a fatto compiuto, salì nell’auto e si sedette accanto al bambino, sincerandosi che stesse bene e adoperandosi nel rincuorarlo prima di farlo scendere, così come avrebbe poi ricomposto il corpo della moglie, mentre l’altro, sul davanti, dal lato opposto e nascosto alla vista di chi avanzasse per il tratturo, stava rovistando nel cruscotto dell’auto.

Così che, nel frattempo, da dietro, il bambino, per un’ingenua consuetudine, ebbe modo di chiedere all’altro : “ E tu, come ti chiami ? “

Questi, voltandosi, aveva così risposto : “ Pietro “.

Così come avrebbe poi minacciosamente detto al padre di mantenerne il riserbo, per la salute stessa del ragazzo.

Furono poi distratti, tutti, da un rumore di canne.

Lo sconosciuto rapidamente scomparve, così com’era venuto : oltrepassando d’un balzo la vegetazione, verso la stradina sterrata che correva parallela al tratturo, e sulla quale aveva lasciato il motorino…

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Natale Mele – 2

Tre cose aveva detto di aver visto il bambino ancor prima che potesse risultarne, col tempo, influenzato :

Salvatore tra le canne ;

Lo “zio” Pietro sparare ;

Ed il babbo … accompagnarlo via.

Com’era nel suo destino, un solo errore aveva commesso, in quell’ultima frase, in tutta la sua innocenza e buona fede … finendo col pagarlo a caro prezzo.

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Epilogo

Solo oggi viene da pensare che esistesse già un legame in comune tra le due storie, riassunto tutto in una sola parola, ormai datata e vecchia di anni, già logora e storpiata, e da tempo foriera di guerre, sventure e dolore : onore.

Tra tutti, anche in seguito, sarebbero rimasti colpiti in suo nome, carnefici, comprimari e vittime, assurgendone, nuovamente, a centro focale della storia.

Va ricordato che negli anni 80 vi furono altre morti, da poi, anch’esse correlate agli omicidi del mostro : erano perlopiù prostitute che operavano nella zona di Firenze, e le cui storie, per certi versi, avevano avuto il solo torto d’intrecciarsi con quei nomi e quelle vicende.

Coloro che dettero vita ai “ compagni di merende “ trovarono, ciascuno con le rispettive aggravanti, condanna e successiva morte, per intervenuta causa naturale : così che anche quei fatti sarebbero rimasti sepolti, per sempre, alla memoria …

Di altri, che entrarono in quell’orbita, non è dato sapersi più niente.

Di S.V. si ebbero, invece, notizie frastagliate : c’è chi sostiene che riparò in Spagna, dove ebbe a terminare i suoi giorni, ma nessuno lo sa di preciso.

Strano destino il suo : ebbe a cagionare, in qualche modo, anche indirettamente, la morte della prima moglie, forse suicida, ed alla stessa maniera, a distanza di anni, quella della madre di un figlio del quale non ebbe a sapere mai niente.

In fondo, resta un’amara considerazione : nessuno avrebbe mai potuto impedire ciò che avvenne e quel che, da poi, sarebbe avvenuto … con una sola ed unica eccezione, ancora legata a quella vecchia parola data…

Ad ora, l’unica vincitrice.

Tirandone le somme - ed augurandoci a non ricalcarne le orme - una drammatica ed assai poco onorevole vittoria, rispetto a quante fossero in origine le aspettative, di quello che era da considerarsi, a tutti gli effetti, come il lato oscuro di quella società arcaica, che si pensava, da tempo, ormai estinto e scomparso.

Sulla falsariga, ed in attesa di pesarne gli aspetti meno convenienti, la società del benessere e dei consumi, dove tutto è possibile, tutto appare, tutto è emulare ed in divenire, e che si allarga a macchia d’olio.

Con la speranza che la Giustizia, insieme a chi concorre a fissarne le regole, sull’altro piatto della bilancia, possa e sappia, per il futuro, considerarne, nel complesso, gli opportuni contrappesi.

Riesce, tuttavia, difficile valutarne l’allora comportamento di una Questura, sia pur nominale, che, informata, a suo tempo, sui fatti ed in grado di approfondirne, condividendone con l’altra Procura direttamente interessata, gli sviluppi - se non, quindi, di poterne fermare i successivi avvenimenti - se ne adeguò al diffuso clima omertoso e riservato, che già permeava a fondo quella storia : anch’esso viziato da un ennesimo strappo alla regola, secondo i dettami, ancestrali, di un ulteriore e non perseguibile codice d’onore. Ancora lui.

Ma che l’ultima, parola, spetti alla Giustizia, anche se può risultare lungo ed impervio il suo corso …