DELITTO ALLE ELEZIONI

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DELITTO ALLE ELEZIONI. Paolo Bongiorno, sindacalista ucciso dalla mafia. Di Calogero Giuffrida. Prefazione di Emanuele Macaluso. Istituto Gramsci Siciliano. Palermo, 2006.

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Ai familiari di Paolo Bongiornoe di tutte le vittime della mafia

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DDEELLIITTTTOO AALLLLEE EELLEEZZIIOONNII

Paolo Bongiornosindacalista ucciso dalla mafia

Calogero Giuffrida

prefazione diEmanuele Macaluso

Istituto Gramsci Siciliano

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© Istituto Gramsci Siciliano - onlusCantieri Culturali alla ZisaVia Paolo Gili, 4 - 90138 Palermowww.neomedia.it/personal/[email protected]

Impaginazione grafica e copertina diMichele Lentini

Pubblicazione realizzata con il patrocinio dell’Unione dei Comunidi Cattolica Eraclea, Montallegro, Siculiana e Realmonte e delComune di Cattolica Eraclea e Lucca Sicula.

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INDICE

Prefazione ............................................................pag. 7

Due colpi di lupara dopo la riunione...........pag. 11Ucciso il leader prima delle elezioni ......................pag. 13Il Prefetto di Agrigento «orienta» le indagini..........pag. 18Nelle tasche della giacca il movente del delitto ......pag. 21

Paolo Bongiorno, lavoratore onesto e laborioso..pag. 33Sindacalista in terra di mafia.................................pag. 37

La stampa e il “caso Bongiorno” ...................pag. 45Il «suicidio di mafia» del giornalista Cosimo Cristina..pag. 54

Il «caso Bongiorno» approda in Parlamento...pag. 59Politica, mafia e delitti nell’agrigentino..................pag. 61Dc, la faida per il potere e i delitti eccellenti...........pag. 65Il «caso Tandoy»...................................................pag. 78La pace di don Cola Gentile, il padrino..................pag. 81Il Pci, intellettuali e contadini in lotta per il lavoro ....pag. 83Dirigenti politici uccisi dalla mafia nell’agrigentino ....pag. 87Il contesto politico a Lucca Sicula ..........................pag. 94Rosa Bongiorno eletta al consiglio comunale..........pag. 97

Le indagini dei carabinieri ...........................pag. 103I sospetti di Giuseppe Alfano, nipote della vittima....pag. 103L’assassino seguì la salma del sindacalista ucciso?.....pag. 106Il maresciallo rampante: «cosa di fimmini fu» ......pag. 108Ucciso esclusivamente per motivi politici.............pag. 110Archiviazione contro «ignoti»..............................pag. 112

«Paolo Bongiorno vittima innocente della mafia»............................................................................pag. 117

Elenco delle vittime della mafia...........................pag. 122

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Prefazione

Un giovane che ha cercato di sapere e di capireche cosa era la Sicilia in cui è nato e cresciuto - neglianni in cui i lavoratori alzarono il capo e non si leva-rono più la coppola davanti al padrone e al capomafia del paese in cui vivevano - ha scritto questolibretto ricordando uno di quei braccianti che inquegli anni cinquanta combattevano e per questo fuassassinato.

Il giovane si chiama Calogero Giuffrida, e hoconosciuto bene suo padre, un militante comunistadi Cattolica Eraclea. Il bracciante assassinato dallamafia, in uno scenario che ricorda quello descrittoda Leonardo Sciascia nel Giorno della civetta, segre-tario della Camera del Lavoro di Lucca Sicula, sichiamava Paolo Bongiorno. Era l’anno 1960 e laSicilia sembrava che fosse uscita da quel lungoperiodo, iniziato nel 1944 - dopo i primi decreti delministro Fausto Gullo per una ripartizione più equadei prodotti agricoli nei fondi condotti a mezzadriae per l’assegnazione delle terre incolte alle coopera-tive - in cui il movimento contadino con le occupa-zioni delle terre tendeva a fare applicare quei decre-ti e a sollecitare l’approvazione di una legge gene-

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rale di riforma agraria. Nel corso di quella lotta lamafia uccise tanti capi-lega, i cui nomi sono ricor-dati da Giuffrida.

In quella zona della Sicilia in cui si trova LuccaSicula, nel gennaio del 1947, era stato assassinato ilsegretario della Camera del Lavoro di Sciacca,Accursio Miraglia, un combattente che ricordoancora bene oggi. Poco dopo il 1° maggio, a ridossoquindi di quel 20 aprile in cui si svolsero le primeelezioni regionali con un grande successo della sini-stra, fu consumata la strage di Portella delleGinestre.

Dicevo che nel 1960 la Sicilia sembrava che fosseuscita da quel tunnel di morte, invece no. Il notabi-lato locale, che in alcuni comuni siciliani avevacovato odio per il movimento contadino e convive-va con la mafia, che usava la delinquenza per servi-zi sporchi, non tollerava che ci fossero uomini conla schiena dritta che rivendicavano i diritti dei lavo-ratori.

Spesso, con il notabilato locale convivevanomarescialli e brigadieri dei carabinieri che si senti-vano onorati di essere “amici” di un “signore”: pic-coli miserabili. E coprivano anche i crimini di queisignori.

Sul piano provinciale, spesso, commissari di

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polizia (che non erano come il Montalbano diAndrea Camilleri e delle fiction), questori e procu-ratori convivevano con gli uomini del potere politi-co e mostravano disprezzo sociale per il popolo chenon si rassegnava ad accettare l’esistente.

Ebbene, in questo libretto si possono leggerepagine in cui questo spaccato della società sicilianaemerge con brutale nettezza. Paolo Bongiorno,padre di cinque figli, fu assassinato a colpi di armada fuoco mentre rientrava a casa. La sua vita eralimpida: si svolgeva tra il lavoro duro del braccian-te, la Camera del Lavoro, la sezione comunista e lafamiglia. Tutto qui. I suoi nemici erano solo coloroche in quegli anni non tolleravano la presenza di unuomo che ne organizzava altri per rivendicare dirit-ti negati e per lottare contro quel mondo che dasecoli li aveva oppressi. E quelle persone combatte-vano sul piano sindacale e su quello politico, con-tendendo ai notabili anche la guida del Comune,considerato da sempre un centro esclusivamente aloro servizio.

Ma questori, carabinieri, magistrati indirizzava-no le “indagini” verso direzioni inesistenti: fatti pri-vati, mariti gelosi. Non trovavano nulla e archivia-vano. Così fu anche per Bongiorno. Va semprericordato che per nessuno dei capi-lega uccisi fu

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mai trovato l’assassino e il mandante. E quandoqualcosa si muoveva in una direzione giusta, sec’era un carabiniere, un commissario e un magistra-to onesto, scrupoloso e ligio alla legge, provvedeva-no i ministri, i tribunali e le Corti di Appello a met-tere il sigillo che seppelliva l’inchiesta e la verità.Bisognerebbe ragionare su cosa fu la giustizia inquegli anni. Anche perchè c’è chi parla con rim-pianto di come funzionava - la giustizia! - in queglianni rispetto alla “Toghe rosse” di oggi.

Questo libretto di Giuffrida ha un grande meritoperchè dice ai giovani che la memoria va tenutapresente e che non si può costruire un domanisenza capire il passato e la storia che ancora ci con-diziona.

E la Sicilia oggi ha bisogno di sapere e di capire,se vuole uscire da una condizione in cui sembra chel’unica cosa che conti sia il potere e chi sta al potere,e certi valori e idealità appaiono sepolte da una col-tre di opportunismo.

La mafia uccide non solo le persone ma anche lecoscienze rendendo inerte e impotente le società.Ricordiamo anche questo per capire l’oggi.

Emanuele Macaluso

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Due colpi di lupara dopo la riunione

Era la sera del 27 settembre del 1960, PaoloBongiorno, dopo una riunione del partito, stava rin-casando in compagnia del giovane nipote GiuseppeAlfano, leader dei giovani comunisti. Come ognisera, Paolo, uscendo dai locali della Camera delLavoro di Lucca Sicula, della quale era segretario,ritornava a casa attraversando le vie del centro sto-rico del piccolo centro montanaro dell’agrigentino,abitato da circa tremila abitanti.

Chiacchierando, zio e nipote avevano già percor-so la via Teatro,la via Centrale ela viaLanternaro; pois’incamminaro-no verso la viaCutò, imbocca-rono la viaSiggia e giunse-ro in via Valle,all’estrema peri-feria del paese,dove vi erano leloro abitazioni.Erano le 22:30 circa quando, giunti a pochi metridall’abitazione, due scariche di lupara, sparate da

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L’Unità - 30 settembre 1960

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ignoti killer nascosti dietro lo spigolo di un muro,colpirono alla schiena Paolo Bongiorno. Lui emiseun forte grido di dolore e, dopo aver fatto alcunibalzi in avanti, stramazzò al suolo in fin di vita.

Il giovane nipote, terrorizzato, chiamò aiuto eallarmò i vicini di casa e la zia Francesca Alfano,moglie del Bongiorno. Poi corse ad avvisare i cara-binieri della locale stazione.

«Mi trovavo a letto ancora vegliante - raccontò lamoglie della vittima ai carabinieri giunti sul postodopo alcuni minuti - sentii due colpi di arma dafuoco che si susseguivano l’uno all’altro.Preoccupata abbandonai il letto e, prima ancora diaffacciarmi, mio nipote m’invitava ad aprire gri-dando: ‘Zia apri, ci hanno sparato’. Mi precipitaifuori e trovai mio marito a terra; poiché sembravasemplicemente svenuto, con mio fratello lo traspor-tammo a casa. Adagiatolo sul letto cercai di riani-

marlo e gli porsi un bicchiered’acqua che egli bevve. Avevagli occhi spalancati e mi fissa-va, senza comunque profferireparola. Mi parve che avesse inanimo di dirmi qualche cosama dopo pochi istanti spirò»1.

Paolo Bongiorno, 38 anni,bracciante agricolo, segretariodella Camera del Lavoro diLucca Sicula, padre di cinque

figli, morì tra le braccia tremanti della moglie guar-

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Paolo Bongiorno

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dandola fissa negli occhi, cercando fino all’ultimorespiro di poterle dire qualcosa. Francesca Alfanorimase sola e disperata, in stato di avanzata gravi-danza e con cinque creature in tenera età da accudi-re.

Questa la triste fine di Paolo Bongiorno, nato ecresciuto a Cattolica Eraclea, residente a LuccaSicula, dove si era trasferito nel 1949 in cerca dilavoro, ricco di speranze.

Nel tempo libero dopo faticose giornate di lavo-ro nei campi, Paolo faceva il segretario dellaCamera del Lavoro di Lucca Sicula, in paese era sti-mato e apprezzato da tutti, ma ad alcune “cricche”cominciava a dare fastidio. Reclamava più dirittisociali, un salario più alto, condizioni e orari dilavoro più dignitosi. In un paese e in un periodo incui, di diritti, chi doveva, ne concedeva ben pochi.Dunque arrivò anche per Bongiorno il tempo dellalupara. Due colpi alla schiena, i colpi di grazia dellamafia. Perché chi doveva capire capisse.

Ucciso il leader prima delle elezioniDurante la veglia notturna alla salma di Paolo

Bongiorno, la moglie della vittima, disperata, arrab-biata, ripeteva gridando: Pi lu partitu ci appizzasti lavita2, «per il partito ci hai rimesso la vita». La vedo-va Bongiorno non aveva dubbi: l’omicidio era lega-to all’attività politica e sindacale che il marito svol-geva in favore dei braccianti e dei meno abbienti.Dopo una veglia straziante che si protrasse per tutta

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la notte intorno alla salma del dirigente politicoucciso, alle ore 13 circa del 28 settembre, si svolseroi funerali. Familiari e amici, compagni, sindacalistie politici, contadini, operai e numerosi cittadinipiangenti diedero l’ultimo saluto a PaoloBongiorno, accompagnandolo, in mesto corteo, sinoal cimitero, tra le grida di disperazione e doloredella famiglia. A dare l’estremo saluto al valentedirigente politico giunsero il segretario regionaledella Camera del Lavoro, Pio La Torre (anche lui,nel 1982, sarà ucciso dalla mafia) e i dirigenti delPartito comunista, Guglielmini e Nando Russo.Erano presenti anche i dirigenti della federazionecomunista di Sciacca, Giacone, Leonte e Scaturro, egli attivisti comunisti di Burgio, Ribera, CattolicaEraclea e di tutti gli altri paesi viciniori. Per il diri-gente politico comunista barbaramente ucciso nonfu celebrato il rito religioso in chiesa, ma il corteo sifermò a celebrare una commemorazione laicadavanti ad un ripiano in muratura su cui salì l’on.Girolamo Scaturro, deputato comunistaall’Assemblea Regionale Siciliana, il quale pronun-ciò brevi commosse parole, ricordando la figura delBongiorno, «la sua attività disinteressata e conti-nua, diretta a salvaguardare gli interessi dei brac-cianti di Lucca Sicula»3. Ricordò «il suo caratterebuono, il suo affetto verso la moglie, i bambini e lafamiglia tutta e la caparbietà con cui PaoloBongiorno teneva la bandiera dei lavoratori a LuccaSicula»4. Proprio in quel momento, singhiozzando,

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Momenti del funerale del sindacalista Paolo Bongiorno

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Il dolore dei familiari della vittima

I figli della vittima al funerale

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quasi urlando, una giovane donna, la sorella diBongiorno, gridò: «Questa bandiera oggi sonopronta a prenderla io». L’onorevole comunista ter-minò l’orazione ricordan-do che «l’addio miglioreche si può dare alBongiorno è che egli possariposare in pace e quellodi raccogliere la sua attivi-tà e continuare quella lottache egli per tanti anniaveva sostenuto controavversari tanto più forti»5.

Strazianti le immaginidei figli e dei parenti dellavittima apparse, il giornosuccessivo al funerale, su

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La moglie della vittima

I parenti della vittima al funerale

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vari quotidiani nazionali. Dopo il corteo al cimitero,come di rito, si assistette a un pellegrinaggio com-mosso verso l’umile casa dei Bongiorno per rivol-gere le condoglianze ai familiari della vittima. Tra isinghiozzi, la vedova di Bongiorno continuava aripetere ai compagni che le si accostavano, quasiper rincuorare, e ad un tempo ammonire agli altri:«Non ci dimentichiamo che è morto per il partito.Lui è morto ma noi più forti siamo!»6. In questeparole c’è la prima, fiera, risposta agli assassini diPaolo Bongiorno e soprattutto ai loro mandanti.

A porgere le condoglianze ai parenti della vitti-ma, anche l’onorevole socialista Taormina, i dipen-denti del Banco di Sicilia e i familiari di AccursioMiraglia, il segretario della Camera del Lavoro diSciacca, ucciso dalla mafia agraria nel 1947, anchelui alla vigilia delle elezioni. Condoglianze allafamiglia furono rivolte anche dall’on. Gaetano DiLeo, il capo della Dc nel circondario di Sciacca.

Il Prefetto di Agrigento «orienta» le indaginiSua Eccellenza il Prefetto di Agrigento interven-

ne personalmente nelle indagini. Il dr. Querci eraun azzimato signore la cui immagine era nota intutta Italia per essere stato fotografato, in occasionedi soirèes e cocktails, accanto alle signore della éliteagrigentina, soprattutto insieme alle signore LailaTandoj e Danica La Loggia7. Il prefetto, che godevadella stima e della fiducia della classe dominanteagrigentina, intervenne nelle indagini sul delitto di

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Paolo Bongiorno, facendo pervenire ai corrispon-denti di giornali e di agenzie una breve «nota orien-tativa» sulla figura della vittima.

«Paolo Bongiorno non era più segretario dellaCamera del Lavoro di Lucca Sicula», scriveva ilPrefetto il quale aveva inoltre informato la stampadei «gravi precedenti penali di Paolo Bongiorno» edello «stato di esaurimento nervoso» della vittima,quasi ad insinuare che la vittima fosse un dementeo presso a poco.

Si può parlare di depistaggio? Si può pensare,nella Sicilia degli anni ’60, che la mafia condizio-nasse le scelte dei massimi rappresentanti delle isti-tuzioni? L’esperienza lunga e dolorosa del movi-mento dei lavoratori in Sicilia è illuminante.

I dirigenti sindacali e politici assassinati dallamafia erano stati sistematicamente indicati dalleautorità come personaggi “rissosi” o “violenti”.Oppure veniva fatto credere che il movente deidelitti fosse legato a “questione d’onore”, cosa difimmini fu, si diceva spesso. Altro espediente spessoutilizzato per offuscare l’origine politica dei delittidi mafia era quello di sostenere nel corso delle inda-gini che a commettere i delitti fossero stati o i com-pagni di partito con i quali si era in contrasto o iparenti delle vittime stesse8.

Anche nel delitto di Paolo Bongiorno ci sono unpo’ tutti questi elementi che mostrano chiaro il ten-tativo di stornare l’attenzione dai gruppi di poteredi Lucca Sicula, gli unici ad avere interesse concre-

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to e immediato nel colpire a morte la figura più rap-presentativa dello schieramento politico popolare.

Prefetture e caserme, da queste parti, agivano inperfetta sinergia politica con i partiti al governo.Non si poteva tralasciare che nell’agrigentino, lozoccolo duro di Cosa Nostra, si era già spesso fattoricorso al terrorismo mafioso nella lotta politica.

Ancora una volta, nella Sicilia degli anni ’60, siassisteva impotenti alla connivenza dello Stato conla mafia; Cosa Nostra ad Agrigento prosperava conla complicità delle istituzioni.

Mentre la giovane vedova e i cinque orfani diBongiorno piangevano con disperazione e maledi-cevano gli assassini reclamando giustizia, il massi-mo rappresentante del governo centrale della pro-vincia di Agrigento si preoccupava d’imbonire icorrispondenti dei giornali locali, non esitando agettare ombre di sospetto e perfino di discreditosulla limpida figura del dirigente comunista ucciso.

«Una seria indagine sul delitto Bongiorno, sannogli inquirenti, si svilupperebbe a raggiera ed equi-varrebbe in questo momento a fare esplodere la pol-veriera degli interessi, delle connivenze e dei delit-tuosi intrighi clericali», accusava dalle pagine del’Unità il giornalista Federico Farkas. «Tutta robache oggi si tenta di continuare a coprire sotto il velodi un precario compromesso elettorale raggiuntonel nome della filiale obbedienza alle intimazionidel vescovo di Agrigento e dei Comitati civici»9.

Era aspro, negli anni sessanta, lo scontro tra clero

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e movimenti politici di sinistra. I vescovi interveni-vano direttamente e con forza nella vita politica. Ilvescovo di Agrigento, monsignor Peruzzo, appog-giava con veemenza l’accordo elettorale stipulatoper la prima volta tra Democrazia cristiana eMovimento sociale italiano, tanto da organizzare, invista delle elezioni, una riunione tra tutti i pretidella provincia per accertarsi che gli stessi svolges-sero attività ecclesiastica in chiave anticomunista.

Nelle tasche della giacca il movente del delittoFino all’ultimo minuto di vita Paolo Bongiorno

era un attivista molto impegnato sia della Cameradel Lavoro, della quale era il segretario, sia delPartito comunista, di cui fu tra i più attivi dirigenti.

La sera dell’omicidio, avvisati dal giovaneG i u s e p p eAlfano, i cara-binieri corserosul luogo deldelitto e tro-varono PaoloBongiorno giàa casa, riversosul letto doveera morto,pochi istantiprima, tra lebraccia dellamoglie.

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L’Unità - 2 ottobre 1960

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Indosso agli indumenti della vittima furono rin-venuti:

«5 blocchetti di tagliandi per la sottoscrizione infavore del giornale l’Unità, di cui 2 completi di 10fogli ciascuno, e 3 portanti ventotto matrici e duetagliandi. Una lettera a stampa della CGIL a suafirma, oggetto: Sciopero generale per il 1° ottobre 1960.Un telegramma indirizzato alla sezione comunistadi Lucca Sicula a firma Giacone. Una busta con let-tera dattiloscritta indirizzata alla Camera delLavoro di Lucca Sicula a firma Bellomo Carmelo.Una lettera della Federazione del P.C.I. di Sciacca.Una lettera a stampa della CGIL in doppio esem-plare, emessa in data 12/09/1960, diretta allaCamera del Lavoro e alle leghe dei braccianti. Atergo di una di esse si osservano alcune annotazio-ni a matita biro (di cui non fu dato sapere, nda).

Nella tasca sinistra dei pantaloni: un altro fogliet-to da block notes con appunti ed un invito speditodal locale Ufficio collocamento a Bongiorno Paolo.Gli indumenti e gli oggetti sopradescritti vengono

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L’Unità - 30 settembre 1960

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dall’Ufficio consegnati al brigadiere Carmelo LaCarruba, comandante della stazione dei carabinieridi Villafranca Sicula presente per le indagini di poli-zia giudiziaria»10.

Il materiale trovato nelle tasche degli indumentidel Bongiorno costituisce la prova lampante che lavittima, fino a qualche minuto prima dell’omicidio,era attivamente impegnato in politica, tanto daorganizzare uno sciopero generale dei lavoratori inqualità di segretario della Camera del Lavoro e dapresiedere una commissione del partito comunistalocale per la raccolta dei fondi del giornale l’Unità.

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L’Unità - 1 ottobre 1960

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In provincia di Agrigento alcuni gruppi di pote-re non avevano esitato in passato a condurre le bat-taglie politiche facendo ricorso al terrorismo mafio-so.

Lo sciopero dei lavoratori di Lucca Sicula, quelloche stava organizzando Paolo Bongiorno per ilprimo di ottobre - in vista dello sciopero di tutti ilavoratori siciliani in programma a Palermo per il 5ottobre – aveva suscitato le ire dei datori di lavoro,dei grossi proprietari terrieri e impresari che comin-ciavano a gestire gli appalti in paese in periodo diboom economico e speculazione edilizia. Anche lasua prima candidatura al consiglio comunale diLucca Sicula non fu vista di buon occhio. Questielementi, invece, apparvero irrilevanti al marescial-lo Girolamo Inzerillo, il primo ad occuparsi deldelitto del sindacalista Bongiorno, sentendosi inqualche maniera costretto dagli eventi a dovereaprire delle serie indagini sul delitto di PaoloBongiorno. Nel comunicare l’avvenuto delitto allaProcura della Repubblica di Sciacca, infatti, il mare-sciallo Inzerillo - come a giustificarsi col Prefetto,che con la sua “nota orientativa” sulla figura della

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L’Unità - 29 settembre 1960

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vittima aveva, in sostanza, espresso il suo autorevo-le parere sul delitto - scriveva: «L’uccisione delBongiorno provocava viva indignazione fra questapopolazione, soprattutto per il fatto che egli lascia-va sul lastrico la moglie in stato di avanzata gravi-danza e cinque figli. Tale pietosissima realtà, veni-va, purtroppo, inumanamente e immediatamenteoffuscata o quasi completamente dimenticata, per-ché gli sguardi e l’attenzione dell’opinione pubblicain generale e dei superficiali e creduloni in partico-lare (fra questi ultimi compresi la moglie e i parentidella vittima), vennero attratti dall’alone di vivaluce politica col quale gli esponenti comunisti ave-vano voluto prontamente e opportunamente mette-re in risalto il delitto. (…) In effetti - scrisse il mare-sciallo Inzerillo – il Paolo Bongiorno era semplice-mente il rappresentante della categoria braccianti diquesto comune, aderenti alla CGIL»11.

Cosa da poco insomma, «semplicemente il rap-presentante della CGIL». Cosi come «semplicemen-te» rappresentanti dei braccianti erano stati, anniaddietro, Giuseppe Scalia, Accursio Miraglia,Saverio Li Puma, Giuseppe Cangelosi, NicolòAzoti, Andrea Raja, Placido Rizzotto, GiuseppeSpagnolo, Salvatore Carnevale e altri che non citoper brevità ma che troverete più avanti nell’elencoufficiale dei sindacalisti vittime del terrorismomafioso12. In effetti, dopo l’approvazione dellaRiforma agraria del 1950, erano ormai finite le lottecontadine per la rivendicazione delle terre incolte

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divampate nel dopoguerra con l’emanazione deidecreti Gullo13. Ma le terre conquistate erano statepoche: su 4.809 domande di concessione delle terreincolte di baroni, marchesi e cavalieri avanzatedalle leghe e dai movimenti contadini in Sicilia, nefurono accolte positivamente solo 98714. La maggiorparte di queste terre, peraltro, finì in “buone mani”,nelle mani dei mafiosi.

Contadini e operai ancora sfruttati dunque, gliaffari li gestiva la mafia, in campagna e in città. Perchi con coraggio insisteva a chiedere terra e lavoroarrivava subito l’intimidazione mafiosa. Gli anni’60 rappresentano il periodo storico del sempre piùcrescente flusso d’emigrazione ma nello stessotempo del “boom” economico. Chi poteva restava,altrimenti se ne andava in cerca di lavoro nel piùindustriale nord Italia o all’estero. Come anchePaolo Bongiorno aveva fatto qualche anno prima diessere ammazzato; era andato in Francia per sbar-care il lunario ma la nostalgia per la famiglia e perla propria terra lo fece ritornare presto in paese.

Le lupare di gabelloti e campieri, per qualcheanno, erano state un po’ in silenzio, non avevanosparato, non c’era stato bisogno dei pallettoni, per-ché gli interessi di mafiosi e padroni non erano piùin pericolo, perché con l’approvazione della nuovaRiforma agraria (che puntava a creare una gestionedel latifondo fondata sulla proprietà individuale enon più sul sistema cooperativistivo) erano ormaisalvaguardati da leggi a loro favorevoli. Se però

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padroni, impresari e mafiosi venivano sfidati daqualcuno che osava rivendicare il diritto dei lavora-tori a più dignitosi salari e orari di lavoro non siperdeva tempo, si uscivano le lupare.

Nel 1960 scoppiò una guerra in Sicilia, “la primaguerra di mafia”, guerra per il potere. Dopo la mat-tanza dei leader dei contadini che occupavano leterre, si combatteva la prima guerra di mafia tramafiosi. Dal 1946 al 1960 il latifondo era completa-mente nelle mani dei mafiosi che, intanto, avevanoacquisito uno status sociale di elevato prestigio,godevano del consenso di buona parte della popo-lazione. Campieri e gabelloti spostavano i loro affa-ri dalle campagne alle città, reinvestivano nelle cittàil denaro illecitamente accumulato con l’interme-diario parassitario, con la truffe in danno di conta-dini per l’accaparramento delle terre incolte, conl’abigeato e con atti criminali di vario tipo. Il gene-re d’investimenti preferito era quello del controllodegli appalti pubblici, numerosi in Sicilia nel 1960.Fu subito guerra per gli appalti.

Campieri e gabelloti dunque acquisirono un altroruolo, quello di boss, un po’ più all’americana, cosi’dalle campagne passarono a gestire i traffici nelle città15.

Il carattere tipicamente politico dell’assassinio diPaolo Bongiorno mise in imbarazzo la stampa sici-liana filo governativa per la quale «i suggerimentidi un segretario locale della Dc o quelli di un que-store scelbiano hanno un peso assai più grande dicerte scottanti verità»16.

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Con il tentativo di minimizzare la portata dell’ef-ferato delitto del segretario della Camera delLavoro di Lucca Sicula, Il Giornale di Sicilia diPalermo appoggiò la linea del Prefetto di Agrigentofacendo da grancassa alle dichiarazioni secondo cui«il movente politico si ritiene doversi escludere inconsiderazione della modesta figura della vittima,che in questi ultimi tempi si era dedicato soprattut-to alla famiglia e al suo lavoro»17.

Paolo Bongiorno, in verità, era uno dei dirigentipolitici più attivi della sinistra di Lucca Sicula finoal giorno della sua morte. La segreteria regionaledella CGIL, guidata da Pio La Torre, aveva infor-mato, con una nota, la prefettura di Agrigento e lastampa che la vittima ricopriva la carica di segreta-rio della Camera del Lavoro di Lucca Sicula sin dal1949. I dirigenti provinciali del partito comunistafecero sapere che il Bongiorno era membro delcomitato direttivo del Pci di Lucca Sicula, ed era sti-mato dirigente anche a livello provinciale. La popo-lazione, naturalmente, era a conoscenza dell’attivi-tà politica dell’ucciso il quale era stato tra i prota-gonisti del risveglio politico dei lavoratori di LuccaSicula. Li aveva guidati in occasioni di manifesta-zioni e scioperi locali, provinciali e regionali. Fudecisivo il suo impegno nell’organizzazione dellaFesta dell’Unità che non si organizzava ormai daanni nel piccolo centro agrigentino. Nella campa-gna elettorale per le regionali del 1956 PaoloBongiorno fece numerosi comizi, in cui veniva

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ascoltato con attenzione e ammirato per la suacapacità di esporre in pubblico le sue idee, forse piùriformiste che rivoluzionarie.

Sugli indumenti che indossava quando l’ammaz-zarono, Paolo Bongiorno teneva una lettera a suafirma, intestata alla CGIL, con cui stava riunendo ilavoratori per lo “sciopero generale del primo otto-bre”. Nelle tasche della giacca, il giovane sindacali-sta teneva anche i bollettini della raccolta dei fondiper il giornale l’Unità, organizzata dal partitocomunista locale. Paolo era stato scelto come presi-dente di una commissione che si occupava dellaraccolta dei fondi per il giornale del partito.

Questi elementi, naturalmente, erano ben noti siaal Prefetto di Agrigento che ai giornalisti corrispon-denti dei giornali siciliani.

«Bisogna ammettere dunque che la stampa sici-liana non si pose alcun interrogativo né di fronte algrottesco, né di fronte ai falsi ed alle contraddizionipiù plateali»18, facendo da cassa di risonanza degliambienti governativi su una linea evidentemente“sbagliata” e screditata dai maggiori organi diinformazione nazionale.

Questi i fatti, dunque erano i giornali del gover-no e della Dc a dire il falso. Paolo Bongiorno erasegretario della Camera del Lavoro e attivista delPci locale ed era noto a tutti. Ma in quel momentoera in corso la rimozione della memoria, il depi-staggio delle indagini, la manipolazione delle infor-mazioni.

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Note

1 Verbale d’interrogatorio di Francesca Alfano, 28/09/1960– f. 66.

2 Verbale d’interrogatorio di Antonino Mormina,30/09/1960 – f. 89.

3 l’Unità del 29 settembre 1960, reportage di FedericoFarkas.

4 Idem.5 Idem.6 Idem.7 Le due donne erano rispettivamente la moglie del com-

missario di polizia Tandoy e dello psichiatra agrigentino dr.Mario La Loggia. Le signore frequentavano i salotti buonidella élite agrigentina.

8 Vedi: Francesco Renda, Storia della mafia, SIGMA Edizioni,Palermo, 1997. Umberto Ursetta, Salvatore Carnevale. La mafiauccise un angelo con le ali, l’Unità, Roma, 2005. UmbertoUrsetta, Le foibe della mafia. Accursio Miraglia e Placido Rizzotto,sindacalisti, l’Unità, Roma, 2005.

9 Da L’Unità 30 settembre 1960.10 Verbale dei carabinieri di ricognizione e descrizione

cadavere di Paolo Bongiorno, 28/09/1960 – f. 7.11 Rapporto giudiziario dei carabinieri di Lucca Sicula,

10/11/1960 – f. 21.12 Relazione conclusiva della Commissione parlamentare

d’inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia. Doc. XXIII n. 1 VIIlegislatura.

13 Decreti Gullo N.279 - 19 ottobre 1944. Concessioni ai con-tadini delle terre incolte. Le associazioni dei contadini, rego-larmente costituite in cooperative o in altri enti, possono otte-nere la concessione di terreni di proprietà privata o di entipubblici che risultino non coltivati o insufficientemente colti-vati in relazione alle loro qualità, alle condizioni agricole delluogo e alle esigenze culturali dell’azienda in relazione con lenecessità della produzione agricola nazionale.

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14 Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulfenomeno mafioso in Sicilia. Doc. XXIII n. 2 – VI legislatura.

15 Vedi: Giuseppe Carlo Marino, Storia della Mafia, Newton& Compton, Roma, 2000. Giuseppe Carlo Marino, I Padrini,Newton & Compton, Roma, 2001. Giuseppe Carlo Marino, Ilsocialismo nel latifondo, E.S.A., Palermo, 1972. John Dickie, CosaNostra. Storia della mafia siciliana, Edizioni Laterza, Bari, 2005.Francesco Renda, Movimenti di massa e democrazia nella Siciliadel dopoguerra, Edizioni De Donato, Bari, 1979.

16 L’Unità, 30 settembre 1960.17 Giornale di Sicilia, 28 settembre 1960.18 L’Unità, 30 settembre 1960.

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Paolo Bongiorno,lavoratore onesto e laborioso

Paolo Bongiorno nacque il 30 luglio 1922 aCattolica Eraclea, paese dove visse fino all’età di 26anni, insieme ai genitori, ai fratelli e alle sorelle.Figlio di Giuseppe Bongiorno e di GiuseppinaRenda, una povera famiglia contadina, il padre

faceva ‘u jurnataru1, lamadre era casalinga.

Paolo, malgrado lapovertà, riuscì a prende-re la licenza elementare.Animato da una fortevolontà, a scuola imparòa leggere e a scrivere, mala miseria di quegli annicostrinse sin da ragazziniPaolo e i fratelli a durilavori in campagna,come quello di raccoglie-re la liquirizia al fiumePlatani per venderla aicommercianti. Nel con-tempo, quando trovavalavoro, faceva anche lui‘u jurnataru. La licenzaelementare acquisita

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Il giovane Paolo Bongiorno

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durante gli annidel fascismo,cosa difficilissi-ma all’epoca peri figli dei povericontadini, fornì aPaolo non solo lacapacità di leg-gere e scrivere,ma anche, cre-scendo, unostrumento in piùper comprende-re meglio la real-tà sociale e poli-tica del periodo

storico che stava vivendo il paese. Superati gli anni da Balilla, obbligatori per fre-

quentare la scuola durante il fascismo, Paolo non sifece imbonire dall’indottrinamento di regime ecominciarono a piacergli le idee socialiste2.

La seconda guerra mondiale portò miseria edisperazione nelle fami-glie povere. Dopo losbarco degli americani inSicilia del 18 luglio 1943,sconfitto il fascismo,furono rifondati i partitipolitici che costituirono iComitati di Liberazione

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Paolo Bongiorno

Paolo Bongiorno e la moglie

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Nazionale. Nuove leggi diedero ai contadini la possibilità di

avere un pezzo di terra da coltivare, furono emana-ti i decreti Gullo con i quali il governo concedeva aicontadini le numerose terre incolte dei nobili lati-fondisti. I contadini si organizzarono e occuparonole terre per chiedere ai padroni di poterle coltivarein affitto o a mezzadria.

Paolo, con entusiasmo, partecipò alle numerosecavalcate organizzate a Cattolica Eraclea da grandidirigenti politici, come il giovane intellettualeFrancesco Renda e il leader contadino GiuseppeSpagnolo3; acquisì così un grande senso di parteci-pazione politica.

Nel tentativo di scompaginare e intimorire ilnascente movimento contadino, esplodevano a

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Quattro dei sei figli di Paolo Bongiorno

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Cattolica Eraclea le prime bombemafiose. Vi fu un attentato ai dannidi Aurelio Bentivegna, vice-sinda-co del Comitato di LiberazioneNazionale e segretario del Psi, e diGiuseppe Scalia, dirigente sindaca-le locale. Quest’ultimo rimase ucci-so, il vice sindaco se la cavò conqualche ferita4, le indagini furonosubito archiviate. All’epoca il capomafia del paese era ritenuto “don”Antonio Manno, «un leader mafio-so che non faceva spettacolo, nonpartecipava alla vita pubblica, nonlo si vedeva in piazza o per le stra-de del paese, non lasciava saperecome vivesse e cosa facesse; loricordo come una sorta di nostroProvenzano ante litteram per lamoderazione che imprimeva allasua direzione ufficiale della vitamafiosa; Manno finché fu il caponon volle che si consumassero

attentati politici. Alla vita pubblica però non man-cavano di partecipare e di partecipare attivamentealtri capi mafia di secondo livello»5.

La lotta per la terra proseguì con entusiasmo eportò a Cattolica Eraclea notevoli risultati, ma nontutti i contadini riuscirono a conquistare un pezzodi terra da coltivare. Cominciarono così gli anni del-

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Paolo Bongiorno

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l’emigrazione, un flusso inarrestabile fino ad oggi. Nel 1946, per la prima volta, vi furono elezioni

libere dopo un ventennio di regime fascista. PaoloBongiorno sosteneva il Blocco del Popolo, lo schie-ramento Pci-Psi, guidato dal leader contadinoGiuseppe Spagnolo, che fu eletto sindaco diCattolica Eraclea. Per la prima volta nella storia delpaese, un contadino ricoprì la prestigiosa carica6.

Ma nel 1947 Paolo fu costretto ad abbandonare lalotta per la terra poiché i carabinieri lo arrestaronoper un reato commesso molti anni prima. Vi erastato un diverbio tra la sorella di Paolo, Concetta, euna vicina di casa. Il marito di quest’ultima avreb-be insultato pesantemente la sorella di Bongiorno,Paolo e uno dei suoi fratelli, avuta la notizia, aggre-dirono il marito della donna. Avvertiti da alcunivicini di casa, intervennero i carabinieri della localestazione, Paolo e il fratello furono denunciati apiede libero ma furono poi arrestati nel 1947 e scon-tarono circa diciotto mesi di carcere7. PaoloBongiorno si sposò il 22 0ttobre del 1944, conFrancesca Alfano. La coppia metterà al mondo seifigli: Giuseppe, Pietro, Giuseppina, Salvatore,Elisabetta e Paolina, quest’ultima nata dopo la suamorte.

Sindacalista in terra di mafiaNel 1949, scontata la pena carceraria, Paolo

Bongiorno, insieme alla famiglia, da Cattolica

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Cattolica Eraclea

Lucca Sicula

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Eraclea si trasferì a Lucca Sicula dove già viveva lafamiglia della moglie. Povero e dignitoso, Paoloricominciò subito a lavorare come bracciante agri-colo. Ma a Lucca Sicula le cose non andavano bene,c’era poco lavoro, duro e mal pagato; anche Paoloscelse la strada dell’emigrazione. Andò a lavorarein Francia come manovale, ma il soggiorno france-se fu breve, quaranta giorni circa. La nostalgia perla moglie, i figli e la propria terra richiamò Paolopresto in Sicilia.

Ricominciò a lavorare in campagna, riadattando-si a condizioni e paghe di lavoro pietose. Cercavauna via di riscatto, senza tentennamenti preferì lastrada dell’impegno politico. Si avvicinò al partitocomunista, fu colpito da un grande leader di LuccaSicula come Giovanni Bufalo, anarchico prima ecomunista poi, sindaco di Lucca Sicula, capo delloschieramento popolare sotto la cui guida nacquerodirigenti ispirati da elevati valori etici e morali.Paolo Bongiorno, dopo un po’ di tempo di attivitànel partito, fu nominato segretario della Cameradel Lavoro locale. Con passione, il neo segretariodella Camera del Lavoro cominciò ad interessarsilocalmente dei problemi che assillavano la categoriadei braccianti, urtando spesso con gli interessi eco-nomici, ma anche di prestigio sociale, dei datori dilavoro.

Come tutti i sindacalisti, anche Paolo disbrigavaagli anziani le pratiche previdenziali, «una voltauna signora rimase talmente contenta di aver otte-

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nuto la pensione che voleva ricompensarlo donan-dogli una parte della sua prima pensione, ma luinon l’accettò e rifiutò anche i due litri di olio che,come semplice ricordo, la signora gli volle donare ele disse che, se proprio ci teneva, doveva venderlo eportare i soldi alla Camera del Lavoro così gli iscrit-ti avrebbero potuto pagare parte delle spese pertenere attivo l’ufficio»8. Paolo risvegliò dal torpore ilmovimento dei lavoratori del piccolo centro monta-naro, organizzando numerosi scioperi locali e gui-dando i lavoratori in numerose manifestazioni pro-vinciali e regionali. Un vero leader contadino, unbravo dirigente politico che diede slancio e vitalitàalle lotte dei lavoratori, che reclamavano con forzapaghe più alte e orari di lavoro più dignitosi.Decisivo fu il suo contributo nella campagna eletto-rale del 1956 nella quale partecipò attivamentefacendo anche numerosi comizi nei quali fu apprez-zato per la compostezza e l’efficacia con cui argo-mentava le sue idee politiche. Nella stessa occasio-ne cominciò a denunciare i responsabili di qualcheabigeato9.

Ma più cresceva l’impegno di Paolo Bongiornonella Camera del Lavoro, più crescevano le possibi-lità che lui non trovasse occupazione. I datori dilavoro evitavano di assumerlo, gli era sempre piùdifficile, infatti, trovare un’occupazione stabile,eterna vita da precario, da lavoratore a giornata.Paolo, però, si arrangiava come poteva: lavorava ajurnata, come muratore, bracciante, qualsiasi cosa

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purché lavorasse. Per sostentare a famiglia, cheintanto si faceva sempre più numerosa, Paolo anda-va anche a fare la solame e a viscugliari10.

L’impegno nel sindacato e nel partito, il lavorosempre più difficile a trovarsi, la necessità di doversostenere una famiglia con cinque figli, causarono aPaolo un lieve esaurimento nervoso. «Nel settem-bre del 1959 diede evidenti segni di nervosismotanto che si ritenne opportuno farlo ricoverare pres-so la clinica D’Anna di Palermo, ove permasedegente per circa un mese»11. Dopo un mese di rico-vero in clinica Paolo risultò completamente ristabi-lito e non diede alcun segno di alienazione. Ritornòa lavorare in campagna e al sindacato. Per lui rico-minciarono le minacce. Racconta la sorella Concettache proprio qualche mese prima che venisse uccisoPaolo, davanti al cimitero di Lucca Sicula, era statominacciato da due noti mafiosi locali.

Oltre all’impegno sindacale e politico, per Paolosi stava avvicinando anche quello istituzionale.

Visto l’impegno profuso nel partito sin dal 1944,Paolo Bongiorno fu inserito nelle liste dei candidatidel Pci al consiglio comunale per le elezioni del1960 e, forse, il partito puntava su di lui per la can-didatura a sindaco: facemu sidici consigliera e cu pigliacchiu voti fa ‘u sinnacu12, «facciamo sedici consiglierie chi prende più voti fa il sindaco», si era stabilito infase di accordi nel corso di una riunione del partitocomunista di Lucca Sicula.

Sul lavoro, intanto, per Paolo le cose si erano

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messe un po’ meglio, aveva trovato da lavorarecome bracciante presso un cantiere di rimboschi-mento, poi come manovale per l’impresa che ese-guiva i lavori di costruzione della rete idrica aLucca Sicula. Però quando i lavori erano in ultima-zione e servivano meno operai Paolo Bongiorno fuil primo ad essere licenziato.

Ma la voglia di lottare non gli veniva scalfitadalla disoccupazione, anzi, si stava candidandoanche alle elezioni amministrative. E mentre cresce-va l’attesa per le elezioni comunali del 6 novembre,Paolo Bongiorno stava organizzando lo “scioperogenerale dei lavoratori di Lucca Sicula”13. Ma nonfece in tempo a guidare i lavoratori nella lotta per illavoro, quattro giorni prima dello sciopero fu ucci-so con due colpi di lupara.

Il ricordo del professor Francesco Renda: «ConPaolo ci conoscevamo fin dalle scuole elementari;poi lo incontrai come raccoglitore di spighe nelfeudo San Giorgio quando eravamo ragazzi, Paolofaceva le prime esperienze di bracciante agricolo, ionon avevo ancora iniziato gli studi, e facevo l’assi-stente estivo nei lavori di raccolta di mio padre.

Quando nel 1944 iniziai la mia vita politica fon-dando la sezione comunista, tra i giovani più attiviincontrai il cognato di Paolo, che poi divenne il diri-gente dell’ufficio assistenza Inca della CGIL. Paoloinvece emigrò a Lucca Sicula, e a Lucca divennedirigente sindacale qualificato, mentre io trasferitoa Palermo divenni dirigente sindacale regionale e

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provinciale e deputato regionale della provincia diAgrigento. L’organizzazione comunista per esigen-ze elettorali ma non soltanto per quelle era statadivisa in due Federazioni, quella di Agrigento equella di Sciacca. Io e Paolo ci trovammo pertantoseparati, io nella Federazione di Agrigento, Paolonella Federazione di Sciacca. Era come se militassi-mo in due province diverse. Infatti non mi fu maiconcesso di andare a Lucca Sicula, e ci andai percelebrare un anniversario del suo assassinio quan-do non facevo più politica a tempo pieno».

Note1 Il contadino con il salario a giornata.2 Notizie sugli avvenimenti politici e sociali di Cattolica

Eraclea sono narrati da Giacomo Spoto, Cattolica Eraclea e il suoterritorio, Edizione propria, Cattolica Eraclea, 1980. LorenzoGurreri, Cattolica e le sue radici, Edizioni Momenti, Ribera,1994. Antonio Vento, Cattolica Eraclea tra le due guerre, Ed. acura del Comune di Cattolica Eraclea, 2000.

3 Vedi: Calogero Giuffrida, Delitto di prestigio. La storia diGiuseppe Spagnolo, dirigente politico ucciso dalla mafia, IstitutoGramsci Siciliano, Palermo, 2005.

4 La Voce della Sicilia, 25 novembre 2005.5 Intervista dell’autore al prof. Francesco Renda, ottobre

2006.6 Chiarezza, 07/04/1946. Articolo di Francesco Renda.7 Il fatto fu segnalato dal Prefetto di Agrigento alla stampa

in occasione del delitto. I dettagli emergono da varie conver-sazioni con la signora Concetta Bongiorno, sorella della vitti-ma.

8 Testimonianza di Pietro Bongiorno, figlio della vittima,pubblicato su: La Memoria ritrovata. Storie delle vittime della

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mafia raccontate dalle scuole. Pubblicazione curata dal ProgettoLegalità in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le vittime dellamafia, Palermo, 2004.

9 Da: resoconto stenografico della seduta parlamentare del30 novembre 1960.

10 “Solame”, raccolta delle olive cadute a terra durante ilraccolto. “Viscugliari”, raccolta e pulitura dei chicchi di granorimasti a terra durante il raccolto.

11 Verbale d’interrogatorio di Francesca Alfano, 28/09/1960– f. 66.

12 Verbale d’interrogatorio al figlio Giuseppe Bongiorno,28/09/1960 – f. 76.

13 Dai documenti trovati nelle tasche della giacca dopo lamorte. Verbale dei carabinieri di ricognizione e descrizionecadavere di Paolo Bongiorno, 28/09/1960 – f. 7.

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La stampa e il “caso Bongiorno”

La notizia dell’uccisione di Paolo Bongiorno fudiffusa da tutta la stampa nazionale, non scrisseuna riga solo Il secolo d’Italia, il giornale del M.S.I.,partito erede del fascismo. La “grande stampa”

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Corriere della Sera - 29 settembre 1960

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riportò la notizia con obiettività e imparzialità. Il Corriere della Sera, La Stampa e Il Messaggero,

nonostante le nota “orientativa” del prefetto diAgrigento, nei titoli, diedero rilievo all’attività poli-tica e sindacale della vittima. «Un sindacalista sici-liano ucciso a colpi di lupara» (La Stampa).«Sindacalista ucciso a fucilate» (Corriere della Sera).

«Sindacalistanell’agrigen-tino assassi-nato a colpidi fucile» (IlMessaggero) Itre giornaliriportaronola notizia inmodo identi-co, attenen-dosi alla ver-sione ufficia-le diffusadall’ANSA, lapiù impor-tante agenziadi stampa inI t a l i a .L ’ a r t i c o l oparlava di«sindacalistadella Camera

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La Stampa- 29 settembre 1960

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del Lavoro ucciso nell’agrigentino». Riguardo almovente del delitto – scrivevano i tre quotidiani –«non viene esclusa anzitutto la causale politica del-l’omicidio, in conseguenza di contrasti sorti, moltoprobabilmente, nella imminenza delle elezioni

amministrative. Il Bongiorno era candidato nellalista comunista e può darsi che la causa prima del-l’attentato sia da ricercarsi in un dissidio con ele-

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Il Messaggero- 29 settembre 1960

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L’Unità- 29 settembre 1960

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menti del luogo».

L’Unità, il giornale del Partito comunista italiano,allora diretto da Alfredo Reichilin, riportò la notiziadel delitto in prima pagina e trattò la notizia contanta enfasi. Fece inchieste su più fronti, interve-nendo anche con forza presso la magistratura.

I giornali siciliani, il Giornale di Sicilia e La Siciliainvece riportarono la notizia sottovalutandone lacaratteristica politico mafiosa, facendo da grancassaalla già citata “nota orientativa” del Prefetto diAgrigento.

La Sicilia del Popolo, nell’articolo «Le indagini perl’omicidio di Lucca Sicula», parlò di «braccianteassassinato» o di «ex segretario della Camera delLavoro». Il giornale della Dc accusò inoltre la stam-pa di sinistra di aver ordito una «artificiosa specu-lazione comunista».

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L’Unità - 29 settembre 1960

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I giornali siciliani, chiaramente filo governativi,trattarono il caso Bongiorno seguendo le direttivedel ministro degli interni on. Scelba, appoggiatanaturalmente dal prefetto di Agrigento, dr. Querci.

Il prefetto Querci aveva fornito la “nota informa-tiva” alla stampa e agli inquirenti del luogo coordi-nati dalla Tenenza di Palermo. Fece di fatto un falsoritratto della vittima: 1. disse che non dirigeva piùla camera del lavoro; 2. informò la stampa del «pas-sato turbolento della vittima», ripescando un prece-dente penale a carico di Paolo Bongiorno per lesio-

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Giornale di Sicilia - 28 settembre 1960Vedi anche LA SICILIA, 28 settembre 1960. “Ucciso un ex sindacalista

del Pci”.

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La Sicilia del Popolo28 e 29 settembre 1960

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ni personali, un reato che risaliva al 1943 e per ilquale Bongiorno aveva già scontato la pena di dueanni di carcere.

Fu vasta l’eco suscitata dal delitto e importante ilruolo dei mezzi d’informazione nello svolgimentodelle indagini.

Se non ci fosse stato l’interesse della stampa,avremo modo di capire, non si sarebbero aperteneanche le indagini. Il caso Bongiorno, invece, giun-se in parlamento. Servì anche da pretesto per solle-citare al governo Fanfani l’istituzione di una com-missione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, sullaquale si era già espressa favorevolmente la maggio-

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L’ORA, 28 settembre 1960

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ranza del Senato della Repubblica. L’Ora, il giornale siciliano delle grandi inchieste,

mandò i suoi migliori inviati a raccontare il delittodel sindacalista Bongiorno. Chiara la trama, chiaroil movente, ma non c’erano né prove né testimo-nianze per individuare killer e mandanti. I giornali-sti de L’Ora seguirono con molta attenzione il delit-to del sindacalista di Lucca Sicula. Toccante la cro-naca del giornalista Marcello Cimino «Il delitto diLucca Sicula. Sanguinoso preludio alla campagnaelettorale nell’agrigentino».

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L’ORA, 4 ottobre 1960

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Il «suicidio di mafia» del giornalista CosimoCristina

Dopo i delitti la mafia spara sui cadaveri dellevittime per ucciderne la memoria, perché nemmenoda morti diano eccessivo fastidio. Succede soprat-tutto nei casi in cui vengono uccisi personaggi pub-blici, magistrati e forze dell’ordine, dirigenti politi-ci e sindacali, giornalisti o preti.

Ucciso l’uomo bisogna cancellare il ricordo dellasua opera, perché la si scordi per sempre, perché sicancelli dalla memoria. Bisogna “mascariare” la suapersonalità pubblica e privata. Non sempre è facile,perché dall’altra parte ci sono persone e gruppi,invece, che esercitano il dovere della memoria: perrichiamare l’attenzione dell’opinione pubblica supersonaggi e fatti che vanno ricordati, per non esse-re rimossi dalla memoria, per farli rivivere nel ricor-do delle generazioni presenti e future.

Nel corso delle indagini sui cosiddetti “delittieccellenti”, dunque, capita spesso che si metta inmoto un’incredibile rete di relazioni capace di ren-dere misterioso un omicidio del quale è chiara latrama, evidente il movente, visibile il contesto.

Così è successo per Paolo Bongiorno e per tantialtri, tra cui un giovane cronista di provincia comeCosimo Cristina, anche lui ucciso nel 1960. Avevasolo venticinque anni, purtroppo la sua storia ècaduta nel dimenticatoio. Colgo l’occasione per rac-contarvela.

Quella di Cosimo Cristina è la storia di un gior-

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nalista scomodo che osò sfidare la mafia, che con ipropri articoli seminava lo scompiglio tra i potentidi Termini Imerese, Cefalù e delle Madonie.Scriveva per L’Ora di Palermo ed era il corrispon-dente dell’Ansa e de Il giorno. Fondò e diresse ancheun giornale, Prospettive Siciliane, sul quale scrivevaquello che sui giornali per i quali lavorava non glifacevano scrivere perché troppo prudenti e timoro-si di querele. Di solito il corrispondente da un paesesiciliano è guardato con sospetto: o è troppo moscioo è troppo temerario. Cosimo Cristina era troppotemerario. Scriveva sempre contro la mafia, si occu-pò spesso della banda dei monaci di Mazzarino eseguì il processo contro assassini e mandanti diSalvatore Carnevale, il sindacalista ucciso dallamafia. Si infilava nei fatti di cronaca senza cautele,senza pensare a cosa gli potesse capitare.

La mattina del 3 maggio 1960, alle 11 circa,Cosimo Cristina uscì di casa ben vestito, con il soli-to cravattino, rasato di fresco e accuratamente pro-fumato. Il pomeriggio del 5 maggio, ad appena ven-ticinque anni, Cosimo Cristina fu rinvenuto privodi vita nel tunnel ferroviario di contrada Fossola aTermini Imerese, «Si tratta di un palese suicidio»1,sentenziarono sicuri gli inquirenti, intervenuti sulluogo del ritrovamento, tanto che non predisposeronemmeno l’autopsia. Secondo gli inquirenti il gio-vane giornalista si sarebbe buttato sotto un treno,ma le sue ossa non avevano nessuna frattura. Le suecarte furono trovate in senso contrario a quello in

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Giornale di Sicilia, 23 giugno 1966

Giornale di Sicilia, 20 giugno 1966

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cui il treno avrebbe dovuto portarle. Sui giornaliapparvero piccole notizie, ebbe più rilievo quelloche scrisse il Corriere della Sera che quello che scris-sero i giornali siciliani. Si disse che Cosimo erapieno di debiti, processi per querela, guai. Nulla divero. Sei anni dopo il delitto il questore di PalermoMangano riaprì il caso, cercando di provare cheCristina non si era suicidato ma era stato uccisodalla mafia. Fu riesumato il cadavere del giovanegiornalista ucciso per eseguirne l’autopsia, maormai era troppo tardi. Il caso Cristina fu di nuovoarchiviato, stavolta per sempre.

Diciotto anni dopo, il 9 maggio 1978, a Cinisi, suibinari del treno, fu trovato morto un altro giovanegiornalista, era Peppino Impastato. La mafia adope-rò lo stesso sistema utilizzato per Cristina: prima louccise, poi lo buttò sui binari del treno, e dopo depi-stò le indagini con la complicità degli investigatorifacendolo apparire come suicidio. Ma gli amici diPeppino non mollarono e, dopo più di vent’anni daldelitto, riuscirono a far condannare all’ergastolo ilboss Gaetano Badalamenti. I familiari di Cosimoperò non hanno mai avuto giustizia.

Note1 Giornale di Sicilia, 23 giugno 1966.

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Il «caso Bongiorno» approda inParlamento

Il delitto di Paolo Bongiorno suscitò l’interessenon solo della stampa nazionale ma anche delParlamento e del governo Fanfani.

I parlamentari della sinistra siciliana, appenaavuta la notizia dell’assassinio, interessarono subitoil Senato della Repubblica e la Camera dei Deputati.Con un’interrogazione urgente al ministro degliinterni Mario Scelba, gli onorevoli Li Causi, DiBenedetto, Speciale e De Pasquale chiesero «unaimmediata e rigorosa azione onde individuare ecolpire gli ispiratori e gli esecutori del crimine»1. Isenatori Berti, Fiore, Granata, Pastore e Caruso pre-sentarono un’interpellanza anche al presidente delconsiglio e chiesero «per quali ragioni dopo il votounanime del Senato che chiedeva una commissioneparlamentare d’inchiesta sulla mafia nelle provincedella Sicilia occidentale con particolare riguardoalla situazione intollerabile creatasi nell’agrigenti-no, nessuna misura sia stata presa dal governo.Attendiamo di sapere – scrissero i senatori – qualimisure il governo si impegna subito a prendere, inattesa che la commissione parlamentare d’inchiestadiventi operante, per garantire nell’insanguinataprovincia agrigentino il regolare svolgimentodemocratico delle consultazioni elettorali».

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Del “caso Bongiorno” fu investito direttamenteil presidente del consiglio Amintore Fanfani. Unadelegazione composta dai deputati comunistiSpeciale, Russo, Di Pasquale e dal deputato sociali-sta Gaudioso incontrò Fanfani al quale furono sol-lecitate «severe disposizioni per le indagini».

Al ministro degli interni Mario Scelba la segrete-ria nazionale della CGIL - si legge su L’Unità del 30settembre 1960 - chiese di «adottare tutte le misurenecessarie a fare, con la massima urgenza, pienaluce sul delitto e affinché siano adottati i provvedi-menti atti a stroncare il ripetersi di episodi di crimi-nale violenza, che da tempo turbano la vita politicadell’agrigentino e dell’intera Sicilia».

Una delegazione composta dai deputati comuni-sti agrigentini all’assemblea regionale sicilianaRenda e Pancamo e dai dirigenti regionali dellaCGIL La Torre e Genovese sollecitarono una forteazione anche al governo regionale presieduto daMajorana.

Chi tentava di chiudere in fretta le indagini sul-l’assassino del delitto Bongiorno aveva fatto male iconti, non aveva certo previsto che il caso giunges-se in Parlamento. Gli investigatori e il Prefetto nonimmaginavano che a difesa della vittima si schie-rasse gran parte dell’opinione pubblica e, soprattut-to, grandi organizzazioni politiche e sindacali.

Il ministro Scelba, prendeva tempo rinviando disettimana in settimana la discussione in Parlamentosul caso Bongiorno. L’opposizione aveva chiesto di

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inserire il dibattito come ordine del giorno, da dis-cutere a sé stante, ma il ministro lo incluse nel grancalderone sulla discussione del bilancio del ministe-ro degli interni. L’opposizione cominciò a chiederecon maggiore veemenza l’istituzione della commis-sione parlamentare d’inchiesta sulla mafia.Durante il dibattito parlamentare scaturito dal“caso Bongiorno” si fece per la prima volta un qua-dro generale della situazione della mafia in provin-cia di Agrigento, da cui emersero curiosi avveni-menti relativi al contesto mafioso locale e provin-ciale in cui maturò il delitto del giovane sindacalistaPaolo Bongiorno.

Politica, mafia e delitti nell’agrigentino«Signor Presidente, onorevoli colleghi (dal dis-

corso in aula del sen. Berti), pochi mesi fa noidovemmo occuparci dei delitti di mafia che conti-nuano a rimanere impuniti in Sicilia. Io vi dicevoallora che quaranta dirigenti di sezioni comuniste esocialiste erano stati uccisi da questa organizzazio-ne delinquenziale. Alla vigilia della consultazioneelettorale, sempre nella provincia di Agrigento,della quale avevo particolarmente parlato, a LuccaSicula, il segretario della Camera del Lavoro di quelcentro agricolo, Paolo Bongiorno, mentre stava perritirarsi a casa, veniva raggiunto da due fucilate alupara ed assassinato. Dopo il voto unanime delSenato della Repubblica io mi attendevo perlomenoche fossero prese nella zona più tragica della lotta

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mafiosa delle misure atte a salvaguardare i dirigen-ti sindacali e politici. Così non è stato. PaoloBongiorno è stato assassinato, e la vittima è stataben scelta: egli era in quella località il più combatti-vo, il più capace. Non era del paese ed era più faci-le ucciderlo: proveniva da un paese vicino(Cattolica Eraclea, nda). Non si sarebbero quindirisollevati i risentimenti familiari delle varie fami-glie che ci sono nei paesi siciliani. Appena è avve-nuto il delitto, immediatamente sono venute fuoridelle interpretazioni interessate: è stato detto chenon era più segretario della Camera del Lavoro eche quindi il delitto non aveva natura politica, enon è vero: egli era stato sempre segretario dellaCamera del Lavoro, anche se c’era stata una breveinterruzione, dovuta a motivi di salute, nella dire-zione dell’organizzazione sindacale. E’ stato pub-blicato su alcuni giornali che il Bongiorno era untipo irascibile, un irresponsabile. Era un uomo one-sto, era il padre di quattro figli, era il dirigente diuna delle organizzazioni sindacali della provinciadi Agrigento. Perché è stato ucciso? Tutte questescuse sono venute fuori appunto per cercare di arri-vare a questa conclusione: che non si poteva esserecerti che fosse un delitto politico. Ebbene, noidomandiamo qui al sottosegretario che rappresentail ministro dell’interno quale altra causa ci potevaessere, per un uomo onesto, probo, dedicato allapropria famiglia, che non aveva altra attività chequella sindacale e politica. Nessuno ha potuto indi-

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care altra causa. Del resto noi siamo abituati, ognivolta che succede un delitto di questo genere, a sen-tire avanzare il dubbio circa la causale politica.Quando fu ucciso Carnevale a Sciara è stata dettaall’inizio la stessa cosa, e poi è venuta fuori la crudae terribile realtà: Carnevale fu ucciso perché erasocialista. Ricordate le belle pagine del libro diCarlo Levi, Le parole sono pietre? Mi pare necessarioper comprendere il significato di questi delitti e l’at-teggiamento del Governo e delle Forze dell’ordine,ricordare qual era il clima politico a Lucca Siculaprima delle elezioni politiche. La Democrazia cri-stiana e il Movimento sociale Italiano avevano deci-so di fare una lista unica per strappare il comune aicomunisti, che lo detenevano da otto anni, edhanno fatto questa lista unica. Non solo, ma hannoesercitato delle pressioni perfino su un gruppo diCristiano sociali: in un primo momento costoro ade-rirono, ma poi fecero in tempo a ritirarsi dalla listaed a rimanere in disparte. Si doveva assolutamenteriuscire a strappare ai comunisti questo comune,non esiste sezione socialista a Lucca Sicula; si dove-va riuscire con ogni mezzo. Ed allora è arrivato ildelitto. Si è preso l’esponente più in vista, più intel-ligente, più capace, colui che si sacrificava di più,che aveva dato tutta la propria vita alla causa deilavoratori ed una sera, mentre si ritirava a casa,questo bracciante, padre di cinque figli, è stato ucci-so. Io non posso tacere che Lucca Sicula è il paesedel deputato all’Assemblea Regionale Siciliana

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Mangano, uno dei più violenti esponenti delMovimento sociale italiano. L’alleanza politica eraalleanza non soltanto con un piccolo gruppo localedel Msi, ma con Mangano, uno dei dirigenti piùrappresentativi. La Dc sapeva quello che facevaquando concludeva l’alleanza e ne riceveva l’ap-provazione anche dalla Federazione provinciale. Ildelitto significava, doveva significare qualcosa.Dobbiamo, possiamo dimenticare che la strage diPortella della Ginestra del Primo maggio anch’essaè venuta alla vigilia di una consultazione elettoraleper terrorizzare il popolo di Sicilia? Avvenuto ildelitto, si sono mobilitate le forze politiche dei par-titi governativi: a che scopo? Forse per cercare ditrovare il colpevole? No, per cercare di dimostrareche il delitto non era delitto politico. Si è comincia-to ad interrogare la famiglia, i familiari, gli amicipiù intimi, il nipote con cui quella sera PaoloBongiorno si ritirava a casa e che era distante da luipochi passi su quella strada accidentata in cui fuucciso. Si doveva trovare assolutamente un motivodi carattere familiare o di carattere interno, di parti-to. Tutte le domande vertevano su questo, l’interro-gatorio verteva su questo: con chi aveva avuto dis-sensi nel partito o nella famiglia. E dopo tre mesi diinterrogatori non è venuto fuori niente. (…) Maquello che abbiamo detto alle autorità di PubblicaSicurezza, quello che ha detto l’onorevole Li Causiche ha parlato due giorni dopo il delitto a LuccaSicula, è stato questo: vogliamo che voi troviate il

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colpevole, che lo arrestiate chiunque esso sia; fos-s’anche nostro padre o nostro fratello, arrestatelo, equando l’avrete arrestato sarà facile da lui rimonta-re ai mandanti. Questi mandanti non possono esse-re che la mafia locale e provinciale, quella mafia cheè entrata largamente nelle vostre liste di candidati,signori della Democrazia cristiana, e che è stata elet-ta nei posti dirigenti nella provincia di Agrigento.(…) Si è detto: forse non è stato un delitto politico,perché il Bongiorno sapeva dei responsabili di certiabigeati che si erano compiuti da parte della mafianella zona ed avrebbe detto una volta che egli sape-va queste cose e che le avrebbe eventualmente rife-rite alle autorità di pubblica sicurezza. Ma allora lanostra tesi è giusta: è la mafia che lo ha colpito, enon nel momento (otto o dieci mesi fa) quando egliavrebbe detto queste parole, ma alla vigilia dellalotta elettorale, lui che era il dirigente delle forzecomuniste di quel paese. Ed allora se è un delitto dimafia è un delitto politico: la mafia è un’organizza-zione delinquenziale che trova la sua forza negliappoggi politici e in tanto riesce ad avere una auto-rità, in quanto riesce a sfuggire alla giustizia e inquanto l’intromissione delle forze politiche che laproteggono è tale che essa può riuscire a tanto2».

Dc, la faida per il potere e i delitti eccellentiDal Parlamento emerse il contesto in cui maturò

il delitto di Paolo Bongiorno. Uno scenario fatto diun perverso intreccio tra mafia e politica, di poteri

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economici e clericali. Numerosi i paesi della Siciliaoccidentale (particolarmente della provincia diAgrigento) in cui la mafia era scopertamente alladirezione della cosa pubblica. «Quando dico Dc-mafia, fotografo una realtà di fatto, un intreccio for-tissimo, evidente, tra potere mafioso, agrari, Chiesae apparato statale, a cominciare dai carabinieri»3,così spiega quel contesto il senatore EmanueleMacaluso.

Dal dopoguerra fino agli anni del boom econo-mico, si giocò una feroce faida all’interno della Dcagrigentina che lasciò sul terreno anche «vittimeeccellenti»4.

Nel dopoguerra, il leader indiscusso della Dc inprovincia di Agrigento era l’on. Gaetano Di Leo,originario Calamonaci, residente a Ribera, domina-va incontrastato la Democrazia cristiana nella pro-vincia agrigentina, era appoggiato dal vescovomonsignor Peruzzo.

A contrastare il potere di Di Leo arrivò GiuseppeLa Loggia, originario di Cattolica Eraclea, intelli-gente, freddo, elegante, venne alla ribalta della vitapolitica agrigentina nell’immediato dopoguerra,sotto l’insegna del Partito liberale. «Il suo ingressonel partito dominato in Sicilia da Mattarella, Scelba,Aldisio e Alessi, e ad Agrigento da Di Leo avvenneattraverso la porta di servizio dell’attività sindaca-le. Nel giro di un anno e mezzo ottenne un’afferma-zione folgorante, nel 1947 diventò deputato regio-nale ottenendo 11.586 voti di preferenza, fu nomi-

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nato assessore regionale all’agricoltura»5. La Loggiaera schierato con i gruppi industriali ostili alla poli-tica tradizionale del “blocco agrario” della provin-cia, alla cui attività, fra l’altro, si deve ascrivere laresponsabilità dell’assassinio del sindacalistaAccursio Miraglia, ucciso a colpi di mitra a Sciaccail 4 gennaio 1947. Il posto di assessore regionale per-mise a La Loggia di librarsi e far pesare il suo pesonon soltanto nel parlamento regionale ma soprat-tutto nell’agrigentino, fonte generosa di voti e dipotere. «La sua avanzata, naturalmente, preoccupògli avversari ed in particolare il notabile Di Leo,vecchio amico di Aldisio e Mattarella, che vedevanello slancio di La Loggia una minaccia alla radicedel suo personale potere. Tra i due uomini politici siscatenò una lotta furibonda. Di Leo marciava segui-to dalle tradizionali clientele cementate dalla comu-nanza di interessi in campo agrario e da un’orga-nizzazione locale forte e temutissima. La Loggiaavanzava al braccio di interessi industriali e con-quistava fedeli attraverso una politica accorta difavori, di appalti e di stanziamenti governativi. Allavigilia delle elezioni del 1951 la situazione si pre-sentava disperata per il più giovane dei contenden-ti. Di Leo, forte dell’appoggio dell’arcivescovoPeruzzo e della maggioranza del clero, aveva postoalla direzione provinciale una sua creatura, LuigiGiglia, futuro onorevole al quale, oggi, è intitolatal’aula consiliare della Provincia Regionale diAgrigento. Per bilanciare la potenza del suo avver-

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sario, inoltre, aveva portato dalla sua parte EraclideGiglio, un “inteso” capo mafia, dominatore indi-scusso di una vasta zona interna della provincia cheha come epicentro Alessandria della Rocca e cheesercitava il suo dominio su Santo Stefano diQuisquina, Caltabellotta, Bivona, Cianciana eCalamonaci. Dalla loro parte anche il boss di LuccaSicula, “don” Vito Lo Cascio. Appartenenti alla cor-rente di “destra” della Dc Giglia e Di Leo, a livellonazionale erano legati ai potentissimi ministriBernardo Mattarella e Mario Scelba; il loro direttoriferimento in Sicilia era il ministro Aldisio, dallaloro parte anche qualche funzionario della regione.

Tra le due fazioni iniziò una feroce lotta per ilpotere all’interno del partito. Dalla parte di LaLoggia anche il commissario Tandoy il quale rive-stiva gli abiti del fraterno consigliere e del portato-re di rametti d’olivo. L’arcivescovo Peruzzo, cheaveva ordinato ai suoi di sparare a zero (metafori-camente) sull’ex massone La Loggia, pochi giorniprima del voto si ravvide. Giuseppe La Loggia fu ilprimo eletto della lista democristiana, con 38.886voti di preferenza. Dall’assessorato all’agricolturapassò a quello delle finanze, assumendo anche lacarica di vice presidente»6.

Cominciò una vera e propria faida interna allaDc. La potentissima famiglia La Loggia tenevastrettissimi legami con le clientele Dc delle provin-ce di Palermo, Trapani e Caltanissetta, ruotanti,queste ultime, attorno al sottosegretario Calogero

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Volpe, e al capogruppo Dc all’Assemblea RegionaleSiciliana Rosario Lanza e ad altre figure minori.Importanti a fini politici anche i rapporti privilegia-ti con dirigenti di organismi finanziari e bancari econ temuti esponenti della onorata società, dal“papa” di Mussomeli Genco Russo al siculo ameri-cano, Nick Gentile, originario di Realmonte, espul-so dagli USA insieme a Lucky Luciano. Durante leelezioni, nei centri nei quali gli uomini di Di Leoavevano dichiarato ostracismo agli uomini di LaLoggia, faceva la sua comparsa ‘u zu Cola. Spesso lasua sola presenza mutò le scelte degli elettori.

Mentre infuriava lo scontro politico avvenivanouna serie di omicidi a sfondo politico-mafioso.

Il primo democristiano «vittima di odio politico»fu l’avvocato Vincenzo Campo, noto penalista diAgrigento, segretario regionale della Dc, candidatoal Senato della Repubblica elle elezioni del 1948. Il23 febbraio del 1948 aveva terminato un comizio adAlcamo e, a bordo di un furgoncino di sua proprie-tà guidato dal figlio, stava andando a Sciacca dov’e-ra atteso per un altro discorso politico. Giunti a unchilometro oltre Gibellina partì dal ciglio della stra-da una raffica di mitra, poi una seconda, colpendomortalmente al cuore il segretario regionale dellaDc. «Si ritiene negli ambienti della regione sicilianache il movente dell’assassinio sia di carattere politi-co»7.

Vincenzo Campo si batteva contro la corrente

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dominante della Democrazia cristiana, aveva postotra la politica del partito la questione morale. Fuucciso. Il suo nome è inserito nell’elenco delle vitti-ma della mafia approvato dalla Regione Siciliana.

La sera dell’8 maggio 1951 fu ucciso a colpi dilupara Eraclide Giglio, sindaco di Alessandria dellaRocca. Era un uomo di 65 anni, capo della mafia chein quel periodo spadroneggiava ad Alessandriadella Rocca, Bivona, Cianciana e Santo Stefano.Durante il governatorato del prefetto Mori avevascontato cinque anni al confino. Era stato inclusonelle liste per le regionali del 1951 dal segretariodella Dc, allo scopo di bilanciare lo strapotere dei LaLoggia. La battaglia infuriò violentissima. «Il delit-to è da inquadrare anche nel carattere violento chela direzione clericale dell’agrigentino ha dato allacampagna elettorale». Pochi giorni prima dell’ucci-sione, ad esempio, l’avvocato Giglia, segretariodella Dc agrigentina, nel corso di un comizio tenu-to dall’on. Rumor, comizio che era disturbato daalcuni militanti missini, pronunciava testuali paro-le: «Abbiamo forze sufficienti per mettere a posto ifarabutti senza bisogno di forze dell’ordine»8.

Poi fu la volta di Vito Montaperto. La sera del 14settembre 1953 un’automobile con a bordo il segre-tario del comitato provinciale della Dc VitoMontaperto, gli onorevoli Giglia e Di Leo, il dottorInclima e l’autista, percorreva la statale che daAgrigento portava a Licata. Montaperto stava par-lando di alcuni problemi riguardanti il partito e in

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particolare della battaglia che aveva diviso in duetronconi la mafia. Sosteneva che era necessario farlafinita con la fazione ed eliminare la perniciosa stra-potenza dei La Loggia: le stesse cose che da tempo,del resto, andava predicando nelle sezioni del par-tito dei vari centri della provincia. Giunti a un trat-to a poca distanza da Palma di Montechiaro ungruppo di uomini mascherati bloccò la macchina.Gli occupanti scesero con le mani legate in alto. Unuomo si fece avanti, sollevò il mitra e lasciò partireun solo colpo in direzione del battagliero segretarioprovinciale9.

L’onorevole Di Leo in quella occasione presentòquerela nei confronti de l’Unità: «incauta querela per-ché, per esempio, un altro giornale democristiano diCatania, La Sicilia, che era ispirato dall’onorevoleScelba, ha scritto molto di più de l’Unità e aveva pra-ticamente accusato Di Leo e Giglia di essere immi-schiati nella faccenda essendo avversari della fazio-ne di Montaperto, che era l’uomo di La Loggia»10.

Nello stesso periodo fu preso di mira anche l’on.Raimondo Borsellino di Cattolica Eraclea. «Nelmarzo del 1953 il deputato democristianoBorsellino (che aveva abbandonato il vescovoPeruzzo per rifugiarsi nelle braccia dei la Loggia)mentre viaggiava in auto sulla Ribera-Montallegrovenne assalito a colpi di mitra. Riuscì a sfuggireall’attentato ma da quel momento la sua stellacominciò a impallidire»11.

Nella lotta per il potere in provincia di Agrigento

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intervenne direttamente anche la segreteria nazio-nale della Democrazia cristiana. Il succedersi didelitti impressionò a tal punto i dirigenti di Piazzadi Gesù da indurre l’on. Gonella, allora segretariopolitico, a inviare sul posto un suo ispettore,Giammaria Lespa. Il commissario straordinariodella Dc aveva ricevuto l’incarico di punire i nemi-ci della fazione soccombente e pensò di servirsidelle stesse armi, scegliendo come capro espiatoriol’on. Volpe. La sera del 26 maggio del 1953, nei pres-si di Montedoro, Lespa lanciò una bomba a manocontro la sua stessa automobile e, dopo averlocoperto con una pagnotta, si tirò una pistolettatasull’avambraccio. Al Capo della mobile che lo inter-rogò disse di essere stato vittima di un attentatoorganizzato da Volpe per incarico di La Loggia. Magli andò male. L’on. Volpe dimostrò la sua estranei-tà e Lespa fu arrestato per calunnia, simulazione direato e autolesionismo; fu cacciato dalla Dc e la suacarriera finì nell’ignominia12.

Poi fu ucciso Giovanni Guzzo, vice sindaco diLicata. Giovanni Guzzo rivestì pure la carica di pre-sidente dell’Unione provinciale delle cooperativeagricole fino a quando, il 17 gennaio 1955, fu uccisocon tre di colpi di pistola mentre si trovava nel suoufficio del Consorzio agrario provinciale. Ai suoifunerali, nella chiesa di Sant’Angelo, partecipò granparte della cittadinanza. «Non sono mancate leoccasioni in cui quest’uomo è venuto a diverbio, in

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pubblici locali, con esponenti della malavita orga-nizzata, i quali da lui mortificati si sono allontanatipieni di livore per lo smacco subito. Ora, se da unaparte possiamo affermare che il Guzzo, a modo suo,combatteva la mafia ufficiale, dall’altra dobbiamodire che ciò avveniva sul piano extra-legale. Eglinon confidò mai a nessuno il pericolo cui andavaincontro, né alla polizia, né agli amici, né ai suoifamiliari; si fidò soltanto del suo coraggio e delladestrezza con cui maneggiava la pistola; in praticacombatté la mafia da mafioso. Sotto questo aspettonon accettò mai nessuna imposizione e alle minac-ce rispose con le minacce»13. «Alcuni mesi prima diessere ucciso il vice sindaco Guzzo sostenne unalotta aperta contro una corrente della Dc in seno alcomune. Inoltre la direzione provinciale della Dccercò di imporre le dimissioni alla giunta e allamaggioranza consiliare Dc, dimissioni che sonostate energicamente respinte»14.

Il 19 aprile del 1946 fu ucciso GiuseppeCinquemani, segretario della CISL di Montallegro.Di questo delitto parlò il senatore Berti nel corsodella discussione parlamentare sul “casoBongiorno” avvenuta al Senato della Repubblica il20 novembre 1960: «E’ di cinque o sei giorni fa ilprocesso del segretario della CISL di Montallegro,altro paese della provincia di Agrigento. Leggete gliincartamenti di questo processo: sono istruttivi. Inomi dei responsabili sono venuti fuori con tutta la

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storia del delitto. Il segretario della CISL appartene-va ad una tendenza della Democrazia cristianasedicente di sinistra; il gruppo opposto, di destra,decise di eliminarlo e consegnò 50.000 lire a ciascu-no dei due disgraziati che si incaricarono della cosa.Prima hanno tirato contro la moglie, ferendola, e unmese dopo veniva ucciso il marito. La condanna èarrivata: ergastolo. I colpevoli sono stati individua-ti, ma è possibile che questa situazione continui? E’possibile che voi stessi possiate ammettere che lestesse lotte interne del vostro partito, fra voi demo-cristiani, assumono questo aspetto?».

Nel tardo inverno del 1958, alla vigilia delle ele-zioni politiche del 25 maggio, la corrente Dc capeg-giata dall’on. Giuseppe La Loggia e quella guidatadall’on. Gaetano Di Leo, in lotta da oltre un decen-nio per l’egemonia dell’esercizio del potere, sischierarono nella seguente formazione: i laloggiani(legati nazionalmente al fanfanismo e ai gruppimonopolistici che avevano preso d’assalto la Sicilia)avevano come outsider il sindaco di PortoEmpedocle dr. Sinesio, il deputato uscente dott.Raimondo Borsellino e il senatore Sammartino. Nelcollegio senatoriale di Sciacca il referente laloggianoera il dr. Molinari, nemico dichiarato di Di Leo. Iquattro erano appoggiati dalla segreteria provincia-le retta dall’on. Rubino, dal cardinale Ruffini e dalleclientele mafiose moderne, interessate alla penetra-zione della Montecatini nell’economia isolana e alla

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pappatoria degli appalti regionali. I loro padrinipolitici erano i potentissimi ministri Scelba eMattarella, e l’on. Adisio. L’altra barricata, abbiamodetto, era tenuta da Gaetano Di Leo in prima perso-na e da Luigi Giglia.

La battaglia fu feroce. Gli attivisti di Di Leo con-centrarono il loro fuoco particolarmente su Sinesio,accusato apertamente di essere alle dipendenze deimonopoli industriali. Vi fu chi sostenne che laItalcementi aveva deciso di passare un sussidiomensile alla segreteria provinciale dellaDemocrazia cristiana e chi sottolineava i rapportitra gli uomini di La Loggia e un industriale siculo-americano, proprietario di un’industria farmaceuti-ca romana, annodatisi in seguito all’intervento diun notissimo esponente politico e capomafia diCaltanissetta, Giuseppe Genco Russo.

Per le elezioni del Senato la corrente di destradella Dc, capeggiata da Di Leo fece capire agli elet-tori che sarebbe stato meglio concentrare i loro suf-fragi sull’esponente del Movimento sociale italiano,dr. Venuti, rappresentante ad Agrigento della SIN-CAT-Edison.

La destra stravinse e Sammartino, il candidatodella sinistra Dc, non fu eletto al Senato dellaRepubblica, fu eletto Molinari in virtù di un repen-tino voltafaccia. Tre giorni prima del voto, infatti,egli venne a patti con la destra del suo partito: lazona di Sciacca fu percorsa da un centinaio di auto,cariche di capi elettori molti dei quali iscritti nel

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casellario giudiziario, incaricati di “convincere” glielettori democristiani a mutar parere sul conto delnuovo acquisto.

Il seggio della Camera dei Deputati Di Leo locedette a Bonfiglio. Borsellino fu sconfitto senzascampo. Sinesio riuscì ad essere eletto solo per l’ap-porto dei voti affluiti sulla sua persona da altre pro-vince, grazie alla paterna esortazione del cardinaledi Palermo. Così l’on. Di Leo sintetizzò alla stampai risultati del partito alle elezioni: «Abbiamo vintodue a uno fuori casa e con l’arbitro venduto».Sull’onda del successo la destra Dc cercò di liquida-re gli avversari politici interni. Il primo obiettivo erala conquista della segreteria provinciale della Dc,ancora in pugno a Raffaele Rubino, esponente di LaLoggia.

Il gruppo dell’on. Gaetano Di Leo pubblicò ilgiornale Libero dibattito, con il quale accusavaRubino e La Loggia di esasperato clientelismo, dicollusione con la mafia e con i monopoli e di scor-rettezze di ogni genere; queste, in verità, malattiecomuni a tutte e due le fazioni.

I contendenti si servirono di ogni circostanzafavorevole, anche dei funerali dei loro amici piùcari, per colpire il nemico. Durante le esequie del-l’ex presidente della regione on. Giulio Bonfiglio,celebrate il 26 dicembre del 1959, prese la parolal’on. Gaetano Di Leo. Versando torrenti di lacrime,ad un certo punto egli si rivolse verso Giuseppe LaLoggia che, parato a lutto, assisteva in prima fila

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alla cerimonia, gridando: «Giulio Bonfiglio! AmicoGiulio… La nostra battaglia continua e continueràattraverso tuo figlio Angelo, contro gli stessi tuoiavversari!». La Loggia, che non aveva mai nascostola sua ostilità nei confronti di tutta la casataBonfiglio, si rimise la lobbia in capo, abbottonò ilsoprabito e abbandonò irritatissimo la scena.

In quegli stessi giorni la destra minacciò il nemi-co di un’azione giudiziaria per violazioni dello sta-tuto della Dc. Ma stavolta fu la destra stessa a soc-combere, nonostante il passaggio ai Cristiano socia-li di numerosi esponenti, schifati dalla piega presadalla contesa. La Loggia mise alle corde il gruppoavversario che fu costretto a disertare il pre-con-gresso provinciale del 3 gennaio 1959 e ritirarsi inbuon ordine.

La lotta riprese più furibonda che mai in occasio-ne delle elezioni regionali del giugno ’59. Durantela presentazione delle liste, Bonfiglio junior dovetteingraziarsi il ministro Giulio Andreotti per riusciread essere incluso nelle liste approntate dall’on.Rubino.

Lo schieramento, alla vigilia del voto, era ilseguente: da un lato La Loggia e Rubino, sostenutidalla mafia di Siculiana, dal capo clientelare Ferro,da Genco Russo e dai monopoli. Dall’altro latoBonfiglio e Cinà appoggiati dall’on. Di Leo, dallachiesa e dai tradizionali gruppi terrieri.

Giuseppe La Loggia trascinò dalla sua i vecchi ei nuovi amici, gli appaltatori, i mafiosi, le autorità

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governative e tutto il resto. Mentre in provincia diCaltanissetta il suo amico Lanza apriva la campa-gna elettorale a Mussomeli, su un palco su cui ave-vano preso posto Genco Russo e i suoi fidi, LaLoggia dirigeva una cerimonia pressoché identica aRealmonte. Solo che sul palco, oltre ad esserci imafiosi, c’erano anche tutte le autorità locali. Lasinistra Dc ebbe la meglio: alle urne, nonostante l’o-stilità di una notevole parte del clero, La Loggiasuperò Bonfiglio e anche Rubino ricevette l’investi-tura15.

Il «caso Tandoy»«La sera del 30 marzo del 1960 al numero civico

211 del viale della Vittoria dei killer si avvicinaronoal commissario di polizia Cataldo Tandoy e spara-rono a bruciapelo. Tre proiettili raggiunsero il poli-ziotto che si accasciò a terra trascinando con sé lamoglie Leila Motta che teneva per mano. Il com-mando colpì anche uno studente, Ninni Damantivittima innocente. Un classico per i delitti di mafia.Le indagini si mostrarono subito difficili ed imba-razzanti: pista privilegiata quella passionale. Si sco-prì che la moglie di Tandoy aveva una relazioneextraconiugale. L’amante era Mario La Loggia, unpotente di mestiere psichiatra, appartenente ad unadelle famiglie borghesi più in vista della città, impe-gnato in politica con la Democrazia Cristiana.

Con l’accusa di esserne stato il mandante LaLoggia fu tratto in arresto con altri due presunti

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complici, ma le convinzioni della magistratura nau-fragarono al processo. Chiusa la pista passionalerestò in piedi quella legata al suo lavoro di capodella Squadra Mobile.

Si accertò che nonostante il suo trasferimento aRoma Tandoy aveva deciso di portare avanti un’in-chiesta sulla famiglia mafiosa di Raffadali che egliconosceva bene per via delle confidenze avute datale Cuffaro. Chiese così all’agente Ippolito LoPresti di inviargli un baule pieno di documenti alnuovo indirizzo romano. Nella cassa, successiva-mente perquisita, si trovò tutto tranne il dossier-Raffadali. Sul banco degli imputati questa volta fini-rono cinque raffadalesi.

Venne sollevata l’eccezione della libera suspicio-ne e per incompatibilità ambientale il processo sicelebrò a Lecce: agli imputati furono inflitte penesevere. Ma poi usufruirono dei benefici di legge»16.

Cataldo Tandoy era arrivato ad Agrigento pocoprima dell’assassino del dirigente sindacalistaAccursio Miraglia, ucciso a Sciacca, il 4 gennaio del1947. Era un funzionario digiuno di esperienzemafiose e di intrighi politici, ma intelligente e dota-to di buon naso. «In poche settimane di indagini suldelitto Miraglia arrestò sei mafiosi devoti ai LaLoggia: Carmelo Di Stefano di Favara; Rossi,Gurreri e Segreto di Sciacca, Montalbano diCaltabellotta e Oliva di Castelvetrano.

Tandoy era certo della loro colpevolezza; madovette rapidamente cambiar parere. I sei furono

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infatti prosciolti in istruttoria e, come prima azione,denunciarono il commissario alla magistratura. Fuforse questo il primo avvertimento rivolto all’ine-sperto poliziotto che ancora non aveva capito dache parte spirasse il vento: Tandoy chinò il capo.Nel 1951, quando fu ucciso Eraclide Giglio, il sinda-co-boss di Alessandria della Rocca, Tandoy, che eraottimo segugio, seppe che la esecuzione era statadecisa durante una riunione avvenuta nella sacre-stia di una chiesa di Aragona, ed individuò il sica-rio. Ma fu ancora una volta sfortunato: l’assassinodi Giglio morì cinque minuti prima dell’arresto e lastessa fine fece un altro individuo indiziato. Tandoyrinunciò a mostrare troppo zelo e da quel momentoegli divenne uno dei tanti amici degli amici, la cuicarriera era legata al tatto che avrebbe dimostratonell’esercizio delle sue funzioni, alla benevola ceci-tà di cui avrebbe dato prova, al rispetto di certeregole non scritte. Ogni tanto aveva un guizzo diribellione: quando fu ucciso Zarbo d Raffadalifermò per 48 ore un certo Mangione, guardia spalledi La Loggia, lo psichiatra. In quell’occasione Zarbofu udito gridare: ‘Io so chi l’ha ammazzato’. C’erauna vena di amarezza nelle sue parole. Anche se lasua attività di poliziotto doveva soccombere dinan-zi a determinate connivenze, non rinunciava adindagare. Aveva raccolto una miniera di notizie eavrebbe minacciato di rivelare al segretario della DcAldo Moro, che era stato suo compagno di scuola, itremendi segreti della fazione Dc di Agrigento. I

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fatti di sangue che per dodici anni hanno contrasse-gnato la faida tra i due raggruppamenti elettoralicontrapposti, le cosche mafiose e i loro collegamen-ti. Tandoy non rinunciava ad indagare»17. Secondogli inquirenti Tandoy fu ucciso «perché si prepara-va ad accusare La Loggia per l’uccisione degli espo-nenti Dc Giglio e Montaperto»18.

La pace di don Cola Gentile, il padrino Né gli interventi dall’alto, né le raccomandazioni

di Piazza del Gesù (sede nazionale della Dc) e iltimore degli scandali erano riusciti a mettere la pacetra le correnti della mafia agrigentina, ormai divisain due tronconi. Solo l’intervento di un uomo dal-l’aria scaltra, chiamato ‘zu Cola dagli amici, riuscì afar stipulare una sorta di armistizio tra le due oppo-ste clientele della Dc agrigentina. L’uomo era unboss italo americano, Nick Gentile, fuggito dagliStati Uniti per evitare una condanna. Si avvalevadel prestigio dei suoi legami con la malavita diBrooklin e di Kansas City e della sua amicizia fra-terna con Lucky Luciano. ‘Zu Cola rappacificò inemici appianando le divergenze, così nel 1960 idue contendenti deposero le armi. La Loggia si feceeleggere sindaco di Cattolica Eraclea e Di Leo sin-daco di Ribera19.

Nel 1963 Nick Gentile fu il primo mafioso a scri-vere un’autobiografia. Una sorta di «testamentospirituale» rivolto soprattutto ai giovani perché«mai più ripetano esperienze come quelle da me

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fatte», l’autobiografia di Nick Gentile, scritta conl’aiuto del giornalista Felice Chilanti, ha il merito,per il tempo in cui è stata scritta, ma soprattutto perquello che verrà scritto, detto e pubblicato dopo, didire chiaramente, o di lasciar capire abbastanzafacilmente, alcune cose essenziali, costitutive delfenomeno mafioso. In primo luogo la violenza. Nellibro gli episodi di violenza sono frequentissimi eGentile non si discosta dal clichè che vede l’atto diviolenza come amministrazione di giustizia: «Lagiustizia così come io ho imparato ad intenderla,basata sul diritto naturale e sul buon senso». Suimeccanismi che innescano la violenza mafiosa, ilboss spiega: «Essi sono sempre, in modo più omeno diretto, improntati alla logica della lotta per ilpotere interno alle organizzazioni mafiose. Tutti idelitti sono, più o meno, questioni di potere. E perarrivare al potere bisogna avere una carica di vio-lenza superiore agli altri: ‘Tutti i capi sono feroci. Senon si è feroci non si diventa capi’». Solo lui sareb-be stato diverso: «Io volevo la giustizia». Anche se illeitmotiv dell’autobiografia è la testimonianza diun’attività intesa continuamente a mettere pace, aconsigliare moderazione, la violenza risulta lacostante del comportamento mafioso: uccidere emorire ammazzati sono la norma.

Del rapporto tra mafia e politica il boss non dissemolto, anche se sapeva molto. Gentile è stato capoe-lettore di liberali e di democristiani, e non lo nega.Raccontò di mafiosi in ottimi rapporti con sindaci di

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città americane. Parlò della sua campagna per lamonarchia nel referendum del 1946 millantando diun suo incontro con re Umberto. Si soffermò sulruolo che ebbe il gesuita Padre Rosa, direttore diCiviltà cattolica, suo vecchio amico, nel fargli rila-sciare il passaporto in aperta violazione della legge.Descrisse i suoi incontri con il commissario capo diPalermo che lo trattava con molto rispetto chiaman-dolo «Caro Don Cola» e gli strinse la mano quandoun agente americano lo definì «nemico pubblico n.1 degli Stati Uniti».

Le memorie di Nick Gentile non insegnano nien-te «di buono e di giusto», ma almeno la mafia, non-ostante gli accenni a un’originaria purezza e a unsuccessiva, parziale, degenerazione, viene presenta-ta con sufficiente chiarezza per quel che è: una fab-brica di violenza; i suoi affari vengono illustrati perquello che sono, dalla produzione degli alcoolicidurante il proibizionismo alle case di gioco e al traf-fico di stupefacenti. Nel libro di Gentile si trovanoinformazioni dettagliate sull’organizzazione mafio-sa, che più di vent’anni dopo sono state riprese daBuscetta e gli stessi magistrati hanno presentatocome grandi scoperte20.

Il Pci, intellettuali e contadini in lotta per il lavoro Dopo aver visto la faida per il potere, vediamo lo

scenario in cui è maturata l’attività politica di PaoloBongiorno.

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Nel periodo in cui Paolo diventava attivista delpartito comunista la federazione provinciale diAgrigento era retta da Marcello Cimino - già diret-tore del quotidiano La voce della Sicilia, in seguitodirettore anche de L’Ora, giornalista de l’Unità e diPaese Sera - al quale fu affidato il compito di guida-re la rinascita del Pci ad Agrigento.

Racconta Cimino: «Le elezioni del 1948 furonouna catastrofe per i comunisti, usciti sconfitti dalleurne. I risultati erano stati particolarmente disastro-si nella provincia di Agrigento. La Federazionerischiava di chiudere. Fui mandato ad Agrigentoprima come vice-segretario provinciale – quandosegretario era ancora Giuseppe Montalbano – e poicome segretario. Avevo appena cominciato il miolavoro, quando avvenne l’attentato a Togliatti.L’Italia fu attraversata dalla preoccupazione e dalterrore. Come tutti sanno, fu lo stesso Togliatti,intervistato in ospedale, a raccomandare la calma aicomunisti. Il rischio era la guerra civile, un terribilebagno di sangue. Anche ad Agrigento la situazioneera molto calda, buona parte dei compagni avreb-bero voluto una ritorsione violenta. Fu difficilissi-mo incanalare in una manifestazione pacifica lafuria e la protesta della base. Furono giorni di gran-de ansia. Stemmo vicini ai compagni più caldi,dedicammo ore e ore per indurli alla riflessione,predisponemmo un attentissimo controllo perché lamanifestazione non avesse sussulti di violenza. Perconvincere gli aggressivi ricordavamo che il Pci non

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voleva essere un partito armato. Che Togliatti si erabattuto per questo. Che questa era l’occasione perdimostrare con i fatti che non eravamo violenti. Civogliono provocare – ripetevamo – non bisognacadere nella trappola. Sono i reazionari che voglio-no trascinarci in una guerra civile: se noi abbocchia-mo saremo sterminati dall’esercito. Insistevamosulla necessità di non lasciarci indebolire e di con-servarci forti e compatti per il grande lavoro diopposizione che ci aspettava».

Si diceva a quel tempo che era stata la vittoria diBartali al Tour de France a rabbonire i comunistidalla rabbia per l’attentato al leader comunista:«Bartali, l’uomo di ferro, che non aveva mai unmomento di debolezza, che scalava le montagnecome avesse le ali, capace di piazzare l’incredibileimpresa quando ormai tutti lo davano per battuto.Storia di un uomo che placò con le sue vittorie l’iraper l’attentato a Togliatti»21.

«La verità - dice Marcello Cimino - è che il parti-to lavorò moltissimo per impedire una tragicainsurrezione. Ad Agrigento riuscimmo ad organiz-zare e a guidare un grande sciopero generale in cuinon ci furono incidenti gravi». Cimino cominciòdunque con successo l’esperienza di segretariodella federazione di Agrigento, ma tra il ’49 e il ’50sorsero dei contrasti nel Partito comunista siciliano.Ad Agrigento Cimino cercò di allontanare dallafederazione provinciale tutte le «animosità settarie.Mi adoperai - racconta - per collegare il partito alla

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cultura di qualità. Ero proprio intento a creare que-sti collegamenti, quando venni a sapere del complot-to di Palermo. Si era creato un duro conflitto fra idirigenti regionali – capeggiati da Li Causi eRobotti - e un gruppo di validi giovani, capeggiatida Pancrazio De Pasquale e da Pio La Torre.Nonostante i dissidenti mi gettai nel lavoro agri-gentino con particolare convinzione. Le cose anda-vano abbastanza bene fortunatamente. Mi eranomolto vicini Francesco Renda e MichelangeloRusso. Renda mi sarebbe succeduto alla segreteriadi Agrigento. E poi sarebbe diventato prima senato-re e dopo storico di professione. Ricordo che il suocarattere m’impressionava molto. Era un vero figliodi contadini che coltivava gli studi con molti sacri-fici. In quel periodo era impegnato a confutare latesi di Croce. Cominciò ad Agrigento quel sodaliziofra noi che si è sempre riproposto, fino ad ora, finoalla nostra attuale collaborazione per l’IstitutoGramsci Siciliano. Anche Michelangelo Russo –dalle cui recenti posizioni del partito io ho franca-mente molto dissentito – mi si rivelò ad Agrigentocome un comunista di grande valore. Sì, ho un buonricordo dell’esperienza agrigentina. Creammo ungruppo di qualità, molto deciso, ma molto civile»22.

L’opposizione comunista, con la propaganda dipartito e la massiccia mobilitazione di militanti,attaccava le politiche del governo su tutti i fronti.Togliatti, nei lavori del IV congresso regionale del

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Pci, svoltosi a Palermo il 3 e il 4 giugno del 1960,pose la questione meridionale al centro della politi-ca comunista. Nello stesso tempo il partito eleggevaa proprio segretario l’on. Emanuele Macaluso,affiancato da Ferdinando Russo, Feliciano Rossitto,Napoleone Colajanni e Mario Ovazza.

Per il partito di Togliatti in Sicilia dunque, la scel-ta della teoria gramsciana applicata sin dall’orga-nizzazione delle occupazioni delle terre incolte del’44 al ’50, gli intellettuali al fianco dei lavoratori. Laquestione meridionale ma soprattutto l’egemoniaculturale del partito. L’intellettuale Macaluso sosti-tuì Li Causi alla guida regionale del partito, e adAgrigento l’intellettuale Cimino sostituì GiuseppeMontalbano. Egemonia culturale del partito dun-que, in un contesto tutto siciliano in cui la cultura,ancora oggi, deve fare i conti con una società cheversa in un progressivo decadentismo politico eculturale.

Dirigenti politici uccisi dalla mafia nell’agrigentinoLa storia del partito comunista siciliano, anche

nella provincia di Agrigento, porta con sé numerosicaduti nella battaglia per il lavoro e la democrazia.Il terrorismo mafioso si fece sentire nei centri dovemeglio si stava radicando il sentimento socialista, lalotta per la terra e per il lavoro. Lo scontro tra leclassi lavoratrici e la mafia agraria che gestiva leterre dei nobili latifondisti diventò feroce con l’ini-zio dell’occupazione delle terre incolte. Nel tentati-

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vo di scompaginare il nascente movimento contadi-no si colpirono i dirigenti politici e sindacali più invista, il primo di una lunga scia di attentati fu rivol-to al segretario regionale del Pci Girolamo Li Causi,il 16 settembre 1944 a Villalba, feudo di “don”Calogero Vizzini. «Con Li Causi arrivammo daCaltanissetta, su un camion pieno di minatori», rac-conta il senatore Macaluso. «In piazza c’era untavolo, accostato a un edificio dove aveva sede ilBanco di Sicilia. Sopra il tavolo c’era un rudimenta-le microfono. A parte i minatori venuti con noi, epochi compagni villalbesi, la piazza era vuota. Lagente stava appoggiata ai muri delle case, il piùdistante possibile dal tavolo dell’oratore. Nel comi-zio di Villalba Li Causi stava spiegando con parolesemplici e dialettali, come funzionavano in quellecontrade l’organizzazione sociale e il potere, i feudigestiti da Calogero Vizzini e dagli altri gabellotimafiosi che organizzavano lo sfruttamento dei con-tadini e ne condizionavano persino la vita familia-re. Fu a questo punto che Vizzini che stava davantialla sede della Dc, alzò il bastone e gridò: ‘E’ falso’,e dalla sezione democristiana furono lanciatebombe a mano, mentre da ogni parte della piazzasparavano verso Li Causi, che restò ferito, ma non simosse dal tavolo dove era stato issato per parlare.Venne poi ricoverato a Palermo alla clinica Noto».Spiega il senatore Macaluso: «Nella vicenda diVillalba, feci tre incontri decisivi: Li Causi, la mafia,il potere giudiziario. Mi confermarono la giustezza

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della scelta che avevo fatto, ma le diedero anche unsenso più concreto e definito. Essere comunistasignificò stare con quelli come a Li Causi e gli altridella sua generazione di militanti comunisti, con leloro vicende politiche e umane (gli anni di carcere el’emigrazione), con la loro visione dell’impegnopolitico considerato una missione, con i loro com-portamenti (il partito soprattutto), trasmisero a mee ad altri come me un messaggio che in quegli annirecepimmo fino in fondo: essenziale è resistereovunque e comunque al ‘nemico’; i tempi sono lun-ghi, seminiamo oggi per raccogliere domani»23. Laresistenza alla mafia costò la vita a numerosi socia-listi e comunisti, vediamo le vittime dell’agrigenti-no.

Nel 1945 a Cattolica Eraclea rimase uccisoGiuseppe Scalia, sindacalista, tra i fondatori dellacooperativa agricola La Proletaria. Scalia passeggia-va davanti alla sede della Camera del Lavoro incompagnia del vice-sindaco socialista AurelioBentivegna. Contro i due furono lanciate bombe amano da un gruppo di sicari mafiosi. Non furonoaperte neanche le indagini. Finita la guerra, Scalia siera posto con altri contadini alla testa del movi-mento bracciantile. La sua azione fu convinta ecoraggiosa, per questo venne scelto per la carica disegretario della Camera del Lavoro locale. Nei mesiin cui ricoprì questo incarico crebbe la stima di tuttiverso la sua persona e la sua intelligenza politica.Contemporaneamente crebbe l’odio della mafia

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locale e degli agrari che cercavano di conservare ipropri privilegi. Nonostante le minacce di morte e ilclima di paura che dominava in quegli anni nellecampagne, Scalia perseverò nel suo impegno, spes-so recandosi nei centri vicini per sostenere le lottedei contadini di Siculiana, Montallegro e Sciacca. Ilnome di Giuseppe Scalia compare nel primo elencoufficiale delle vittime della mafia redatto dalla com-missione parlamentare sul fenomeno mafioso inSicilia nel 1967, ma è stato inspiegabilmente rimos-so nell’elenco approvato dalla Regione Siciliana conla legge 20 del 1999. Sta rimediando all’errore, conuna proposta di modifica alla legge, il deputatoall’Assemblea Regionale Siciliana GiovanniPanepinto.

Anche Antonio Guarisco, comunista, si battevaper i diritti dei contadini; alle prime elezioni dopo ilfascismo venne candidato a sindaco di Burgio. Il 3marzo del 1946 subì da un attentato mafioso24.Guarisco restò ferito, al suo posto morì MasinaPerricone, una donna di Burgio in attesa di unfiglio, centrata da un proiettile vagante. Guarisconon si lasciò intimidire, fece un’agguerrita campa-gna elettorale e si presentava ai comizi con le brac-cia bendate per le ferite riportate. Venne eletto maportò a lungo i segni di quell’intolleranza. Il nomedi Masina Perricone non risulta negli albi ufficialidelle vittime della mafia della Regione. È rimastoper anni sepolto per un errore di superficialità edistrazione. Il dattilografo (o chi per lui) nel trascri-

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verlo ha fatto più di una confusione e invece diindicarla come vittima dell’agguato mafioso aGuarisco l’ha inclusa nello spazio riservato aGaetano Guarino, sindaco di Favara, ucciso due set-timane dopo25.

Gaetano Guarino, leader socialista, sindaco diFavara, fu infatti ucciso a colpi di rivoltella sparati-gli alla nuca a distanza ravvicinata il 16 maggio del194626. Dopo un mese dal delitto di Favara, il 28giugno 1946 fu ucciso a Naro un altro sindaco socia-lista, Pino Camilleri27. «Aveva soli 28 anni, giovanestudente universitario, prossimo alla laurea in giu-risprudenza. Aveva abbracciato la causa di quelmovimento sindacale e politico che a Naro avevamosso i primi passi con i movimenti dei fasci sici-liani e le numerose cooperative e casse rurali. PinoCamilleri si distinse per la salda preparazione e perle sue coraggiose battaglie. Il suo partito lo portò aconquistare la poltrona di sindaco nelle prime ele-zioni amministrative del dopoguerra. Camillerientrò in contrato con la mafia locale. Venne trovatoassassinato con alcuni colpi di lupara. Gli teseroun’agguato mentre si recava a cavallo da Riesi alfeudo di Deliella, che era oggetto di un’aspra conte-sa tra contadini e gabelloti. I mandanti dell’omici-dio sono stati i capimafia delle cosche locali».

Il primo dicembre del 1946, a Joppolo Giancaxio,la mafia perpetrò un tentato omicidio contro il sin-dacalista Giovanni Severino, 42 anni, segretariodella Camera del Lavoro di Joppolo Giancaxio ed

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anche presidente di una delle cooperative a cui lacommissione provinciale per le terre incolte avevaassegnato le terre degli eredi dei Colonna. Era quin-di in prima linea nell’accanita lotta che imperversa-va da mesi a Joppolo tra agrari e contadini per leterre degli eredi della baronia. «All’alba di quelprimo dicembre Severino venne svegliato da alcunicolpi sordi alla porta d’ingresso, accompagnatidalle concitate parole di un individuo che ripetevaad ogni colpo: ‘Aprite in nome della legge […] Sonoil maresciallo dei carabinieri’. Ma Severino nonriconobbe la voce del sottufficiale che conoscevabene e si rese subito conto che era stata anche volu-tamente artefatta. Quindi non aprì la porta di casa,rispose alla richiesta del falso maresciallo dicendo-gli di andare via. A questo punto il falso carabinie-re esplose alcuni colpi di arma da fuoco. I proiettiliattraversarono la porta e raggiunsero Severino inalcune parti del corpo, per fortuna senza ledereorgani vitali. Soccorso dai familiari venne condottoin una clinica di Agrigento dove le ferite vennerorimarginate. Ai carabinieri di Agrigento che con-dussero le indagini il dirigente sindacale disse aper-tamente di chi sospettava. A Joppolo vennero arre-stati alcuni personaggi della criminalità locale manon si ebbero elementi sufficienti per inchiodare isospetti. Giovanni Severino morirà trent’anni dopoall’età di 73 anni»28.

Pochi giorni dopo, il 29 novembre del 1946 aComitini, venne trovato morto Filippo Forno, 46

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anni, sindacalista e militante del partito comunista.«Stava ritornando a piedi dalla vicina Aragona,dove era andato per creare un collegamento tra l’a-zione dei contadini del proprio paese con quella inatto nel principale centro della zona». Il suo nomenon compare nell’elenco delle vittime della mafiaapprovato nel 1967 dalla commissione parlamenta-re antimafia, e non certo per mancanza di meriti.Ma per via di un errore di trascrizione il nome diFilippo Forno diventa Paolo Farina, nel primo elen-co ufficiale delle vittime della mafia stilato dallacommissione parlamentare antimafia nel 1967; sitrasforma ancora in Paolo Farno nell’elenco dellevittime di mafia approvato dall’assemblea regiona-le siciliana nel 199929.

Poi fu la volta di Accursio Miraglia, segretariodella Camera del Lavoro di Sciacca, dirigente delpartito comunista, ucciso il 4 gennaio 1947, colpitoda una raffica di mitra. La morte di Miraglia, straor-dinario leader del partito comunista, provocò unareazione senza precedenti non solo in provincia diAgrigento dove era molto conosciuto e apprezzato,ma anche nel resto d’Italia. Si temettero persinoazioni di rappresaglia che a stento vennero bloccatedalle strutture sindacali e dal Pci. Miraglia era unodei dirigenti più amati e seguiti dal movimentocontadino siciliano, un vero capopolo. Fu promoto-re e organizzatore di una storica cavalcata a livelloprovinciale, nota come «la cavalcata del settembredel ‘46». Da un testimonianza raccolta da Danilo

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Dolci: «Montava un cavallo bianco… dietro di luitutta la massa. C’erano Menfi, Montevago, SantaMargherita, Sambuca, Burgio, Caltabellotta, LuccaSicula, Ribera, Calamonaci, Villafranca, tutti acavallo… erano allegri… i più ricchi quella mattinabalconi non ne hanno aperto… una cavalcata chenon finiva mai… c’erano quattro o cinquemilamuli… poi tutte le biciclette… poi al campo sporti-vo lui disse quattro parole… era molto contento efece applauso alle persone e ringraziò il popolo…da quel momento cominciò l’odio mortale che gliavversari sentivano… da allora alla commissionedelle terre incolte presso il tribunale si sono impres-sionati e le concessioni delle terre ebbero un passopiù accelerato»30.

Alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948, il 17marzo, a Licata, fu colpito a morte Vincenzo DiSalvo, segretario della Camera del Lavoro31. Il 13agosto 1955 a Cattolica Eraclea, Giuseppe Spagnolo,già sindaco nel 1946 e segretario della Camera delLavoro, fu crivellato da sette colpi di lupara, mentredormiva all’aperto in campagna32. Il 27 settembredel 1960 toccò a Paolo Bongiorno.

Il contesto politico a Lucca Sicula Lucca Sicula, piccolo paese agricolo, depresso,

della provincia di Agrigento, è stato sempre, sindalla guerra del 1915 -’18, un centro di forza dallamafia. Qui venne a nascondersi il vecchio capomafia Giuseppe Genco Russo, quando fuggiva da

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un mandato di cattura33. Era proprio la filosofia diGenco Russo ad ispirare la nascente organizzazionemafiosa di Burgio, Villafranca Sicula, Lucca Sicula,Calamonaci e Caltabellotta: la mafia dentro le isti-tuzioni.

Boss riconosciuto della famiglia che dirama i ten-tacoli nei suddetti paesi era Vito Lo Cascio. «DonVito nel 1927 cadde in una retata e fu condannatoall’ergastolo dal tribunale di Sciacca, nel 1929-30,quale mandante dell’omicidio del saccense geome-tra Di Mino, che aveva avuto il coraggio di accetta-re l’incarico (rifiutato da altri colleghi) di quotizza-re il feudo occupato dai reduci combattenti (su cuiaveva messo gli occhi don Vito), a cui avrebbedovuto essere assegnato secondo il decreto delministro Visocchi»34.

Dal 1946, nel piccolo centro montanaro, governa-va un’amministrazione popolare retta da una mag-gioranza composta di comunisti e indipendenti.Questo schieramento popolare è stato fondato ediretto, fino alla sua serena morte, dal sindacoGiovanni Bufalo, «un uomo che non potrà mai esse-re dimenticato da chi lo conobbe, né fedelmentedescritto in tutta la sua saggezza e purezza. Buonoe incorruttibile, fervido educatore di giovani agliideali dell’emancipazione umana e della libertà»35.Da anarchico diventò comunista, «dal suo proseliti-smo nacque una generazione di giovani dotati dauna particolare tempra morale, rigorosi con sé stes-si e con gli altri tanto da dissentire spesso dalle

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direttive del partito»36. Paolo Bongiorno faceva parte di questo gruppo

selezionato di iscritti, era diventato uno fra i miglio-ri, aveva affinato le sue qualità discorsive e la suacultura sociale e politica. Coraggioso e caparbioaveva acquisito una grande capacità di parlare inpubblico con compostezza ed efficacia, cosa raraper i contadini e i braccianti, che queste incomben-ze, di solito, le delegavano agli intellettuali.

Sull’altro fronte politico le forze delle classisociali contrapposte, ancorate a vecchie concezionidi casta, ridotte a minoranza e divise in due grossipartiti, Democrazia cristiana e Movimento socialeitaliano. Lucca Sicula era la base elettorale dell’on.Mangano, leader di rilievo del Msi.

I due partiti, per la prima volta, alle elezioni del1960 fecero una lista unica per poter aspirare allaconquista del comune. Un fatto nuovo dunquenello scenario politico; e la posta delle elezioniamministrative, si sa, non è solo ideale o politica insenso generale, ma corposa, riguarda spesso inte-ressi personali. Il vescovo di Agrigento monsignorPeruzzo applaudiva al nuovo accordo elettorale,pur di scongiurare il temibile “pericolo rosso”, con-tro il quale si battè dal 1946 al ’67 il cardinale diPalermo Paolo Ruffini che in pubblico dava la bene-dizione ai potenti Dc del tempo. Si pensi che novesu tredici deputati eletti nella Dc appartenevano ofacevano riferimento a Cosa Nostra37.

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Rosa Bongiorno eletta al consiglio comunaleMentre proseguivano le indagini per l’omicidio

del dirigente politico, che per forza di cose doveva-no tenere conto dell’arroventata situazione politicacreatasi a Lucca Sicula, via via si aggiungevano altrielementi che marcavano il carattere intimidatoriodel delitto di Paolo Bongiorno. Si apprendeva infat-ti che un giovane intellettuale socialista, che erastato designato dalla direzione provinciale del Psitra i candidati della lista di sinistra al Consigliocomunale, si ritirò dalla corsa per il seggio al con-sesso civico. Pare che le pressioni perché si ritirassedalla competizione elettorale, fossero state esercita-te su di lui dai familiari, preoccupati per il clima ditensione che si respirava nel piccolo centro monta-naro dopo l’omicidio di Paolo Bongiorno.

Significativo apparve anche l’accordo Dc-Msi,ancora non definitivamente raggiunto a livello loca-le e regionale, a Lucca Sicula fuaccolto subito con favore.Lucca Sicula laboratorio politi-co di un accordo che mirava alrafforzamento del centrodemocristiano in accordo conla destra di Almirante.All’alleanza, in contrasto conla direzione provinciale, avevaaderito anche la sezione localedell’Unione siciliana dei cri-stiano sociali.

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Rosa Bongiorno

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Con estrema determinazione le forze del centrodestra volevano conquistare il comune di LuccaSicula tradizionalmente amministrato dalle forzepolitiche di sinistra e da alcuni indipendenti. Già daqualche tempo, i maggiori esponenti della Dc anda-vano dicendo con iattanza che «i rossi stavoltasaranno cacciati via dal comune di Lucca Sicula».

Elezioni importanti quelle del 1960, non solo nelpiccolo centro montanaro, ma anche nelle altre pro-vince siciliane. Per la prima volta si stabiliva unaccordo tra la Dc e il Msi, puntando alla sconfittadelle sinistre. Ma a Lucca Sicula, in nome di PaoloBongiorno, fu riconquistato il comune.

«Quella bandiera la porterò io» aveva gridatoRosa, una delle sorelle della vittima facendo eco alleparole di commemorazione pronunciate dall’onore-vole Scaturro al funerale di Paolo Bongiorno. Alleelezioni del 6 novembre 1960 Rosa Bongiorno, can-didata nelle lista del Pci al posto del fratello ucciso,fu eletta al consiglio comunale.

Rosa rappresentò la continuità dell’impegno diPaolo Bongiorno. Si batté, in un primo periodo, nelrivendicare giustizia per l’assassinio del fratello eper individuare assassini e mandanti. Ma poisopraggiunse la paura. Rosa cedette, lasciò il consi-glio comunale ed emigrò insieme al figlio GiuseppeAlfano, il ragazzo che era in compagnia di PaoloBongiorno nel momento in cui fu ucciso.

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Note1 Camera dei Deputati. Atti Parlamentari. III legislatura –

Discussioni – Seduta del 24 febbraio 1961. Svolgimento inter-rogazioni parlamentari. Interrogazione parlamentare deglionorevoli Di Benedetto, Li Causi, Speciale, De Pasquale eRusso Salvatore, al ministro dell’Interno Scelba, “per sapere senon intenda promuovere una immediata e rigorosa azioneonde individuare e colpire gli ispiratori e gli esecutori del cri-mine che ha spento la vita, a Lucca Sicula in provincia diAgrigento, del sindacalista Paolo Bongiorno”.

Risponde l’onorevole sottosegretario di Stato per l’internoOscar Luigi Scalfaro. “Devo premettere che altre volte mi ècapitato di dover rispondere su temi che sono momentanea-mente avvolti nel riserbo dell’istruttoria (infatti la mia rispo-sta è data anche per incarico del ministero di Grazie e giusti-zia) e riconosco perciò che dal punto di vista parlamentare epolitico, la risposta finisce con l’essere assolutamente scarnaed in sé insoddisfacente. Però prego gli onorevoli interrogantidi voler comprendere il doveroso senso di responsabilità delGoverno e di chi ha l’onore di rappresentarlo nel risponderesu fatti sottoposti ad un’istruttoria in corso. Ciascuno di noinon può se non limitarsi ad osservazioni che non turbino l’o-pera dell’autorità inquirente.

Con questa premessa, preciso che le indagini per assicura-re alla giustizia gli autori dell’omicidio a danno del signorPaolo Bongiorno vengono condotte dalla polizia giudiziariasotto la direzione e il controllo del procuratore dellaRepubblica. Dato il segreto istruttorio che per legge presiedead indagini del genere, nessuna notizia si è in grado di forni-re sul loro andamento e, tanto meno, sui moventi del delitto esull’esistenza o meno di mandanti”.

Esclama l’on Speciale: “Ma da troppo tempo sono in corsole indagini!…

Ribatte Scalfaro: “Non possiamo interferire nell’attivitàdella magistratura! Altro non si può chiedere al ministero

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dell’Interno.La presidenza della Camera, retta dal vice presidente

Targetti concede all’on. Di Benedetto la facoltà di dichiarare sesia soddisfatto dalla risposta.

Di Benedetto: Vorrei meglio rendermi conto delle regionicautelari che spingono il Governo a dare una risposta cosìgenerica ed evasiva e, per ammissione dello stesso sottosegre-tario, scarna. Il fatto è che la situazione dell’ordine pubblico inSicilia e particolarmente nelle nostre province è di una talegravità da rendere non più procrastinabile l’intervento delGoverno. L’uccisione del nostro valoroso e onesto compagnoha profondamente colpito non solo l’animo nostro, ma quellodi tutti i cittadini che lo conoscevano e riconoscevano in lui unsimbolo di bontà, di laboriosità e onestà. Si tratta di un padredi famiglia, che lascia cinque figli in tenera età; trattasi di uncaso, cioè, che deve essere considerato con particolare sensibi-lità umana e politica.

Conosciamo la situazione dell’ordine pubblico nella pro-vincia di Agrigento. Pochi mesi fa è stato ucciso un commis-sario di pubblica sicurezza; i nomi dei sicari e dei mandantinon si conoscono ancora. In una caserma della polizia diAgrigento sono stati trafugati dei milioni ed è stato incrimina-to un tenente di polizia.

Ecco perché, di fronte alla gravità della situazione, la rispo-sta dell’on. Sottosegretario è deludente per tutti i cittadini. Benaltra risposta è stata data qualche mese fa dalla popolazione diLucca Sicula, che si strinse intorno al partito in cui militòPaolo Bongiorno. La risposta del governo ci lascia invece pro-fondamente insoddisfatti.

2 Senato della Repubblica, III legislatura, 325^ seduta pub-blica. Resoconto stenografico di mercoledì 20 novembre 1960.Svolgimento di interpellanza del sen. Berti.

3 Emanuele Macaluso, 50 anni nel Pci, Rubbettino,Catanzaro, 2003.

4 Le notizie di questo paragrafo sono tratte a vario titolodalla rassegna stampa dei giornali dell’epoca dal maggio al

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dicembre del 1960. 5 L’Unità, 28 maggio 1960.6 L’Unità, 7 giugno 1960.7 Corriere della Sera, 24 febbraio 1948.8 Corriere della Sera e l’Unità del 10 maggio 1951.9 Il Messaggero, Il Corriere della Sera, l’Unità del 15 set-

tembre 1953.10 Senato della Repubblica, III legislatura, 270^ seduta pub-

blica. Resoconto stenografico di giovedì 30 giugno 1960.Dibattito parlamentare sul bilancio del ministero degli interni.

11 L’Unità, 14 giugno 1960.12 L’Unità, 14 agosto 1953.13 Giuseppe Peritore. Licata città rivoluzionaria Dal 28 maggio

1944 all’11 giugno 1967. ATEC, giugno 1967, Licata. RiedizioneWeb 2002: http://www.giuseppe.peritore.name/

14 Il Giornale di Sicilia, Il Messaggero, L’Unità del 18 gennaiodel 1955.

15 l’Unità, 10 giugno 1960.16 Alfonso Bugea, Cosa Muta. Agrigento, la forza del silenzio,

Centro Culturale Editoriale Pier Paolo Pasolini, Agrigento,2002.

17 l’Unità, 17 maggio 196018 l’Unità, 28 maggio 196019 La notizia è tratta da l’Unità del 28 maggio 196020 Notizie tratte da: Nick Gentile, Vita di capomafia, Editori

Riuniti, Roma, 1963.21 Gazzetta dello sport, 26 luglio 1948, “Bartali vince il 32°

Tour de France”.22 Le frasi di Marcello Cimino riportate tra virgolette sono

contenuto nel libro Marcello Cimino: vita e morte di un comuni-sta soave. Di Michele Perriera. Sellerio, Palermo, 1990.

23 Emanuele Macaluso, 50 anni nel Pci, Rubbettino,Catanzaro, 2003.

24 www.cuntrastamu.org.25 Alfonso Bugea - Elio Di Bella, Senza Storia, Ed. Concordia,

Agrigento, 2006.

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26 Calogero Castronovo, Favara, L’assassinio di GaetanoGuarino. Edizioni Compostampa, Palermo, 2005.

27 Alfonso Bugea - Elio Di Bella, Senza Storia, Ed. Concordia,Agrigento, 2006.

28 idem29 La vicenda di Filippo Forno è raccontata nel libro

Alfonso Bugea - Elio Di Bella, Senza Storia, Ed. Concordia,Agrigento, 2006.

30 Umberto Ursetta, Le foibe della mafia. Accursio Miraglia ePlacido Rizzotto sindacalisti, L’Unità, Roma, 2005. AlfonsoBugea - Elio Di Bella, Senza Storia. Ed. Concordia, Agrigento,2006.

31 www.cuntrastamu.org 32 Calogero Giuffrida, Delitto di prestigio. Giuseppe Spagnolo,

dirigente politico ucciso dalla mafia, Istituto Gramsci Siciliano,Palermo, 2005.

33 La notizia è contenuta nel libro di John Dickie, Cosa Nostra.Storia della mafia siciliana, Edizioni Laterza, Bari, 2005.

34 La Strada, Settembre 1963. Periodico di informazionediretto da Salvatore Leonte.

35 Marcello Cimino: vita e morte di un comunista soave. DiMichele Perriera, Sellerio, Palermo, 1990.

36 idem37 Pino Arlacchi, Il Processo, Rizzoli, Milano, 2000.

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Le indagini dei carabinieri

Lucca sicula, 27 settembre 1960. L’ultimo giorno divita di Paolo Bongiorno. «Si alzò verso le 08:00. Dopouna breve colazione fece la cernita della sabbia chegli doveva servire per lavori interni nella nostracasa di abitazione. Verso le 11:00, in attesa del pran-zo, si coricò risvegliandosi alle 18:00 successive. Poicenò ed alle ore 20:00 lasciò l’abitazione dirigendo-si verso la piazza del paese»1. Poi andò all’Ufficioprovinciale del lavoro e partecipò alla riunionedella commissione incaricata per l’attribuzionedella qualifica di lavoratori.2 Finita questa riunionepartecipò anche a quella del Partito comunista pres-so i locali della Camera del Lavoro, quella sera sidefinirono le liste da presentare per le elezioniamministrative. Alle ore 22:00 Paolo si avviò versocasa in compagnia del nipote Giuseppe Alfano,anche lui partecipò alla riunione in qualità di rap-presentante dei giovani comunisti di Lucca Sicula.Alle 22:30 circa, giunti davanti la sua abitazione,Paolo Bongiorno fu fatto segno di due colpi di lupa-ra.

I sospetti di Giuseppe Alfano, nipote della vittima«Col solo intendimento di fornire alla Giustizia

qualche elemento utile per togliere dalla società ilmalfattore che ha barbaramente ucciso mio zio

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Paolo Bongiorno voglio rappresentare dei particola-ri da me ritenuti importanti, che stanotte mi hannoassillato come in un incubo. (…) Sono convinto chel’unica persona che negli ultimi tempi nutriva risen-timento nei confronti di mio zio è Antonino Mulè,inteso AntonioMantuano, già iscritto alPartito comunista edassessore nell’attualeamministrazione comu-nale di questo centro.(…) Verso la fine deldecorso mese di maggioo nei primi mesi di giu-gno, mio zio, in qualitàdi rappresentante della categoria dei bracciantiagricoli, allo scopo di difendere i loro interessimorali e materiali, iniziò la lotta affinché venissestabilito, per i lavori di mietitura, un contrattocomunale collettivo che assicurasse al lavoratore uncompenso giornaliero di tremila lire per otto ore dilavoro. A tale iniziativa di mio zio si oppose energi-camente il Mulè il quale, essendo proprietario oaffittuario di circa sette ettari di terreno, definì laproposta avanzata da mio zio ingiusta e non attua-bile per le disagiate condizioni economiche degliagricoltori in genere. Per detto motivo nella Cameradel Lavoro, alla presenza del segretario e di altriesponenti ed anche in questa piazza, si verificaronodelle animate discussioni fra il Mulè Antonino e

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Giuseppe Alfano

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mio zio che difendevano i rispettivi punti di vista.(…) Tre giorni prima di essere ucciso mio zio Paolomi riferì che, essendosi incontrato con il Mulè, qual-che giorno prima questi gli aveva chiesto quantoaveva raccolto per la sottoscrizione in favore delgiornale l’Unità e, saputo che l’importo, fino a quelmomento, ammontava a 50.000 lire, suggerì a miozio di versarne al partito comunista semplicementela metà e trattenersi per lui il rimanente, altrimentiavrebbe fatto sorgere su di lui dei sospetti, giacchélo scorso anno lui aveva raccolto 20.000 lire. Il Mulèultimò il suo dire pronunziando la seguente frase:‘tu i soldi che hai raccolto non li devi versare tuttialtrimenti ti finisce brutta’. Mio zio rispose che nonera suo costume appropriarsi di soldi appartenential partito, a favore del quale aveva sempre rimessoqualche cosa di suo pur essendo povero e connumerosi figli a carico. (…) Non so dove sia avve-nuto il colloquio perché non mi è stato riferito.Infine ho constatato che il Mulè, in occasione dellatragica fine di mio zio, si è presentato nei pressi del-l’abitazione dello scomparso pochi minuti primadell’inizio del funerale. Il suo comportamento in meha destato sospetto perché egli si presentava con ilviso cadaverico e non aveva, non so per quale moti-vo, il coraggio di guardare noi parenti in viso».(Interrogatorio di Alfano Giuseppe del 30/09/1962– f. 51). Ma il Mulè fornì un alibi agli inquirenti.

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L’assassino seguì la salma del sindacalista ucciso?Dopo quattro giorni dal delitto a Lucca Sicula

c’era un’atmosfera di suspence. La maggior partedella popolazione sembrava convinta che le indagi-ni dei carabinieri riuscissero rapidamente ad indivi-duare gli esecutori dell’assassinio di PaoloBongiorno.

Furono sentiti familiari, amici e compagni dellavittima. I Carabinieri della Tenenza di Sciacca esa-minarono con attenzione tutte le foto scattate da unfotografo dilettante durante il funerale del sindaca-lista ucciso, al quale partecipò una gran folla dicompaesani. Gli inquirenti erano convinti che l’as-sassino fosse del luogo e, data la ristrettezza dellacomunità, doveva essere in rapporti di conoscenzacon la vittima e i suoi familiari, i suoi amici. Quindinon poteva non partecipare ai funerali, per il timoreche l’assenza fosse notata e desse luogo a sospetti.

«Sarebbe già a portata di mano l’assassino delsindacalista», scriveva L’Ora del 30 settembre 1960.Nel piccolo centro montanaro erano accorsi nume-rosi giornalisti e fotoreporter intenzionati ad anda-re a fondo sul delitto Bongiorno.

Sui moventi che possano aver determinato il cri-mine varie erano le ipotesi che circolavano a LuccaSicula, tutte concordavano nel ritenerlo un delittodi natura politica. Il clima di tensione per l’immi-nenza delle elezioni amministrative venne vistocome la causa scatenante della soppressione del sin-dacalista Bongiorno il quale era stato inserito nella

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lista comunista. Emerge anche dagli interrogatori aicompagni che, in base ad accordi presi durante unariunione di partito, «cu pigliava cchiu voti faciva usinnnacu» (chi prendeva più voti avrebbe fatto ilsindaco). E con quest’accordo politico PaoloBongiorno sarebbe potuto diventare primo cittadi-no.

La stessa sensazione circa la natura politica deldelitto si registrò in tutti i centri del circondario diSciacca e in particolare a Cattolica Eraclea, paese diorigine della vittima.

A Lucca Sicula si metteva in risalto come il cri-mine potesse avere avuto un movente preciso: iltentativo, già operato in passato da ben determina-te forze politiche e mafiose, di spaventare i candi-dati e gli elettori degli schieramenti politici che aLucca Sicula detenevano la maggioranza, cioè il Pcie il Psi.

Alle elezioni amministrative del 1956 analogotentativo, a Lucca Sicula, era stato operato nei con-fronti di altre forze politiche che rifiutavano di pre-sentare un’unica lista da contrapporre ai partiti disinistra.

Alle elezioni del 1960, invece, raggiunto l’accor-do tra tutte le forze del centro destra, l’obiettivo del-l’intimidazione fu il sindacalista su cui convergeva-no le simpatie e la stima di quasi tutto il paese.

Era uno strenuo difensore dei diritti dei lavora-tori. Durante l’estate, allorché si cercò di imporresalari di fame ai mietitori, si era battuto per salari

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più dignitosi ed eque tariffe, provocando risenti-menti e irritazioni negli ambienti dei grossi pro-prietari terrieri.

Il maresciallo rampante: «cosa di fimmini fu»«Nel 1959, il brigadiere Inzerillo Girolamo, che

dal 1949 ad oggi comanda la stazione dei carabinie-ri di Lucca Sicula, viene promosso maresciallo nonsi sa per anzianità o per meriti speciali. Si sa soloche su 14 procedimenti penali per delitti (dando pervivi i due che mancano da tempo, 12 sono statiarchiviati3 perché ad ‘opera di ignoti’; e i responsa-bili degli altri due delitti si sono spontaneamentecostituiti. Gli autori dei numerosi furti e incendiraramente sono stati pescati e denunciati. E direche, dopo tanti anni, circa 15, se non andiamo erra-ti, di continua permanenza a Lucca Sicula, il mare-sciallo Inzerillo dovrebbe conoscere uomini e cosedi quel paese»4 .

Alla catena di omicidi, si aggiunse poi quello diPaolo Bongiorno, un delitto evidentemente politico-mafioso.

Visti gli interventi del prefetto e i riflettori dellastampa puntati sul caso Bongiorno, il marescialloInzerillo, seguendo le direttive impartite, adoperònelle indagini il classico cliché che si adopera per idelitti eccellenti: «cosa di fimmini fu!». Per offusca-re la natura politico-mafiosa dell’omicidio, “il mare-

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sciallo rampante” insidiò nelle indagini il sospettoche il movente del delitto fosse legato a questioni dionore. Il maresciallo Inzerillo sostenne addiritturache il destinatario di quei due colpi di lupara cheuccisero Paolo Bongiorno, sparati con così estremaprecisione da ignoti killer la sera del 29 settembredel 1960, fosse Giuseppe Alfano, il nipote della vit-tima, 19 anni, studente, incensurato, segretariodella Federazione giovani comunisti di LuccaSicula. Le indagini si persero nelle presunte fre-quentazioni femminili di Giuseppe Alfano, con ilchiaro tentativo di ridurre il delitto di PaoloBongiorno a semplice questione d’onore, escluden-do dalle investigazioni l’individuazione del moven-te politico-mafioso. Gli interrogatori rivolti adAlfano Giuseppe e riguardanti la sua vita intima,tendevano ad accertare qualche elemento che potes-se avallare la ipotesi che i malfattori avessero diret-to i loro colpi contro l’Alfano, uccidendo ilBongiorno per errore. Così nella prosa del mare-sciallo Inzerillo: «Attraverso la mia conoscenza per-sonale della vittima sono in grado di affermare cheera incapace di commettere azioni criminose ed homotivo di ritenere che l’uccisione del Bongiornonon può essere dovuta ad un’azione abnorme»5 .

Dagli investigatori che indagavano sull’uccisionedel segretario della Camera del Lavoro di LuccaSicula, furono sentire in tutto 92 persone. Furonointerrogate 56 persone e 36 furono chiamate cometestimoni. Familiari, amici, compagni, colleghi di

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lavoro, compaesani, autorità pubbliche. Un via vaidi persone in caserma che, secondo gli inquirenti,avrebbero pouto contribuire a risolvere il “casoBongiorno”, che intanto si tingeva di giallo. Furonoanche eseguite delle perquisizioni a casa di alcunipresunti indiziati, ma non si riuscì ad individuarel’assassino del giovane sindacalista. Le indaginifurono circondate dal muro dell’omertà: Vucca caparla picca bbona si trova, A megliu parola è chidda canun si dici, Cu parla picca campa cent’anni. Questialcuni dei detti siciliani formulati dai testimoni sot-toposti ad interrogatorio per non correre il rischiodi dire una parola di troppo.

Ucciso esclusivamente per motivi politiciMalgrado le bocche fossero cucite, era convinzio-

ne diffusa che il delitto di Bongiorno fosse di natu-ra politica-mafiosa. Ne era convinta la maggiorparte della popolazione, anche se non osava dirlo,ne erano convinte le persone chiamate a testimonia-re davanti ai carabinieri, anche se non parlavano.Lo dicevano però, ad alta voce, la moglie e il nipotedella vittima, ed anche qualche dirigente politicocompagno di partito di Paolo Bongiorno. Ma quelleparole rimasero inascoltate. Era noto a tutti peròche «fin da quando si stabilì a Lucca Sicula, Paolo siinteressò localmente dei problemi che assillano lacategoria dei bracciantato. (…) Mio marito – dice lamoglie della vittima - mi diceva sovente che eglilavorava per i poveri per cui potrebbe aver toccato

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involontariamente la suscettibilità di elementi a luipoliticamente avversi»6. «Sono perfettamente con-vinta che mio marito è stato ucciso esclusivamenteper motivi politici - dice la donna ai carabinieri -deduco ciò dal fatto che egli è stato assassinato ilgiorno successivo a quello in cui in seno al partitocomunista venne decisa la sua immissione nellalista che il partito avrebbe presentato alle elezioniamministrative»7.

«Ero molto vicino a Paolo Bongiorno come com-pagno di partito e amico - racconta GiuseppeCatalano - non ho mai ricevuto dallo stesso alcunaconfidenza che possa comunque orientare le inda-gini relative alla sua uccisione. Non sono neppurein grado di riferire alcun episodio che possa avereattinenza con la sua uccisione. Personalmente sonoconvinto che il Bongiorno sia stato soppresso permotivi politici, in quanto lo stesso era un sindacali-sta attivissimo ed insostituibile e pertanto la suaopera poteva preoccupare soltanto i datori di lavo-ro. Escludo, per la conoscenza intima che avevo diMulè Antonio e di Paolo Bongiorno, che tra gli stes-si, per quanto potessero sussistere delle diversità divedute, potessero determinarsi motivi di attrito talida spingere il primo a sopprimere il Bongiorno»8.

«Per quello che mi risulta mio cognato non hainimicizie di sorta. Non era dedito al gioco, alledonne o ad altri vizi. Era semplicemente appassio-nato della dottrina comunista e per tale motivo diri-geva la Camera del Lavoro e si interessava, attiva-

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mente, dei bisogni dei lavoratori che gli chiedevanoconsigli e chiarimenti in merito a varie pratiche diinteresse sociale»9, questo il ricordo del cognatoVito Alfano.

«A mio giudizio, il povero Paolo Bongiornovenne ucciso perché era stato incluso nella lista delmio partito. (…) In merito all’attività sindacale svol-ta dal Bongiorno posso dire che in occasione dellapassata campagna di mietitura lo stesso si interessòper un migliore trattamento dei braccianti agricoli,chiedendo per essi una retribuzione giornaliera di3.000 lire per otto ore di lavoro. Tale richiesta urtò iproduttori i quali non risparmiavano, ovunque sitrovassero, critiche e commenti sfavorevoli verso ilBongiorno e le sue richieste»10.

Archiviazione contro «ignoti»Gli inquirenti che indagavano sul delitto

Bongiorno non fecero niente per individuare iresponsabili e i mandanti del delitto. Il marescialloInzerillo comandava la stazione locale deiCarabinieri da oltre dieci anni e conosceva a fondola particolare situazione del triangolo Burgio -Lucca Sicula - Villafranca Sicula dove l’organizza-zione mafiosa ha salde radici e non ammette che simuova foglia senza il suo «sta bene». «E’ facile per-ciò pensare che se l’assassino di Paolo Bongiornonon è stato già consegnato alla giustizia, magarimorto, egli deve avere avuto un’istigazione o unmandato». Perchè nella Lucca Sicula degli anni ’60,

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non si muove foglia che la mafia non voglia.Ma il Pubblico ministero di Sciacca che conduce-

va l’inchiesta fu lapidario: «Letti gli atti e ritenutadalla compiuta istruzione – scrisse ne requisitoria -nessun elemento è emerso atto a porre alla identifi-cazione degli autori del delitto. I sospetti manifesta-ti da Alfano Giuseppe su Mulè Antonino rivestonocarattere puramente soggettivo e, come tali nonassurgono nemmeno a dignità di indizi. Mentre ilMulè stesso ha provato, a mezzo del teste CorteseLucia, che allorquando si verificò il delitto, egli sitrovava a letto con la moglie. Il Pubblico ministerochiede che il signor Giudice istruttore voglia dichia-rare non doversi procedere per insufficienza diindizi»11. Il giudice istruttore accolse la richiesta.

Note1 Verbale d’interrogatorio di Francesca Alfano,

28/09/1960 – f. 66.2 Circostanza raccontata dal presidente della commissione

dell’Ufficio provinciale del lavoro, Giuseppe Rizzuto, nelcorso dell’interrogatario dei CC di Lucca Sicula del28/09/1960 – f. 88.

3 Omicidi a Lucca Sicula (La Strada, settembre 1963)«Prima della guerra del ’15-’18 non c’era mese, a Lucca

Sicula, che non venisse ucciso qualcuno. Ma anche dopo laseconda guerra mondiale, la lupara ha spesso fatto sentire ilsuo lugubre canto di morte. Nel 1945 fu ucciso a lupara in con-trada Fra Nicola Calogero Imbornone, agricoltore, da qualcheanno latitante. Nel mese di luglio dello stesso anno è toccato,in contrada Timpi Russi, a Gino Antonino, piccolo proprieta-rio e mezzadro. Nello stesso mese, in contrada Macina, fu

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ucciso Audenzio Giarratano, guardia municipale e campestre.Il Giarratano, che venne trovato armato di doppietta e pistola,fu ucciso in un conflitto a fuoco dopo un’ora e mezza di spa-ratoria. Contro Giarratano si battevano 12 persone armate dimitra e bombe a mano. Pare che il Giarratano abbia ucciso uncerto Genova che manca proprio da quella data.

Nel 1948, in contrada Canale, venne ucciso a colpi di pisto-la, Vincenzo Falletta, l’assassino si costituì ai Carabinieri: erail nipote della vittima, Giuseppe Falletta. Nello stesso anno, incontrada Cozzo di Scavo, furono uccisi i braccianti agricoliCalogero Pagano e Giovanni Mulè.

Nel mese di luglio del 1949 fu ucciso il bracciante SalvatoreMarino. Nel 1950, nel mese di novembre, in contrada Salinafurono freddati Francesco Fedele, bracciante agricolo diPalazzo Adriano; Liborio Morello, bracciante agricolo diCattolica Eraclea, e Gioia, contadino di 11 anni, di CattolicaEraclea. I tre lavoravano nella tenuta del signor SilvioGiuseppe, proprietario terriero, furono trovati morti distesisul fieno della stalla. I piccolo contadino Gioia fu trovato nellamangiatoia con gli occhi spalancati e le braccia protese insenso di aiuto.

Il 30 dicembre del 1951 in contrada Zotta di Pino fu uccisoil capraio Rosario Miceli, detto “Corda”.

Il 26 ottobre del 1955 in contrada Balata fu ucciso CalogeroLo Cascio, 19 anni, agricoltore. Il 31 dicembre dello stessoanno, nella via Centrale di Lucca Sicula, fu ucciso VincenzoCannella, bracciante agricolo. Nel momento in cui venne con-sumato il delitto, qualcuno ricorda, che vi erano in piazza duecarabinieri in motocicletta.

Sempre nel 1955, in contrada Fontana di Lanza, fu uccisoLuca Saccaro e ferito un certo Giambrone, che insieme adaltri due, “tenevano passo”. Ancora nel 1955 “lupara bian-ca” per Salvatore Giannetto».

4 La Strada. Giornale diretto da Salvatore Leonte.Settembre 1963. Sciacca.

5 Esame testimonio del maresciallo Girolamo Inzerillo del

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12/04/1961 – f. 816 Interrogatorio di Alfano Francesco dei CC di Lucca

Sicula, 28/09/1960 f. 66.7 Verbale d’interrogatorio di Francesca Alfano.

22/10/1960 – f. 70 .8 Esame testimonio di Catalano Giuseppe. 04/05/1961 - f.

238.9 Interrogatorio dei CC di Lucca Sicula di Alfano Vito,

28/09/1960 f. 92.10 Verbale d’interrogatorio di Oliveri Salvatore,

24/10/1960 – f. 145.11 Requisitoria del Pubblico ministero del tribunale di

Sciacca del 28/04/1962 – f. 281.

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«Paolo Bongiorno vittima innocente dellamafia»

Paolo Bongiorno fu considerato vittima innocen-te della mafia dalla prima commissione parlamen-tare d’inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia chestilò il primo elenco ufficiale dei sindacalisti uccisiper mano mafiosa.

L’eco politica e l’indignazione suscitate dal delit-to di Paolo Bongiorno, da considerasi il colpo dicoda che la mafia diede al movimento sindacale inSicilia, contribuirono alla nascita della commissioneparlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso inSicilia, istituita con la legge n° 1720 del 20 dicembre1962.

Dal 1963 la commissione antimafia cominciò alavorare intensamente e presentò la sua primaimportante relazione conclusiva nel 1967, quella incui è contenuto il primo elenco ufficiale dei sinda-

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L’Unità, 8 ottobre 1960

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calisti uccisi per mano mafiosa. In virtù dello sce-nario politico-mafioso emerso dai lavori della com-missione parlamentare d’inchiesta sul fenomenomafioso in Sicilia, fu approvata il 31 marzo del 1967dall’Assemblea regionale siciliana la prima leggesulle vittime della mafia. Si trattava di un vitalizioda concedere ai parenti dei dirigenti politici e sin-dacali uccisi in Sicilia. Prima dell’attuazione dellalegge, il 9 ottobre del 1967, il governo Moro la feceimpugnare dal Commissario di Stato il qualesostenne che la Regione siciliana non aveva compe-tenza per legiferare in materia. La legge prevedevanel bilancio regionale l’esigua somma di 12 milionidi lire: in base ad essa i coniugi parenti delle vittimedella mafia, comprese quella di Portella dellaGinestra, avrebbero percepito un vitalizio mensilepari a 25.00 per le mogli, 15.000 lire per i genitori,10.000 lire per ciascun figlio. Una legge approvataqualche anno prima aveva concesso il vitalizio sol-tanto alla madre di Salvatore Carnevale.

Per anni non si parlò più di risarcimenti ai fami-liari di vittime innocenti della mafia, poi il 13 set-tembre del 1999 fu approvata dall’ARS la legge 20,presentata dai deputati Ds sotto il governoCapodicasa: «Nuove norme in materia di interven-ti contro la mafia e di misure di solidarietà in favo-re delle vittime della mafia e dei loro familiari».

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L’Unità, 1 aprile 1967

L’Unità, 10 ottobre 1967

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«Manifestazioni oggettive della mafia. Nelle provin-ce siciliane interessate al fenomeno la vita sociale èsostanzialmente condizionata dai valori e dal pote-re mafioso.

La fenomenologia di questo potere è complessa esenza uguali, come ampiezza, rispetto alle altresocietà organizzate nelle quali si manifestano formedi potere informale. Il potere mafioso presenta delleinconfutabili manifestazioni oggettive che possonodare la misura della sua influenza e della sostanzache lo separa dallo Stato di diritto.

La limitazione del diritto di proprietà da partedella mafia è esercitata a beneficio di interessi pri-vati, non certo della collettività. Infatti, quando sitrattò della riforma agraria, che voleva essereun’applicazione del principio costituzionale dellalimitazione della proprietà terriera ai fini di unamaggiore giustizia sociale, la mafia riuscì a renderein gran parte inoperante la legge imponendo l’arbi-trio privato. Questo aspetto, determinante per lacaratterizzazione del potere mafioso, merita unatrattazione particolare che ha importanza primariaper individuare i legami di tale potere con gli inte-ressi conservatori e la struttura pubblica. Sul pianosociale, la mafia ha ostacolato con la violenza l’a-zione per il miglioramento di vita delle classi lavo-ratrici, per le riforme di struttura e il processo disindacalizzazione per perseguire l’obiettivo diimpedire il progresso sociale che è, per definizione,antitetico alla esistenza del potere mafioso. La

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mafia si è macchiata di delitti di fronte ai quali lacommozione e lo sdegno si accompagnano, nellacoscienza di ognuno, ad un interrogativo: cometutto ciò sia stato possibile. E’ forse la drammaticitàdi questo interrogativo che spingeva i siciliani – aiquali nel corso dell’indagine sono state rivoltedomande al riguardo – a chiudersi in un silenzioimpenetrabile. Il gruppo di ricerca ritiene di dover-si riferire, in particolare, ai numerosi omicidi in per-sona di esponenti sindacali. Ecco un elenco nondefinitivo dei sindacalisti uccisi per mano mafiosa.La lotta sanguinosa condotta dalla mafia contro leforze sindacali trova spiegazione nel fatto che il tra-sformismo politico, come strumento per vanificareogni possibilità di rinnovamento perde l’efficacianel campo sindacale, ne è riprova il fatto che tra isindacalisti uccisi figurano anche elementi di noto-ria ispirazione cattolica.

Il sindacato rappresenta nella situazione sicilianaun determinante strumento di rottura delle vecchiestrutture. L’azione del sindacao in Sicilia si svolgeprevalentemente nel settore agricolo. In questo set-tore le azioni sindacali intaccano, oggettivamente,la struttura: dall’imponibile di mano d’opera all’oc-cupazione di terre incolte, al riparto mezzadrile, lerivendicazioni possono realizzarsi anche attraversouna rivendicazione del diritto di proprietà ai finisociali. E’ questo il motivo della drammaticità chehanno sempre assunto le questioni sociali nellecampagne. La mafia non ha esitato: ha colpito spie-

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VITTIMEAllotta VitoAlmerico PasqualeAzoti NicolòBattaglia CarmeloBiondo GiuseppeBongiorno PaoloCaiola CalogeroCamilleri PinoCampo VincenzoCangelosi CalogeroCarnevale SalvatoreCarrubia GiuseppeCastiglione GiovanniCresceri MargheritaCurcio NicasioCusenza GiorgioD’Alessandro AgostinoDi Maggio LorenzoDi Salvo VincenzoFarno PaoloGrifò GiovanniGuarino GaetanoIntravaia CostanzaLa Fata VincenzoLascari FilippoLascari SerafinoLi Puma EpifanioLo Jacono VincenzoMacchiarella PietroManiaci GiuseppeMegna GiovanniMiraglia AccursioMontaperto VitoPassafiume NunzioPipitone VitoPuntarello GiuseppeRaia AndreaRizzotto PlacidoSalvia LeonardoSansone NunzioSalvia MichelangeloScaccia GirolamoScalia GiuseppeSpagnolo GiuseppeSpinelli MarinaVicari Francesco

LUOGOPortella della GinestraCamporealeBaucinaTusaSanta NinfaLucca SiculaSan Giuseppe JatoNasoGibellinaCamporealeSciaraPartiticoAliaPortella della GinestraFicarazziPortella della Ginestra FicarazziPortella della GinestraLicataComitiniPortella della GinestraFavaraPortella della GinestraPortella della GinestraPortella della GinestraPortella della GinestraPetralia SopranaPartinicoFicarazziTerraciniPortella della GinestraSciaccaPalma di MontachiaroTrabia Marsala Ventimiglia SiculaCasteldacciaCorleonePartinicoVillabatePartinicoAliaCattolica EracleaCattolica EracleaFavaraPortella della Ginestra

DATA1 maggio 194725 marzo 194721 dicembre 194624 marzo 196612 ottobre 194620 settembre 19603 novembre 194728 giugno 194622 febbraio 194815 aprile 19486 marzo 194530 giugno 194722 settembre 19461 maggio 19471 maggio 19471 maggio 194711 settembre 19671 maggio 194717 marzo 194828 novembre 19461 maggio 194716 maggio 19461 maggio 19471 maggio 19471 maggio 19471 maggio 19473 marzo 194822 giugno 194719 febbraio 194725 novembre 19471 maggio 19474 gennaio 194713 settembre 194718 giugno 19458 novembre 19475 dicembre 194523 novembre 194610 marzo 194813 febbraio 194713 febbraio 194730 giugno 194722 settembre 194725 novembre 194513 agosto 195516 maggio 19461 maggio 1947

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tatamente privando il movimento sindacale deisuoi quadri migliori.

La mafia ha ostacolato il consolidarsi delle istitu-zioni e della coscienza democratica. La fiducia nelleproprie organizzazioni sindacali e politiche, e quin-di la fiducia in se stessi, avrebbe aperto i cittadiniche vivono nelle zone mafiose la strada verso unpieno inserimento nella vita democratica. Sarebberovenute meno la ancestrale sfiducia verso le istitu-zioni formali e la necessità del ricorso al mafioso,elemento di mediazione tra l’individuo e il potere.Come tale la mafia è obiettivamente un ostacolo allaevoluzione democratica, se l’individuo, consapevo-le nel suo buon diritto ha fiducia nelle autorità, ilpotere mafioso non ha ragione di esistere.

Il rapporto tra mafia e politica (pur non essendoesclusivo) è inscindibile: senza questo rapporto coni gruppi di potere verrebbe mano la mediazione cuisi è accennato e, quindi, gran parte del poteremafioso.

Altra manifestazione oggettiva del potere dellamafia è l’immunità di cui godono coloro che si mac-chiano di delitti. Specialmente in piccoli centri, i cit-tadini conoscono il nome degli autori di uno o piùdelitti. La mafia del resto non si nasconde: si deve,anzi, sapere che chi ha disobbedito alla legge dellamafia deve pagare con la vita»1.

Note1 Da: Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta

sul fenomeno della mafia in Sicilia (DOC. XXIII n.2 – VI Legislatura).

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2006 pressoTipografia Agrostampa Matinella - Ribera (AG)

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