Il business plan - Iannas

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1 Il business plan Definizione Il Business Plan, o piano economico-finanziario, è il documento che permette di definire e riepilogare il progetto imprenditoriale, le linee strategiche, gli obiettivi e la pianificazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. Diverse sono le funzioni del business plan, che possono essere rappresentate sinteticamente nel seguente schema. Figura1. Le funzioni del business plan, cfr. “Il Business Plan”, Antonio Borello, McGraw-Hill, Milano, 1999, pag. XIII Il business plan ha, quindi, un funzione interna, svolge, cioè, il compito di informare e di guidare i processi decisionali all’interno dell’azienda; ma ha anche una funzione esterna, in quanto, ha lo scopo di presentare il progetto ai terzi. Infatti, il piano di impresa risulta essere lo strumento con il quale si cerca di convincere gli operatori economici, estranei all’impresa, circa la credibilità del business aziendale. Il business plan, all’interno dell’impresa, è alla base per la pianificazione strategica (3-5 anni). Attenzione, però, a non confondere il business plan con il budget, pur essendo forte la loro complementarietà. Business Plan Accesso alle fonti di finanzamento Definizione della visione imprenditoriale e degli obiettivi perseguiti Pianificazione delle strategie e determinazione del paino operativo in tutte le sue aree Comprensione dell’ambiente circostante all’impresa: definisce il mercato, la concorrenza, le strategie, il posizionamento competitivo Analisi della fattibilità finanziaria e dell’attrattività economica di un investimento, sia che si tratti di ampliamento di una attività esistente o di nascita di una nuova iniziativa Utilizzo del budgeting nella quantificazione degli obiettivi e dell’analisi degli scostamenti come procedura di controllo dell’andamento dell’impresa Definizione dell’assetto organizzativo aziendale efficiente oltre che coerente con gli obiettivi, e chiarificazione di compiti e responsabilità del personale coinvolto

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Il business plan Definizione Il Business Plan, o piano economico-finanziario, è il documento che permette di definire e riepilogare il progetto imprenditoriale, le linee strategiche, gli obiettivi e la pianificazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. Diverse sono le funzioni del business plan, che possono essere rappresentate sinteticamente nel seguente schema.

Figura1. Le funzioni del business plan, cfr. “Il Business Plan”, Antonio Borello, McGraw-Hill, Milano, 1999, pag. XIII Il business plan ha, quindi, un funzione interna, svolge, cioè, il compito di informare e di guidare i processi decisionali all’interno dell’azienda; ma ha anche una funzione esterna, in quanto, ha lo scopo di presentare il progetto ai terzi. Infatti, il piano di impresa risulta essere lo strumento con il quale si cerca di convincere gli operatori economici, estranei all’impresa, circa la credibilità del business aziendale. Il business plan, all’interno dell’impresa, è alla base per la pianificazione strategica (3-5 anni). Attenzione, però, a non confondere il business plan con il budget, pur essendo forte la loro complementarietà.

Business Plan

Accesso alle fonti di

finanzamento

Definizione della visione imprenditoriale e degli obiettivi perseguiti

Pianificazione delle strategie e determinazione del paino operativo in tutte le sue aree

Comprensione dell’ambiente circostante all’impresa: definisce il mercato, la concorrenza, le strategie, il posizionamento competitivo

Analisi della fattibilità finanziaria e dell’attrattività economica di un investimento, sia che si tratti di ampliamento di una attività esistente o di nascita di una nuova iniziativa

Utilizzo del budgeting nella quantificazione degli obiettivi e dell’analisi degli scostamenti come procedura di controllo dell’andamento dell’impresa

Definizione dell’assetto organizzativo aziendale efficiente oltre che coerente con gli obiettivi, e chiarificazione di compiti e responsabilità del personale coinvolto

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Differenze tra il business plan e il budget

Caratteristiche Business plan Budget Orizzonte temporale Contenuto Complessità Natura

dell’’informazione Persone coinvolte Attività mentale Finalità Valutaz. lavoro svolto

Medio-lungo termine Un aspetto per volta Molte variabili Più esterna e previsionale; meno accurata Staff e alta direzione Creatività, analitica Indicare risultati attesi Estremamente difficile

Breve termine Tutta l’azienda Meno complesso Su dati interni e storici; più accurata linea e alta direzione Amministrativa; persuasiva Condurre a risultati sperati Meno difficile

Il business plan può essere concepito come il piano realizzato ad hoc in fase di analisi di una nuova iniziativa e preposto alla valutazione dell’attrattività e finanziabilità del progetto. È uno studio, che da una parte include l’analisi di mercato, del settore e della concorrenza, e dell’altra il piano sviluppato dall’azienda su come presentarsi, con quali prodotti/servizi, perseguendo quali strategie, attraverso quale organizzazione; proiettando questa visione d’insieme nel breve periodo, attraverso la quantificazione dei numeri che consentano di determinare il grado di attrattività economica e fattibilità finanziaria dell’iniziativa, e nel lungo periodo, attraverso l’esplicitazione di una visione imprenditoriale chiara e coerente. Composizione La preparazione del business plan è un lavoro complesso, che prevede una serie di fasi. È logico che la struttura del business plan risente molto delle finalità per cui è redatto. In particolare, la redazione di un business plan quale elemento principale per la valutazione della fattibilità economico-finanziaria di un’iniziativa di investimento dovrà permettere:

o all’imprenditore di valutare la validità della sua idea; o ai finanziatori esterni (che nel caso specifico sono rappresentati da istituti di

credito, amministrazioni sovranazionali, nazionali e locali) di valutare la validità del progetto per l’erogazione di un finanziamento o di contributi;

o agli enti che promuovono l’innovazione di valutare il potenziale commerciale ed innovativo del progetto.

Non esiste un modello prestabilito per la redazione del business plan. Tuttavia, è possibile individuare dei requisiti minimi di forma e contenuto dai quali non si può prescindere. Si tratta di alcune semplici regole che rendono la lettura del documento più facile e soprattutto più interessante. È buona norma includere nel business plan, nella parte iniziale, un Executive Summary, ossia un riassunto del documento che, in una o due pagine al massimo, sintetizzi l’iniziativa, gli obiettivi, le strategie, i costi, i finanziamenti richiesti e l’uso che si intende fare degli stessi. Tale riassunto ha lo scopo di stimolare il proseguimento della lettura del business plan stesso evidenziando gli aspetti favorevoli del progetto e vendendone l’idea di impresa. Inoltre, l’intero piano di impresa non deve essere molto lungo, una cinquantina di pagine sono generalmente più che sufficienti. È preferibile riportare in allegato le parti non strettamente attinenti (altre informazioni di supporto) ed i curricula dei soci. Un’attenzione particolare va anche riservata alla forma, sin dalla predisposizione della copertina. In generale, è possibile individuare due parti o macro-aree di lavoro: la parte iniziale, descrittiva, e quella successiva, che contiene i dati economico-finanziari.

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La parte descrittiva, oltre alla presentazione dell’impresa e del progetto, si compone di

analisi e studi necessari per una corretta comprensione del mercato, della concorrenza, del prodotto/servizio offerto e del piano strategico e operativo.

La parte economico-finanziaria, fornisce uno strumento che consente di interpretare i

dati raccolti nella prima parte, disponendoli in una serie di prospetti che guidino il lettore nella valutazione del progetto e che siano al contempo gli strumenti per una presentazione professionale e accurata dello studio.

Un possibile indice È possibile individuare un indice di massima per la redazione di un business plan da presentare in occasione della partecipazione a procedure valutative di assegnazione delle agevolazioni. Si tratta di uno schema tipo che dovrà essere adeguato al caso concreto e alle caratteristiche specifiche del programma di investimenti proposto.

1. Presentazione dell’impresa In questa parte del business plan vanno riportate tutte le informazioni relative all’impresa proponente con riferimento sia alla struttura societaria che all’oggetto sociale, all’organizzazione, al campo di attività e alle sue prospettive future. Se l’impresa è una realtà già avviata ed operativa è importante introdurre il lettore alla sua storia:

- quando è stata costituita; - se ci sono state delle modifiche nell’assetto societario; - sviluppo e area tipica della sua attività; - la situazione economico finanziaria corrente e tutti gli altri elementi che

consentono di fornire un quadro complessivo dell’azienda. Sarà interessante riportare anche eventi significativi del passato, quali la realizzazione di precedenti progetti, lo stato di avanzamento degli stessi, i risultati conseguiti, e così via. In questo modo è possibile già tracciare le prospettive e lo scenario del prossimo futuro. Nel caso di nuova attività, è opportuno che in tale parte si riportino:

- gli stadi di sviluppo dell’iniziativa in corso; - le fasi che sono state completate, quelle ancora da completare o da avviare.

Nel paragrafo relativo al vertice e management aziendale, bisogna indicare i responsabili della gestione con le rispettive funzioni. Vanno definiti i ruoli e le mansioni dei responsabili e le funzioni di controllo dei compiti da essi svolti (funzione organizzativa), nonché la gestione dei meccanismi di coordinamento (funzione politica) all’interno dell’impresa e nei rapporti con l’esterno.

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2. Sintesi del programma proposto Caratteristiche salienti del programma. All’interno del paragrafo va descritto in maniera sintetica il programma che si intende realizzare, delineando l’ubicazione e per grandi linee le spese preventivate. Presupposti e motivazioni che ne sono all’origine. E’ necessario indicare le ragioni produttive, commerciali ed economiche che hanno determinato la decisione di investimento. Obiettivi produttivi perseguiti. Dovranno essere indicati gli effetti produttivi attesi a seguito della realizzazione dell’investimento. 3. Il prodotto/servizio Il paragrafo va strutturato in maniera tale da riportare tutte le informazioni utili all’individuazione dell’attività, in relazione al settore di appartenenza. La descrizione dei prodotti/servizi offerti non deve limitarsi a una semplice elencazione fisica degli stessi. È importante individuare l’output aziendale attraverso l’analisi delle funzioni che assolvono nei confronti del mercato, o meglio, del consumatore. L’attenzione deve, dunque, spostarsi sulle utilità percepite dal consumatore e sull’analisi della capacità dei beni e servizi di soddisfare il bisogno del consumatore. Ciò significa ribaltare la concezione del prodotto/servizio, partendo da una logica di mercato e non di produzione, in maniera tale da individuare lo specifico target di mercato. In tale parte del business plan vanno evidenziati anche gli eventuali prodotti/servizi/attività già realizzati dall’impresa e il collegamento con i nuovi. 4. Il mercato La validità intrinseca di qualsiasi progetto, in termini di potenzialità e prospettive, potrà essere compresa solo dopo un’attenta analisi del mercato di riferimento. Tale considerazione vale sia se si è in presenza di un nuovo progetto, sia nel caso di un ampliamento di un’iniziativa già in essere. All’interno del mercato, qualsiasi impresa si rivolge a uno o più gruppi di consumatori (ciò è quello che si definisce mercato di riferimento o target market). Il target dei consumatori è, dunque, quel particolare segmento di che individua un gruppo di potenziali acquirenti che possiedono caratteristiche simili. L’individuazione del gruppo dei consumatori avviene attraverso una particolare tecnica definita SEGMENTAZIONE DELLA DOMANDA. Con riferimento alla domanda, l’analisi di mercato dovrà, a seguito della identificazione del gruppo di clienti, concentrarsi sulla descrizione del processo di commercializzazione del prodotto/servizio e sulle modalità di formazione del prezzo. Sarà, quindi, necessario quantificare la domanda attuale e, sulla base delle serie storiche e di tutti gli altri elementi disponibili, stimarne l’evoluzione futura. Dovranno, poi, essere individuate le modalità di formazione dei prezzi. L’analisi del mercato di riferimento deve anche concentrarsi sul lato dell’offerta, valutando l’esistenza di concorrenti già presenti o di potenziali nuovi concorrenti e il loro posizionamento sul mercato.

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In particolare, in questo caso, l’analisi va verificata l’esistenza delle barriere all’entrata:

- Barriere legali: rappresentate dalla presenza di vincoli di legge alla possibilità di operare in un determinato settore (es. energia elettrica) o di utilizzare una determinata tecnologia (es. brevetti).

- Barriere economiche: determinate dalla presenza di dimensioni minime di investimento elevate per l’economicità del progetto (esempio settore siderurgico ed energia elettrica);

- Barriere tecnologiche: consistenti nella necessità di avere a disposizione una particolare tecnologia o know how.

I concorrenti possono essere distinti in diretti e indiretti. Tale classificazione non si riferisce alla natura dell’attività svolta, ma al mercato di riferimento. In primo luogo, si definiscono concorrenti di un’azienda quelle imprese che offrono prodotti/servizi atti a soddisfare gli stessi bisogni del consumatore. I concorrenti diretti offrono prodotti/servizi che soddisfano bisogni identici o simili e che quindi sono tra loro fungibili. I concorrenti indiretti si rivolgono, parzialmente, allo stesso target ma il grado di sostituzione non è elevato. L’analisi del mercato di riferimento va, poi, integrata con un’analisi relativi ai rapporti con i fornitori e i distributori. Dovranno essere descritti i canali di approvvigionamento e di distribuzione esistenti nel settore e la natura dei rapporti che sono detenuti dall’impresa, confrontandoli con quelli della concorrenza. Oltre a una fotografia della situazione corrente, devono essere evidenziati i fattori innovativi che possono modificare lo scenario (esempio il progressivo ingresso sul mercato di una nuova materia). La conclusione che deve raggiungere l’analisi di mercato è quella di individuare il posizionamento competitivo dell’impresa (anche tramite la costruzione delle apposite mappe di posizionamento). Attenzione, è necessario indicare sempre le fonti da cui sono reperite tutte le informazioni relative all’analisi di mercato. 5. L’organizzazione dei fattori produttivi ed il ciclo di produzione Il processo produttivo All’interno di tale paragrafo andrà descritto il processo produttivo attuale e/o quello conseguente all’investimento proposto ed eventuali collegamenti ed integrazioni tra i due. I fattori produttivi (lavoro, capitale e know-how) Dovranno essere riportati sia i fattori produttivi disponibili che quelli da acquisire, evidenziando gli eventuali effetti derivanti da attività stagionali. Gli investimenti previsti Il programma di spesa deve essere dettagliato in maniera completa, riportando anche le spese non agevolabili. È buona prassi utilizzare i prospetti suggeriti dal bando di agevolazione.

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In genere, è necessario suddividere le spese nei capitoli relativi ai costi per progettazioni e studi, opere murarie ed assimilate, suolo aziendale, impianti, attrezzature e macchinari, software. Per le opere murarie ed assimilate devono essere riportati in dettaglio le caratteristiche costruttive dimensionali, allegando i computi metrici di massima e individuando gli estremi che consentono l’identificazione di ciascun opera nella planimetria generale. Per il suolo vanno indicate le caratteristiche dimensionali e qualitative e l’eventuale necessità di sistemazioni indagini geognostiche. L’organizzazione del lavoro La struttura e dimensionamento del personale, la relativa evoluzione dall’anno di avvio a realizzazione dell’investimento fino all’esercizio successivo a quello di ultimazione del programma di spesa. 6. L’impatto ambientale Vanno forniti tutti gli elementi necessari a identificare gli obblighi in materia ambientale previsti dalle normative vigenti che derivano dall’esercizio dell’attività e dalla realizzazione del programma, indicando, se già esistenti, gli estremi delle autorizzazioni e/o delle certificazioni acquisite o, in mancanza, lo stato delle relative procedure. Dovranno essere indicate le fonti di approvvigionamento dell’acqua e gli elementi in merito all’eventuale quantità di rifiuti aggiuntivi e relative modalità di smaltimento, specificando la disponibilità del Comune a soddisfare le relative esigenze. Oltre alla descrizione delle fonti energetiche adoperate, comprese quelle relative ad energia rinnovabile derivante da autoproduzione, vanno illustrate anche le eventuali modalità di realizzazione dei beni strumentali finalizzate ad assicurare il minor consumo di risorsa idrica e/o energetica, nonché le eventuali modalità di progettazione e realizzazione dei locali volte ad ottenere un miglior isolamento termico ed acustico. 7. Le risorse finanziarie In tale parte del business plan vanno indicate le risorse con cui si prevede di sostenere l’attività proposta sulla base del fabbisogno finanziario scaturente dall’analisi degli investimenti proposti. Le risorse finanziarie possono essere distinte in: Fonti interne:

- capitale sociale, utili e prestito soci; - modifiche della struttura di bilancio esistente.

Fonti esterne:

- finanziamento commerciale; - debiti verso banche e istituti finanziari; - collocamenti azionari ed obbligazionari e altri titoli; - leasing e pagamenti rateali; - fondi pubblici ed agevolazioni finanziarie e/o fiscali da leggi speciali.

L’insieme delle fonti interne ed esterne costituiscono il capitale investito nell’iniziativa.

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Al fine di una corretta elaborazione del piano finanziario dell’impresa è necessario individuare il giusto mix tra capitale proprio e quello di terzi. Una differente composizione dell’attivo o del passivo determina, infatti, una differente scelta di ottimizzazione del capitale. La natura del fabbisogno finanziario di un’impresa varia in funzione di tre elementi:

- ammontare e composizione dell’attivo, del capitale netto e del capitale di debito esistente;

- tipologia dell’attività svolta; - situazione di mercato.

Con riferimento al primo punto la regola generale impone che: LE ATTIVITA’ CORRENTI DEVONO ESSERE FINANZIATE CON LE PASSIVITA’ A BREVE, MENTRE QUELLE FISSE CON LE PASSIVITA’ CONSOLIDATE E IL CAPITALE NETTO. A tal proposito, si evidenzia che:

- il fabbisogno finanziario corrente, è dato dall’ammontare delle attività correnti, definite anche capitale circolante e composte dalle liquidità (tutto ciò che è monetariamente disponibile per far fronte agli impegni correnti di spesa compresi i crediti) e dalle disponibilità (investimento per costituire il magazzino);

- il fabbisogno consolidato, è determinato dagli investimenti che costituiscono il sistema-azienda e la sua struttura (macchinari, veicoli, impianti ed attrezzature), ossia le immobilizzazioni. Le attività fisse comportano un assorbimento di risorse iniziali molto consistente.

La dottrina economia indica, inoltre, che a parità di altre condizioni il bilancio è considerato “migliore” (equilibrato) se: Attività correnti > attività immobilizzate Capitale netto > passività consolidate > passività correnti La differenza tra attività correnti e passività correnti è definita capitale circolante netto (CCN). In caso di valore negativo del CCN si verifica uno squilibrio finanziario. L’impresa non è in grado di far fronte ai propri impegni di pagamento. Quindi sarà necessario procedere con un azioni dirette ad incrementare le attività correnti e ridurre le passività correnti. Allo stesso modo, l’acquisto di un nuovo impianto dovrebbe essere effettuato con capitale di debito di lungo periodo o con capitale proprio. In linea generale, è preferibile l’impiego di capitale di rischio (maggiore capitalizzazione delle imprese), in quanto ciò comporterà una maggiore solidità finanziaria dell’impresa. Tale affermazione va però analizzata avendo riguardo anche all’effetto leverage finanziario (conviene indebitarsi fino a quando il ROI supera il tasso passivo di interesse). Tutte queste considerazioni devono essere alla base dell’elaborazione del piano economico – finanziario.

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8. Le strategie commerciali L’ultima parte del business plan è dedicata alla descrizione delle strategie commerciali che saranno intraprese dall’impresa proponente. Si tratta di individuare le leve del marketing mix (posizionamento del prodotto, sistema dei prezzi, canali distributivi, politica finanziaria, organizzazione commerciale, politica commerciale) su cui l’impresa potrà agire al fine di conseguire un vantaggio competitivo consolidato.

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Università di Firenze Corso di Laurea in Economia Aziendale

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Economia dell’Impresa Agro-alimentare

6. MULTIFUNZIONALITA’ E DIVERSIFICAZIONE:

VERSO UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

Giovanni Belletti, Andrea Marescotti

1. L’ASCESA DI UN NUOVO MODELLO DI PRODUZIONE E DI CONSUMO AGRO-ALIMENTARE .................................................................................................................................... 2

1.1. LA RIVALUTAZIONE DELL’AGRICOLTURA E DELLA RURALITÀ ......................................................... 2

1.2. LA MULTIFUNZIONALITÀ DELL’AGRICOLTURA ............................................................................... 3

1.3. LO SVILUPPO ENDOGENO (E NEO-ENDOGENO)................................................................................. 5

1.4. IL CAMBIAMENTO NELL’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ DELLE IMPRESE AGRICOLE: L’AZIENDA

AGRICOLA MULTIFUNZIONALE ............................................................................................................. 6 2. IL RECUPERO DEI RAPPORTI DIRETTI AGRICOLTURA-CONSUMO: LE FILIERE CORTE ............................................................................................................................................... 12

2.1. LA FILIERA CORTA: GENERALITÀ ................................................................................................. 12

2.2. I FARMERS’ MARKETS ................................................................................................................. 13

2.3. I GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALI ................................................................................................. 17

2.4. LE STRADE DEL VINO E DEI SAPORI .............................................................................................. 21 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ................................................................................................... 24

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

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1. L’ascesa di un nuovo modello di produzione e di consumo agro-alimentare

1.1. La rivalutazione dell’agricoltura e della ruralità

Il processo di modernizzazione in agricoltura, unitamente alla diversificazione delle configurazioni assunte dallo sviluppo industriale – in Italia negli anni ’70 - porta a situazioni di sviluppo socio-economico differenziate tra aziende e territori [Saraceno, 1993]. Viene cioè gradualmente rotta la monotonicità dell’opposizione rurale-urbano, o agricolo-industriale, a favore di una più articolata situazione che vede l’affermarsi di aree a sviluppo agricolo intermedio, aree di “campagna urbanizzata” [IRPET, 1975], aree di nuovo insediamento agricolo, e aree di industrializzazione diffusa e di distretti industriali [Becattini 1987 e 1989].

L’affermarsi di nuove modalità di sviluppo economico nelle aree rurali mette gradualmente in crisi il modello di sviluppo industriale e urbano, e con esso il suo pre-dominio non solo economico, ma anche culturale. Vengono sempre più criticati gli aspetti negativi della qualità della vita nelle grandi città industriali, e rivalutati invece gli aspetti positivi della vita in campagna, spesso anche idealizzata soprattutto dai resi-denti nelle aree urbane. In ogni modo questa rivalutazione e nuova attenzione alla tranquillità della vita in ambito rurale, al paesaggio modellato dall’agricoltura, all’ambiente incontaminato, alle tradizioni e alla cultura dei luoghi, alla possibilità di riattivare relazioni sociali perdute nella frenetica vita di città, ai prodotti agro-alimentari tipici, e più in generale alla qualità dell’alimentazione, segna un cambia-mento forte nella percezione sociale del ruolo dell’agricoltura nella società, cambia-mento che verrà gradualmente accolto, pur con alcune resistenze e frizioni, anche all’interno degli obiettivi della politica agricola nazionale e, soprattutto, comunitaria.

Ad un’agricoltura settore dominante delle aree rurali tanto sotto il profilo dell’economia che delle relazioni sociali, formata da imprese professionali nell’ambito di comunità sociali solitamente chiuse e autonome, si sostituisce gradualmente un’agricoltura che, dopo aver perso il ruolo di motore esclusivo dell’economia locale, si frammenta in una molteplicità di tipologie di imprenditoria professionale (diffusione del part-time e della pluriattività aziendale e familiare, contoterzismo, ecc.) e di figure non professionali (pensionati, hobbisti, ecc.), con aziende di dimensione, ordinamenti e obiettivi differenziati, e lascia il campo aperto ad una utilizzazione anche “non agrico-la” degli spazi rurali.

La crescente apertura dei mercati, non solo quindi di quelli dei fattori, dei servizi e dei prodotti, ma anche di quelli delle forze lavoro, degli imprenditori e delle cono-scenze, contribuisce a iniettare nuova dinamicità nelle aree rurali, ma anche a formare sistemi rurali dotati di minor coesione economica e sociale interna, dando origine tal-volta ad una maggiore conflittualità sull’uso delle risorse locali tra tradizionali residen-ti e new-comers.

Il formarsi di sistemi rurali “a geometria variabile” determinati dalle nuove di-namiche economiche e sociali, e la concomitante crisi dell’agricoltura “di massa” basata sulla produzione di commodities (prodotti di base non differenziati alla successiva tra-sformazione svolta nell’ambito dell’agroindustria), sull’ampio uso delle moderne tec-nologie, sulla grande dimensione aziendale (economie di dimensione) e sulla competi-zione di prezzo, lascia il campo aperto alla sperimentazione di modelli alternativi che, sulla base dei cambiamenti delle richieste rivolte dalla collettività al settore agricolo e al mondo rurale, porta ad una maggiore attenzione alla qualità delle produzioni, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio rurale, alla fornitura di nuovi servizi (si pensi all’agriturismo), alla tutela delle tradizioni e della cultura delle aree rurali [Basile e Cecchi, 2001].

Mentre nel periodo precedente al settore agricolo era sostanzialmente richiesto un contributo in termini di forza lavoro e derrate agricole a basso costo per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, negli anni più recenti si modificano e diversifica-no le richieste rivolte al settore da parte della collettività.

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

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Da una parte il settore agricolo continua ad assolvere alle “vecchie” funzioni: fornire forza lavoro agli altri settori dell’economia e produrre alimenti per la popola-zione. Tuttavia queste vecchie funzioni vengono assolte con modalità diverse: grazie al diffondersi della pluriattività e del part-time, è possibile mantenere occupazione all’interno della famiglia agricola e contemporaneamente offrire una disponibilità di lavoro flessibile soprattutto per le esigenze delle piccole e medie imprese che si inse-diano sempre di più nelle aree rurali e per il settore della pubblica amministrazione. Dall’altra parte il settore agricolo aumenta i propri legami con l'industria di trasforma-zione alimentare e reagisce alla crisi dei consumi di massa diversificando la gamma produttiva e offrendo prodotti e servizi “nuovi”, di qualità, di nicchia, e attivando forme di comunicazione di tipo diverso dal passato [Brunori et alii, 2003], recuperando i rapporti diretti con il mercato finale e col cittadino, e instaurando nuovi tipi di rela-zione a livello locale e a livello più globale.

1.2. La multifunzionalità dell’agricoltura

Le aree rurali non sono dunque più soltanto luogo in cui avviene la produzione di derrate agricole, ma anche luogo di insediamenti abitativi e di “consumo” del tempo libero [Basile e Cecchi, 2001]. L’emergere della sensibilità ambientale e culturale porta inoltre alla domanda di nuove funzioni che il settore agricolo sempre più spesso è chiamato ad assolvere.

Il concetto di multifunzionalità dell’agricoltura è stato elaborato nell’ambito del dibattito sull’evoluzione delle politiche agricole e di sviluppo rurale dell’Unione Euro-pea ed appartiene ormai da qualche anno al bagaglio terminologico presente nella de-finizione di un nuovo modello di agricoltura. La multifunzionalità esprime le potenzia-lità delle aree agricole e delle aziende agricole di svolgere contemporaneamente molte-plici funzioni sociali che si affiancano alla più tradizionale funzione di produzione di derrate alimentari per il sostentamento della popolazione, funzione questa tipica, se non esclusiva, del periodo della modernizzazione agricola. Infatti il settore agricolo è sempre più chiamato a svolgere una serie diversificata altre di funzioni “socialmente desiderabili”, riconducibili alle seguenti tipologie [Belletti, 2002a e 2002b]:

- assicurare lo sviluppo del sistema socio-economico delle aree rurali, garantendone una sufficiente vitalità e qualità della vita, con particolare riferimento alle aree più marginali e svantaggiate a rischio di erosione economica, sociale e cultura-le;

- garantire il raggiungimento della sicurezza alimentare, che nei paesi avanzati non concerne tanto il soddisfacimento dei bisogni alimentari di base, ma la di-sponibilità dei prodotti alimentari salubri e sicuri dal punto di vista igienico-sanitario;

- soddisfare le esigenze di qualità e varietà delle produzioni realizzate, a fronte della crescente standardizzazione degli alimenti conseguente dalla industria-lizzazione e globalizzazione dei processi produttivi e dei modelli di consumo;

- mantenere e riprodurre le risorse naturali disponibili, contribuendo alla ridu-zione dell’impatto delle attività sull’ambiente e sul clima, e fornendo un con-tributo positivo alla tutela idrogeologica e alla preservazione della biodiversità e del paesaggio, ecc.;

- preservare e riprodurre l’ambiente antropico, le culture rurali e contadine e le tradizioni locali, ivi comprese quelle enogastronomiche;

- produrre servizi ricreativi, per rendere fruibili le aree rurali da parte dei citta-dini.

Queste funzioni, fino ad un recente passato non erano oggetto di una esplicita ri-chiesta da parte della società (l’agricoltura tradizionale le performava infatti in modo automatico e dunque non erano percepite come “scarse”) e di conseguenza non erano supportate dalle politiche settoriali e territoriali riferite all’agricoltura; esse sono oggi invece pienamente riconosciute e ricercate nelle società avanzate, e sempre più soste-nute dalle nuove politiche agricole e di sviluppo rurale.

All’origine della crescente attenzione dalle molteplici funzioni che possono essere

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assolte dall’agricoltura – se tralasciamo le motivazioni “politiche” connesse alla neces-sità manifestatasi nell’ambito delle trattative internazionali sul commercio di modifica-re la strumentazione con cui il settore agricolo viene supportato dall’Unione Europea [Pacciani, 2002] - vi sono sia motivi legati alla ricerca di competitività sui mercati che motivi di tipo “ideologico”. A fronte della crescente apertura e internazionalizzazione non solo degli scambi ma più in generale delle modalità di produzione e organizzazio-ne della produzione in spazi geografici sempre più aperti, e della riflessione critica cir-ca le conseguenze di questa apertura senza regole e al dominio delle grandi imprese industriali e commerciali, di un’agricoltura “omologata” e standardizzata, dei problemi alimentari e di comunicazione verso il consumatore, di problemi etici ecc. sono nate e si stanno rapidamente estendendo, almeno nei paesi sviluppati, nuove modalità di ope-rare che cercano, a vari livelli, di sfuggire quando non di contrastare queste grandi for-ze.

La ricerca di competitività a fronte della crescente concorrenza sul lato dei costi di produzione proveniente da molti paesi extra-europei e anche facenti parte dell’Unione Europea (paesi dell’Est in particolare), resa più urgente dall’avvio di una politica agricola comunitaria che di fatto slega la concessione degli aiuti alla realizza-zione di particolari produzioni, porta alla ricerca di nuovi prodotti / nuovi canali commerciali e di comunicazione / nuovi servizi, che possano permettere la permanen-za e la rigenerazione dell’agricoltura nell’ambito di spazi rurali sempre meno centrati sulle attività agricole. In altri termini, le imprese, per scelta o per convinzione, sono alla ricerca di un riposizionamento strategico delle attività e cercano di assecondare i cam-biamenti della domanda dei cittadini, sempre più sensibili alla qualità e alla sicurezza degli alimenti, alle modalità con cui vengono ottenuti i prodotti e al loro impatto am-bientale, alla provenienza territoriale e culturale dei prodotti stessi, e così via.

Questi orientamenti sociali del resto sono da tempo incorporati nel nuovo dise-gno delle politiche agricole, di sviluppo rurale e di coesione che interessano il settore e le aree rurali, sotto forma di vincoli (es. eco-condizionalità) e di aiuti.

Le pressioni esercitate dalle nuove sensibilità sociali conducono dunque all’espressione di una domanda di multifunzionalità rivolta al settore agricolo, offren-do diversificati spazi per una ristrutturazione e riqualificazione delle attività agricole che non tutte le aziende e i territori hanno sinora saputo sfruttare.

Le politiche agricole, in particolare quelle di derivazione comunitaria (ma anche a livello nazionale e regionale), hanno assecondato questo processo di cambiamento [Buckwell e Sotte, 1997], che non appare comunque né indolore né omogeneamente di-stribuito tra le imprese e le aree territoriali. A partire dalla metà degli anni ’80 infatti, ma con una forte accelerazione nel corso degli anni ’90, le politiche comunitarie hanno sempre più cercato di orientare l’agricoltura verso un “modello agricolo europeo”, che ha comportato un graduale abbandono delle politiche di sostegno dei mercati accop-piate alla produzione a favore di un sostegno dei mercati più mirato e sempre più con-dizionato all’erogazione di prodotti di qualità e di servizi ambientali, culturali, ricreati-vi, e con una maggiore enfasi riposta sulle politiche strutturali e di sviluppo rurale.

La graduale evoluzione della politica agricola comunitaria verso una più ampia e diversificata Politica agricola e rurale (dal primo al secondo “pilastro”) [Sotte, 1998] ha comportato uno spostamento di peso dalla politica dei mercati (rinnovata con l’introduzione del principio del disaccoppiamento) alla politica strutturale e di svilup-po rurale, ivi compreso il pieno accoglimento del principio della tutela ambientale nelle sue varie dimensioni [Romano, 1998; Tinacci Mossello, 2002; Henke, 2002].

Inoltre, facendosi interprete dei cambiamenti della sensibilità dei cittadini (e in parte anche in virtù del mutato peso politico del settore agricolo nel suo complesso), il sostegno comunitario si è sempre più orientato in direzione della qualità dei processi produttivi (incentivi alle pratiche agricole eco-compatibili, rispetto del benessere degli animali, sicurezza igienico-sanitaria) e dei prodotti (tracciabilità, produzioni agro-alimentari tipiche, prodotti ottenuti con metodo biologico o di produzione integrata), in linea con l’affermarsi del concetto di multifunzionalità delle attività agricole.

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

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1.3. Lo sviluppo endogeno (e neo-endogeno)

L’esito di questi cambiamenti è oggi quello di un’agricoltura estremamente di-versificata, la cui articolazione difficilmente è rappresentabile solo attraverso i dati sta-tistici disponibili, ma che vede un deciso orientamento verso un nuovo modello di svi-luppo che ruota attorno alla qualità dei prodotti offerti ma anche, e in misura crescente, dei servizi offerti (agriturismo, fattorie didattiche, ecc.), e che richiede al tempo stesso nuove modalità di connessione (la vendita diretta, l’e-commerce, le strade del vino) sia nell’ambito dell’area territoriale che nei rapporti locale-globale [Brunori, 2003].

I caratteri assunti da questi nuovi orientamenti portano alla rivalutazione di mo-delli di sviluppo di tipo endogeno, i cui caratteri principali sono sintetizzati qui di se-guito [Lowe, 2003].

Caratteri principali del modello di sviluppo endogeno

Principio-chiave le risorse specifiche di un’area (naturali, umane e culturali) sono la base delle sue possibilità di sviluppo sostenibile

Forza dinamica iniziativa e imprese locali

Funzioni del settore agricolo offrire una gamma diversificata di beni e servizi

Problemi del settore agricolo la ridotta capacità dei territori e dei gruppi sociali di prender par-te allo sviluppo economico

Focus costruzione di abilità e capacità (competenze, reti di istituzioni locali e infrastrutture)

Anche il modello di sviluppo endogeno in agricoltura ha offerto il fianco ad al-

cune critiche. In particolare si osserva come aree rurali che perseguono uno sviluppo socio-economico autonomamente da influenze esterne (siano esse la globalizzazione, l’intervento pubblico comunitario o altro) può rappresentare un ideale ma non appare una proposta realizzabile concretamente nell’Europa moderna.

Ogni area sarà pertanto chiamata a far interagire le forze esogene con le forze en-dogene. Il punto critico diventa dunque come sostenere la capacità delle aree rurali di guidare questi processi più ampi e dirigerne le forze a proprio beneficio. Questo è an-che il concetto di sviluppo neo-endogeno [Lowe, 2003], in cui il focus è spostato sulle relazioni dinamiche che si instaurano tra le aree rurali e il più ampio contesto politico, istituzionale, economico, ambientale, e come queste relazioni vengono mediate o rego-late.

Le conseguenze di questo nuovo approccio possono essere colte a vari livelli, sia all’interno delle aree rurali, che nei rapporti tra il locale e il globale. All’interno delle aree rurali lo sviluppo è ri-orientato in modo tale da valorizzare le risorse locali – fisi-che e socio-culturali – con l’obiettivo di trattenere quanto più possibile i benefici all’interno dell’area. Gli obiettivi di sviluppo vengono definiti sulla base delle necessi-tà, capacità e prospettive degli attori locali, e la partecipazione della popolazione è un principio-chiave e modalità di azione. Lo stesso concetto di sviluppo deve essere af-frontato in maniera complessiva, cioè trattare allo stesso tempo di benessere economi-co, socio-culturale e fisico.

Nei rapporti tra le aree rurali e il contesto esterno invece l’adesione al modello neo-endogeno implica una decentralizzazione degli interventi, la cui filosofia si sposta da una logica individuale e settoriale ai territori. La decentralizzazione degli interventi implica che la partnership territoriale (che comprende attori pubblici, imprese, orga-nizzazioni di volontariato, ecc.) assume una responsabilità diretta nel disegnare ed im-plementare le iniziative di sviluppo. Diventa così importante sia il raggiungimento a livello territoriale di una maggior interazione e coesione tra gruppi sociali e categorie, sia la realizzazione di alleanze strategiche extralocali.

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

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1.4. Il cambiamento nell’organizzazione delle attività delle imprese agricole: l’azienda agricola multifunzionale

La graduale diffusione del nuovo modello di agricoltura multifunzionale e dei principi dello sviluppo endogeno, nelle accezioni sopra delineate, impone degli impor-tanti adattamenti da parte delle imprese agricole, le quali devono in parte rivedere i propri principi di funzionamento e modelli operativi.

La nuova definizione di imprenditore agricolo rende possibile l’affermazione del modello di impresa agricola multifunzionale (vedi figura L’imprenditore agricolo multi-funzionale), vale a dire una impresa agricola che accanto alla tradizionale funzione di produzione di beni agricoli di base (alimentazione, fibre tessili, ecc.) affianca lo svolgi-mento di un insieme articolato di altre funzioni, alcune delle quali verticalmente colle-gate alla produzione di beni agricoli (trasformazione dei prodotti agricoli del fondo, commercializzazione, produzione di beni di qualità specifica), altre relative alla produ-zione di beni non agricoli (ad es. prodotti dell’artigianato non alimentare, agroenergie), di servizi agricoli (ad esempio servizi agromeccanici per altre imprese agricole) e di servizi non agricoli (ad esempio servizi agrituristici, di svago, educativi e culturali).

L’imprenditore agricolo multifunzionale

Fonte: Esposti [2003]

Accanto a queste funzioni rivolte al mercato, e che dunque su di esso possono

trovare la loro valorizzazione prevalente, un numero crescente di aziende agricole svolge attività di produzione di beni e soprattutto servizi che di per sé trovano la loro valorizzazione non sul mercato ma direttamente da parte dell’operatore pubblico: è questo ad esempio il caso dei servizi ambientali (ad esempio la coltivazione di specie vegetali o l’allevamento di razze animali in via di estinzione, o la creazione di habitat naturali) e paesaggistici (ad esempio il recupero e la manutenzione di elementi archi-tettonici o di sistemazioni idrauliche tradizionali, quali muretti a secco o terrazzamen-ti), ma anche di servizi sociali e di tipo riabilitativo che possono essere svolti in con-venzione con il sistema sanitario.

In questa chiave la “produzione congiunta” attuata nell’ambito delle aziende agricole assume connotati in larga parte nuovi, e per l’imprenditore agricolo si aprono nuove opportunità per uno sfruttamento migliore e più razionale e per una migliore valorizzazione delle risorse disponibili in azienda. Più in generale, è la stessa fisiono-mia dell’azienda agricola che cambia e assume connotati molto più diversificati che in passato, a causa dell’emergere di percorsi di sviluppo aziendale innovativi e sempre

Imprenditoreagricolo

CommoditiesCommodities Serviziambientali

paesaggistici

Serviziambientali

paesaggistici

Servizieducativie culturali

Servizieducativie culturali

ServizisocialiServizisociali

Servizi riabilitativi/terapeutici

Servizi Riabilitativi eterapeutici

Trasformazione agro-alimentareTrasformazione agro-alimentare

CommercializzCommercializz

Artigianatotipico

Artigianatotipico

Turismo, svagointrattenimento

ristorazionesport

Turismo, svagointrattenimento

ristorazionesport

Valorizzazione

prevalenteMERCATOMERCATO STATOSTATO

PART -TIME IN

ALTRI SETTORI

PART -TIME IN

ALTRI SETTORI

Prodotti agric.di qualità

Prodotti agric.di qualità

Imprenditoreagricolo

CommoditiesCommodities Serviziambientali

paesaggistici

Serviziambientali

paesaggistici

Servizieducativie culturali

Servizieducativie culturali

ServizisocialiServizisociali

Servizi riabilitativi/terapeutici

Servizi Riabilitativi eterapeutici

Trasformazione agro-alimentareTrasformazione agro-alimentare

CommercializzCommercializz

Artigianatotipico

Artigianatotipico

Turismo, svagointrattenimento

ristorazionesport

Turismo, svagointrattenimento

ristorazionesport

Valorizzazione

prevalenteMERCATOMERCATO STATOSTATO

PART -TIME IN

ALTRI SETTORI

PART -TIME IN

ALTRI SETTORI

Prodotti agric.di qualità

Prodotti agric.di qualità

Prodotti agric.di qualità

Prodotti agric.di qualità

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

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più orientati alle nuove richieste del mercato e della società. L’azienda multifunzionale è caratterizzata da grandi cambiamenti rispetto al

modello dell’azienda agricola dell’epoca della modernizzazione. Schematicamente, la nuova situazione che emerge dal passaggio dall’agricoltura “moderna” del periodo precedente all’attuale tipologia di riferimento può essere rappresentata come in figura Lo sviluppo rurale di qualità.

Lo sviluppo rurale di qualità

Nel periodo dell’ascesa dell’agricoltura moderna e industrializzata (produzione

di massa) le imprese agricole tendevano a semplificare gli ordinamenti produttivi e a non uscire dai confini dell’attività agricola; contemporaneamente esternalizzavano un numero crescente di fasi del processo produttivo ricorrendo in misura crescente all’approvvigionamento di fattori sul mercato. Il principio ispiratore era costituito dalla ricerca della massimizzazione delle rese e dell’efficienza di scala, da raggiungersi at-traverso aumenti di dimensione [Belletti, Brunori, Marescotti e Rossi, 2002]. La funzio-ne tradizionalmente assegnata al settore agricolo di produttore di alimenti a basso prezzo, prevalente fino agli anni ’80, lascia gradualmente il posto ad una pluralità di richieste espresse dai consumatori, dai residenti nelle aree rurali (di vecchio e nuovo insediamento), dai turisti provenienti da aree più o meno lontane, e dalla società in ge-nerale, espressione crescente del riconoscimento del carattere multifunzionale delle at-tività agricole.

Nel modello di azienda multifunzionale la perdita di contatto col consumatore e di visibilità sociale che aveva caratterizzato il periodo precedente viene attenuata con l’attivazione di relazioni dirette: la vendita diretta in azienda o in circuiti di prossimità, l’attività agrituristica, le fattorie didattiche, sono tutti esempi di attività che riattivano il collegamento diretto produzione-consumo/società e danno origine a nuovi fabbisogni professionali e di competenze. Non solo. L’impresa aumenta anche le relazioni volte ad utilizzare in maniera sinergica le risorse sul territorio (risorse artistiche, culturali e am-bientali e naturali, sinergie con altre produzioni artigianali locali), costruendo collega-menti con gli operatori locali (pubblici e privati, individuali e collettivi) su un piano di parità e non più di dominanza [Pacciani, Belletti, Marescotti e Scaramuzzi, 2003].

Alcune fasi del processo produttivo, in precedenza delegate ad operatori specializzati esterni, sono nuovamente re-incorporate all’interno del nucleo di impresa (trasformazione dei prodotti agricoli a livello artigianale, produzione di input).

Non sono più le economie di dimensione a guidare gli orientamenti strategici dell’impresa, ma le economie di scopo. Gli ordinamenti produttivi si fanno più ampi e diversificati, e le attività si allargano anche al di fuori del settore agricolo in senso stret-to (agriturismo, fattorie didattiche, ecc.).

I cambiamenti degli atteggiamenti dei consumatori, assecondati dai nuovi orien-

Impresa agricolaImpresa agricola Diversificazione

produttiva e complessificazion

e ordinamenti

Diversificazione produttiva e

complessificazione ordinamenti

estensione ad attività non strettamente

agricole

estensione ad attività non strettamente

agricole

Parziale internalizzazione nella produzione di fattori

Parziale internalizzazione nella produzione di fattori

Internalizzazionetrasformazione e/o

distribuzione prodotti

Internalizzazionetrasformazione e/o

distribuzione prodotti

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tamenti delle politiche agricole e di sviluppo rurale dell’Unione Europea, portano le imprese a privilegiare gli aspetti legati alla qualità dei prodotti e dei processi, ad un’attenzione crescente dalla dimensione ambientale e paesaggistica dei processi produtti-vi adottati, alla tutela della biodiversità. La valorizzazione di prodotti dotati di attributi di qualità sempre più complessi si realizza in molti casi anche mediante un recupero di legami più diretti con i consumatori (vendita diretta, e-commerce, ecc.) e l’utilizzo di sistemi di garanzia della qualità (agricoltura biologica, denominazioni di origine …). Il principio della multifunzionalità viene attuato diversificando e valorizzando la produ-zione di esternalità dei processi produttivi (ambiente, paesaggio, biodiversità), e ri-chiede l’attivazione di una più fitta rete di relazioni anche a livello locale, con le istitu-zioni pubbliche e con gli altri operatori economici.

Queste trasformazioni offrono nuove possibilità di impiego all’interno dell’azienda agricola, non solo in termini di quantità di ore-lavoro necessarie a far fron-te alle nuove attività intraprese, ma anche in termini di qualità del lavoro, in conside-razione delle diverse competenze e professionalità richieste per svolgere attività in par-te nuove e più complesse (marketing e comunicazione, realizzazione produzioni di qualità oggetto di certificazione, gestione clienti dell’agriturismo, erogazione di servizi ambientali, ecc.), e in termini di tipologia e di genere. In particolare alcune attività si prestano ad una migliore valorizzazione del lavoro dei giovani e delle donne (si pensi alle produzioni agroalimentari di qualità, alla gestione dell’attività agrituristica, alla degustazione dei prodotti tipici), non solo in termini di maggiore occupazione di per-sone con problemi di inserimento sul mercato del lavoro, ma anche in termini di grati-ficazione e qualità del lavoro stesso.

I nuovi sentieri di sviluppo che le imprese agricole possono percorrere offrono inoltre possibilità di nuova occupazione e di creazione di nuove figure professionali a supporto. Lo sviluppo rurale di qualità e l’orientamento verso l’agricoltura multifun-zionale necessitano di ricalibrare e adattare le professionalità che ruotano attorno all’agricoltura in modo da rendere coerente l’intero sistema. Non solo quindi si aprono prospettive di inserimento sul mercato del lavoro per le professionalità che asseconda-no gli orientamenti assunti dalle imprese agricole verso la qualità e la diversificazione “fuori” dalle attività strettamente e tradizionalmente agricole1, ma anche per figure professionali in grado di attivare e collegare gli operatori innescando processi virtuosi di sviluppo rurale, come ad esempio la costruzione di pacchetti integrati che sappiano legare le diverse risorse (agricole, ambientali, culturali, ecc.) presenti in una determina-ta area o l’attivazione di legami cooperativi tra imprese agricole finalizzati a singoli progetti o alla costruzione di percorsi comuni di valorizzazione delle risorse locali.

La trasformazione da impresa agricola monofunzionale (quella cioè concentrata

sulla solo produzione di beni agricoli venduti come materia prima indifferenziata sul mercato) ad azienda agricola diversificata e multifunzionale è dunque un processo complesso che coinvolge i tre “fronti” dell’azienda agricola: quello delle relazioni con il mercato all’interno della filiera di produzione (approfondimento), quello dell’estensione della tipologia di attività svolte (allargamento), e quello delle relazioni con l’area rurale in cui l’azienda opera e con il sistema delle risorse e degli attori in esso presenti (riposizionamento). Questa trasformazioni sono rappresentate nella figura Il triangolo del valore dell’azienda agricola diversificata [Sotte, 2006].

1 La legge di orientamento italiana (D.Lg. 18-5-2001 n.228 “orientamento e modernizzazione del settore agricolo”) ha modificato la definizione di imprenditore agricolo contenuta nel codice civile (art.2135), con l’obiettivo di ampliare la gamma di attività realizzabili all’interno dell’azienda agricola dall’imprenditore, e dunque in linea con questo processo evolutivo dell’agricoltura. Nella nuova definizione di attività con-nesse si legge infatti: “Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione e commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad og-getto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del ter-ritorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e ospitalità come definite dalla legge”.

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Il triangolo del valore dell’azienda agricola diversificata

Fonte: Van der Ploeg, Living Countryside, 2002

a) L’approfondimento attiene a tutte le attività collegate a quelle tradizionali, e posi-zionate a monte e a valle di esse. Si tratta di attività produttive o di servizio orientate innanzitutto alla sostituzione dei fattori convenzionali con nuovi fattori, alla riorganiz-zazione della produzione in forme integrate e più complesse, alla innovazione di pro-dotto e alla cura dei suoi aspetti qualitativi, alla trasformazione e valorizzazione delle produzioni, alla commercializzazione diretta delle produzioni finali o comunque all’accorciamento delle filiere e alla costituzione di rapporti più diretti e ravvicinati con il consumatore finale. L’approfondimento comprende tutte le innovazioni di prodotto o di processo e le attività integrate a monte e a valle dell’agricoltura tradizionale. Rientrano in tale ambito le produzioni differenziate, specie quelle tipiche o di qualità spesso supportate da forme di riconoscimento esplicite e formali della qualità (come nel caso delle varie forme di certificazione e valorizzazione) o quelle rispettose dell’ambiente (agricoltura biologica o a lotta integrata), ma anche lo sviluppo di nuovi prodotti (nuove varietà, piccoli frut-ti, ecc.). Sono anche casi di approfondimento tutte le trasformazioni dei prodotti effettua-re nella stessa impresa agricola (pane, vino, formaggio, birra), le forme di organizza-zione collettiva dell’offerta (gruppi di offerta) e comunque tutte le iniziative che mira-no alla costituzione di filiere corte tra produzione e consumo (vendita diretta, farm shop, farmers’ market), le nuove forme di commercializzazione (ad es. adozione di ani-mali presso l’allevatore, vendita attraverso internet). Altre volte è il consumatore che viene attirato dal produttore nella sua impresa (raccolta di prodotti da parte del con-sumatore o pick-it yourself). Infine sono da classificare come casi di approfondimento tutte le forme di sostituzione di fattori di produzione con input interni, con riferimento in particolare alla produzione di energia, al riutilizzo a fini di fertilizzazione delle deiezioni animali, alle nuove forme di avvicendamento e rotazione tra colture. Spesso si tratta di ricondurre sotto il control-lo dell’agricoltura attività che in passato essa già svolgeva, ma che aveva perduto, co-me effetto dell’industrializzazione dell’agricoltura e della specializzazione produttiva. b) L’allargamento riguarda le attività di produzione e di servizio che si affiancano col-lateralmente all’attività agricola propriamente detta. Esse sono rivolte sia a rispondere a nuovi bisogni di mercato (turistici, residenziali, culturali, ecc.) sia a fornire servizi ge-neralmente di interesse collettivo (ambientali, paesaggistici, ecc.).

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Storicamente il primo tipo di allargamento è stato il contoterzismo, di cui già si è detto nei capitoli precedenti. Questa attività spesso si è estesa ad altri compiti, come quelli della conservazione e della commercializzazione del prodotto, dell’espletamento di in-combenze burocratico-amministrative, fino a riguardare l’intera gestione. L’agriturismo raccoglie una vastissima gamma di servizi di diversa natura. In senso re-strittivo, l’agriturismo attiene ai servizi di ospitalità e ristorazione, spesso in congiun-zione alla vendita di prodotti aziendali. Ma la gamma dei servizi agrituristici si diffe-renzia ulteriormente per: a) tematizzazioni: percorsi eno-gastronomici, strade del vino, percorsi d’arte, ecc.; b) tipologia di servizi: bed and breakfast, camping e camper, picnic, barbecue, ecc.; c) prodotti e servizi aggiunti: vendita prodotti, ippoturismo, esperienze lavorative in azienda, ecc. Altre attività con notevoli nessi con l’agriturismo sono riconducibili alle seguenti tipo-logie: a) fattorie didattiche, aziende museo, laboratori artistici, scuole d’arte e altre ini-ziative di valorizzazione della cultura rurale; b) agricultural therapy, cura del disagio mentale, inserimento al lavoro di portatori di handicap, reinserimento ex- tossicodi-pendenti, ex-detenuti, e altri soggetti difficili; c) servizi residenziali, case dello studen-te, ospizi anziani e case di accoglienza; d) fitness, sport, centri salute, attività di enter-tainment e svago. Infine vanno comprese nell’allargamento tutte le iniziative di cura dell’ambiente e del paesaggio sia come servizi ai privati, che (più spesso) come fornitura di servizi pubbli-ci: a) progettazione, cura e gestione del verde pubblico e privato, urbano e rurale; b) gestione della natura e del paesaggio, difesa idrogeologica; c) prevenzione spegnimen-to incendi e cura foreste; d) produzione di energia (eolica, biomassa); e) gestione riser-ve faunistico-venatorie, caccia e pesca; f) lavori pubblici (manutenzione opere pubbli-che, spalatura neve) con i mezzi agricoli; g) protezione civile. c) Per poter svolgere le nuove attività rientranti nelle categorie di allargamento e ap-profondimento è spesso necessario che l’azienda ripensi il proprio sistema di relazioni con il contesto esterno: si parla così di riposizionamento dell’azienda rispetto al conte-sto locale e al sistema delle risorse. Nel modello dell’azienda monofunzionale le relazioni dell’azienda tendevano ad esse-re semplificate e ridotte a quelle con il sistema dei fornitori e quello dei clienti, spesso avulsi dal contesto territoriale. L’azienda multifunzionale necessita invece di un nuovo radicamento nel contesto territoriale attraverso lo sviluppo di relazioni di collabora-zione, nonché dello sviluppo di nuovi modelli di impiego delle risorse. Sotto il primo profilo, è evidente come lo sviluppo di alcune attività proprie del model-lo multifunzionale richiedano relazioni forti con altre aziende del territorio: si pensi ad esempio allo sviluppo di talune attività turistico-ricreative che beneficiano fortemente di strategie collettive definite su base territoriale (si pensi ad esempio alle Strade del vino, che raggruppano appunto più imprese - non solo agricole – intorno a una strate-gia di sviluppo locale) e alla valorizzazione di un prodotto tipico mediante lo strumen-to della denominazione di origine protetta (o controllata), che richiede la presenza di una organizzazione rappresentativa delle imprese del sistema locale di produzione e beneficia della presenza di un Consorzio di tutela e promozione. Il profilo dei nuovi modelli di impiego delle risorse concerne le attività esterne a quella agricola ma integrate e complementari con essa nell’ambito rurale allo scopo di fornire occasioni di impiego ai fattori di produzione aziendali (lavoro in primo luogo, ma an-che mezzi meccanici, ecc.) e opportunità di reddito integrative all’agricoltore e alla fa-miglia agricola. E’ questo l’ambito delle attività più propriamente connesse all’integrazione rurale e al miglioramento della qualità della vita. Funzioni di integra-zione nell’economia rurale sono tutte le attività svolte indipendentemente da quella agricola nell’azienda stessa o più in generale nell’ambiente rurale. Esse possono essere: a) di tipo artigianale o piccolo industriale, b) di carattere artistico o di valorizzazione culturale; c) commerciali: negozio rurale, fiere rurali; d) turistico. In questo stesso ambi-to si collocano le forme di pluriattività tipiche della famiglia agricola, o anche, in rela-zione alle disponibilità di risorse (lavoro, materiali di base, spazi coperti e aperti) dello stesso agricoltore imprenditore. Infine vanno considerate tutte le funzioni residenziali e

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di animazione rurale come quelle ristrutturazione, restauro e manutenzione di vecchie costruzioni civili o pubbliche.

Nell’ambito del nuovo modello di sviluppo si assiste dunque all’emergere di nuove forme di connessione che si vengono ad instaurare tra le imprese agricole e la società, e che coinvolgono e modificano da un lato lo svolgimento delle “tradizionali” attività di produzione e di scambio dei prodotti sul mercato, e dall’altro ampliano lo spettro delle “produzioni” aziendali fino a comprendere l’erogazione di servizi di tipo più o meno innovativo.

I sentieri alternativi percorsi dalle imprese agricole nell’ambito di questo modello sono sostanzialmente tre:

1. un aumento del livello di differenziazione e della qualità delle produzioni realizzate dalle aziende agricole (qualità);

2. una crescente estensione dell’attività agricola verso nuove attività di produ-zione di beni e servizi.

3. un recupero dei canali più diretti di scambio con il consumatore finale (filiere corte);

Il sentiero “qualità” abbraccia in realtà l’intero sistema agro-alimentare, ed ha in-teressato negli ultimi anni anche la componente “modernizzata” del sistema. La tratta-zione e l’analisi della qualità nel sistema agro-alimentare e dell’estensione dell’attività agricola vengono approfonditi in altri insegnamenti. Qui di seguito viene dunque trat-tata l’ultima tipologia.

I sentieri appena delineati non rappresentano modalità alternative di imposta-zione strategica dell’azienda. Al contrario, numerose sono le sinergie raggiungibili tra i diversi ambiti. Si pensi ad esempio all’agriturismo, che offre possibilità di far conoscere i prodotti dell’azienda e più in generale del territorio (ad esempio attraverso le strade del vino e dei sapori) e di attivare canali brevi di commercializzazione. Anche le attivi-tà didattiche possono offrire le stesse potenzialità, così come l’attivazione di filiere cor-te possono costituire un elemento di promozione dell’attività aziendale e del territorio.

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2. Il recupero dei rapporti diretti agricoltura-consumo: le filiere corte

2.1. La filiera corta: generalità

Il termine filiera “corta” viene impiegato per indicare sia la tendenza a “saltare” fasi di intermediazione commerciale e a collegare dunque direttamente il produttore agricolo col consumatore, e dunque in riferimento al numero di passaggi “fisici” che il prodotto effettua prima di giungere al consumatore finale, sia alla distanza geografica che il prodotto percorre prima di giungere fisicamente al consumatore. Quest’ultima accezione è riconducibile alla crescente attenzione mostrata dai consumatori per gli aspetti “ambientali” dei processi produttivi (vedi ad esempio il tema delle cosiddette food miles) e alla domanda di “genuinità” e sicurezza dell’origine che normalmente i prodotti locali (local food) sembrano maggiormente in grado di soddisfare.

E’ evidente che pur non essendo equivalenti, queste due diverse accezioni (ridu-zione del numero di passaggi e riduzione della distanza percorsa dal prodotto) sono accomunate dalla tendenza ad “avvicinare” il consumatore al mondo della produzione, facilitando così da un lato le attività di comunicazione e scambio di informazioni tra i protagonisti, e dall’altro il perseguimento di vantaggi economici su entrambi i lati: il consumatore infatti può beneficiare normalmente di prezzi di acquisto più contenuti (evita infatti di remunerare i costi di trasporto e/o intermediazione commerciale), e il produttore può spuntare prezzi più remunerativi rispetto a quelli presenti sui mercati intermedi. A ciò si aggiunga che l’attivazione di canali diretti col consumatore facilita l’attivazione all’interno dell’azienda agricola di altre attività di trasformazione e condi-zionamento del prodotto, permettendo un ulteriore recupero di valore aggiunto e una migliore occupazione delle risorse fisiche e umane presenti in azienda.

Esempi di queste nuove forme di connessione sono forniti dalla diffusione cre-scente della vendita diretta dei prodotti in azienda, dai mercati contadini realizzati a cadenza più o meno periodica (farmers’ markets), dai gruppi di acquisto e i gruppi di acquisto solidale (GAS), dalle fiere e sagre paesane, dal commercio elettronico (e-commerce), dalle strade del vino e dei sapori, fino a forme più innovative che si stanno diffondendo soprattutto in altri paesi (Usa, Gran Bretagna, Olanda) quali il pick-your-own e la Community Supported Agricolture (CSA).

La Community Supported Agricolture (CSA)

La Community Supported Agricolture consiste in una comunità di persone che intendono supportare un’azienda agricola in modo tale che diventi, legalmente o spiritualmente, l’azienda della comunità con gli agricoltori e i consumatori che si scambiano supporto e aiuto reciproco e condividono il rischio e i be-nefici della produzione alimentare. Tipicamente i membri (o “share-holders”) anticipano i costi per le operazioni colturali e per lo stipendio dell’agricoltore. In cambio, essi ricevono parte della produzione aziendale durante la stagione, e la soddi-sfazione ottenuta per l’essersi riavvicinati alla terra e aver potuto partecipare ai lavori agricoli. I membri naturalmente condividono il rischio di produzione, incluso quindi il rischio di un cattivo raccolto dovuto agli andamenti metereologici o ad attacchi parassitari. Vendendo direttamente ai consumatori (membri), che hanno anticipato all’agricoltore il capitale, i produttori agricoli ricevono prezzi migliori e sono solle-vati da gran parte del gravoso impegno necessario per la commercializzazione. La CSA si è sviluppata inizialmente in Giappone negli anni ’70 dello scorso secolo, quando un gruppo di donne preoccupate dall’aumento delle importazioni di cibo e dalla corrispondente riduzione dell’attività agricola locale iniziò a coltivare direttamente e ad attivare relazioni dirette tra il proprio gruppo e un gruppo di aziende agricole locali. Questo accordo venne chiamato "teikei" in giapponese, che tradotto si-gnifica “mettere la faccia dell’agricoltore sul cibo”.

Le filiere corte sono spesso etichettate come filiere o canali “alternativi”. La valu-

tazione del grado di “alternatività” di queste relativamente nuove o rinnovate forme di connessione deve essere effettuata in base alla tipologia del contenuto del “messaggio” che in questi ambiti viene veicolato. L’attivazione di queste forme di vendita infatti può derivare infatti semplicemente dal desiderio di diversificare i canali commerciali in

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un’ottica puramente economica, nella ricerca cioè di una ottimizzazione della strategia di marketing dell’impresa – e in questo caso si tratterebbe solo di un’alternativa nelle “tecniche” di vendita – oppure essere interpretato anche come uno strumento di critica alle modalità di produzione e/o commercializzazione di tipo “convenzionale” e dun-que trasformarsi in uno strumento di cambiamento del sistema e di modalità di defini-zione della qualità stessa dei prodotti scambiati.

Lo stesso può dirsi in riferimento al consumatore, che nell’ambito di queste for-me di acquisto recupera un ruolo maggiormente attivo rispetto ai canali convenzionali (negozi alimentari tradizionali, grande distribuzione organizzata), fino al punto di di-ventare il protagonista e l’attivatore (ad esempio nel caso dei GAS, così come nel caso del movimento legato a Slow Food) di queste nuove forme di connessione. Si tratta cioè di capire se il consumatore è mosso da principi puramente “economici” (il desiderio di risparmiare) oppure il suo atto di acquisto nell’ambito di questi canali risponde a prin-cipi etici e sociali di contenuto “trasformativo”, come reazione dopo anni di “delega” ad un settore industriale e distributivo sempre più tecnologicizzato e scientifizzato. Le crisi inerenti la sanità alimentare, che la “scienza” si è spesso rivelata incapace di con-trollare, nonché la circolazione sempre più rapida di informazioni riguardanti condi-zioni di lavoro e di vita di alcuni gruppi di operatori agricoli (in particolare quelli ap-partenenti ai Paesi in via di sviluppo), hanno incrinato questa immagine e dettato la necessità da parte dei consumatori di valutare e supportare l’attendibilità delle infor-mazioni meramente scientifiche riguardanti i prodotti agro – alimentari, affiancando ad esse altre tipologie di informazioni quali l’esistenza di forme di tutela sociale e /o culturale degli operatori agricoli e la provenienza dei prodotti stessi.

Nella realtà dunque queste due “visioni” spesso si integrano e si confondono, fi-no a delineare un continuum di situazioni talvolta in contrasto e talvolta in accordo con i canali convenzionali.

Nelle prossime pagine verranno analizzate più in dettaglio alcune esperienze particolarmente significative e attuali che bene illustrano queste tendenze.

2.2. I farmers’ markets2

Quando si parla di mercati dei produttori (talvolta definiti in modo più specifico, con chiara volontà di differenziazione, “mercati contadini” o “mercati biologici”) si fa riferimento a mercati gestiti direttamente da produttori agricoli, dove si svolge la ven-dita diretta dei prodotti. Questi mercati si sono diffusi negli ultimi anni per la necessi-tà/volontà dei piccoli produttori di realizzare una commercializzazione diretta per i propri prodotti, quantitativamente e qualitativamente non valorizzabili nei circuiti convenzionali, o comunque di dare visibilità all’agricoltura locale, diffondendo la sua conoscenza presso i consumatori.

L’organizzazione e la gestione dei mercati dei produttori risponde a finalità di-verse, in gran parte in relazione a quali sono i soggetti promotori e i relativi interessi e obiettivi, e di conseguenza i mercati assumono caratterizzazioni diverse (e conseguen-temente trasmettono un messaggio e, potenzialmente, hanno un impatto diversi).

- I “mercati contadini” promossi dalle associazioni dei produttori sono gene-ralmente concepiti come momenti di realizzazione di una concezione alterna-tiva del produrre-consumare, e quindi come momenti di scambio commercia-le, ma allo stesso tempo (e in forma strettamente integrata) anche come mo-menti di creazione e condivisione di una base di valori e di una cultura alter-native, di sensibilizzazione, di impegno civile e “politico” (al momento dell’acquisto/consumo di cibo vengono associate altre forme/occasioni di “cittadinanza attiva”).

- I mercati promossi dalle istituzioni pubbliche e dalle organizzazioni profes-sionali si configurano prevalentemente come momenti di valorizzazione commerciale delle produzioni locali e di rieducazione alimentare/culturale sulle tradizioni produttive e gastronomiche locali. In particolare, laddove è

2 Il contenuto di questo paragrafo è basato su: Brunori, Cerreti, Guidi, e Rossi [2007].

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forte la partecipazione delle amministrazioni pubbliche, i mercati dei produt-tori costituiscono un importante strumento a sostegno dei processi di sviluppo rurale locale o all’interno di strategie di marketing territoriale.

Un’altra tipologia di mercati è individuabile considerando il tipo di frequentatori a cui sono prevalentemente rivolti, in relazione al tipo di prodotti offerti nonché, talvol-ta, alla stessa dislocazione:

- mercati frequentati in gran parte da turisti, localizzati prevalentemente nelle piazze centrali delle grandi città, a carattere più o meno continuativo e con forte presenza di prodotti tipici,

- mercati prevalentemente rivolti a consumatori locali, più orientati alla com-mercializzazione di prodotti locali.

Un’altra importante distinzione, attualmente presente considerando le esperienze sinora attivate sul territorio, è data dal tipo di agricoltura a cui i mercati fanno riferi-mento, per cui si parla specificatamente di mercati biologici, comprendenti solamente produttori che adottano tecniche di produzione biologica o biodinamica, o di mercati misti, comprendenti anche produttori convenzionali (al momento rappresentati sola-mente dalle esperienze attivate dalle amministrazioni locali).

E’ evidente che la scelta tra le varie opzioni è strettamente legata alle finalità at-tribuite al mercato e all’immagine che si vuole dare di esso.

Solitamente partecipano ai mercati produttori con attività di dimensioni molto contenute, in relazione alla scala produttiva, nonché al tipo di organizzazione del lavo-ro (si tratta di realtà a conduzione esclusivamente familiare, se non addirittura indivi-duale, in cui la partecipazione al mercato vede coinvolti uno o due componenti). Que-sto aspetto riveste particolare importanza nei mercati promossi dalle associazioni dei piccoli produttori, dove è posto tra i principi fondamentali della stessa organizzazione e gestione dei mercati, ispirandone le motivazioni di fondo (sostegno alla piccola agri-coltura contadina) e successivamente i criteri di selezione dei partecipanti. Diversa-mente, nei mercati promossi dalle amministrazioni pubbliche o dalle organizzazioni professionali agricole, la necessità di perseguire obiettivi di valorizzazione dell’agricoltura locale porta ad attribuire minore rilievo a tale aspetto.

Il pick-your-own

Nel “pick your own” (raccoglilo da te) il consumatore si reca direttamente presso l’azienda agricola a rac-

cogliere personalmente i prodotti di cui ha bisogno (tipicamente ortaggi e frutta). Questa tipologia di ac-corciamento della filiera sta avendo una forte diffusione soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra ma, ultimamente, sta prendendo piede anche in Italia, dove sono sempre di più le aziende agricole e gli agri-turismi che mettono a disposizione ai cittadini i propri campi con relativi raccolti.

Oltre alla soddisfazione di raccogliere da se i frutti della terra e di passare la giornata in mezzo alla natura, il “pick your own” consente anche di risparmiare fino al 40-50% rispetto ai prezzi di negozi e supermerca-ti. Utilizzando questo metodo “self service”, si può decidere la quantità, la varietà e la qualità dei prodotti e si ha la certezza di portare in tavola cibi genuini e di stagione che rispondono alle specifiche esigenze familiari.

Il sistema del “pick your own”, tra l’altro, permette a tutti di conoscere le varie fasi della produzione agricola, dalla semina al raccolto, che ormai oggi-giorno sono sconosciuti per la gran parte dei con-sumatori.

Generalmente i mercati sono frequentati da produttori locali o provenienti da ter-

ritori limitrofi. In molti mercati ai piccoli produttori agricoli si affiancano anche piccoli artigiani: falegnami, cestai, ceramisti, saponai, magliai, tessitori, ecc. In alcuni casi sono esclusi a priori i commercianti e i trasformatori puri (coloro che acquistano i prodotti per poi trasformarli, esclusi i pastai e i fornai). In altri è invece accettata, sotto partico-lari condizioni, anche la presenza di commercianti e trasformatori.

L’apertura o meno del mercato a soggetti diversi dai produttori, riconducibile

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evidentemente alla valenza attribuita al mercato dai soggetti promotori, costituisce un altro punto di notevole importanza; esso rappresenta uno dei più importanti elementi caratterizzanti per gran parte dei “mercati contadini” ed in molti casi è al centro del processo di negoziazione che si instaura con le amministrazioni pubbliche. L’inclusione dei commercianti ha evidentemente implicazioni importanti, di carattere opposto: da una parte, a patto che sia debitamente regolamentata (prevedendo la partecipazione solamente di commercianti locali e condizionandone la presenza alla commercializza-zione delle produzioni locali, ad esempio) può consentire di ampliare le dimensioni dei mercati e la gamma dei prodotti offerti, e attraverso ciò accrescere l’incisività dei mer-cati sullo sviluppo dell’agricoltura locale (comunque solamente per quell’agricoltura che ha minore possibilità di accesso alla vendita diretta) e più in generale dell’economia rurale locale; dall’altra, comporta inevitabilmente il rischio di uno snatu-ramento o almeno di una perdita di chiarezza dell’immagine del mercato come mo-mento di riavvicinamento tra produzione e consumo, nonché di un indebolimento dell’impatto positivo che i mercati possono avere sull’economia delle aziende agricole, determinando inevitabilmente una diminuzione del valore aggiunto per i produttori. L’inclusione di commercianti esterni o comunque senza che la loro presenza sia legata alla commercializzazione dei prodotti agricoli locali appare invece fortemente in con-trasto con quelle che sono le finalità generalmente attribuite ai mercati dei produttori e quindi non conveniente in relazione al rischio di comprometterne sia la valenza eco-nomica sia il significato e l’immagine presso i consumatori.

Concepiti nella maggior parte dei casi non solamente come momento di scambio commerciale, ma anche come spazio culturale, i mercati vedono spesso, oltre alla pre-senza delle associazioni dei piccoli produttori, anche la presenza di associazioni (ope-ranti nel sociale, nel commercio equo-solidale, nella medicina naturale, associazioni di consumatori come i GAS) o di movimenti/gruppi cittadini legati alla promozione di specifiche iniziative (dibattiti pubblici, raccolta di firme per petizioni, manifestazioni, corsi di educazione/formazione, ecc).

0-miles food

. Il concetto di food miles, le miglia del cibo, è stato inventato dallo studioso Tim Lang nei primi anni no-vanta, per mettere in evidenza quanto il cibo percorra grandi distanze prima di giungere sulle nostre ta-vole e impatti negativamente sulla sostenibilità ambientale. Da allora è stato varato un progetto di ricerca scientifica nelle università inglesi che è arrivato a quantificare in termini monetari il costo di queste food miles, a seconda del tipo di trasporto e delle sue emissioni, bilanciato con le quantità trasportate, i costi ambientali dei metodi di produzione, gli scarti di produzione e consumo, o anche fattori dei quali è com-plicato stabilire l´influenza, come i sussidi all´agricoltura. Il merito della ricerca inglese è stato di mettere in evidenza quanto sia decisiva, in termini di sostenibilità, la provenienza del nostro cibo, che arriva a in-cidere quasi quanto i metodi di agricoltura praticati.

In 2005, Alisa Smith and J.B. MacKinnon began a one-year ex-periment in local eating. Their 100-Mile Diet struck a deeper chord than anyone could have predicted, inspiring thousands of individuals, and even whole communities, to change the way they eat. Locally raised and produced food has been called “the new organic" — better tasting, better for the environment, better for local economies, and better for your health. From reviving the family farm to reconnecting with the seasons, the local foods movement is turning good eating into a revolution.

Fonte: http://100milediet.org/

Le dimensioni dei mercati sono allo stato attuale diverse. Alcuni sono piuttosto

grandi, raggiungendo ed oltrepassando i 50 espositori (di cui 30-35 produttori agricoli),

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mentre per la maggior parte sono frequentati da circa 15-20 produttori; alcuni mercati coinvolgono meno di 10 produttori.

La partecipazione ai mercati è per i produttori onerosa in termini di tempo e di organizzazione e questo è uno dei fattori che mina la loro continuità: laddove le di-mensioni iniziali non sono consistenti, come nei casi in cui non si raggiunge una decina di produttori, la progressiva riduzione (spesso unita alla discontinuità) della frequenza del mercato da parte dei produttori (i quali si riducono a tre-quattro, se non meno) por-ta spesso alla decisione di sospendere il mercato. Ovviamente questi processi sono for-temente influenzati dal livello di frequentazione dei mercati da parte dei consumatori, a sua volta legato alle caratteristiche del contesto in cui i mercati si sviluppano (urba-no/rurale; alti/bassi flussi turistici).

I consumatori che frequentano i “mercati contadini” sono per la maggior parte consumatori del luogo, in alcuni casi fidelizzati ai produttori. In alcuni periodi dell’anno (in relazione anche al luogo dove il mercato viene organizzato, se è più o meno visibile e facilmente raggiungibile) vi sono anche molti turisti. Alcuni dei produt-tori che partecipano ai mercati contadini riforniscono anche i GAS; in alcuni mercati questo aspetto fa sì che l’appuntamento mensile del mercato diventi anche occasione per consegnare i prodotti commercializzati in seno al GAS.

C’è una forte volontà di coinvolgimento dei consumatori da parte dei produttori, che si esprime attraverso la comunicazione della propria esperienza (tutti gli espositori hanno generalmente del materiale illustrativo sull’azienda e l’attività condotta), fino all’organizzazione durante lo svolgimento del mercato di specifiche iniziative, quali momenti di sensibilizzazione o di dibattito (su alimentazione, salute e medicina, agri-coltura, ambiente, specifiche iniziative locali) o momenti di convivialità (degustazione dei prodotti locali in spazi-ristorazione). In alcuni mercati ai consumatori viene offerta la possibilità di andare a far visita ai produttori.

L’accesso ai mercati dei produttori è generalmente regolato da parte dei soggetti promotori (organizzati o meno in un Comitato), in relazione a quella che è la caratte-rizzazione del mercato, ma anche in funzione dello spazio disponibile. Nei casi, fre-quenti, in cui questo è ridotto, si tende a garantire la possibilità di partecipare agli stes-si produttori (fatta salva una possibile discontinuità dovuta alla stagionalità della pro-duzione), ciò per garantire una certa costanza dei caratteri del mercato, una sicurezza economica ai produttori e l’effettiva possibilità per essi di instaurare un rapporto di conoscenza con i consumatori. Diversi mercati comunque hanno attraversato o stanno attraversano una fase di crescita, con un progressivo aumento dei partecipanti. Tale processo è condizionato, oltre che dagli eventuali limiti posti dagli spazi disponibili, dalle caratteristiche del contesto, che, come si è detto, determina il grado di frequenta-zione del mercato da parte dei consumatori, ma anche dalla possibilità / disponibilità a partecipare da parte dei produttori, in relazione alla loro dislocazione sul territorio e alla loro organizzazione aziendale (disponibilità di persone/tempo/prodotto per par-tecipare a più mercati). Solo nel caso dei mercati di dimensioni maggiori viene attuata una rotazione dei partecipanti.

L’importanza di gestire adeguatamente l’accesso al mercato rende opportuna la presenza di norme condivise. Queste sono formalizzate (generalmente all’interno di un regolamento) solo per alcuni mercati, mentre negli altri casi assumono natura informa-le.

Le modalità di certificazione delle tecniche produttive adottate e di controllo della veridicità delle dichiarazioni rappresentano un altro aspetto importante, anch’esso oggetto di intenso dibattito all’interno delle associazioni dei produttori. In generale, in molti casi ai produttori viene richiesta un’autocertificazione per i propri prodotti, qualunque sia la pratica di agricoltura adottata, per garantire la trasparenza del processo produttivo ai consumatori. In molti mercati contadini, in relazione ai rap-porti di conoscenza diretta presenti, vige un controllo di tipo “sociale” che vede coin-volti tutti i produttori (in alcuni casi in modo più formale), e che si basa sulla circola-zione dell’informazione e sull’effettuazione di visite presso i singoli produttori. L’aspetto dell’autocertificazione riveste una più generale importanza, ponendo l’accento sul principio di responsabilità del produttore nei riguardi del consumatore e delle risorse naturali e culturali a cui esso attinge, nonché sul ruolo della fiducia tra

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produttore e consumatore, che si sviluppa nella comunicazione diretta fra i due sogget-ti e si traduce spesso in un rapporto di conoscenza e comprensione reciproca.

La gestione del prezzo costituisce un altro aspetto particolarmente delicato, per i significati che esso assume all’interno dei circuiti brevi di produzione-consumo (solida-rietà ed equità, trasparenza). Attualmente esso è in gran parte dei mercati gestito in modo informale, attraverso una valutazione condotta all’interno dei comitati di gestio-ne e una concertazione a livello individuale con i singoli produttori. Nonostante il so-stanziale accordo tra produttori e organizzatori dei mercati non sempre si riescono ad evitare incongruenze e mancanza di chiarezza sul motivo di forti differenze tra i prezzi praticati. Inoltre, in molti casi si registra una forte mancanza di trasparenza sulle moda-lità di formazione del prezzo.

Le esperienze di mercati dei produttori messe in atto sinora sono riconducibili al quadro normativo previsto dall’art. 4 del decreto legislativo 228/2001 e soprattutto alla riforma dell’art. 2135 del Codice Civile che ha ridisegnato la figura dell’imprenditore agricolo. L’art. 4 della Legge di orientamento ha introdotto la possibilità per le aziende agricole di effettuare la vendita diretta dei prodotti realizzati in azienda e, in una certa quota (divenuta con l’ultima Legge Finanziaria ancora più consistente, come si è detto in precedenza) anche di prodotti agricoli e trasformati di terzi. In tale quadro, i mercati dei produttori si configurano come una gestione in forma collettiva e solidale del mo-mento individuale di vendita diretta, di per sé non assoggettato (comma 7 dell’art. 4 del D.lgs. 228/2001) alle disposizioni di cui al decreto legislativo 114/1998 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio).

Milk dispensers

Basta assaggiare un bicchiere di "Latte Crudo Nomeazienda" per apprezzar-ne la bontà, il gusto unico e naturale del latte appena munto. Il latte crudo viene munto tutti i giorni dalle mucche del nostro allevamento. Potete ac-quistarlo in qualsiasi momento presso il distributore automatico presente presso l'ingresso della nostra Fattoria. Il prezzo del latte crudo è di 1 €/litro, è necessario recarsi in Fattoria muni-ti di bottiglia o altro contenitore pulito; in alternativa potete acquistare sul posto bottiglie nuove in plastica alimentare a 20 centesimi. Subito dopo la mungitura il latte viene raffreddato e, senza subire alcun trattamento, viene posto nel distributore lasciandone intatti il sapore natu-rale ed i componenti nutrizionali.

Il "Latte Crudo NomeAzienda" può essere bevuto senza essere bollito e consumato entro 5 giorni dalla data di mungitura e confezionamento. Viene imbottigliato lasciandone intatti il sapore naturale ed i compo-nenti nutrizionali. Nell'Azienda Agricola Nomeazienda sono allevate mucche da latte ed i campi sono coltivati a prato, fru-mento, orzo e mais. La diversificazione e la rotazione colturale permettono di soddisfare i fabbisogni ali-mentari dell'allevamento e consentono un minor impatto ambientale dovuto all'utilizzo di pratiche agro-nomiche tradizionali.

Anche la conformità alle norme igienico-sanitarie relative ai processi di produ-

zione-trasformazione e alle fasi di trasporto e vendita dei prodotti rappresenta un mo-mento critico per l’organizzazione e la gestione dei mercati dei produttori, soprattutto considerando la complessità di alcune normative in materia e la marginalità di molte esperienze aziendali. Tale aspetto risulta ancora più critico se si considera che queste iniziative sono concepite per produttori di piccole e piccolissime dimensioni, importan-ti per il ruolo che rivestono nella conservazione e riproduzione dell’ambiente e della cultura rurale, ma altrettanto “fragili” sotto il profilo delle procedure e delle autorizza-zioni richieste dalle normative vigenti.

2.3. I Gruppi di Acquisto Solidali3

3 Il contenuto di questo paragrafo è basato su: Brunori, Cerreti, Guidi, e Rossi [2007].

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I Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) rappresentano le esperienze che in questi anni si stanno più rapidamente diffondendo. I GAS sono prevalentemente costituiti da famiglie (coppie con o senza figli) o singoli di un’età compresa tra i 30 e i 50 anni. Si tratta generalmente di persone con un livello di istruzione medio-alto, mentre non è possibile identificare né un profilo professionale né un livello di reddito prevalente.

Le motivazioni che spingono alla formazione di un GAS sono spesso legate all’esperienza pregressa dei fondatori, in quanto già afferenti a movimenti fortemente impegnati nel sociale. Le principali finalità che vengono perseguite dai partecipanti dei GAS comprendono:

- la messa in atto di pratiche di consumo critico e responsabile; - la pratica di un’economia etica, attenta alle questioni sociali e ambientali; - il sostegno ai piccoli/piccolissimi produttori e ad un’agricoltura che continui a

presidiare il territorio; - il consumo di prodotti biologici ed ecologici, quindi sani e, in alcuni casi, a

prezzo vantaggioso; - il consumo di prodotti realizzati rispettando le condizioni di lavoro; - l’incidenza sulle politiche locali. In merito alla consistenza del gruppo, se ne osserva un’elevata variabilità: si pas-

sa da gruppi composti da 5-6 famiglie fino gruppi molto più grandi; in media il nume-ro dei partecipanti si aggira intorno ai 20-25 nuclei (single/famiglie). E’ opportuno, inoltre, considerare che il numero può variare nel tempo, a seguito di cambiamenti che si susseguono prima del raggiungimento di un certo grado di stabilità organizzativa.

Anche i percorsi che portano alla nascita di un GAS sono estremamente diversifi-cati: si osserva che i primi gruppi si sono formati su iniziativa spontanea dei singoli promotori, generalmente consumatori ma anche piccoli produttori, mossi da forti mo-tivazioni ideologiche.

Nel corso degli ultimi anni, il crescente interesse mostrato dai consumatori nei confronti di tale iniziativa ha portato all’attenzione dei GAS il problema di come gesti-re la crescita, anche semplicemente dal punto di vista della logistica degli ordini e della distribuzione; alcuni gruppi sono andati incontro ad una naturale scissione in più gruppi; altri gruppi hanno scelto di non crescere, impegnandosi a sostenere la creazio-ne di nuovi GAS ed offrendo loro attività di tutoraggio nelle fasi iniziali. Si osserva, dunque, una certa preferenza nel mantenere un gruppo ristretto di consumatori, in quanto facilita il pieno coinvolgimento di ogni partecipante nei percorsi di formazione e nei processi decisionali.

I produttori agricoli vengono scelti dal gruppo secondo principi condivisi, tra cui:

- la dimensione aziendale: si tratta generalmente di piccoli o piccolissimi pro-duttori; nella maggior parte dei casi sono agricoltori professionali o coltivatori diretti, in altri sono favoriti gli hobbisti o gli agricoltori part-time;

- la distanza dell’azienda, che preferibilmente deve trovarsi nelle aree circo-stanti, nella provincia stessa o nelle province limitrofe, tranne per i prodotti che non possono essere reperiti in loco (per esempio le arance);

- la conoscenza diretta da parte di alcuni consumatori o di altri produttori, quindi la costituzione di un rapporto basato già in partenza sulla reputazione di cui il produttore gode e sulla fiducia ad esso accordata;

- la disponibilità del produttore a fornire informazioni e a trasferire conoscenza sui processi produttivi e quindi sulle caratteristiche dei prodotti (trasparenza, disponibilità/attitudine alla comunicazione).

- l’adesione a metodi di produzione a basso impatto ambientale, quindi agricol-tura biologica o biodinamica; in alcuni casi è richiesta la certificazione, ma nel-la maggior parte dei casi è sufficiente la fiducia riposta nel produttore. In al-cuni casi sono supportati anche agricoltori con produzione in conversione, co-sì da sostenerli e stimolarli nelle fasi più critiche;

- la sostenibilità dell’azienda anche da un punto di vista sociale: eticità nei rap-porti umani per evitare lo sfruttamento delle persone;

- la sostenibilità dell’azienda da un punto di vista energetico: attenzione al tipo di imballaggio, all’utilizzo di fonti rinnovabili per le attività interne

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all’azienda; - il prezzo dei prodotti, la convenienza nel rapporto qualità-prezzo, poiché la

scelta di far parte di un GAS non deve essere elitaria. Il numero dei produttori coinvolti nei singoli GAS è anch’esso variabile e ovvia-

mente dipende dalle dimensioni del GAS stesso: generalmente si tratta di un produtto-re per tipologia di prodotto, ma talvolta i GAS più grandi si riforniscono da più agri-coltori anche per lo stesso prodotto.

I prodotti acquistati dai gruppi sono prevalentemente alimentari: olio e vino, or-taggi e frutta, pane e altri prodotti da forno, pasta, riso, cereali, farine, formaggi, con-serve varie (marmellate, sughi, …), miele, carne. I vari prodotti sono disponibili duran-te l’arco dell’anno secondo la stagionalità.

Negli ultimi anni con la creazione di una rete GAS a carattere territoriale si sta diffondendo la forma degli acquisti collettivi, effettuati cioè da più gruppi per prodotti particolari, come le arance che vengono ordinate ad alcuni produttori siciliani. Il van-taggio risiede ovviamente in una minore incidenza dei costi oltre che in un minore im-patto ambientale dovuto alla riduzione del trasporto, aspetto quest’ultimo che rispec-chia perfettamente lo spirito ecologista che anima tutti i GAS.

Molti gruppi si stanno organizzando anche per l’acquisto di altri prodotti: infatti, anche se i generi alimentari continuano a rappresentare la fetta prevalente dei panieri, la maggior parte dei GAS ha inserito già da tempo tra i prodotti acquistati altri beni. Questo percorso ha richiesto un po’ di tempo in quasi tutte le realtà, in quanto si confi-gura come un’evoluzione nelle scelte dei consumatori, che perseguono pratiche di eco-nomia solidale a tutto tondo. Si assiste, quindi, all’acquisto di detersivi ecologici per la pulizia della casa o per l’igiene intima e a scelte coerenti anche nel campo dei servizi: l’utilizzo di operatori telefonici no-profit come Livecom, di provider come Lillinet e di software open source; Banca Etica come alternativa per i servizi bancari, MAG (Mutua per l’Autogestione) per i finanziamenti, CAES (Consorzio Assicurativo Etico Solidale) per le assicurazioni, ecc.

L’organizzazione dei GAS è connotata solitamente da una conduzione informale delle attività, completamente autonoma ed autogestita. Si registrano alcuni casi spora-dici in cui il GAS si orienta verso forme di costituzione formale con lo scopo di costitui-re un organo giuridicamente riconoscibile a livello istituzionale per lo svolgimento del-le proprie attività. In altri casi, i GAS si appoggiano a strutture preesistenti, come asso-ciazioni e cooperative che lavorano per lo più nell’ambito sociale o del commercio equo e solidale, inserendosi in un contesto in cui, anche se l’attività d’acquisto e consumo non risulta essere l’aspetto principale, essa rappresenta comunque parte integrante del-le funzioni della realtà in cui è inserita.

La quasi totalità dei GAS mostra al contrario la volontà di rimanere totalmente autonoma ed informale, non sentendo la necessità di dover individuare regole rigide per la propria ge-stione, ma, al con-trario, identificando nell’autogestione un punto di forza necessario per la divulgazione delle tematiche perseguite.

Relativamente alle modalità operative con cui viene gestito l’approvvigionamento, ogni gruppo ha un’organizzazione peculiare e rispondente alle esigenze delle persone che ne fanno parte. Si è detto che i GAS si configurano general-mente come organizzazioni prive di forma giuridica e quindi la vendita dei prodotti si configura come vendita diretta a soggetti privati.

Talvolta, i produttori vengono prefinanziati, cioè i prodotti vengono pagati con alcune settimane di anticipo (questo tipo di organizzazione permette al produttore di affrontare meglio lo sforzo finanziario per lo svolgimento dell’attività produttiva); nel-la maggior parte dei casi, tuttavia, il pagamento viene effettuato al momento della rac-colta dell’ordine, o al momento della distribuzione ed, in ogni caso, il referente si inca-rica di pagare il produttore con contanti o tramite bonifico bancario.

Le forme di distribuzione sono varie: generalmente ci sono uno o più punti di

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raccolta dove i produttori portano i propri prodotti e i consumatori si recano a ritirarli. La distribuzione è solitamente gestita dai consumatori stessi ed è colta come momento conviviale, di scambio e di discussione tra i partecipanti al GAS. In alcune casi, quando sul territorio è presente un mercato dei produttori a cui partecipano anche alcuni forni-tori dei GAS, l’appuntamento mensile del mercato diventa anche occasione per la con-segna dei prodotti.

Generalmente, il prezzo dei prodotti viene proposto dal produttore ed accettato dai consumatori. Ovviamente le problematiche legate alla definizione dei prezzo sono influenzate dal tipo di produzione aziendale. Facendo riferimento in particolar modo ai prodotti ortofrutticoli (che risultano essere i prodotti più diffusamente acquistati, e quindi più rappresentativi), i prezzi rilevati variano da 1,00-1,50€/kg a 2,00-2,50€/kg per prodotti distribuiti in buste o ceste di peso prestabilito, sia nel periodo estivo che in quello invernale. Il prezzo rimane cioè invariato rispetto al tipo di prodotto che il con-sumatore può trovare all’interno della busta o della cesta, poiché esso è solitamente calcolato come media tra i prezzi più alti delle verdure in estate e quelli più bassi delle verdure invernali. Alcuni prodotti tipo patate o fagiolini, avendo un prezzo rispetti-vamente molto basso e molto alto, vengono generalmente venduti su richiesta. I pro-duttori individuano il giusto prezzo di vendita facendo riferimento ai prezzi della mo-derna distribuzione e della vendita al dettaglio, tenendo conto dell’organizzazione aziendale e dei costi di produzione: la mancanza dell’intermediario porta alla fine a formulare un’offerta in grado di soddisfare sia la condizione del produttore che quella del consumatore. Mentre in alcuni gruppi l’acquisto collettivo porta ad un risparmio nella spesa dei beni alimentari, altri gruppi agiscono mossi dalla volontà di sostenere i piccoli produttori agricoli in-dipendentemente dal prezzo proposto.

Sono abbastanza frequenti, in quasi tutti i GAS censiti, momenti di conviviali-tà sia tra i soli consumatori che tra con-sumatori e produttori: sono generalmente occasioni durante le quali vengono svolte attività collettive che vanno da momenti culturali, al baratto, a momenti di co-produzione. In queste occasioni i consu-matori si incontrano per partecipare atti-vamente ad alcune delle attività del pro-duttore.

In alcuni casi sono stati realizzati con più o meno successo o sono in corso di realizzazione “orti sociali o di comu-nanza”, spazi cioè dove i consumatori producono da soli i prodotti agricoli. La volontà di organizzare un’esperienza del genere è nata soprattutto in alcune aree dove i consumatori dei GAS della zona hanno trovato molte difficoltà ad indivi-duare produttori locali che rispondessero ai criteri da loro condivisi.

Si nota anche la volontà della mag-gior parte dei GAS di creare una rete tra GAS a tutti i livelli: esiste già un sito internet che mette in comunicazione i GAS a livello nazionale e ci sono state varie riunioni di GAS a livello regionale e provinciale.

Per quanto riguarda i rapporti con le istituzioni locali, si nota una generale mancanza di interesse da parte degli aderenti ai gruppi a relazionarsi con le ammini-strazioni locali. Si tratta, infatti di movimenti che per alcuni anni sono rimasti sostan-zialmente “invisibili” alle istituzioni, manifestando una chiara volontà di autonomia e di autogestione e l’intenzione di conservare il carattere informale dei relazioni sia tra i

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partecipanti al gruppo che tra il GAS e i produttori.

2.4. Le strade del vino e dei sapori

Le strade del vino (e dei sapori) rappresentano un importante esempio di inizia-tiva di collegamento a rete che intende creare una sinergia e un coordinamento nelle attività di promozione e commercializzazione delle produzioni delle aziende vitivini-cole aderenti, e tra di esse e le altre imprese portatrici di un prodotto e servizio ad esse “coerenti” (altre aziende agricole non vitivinicole, aziende agricole agrituristiche, risto-ranti, esercizi commerciali specializzati nella vendita di prodotti locali e tipici, musei, parchi, etc.).

Allo stesso tempo, le strade offrono un esempio delle nuove tipologie di rapporti che si vengono ad instaurare tra il mondo della produzione e il mondo del consumo, permettendo l’allestimento di un’offerta collettiva di un paniere di prodotti e servizi che, facendo leva sulle caratteristiche e peculiarità del territorio, permette di catturare varie componenti e tipologie di domanda, più o meno specificamente interessata al prodotto e al suo contesto produttivo e culturale, ma che nel complesso si mostra in forte ascesa4.

L’attivazione di una strada del vino permette al visitatore di poter accedere alle aziende produttrici per mezzo di visite guidate ai vigneti e alle cantine, di degustare l’offerta dei vini locali, di acquistare vini e altri prodotti alimentari, di visitare strutture museali dedicate alla storia del vino e dell’agricoltura locale, di soggiornare presso aziende agrituristiche degustando le specialità gastronomiche dell’area, acquistando prodotti tipici locali e godendo del paesaggio e delle risorse artistiche e culturali del territorio. Sono spesso proprio le aziende agrituristiche quelle più attrezzate e abituate all’accoglienza a costituire la vera porta di accesso per il visitatore, assieme al centro di accoglienza o punto informativo di cui ogni Strada è dotata.

Tipologie di domanda in funzione della specificità dell’interesse del turista

4 Secondo un’indagine realizzata dall’Osservatorio Internazionale del Turismo Enogastronomico circa 5 milioni di “turisti del vino” ha visitato l’Italia nel 2005. La Toscana è la prima regione per quanto riguarda il turismo enogastronomico. Le richieste più frequenti dei turisti prevedono la visita ad aziende vitivinico-le (28%) e alle piccole imprese dove i prodotti locali sono realizzati (29%). Il 17% delle visite termina con un acquisto. La tipologia di turista enogastronomico prevalente viaggia in Primavera e in Autunno e ha un’età compresa tra i 26 e i 45 anni. Un’indagine del 2004 [Antonioli Corigliano, 2004] mostra come i turisti che sono stati motivati a viaggiare esclusivamente per motivi enogastronomici sono per il 22,5% austriaci, 27% svizzeri e 11,5% tedeschi.

Numero dituristi

TurismoGastronomico

Turismo rurale

Primario Secondario Altri interessi

Importanza dell’interesse nel vino/cibo e motivazione del viaggio

Elevano interesse – es. Viaggio con la principale motivazione di visitare un ristorante, cantina o

mercato particolare. Quasi tutte le attività programmate sono collegate al vino/cibo

Interesse moderato – la visita ad un mercato

locale, sagra, ristorante o cantina fa parte di un

insieme più diversificato di attività legate allo stile di

vita rurale

Basso interesse – la visita ad un

mercato, cantina, ristorante è spinta

dal desiderio di fare qualcosa di diverso

Altri turismi

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Condizione (necessaria ma non sufficiente) per il successo di una Strada del vino

è la presenza di un’immagine consolidata del vino del territorio e di aziende vitivinico-le organizzate e professionali, oltre ad un contesto agricolo, ambientale e artistico in grado di catturare l’immaginario del visitatore e dell’enoturista. I particolari caratteri della Toscana come area turistica, e in particolare l’elevata dotazione di capitale simbo-lico incorporato nei prodotti alimentari regionali, unitamente al favorevole contesto istituzionale, rendono la regione un territorio particolarmente favorevole per l’attivazione delle Strade del vino, anche se il fenomeno è qui abbastanza recente, an-che a causa dell’altrettanto recente riscoperta in Italia da parte di fasce sempre più grandi di consumatori della “cultura del vino”.

La Toscana è una delle regioni italiane dove il fenomeno si è maggiormente dif-fuso. In Toscana la normativa sulle strade del vino ha preceduto la normativa naziona-le con la legge regionale 69/96 “Disciplina delle strade del vino in Toscana”, che ha come obiettivo “Valorizzare e promuovere i territori ad alta vocazione vitivinicola, nonché le produzioni e le attività ivi esistenti attraverso la qualificazione e l’incremento dell’offerta turistica integrata”. Il regolamento di attuazione ha fissato i requisiti mini-mi di immagine, nonché gli standard di qualità delle principali tipologia di attori ade-renti all’iniziativa (aziende vitivinicole, aziende agrituristiche, enoteche, ristoranti, osterie, artigiani, istituzioni e associazioni, enti locali, Camere di Commercio, industria e artigianato, musei della vite e del vino). Secondo la LR 69/96 (art.1.2), "le Strade del vino" sono percorsi caratterizzati da attrattive naturalistiche, culturali e storiche, non-ché da vigneti e cantine di aziende agricole singole o associate aperte al pubblico.”5.

Nel 1999 le strade del vino vengono regolate anche a livello nazionale dalla Leg-ge 268/19996. Si tratta di una legge quadro, in quanto delega le Regioni a disciplinare la materia nel rispetto di alcuni principi generali in essa riportati

In Toscana la normativa sulle strade del vino è stata poi ulteriormente modificata dalla LR 5 agosto 2003, n. 45 “Disciplina delle strade del vino, dell’olio extravergine di oliva e dei prodotti agricoli e agroalimentari di qualità” (da qui in avanti semplicemen-te “Strade”), che detta norme sulle modalità di riconoscimento delle nuove strade, sulla composizione e funzionamento del Comitato di Gestione e sui contributi assegnabili a sostegno delle iniziative7. Con Decreto del Presidente della Giunta Regionale del 16 marzo 2004 n.16 è stato infine emanato il relativo regolamento di attuazione. Secondo la nuova legge regionale, le Strade sono “percorsi segnalati e pubblicizzati lungo i quali insistono vigneti, oliveti, altre coltivazioni, allevamenti, aziende agricole singole o as-sociate e strutture di trasformazione aperte al pubblico, nonché beni di interesse am-bientale e culturale”. La nuova legge regionale ha inteso quindi estendere la portata dell’iniziativa fino a comprendere anche tutte le altre produzioni agro-alimentari di qualità oltre ai vini, e in particolare le produzioni che hanno ottenuto una DOP o una IGP, i prodotti da agricoltura biologica e da agricoltura integrata (marchio Agriqualità), i prodotti tradizionali. Le nuove strade possono essere attivate soltanto nei territori do-ve non sono già state riconosciute Strade del vino ai sensi della precedente normativa regionale, mentre le strade esistenti possono essere integrate.

Sulla base della legge regionale e attraverso la stretta integrazione tra attori pub-blici e privati da essa promossa, sono state costituite nel complesso (al 2015) 22 strade del vino e dei sapori, che coinvolgono oltre 2.000 aziende. Queste Strade rappresentano

5 Secondo la definizione riportata nel sito internet dedicato dalla Regione Toscana, “le "Strade del Vino" so-no percorsi entro territori ad alta vocazione vitivinicola caratterizzati, oltreché da vigneti e cantine di aziende agrico-le, da attrattive naturalistiche, culturali e storiche particolarmente significative ai fini di un'offerta enoturistica inte-grata. Le "Strade del Vino" costituiscono uno strumento di promozione dello sviluppo rurale e del suo territorio e intendono favorire e promuovere l‘enoturismo, quale movimento inteso a valorizzare la produzione vitivinicola nell'ambito di un contesto culturale, ambientale, storico e sociale.”. 6 Il regolamento attuativo è contenuto nel Decreto del Ministro delle Politiche Agricole 8 settembre 1999 n.350. 7 Si tratta in particolare delle seguenti attività: realizzazione della segnaletica; allestimento o adeguamento del centro di informazione, del centro espositivo e di documentazione, adeguamento agli standards di qualità; realizzazione e adeguamento di percorsi e camminamenti sicuri all’interno degli stabilimenti di lavorazione e di trasformazione dei prodotti agricoli e alimentari, al fine di consentire le visite durante la lavorazione; realizzazione di attività di comunicazione e interventi di animazione.

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

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la quasi totalità dei vini a denominazioni di origine della Toscana. Si veda http://www.stradevinoditoscana.it/ per un elenco aggiornato delle Strade e una loro presentazione.

La creazione degli itinerari tematici ha offerto alle aziende la possibilità di poter diversificare l’attività di impresa, di accedere o potenziare le iniziative di vendita diret-ta e di trasformazione aziendale delle produzioni, raggiungendo così un contatto diret-to col consumatore finale che permette di migliorare le conoscenze e le competenze di mercato e di innalzare la cultura d’impresa e la consapevolezza dei valori del territorio, valorizzando le risorse umane aziendali. La realizzazione di sinergie tra le attività pro-duttive del territorio ha permesso inoltre di rendere più attrattiva l’offerta turistica lo-cale e di attivare e consolidare la rete di relazioni sul territorio. Non indifferente inoltre è la possibilità di dialogo istituzionale offerta dalla creazione delle Strade, che ha per-messo di avvicinare Istituzioni pubbliche non sempre abituate alla realizzazione di ini-ziative congiunte.

Relativamente alle aree di miglioramento, una prima area problema è relativa al-la stabilità e professionalità dell’attività delle Strade, ed è strettamente legata alla pos-sibilità di disporre di un flusso di risorse tale da permettere di dotarsi di una struttura stabile, soprattutto in termini di personale, destinata all’organizzazione dell’attività della Strada. Ad ostacolare il raggiungimento di questo obiettivo concorre anche la par-ticolare natura giuridica della Strada, che non permette di svolgere attività di impresa e quindi di autofinanziarsi (ad esempio tramite l’organizzazione e vendita di “pacchetti” turistici legati all’enogastronomia), anche se la nuova legge regionale ha recentemente esteso la gamma delle attività finanziabili anche alle attività promozionali e di comuni-cazione. La disponibilità di risorse finanziarie e (conseguentemente) umane stabili po-trebbe consentire di realizzare una migliore gestione delle attività ordinarie della Stra-da, tra cui, oltre alle attività informative e promozionali verso l’esterno, anche lo svol-gimento dei controlli della qualità dei servizi che ogni azienda associata deve assicura-re per poter appartenere alla Strada (quali il rispetto di orari minimi di apertura per i turisti, o l’allestimento della sala degustazione), nonché una migliore pianificazione delle attività e una maggiore autonomia nella scelta delle iniziative dalle disponibilità di risorse che volta in volta vengono a determinarsi da istituzioni esterne.

Una seconda area è relativa al grado di partecipazione e coinvolgimento degli as-sociati alle attività della Strada, dove si osservano categorie di soci a diversa “velocità”. E’ stata infatti evidenziata una certa difficoltà nel coinvolgere alcune aziende vitivini-cole, in particolare quelle che non poggiano sul mercato locale e/o turistico per la commercializzazione delle proprie produzioni, e che dunque non vedono nelle attività della Strada un sufficiente ritorno in termini di economicità e di immagine. D’altra par-te l’eterogeneità delle tipologie di impresa e dei canali commerciali praticati rende dif-ficile alla Strada presentarsi con un’immagine e una strategia di valorizzazione comu-ne. Anche all’interno della categoria delle Istituzioni pubbliche inoltre viene rilevata una diversa “motivazione” e partecipazione alle attività.

Al problema della partecipazione “interna” alla Strada può aggiungersi quello relativo alla collaborazione tra la Strada e le altre istituzioni del territorio, non sempre a livelli adeguati.

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

Giovanni Belletti, Andrea Marescotti 24

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6. Verso un nuovo modello di sviluppo

Giovanni Belletti, Andrea Marescotti 25

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO

CHE IMPRESA

L’IMPRESA!

L’INCUBATORE DI IMPRESEDELL’UNIVERSITA’

DEGLI STUDI DI TORINO

GUIDA ALLA REDAZIONEDI UN BUSINESS PLAN

A cura di Stefano Bresciani1

1 Stefano Bresciani è Dottorando in Economia Aziendale presso il Dipartimento di EconomiaAziendale - Sezione di Economia e Direzione delle Imprese della Facoltà di Economia dell’Universitàdi Torino

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2

PARTE I: ASPETTI GENERALI

DEFINIZIONE E NECESSITA’

Uno degli impegni più gravosi per un imprenditore è esprimere e formalizzare, in uno schema

organico, le idee innovative che possono essere sfruttate per creare il business. In pratica, il business

plan serve a colmare questa esigenza, diventando quindi il punto di partenza indispensabile per

qualsiasi impresa.

Il business plan ha quindi tre funzioni principali:

Serve per formalizzare le idee di gestione dell’impresa

Serve come strumento di verifica a consuntivo per valutare le performance dell’impresa in un

determinato arco temporale

Serve per la ricerca e l’ottenimento di finanziamenti

Il business plan, in sostanza, è un documento che serve a delineare il quadro di un’azienda nell’arco

di un determinato orizzonte temporale (si va da tre/quattro anni ad un anno) consentendo di fornire

una vera e propria “fotografia” della situazione dell’azienda nel suo complesso. Proprio per questo la

sua stesura deve essere particolarmente curata ed esaustiva, sia nel contenuto sia nella forma di

presentazione: le notizie e le idee in esso contenute devono essere precise e dettagliate, ma al tempo

stesso anche innovative ed accattivanti. Chi redige un business plan deve infatti tener presente che

l’interlocutore potrebbe leggerne decine ogni settimana, quindi un documento prolisso, lungo e

noioso potrebbe disinteressare completamente. Certamente da non sottovalutare è, poi, l’aspetto

formale: l’impostazione grafica, la cura del layout di pagina, la forma grammaticale e ortografica,

sono tutti aspetti che possono contribuire, anche in maniera determinante, a fornire un quadro

positivo o negativo della realtà aziendale.

Scendendo sempre più nell’ambito operativo, è possibile analizzare nello specifico le diverse funzioni

del business plan:

1) Il business plan come strumento di pianificazione e gestione di impresa

Uno degli aspetti più importanti da tenere in considerazione è che un business plan è un documento

che deve sempre essere aggiornato. Esso deve costantemente essere sottoposto a revisione perché lo

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3

scenario interno all’azienda, così come le condizioni esterne, possono mutare da un momento

all’altro.

Nella sua funzione di pianificazione e gestione di impresa il business plan serve soprattutto per

stabilire una linea di orientamento unitaria e coerente con tutti i livelli dell’impresa. Naturalmente,

nella stesura del business plan sono avvantaggiate le imprese già avviate, in quanto possono basare le

loro analisi su serie storiche ed esperienze ben consolidate; i dati utilizzati provengono da tutte le

aree funzionali dell’impresa, il che fa comprendere come esso sia un utilissimo strumento per far

emergere i problemi e le idee già in sede di pianificazione strategica.

2) Il business plan come strumento di verifica

La costante opera di verifica e aggiornamento del business plan è il presupposto indispensabile per la

verifica dello scostamento tra i risultati attesi e quelli effettivamente raggiunti dall’azienda. In questo

senso, sicuramente è fondamentale la sezione del business plan dedicata al piano finanziario:

analizzando e misurando gli scostamenti per ciascuna business unit, il management può trarre

fondamentali informazioni non solo sul semplice aggiornamento del business plan stesso, ma anche

sulle linee operative dell’impresa. Proprio per questi motivi risulta fondamentale fare delle proiezioni

il più possibile “realistiche”, in modo da non deludere le aspettative. I possibili finanziatori, infatti,

sono sicuramente più convincibili da risultati in linea con le previsioni o addirittura superiori alle

previsioni rispetto a risultati distanti dalle performance previste.

3) Il business plan come strumento finanziario

La necessità del reperimento delle risorse finanziarie è forse la necessità più importante che spinge le

imprese alla redazione di un business plan. Come già accennato, infatti, esso fornisce una fotografia

dell’impresa nel suo complesso sia dal punto di vista organizzativo e gestionale, sia dal punto di vista

strategico, consentendo ai potenziali finanziatori di avere un quadro esaustivo delle possibilità di

business.

Proprio per questo motivo spesso le aziende si rivolgono a professionisti esterni per la stesura del

business plan; infatti, può essere buona norma chiedere consiglio a persone esperte ma comunque in

grado di esprimere un giudizio oggettivo, al di fuori dagli interessi dell’azienda. Inoltre un

professionista può essere di aiuto per mettere in evidenza gli aspetti più particolari, i problemi che

magari all’imprenditore possono sembrare insignificanti, per ridimensionare affermazioni esagerate,

per mettere maggiormente in evidenza particolari aspetti a discapito di altri.

Page 37: Il business plan - Iannas

4

I DESTINATARI DEL BUSINESS PLAN

I principali destinatari di un business plan sono i potenziali finanziatori e investitori dell’azienda.

Come si è accennato in precedenza, infatti, uno dei principali obiettivi di un business plan è la

definizione di un quadro preciso e accurato dell’impresa in tutte le sue componenti e business, in

modo da reperire fonti di finanziamento.

Bisogna però tenere presente che la redazione di un ottimo business plan da sola non è sufficiente ad

ottenere delle risorse. Vi sono, infatti, altri elementi importantissimi, la cui non considerazione

porterebbe ad un sicuro insuccesso:

Immagine: si tratta di un fattore fondamentale. L’immagine che l’impresa si è costruita di se negli

anni in quanto ad affidabilità, a solvibilità, a correttezza, a capacità del management, sono tutti

elementi che i potenziali finanziatori/investitori tengono in grande considerazione.

Valutazione economica: è importante riuscire a dimostrare che i flussi di cassa generati in un

certo periodo di T anni coprano almeno l’esborso iniziale.

Garanzie: bisogna considerare il fatto che i finanziatori potenziali possano chiedere delle garanzie

che salvaguardino il capitale in caso di insuccesso. Si tratta di pegni, ipoteche, ma anche di

fideiussioni.

Impegno di capitale da parte dell’imprenditore: spesso i potenziali finanziatori verificano la parte

di capitale impegnata direttamente dall’imprenditore nel progetto. Essi sostengono infatti che un

apporto considerevole di capitale da parte dell’imprenditore stesso sia la migliore garanzia del suo

impegno e quindi del successo del business.

Page 38: Il business plan - Iannas

5

PARTE II: LA REDAZIONE DEL BUSINESS PLAN

Un business plan è formato da una serie di sezioni, ognuna delle quali è finalizzata all’analisi di un

aspetto diverso del business e della società.

Le sezioni sono:

1. L’indice

2. La sintesi preliminare

3. La descrizione generale dell’impresa

4. La descrizione dei prodotti e dei servizi

5. Il piano di marketing

6. Il piano operativo

7. Management e organizzazione

8. Traguardi principali

9. Struttura e capitalizzazione

10. Il piano finanziario

11. Appendici

Le diverse sezioni verranno di seguito esaminate nel dettaglio.

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6

1. INDICE

Ogni business plan deve avere un indice, che ha la funzione di richiamare le varie sezioni del

documento. In allegato al business plan devono poi essere inseriti tutti quei dati che possono servire

alla valutazione del progetto, come il curriculum vitae dei soci, i preventivi d’acquisto, le ricerche di

mercato, l’analisi dei profitti potenziali o dei flussi di cassa e così via.

2. SINTESI PRELIMINARE

La sintesi preliminare ha lo scopo di definire sinteticamente l’idea imprenditoriale che si intende

realizzare. Proprio per questo è buona norma preparare la sintesi preliminare solo dopo avere redatto

il business plan, perché solo dopo avere studiato e approfondito al meglio l’intera situazione è

possibile estrarre una sintesi. Bisogna inoltre tenere presente che la sintesi preliminare è il primo

documento letto dai potenziali finanziatori e deve quindi assolutamente attirarne l’attenzione. Deve

quindi suscitare interesse, essere scorrevole, interessante, trasmettere importanza, senza però cadere

nell‘errore di essere prolissi, stucchevoli o peggio ancora di fornire informazioni non vere e dati

gonfiati.

Molte volte può essere utile concludere la sintesi preliminare con una lettera di accompagnamento

dei titolari dell’impresa, allo scopo di fornire una valutazione personale dell’azienda, delle sue radici

e del suo futuro.

3. DESCRIZIONE GENERALE DELL‘IMPRESA

E’ la sezione con la quale si apre il business plan vero e proprio; essa ha lo scopo di illustrare la

natura dell’impresa e descriverne le sue caratteristiche fondamentali.

In pratica, in questa sezione deve emergere, ad esempio, se l’impresa è industriale, di

commercializzazione al dettaglio o di servizi, qual è il suo mercato, dove è collocata, cosa offre alla

clientela, se è locale o multinazionale, il livello di sviluppo raggiunto. E’ in questa parte del business

plan che si spiegano gli obbiettivi da raggiungere, che naturalmente devono essere realistici,

realizzabili e al tempo stesso in grado di attrarre l‘attenzione dei potenziali finanziatori.

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7

4. PRODOTTI E SERVIZI

La descrizione dei prodotti/servizi offerti dall’impresa è importantissima. Si parte dal presupposto,

infatti, che un impresa non possa avere successo senza una fama di prodotti/servizi all’altezza. La

descrizione deve senz’altro evidenziare:

Caratteristiche fisiche del prodotto, magari includendo opuscoli informativi, disegni e

fotografie

Finalità. L’obiettivo è quello di spiegare nel dettaglio le possibilità di impiego

Attrattive. Si cerca di descrivere ciò che distingue il prodotto dell’impresa da quello degli

altri.

Evoluzione. Può essere utile descrivere i passaggi evolutivi di sviluppo del prodotto e

soprattutto le possibili evoluzioni future.

5. PIANO DI MARKETING

Il piano di marketing ha lo scopo di illustrare le strategie dell’impresa e di mettere in relazione i suoi

prodotti/servizi con il mercato per individuare le varie opportunità.

Come per le altre sezioni del business plan, occorre stare attenti a fornire un documento appetibile e

attrattivo, in modo da “vendere” l’impresa come un’opportunità che porta vantaggi ai potenziali

finanziatori.

Un piano di marketing deve assolutamente contenere:

Definizione del mercato e opportunità di inserimento

Concorrenza e fattori endogeni

Strategie di marketing

Ricerca di mercato

Previsioni di vendita

Materiale di supporto

Vediamo nel dettaglio gli aspetti elencati.

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8

A) Definizione del mercato e opportunità di inserimento

E’ bene cominciare con l’analisi del settore nel quale si vuole investire individuando le eventuali

barriere all’entrata presenti, come: necessità di realizzare elevati volumi di produzione e vendita;

difficoltà di accesso ai canali distributivi; livello di sofisticazione del prodotto/servizio; bisogno di

finanziamenti elevati; possibili norme che regolano l’ingresso nel settore; concorrenti potenti.

L’analisi del settore permetterà di cogliere le caratteristiche e le tendenze della domanda e

dell’offerta di prodotti e servizi, ed ancora le minacce (dovute ai cambiamenti generabili all’interno

del mercato) e le opportunità (ad esempio leggi di finanziamento agevolato, normativa favorevole,

apertura di nuovi mercati, economie di scala, facile reperimento di materie prime…) presenti nel

settore. Lo scopo è dare al potenziale investitore un’idea della rete all’interno della quale opererà

l’impresa, la sua posizione sul mercato e altri dati analoghi.

I dati raccolti vanno ora posti in relazione al prodotto/servizio che vogliamo offrire evidenziando i

punti di forza (buona conoscenza del mercato, conoscenze tecniche del prodotto, flessibilità

produttiva, …) e di debolezza (problemi tra i soci, scarsa clientela, scarse informazioni sul cliente e

sul mercato) propri e dei concorrenti. Questo ci darà già una prima idea della bontà della nostra

attività ed, eventualmente, ci fornirà gli strumenti necessari per modificarla e migliorarla (come ad

esempio il cambiamento della strategia, l’assunzione di altro personale, il potenziamento della ricerca

e sviluppo,..).

E’ importante evitare l’errore diffuso di confrontare il prodotto che si spera di lanciare entro 18 mesi,

con quanto si trovava sul mercato qualche tempo fa o si trova attualmente, senza valutare la

concorrenza prevedibile nel prossimo futuro.

Questo significa analizzare il mercato specifico cui ci si vuole rivolgere (aspetti attuali e previsionali)

e definire il target di clienti che si vuole raggiungere (comportamenti di consumo, propensione di

spesa, influenze), in modo che il rapporto con il cliente sia vincente. Perché questo accada bisogna

pensare ad esempio a come trasmettergli l’immagine aziendale, non solo attraverso le prestazioni

tecniche del prodotto ma anche attraverso il livello dei servizi e tutte quelle occasioni in cui egli può

essere influenzato (la cordialità del personale nei contatti esterni, ad esempio). Quindi occorre

rivolgersi a lui con un ampio raggio di azione, considerando prima di tutto che ciò che si offre al

cliente è il soddisfacimento dei suoi bisogni. Il vantaggio competitivo dell’azienda sarà rappresentato

dalla capacità di diagnosi dei bisogni del cliente in modo da creare un prodotto/servizio su misura e

quindi mirato.

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9

Per realizzare tutto questo, il lavoro da svolgere è ingente, e passa attraverso due tipi di analisi della

domanda:

1) Una ricerca quantitativa, che permetterà di sapere del cliente:

Quanto acquista, per identificare i volumi di vendita

Dove acquista, per scegliere un buon sistema distributivo

Quando acquista, per un eventuale stagionalità nell’acquisto

Chi e come effettua l’acquisto

Chi interviene nell’acquisto

2) Una ricerca qualitativa, attraverso la quale verranno esaminate le varie fasi che attraversa il

consumatore prima di acquistare, individuandone motivazioni e bisogni:

Insorgere del bisogno

Raccolta delle informazioni, individuando le varie alternative di acquisto

Valutazione delle alternative, sulla base di giudizi soggettivi/oggettivi

Scelta tra le alternative, sulla base di gusti, esigenze, convenienze, ecc.

Valutazione post-acquisto, momento in cui il consumatore esprime giudizi di gradimento o

meno

Al termine dell’analisi, i dati raccolti devono essere inseriti in uno schema logico di riferimento, in

modo da ottenere una divisione in segmenti o clusters della potenziale clientela. Possono quindi

essere prese in considerazione, a questo fine, alcune variabili di segmentazione, come:

Criteri demografici e geografici

Criteri socio-economici

Stili di vita e preferenze

Comportamenti d’acquisto e di consumo

sempre però tenendo nella dovuta considerazione alcune difficoltà nella sua realizzazione, quali:

Possibilità di misurare il numero di potenziali clienti e il loro acquisto medio.

La domanda deve poter portare ad un fatturato tale da coprire almeno l’investimento iniziale.

Le risorse di cui disponiamo devono essere adeguate al segmento.

Bisogna avere le competenze necessarie per entrare nel segmento.

La concorrenza rappresenta un altro importantissimo elemento di scelta.

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10

B) Concorrenza e fattori esogeni

L’analisi della concorrenza è utile per diversi motivi:

per avere informazioni sui prodotti offerti, simili o uguali ai nostri (qualità, prezzo, servizi

connessi);

per scoprirne i punti di forza e di debolezza;

per scoprire le soluzioni che hanno dato gli altri a problemi simili ai nostri;

per esaltare i nostri punti di forza o lavorare su eventuali punti di debolezza.

Nell’analisi della concorrenza vengono prese in considerazione le imprese che offrono prodotti uguali

o sostituibili, in termini di: numero, dimensioni, caratteristiche, quote di mercato, punti di forza e

debolezza, prezzi, così da essere capaci e pronti a rispondere alle loro contromosse. Nello specifico,

ci confronteremo con almeno due o tre concorrenti, studiandone alcuni elementi:

• dimensioni in termini di

fatturato

• numero di dipendenti

• tipo di clientela

• prezzi e qualità del

prodotto/ servizio

• localizzazione

• promozione

Concorrente 1

-----------------

-----------------

-----------------

-----------------

-----------------

-----------------

Concorrente 2

------------------

------------------

------------------

------------------

------------------

--------------------

Concorrente 3

------------------

------------------

------------------

------------------

------------------

-------------------

-

La natura, la forza, l’abilità della concorrenza sono fattori critici per le prospettive di qualsiasi

impresa. Ciò è particolarmente importante nel caso delle piccole imprese neonate, che entrano in

mercati dominati da organizzazioni già affermate e che hanno a disposizione risorse superiori.

Page 44: Il business plan - Iannas

11

Tra gli errori più comuni vi sono: la mancata considerazione della reazione al proprio progetto da

parte di concorrenti esistenti e potenziali; la sopravvalutazione della propria forza di competizione e

la sottovalutazione dei propri punti deboli.

A questo punto è possibile definire il posizionamento di qualità/prezzo rispetto, ad esempio, ai

concorrenti 1, 2, 3 della tabella soprastante.

Prezzo Alto

? ?

1

2

Qualità Bassa Qualità Alta

3

? ?

Prezzo Basso

Domanda: “dove conviene posizionarci ?”

Sicuramente là dove la concorrenza è carente o poco competitiva, cioè non in grado di soddisfare i

bisogni dei consumatori. Prima cosa sarà quindi capire se è conveniente entrare o meno nel mercato.

Solo successivamente, in caso affermativo, decidere in che modo, vale a dire con quale strategia di

prezzo/qualità. E’ consigliabile partire in prossimità del centro, dove cioè il rapporto qualità/prezzo è

medio. Solo dopo la definizione di una strategia, e con il tempo, ci si potrà muovere verso

posizionamenti mirati e più vantaggiosi.

C) Strategia di marketing

Page 45: Il business plan - Iannas

12

Dopo aver definito l’obiettivo e analizzato gli aspetti del mercato, si potranno individuare le strategie

ottimali per l’acquisizione della quota di mercato desiderata e per un buon posizionamento rispetto

alla concorrenza. Questo vuol dire scoprire quali sono i fattori sui quali puntare, in base al tipo di

prodotto/servizio che si vuole offrire. Una strategia innovativa che consenta di offrire un

prodotto/servizio migliore o che sappia individuare segmenti di mercato i cui bisogni non sono

ancora stati soddisfatti, costituisce sicuramente un ottimo punto di partenza. Si punta quindi su

elementi distintivi per essere il meno generici possibili e per differenziarsi dalla concorrenza.

Bisogna inoltre tenere presente che, nel definire le strategie, lo scopo non è solo quello di nascere,

ma anche quello di sopravvivere ed avere delle prospettive di crescita (in relazione ovviamente alle

prospettive di crescita del mercato). Risulta pertanto molto utile un’analisi di tutte le variabili del

marketing mix:

Mercato:

Quando si decide di entrare in un mercato, le possibilità risultano da combinazioni differenti:

Mercati attuali con prodotti attuali, cioè già esistenti, quindi è una soluzione consigliabile

solo se vi sono ancora ampi spazi di crescita.

Mercati nuovi con prodotti attuali, trovando cioè delle novità di presentazione dei prodotti

attuali.

Mercati attuali con prodotti nuovi, che permetterà di ottenere, almeno inizialmente, delle

posizioni di monopolio.

Mercati nuovi con prodotti nuovi, caratterizzato da un alto rischio, ma anche da grandi

potenzialità.

Prodotto:

Nel definire il modo attraverso il quale rispondere ai bisogni del mercato, non ci si deve limitare al

prodotto/servizio in senso stretto che si vuole offrire. E’ importante mettere a punto un prodotto

composto da molteplici elementi:

Caratteristiche (qualità, affidabilità prestigio, eleganza, sicurezza, livello tecnologico)

Modalità di applicazione del prezzo

Servizi collaterali (tempi di consegna, assistenza, altri servizi)

Condizioni di trasporto

Garanzie e assicurazioni

Page 46: Il business plan - Iannas

13

Inoltre, nella definizione di una buona strategia, è importante considerare che ogni prodotto ha un

suo ciclo di vita che verrà influenzato dalle condizioni di mercato. Il prodotto affronta quattro fasi

temporali:

dove:

• introduzione: prodotto nuovo, crescita lenta;

• crescita: prodotto affermato, crescita forte;

• maturità: prodotto stabile, crescita stabile;

• declino: riduzione dei profitti, crescita lenta.

Prezzo:

Il prezzo è un importante elemento di differenziazione. Al contrario di come si possa pensare, la

politica del prezzo più basso, non sempre è buona. A volte, infatti, il consumatore associa al prezzo

basso anche scarse qualità e competenze. Per questo, c’è chi non vuole agire sul prezzo ma

preferisce puntare su altri elementi, quali la qualità o servizi aggiuntivi di carattere innovativo. In

questi casi il livello del prezzo può essere anche più elevato. Ad ogni modo la determinazione del

prezzo deve tenere conto di: costi di produzione e di commercializzazione del prodotto, tipologia di

clienti, obiettivi di profitto, ciclo di vita del prodotto, strategie concorrenti, fenomeni di stagionalità

Le principali modalità di determinazione del prezzo possono quindi essere:

Prezzo orientato al mercato (in funzione del valore che i consumatori attribuiscono al

prodotto)

Prezzo orientato ai costi (applicando al prezzo un ricarico - mark up - sufficiente per coprire

tutti i costi generali e garantire un profitto sufficiente)

Prezzo orientato alla concorrenza (in genere utilizzato per i prodotti simili)

Ricavi

TempoIntroduzione crescita maturità declino

Page 47: Il business plan - Iannas

14

Distribuzione:

I canali di distribuzione sono diversi e con caratteristiche proprie (ingrosso, grande distribuzione,

dettaglio e vendita diretta). La scelta deve essere adatta al tipo di prodotto offerto e al tipo di

clientela da raggiungere. Ovviamente ci sono anche considerazioni pratiche, come ad esempio i costi

di distribuzione e la distanza massima che il potenziale cliente è disposto a raggiungere per l’acquisto

del prodotto/servizio.

Promozione:

La pubblicità, è uno strumento da utilizzare soprattutto nella fase di lancio di un’impresa. In questa

importante e delicata fase è consigliabile non risparmiare, ma piuttosto investire al meglio,

ricordando che con questo strumento comunicheremo all’esterno la nostra identità ed evidenzieremo

i nostri punti di forza rispetto alla concorrenza.

La pubblicità può essere di due tipi:

• Istituzionale: ha per oggetto l’immagine dell’azienda, l’organizzazione ed il marchio;

• di prodotto: ha per oggetto il prodotto stesso

D) Ricerca di mercato

Inserire nel business plan i dati di una ricerca di mercato, oltre a dare maggiore credibilità al piano,

permette di aumentare la conoscenza del mercato da parte dell’imprenditore e dei potenziali

finanziatori.

Non va sottovalutata, inoltre, la possibilità di sfruttare la ricerca di mercato per iniziare a far

conoscere l’impresa e il prodotto ai potenziali clienti intervistati.

Va sottolineato che la ricerca di mercato da inserire in un business plan non deve essere sofisticata e

particolarmente elaborata. Essa, infatti, viene effettuata con lo scopo di rendere completo e più

accattivante il progetto, non comportando quindi la necessità di ottenere dei dati campione

statisticamente validi con tecniche di ricerca sofisticate.

Page 48: Il business plan - Iannas

15

E) Previsioni di vendita

In questa sezione può essere utile inserire un’analisi previsionale di flussi di vendita. Tale analisi può

essere redatta in diversi modi:

Vendite per periodo, in modo da evidenziare le variazioni stagionali per comprendere meglio

i flussi di cassa e il conseguente fabbisogno di capitale

Vendite per segmento di mercato: separando le vendite per ogni segmento il dettaglio è

maggiore

Quote di mercato: per quota di mercato si intende la percentuale del mercato globale che la

futura impresa prevede di conquistare.

Bisogna naturalmente tenere presente che parlare di quota di mercato è inutile quando le

dimensioni del mercato rendono irrilevante il peso delle singole imprese.

F) Materiale di supporto

Anche se bisogna stare attenti a non inserire nel piano di marketing troppe informazioni, questa

sezione è particolarmente adatta per inserire la documentazione giustificativa o di supporto, come

lettere di intenti, articoli di riviste di settore con commenti favorevoli, relazioni e brochure.

Page 49: Il business plan - Iannas

16

6. PIANO OPERATIVO

Il piano operativo riguarda le modalità con cui l’impresa intende realizzare i propri prodotti e fornire

i propri servizi. Dovranno pertanto essere approfonditi e dipanati i problemi relativi

all’organizzazione del lavoro e del capitale, all’approvvigionamento delle materie prime, alle tecniche

di produzione, alle politiche da adottare con fornitori e venditori.

Anche in questa sezione bisogna cercare di essere chiari, logici e accurati nella descrizione, senza

però usare termini troppo tecnici e incomprensibili.

Alla luce di quanto esposto, quindi, un piano operativo deve indicare:

Come si intende sviluppare il prodotto

Come avviene la produzione

Come sarà offerta l’assistenza tecnica

Quali sono i fattori di influenza

Vediamo nel dettaglio i punti citati.

A) Sviluppo del prodotto

Con la descrizione dello sviluppo del prodotto si cerca di far capire le politiche adottate dall’impresa

finalizzate al miglioramento dei propri prodotti.

Questo aspetto, naturalmente, varia da impresa a impresa: più l’industria è ad alto contenuto

tecnologico, infatti, e più diventa rilevante spiegare gli aspetti di ricerca e sviluppo.

Nel prendere in esame lo sviluppo del prodotto, occorre considerare diversi aspetti pratici:

Il grado di fattibilità dell’idea. Occorre sempre verificare il possibile divario tra

l’idea/progetto e il prodotto finale

Spesso si corre il rischio di scrivere con un linguaggio molto tecnico e di conseguenza poco

comprensibile per chi non è esperto della materia

Spesso può essere più vantaggiosa una descrizione minuziosa dei curricula dei ricercatori che

non della ricerca stessa, in quanto per i potenziali finanziatori “vedere” un team di qualità può

essere sintomo di efficienza e capacità

Page 50: Il business plan - Iannas

17

B) Produzione

In questa fase può essere utile una descrizione delle risorse e dei processi che portano al risultato

finale. I problemi pratici più comuni riguardano i seguenti aspetti:

La previsione precisa dei flussi di cassa per verificare la possibilità o meno nei diversi mesi

dell’anno di pagare le risorse

Previsioni circa la possibilità di ampliamento degli spazi, di incremento degli impianti e delle

attrezzature e quindi un possibile aumento della necessità di risorse finanziarie.

C) Assistenza post-vendita

La crescita della concorrenza ha spostato la competizione dalla variabile marketing mix prezzo al

servizio offerto al cliente. Ecco quindi che dedicare una parte del business plan all’assistenza post-

vendita può essere indispensabile.

Occorre pertanto tenere presente una serie di aspetti di primaria importanza:

Spesso nel caso di una nuova impresa è preferibile dare in appalto a terzi il servizio di

assistenza, in modo da ridurre i costi e la complessità delle operazioni. Inoltre la collaborazione

con una società di assistenza rinomata e apprezzata può servire ad accrescere la credibilità della

nuova impresa sul mercato.

Seguire bene il cliente nella fase immediatamente successiva all’acquisto aumenta il grado di

fidelizzazione della clientela.

D) Fattori di influenza esterni

In questa sezione spetta all’imprenditore scegliere quali sono le influenze esterne così rilevanti da

essere citate.

I principali fattori di influenza esterna riguardano in genere le risorse produttive (costi materie prime

e manodopera), le innovazioni tecnologiche (che effetti possono avere e le conseguenti

contromosse), i clienti (il mutamento delle loro esigenze), la normativa.

E’ comunque importante che per ogni fattore di influenza esterna l’imprenditore indichi anche gli

effetti, i rischi e le opportunità conseguenti e il modo in cui reagire a tali fattori.

Page 51: Il business plan - Iannas

18

7. MANAGEMENT E ORGANIZZAZIONE

Spesso i potenziali finanziatori valutano le proposte che ricevono non sull’idea o sul prodotto, ma

sulle qualità e capacità del team che deve svilupparle.

L’organizzazione può essere definita come l’insieme delle risorse di persone e di mezzi, uniti da

rapporti e da interrelazioni. I requisiti che deve possedere l’organizzazione affinché la serie di

interrelazioni che la contraddistinguono siano efficienti sono:

avere uno scopo comune e rivolgersi in armonia verso l’obiettivo prefissato;

il numero, il tipo e le caratteristiche di uomini e di mezzi, devono essere stabiliti in funzione

dell’obiettivo, in termini di adeguatezza;

è necessario sviluppare una chiara definizione dei compiti e delle competenze, secondo una

gerarchia e un insieme di norme per il mantenimento dell’insieme dei rapporti costituiti.

Definire l’organizzazione significa individuare le funzioni svolte dai vari collaboratori con le

rispettive responsabilità, individuando la persona giusta per ciascun ruolo. Nel business plan

andranno descritte competenze e compiti dei vari collaboratori (di cui si allegheranno i curricula), e

l’insieme di regole e procedure dell’impresa. Se necessario, si farà menzione in questa sezione anche

delle eventuali assunzioni future, con indicazione dei criteri di selezione, addestramento e

retribuzione.

Nella definizione dell’organizzazione la prima fase del lavoro consiste nell’identificazione delle

funzioni aziendali in base all’attività che vogliamo svolgere; ecco quali possono essere:

Funzione personale: selezionare e assumere le risorse umane, con criteri di coerenza, non

dimenticando mai che il personale va incentivato e motivato, per far sì che sia più produttivo.

Funzione produzione: individuare la tecnologia più idonea a produrre, controllare le

macchine e la struttura necessaria per garantire un buon processo di lavorazione.

Funzione approvvigionamenti: assicurare gli acquisti delle materie prime e di tutto ciò che è

necessario alla produzione, definire le scorte e i tempi di acquisto ottimali.

Funzione marketing: (già descritta ampiamente in precedenza).

Funzione vendite: intesa non solo come distribuzione del prodotto ma anche come assistenza

al cliente nella fase post-vendita.

Funzione ricerca e sviluppo: assicurare un vantaggio competitivo continuo, individuando

periodicamente nuovi processi e nuovi prodotti.

Funzione qualità: in quanto la qualità totale garantisce un maggior vantaggio competitivo.

Page 52: Il business plan - Iannas

19

In secondo luogo, dopo aver individuato le varie funzioni, per ciascuna di esse occorre individuare le

caratteristiche e le competenze che dovrebbero possedere le persone preposte, spiegandone il

perché, facendone quindi dei criteri di selezione. Specificare eventualmente, un probabile

ampliamento dell’organico nel futuro, chiarendone le motivazioni.

Si riportano qui di seguito tre esempi di strutture organizzative (organigrammi):

a) struttura semplice

Direzione

Contabilità Segreteria Magazzino Venditori

Le funzioni specifiche sono gestite dai singoli operatori, non ci sono organi direttivi, ad eccezione

della direzione (titolare). Struttura semplice e snella, con una buona comunicazione interna, ideale

per le imprese neonate, di piccole dimensioni, ma meno adatta alle situazioni complesse.

Page 53: Il business plan - Iannas

20

DirezioneGenerale

b) struttura funzionale

Direzione

Generale

Rispetto alla struttura semplice ha una più chiara identificazione delle responsabilità e delle

specializzazioni. Oltre alla direzione presenta anche organi direttivi di primo livello specializzati nelle

varie funzioni (marketing, produzione, vendite, ecc).

C) Struttura divisionale

Amministrazione Produzione Personale Marketing Finanza

Contabilità Previsioni Vendita Ricerche

Reparto BReparto A

ProduzionePersonale Marketing Finanza

DivisioneProdotto A

DivisioneProdotto B

DivisioneProdotto C

DivisioneProdotto D

Page 54: Il business plan - Iannas

21

Rispetto alla struttura funzionale rimangono pressoché inalterati gli staff centrali (Direzione

Generale, Personale, Produzione, Marketing e Finanza), mentre vengono inserite le divisioni

prodotto, con singole competenze sui prodotti.

8. TRAGUARDI PRINCIPALI

La sezione dedicata ai traguardi principali serve a definire ed individuare le tappe principali dello

sviluppo dell’impresa e i relativi tempi previsti.

Naturalmente, anche in questo caso, la sintesi, unita alla chiarezza e alla precisione, sono requisiti

indispensabili alla buona riuscita del documento.

Non vanno, comunque, mai tralasciati i seguenti steps:

gli accordi di finanziamento

lo sviluppo del prodotto

l’avvio dei test di mercato e della produzione

l’avvio della vendita del prodotto

il raggiungimento della copertura dell’esborso iniziale

l’ampliamento dell’attività

9. STRUTTURA E CAPITALIZZAZIONE

La sezione struttura e capitalizzazione ha lo scopo di descrivere di cosa ha bisogno l’impresa per

avviare il progetto o l’attività, oltre che indicare la forma giuridica prescelta e le modalità di

capitalizzazione.

Questa sezione del piano può essere strutturata nel modo seguente:

Forma giuridica e modalità di finanziamento

Fabbisogno di capitale. L’imprenditore deve indicare se prevale, per i finanziatori, una

partecipazione diretta al capitale d’impresa, magari attraverso azioni, obbligazioni, od

obbligazioni convertibili.

Prestiti a termine

Tipologie di azioni

Page 55: Il business plan - Iannas

22

10) PIANO FINANZIARIO

La sezione finanziaria del business plan mira a fornire una serie di proiezioni realistiche ed organiche

che confermino i risultati finanziari previsti per l’impresa. Infatti, se tali proiezioni vengono effettuate

con precisione e accuratezza e sono sostenute da dati convincenti, costituiscono uno dei fattori critici

per la valutazione dell’impresa da parte dei potenziali finanziatori. Talvolta può essere utile, vista

l’incertezza dell’analisi dei dati finanziari, ipotizzare diverse situazioni finanziarie, basate su ipotesi

“prudenti “ o che rispecchino il pieno potenziale dell’impresa. E’ inoltre molto importante sottoporre

tali previsioni a delle rivisitazioni periodiche e dove necessario modificarle.

Non bisogna poi dimenticare che la sezione finanziaria del business plan deve essere coerente con le

altre. Gli esborsi previsti per le campagne pubblicitarie o per il personale, oltre che nel piano di

marketing e in quello operativo devono essere spiegati ed evidenziati anche nel piano finanziario.

Le informazioni che non devono mai mancare in un piano finanziario sono:

La spiegazione delle proiezioni effettuate

Conto Economico preventivo di almeno tre anni ( dati trimestrali per i primi due anni, annuali

dal terzo in poi)

Prospetti del flusso di cassa dettagliati

Stato Patrimoniale preventivo per almeno tre esercizi

In particolare, il documento più importante da inserire nel piano finanziario è il bilancio

revisionale. Si tratta di uno strumento di controllo e di comunicazione aziendale, di valutazione

della realizzabilità e profittabilità del progetto.

Tutti i parametri necessari alla definizione di un piano economico-finanziario derivano dalla

contabilità aziendale che permetterà di redigere:

Conto economico

Stato patrimoniale

In particolare si fa riferimento a valori riclassificati, cioè riorganizzati ai fini di un’analisi economico-

finanziaria della gestione dell’impresa.

Page 56: Il business plan - Iannas

23

Conto Economico

Il conto economico definisce i ricavi conseguiti e i costi sostenuti dall’impresa in un certo periodo di

tempo, indicando come il patrimonio si è accresciuto o si è ridotto per effetto della gestione

d’impresa mettendo così in evidenza il risultato economico dell’esercizio, cioè l’utile conseguito o la

perdita sofferta.

I costi si dividono in:

Costi variabili: sono quelli che variano al variare della produzione come ad esempio materie

prime, manodopera, utenze, provvigioni di vendita, trasporti.

Costi fissi: sono quelli che l’impresa deve sostenere per costituire e far funzionare l’impresa.

Non variano al variare della produzione, ad esempio affitti, ammortamenti, personale fisso,

assicurazioni. Questo discorso vale ovviamente fin quando l’aumento della produzione non è così

marcato da richiedere dei nuovi investimenti.

Costi totali: somma tra costi fissi e variabili.

Costi Costi Costi

CF CV

cf

Volumi di vendita Volumi di vendita Volumi di vendita

CT

Page 57: Il business plan - Iannas

24

Conto Economico riclassificato:

Ricavi di vendita o complementari

(-) Costi variabili:

Materie prime e materialiRimanenze (iniziali - finali)

Manodopera direttaLavorazioni esterne

Provvigioni di venditaTrasporti

Forza motriceAltri costi variabili

= MARGINE DI CONTRIBUZIONE

(-) Costi fissi:

Manutenzioni, pulizie, vigilanzaPersonale amministrativo

AmmortamentiPubblicità e promozioneSpese postali, cancelleria

Affitti e leasingUtenze

AssicurazioniSpese generaliAltri costi fissi

= RISULTATO OPERATIVO(Risultato della gestione caratteristica)

(+/-) Proventi e oneri finanziari (interessi passivi e spese)(area finanziaria)

(+/-) Componenti straordinari, cioè a carattere episodico (furti, incendi) (area straordinaria)

= RISULTATO AL LORDO DELLE IMPOSTE (-)Imposte

= UTILE (O PERDITA) D’ESERCIZIO(Risultato netto d’esercizio)

Page 58: Il business plan - Iannas

25

Dove:

I ricavi misurano la qualità del prodotto e l’efficacia delle azioni di marketing sul mercato

I costi registrati nel conto economico vengono sostenuti a fronte di beni che saranno utilizzati

e consumati nel singolo esercizio, la cui utilità si esaurisce quindi nell'anno.

Il margine di contribuzione misura la qualità e l’efficienza del processo di produzione e di

vendita.

Il risultato operativo permette di valutare la bontà della gestione caratteristica, cioè

dell’operato dell’imprenditore.

L’area caratteristica fa riferimento a costi e ricavi relativi alla realizzazione e

commercializzazione della produzione. Un suo risultato positivo indica la produzione di

redditività, che però da sola non basta ad indicare una buona salute dell’impresa, infatti può

accadere che ad un’alta redditività si accompagni una perdita d’esercizio.

L’area finanziaria fa riferimento a costi e ricavi relativi al finanziamento dell’impresa.

Bisogna sempre tenere sotto controllo il finanziamento esterno dell’impresa, che se troppo alto

va diminuito.

L’area straordinaria fa riferimento ad eventi una tantum.

Il margine di contribuzione:

Indica il contributo che la vendita di ogni singola unità di prodotto apporta alla copertura dei costi.

E’ uno strumento che ci permette di identificare quali sono i prodotti più redditizi, ed è uguale alla

differenza tra prezzo unitario del prodotto e il costo variabile unitario necessario per la produzione e

la vendita del bene:

MdC = Pu – Cvu

• MdC = 0

Il prezzo unitario è esattamente uguale al costo variabile, cioè il ricavo di vendita unitario del

bene è in grado di coprire solo i costi variabili ma non i costi fissi.

Page 59: Il business plan - Iannas

26

• MdC < 0

Il prezzo unitario è più basso del costo variabile, cioè il ricavo di vendita unitario del bene non è

in grado di coprire tutti i costi variabili e i costi fissi.

• MdC > 0

Il prezzo unitario è più alto del costo variabile, cioè il ricavo di vendita unitario del bene è in

grado di coprire tutti i costi variabili e anche parte dei costi fissi.

Sulla base di queste premesse, per ciascun prodotto bisogna valutare il contributo alla copertura dei

costi fissi e variabili. I prodotti più profittevoli sono quelli con il margine di contribuzione più

elevato. Si cercherà comunque di scegliere il mix di prodotti più profittevoli.

Stato Patrimoniale

Indica la situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa, in particolare la provenienza dei capitali

(fonti) e la loro destinazione (impieghi). Attraverso la lettura dello stato patrimoniale, è possibile

valutare se a fronte degli investimenti necessari per dar vita alla società, sono sufficienti i capitali di

cui la stessa può disporre al momento dell’avvio.

I capitali necessari a dare avvio all’attività provengono da diverse fonti di finanziamento:

capitale proprio, cioè dell’imprenditore

capitale di terzi, cioè di altri soggetti (banche, fornitori, …).

L’imprenditore deve far sì che ci sia un giusto rapporto tra capitale proprio e di terzi, sia nel periodo

dell’avvio sia durante la futura gestione della società.

Con i mezzi raccolti l’imprenditore effettua degli investimenti e quindi degli impieghi di capitali,

facendo fronte al fabbisogno finanziario dell’impresa, che può essere di due tipi:

- fisso (coperto con finanziamenti a medio-lungo termine: capitale proprio, mutui bancari,

finanziamenti agevolati,…): rappresentato dagli investimenti che servono per costituire

l’impresa e che saranno utilizzati nel lungo periodo.

- circolante (coperto con finanziamenti a breve termine: crediti commerciali e bancari):

rappresentato dal fabbisogno che l’impresa avrà quando inizierà a svolgere l’attività, ad

esempio spese per il personale o acquisti di materie. Stiamo parlando di investimenti

destinati a tradursi in denaro liquido a breve termine. In questa fase può capitare che

l’imprenditore debba sostenere delle spese prima di percepire degli utili, prima cioè che i

Page 60: Il business plan - Iannas

27

clienti paghino. In questa circostanza è possibile che l’impresa si trovi ad avere scarso

capitale circolante.

Anche per lo stato patrimoniale si procede all’aggiustamento dei valori, riclassificando il passivo in

base al tempo di presumibile estinzione e l’attivo in base al tempo di presumibile realizzo, cioè il

momento in cui l’attivo si trasforma in liquidità.

Stato Patrimoniale riclassificato

Impieghi di capitale Fonti di finanziamento (attività) (passività)

ATTIVO CIRCOLANTE

ü Liquidità immediateCassaBanca c/c

ü Liquidità differiteCrediti vs/clientiAltri crediti a breve

ü Rimanenze (finali) di magazzinoMaterie prime, sussidiarie e di consumoProdotti in corso di lavorazioneProdotti finiti

ATTIVO FISSO

ü Immobilizzazioni materiali Terreni e fabbricati Impianti e macchinari Attrezzature Altre

ü Immobilizzazioni immateriali Costi di impianto e ampliamento Costi di ricerca, sviluppo e pubblicità Diritti di brevetto e opere dell’ingegno Avviamento Altre

ü Immobilizzazioni finanziariePartecipazioniCrediti finanziari a medio-lungo termineAltre

PATRIMONIO NETTO

(fonti permanenti)

Capitale sociale

Riserve

Versamento soci in conto capitale

Utile o perdita d’esercizio

PASSIVO CORRENTE

(debiti a breve scadenza: <12 mesi)

Debiti vs/fornitori

Debiti bancari a breve

Altri debiti a breve termine

PASSIVO CONSOLIDATO

(debiti a lunga scadenza: >12 mesi)

Mutui

TFR

Altri debiti a lungo termine

Nello stato patrimoniale deve sussistere la relazione impieghi di capitale = fonti di finanziamento

Page 61: Il business plan - Iannas

28

SISTEMA DI INDICI

Anche gli indici di bilancio servono a fare delle previsioni, verificando se la nuova iniziativa è

correttamente impostata e correggendo eventuali sfasature prima che si verifichino.

L’analisi condotta dagli indici può essere fatta:

- a consuntivo, per cogliere eventuali squilibri in cui è incorsa l’impresa durante l’anno,

individuandone le causa.

- A preventivo, per individuare in anticipo le giuste connessioni tecniche, commerciali, economiche

e finanziarie, che devono sussistere all’avvio di un’attività.

INDICI DI STRUTTURA FINANZIARIA:

I principali indici di struttura finanziaria sono:

- Grado di elasticità del capitale investito: CAPITALE D’ESERCIZIO/IMMOBILIZZAZIONI

- Quoziente di indebitamento: PASSIVO COMPLESSIVO/CAPITALE DI RISCHIO

- Rigidità delle fonti: CAPITALE ACQUISITO/PASSIVITA’A BREVE

INDICI DI SITUAZIONE FINANZIARIA

I principali indici di situazione finanziaria sono:

- Indice di liquidità: (LIQ. IMMEDIATE+LIQ. DIFFERITE)/PASSIVITA’ CORRENTI

- Indice di disponibilità: CAPITALE CIRCOLANTE/PASSIVITA’ CORRENTI

Page 62: Il business plan - Iannas

29

INDICI DI REDDITIVITA’:

I principali indici di redditività sono:

- ROE: Utile d’esercizio netto/Equity (Cap. Sociale + Riserve + Utile)

- ROI : ROP/Capitale investito (deb. Fin. + equity)

- ROI = ROS * RA

- ROS: ROP/Fatturato

- RA: Fatturato/Capitale investito

MON = Reddito operativo

ROS = Tasso di redditività delle vendite

RA = Rotazione del capitale investito

INDICI DI CAPITAL BUDGETING

I principali indici di capital budgeting sono:

• NPV (Net Present Value): sommatoria dei flussi di cassa e del valore finale attualizzati, scontati

dell’investimento iniziale. Si basa sull’assunto che attualizzando i flussi di cassa generati da un

progetto, se si ottiene un importo pari ad almeno l’esborso iniziale necessario ad avviarlo, tale

progetto è valido.

• IRR (Internal Rate of Return): valore del tasso di sconto visto come costo opportunità per cui

NPV = 0. In pratica è il tasso di attualizzazione che rende la sommatoria dei flussi di cassa

attualizzati generati da un progetto uguale a zero.

Page 63: Il business plan - Iannas

30

• Il Break Even Point

L’analisi di break even o del punto di pareggio serve ad evidenziare in quale momento e per

quale volume di vendita la nostra azienda raggiunge il pareggio tra costi e ricavi. Sarebbe a dire

individuare il momento in cui la nostra azienda smette di essere in perdita ed inizia a realizzare un

profitto riuscendo a coprire con i propri ricavi sia i costi fissi che i costi variabili connessi alla

produzione.

Il break-even point, o punto di pareggio, è uno strumento che ci permette di sapere quanto

produrre e vendere per cominciare a guadagnare, quindi ci indica quali sono i volumi di

produzione che copriranno i costi e ci garantiranno un guadagno.

Una formula e un grafico aiuteranno a capire meglio:

Q BEP = Cf / (Pu – Cvu)

Si tratta in sostanza, di valutare la convenienza economica individuando le interconnessioni tra

costi, volumi di produzione e ricavi.

• PBT (Pay Back Time): è il tempo in cui la sommatoria dei flussi di cassa attualizzati pareggia

l’investimento iniziale

BEP (rt=ct)

RicaviUtile

Perdita

Costo

Volume vendita

CF

CT= cf+(cvu*q)

Page 64: Il business plan - Iannas

31

11) APPENDICI

Come ricordato durante la trattazione, in genere l’appendice di un business plan contiene:

A. Curriculum vitae dei dirigenti

B. Analisi della concorrenza

C. Proiezioni delle vendite per mercati e linee di prodotto

D. Analisi dei profitti per linea di prodotto

Page 65: Il business plan - Iannas

ORGANIZZAZIONE AZIENDALE IN QUALITA’

Compiti e responsabilità del Manager o dell’imprenditore nel costruire un’organizzazione “in qualità”.

Segretaria

RESPONSABILECONT.TA' GENERALE

3 IMPIEGATI

RESPONSABILECONTABILITA'FORNITORI

2 IMPIEGATI

RESPONSABILECONTABILITA'

CLIENTI

MANAGERCONTABILITA'

MANAGERPIANIFICAZIONE

MANAGERFINANZIARIO

DIRETTOREAMMINISTRATIVO

DIRETTOREDEL PERSONALE

DIRETTOREDI PRODUZIONE

DIRETTOREDI MARKETING

DIRETTOREGENERALE

Cesare Sansavini Francesco Caiani

Codice: G24 File: Man Organ + qualità Data: 7/2/2001

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1

INDICE DEL MANUALE

CAP. CONTENUTO

PAG.

INTRODUZIONE 2

1 MISSION E OBIETTIVI

3

2 ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Compiti organizzativi del Manager 1 - Specificare le responsabilità - Job Description 2A- Riunire le mansioni in reparti 2B- Strumenti per descrivere l’organizzazione; l’organigramma. Line e staff 3 - Organizzare in “Qualità”

4 5 5 7 8 10

3 LA STRUTTURA DI UN SISTEMA QUALITA’ Le regole del gioco 1. Il riesame del contratto 2. Il controllo del progetto 3. Il controllo degli approvvigionamenti 4. La certificazione

11

12 14 16 18

AUTO ANALISI SUL GRADO DI ORGANIZZAZIONE 19

ESEMPIO DI JOB DESCRIPTION

23

Bibliografia 24

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INTRODUZIONE

Il compito fondamentale del Manager (o Imprenditore) è quello di formulare e raggiungere degli obiettivi aziendali attraverso un investimento adeguato di risorse. Il Manager si occupa della conversione delle risorse (Input) in risultati (Output) e la sua produttività è legata all’uso ottimale delle risorse.

PRODUTTIVITA’ = RISULTATI : RISORSE IMPIEGATE RISULTATI Sono gli obiettivi aziendali da raggiungere (obiettivi di vendita, di spesa, di profittabilità, di immagine, ecc.) RISORSE Sono rappresentate da due categorie di Risorse: A - LE RISORSE ECONOMICHE, quali il capitale, gli immobili, mobili, attrezzature, macchinari, brevetti, merci, ecc. B - RISORSE UMANE, rappresentate dalle persone preposte all’organizzazione aziendale. _______________________________________________________________________________________

Quali sono le maggiori difficoltà che un Manager incontra nella gestione delle risorse?

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CAP. 1 MISSION E OBIETTIVI

La Mission è la cornice operativa nella quale l’azienda intende operare. La mission definisce: • il settore di attività, • la definizione del mercato, • le scelte strategiche. Esempio di azienda alimentare: “l’azienda si propone di produrre e distribuire su tutto il territorio nazionale alimenti confezionati di pregiata qualità e freschezza, garantendo consegne rapide su tutti i propri punti al dettaglio.”

Gli Obiettivi specificano i traguardi che l’azienda si pone per avere successo agendo in quella cornice operativa. Esempio: “l’azienda intende raggiungere un fatturato di 238 miliardi nel prossimo anno, raggiungendo una profittabilità del 7% sul fatturato ed una quota di mercato pari al 3,5%.”

Il Management By Objectives (MBO) è lo strumento che permette di pianificare obiettivi a cascata su tutta la piramide aziendale. Le strategie aziendali definiscono “come” raggiungere quegli obiettivi (es. con quali risorse). _______________________________________________________________ QUALE VANTAGGIO HA UN’AZIENDA DALLA IDENTIFICAZIONE DELLA MISSION

_______________________________________________________________ LAVORANDO IN TEAM DI DUE DESCRIVETE LA VS. MISSION AL COLLEGA

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CAP. 2 ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

Tutte le Aziende, sono costituite da un “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (ar t. 2555 Codice Civile).

Nel momento in cui un gruppo di persone si mette assieme per svolgere una qualunque attività, la prima decisione è di stabilire “chi fa che cosa”; questo si chiama organizzazione del lavoro. L’organizzazione è il processo di suddivisione del lavoro in singole mansioni o in gruppi di mansioni correlate tra loro PRINCIPIO DI BASE : la suddivisione del lavoro in specializzazioni aumenta la produttività (prima fonte storica è la costruzione delle piramidi in Egitto)

MANSIONE (funzione): la più piccola divisione del lavoro assegnata ad un singolo. Comprende: • compiti da eseguire (“mansionario”) • responsabilità (“job description”) _______________________________________________________________ QUESITO Fate un esempio di funzione?

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COMPITI ORGANIZZATIVI DEL MANAGER (o Imprenditore)

1 - Specificare le responsabilità di ciascuna mansione:

JOB DESCRIPTION descrizione delle responsabilità che competono ad ogni mansione e delle relazioni con altre mansioni MANSIONARIO elencazione dei compiti che spettano ad una determinata mansione ______________________________________________________________ QUESITO Si dice che il mansionario è limitativo rispetto al job description. Perché ?

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ESERCIZIO Compilate la Job description di una funzione molto importante per la Vs. azienda, avvalendovi del modulo sottostante. JOB DESCRIPTION DIVISIONE: REP.: TITOLO: SUPERIORE GERARCHICO: 1. FUNZIONI PRINCIPALI 2. PRINCIPALI RESPONSABILITA’ 3. INTERAZIONI C/ ALTRI REPARTI 4. ESPERIENZA RICHIESTA

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COMPITI ORGANIZZATIVI DEL MANAGER (o Imprenditore)

2A - Riunire le mansioni in reparti (Organizzazione funzionale) Organizzare funzionalmente un’azienda significa raggruppare compiti (mansioni) simili in reparti. Vantaggio: massima applicazione della specializzazione nel lavoro ____________________________________________________________ QUESITO Quali sono i classici reparti che caratterizzano un’organizzazione aziendale?

____________________________________________________________ QUESITO Facciamo qualche caso di collocazione di un ruolo nell’organizzazione, dove collochereste:

• il Responsabile degli acquisti • il Responsabile della qualità (certificazione), • il Responsabile della pubblicità?

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2B – Strumenti per descrivere l’Organizzazione: l’organigramma. ORGANIGRAMMA : rappresentazione grafica delle relazioni e delle gerarchie tra le singole funzioni. Secondo il tipo di relazione abbiamo: • organizzazioni funzionali • organizzazioni per prodotto/servizio • organizzazioni geografiche • organizzazioni a matrice

LINE E STAFF

La LINE è rappresentata da tutte quelle funzioni direttamente coinvolte nella realizzazione dei fini aziendali primari (Reparti di produzione e reparti commerciali) Lo STAFF è rappresentato dagli organi consultivi o di supporto (Reparti finanziari, Reparto personale, Uffici studi, Formazione, Ufficio acquisti, ecc.). _______________________________________________________________ QUESITO Perché Staff e Line sono spesso in conflitto?

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ESERCIZIO Create l’organigramma funzionale della Vs. azienda, avvalendovi dell’esempio del lucido.

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COMPITI ORGANIZZATIVI DEL MANAGER (o Imprenditore)

3 – Organizzare in “Qualità”.

IL SISTEMA QUALITA’ Abbiamo parlato di FUNZIONI, di compiti e responsabilità, ma se queste funzioni non sono integrate tra loro non otterremo mai l’obiettivo fissato.

Un Sistema è un insieme di funzioni organizzate, indirizzate verso un obiettivo definito.

Il Sistema Qualità è il Sistema Azienda. Abbiamo detto che l’Azienda è il complesso dei beni organizzati ………., che l’organizzazione è l’insieme delle regole nel rispetto delle quali si ottimizza l’utilizzo delle risorse.

Il Sistema Qualità è l’insieme delle regole attraverso le quali (con il minimo costo ) si opera in modo corretto e si rendono evidenti le capacità dell’Organico.

L’obiettivo di un Sistema Qualità è garantire che tutti gli impegni presi con il Cliente o con il Mercato siano mantenuti sempre e comunque.

Il buon senso e l’esperienza hanno concorso a creare dei punti di riferimento per l’imprenditore che dotarsi di un’or ganizzazione (Sistema Qualità). Sono le normative I.S.O. 9000.

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CAP. 3 LA STRUTTURA DI UN SISTEMA QUALITA’

Al primo livello troviamo il MANUALE DELLA QUALITA’ , che mette in evidenza le regole principali che l’Azienda si è data per raggiungere i propri obiettivi.

Il Manuale Qualità viene approvato ed emesso dalla Direzione (vertice dell’Azienda). Per prima cosa indica gli obiettivi da raggiungere (politica della Qualità), descrive, poi, la struttura organizzativa, definisce le responsabilità nell’organizzazione, indica quali norme devono essere seguite. (è esattamente ciò che abbiamo appena fatto!) Al secondo livello troviamo le PROCEDURE DI SISTEMA (o procedure generali), che mettono in evidenza con quali modalità si applicheranno le regole dettate dal Manuale Qualità.

Vengono emesse dai Responsabili di settore ed attuate dopo che sono state approvate dal Vertice dell’azienda. Al terzo livello troviamo le PROCEDURE OPERATIVE, le istruzioni di lavoro e tutti gli altri documenti attraverso i quali l’organico opera. Si riferiscono ai dettagli tecnico – operativi. Vengono emesse all’interno di ogni singola Funzione ed approvate dal Responsabile di Funzione. ____________________________________________________________ QUESITO Fate un esempio di una procedura.

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LE REGOLE DEL “GIOCO” 1 – Il riesame del contratto I principi ispiratori delle norme ISO sono rivolti alla soddisfazione del Cliente. La qualità in un Sistema è la capacità di mantenere gli impegni presi con il Cliente o con il mercato.

QUESITO Cosa devo analizzare prima di prendere un impegno con il Cliente? Chi ha la responsabilità di queste attività?

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ESERCIZIO Descrivete la procedura generale di riesame del contratto per la Vostra Azienda.

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LE REGOLE DEL “GIOCO” 2 – Il controllo del progetto Tutto ciò che progettiamo deve essere valutato e controllato.

QUESITO Quali sono gli elementi essenziali per poter valutare e controllare un progetto? Chi ha la responsabilità di queste attività?

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ESERCIZIO Definite la procedura generale di controllo della progettazione per la Vostra Azienda.

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LE REGOLE DEL “GIOCO” 3 – Il controllo degli approvvigionamenti Per non trovarsi a brutte sorprese gli ordini di acquisto devono definire chiaramente l’oggetto e tutte le condizioni di acquisto e devono riferirsi a fornitori qualificati.

L’Azienda deve valutare e scegliere i fornitori sulla base della loro capacità di soddisfare i requisiti relativi alla fornitura. Il tipo e l’estensione del controllo che l’Azienda intende eseguire sui fornitori dipenderà dal tipo di prodotto, l’influen za che il prodotto acquistato ha sulla qualità del prodotto finale. E’ necessario predisporre e mantenere aggiornate registrazioni della qualità dei fornitori.

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ESERCIZIO Definite la procedura generale di controllo degli approvvigionamenti e di qualifica dei Fornitori per la Vostra Azienda.

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LE REGOLE DEL “GIOCO” 4 – La certificazione La certificazione del Sistema qualità è il riconoscimento formale di un Ente terzo (rappresentante il Cliente o Mercato) che attesta che l’organizzazione dell’Azienda è conforme ai requisiti richiesti dalle normative e quindi è capace di rispettare tutti gli impegni presi.

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AUTOANALISI SUL GRADO DI ORGANIZZAZIONE

Sono state evidenziate sei aree chiave in una Organizzazione su cui basare la propria autoanalisi. Potete stabilire una Vostra auto valutazione su tali Aree attraverso una scala da 1 (molto scarsa o assente) a 5 (molto forte). AUTOVALUTAZIONE

1 – RESPONSABILITA’ DELLA DIREZIONE

Definire e documentare gli obiettivi aziendali in linea con le aspettative e le esigenze dei Clienti. Assicurare che tali obiettivi siano compresi, attuati e sostenuti a tutti i livelli dell’Azienda.

1 2 3 4 5

A Come sono definite e documentate RESPONSABILITA’, AUTORITA’ E RAPPORTI RECIPROCI DEL PERSONALE CHE DIRIGE, ESEGUE E VERIFICA.

B RISORSE: in che misura sono messe a disposizione risorse adeguate, inclusa l’assegnazione di personale addestrato e formato, per le attività di gestione, esecuzione e verifica del lavoro. In che misura è coerentemente pianificato ed attuato un sistema di qualificazione delle risorse.

C RIESAME: come è assicurata la continua adeguatezza ed efficacia dell’organizzazione nel soddisfare gli obiettivi fissati: si rivedono le procedure, gli obiettivi, gli standard aziendali.

D SISTEMA QUALITA’: come sono rese evidenti le responsabilità, le attività da eseguire, le modalità con cui eseguirle, i criteri di accettazione per tutte le caratteristiche e prescrizioni.

E MODIFICHE AI DOCUMENTI E DATI: in che modo sono definite le responsabilità e le modalità per l’emissione e le modifiche di documenti e dati contenenti informazioni o prescrizioni per l’Azienda.

F TECNICHE STATISTICHE: in che modo sono identificati e monitorati i dati e le informazioni ritenuti fondamentali.

G VERIFICHE INTERNE: in che modo sono pianificate ed eseguite verifiche sulla organizzazione allo scopo di accertare se le attività ed i relativi risultati sono in accordo con quanto pianificato. Il personale che esegue queste verifiche è indipendente dalle funzione che esamina. In che modo i risultati delle verifiche vengono posti all’attenzione di chi ha la responsabilità .

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2 – RIESAME DEL CONTRATTO

L’obiettivo della nostra organizzazione in Qualità è garantire che gli impegni presi con il Cliente siano mantenuti. E’ essenziale definirli precisamente ed analizzarne prima la realizzabilità.

A DEFINIZIONE REQUISITI (oggetto e condizioni contrattuali): in che misura sono resi evidenti ed approvati dalla Direzione e dal Cliente.

B CAPACITA’: in che misura ci sono strumenti per rendere evidente le capacità dell’Azienda.

C MODIFICHE: in che misura è definito come vengano gestite e comunicate alle funzioni interessate le modifiche al contratto.

3 – CONTROLLO DELLA PROGETTAZIONE Predisporre procedure documentate per tenere sotto controllo e verificare la progettazione del prodotto – servizio allo scopo di assicurare il soddisfacimento dei requisiti specificati.

1

2

3

4

5

A PIANIFICAZIONE: in che misura sono pianificate le attività di progetto ed attribuite le relative responsabilità; come è garantito che il personale sia adeguatamente addestrato ed abbia gli strumenti adatti.

B INTERFACCE ORGANIZZATIVE E TECNICHE: in che modo sono trasmesse le informazioni quando sono coinvolte nel progetto diverse funzioni.

C DATI DI BASE (obiettivo da raggiungere): in che modo sono identificati e definiti i dati e requisiti su cui basare la progettazione del prodotto - servizio. Si tiene conto dei risultati delle attività di riesame del contratto. Sono definiti i criteri di accettazione.

D RISULTATI DELLA PROGETTAZIONE: in che modo prima di “validare” un progetto si sono verificati e riesaminati i risultati della progettazione. In che modo sono resi evidenti questi risultati: sono confrontabili con i dati di base; sono stati rispettati i criteri di accettazione; sono evidenti i controlli eseguiti.

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4 – CONTROLLO DEL PROCESSO Devono essere individuati e pianificati i processi di produzione. Si deve assicurare che questi processi siano attuati in condizioni controllate.

1 2 3 4 5

A In che modo sono definite le modalità e responsabilità di esecuzione delle attività di produzione, i criteri di accettazione (indicazioni scritte, campioni, illustrazioni)

B CONTROLLI IN ACCETTAZIONE: in che modo è assicurato che il prodotto in arrivo non venga utilizzato senza essere controllato; in che modo sono determinati l’estensione ed il tipo dei controlli.

C CONTROLLI IN PRODUZIONE E FINALI: in che modo sono definite tutte le prove, controlli e collaudi per assicurare l’evidenza della conformità del prodotto – servizio ai requisiti specificati. Nessun prodotto deve essere spedito finchè tutte le attività di controllo specificate non siano state eseguite ed abbiano avuto esito positivo.

D

NON CONFORMITA’: in che modo è assicurato che non venga utilizzato un prodotto non conforme ai requisiti specificati. In che modo è assicurato l’identificazione, la valutazione, la segregazione (ove applicabile), il trattamento del prodotto non conforme e la notificazione alle funzioni interessate.

E APPARECCHIATURE: in che modo sono tenute sotto controllo le attività di taratura e manutenzione di apparecchiature di prova, misurazione e collaudo usate per dimostrare la conformità del prodotto a requisiti specificati. Siamo sicuri che l’incertezza di misura delle apparecchiature sia compatibile con le esigenze di misurazioni richieste.

F

IDENTIFICAZIONE E RINTRACCIABILITA’: in che modo si identifica il prodotto o servizio realizzato, nonché i fattori che lo compongono.

G

MOVIMENTAZIONE, IMMAGAZZINAMENTO, IMBALLAGGIO, CONSERVAZIONE E CONSEGNA: in che modo sono stabilite modalità di movimentazione, immagazzinamento, imballaggio e conservazione del prodotto per impedire danni o deterioramenti. In che modo sono stabilite modalità per autorizzare l’ingresso e l’uscita del prodotto dalle aree in cui è immagazzinato.

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5 - APPROVVIGIONAMENTO

Gli ordini devono definire chiaramente l’oggetto da acquistare. I fornitori devono essere scelti sulla base della loro capacità di soddisfare i requisiti richiesti.

A VALUTAZIONE DEI FORNITORI: in che misura sono definite le modalità e le responsabilità per la scelta dei fornitori, il tipo e l’estensione del controllo sulle forniture, l’aggiornamento della valutazione in funzione dei risultati.

B DATI DI ACQUISTO: in che misura i documenti di acquisto definiscono tutte le informazioni per descrivere chiaramente il prodotto – servizio ordinato: tipo, identificazione di specifiche, requisiti, istruzioni e altri dati tecnici significativi.

6 – AZIONI CORRETTIVE E PREVENTIVE

Devono essere intraprese azioni correttive o preventive per eliminare le cause di non conformità effettive o potenziali di livello appropriato all’importanza dei problemi e commisurate ai rischi relativi.

A RECLAMI DEI CLIENTI: in che modo è definito come gestire un reclamo di un Cliente, la responsabilità nel risolverlo, le comunicazioni con l’interlocutore; in che modo sono evidenti queste attività.

B AZIONI CORRETTIVE E PREVENTIVE: in che modo sono definite le modalità e le responsabilità per la ricerca delle cause delle non conformità relative al prodotto – servizio, ai processi e all’organizzazione, per la definizione delle azioni correttive o preventive necessarie per eliminare le cause delle non conformità, per l’esecuzione delle verifiche per assicurare che le azioni correttive o preventive siano messe in atto e risultino efficaci.

COMMENTI ALL’AUTOANALISI: Identificare tre aree di forza e tre aree di miglioramento - ....................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................

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ESEMPIO DI JOB DESCRIPTION

TITOLO : Supervisore di vendita REPARTO: Marketing Vendite SUPERIORE: Direttore di Marketing 1 - SCOPO DELLA FUNZIONE • Assicurare il raggiungimento degli obiettivi di vendita attraverso la gestione,

motivazione e sviluppo dei venditori. 2 - PRINCIPALI RESPONSABILITA’ • Procede, con la collaborazione dei reparti interni, alla selezione del personale di vendita e all’integrazione

dei nuovi assunti in azienda. • Assicura l’addestramento e formazione del personale di vendita, sia attraverso i reparti interni, sia

direttamente affiancando i venditori in zona. • Procede alla valutazione del personale, attraverso colloqui sistematici e con una valutazione annuale. • Gestisce in prima istanza tutti i problemi del personale di vendita, legati all’attività, delegando e filtrando

l’intervento di personale interno. • Assicura la comunicazione corretta tra azienda e venditori nei due sensi, con particolare riguardo al

Reporting del venditore e alle notizie importanti che provengono dal mercato. • Assicura l’osservanza delle procedure e regole aziendali in termini di impegno sul lavoro, spese, ecc. • Collabora con il Servizio clienti per gestire rapidamente ogni lamentela legata al ritardo di spedizioni,

prendendo prontamente contatto con i corrieri. • Distribuisce gli obiettivi di vendita aziendali attraverso un accordo con i singoli venditori e procede al

controllo sullo stato di avanzamento delle vendite verso gli obiettivi stessi. • Propone alla Direzione i piani annuali di incentivazione della Forza di vendita. • Gestisce direttamente i Clienti chiave 3 - RELAZIONI PRINCIPALI Direzione Servizio clienti Personale di vendita Rep. Personale Amministrazione Clienti chiave 4 - COMPETENZE RICHIESTE Profonda esperienza nella vendita del settore Diploma di scuola media superiore Capacità relazionali e comunicative Leadership Pianificazione Data di preparazione: Novembre 2000 Preparato da X (Impiegato) con supervisione di Y (Supervisore di Magazzino)

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NOTE BIBLIOGRAFICHE Badford David, Cohen A. - "Managing for Excellence" - Ed. John Wiley & Sons Blanchard K., Lorber R. - "Mettere l'One Minute Manager al lavoro" -Ed. Sperling & K. Braccini Marina, “La Qualità totale come strategia competitiva”, Ed. S.S. G. Reiss Romoli Carlzon Jan - "La piramide rovesciata" - Ed. Franco Angeli Collard R., “La qualità Totale; Ed. Franco Angeli D’Egidio Franco “Vision & Leadership”, Ed. franco Angeli Eli Lilly, “Performance Excellence Guidebook”, Ed. Eli Lilly Galgano A., “La Qualità Totale”, Ed. 24 Ore Gerson Richard F., “Come misurare la soddisfazione dei clienti”, Ed. Franco Angeli Kouzes J., Posner B. - "The Leadeship Challenge" - Ed. Jossey Bass Publisher. Larrie A. Roullillard “Lavorare per obiettivi” - Ed- Franco Angeli Lester R. Bittel “Il corso Mc. Graw-Hill di management” - Ed. Sperling & Kupfer Mc. Gregor Douglas - "Leadership e motivazione nelle imprese" - Ed. Franco Angeli McKenzie Bell D., “Come assicurare il ritorno dei clienti”, Ed. Franco Angeli Odiorne George S. - "MBO (Management by Objectives)" - Ed. Sperling & Kupfer. T.J. Peters & R.H. Waterman "Alla Ricerca dell'eccellenza" - Ed. Sperling & Kupfer. White A.- “Il performance management” - Ed. Franco Angeli PUBBLICAZIONI CHANGE FORMAZIONE S.a.s. • Cesare Sansavini: “Dell’arte di vendere e di cos’è il marketing”, 1995, Ed. Giunti Demetra • Cesare Sansavini: “Parlare in pubblico e la comunicazione persuasiva”, 1996, Ed. Giunti

Demetra • Simone Sansavini: “Come si legge e si elabora il bilancio per interpretare l’andamento

dell’impresa”, 1995, Ed. Giunti Demetra • Simone Sansavini: “Il budget come strumento di guida e di controllo della propria impresa”,

1996, Ed. Giunti Demetra • Simone Sansavini: “La gestione di magazzino”, 1997, Ed. Giunti Demetra • Simone Sansavini: “La gestione finanziaria d’impresa”, 1999, Ed. Giunti Demetra • Balducci/Forni - L’incentivazione della produttività e i nuovi contratti collettivi del comparto

enti locali - Maggioli editore

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1

APPUNTI DI ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

Definizione di organizzazione

Per organizzazione intendiamo un insieme complesso di persone associate per uno scopo

unitario fra cui si dividono le attività da svolgere, secondo certe norme, stabilendo dei ruoli

collegati tra loro in modo gerarchico, in rapporto con un certo ambiente esterno.

Diamo una breve spiegazione dei termini utilizzati nella definizione.

insieme complesso perché richiede modelli sia riduttivi che esplicativi in grado di

mettere in luce le variabili principali;

di persone perché comporta scelte sul grado di autonomia di comportamenti rispetto al

grado di conformità a norme prescrittive;

associate per uno scopo unitario nella ricerca della coerenza tra obiettivi individuali e

dell’organizzazione, se non anche con eventuali obiettivi dei gruppi;

fra cui si dividono le attività da svolgere scelta del livello di specializzazione tenendo

conto delle esigenze di coordinamento e di completezza di professionalità;

secondo certe norme scelta del livello di formalizzazione delle attività in procedure

scritte, quanto lasciare alla prassi e quanto delegare all’autonomia decisionale;

stabilendo dei ruoli in termini di scelta delle assegnazioni di autorità e responsabilità

in modo gerarchico in termini di accentramento e/o decentramento decisionale, anche in

relazione alle dimensioni dell’organizzazione;

in rapporto con l’ambiente esterno in funzione del grado di apertura o chiusura verso

l’esterno.

La precedente analisi della definizione di organizzazione porta a concludere che fare

organizzazione vuol dire scegliere il livello di compromesso sui vari punti componenti.

Elemento primario è la definizione dell’obiettivo strategico di fondo dell’organizzazione,

attraverso l’analisi degli ambienti economico-politico, legislativo, sociale e culturale, dei mercati

della produzione, lavoro, vendita, capitali. Tale obiettivo strategico dipende dalla storia

dell’organizzazione, dall’ambiente, dalle strategie aziendali, dalle risorse disponibili.

Per ciascun livello si definiscono :

Page 91: Il business plan - Iannas

2

Obiettivi

Autorità: potere di un individuo, riconosciuto in relazione alla sua posizione, di

prendere decisioni che gli altri devono seguire;

Potere: capacità di influenzare in modo stabile il comportamento di una persona o di

un gruppo;

Responsabilità: l’impegno, dato dal ruolo ricoperto nell’organizzazione formale, di

realizzare gli obiettivi assegnati;

Compiti e ruoli.

Per poter incidere sull’organizzazione occorre individuare le variabili influenzanti, quelle

analizzabili e le variabili di intervento. Per evidenziare le componenti o variabili di intervento

dell’organizzazione si può utilizzare il modello semplificato di Leavitt (1964) che individua

quattro componenti base dell’organizzazione (fig.1):

Figura 1 – Il modello di Leavitt

Uno schema più complesso è stato elaborato successivamente da Galbraith (1980) che

individua i sistemi ritenuti critici e ne evidenzia il rapporto con la strategia (fig.2).

Un ulteriore schema fu proposto da Pascale e Athos (1982) che individuarono le variabili da

considerare come segue (modello delle 7 S):

Staff Skill (capacità)

Struttura Stile di direzione

Sistemi Sistema di valori prevalente

Strategia

PERSONE

STRUTTURA

TECNOLOGIA

Page 92: Il business plan - Iannas

3

Figura 2 – Il modello di Galbraith

Il successo aziendale è legato alla coerenza tra le 7 variabili individuate, sia a livello di

progettazione che di analisi.

STRATEGIA STRUTTURA

COMPITO SISTEMA

INFORMATIVO E DECISIONALE

obiettivo

PERSONE SISTEMA PREMIANTE

Sistema retributivo Criteri di promozione Stile di direzione Progettazione compiti

Divisione del lavoro

Organi Relazioni tra

organi Distribuzione del

potere

Meccanismi di decisione

Frequenza Formalizzazione Data-Base

Carriera Addestramento

e sviluppo Rotazione Selezione

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4

Teorie organizzative

Nel tempo si sono susseguite diversi tentativi di codificare il modo di fare organizzazione, cioè

di trovare delle regole esplicative per la comprensione del funzionamento delle organizzazioni.

Le principali scuole di teorie organizzative sono riportate nella tabella I.

Tabella I – Principali scuole di organizzazione

Denominazione scuola Autori principali

Scuola classica Taylor

Principi organizzativi Fayol

Relazioni umane Scuola di Chicago – Roethlisberger - Dickinson

Motivazioni Ma slow – Herzberg – Mc Gregor

Sistemi socio-tecnici Istituto Tavistock – Davis – Emery - Rice

Modello burocratico Weber – Hall – Gouldner – Selznicl – Merton – Crozier

H.Simon Simon – March

Ipotesi evolutive Chandler – Greiner

Ambiente e organizzazione Burns e Stalcker – Lawrence e Lorsh – Galbraith

Tecnologia e struttura Woodward – Newmann – Gruppo di Aston

Approccio sistemico Boulding – Beer

a. Scuola classica o dello Scientific Management

Il principale autore si considera Taylor (1856-1915). Egli utilizza i concetti propugnati da

A.Smith sul frazionamento del processo produttivo in fasi elementari e da Babbagè sulla

convenienza di parcellizzare il processo produttivo in compiti semplici attraverso la

diminuzione del tempo di apprendimento da parte degli operai, l’abbassamento dei salari e

la facilità di sostituire la manodopera.

Il modello cui Taylor presuppone che sia sempre possibile individuare dei principi normativi

di direzione secondo cui condurre le attività che portino, attraverso una prescrittività di

struttura e comportamenti, all’obiettivo primario della massimizzazione dell’efficienza. Il

modello si può schematizzare come in figura 3.

Page 94: Il business plan - Iannas

5

Figura 3 – Il modello di Taylor

Taylor si proponeva di definire un approccio razionale volto ad individuare quei principi che

consentissero di migliorare l’efficienza dell’azienda in un momento storico nel quale lo

sviluppo quantitativo del sistema industriale risentiva ancora dei modi di produzione

empirico ed artigianale, la domanda di lavoro dell’industria trovava una offerta di personale

non professionalizzato e si affermavano le organizzazioni sindacali.

Le principali ipotesi di base del lavoro di Taylor sono che:

1. l’unità elementare è la singola posizione lavorativa;

2. l’uomo, estensione della macchina, preferisce una compito definito e limitato;

3. il raggiungimento di una maggiore efficienza e produttività è il presupposto per un

maggiore benessere sociale;

4. tale efficienza permette di remunerare il capitale e pagare soddisfacentemente la

manodopera.

I principi fondamentali sono allora:

studio dei migliori metodi lavorativi con una netta distinzione tra lavoro manuale e

lavoro di programmazione, coordinamento e controllo;

selezione ed addestramento della manodopera;

consenso ottenuto tramite remunerazione monetaria;

ristrutturazione dell’apparato direttivo ed organizzativo in tre livelli: operai, quadri

intermedi e capi di primo livello, livello direttivo.

STRUTTURA

PRINCIPI NORMATIVI DI DIREZIONE

MAX EFFICIENZA

COMPORTAMENTI

Page 95: Il business plan - Iannas

6

Si nota una completa assenza di considerazioni di ordine sociale e psicologico nella

determinazione dei contenuti, dei tempi e dei metodi di lavoro degli operai.

b. Principi organizzativi.

Il principale autore si considera Fayol (1841-1925). Gli autori di questa scuola allargano lo

studio tayloristico limitato allo studio del lavoro di officina.

Fayol considera 6 funzioni principali nell’azienda:

Operazioni tecniche di produzione e di trasformazione

Operazioni commerciali di acquisto, di vendita, di scambio

Operazioni finanziarie di ricerca e di gestione dei capitali

Operazioni di sicurezza per garantire la protezione dei beni e delle persone

Operazioni contabili per ottenere informazioni attendibili e complete sull’andamento

ambientale

Operazioni direttive di programmazione, organizzazione, comando, coordinamento e

controllo

Specificando il significato della funzione direttiva se ne precisano le componenti:

- programmare; organizzare; comandare; coordinare; controllare.

Ciascuno degli Autori della scuola propose dei principi organizzativi universali. Tra questi

sembrano i più significativi:

1. Unità del comando: nessuno può obbedire a due capi; distinzione fra autorità funzionale

di line e di staff per mitigare questo principio di fronte alla realtà; verificare che ogni

membro dell’organizzazione abbia chiari i canali di autorità in cui inserito ed

eventualmente semplificare e chiarire tali linee di autorità.

2. Ampiezza di controllo: limite del numero di dipendenti diretti da un superiore.

3. Eccezione: la routine ai subordinati, le eccezioni ai dirigenti

4. Scalare: i rapporti tra superiore e subordinati devono essere regolati da una scala

gerarchica; occorre dare rilievo alla gerarchia ed alla chiara attribuzione della

responsabilità.

A questi si possono aggiungere:

5. Ripartizione del lavoro

Page 96: Il business plan - Iannas

7

6. Disciplina

7. Subordinazione degli interessi particolari

8. Equa e soddisfacente retribuzione del personale

9. Equità

10. Spirito di corpo

c. Relazioni umane

Le prime ricerche si possono fare risalire agli studi empirici presso la Western Electric

portati avanti dalla scuola di Chicago nel periodo 1927-1933.

Si nega la valenza assoluta del principio della divisione del lavoro e del concetto che

l’organizzazione formale esaurisca la realtà dell’organizzazione. Si formulò l’ipotesi

secondo cui il rendimento dei lavoratori fosse determinato anche dalla situazioni sociale e

dal livello di soddisfazione psicologica. Si ampliano quindi le osservazioni della scuola

classica agli aspetti psicologici e sociali.

I principi fondamentali sono legati all’influenza dei gruppi informali e degli stimoli non

monetari (fig.4). Si preferisce, allora, agire su:

Relazioni capo-subordinato

Influenza dei piccoli gruppi

Motivazione

Cambiamenti innovativi

Bisogni dell’uomo

Figura 4 – Il modello delle relazioni umane

STRUTTURA

PRINCIPI DI RELAZIONI UMANE

MAX EFFICIENZA

COMPORTAMENTI FORMALI ED INFORMALI

Page 97: Il business plan - Iannas

8

d. Motivazioni

L’autore principale è Maslow (1943) che identifica la motivazione in uno stato di tensione,

dovuto alla consapevolezza di un bisogno, che impone la ricerca dei mezzi per soddisfarlo.

Egli postula nell’uomo l’esistenza di bisogni fondamentali organizzati a livelli successivi.

Una volta soddisfatto un bisogno, questo verrà sostituito da altri, di livello superiore e così

via. Ne consegue che la soddisfazione di un bisogno diventa un concetto tanto importante

quanto la privazione. Un desiderio soddisfatto cessa di essere un desiderio. Viene postulata

l’esistenza di 5 livelli di bisogni:

1. fisiologici primari come i bisogni di cibo, sesso, asilo; un buon metodo per bloccare le

motivazioni superiori è quello di far si che l’uomo sia posto in condizioni di avere un

bisogno primario insoddisfatto;

2. di sicurezza come il bisogni di protezione dal pericolo e dalle minacce;

3. di appartenenza e di amore, detti anche bisogni sociali di ricerca di relazioni affettive con

altre persone e di avere un posto in un gruppo;

4. di stima che sfocia nel desiderio di ottenere forza, adeguatezza, fiducia, indipendenza,

reputazione o prestigio, riconoscimento, attenzione ed apprezzamento;

5. di autorealizzazione e di autocompletamento nel far ciò per cui ci si sente portati.

I bisogni di livello successivo vengono solo dopo aver soddisfatto in gran parte quelli

precedenti:

Alla fine degli anni’60 un altro autore importante in questo filone di studi è stato F.Hertzberg

che, a partire da indagini di campo in numerose aziende identificò i fattori che possono avere

effetti motivazionali sul lavoro:

hygiene factors: stile di supervisione, rapporti con i colleghi, retribuzione, sicurezza del

lavoro, che se non vengono realizzati provocano insoddisfazione nel lavoratore ;

motivator factors: responsabilità, autonomia crescita professionale, natura del lavoro che

se assicurati provocano soddisfazione nel lavoro.

La realizzazione dei primi evita l’insoddisfazione sul lavoro. I secondi provocano

soddisfazione, ma non possono eliminare eventuali mancanze nei primi. Viene data poca

importanza al fattore prestigio ed alla retribuzione e non si considera l’aspetto organizzato

Page 98: Il business plan - Iannas

9

del lavoro. Si sottolinea come il lavoro ha sempre un duplice significato: strumentale (per le

ricompense) ed espressivo (delle capacità del lavoratore).

Un ulteriore contributo è quello portato da McGregor che contrappone alla visione

tradizionale di direzione denominata teoria X una visione basata sui principi di Maslow

denominata teoria Y. I principali presupposti della teoria X erano:

1. la direzione aziendale è responsabile dell’organizzazione avendo come unico obiettivo

l’interesse economico;

2. le persone devono essere orientate, motivate e controllate per migliorare le condizioni

organizzative;

3. naturalmente le persone rimarrebbero passive ;

4. l’uomo medio è per natura indolente e cerca di lavorare il meno possibile;

5. l’uomo è privo di ambizioni, non gradisce la responsabilità, preferisce essere guidato;

6. l’uomo è centrato su sé stesso, indifferente alle esigenze organizzative

7. l’uomo è resistente ai cambiamenti

Secondo Mc Gregor le teorie direzionali dovrebbero essere informate alla teoria Y i cui

presupposti sono:

8. l’uomo desidera naturalmente effettuare sforzi fisici e mentali;

9. l’uomo desidera esercitare l’autodirezione e l’autocontrollo per raggiungere gli obiettivi

nei quali è impegnato;

10. l’impegno nel conseguimento degli obiettivi è funzione dei premi;

11. in condizioni medie l’uomo ricerca la responsabilità;

12. la capacità di esercitare immaginazione è ampiamente ma scarsamente distribuita.

e. Sistemi socio-tecnici

L’approccio prende spunto dagli studi dell’Istituto Tavistock di Londra (1970) sulla

meccanizzazione dell’industria carbonifera inglese, sulla creazione di squadre di 50-60

persone e sulla parcellizzazione del lavoro. In questo approccio l’organizzazione del lavoro

viene osservata come combinazione dei due elementi tecnico e sociale. Il sistema tecnico

viene inteso non solamente come il complesso di macchine ed attrezzature produttive, ma

anche i sistemi tecnici ed informativi per programmare e controllare il sistema produttivo. Il

Page 99: Il business plan - Iannas

10

sistema sociale è costituito dall’organizzazione formale ed informale delle persone e dalle

norme e ruoli sociali presenti nell’unità lavorativa.

Si considera anche l’influenza dell’ambiente esterno all’impresa e la sua capacità di reagire

e adattarsi a tali sollecitazioni. Per l’organizzazione del lavoro esecutivo vengono proposti i

seguenti criteri:

Autonomia responsabile per programmare e regolare tutta o parte delle sue attività;

Sviluppo professionale per imparare ad adattarsi al cambiamento;

Varietà di esperienze per avere un contesto stimolante;

Partecipazione alle decisioni inerenti al proprio lavoro.

Si sostiene che in ambienti instabili è richiesta una organizzazione del lavoro che favorisca

l’acquisizione delle conoscenze tecnico-gestionali anche ai livelli esecutivi. In particolare,

secondo Davis (1971), i fattori tecnologici influenzano la programmabilità dei compiti

attraverso l’analizzabilità delle situazioni di lavoro ed il numero di eccezioni (fig.5). Ove il

processo di trasformazione presenta poche eccezioni ed i problemi sono facilmente

analizzabili, i compiti dei lavoratori sono ripetitivi ed è possibile programmare il contenuto

del lavoro, i tempi ed i metodi. In situazioni complesse viene esaltata l’importanza dei

gruppi autonomi di lavoro con alta cooperazione all’interno. Tali situazioni si evidenziano e

si moltiplicano con l’automazione dove la funzione del lavoratore diviene quella di

regolatore del sistema.

Figura 5 – Il modello sociotecnico di Davis

bassa

alta

Programmabilità dei compiti

N° di eccezioni sul lavoro

Dif

fico

ltà

nel

l’an

aliz

zare

i p

robl

emi

Page 100: Il business plan - Iannas

11

A.K.Rice mise in evidenza come l’impresa possa svilupparsi soltanto in un clima di

consenso assicurato da piena coerenza fra compiti operativi ed atteggiamenti psicologici

degli addetti..

f. Modello burocratico:

Il filone di studio si rifà agli studi di M Weber (1864-1920). L’ipotesi di fondo è che la

struttura organizzativa deve tendere al raggiungimento razionale degli obiettivi. Tale

operazione sarà tanto più efficiente quanto più verranno eliminate le arbitrarietà e le

occasioni di conflitto nelle relazioni interpersonali e fra gruppi. Ciò è possibile solo

razionalizzando le organizzazioni attraverso una struttura basata su:

1. divisione del lavoro in base alla specializzazione funzionale;

2. gerarchia di autorità

3. sistema di norme

4. sistema di procedure

5. impersonalità delle relazioni interpersonali

6. selezione e promozione in base alle competenze tecniche

Hall ed altri AA. sottolinearono come a questi elementi si possano aggiungere almeno altri

due:

7. separazione del lavoro dalla vita privata

8. separazione delle attività politiche da quelle amministrative

Le disfunzioni cui questo modello può dare luogo furono sottolineate in particolar modo da

Gouldner (fig.6) che sottolineò come l’uso del controllo e di regole generali ed impersonali

instaurano bassi livelli di prestazione perché tendono a suggerire comportamenti minimi

accettabili

Selznick (fig.7) mise in luce come la frammentazioni e la divisione del lavoro tendano a

frammentare obiettivi ed interessi dei singoli e dell’impresa.

Merton (fig.8) ragionò in merito all’abuso di norme e formalizzazione, che si può tradurre in

acritica interiorizzazione di queste che quindi si poteva tradurre in rigidità di comportamento

e quindi in difficoltà di rapporti con i clienti.

Page 101: Il business plan - Iannas

12

Figura 6 – Il modello di Gouldner

Figura 7 – Il modello di Selznick

Figura 8 – Il modello di Merton

Regole generali e impersonali

Regole generali e impersonali

Intervento dei capi

Tensioni interpersonali

Conoscenza del comportamento minimo accettabile

Possibile divario tra obiettivi e risultati

Conseguenze inattese Conseguenze attese

Divisione del lavoro

Miglioramento capacità dipendenti (specializzazione)

Conseguimento degli obiettivi dell’azienda

Divergenze tra obiettivi parziali

Conseguenze inattese Conseguenze attese

Interiorizzazione obiettivi parziali

Regole e norme

Interiorizzazione di norme e regole

Affidabilità e prevedibilità del comportamento

Rigidità del comportamento

Conseguenze inattese Conseguenze attese

Difficoltà con i clienti

Page 102: Il business plan - Iannas

13

Una problematica fondamentale che l’approccio burocratico fa emergere è quella relativa al

potere. Crozier, analizzando le problematiche legate al potere, presuppose che la

burocratizzazione delle organizzazioni sia un fenomeno inevitabile quando l’ambiente

esterno non ne solleciti un cambiamento. La burocratizzazione spingerà i gruppi interni a

cercare delle proprie aree di attività nelle quali esercitare il potere. Si creerà allora

all’interno di questi gruppi una solidarietà ed una coscienza comune perlopiù esterna agli

obiettivi generali dell’organizzazione. I gruppi tendono ad isolarsi ed ad impedire il flusso e

lo scambio di informazioni, fonte primaria di potere.

g. Teoria di Simon

L’idea iniziale di H.Simon (1958) è che la teoria amministrativa deve stabilire i confini tra

gli aspetti razionali e non razionali del comportamento umano sociale.

Nell’analizzare il comportamento razionale dell’uomo amministrativo nella realtà operativa

egli sostituì la scelta ottimale, che necessità di scegliere tra alternative perfettamente note

non disponibili nella realtà, con la scelta soddisfacente (razionalità limitata).

Simon (con March) definisce un modello decisionale in cui la valutazione delle alternative

avviene secondo processi sequenziali, sviluppando programmi di azione che possono essere

impiegati in situazioni ricorrenti, impiegando i programmi di azione specifici per gamme

ristrette di situazioni e di conseguenze, ed infine facendo in modo che ogni programma di

azione possa essere eseguito in modo semi-indipendente da altri.

L’uomo che dirige è un uomo che deve continuamente decidere secondo tre stadi:

Intelligenza: scoprire quando prendere una decisione

Progettazione: trovare linee di azione alternative

Scelta: selezionare la linea più appropriata tra quelle disponibili.

Le decisioni possono essere programmate e non. Le prime in quanto routine possono fare

riferimento ad una procedura prestabilita. Le seconde invece necessitano di volta in volta

dell’applicazione dei tre stadi di cui sopra per ovviare alla mancanza di procedure specifiche

atte a trattarle.

Page 103: Il business plan - Iannas

14

h. Ipotesi evolutiva

Il primo autore di questa scuola può considerarsi Chandler (1962) che definì che per

strategia aziendale si intende l’insieme delle decisioni che stabiliscono gli obiettivi

fondamentali di un’azienda, con particolare riferimento a quelli che riguardano i rapporti tra

prodotti e mercati e l’allocazione delle risorse, mentre per struttura aziendale si intende lo

schema organizzativo mediante il quale viene vista l’azienda, definito, formalmente ed

informalmente, dal suo assetto strutturale (divisione del lavoro) e dagli strumenti e ai sistemi

organizzativi e gestionali utilizzati dall’azienda. Dallo studio di 70 grandi aziende americane

mise in evidenza che:

Esiste un rapporto preciso tra strategia e struttura

C’è una tendenza strategica a diversificare

C’è una tendenza a passare dalla struttura funzionale a quella divisionale.

In base a questi elementi egli dedusse che l’organizzazione è un complesso in continuo

adattamento, che riflette gli accadimenti dell’ambiente esterno, che deve essere utilizzata

come mezzo per raggiungere gli obiettivi. L’adattamento della struttura alla strategia deve

essere perseguito tenendo conto di tutte le componenti: struttura formale, strumenti

operativi, sistemi, procedure e prassi.

Greiner (1972) considera come variabile fondamentale per studiare le caratteristiche

organizzative dell’azienda la dimensione, a sua volta legata all’età dell’azienda. La storia di

un’organizzazione ne determina il futuro più che le altre variabili esogene. Ogni azienda si

sviluppa secondo un’alternanza di fasi di evoluzione e di rivoluzione. La durata delle fasi è

determinata da dimensione ed età dell’azienda, dando per scontato che l’espansione delle

dimensioni aziendali è un fatto ineluttabile.

i. Ambiente ed organizzazione

Tra i principali studiosi particolarmente significativi sono gli studi di Burns e Stalker (1962)

centrati su aziende che, passate da settori tradizionali a settori avanzati (elettronica), e

mantenendo i vecchi assetti organizzativi non davano più risultati adeguati.

Essi ipotizzano che le scelte organizzative debbano tener conto delle caratteristiche di

stabilità/instabilità dell’ambiente esterno. Possono quindi distinguersi strutture di tipo

meccanicistico e organicistico rispettivamente più efficaci in condizioni di stabilità o di

Page 104: Il business plan - Iannas

15

instabilità. Nella struttura meccanicistica è prevista una estesa specializzazione e distinzione

funzionale delle mansioni, con compiti ben definiti in modalità, responsabilità e mezzi

tecnici assegnati. Vi è una chiara gerarchia di autorità e controllo, il vertice aziendale

coordina il tutto. Le comunicazioni sono di tipo ordine e fluiscono prevalentemente in senso

verticale. Nella struttura organicistica la variabilità dei problemi non permette una esatta

definizione a priori dei ruoli. Le comunicazioni fluiscono in tutte le direzioni e sono del tipo

informazioni. Le relazioni interpersonali sono improntate alla collaborazione.

Lawrence e Lorsch (1967) ipotizzano che le scelte organizzative debbano tener conto delle

caratteristiche dell’ambiente in termini di omogeneità/disomogeneità. Considerando che non

si può definire un modello di organizzazione ottimale e che ciascun sottosistema aziendale

presenta tassi di incertezza diversi, non si può definire un unico modello organizzativo ma

tanti in funzione del grado di differenziazione tra le diverse unità operative. I concetti

fondamentali sono:

1. non esiste un modello di organizzazione ottimale (contingenza organizzativa);

2. le organizzazioni si strutturano in rapporto ai diversi sottosistemi ambientali;

3. ciascun sottosistema presenta gradi di incertezza diversi;

4. ciascuna parte dovrà quindi assumere caratteristiche diverse.

La differenziazione richiesta alle diverse unità può essere valutata in termini di:

1) grado di certezza/incertezza relativa alla:

- chiarezza dei compiti

- difficoltà del loro svolgimento

2) Tempo di feed-back per conoscere il risultato delle azioni intraprese;

3) Grado di influenza sulle altre funzioni organizzative in termini di:

- successo strategico dell’impresa

- importanza relativa di ciascun sotto-sistema ambientale

In base al grado di differenziazione richiesto occorrerà definire per ciascuna unità:

- grado di strutturazione

- orientamento interpersonale

- orientamento temporale di riferimento

- orientamento verso gli obiettivi

Page 105: Il business plan - Iannas

16

Accanto alla differenziazione occorre tenere conto all’opposto delle procedure di

integrazione per coordinare l’intera struttura. IN particolare vengono proposti meccanismi di

complessità crescente e tendenzialmente cumulativi:

- procedure di comunicazione

- meccanismi di programmazione

- meccanismi strutturali

- intervento gerarchico

- gruppi di lavoro interfunzionali

- organi di integrazione.

Galbraith assunse come variabile fondamentale l’incertezza del compito (i) intesa come

scarto fra le informazioni disponibili ed informazioni necessarie al momento dell’esecuzione

del compito (I).

L’incertezza del compito nasce dal livello d certezza/incertezza degli obiettivi e dal livello di

conoscenza delle relazioni tra le variabili in gioco. L’incertezza del compito può quindi

essere scomposta in:

- variabilità

- difficoltà

La variabilità è data da:

- numero di eccezioni

- instabilità nel tempo

- stabilità ed uniformità degli input necessari e degli output richiesti.

Essa determina la capacità di standardizzazione del compito e quindi la possibilità di

strutturazione. La difficoltà è data da:

- complessità del processo di analisi

- tempo necessario all’analisi

- livello di know-how richiesto.

Essa determina le capacità professionali richieste, le necessità di specializzazione e

coordinamento. Le strategie organizzative potranno allora essere:

Page 106: Il business plan - Iannas

17

1) a bassi livelli di incertezza si ricorre a norme e procedure e alla gerarchia

2) al crescere dell’incertezza si ricorre alla programmazione per obiettivi

3) al crescere ancora dell’incertezza si può agire:

a) riducendo le informazioni da elaborare utilizzando:

risorse eccedenti

unità più autonome

b) aumentando la capacità di elaborazione attraverso:

lo sviluppo del sistema informativo

il ricorso ai rapporti laterali.

j. Tecnologia e struttura

La tecnologia è vista come variabile ambientale esterna in base alla quale è possibile

definire le variabili organizzative fondamentali. Per tecnologia, uno degli autori principali,

la J. Woodward (1965) identificava il grado di continuità del processo di produzione,

inversamente associato al grado di incertezza di assorbimento del mercato. L’Autrice

mettendo in luce il rapporto tra caratteristiche organizzative ed incertezza dei processi

operativi individuò:

1) produzioni in piccola serie o unità singole:

su commessa

su modello

2) produzioni di grande serie o di massa

3) produzioni di processo

I risultati della sua ricerca sono che:

aziende simili per tecnologie hanno organizzazioni simili;

le aziende di successo hanno organizzazioni più vicine di altre a quelle tipiche della

classe tecnologica di appartenenza;

per ciascuna classe sono diverse le funzioni critiche di successo.

Il gruppo di Aston (1976) verificò i risultati precedenti per quanto riguarda la configurazione

organizzativa, cioè la distribuzione dei ruoli e la divisione del lavoro. Mentre per la struttura

Page 107: Il business plan - Iannas

18

organizzativa intesa come standardizzazione, formalizzazione, ecc., fecero riferimento alla

dimensione aziendale. Essi concludevano che

- la tecnologia influenza l’organizzazione della produzione

- la tecnologia influenza l’organizzazione dell’intera azienda quando questa è piccola

- la tecnologia ha limitata influenza sulle grandi organizzazioni nel loro complesso, perché

sono rilevanti le parti che non hanno connessione diretta con la produzione.

Esso concludeva che il vertice aziendale è indipendente dalla tecnologia che invece influenza

l’organizzazione della produzione.

Newman (1974) espresse la natura della tecnologia dell’impresa in termini di tipologia di

problemi affrontati:

- problemi uguali non frequenti: stabilità

- problemi uguali ma frequenti: elasticità regolata

- problemi nuovi e frequenti: elasticità.

Per ciascuna tipologia è possibile individuare una struttura organizzativa più efficace in

termini di programmazione, leadership e controlli.

Le imprese che operano in ambienti a tecnologia stabile (trasformazione di materie prime,

servizi sociali, ecc.) dovrebbero adottare una struttura centralizzata, con un processo di

programmazione molto completo e dettagliato, un sistema di controllo molto stretto ed un

grado di partecipazione del personale alle decisioni molto limitato.

Le imprese che operano in ambienti a tecnologia cosiddetta ad elasticità controllata

(meccanica media-leggera, redazioni di giornali, ecc.) dovrebbero essere incentrate su una

organizzazione dei compiti molto specializzata (ciascun dipendente conosce i limiti della

propria discrezionalità) nel quadro di sistemi di programmazione, controllo ed informativo

molto centrati sulle singole posizioni e ruoli organizzativi.

Le imprese che operano in settori dinamici (aerospaziali, consulenza aziendale, ecc.)

dovrebbero essere impostate su una struttura con autorità decentrata, con meccanismi

operativi orientati su obiettivi con larga partecipazione dei singoli e dove la tensione di tutti i

componenti l’organizzazione è rivolta verso l’autorealizzazione.

Page 108: Il business plan - Iannas

19

k. Approccio sistemico

Si definisce sistema un complesso di parti aggregate in modo non casuale, secondo una

logica che stabilisce anche i criteri di interdipendenza tra le parti. Ogni parte di un sistema è

a sua volta composto da sottoinsiemi (chiusi o aperti).

Ogni azienda deve:

- crearsi dei confini

- gestire le relazioni di scambio con l’esterno per finalizzare i propri fini.

Nel concetto di sistema è insita l’idea di controllo intesa come regola di funzionamento

inserita nel sistema che ne consente la correzione. Il modello di controllo può essere su

feedback alla continua ricerca di un equilibrio con l’ambiente.

L’approccio sistemico propone un metodo di lavoro per l’analisi e la progettazione

organizzativa basata su:

1) definizione e chiarimento degli scopi ed obiettivi del sistema e dei suoi sottosistemi

attraverso la:

individuazione dei rapporti del sistema con l’esterno

individuazione dei sottosistemi e dei rapporti di interdipendenza

2) costruzione di un modello del sistema per definire la sequenza I/O per studiare

l’interazione tra le parti;

3) raccolta ed elaborazione dei dati per assicurare un flusso continuo di informazioni in

tutte le direzioni e tra le parti;

4) assicurazione di controlli efficienti per stato presente e futuro su feedback;

5) assicurazione del coordinamento tra le parti e del tutto.

Page 109: Il business plan - Iannas

20

Modelli di organizzazione

Il problema fondamentale per ogni organizzazione è quello di definire la propria struttura in

relazione agli obiettivi, all’ambiente esterno, alle risorse disponibili.

I 3 tipi di modelli proposti per l’identificazione del tipo di struttura:

1) modello tradizionale: parte dai criteri di divisione orizzontale

2) modello Ansoff-Braundenburg: parte dai criteri di progettazione strutturale e dal tipo di

decisione consentita ai vari livelli;

3) modello Mintzberg: parte dall’evoluzione relativa dei rapporti tra i gruppi che

compongono l’organizzazione.

Nel modello tradizionale i criteri di raggruppamento più diffusi per mansioni, unità

elementari ed unità di livello superiore sono:

- su base numerica: si divide il lavoro tra le persone o le unità, e si raggruppano le

persone o le unità di livello superiore sulla base di un parametro numerico considerando

per es. il carico di lavoro che può essere assorbito da ciascuna persona, il numero di

dipendenti controllabili da un capo, ecc. E’ rilevante solo il fattore numerico e siamo in

condizioni di perfetta sostituibilità delle persone;

- su base temporale: si divide il lavoro in base al fattore tempo perché il fatto essenziale è

che il lavoro venga svolto con continuità;

- su base funzionale: aggregazione dei compiti in base alle funzioni svolte

nell’organizzazione: produrre, vendere amministrare, progettare, controllare, ecc.

Quindi si riuniscono le persone in base alla similitudine dei compiti da svolgere o delle

competenze richieste;

- per area geografica/localizzazione: si riuniscono le persone in base all’area geografica

in cui operano;

- per prodotto su cui lavorano: si riuniscono le persone in base al prodotto cui lavorano;

- per cliente o mercato: si riuniscono le persone in base al cliente per cui lavorano;

- per tecnologia/processo: si riuniscono le persone in base alla tecnologia che utilizzano o

al processo che svolgono;

Page 110: Il business plan - Iannas

21

- per orizzonte temporale decisionale: si riuniscono le persone in base al livello temporale

di riferimento, o per tipo di decisione: a lungo, medio, breve termine, opuure

strategiche, direzionali, operative;

- per fase: programma-organizzazione-controllo, distinto per attività di innovazione e di

gestione;

- per progetto: non per tutta la struttura ma per gruppi impegnati su attività specifiche.

In generale in una struttura complessa, normalmente articolata su più livelli, è raro che

venga utilizzato un solo criterio di divisione orizzontale del lavoro. Questo perché ogni criterio è

funzionale ad una sola variabile critica di successo, mentre le variabili critiche

dell’organizzazione su sempre più di una.

Dopo aver deciso la suddivisione orizzontale occorre definire quella verticale in base ai

parametri organizzativi di:

- ampiezza di controllo: intesa come numero di dipendenti diretti da una

persona/posizione;

- numero di livelli gerarchici organizzati.

Il rapporto tra questi due parametri definisce se una struttura è piatta o verticale. Le strutture

verticali hanno i seguenti vantaggi:

- forniscono ai dipendenti carriere a molte tappe;

- richiedono un basso carico di supervisione;

- consentono un forte controllo sui dipendenti;

- consentono una specializzazione spinta.

Si indicano invece i seguenti svantaggi:

- presentano elevati costi fissi;

- comportano problemi di comunicazione e di controllo diretto;

- possono creare ambiguità nella suddivisione delle responsabilità fra i diversi livelli;

- essendo basate sul controllo, deresponsabilizzano e deprimono motivazioni e sviluppo.

Occorre privilegiare innanzitutto l’identificazione delle aree di criticità operativa e

decisionale indotte dal compito primario e dalla loro classificazione in scala di priorità. La scelta

Page 111: Il business plan - Iannas

22

va fatta dopo aver individuato le variabili critiche di successo che tengano conto delle diversità

specifiche di ogni organizzazione.

In corrispondenza ai criteri di specializzazione usati al primo livello aziendale, le

configurazioni organizzative saranno:

1) struttura funzionale (fig.9): si ricerca l’efficienza attraverso la competenza specialistica

rispetto alle risorse da trattare ed alle attività specifiche da svolgere; ha le seguenti

caratteristiche:

Figura 9 – Struttura funzionale

si può sviluppare dimensionalmente in maniera limitata;

privilegiare obiettivi di efficienza tramite competenza specialistica, riduzione dei

costi di struttura; realizzazione di economie di scala;

formazione specialistica dei dipendenti;

centralizza il controllo;

accentra la responsabilità di profitto;

consente facilmente il controllo dei costi delle funzioni;

consente una gestione rapida delle eccezioni operative del sistema di comunicazioni

e decisionale tramite la gerarchia;

DIREZIONE GENERALE

Centro elaborazione

dati

Direzione commerciale

Direzione tecnica

Direzione amministrativ

a

Acquisti

Amministrazione clienti

Marketing Distribuzione Vendite Italia Vendite export

Progettazione Tecnologie e

impianti Produzione

STAB. 1 Rep. 1 Rep. 2 Rep. 3

STAB. 2 Rep. 1 Rep. 2 Rep. 3

Contabilità generale

Contabilità industriale

Finanza

Page 112: Il business plan - Iannas

23

consente una buona flessibilità operativa con gamma prodotti/mercati limitata;

Essa presenta i seguenti svantaggi:

lo sviluppo dimensionale porta ad un appesantimento del coordinamento e la

tendenza alla burocratizzazione;

non si favorisce l’innovazione perché si tende ad evitare la diversificazione;

non si sviluppano competenze manageriali integrate;

non si riesce a gestire situazioni di instabilità.

2) struttura per prodotto (fig.10): quando cresce l’esigenza di spostare l’attenzione dalle

funzioni ai prodotti; è corretto parlare di struttura divisionale quando alle unità si

assegna una responsabilità di profitto; restano centralizzate solo la gestione delle risorse

comuni a più divisioni;. Le caratteristiche positive sono:

Figura 10 – Struttura divisionale per prodotto

consente lo sviluppo dimensionale;

consente autonomia decisionale e di comportamento, adeguate ai singoli mercati di

riferimento;

garantisce l’attenzione del management sui singoli prodotti;

consente il decentramento delle responsabilità di profitto;

DIREZIONE GENERALE

Direzione abbigliamento

Direzione tessuti

Acquisti

Direzione pianificazione e controllo

Direzione finanza

Servizio legale Servizio relazioni sindacali

Direzione vendite

Direzione produzione

Direzione programm.

Direzione marketing

Direzione amministr.

Direzione personale

Italia Export Stabilim. Servizi di produz.

Page 113: Il business plan - Iannas

24

favorisce lo sviluppo di quadri direttivi con capacità globali.

Presenta i seguenti svantaggi:

al crescere delle dimensioni ogni divisione presenta gli svantaggi delle strutture

funzionali; se cresce il numero di divisioni cresce il carico direttivo di

coordinamento;

conflitti nelle divisioni tra innovazione e stabilità;

conflitti sulla distribuzione delle risorse tra le divisioni;

duplicazione di risorse specialistiche;

possono venire a mancare dirigenti con sufficienti capacità direzionali.

Possono aversi le varianti:

- holding: con completa delega alle divisioni da parte del centro (anche giuridicamente

autonome); alla direzione resta solo il controllo finanziario;

- conglomerate: la direzione dà molta importanza alla diversificazione, gestendo il

gruppo in un’ottica esclusivamente finanziaria, acquisendo, mantenendo o cedendo

in funzione dei risultati delle singole società;

3) struttura per area geografica: diversificazione geografica di unità complesse ed

autosufficienti; simile alle strutture per prodotto

4) struttura per progetto (funzione del ruolo assunto dal project manager) al crescere della

complessità aziendale o delle problematiche affrontate. Si crea quando oltre a svolgere

l’attività primaria, l’unità svolge anche attività specifiche non ripetitive, oppure ha come

attività primaria lo svolgimento di simili attività e nasce l’esigenze di coordinare,

programmare e controllare tali attività. Si creano ruoli di coordinamento dei singoli

progetti (project manager-PM) e si differenziano in base all’autorità sulle risorse in:

- debole o per influenza: il PM ha un ruolo di pianificazione, coordinamento e

controllo per i tempi di avanzamento, i costi e la qualità, ma non ha responsabilità

gerarchica sulle risorse; il ruolo è ambiguo, e deve essere svolto da persone che

abbiano competenza, esperienza ed immagine aziendale per svolgere un ruolo basato

solo sull’influenza;

- pura o forte (fig.11): il PM ha completa autorità gerarchica sulle risorse;

-

-

Page 114: Il business plan - Iannas

25

Figura 11 – Struttura per progetto pura e forte

- a matrice (fig.12): il PM condivide la responsabilità con i diversi responsabili

funzionali che hanno la responsabilità del reperimento e sviluppo delle risorse e di

garantire la loro disponibilità al PM.

Figura 12 – Struttura per progetto a matrice

DIREZIONE GENERALE

Centro elaborazione

dati

Ricerca e sviluppo

Vendite Pianificazione lungo termine

Amministr.

Capo progetto A

Capo progetto B

Progettaz. Produzione Collaudi Contabilità progetto

Progettaz Produzione Collaudi Contabilità progetto

Gestione contratti

Controllo qualità

Personale Gestione contratti

Controllo qualità

Personale

DIREZIONE GENERALE

Progettaz. Produzione Collaudo Vendita Gestione Amministrat.

Capo progetto A

Responsabile Amministraz.

Capo progetto B

Capo progetto C

Responsabile Amministraz.

Responsabile Amministraz.

Responsabile Vendite

Responsabile Vendite

Responsabile Vendite

Collaudatori

Collaudatori

Collaudatori

Responsabile Produzione

Responsabile Produzione

Responsabile Produzione

Responsabile Progettazione

Responsabile Progettazione

Responsabile Progettazione

Page 115: Il business plan - Iannas

26

5) struttura per matrice per incrocio funzione/progetto: ha le caratteristiche di prima ma

può nascere anche dall’incrocio prodotto/funzione, o mercato/funzione, ecc. Nasce

quando si avverte l’esigenza di incrociare due criteri di divisione del lavoro ritenuti

ambedue critici per la realizzazione del compito aziendale. Ha la caratteristica di

garantire la flessibilità e l’interfunzionalità. Ha il difetto di creare un doppio comando,

con natura di inefficienza determinata dai forti sovraccariche decisionali e di

coordinamento al vertice

Il modello di Ansoff-Brandenburg individua 4 tipologie di efficienza organizzativa:

- efficienza in condizioni di stabilità: si privilegia la minimizzazione dei costi con un

compromesso tra i vantaggi dell’economia di scala ottenuti con concentrazioni dei

reparti produttivi e gli svantaggi dei costi di trasporto dei beni dagli stabilimenti ai

mercati; il criterio può essere quello di assegnare le responsabilità al livello in cui tutte

le principali variabili decisionali sono chiaramente osservabili e possono essere

bilanciate; non è requisito fondamentale la rapidità delle risposte alle condizioni interne

ed esterne;

- elasticità operativa: misura la capacità di effettuare mutamenti rapidi nei volumi di

produzione determinati da variazioni nel livello della domanda o da azioni della

concorrenza; le condizioni di un sistema operativo progettato per l’elasticità operativa

tendono ad essere in antitesi a quelle in condizioni di stabilità; si privilegia per esempio

il decentramento degli impianti, l’avere una quota di capacità produttiva di riserva;

- elasticità strategica: misura la capacità di reagire a mutamenti nelle caratteristiche della

produzione, quali l’obsolescenza dei prodotti, i mutamenti di tecnologia, il modificarsi

del quadro normativo, ecc.; normalmente si agisce acquisendo nuove aziende o

abbandonando parte delle attività esistenti; occorre un sistema perfezionato di analisi e

controllo dell’ambiente esterno, centri decisionali capaci di agire in conformità a input

forniti dal sistema informativo, una struttura operativa capace di elaborare idee e

decisioni ai vari livelli dell’azienda con un efficace scambio di comunicazioni tra

direzione e sottosistemi aziendali; anche in questo caso la struttura richiesta è antitetica

con quella in condizioni di stabilità; la struttura richiesta è quindi un mix di carattere

innovativo per le modificazioni e di stabilità per il contingente;

Page 116: Il business plan - Iannas

27

- elasticità strutturale: misura la capacità di effettuare cambiamenti strutturali quando le

predenti elasticità non sono sufficienti; lo stimolo è costituito in genere dai mutamenti

tecnologici che intervengono sia nel processo direzionale che nel processo operativo;

Per analizzare le tipologie di strutture organizzative si analizzano:

1) livelli di responsabilità direzionale e rapporti intercorrenti

2) tipi di decisioni delegate

a) a livello strategico

- decisioni di espansione

- decisioni di diversificazione

b) a livello direzionale

- decisioni sulla struttura organizzativa

- decisioni sull’acquisizione e sviluppo di risorse

c) a livello operativo

- decisioni sulla realizzazione delle attività produttive.

Vengono quindi individuate:

1) Strutture funzionali: danno efficienza in condizioni di stabilità che si ottiene per mezzo

delle economie di scala, sono parzialmente elastiche sul piano operativo; tale

caratteristica viene persa man mano che aumentano le dimensioni; scarsa elasticità

strategica e strutturale. Le decisioni operative prevaricano le altre, esiste conflitto tra

attività innovative e tradizionali, nella determinazione delle retribuzioni si retribuisce la

redditività delle attività attuali, non si incentiva l’assunzione di rischi. L’elasticità

strutturale è limitata dalla mancanza di risorse organizzative destinate alla progettazione

ed all’introduzione di mutamenti strutturali;

2) Struttura divisionale: consiste nel raggruppare le attività in base ai prodotti ed ai mercati

relativi e non in base alle attività svolte; ciascun gruppo di prodotti e di mercati viene

assegnato ad un dirigente; solo le decisioni strategiche di diversificazione restano alla

direzione centrale, oltre ad alcune decisioni operative comuni a tutte le divisioni quali

gli acquisti, i servizi finanziari, i servizi legali, la formazione del management, la

ricerca. Risulta difficile una chiara attribuzione delle responsabilità che determinano

inefficienze nella direzione del mutamento strategico. C’è una buona elasticità operativa

Page 117: Il business plan - Iannas

28

combinata con efficienza in condizioni di stabilità. Si incrementa l’elasticità strategica e

strutturale, ma solo marginalmente. A livello centrale il carico di lavoro direzionale è

meno gravoso e si può prestare attenzione ai problemi di diversificazione, alla strategia

globale, ecc.

3) Strutture elastiche: serve per aziende che mutano frequentemente il mix di prodotti, con

prodotti di vita breve. Le attività sono divise tra quelle di sviluppo (responsabili delle

decisioni strategiche di pianificazione e delle decisioni direzionali di sviluppo risorse e

specializzazione imprese) e quelle per i progetti (responsabili della realizzazione dei

piani strategici e del conseguimento delle posizioni del mercato e del progetto). La

direzione centrale si occupa della pianificazione strategica globale dell’impresa. I capo

progetti vengono nominati di volta in volta e le risorse umane vengono ruotate tra i vari

progetti. Sono molto alte tutte le elasticità.

4) Strutture innovative: consistono nel riunire in un gruppo operativo per le attività

correnti prodotti e mercati già affermati, e nell’assegnare lo sviluppo di nuove posizioni

ad un gruppo per l’innovazione. E’ possibile che il gruppo per le innovazioni abbia la

responsabilità strategica solo della diversificazione mentre quella di espansione viene

lasciata al gruppo operativo per le attività correnti. Ogni prodotto innovativo viene

seguito dall’apposito gruppo sino alla prima commercializzazione, nella fase successiva

se ne occuperà il gruppo delle attività correnti. Anche questa struttura è molto elastica,

ma vengono in parte sacrificate le economie di scala sia per la duplicazione delle risorse

nei due gruppi, sia per la struttura a progetto del gruppo per l’innovazione.

Nel modello di Mintzberg l’organizzazione viene definita come il complesso delle modalità

secondo le quali viene effettuata la divisione del lavoro in compiti distinti e viene realizzato il

coordinamento tra tali compiti-

Le variabili dell’organizzazione devono essere scelte in maniera da garantire un’armonia ed

una coerenza sia tra gli elementi interni sia tra questi e le condizioni esterne.

Cinque meccanismi sembrano spiegare le modalità fondamentali attraverso le quali avviene

il coordinamento:

1. Adattamento reciproco: comunicazione informale

2. Supervisione diretta: persona che assume la responsabilità del lavoro di altri, dando

ordini e controllando le azioni

Page 118: Il business plan - Iannas

29

3. Standardizzazione degli output: si specificano i risultati

4. Standardizzazione delle capacità di lavoratori: si specifica il tipo di formazione

richiesta.

5. Standardizzazione dei processi produttivi

Il passaggio da un meccanismo all’altro è determinato dall’aumento della complessità delle

attività svolte, considerando come ultimo meccanismo il ritorno al n. 1 adatto sia a condizioni

molto semplici come a condizioni molto complesse.

Le parti che compongono un’organizzazione sono:

1. Nucleo operativo

2. Tecnostruttura

3. Linea intermedia

4. Staff

5. Vertice strategico

Figura 13 – Le cinque parti fondamentali dell’organizzazione

Il terzo elemento di riferimento della progettazione organizzativa è la modalità di analisi del

funzionamento del flusso di potere:

1. Sistema di autorità formale

2. Sistema di flussi regolati

VERTICE

STRATEGICO

LINE

INTERMEDIA

STAFF DI

SUPPORTO

TECNOSTRUTTURA

NUCLEO OPERATIVO

Page 119: Il business plan - Iannas

30

3. Sistema di comunicazioni informali

4. Sistema di costellazioni di lavoro

5. Sistema di processi decisionali ad hoc

Possiamo adesso definire i parametri della progettazione organizzativa:

1. Progettazione delle posizioni individuali. I parametri sono:

a) ampiezza o specializzazione orizzontale delle mansioni: il lavoratore svolge una

varietà di compiti connessi con l’ottenimento di prodotti e servizi;

b) profondità o specializzazione verticale delle mansione: separa l’esecuzione dalla

direzione del lavoro, cioè l’esecuzione dal controllo;

c) formalizzazione del comportamento: può essere ottenuto attraverso la mansione, il

flusso di lavoro o le regole. Viene attuata per prevedere e controllare il lavoro. Tale

formalizzazione è più spinta nelle organizzazioni burocratiche che in quelle

organiche, quindi viene applicata maggiormente nelle attività stabili e ripetitive

(minori nel nucleo operativo);

d) formazione: capacità e conoscenze connesse a una mansione

e) indottrinamento: processo di acquisizione delle norme organizzative proprie di

un’organizzazione.

2. Progettazione della macrostruttura: l’individuazione dei compiti e la loro aggregazione

in posizioni avviene con una procedura top-down, mentre la progettazione di come

queste posizioni vengono unite in unità superiori avviene from bottom top up. I

parametri sono:

a) raggruppamento in unità: favorisce la supervisione direta ed il reciproco

adattamento fra le posizioni all’interno di un’unità. E’ la base per la

standardizzazione degli output perché fornisce undici comuni di performance.

Differenzia le diverse unità sfavorendo il coordinamento. Una distinzione può

essere fatta tra:

- raggruppamenti in base ai fini o alle caratteristiche dei mercati serviti;

- raggruppamenti in base ai mezzi o funzioni utilizzate per produrre.

La scelta per le basi di raggruppamento va fatta tenendo conto delle

interdipendenze tra:

- flussi di lavoro

Page 120: Il business plan - Iannas

31

- processi di lavoro

- interdipendenza di scala

- rapporti sociali

I raggruppamenti del 1° ordine tendono ad essere su base funzionale, i

raggruppamenti manageriali su base di mercato.

b) dimensioni delle unità: i fattori che spingono verso l’aumento delle dimensioni

sono:

- standardizzazione

- similarità dei compiti

- bisogni di autonomia dei dipendenti

- necessità di ridurre le distorsioni nelle informazioni che risalgono la linea

gerarchica.

I fattori che spingono verso la diminuzione delle dimensioni sono:

- esigenze di stretta supervisione diretta

- necessità di adattamento reciproco fra compiti complessi ed interdipendenti

- estensione dei compiti ce il capo deve svolgere oltre alla supervisione diretta

- necessità di numerosi contatti tra capo e addetti.

Le dimensioni più elevate si trovano nel nucleo operativo.

3. Progettazione dei collegamenti laterali. I parametri sono:

a) sistemi di pianificazione e controllo: sono progettati nella tecnostruttura degli

analisti. Si possono distinguere:

- sistemi di controllo delle performance: è particolarmente intenso nelle unità

raggruppate in base al mercato dove le interdipendenze sono generiche. Viene

usato sia a fini di valutazione che a fini di motivazione.

- pianificazione dell’azione: rappresenta il mezzo per gestire decisioni ed azioni

non di routine nelle unità raggruppate su base funzionale.

Più le responsabilità sono di carattere globale più le unità tendono a controllare la

performance complessiva piuttosto che le azioni specifiche.

b) meccanismi di collegamento: essi sono incorporati di solito nell’organizzazione

formale e tendono a favorire i rapporti tra le persone. Il loro utilizzo riduce la

dimensione media delle unità. Dando luogo ad una proliferazione di manager. Sono

tipici delle organizzazioni organiche e specialmente per attività specializzata

Page 121: Il business plan - Iannas

32

orizzontalmente, complesse e molto interdipendenti. Sono molto usati ai livelli

intermedi della struttura. Si distinguono:

- posizioni di collegamento

- task forces e comitati

- manager integratori o posizioni di collegamento con autorità formale sui

processi decisionali, ma mai sulle persone

- struttura a matrice: rinuncia al principio dell’unità di comando. Si distinguono:

- struttura permanente, quando le interdipendenze sono stabili;

- struttura temporanea per progetti specifici.

4. Decentramento verticale e orizzontale: una struttura sarà accentrata se il potere

decisionale è in un unico punto. L’accentramento permette di coordinare l’assunzione

delle decisioni fintanto che per motivi locali o di motivazione non é più opportuno

decentrare e diffondere il potere. Il decentramento può essere selettivo se il potere si

colloca in punti diversi dall’organizzazione, oppure parallelo se ad uno stesso punto

sono assegnate le decisioni su molte questioni. Il decentramento è massimo quando il

decision maker controlla solo la fase della scelta; egli perde potere in favore di chi

raccoglie le informazioni, le elabora per consigliarlo, ne autorizza la scelta e ne esegue

la volontà. I parametri sono:

a) decentramento verticale: si delega il potere lungo la gerarchia di autorità. Il

decentramento selettivo è logicamente associato con costellazioni di lavoro la cui

base di raggruppamento è di tipo funzionale. Per il coordinamento delle

costellazioni di lavoro si ricorre al reciproco adattamento. Il decentramento

parallelo garantisce autonomia alle imprese divisionalizzate, In questo caso: il

coordinamento è gestito attraverso il sistema di controllo delle performance. La

divisione è una forma limitata di decentramento verticale.

b) Decentramento orizzontale: si delega il potere allo staff, agli analisti, agli oratori. Il

decentramento è configurabile in 4 tipologie:

- una sola persona

- pochi analisti

- esperti

- tutti

Il potere ad una sola persona configura il max accentramento.

Page 122: Il business plan - Iannas

33

Il potere a pochi analisti che standardizzano le attività di tutti è un decentramento

limitato che riduce il potere dei manager di line di livello inferiore.

La supervisione diretta rappresenta il meccanismo di coordinamento più

accentratore, il reciproco adattamento quelle umano.

Il potere agli esperti determina una organizzazione che in misura elevata si affida

alla conoscenza specialistica, Si possono distinguere:

- potere informale agli esperti e linea tradizionale di autorità

- potere formale agli esperti

- potere agli operatori in quanto esperti

Il potere a tutti rappresenta un’eccezione ristretta a poche organizzazioni

democratiche di volontariato.

Risulta quindi possibile identificare 5 tipi di decentramento:

- accentramento verticale e orizzontale

- decentramento orizzontale selettivo limitato

- decentramento verticale parallelo limitato

- decentramento orizzontale e verticale selettivo

- decentramento orizzontale e verticale

Una progettazione organizzativa efficace richiede una coerenza tra il complesso dei

parametri di progettazione ed il complesso dei fattori contingenti. Questa va sotto il

nome di configurazione allargata, unione delle ipotesi di conseguenza tra i

parametri progettati ed i fattori contingenti e di configurazione come coerenza tra i

parametri progettati: I principali parametri contingenti sono:

I. Età: è possibile individuare due ipotesi fondamentali:

a) Maggiore è l’età dell’azienda, maggiore è la formalizzazione del

comportamento

b) L’organizzazione riflette l’epoca di costituzione del settore.

II. Dimensione: è possibile individuare 3 ipotesi

c) maggiore è la dimensione aziendale, più articolata è la sua organizzazione

e più sviluppata è la componente direzionale

d) maggiore è la dimensione aziendale, maggiore è la dimensione media delle

unità organizzative

Page 123: Il business plan - Iannas

34

e) maggiore è la dimensione dell’azienda, più elevata è la formalizzazione

del comportamento.

III. Sistema tecnico: è possibile individuare 3 ipotesi

f) maggiore è il grado di regolazione del sistema tecnico, più l’attività

operativa è formalizzata e più l’organizzazione del nucleo operativo è’

burocratica

g) più il sistema tecnico è sofisticato, più articolata è la struttura operativa:

più ampio e professionale è lo staff, maggiore è il decentramento selettivo

a tale staff e più elevato è l’utilizzo dei meccanismi di collegamento al suo

interno.

h) L’automazione del nucleo operativo trasforma una struttura direzionale

burocratica in organica.

Secondo la ricerca della Woodward è possibile evidenziare:

i) Produzioni di unità o di piccola serie

j) Produzione di grande serie o di marca

k) Produzione di processo

IV. Ambiente in questo ambito si possono individuare:

i) stabilità

ii) complessità

iii) diversità dei mercati

iv) ostilità

E’ possibile individuare 5 ipotesi:

l) più l’ambiente è dinamico, più l’organizzazione è organica

l) più l’ambiente è complesso più l’organizzazione è decentrata

m) più i mercati sono diversificati, più l’organizzazione tende a

strutturarsi per mercati (a meno di rilevanti economie di scala)

n) l’elevata ostilità dell’ambiente spinge le aziende ad accentrare

temporaneamente le proprie attività

o) l’eterogeneità dell’ambiente spinge l’azienda a decentrare in modo

selettivo a costellazioni di lavoro diverse.

V. Potere: è possibile individuare tre ipotesi:

Page 124: Il business plan - Iannas

35

n) maggiore è il controllo esterno sull’azienda, più la sua organizzazione è

accentrata e formalizzata

o) il bisogno di potere dei membri dell’azienda tende a determinare

organizzazioni eccessivamente accentrate

p) la moda favorisce l’organizzazione del momento (e in linea con la cultura,

anche quando non è appropriata).

Le combinazioni degli elementi considerati (meccanismi di coordinamento, fattori

contingenti, parametrici progettazione) tendono a combinarsi secondo 5 tipologie ideali:

1. struttura semplice:

il vertice aziendale spinge per l’accentramento, il coordinamento avviene per

supervisione diretta

2. burocrazia meccanica:

la tecnostruttura spinge per la standardizzazione delle attività produttive, il

decentramento selettivo limitato orizzontale

3. burocrazia professionale:

il nucleo operativo promuove il decentramento orizzontale e verticale per minimizzare

l’influenza della direzione e agire autonomamente

4. soluzione divisionale:

i manager della linea intermedia ricercano l’autonomia spingendo per un decentramento

verticale limitato e la standardizzazione degli output

5. adhocrazia:

lo staff di supporto spinge per l’organizzazione con costellazioni, un decentramento

selettivo del potere ed adattamento reciproco.

LA STRUTTURA SEMPLICE:

La tecnostruttura è assente, vi sono pochi addetti allo staff di supporto. L’ampiezza di

controllo al vertice è elevata. La divisione del lavoro non è rigida, la differenziazione tra le unità

è minima. E’ assente una forza lavoro professionalizzata. La gerarchia manageriale è poco

sviluppata come la formalizzazione del comportamento, la pianificazione, la formazione e l’uso

dei meccanismi di collegamento.

Page 125: Il business plan - Iannas

36

Figura 14 – La struttura semplice

Il coordinamento è del tipo supervisione diretta. Il potere è accentrato al vertice. Il processo

decisionale è flessibile e rapido. Esiste un forte sentimento di identificazione nell’impresa.

Essa si presenta o nelle aziende giovani (può permanere indefinitamente anche nelle piccole

imprese) o nelle aziende in crisi.

Si distinguono le forme di:

- organizzazione sintetica: crisi temporanea

- organizzazione autocratica: accumulazione del potere senza formalizzazione

- organizzazione carismatica: il leader acquisisce potere per meriti.

Esiste confusione tra problemi strategici e operativi. E’ molto vincolante per le ambizioni

professionali degli addetti.

LA BUROCRAZIA MECCANICA

I compiti operativi sono molto specializzati e di routine con procedure formalizzate nel

nucleo operativo impostato in unità di grandi dimensioni raggruppate su base funzionale. Il

coordinamento si ha con la supervisione diretta.

La tecnostruttura è la parte fondamentale, costituita dagli analisti delle procedure di

standardizzazione del lavoro. Il processo decisionale, che si sviluppa lungo la linea di autorità, è

piuttosto accentrato, anche per la disponibilità di informazioni. Le unità operative sono molto

differenziate ed è accentuata la divisione del lavoro.

I manager di line hanno l’autorità formale, lo staff consiglia. L’organizzazione è

ossessionata dalla necessità di controllo. Questi sistemi sono necessari per abbassare la continua

conflittualità esistente a tutti i livelli.

Page 126: Il business plan - Iannas

37

Figura 15 – La burocrazia meccanica

Il vertice aziendale è in parte assorbito dalla gestione dei conflitti. Esiste un forte ricorso alla

pianificazione dell’azione. E’ caratteristica di ambienti stabili e semplici, di aziende mature di

dimensioni elevate e con sistemi tecnici ad alto grado di regolazione, ma non automatizzati. Si

osservano le seguenti forme di burocrazia:

- semplice: in assenza di struttura direzionale articolata

- meccanica pubblica: enti pubblici

- di controllo: corpi di polizia

- di sicurezza: aziende di trasporto aereo

- per le contingenze: pompieri

In caso di controllo esterno tutte le organizzazioni tendono a diventare burocratiche.

I problemi principali di questa struttura sono nelle motivazioni ed aspettative del lavoratori.

Le eccezioni vengono fatte risalire lungo la gerarchia sino a trovare il manager che ha il

potere di decidere. Ciò provoca un forte aggravio del carico decisionale della direzione che

diventa opprimente quando è anche necessario prendere delle decisioni strategiche. Si desume

quindi che la struttura non è in grado di modificare la propria strategia tempestivamente.

LA BUROCRAZIA PROFESSIONALE:

Il nucleo operativo è la parte fondamentale. Lo staff è sviluppato ma è al servizio del nucleo

operativo. E’ un’organizzazione decentrata orizzontalmente e verticalmente. Nel nucleo

operativo ci sono solo professionisti, con capacità standardizzate, che controllano il loro lavoro

Page 127: Il business plan - Iannas

38

ma anche le decisioni amministrative e direzionali che li riguardano. La line intermedia è poco

sviluppata ed è composta da professionisti del nucleo operativo che dedica molto tempo alla

gestione delle varianze che si manifestano nell’organizzazione. Essi svolgono anche una

funzione di rappresentanti con l’ambiente esterno. Essi detengono potere in quanto ottengono

appoggi e finanziamenti dall’ambiente esterno per le attività operative.

Figura 15 – La burocrazia professionale

Le strategie collettive coincidono con quelle dei singoli a meno delle attività specifiche

cumulate nel tempo da ciascuno. L’ambiente è complesso e stabile, cioè con procedure difficili

da apprendere ma sostanzialmente non mutabili nel tempo. Nella struttura pura il sistema tecnico

è semplice. Si osservano le forme di:

- burocrazia professionale dispersa: Cia

- burocrazia/adhocrazia professionale: ospedali

- burocrazia professionale semplice: orchestra sinfonica

Non esistendo alcun controllo diventa difficile rimediare le deficienze. Il coordinamento tra

staff e professionisti e tra questi stessi è difficile.

La discrezionalità consente ai professionisti poco coscienziosi di non tenere conto delle

esigenze di clienti ed azienda. E’ un’organizzazione rigida poco adatta alle innovazioni. Il

tentativo di controllare le attività non è adatto per compiti complessi e turba la libera relazione

tra cliente e professionista.

LA SOLUZIONE DIVISIONALE:

Il raggruppamento delle attività al vertice è in base al mercato. La scarsa interazione

minimizza le necessità di coordinamento.

L’ampiezza di controllo del vertice strategico è elevata. Si ha un decentramento verticale

limitato parallelo. E’ piuttosto accentrata.

Page 128: Il business plan - Iannas

39

Il principale meccanismo di coordinamento è la standardizzazione dell’output, il parametro

di progettazione organizzativa è il sistema di controllo delle performance.

La direzione controlla le divisioni con la supervisione diretta. All’interno le divisioni

tendono ad organizzare come burocrazia meccanica.

Figura 16 – La forma divisionale

Esiste una rigida divisione del lavoro tra direzione centrale e divisioni, le comunicazioni

sono formali i rapporti personali sono limitati per non perdere potere.

La direzione centrale ha il potere di gestire il portafoglio strategico e di allocare le risorse

finanziarie, inoltre la direzione ha il potere di controllare le performance e di nominare e

sostituire i responsabili delle divisioni. Le visite periodiche consentono alla direzione un

controllo personale. Viene adottata in presenza di mercati di verificati ed essa stessa spinge alla

diversificazione.

La divisionalizzazione è attuabile quando il sistema tecnico può essere diviso in parti. E’

presente in ambienti poco complessivi e poco dinamici.

Il suo utilizzo viene ritardato dall’assenza di pressione competitiva. All’aumentare della

dimensione e dell’età le impreso sono portate a diversificare e a divisionalizzare. I manager di

line intermedia spingono per questa struttura per acquisire potere.

La soluzione divisionale adottata dopo una diversificazione strategica favorisce un’efficiente

allocazione dei capitali all’interno dell’impresa, forma generale manager, ripartisce i rischi ed

aumenta l’elasticità strategica.

Page 129: Il business plan - Iannas

40

Viene vanificata quando i manager della direzione tendono ad accentrare alcune funzioni

importanti, rendendo di fatto vane le azioni delle divisioni.

In questa soluzione il consiglio di amministrazione perde il potere di controllo perché non

dispone delle informazioni necessarie.

Il potere dei manager di divisione è inferiore a quello di un’impresa indipendente. Protegge

le attività in periodi di congiuntura sfavorevole, ma così facendo protegge anche business non

competitivi.

Il sistema di controllo delle performance è assolutamente indifferente alle modalità di

ottenimento dei risultati, quindi eventuali conseguenze sociali delle attività della divisione

vengono ignorate.

E’ una forma instabile che oscilla tra imprese indipendenti e ritorno all’accentramento

funzionale. Le grandi dimensioni assunte dalle imprese e la spinta esercitata dalla

divisionalizzazione all’ingrandimento costituiscono un pericolo per il normale svolgersi delle

forze di mercato, e socialmente spesso spingono ad una maggiore burocratizzazione. Le fasi di

sviluppo possono essere da impresa integrata a impresa integrata con prodotti intermedi, a

impresa con prodotti correlati a impresa conglomerata.

L’ADHOCRAZIA:

E’ adatta per innovazioni complesse o sofisticate perché in grado di fondere esperti di

discipline diverse inarmonici gruppi di progetto ad hoc.

E’ un’organizzazione organica, con scarsa formalizzazione, elevata specializzazione

orizzontale delle mansioni conformazione di tipo formale. Raggruppamento su base funzionale,

ma utilizzo in piccoli gruppi interfunzionali per progetto.

Coordinamento attuato tramite reciproco adattamento. Decentramento selettivo ai gruppi in

un’organizzazione e matrice. Non esiste unità di comando, i processi informatici e decisionali

sono flessibili ed informali.

Il potere è degli esperti e dei professionisti, ma non esiste standardizzazione delle capacità

perché ciò inibirebbe l’innovazione. Sono molto utilizzati i meccanismi di collegamento laterali.

Ci sono due forme:

1. Adhocrazia operativa: rinnova e risolve i problemi per il cliente

2. Adhocrazia amministrativa: realizza i progetti per se stessa.

Page 130: Il business plan - Iannas

41

Figura 17 – L’adhocrazia

In 1) l’attività direzionale ed operativa tendono a fondersi. In 2) le precedenti sono

nettamente distinte. Il nucleo operativo viene automatizzato, oppure ceduto ad altri, oppure viene

gestito in maniera burocratica.

La distinzione tra line e staff sfuma e quest’ultimo assume primaria importanza. La

tecnostruttura è assente. Questa configurazione non è stabile e con l’età tende a burocratizzarsi.

E’ fonte di conflitti determinati dalle scelte, ma questi vanno gestiti ai fini produttivi e non

eliminati. Il vertice, strategico ha la primaria funzione di collegamento con l’esterno oltre che di

controllo dei progetti.

Le multinazionali le cui linee di prodotto sono interdipendenti e che affrontano un ambiente

caratterizzato da complessità e dinamismo crescenti saranno spinte verso l’ibrido dell’adhocrazia

divisionale.Nelle piccole imprese ad alta tecnologia si ha l’ibrido della adhocrazia

imprenditoriale.

Quando il prodotto varia continuamente a causa della competitività dei mercati e della

rapidità obsolescenza dei prodotti si ha una adhocrazia competitiva, fondata su tempi di risposta

rapidissima determinati da una perfetta conoscenza dei mercati.

I principali problemi sono:

1. ambiguità rispetto alle mansioni, al comando, che genera confusione, scarsa lealtà,

programmazione lacunosa della formazione;

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2. inefficienza nei riguardi di attività ordinarie e di routine, anche per gli elevati costi di

comunicazione e di decisione, e nella saturazione del tempo di lavoro del personale;

3. transizioni inappropriate verso soluzioni che non sono confacenti alla struttura

innovativa.

Mintzberg conclude ricordando che si sono riportati tipi ideali o puri. Rimane il problema di

dove possano essere riscontrati. E’ ovvio che ogni configurazione è una semplificazione che

minimizza la complessità delle strutture organizzative. Alcune strutture reali si presentano in

modo diverso. Alcune sono una transizione da un tipo puro all’altro, in conseguenza di una

mutata situazione. Altre presentano strutture che possono essere descritte come un ibrido di

configurazioni. Mintzberg sottolinea come le cinque tipologie individuate rappresentano una

struttura concettuale da utilizzare per comprendere il comportamento organizzativo, e come e

perché esse cambiano nel tempo.