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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Febbraio 2010 Paper numero 100 Arnaldo CANZIANI - Renato CAMODECA IL BILANCIO DELLO STATO NEL PENSIERO DEGLI AZIENDALISTI ITALIANI 1880-1970

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Febbraio 2010

Paper numero 100

Arnaldo CANZIANI - Renato CAMODECA

IL BILANCIO DELLO STATONEL PENSIERO DEGLI AZIENDALISTI ITALIANI

1880-1970

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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IL BILANCIO DELLO STATO NEL PENSIERO DEGLI AZIENDALISTI ITALIANI

1880-1970

di

Arnaldo CANZIANI Ordinario di Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia

e

Renato CAMODECA Associato di Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia

Versione ridotta del Paper “L’equilibrio del bilancio dello Stato 1880-1970 nella disciplina legislativa,

nelle sintesi statistiche e nel pensiero degli aziendalisti italiani” selezionato per la pubblicazione negli Atti del X Convegno Nazionale

della Società Italiana di Storia della Ragioneria Milano, Università Commerciale L. Bocconi, 5-6 novembre 2009;

accettato per la pubblicazione in AA.VV. “Economia Aziendale & Management: scritti in onore di Vittorio Coda”

Università Bocconi Editore, 2010, ISBN 978-88-8350-162-3

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Indice

1. Introduzione: gli studi in materia di contabilità pubblica e bilancio dello Stato ........................................................................................................... 1

2. Evoluzione legislativa e caratteristiche tecniche del bilancio dello Stato 1880 – 1970 ............................................................................................... 2

2.1. Premessa............................................................................................. 2

2.2. Il periodo classico............................................................................... 3

2.3. Il periodo post-keynesiano ................................................................. 4

2.4. Le caratteristiche tecniche del bilancio dello Stato nell’interpretazione della Ragioneria italiana 1880-1970 .................. 9

3. L'economicità dell'azienda territoriale nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1912.................................................................................... 12

3.1. L'economicità dell'azienda territoriale in Giuseppe Cerboni e nei contemporanei di Fabio Besta .................................................... 12

3.2. L'economicità dell'azienda territoriale in Fabio Besta ..................... 13

4. L'economicità dell'azienda territoriale nel pensiero degli aziendalisti italiani 1922-1948.................................................................................... 19

5. L'economicità dell'azienda territoriale negli aziendalisti italiani 1954-1970 ......................................................................................................... 21

5.1. L'economicità dell'azienda territoriale in Paolo Emilio Cassandro ......................................................................................... 21

5.2. L'economicità dell'azienda territoriale in Pietro Onida e Carlo Masini............................................................................................... 23

5.2.1. Il comune radicamento in Gino Zappa .................................. 23 5.2.2. Pietro Onida, o dell'aziendalismo keynesiano ....................... 24 5.2.3. Carlo Masini contro lo scardinamento dell'economia

nazionale................................................................................ 29

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Abstract

1. Il bilancio dello Stato italiano dall’Unità in poi percorre un lungo arco

temporale estremamente diversificato al proprio intermo per una quantità di fattori noti:

a. dal punto di vista storico: seconda (o ritardata) rivoluzione industriale; I guerra mondiale; crisi del 1929; conquista e gestione dell’Impero; II guerra mondiale; processi di sviluppo 1948-1964 e di crisi successivamente; dettami di Maastricht e ingresso nella moneta unica europea;

b. dal punto di vista economico: economie ancora agrarie e “di 100 famiglie”; sviluppi industriali da Giolitti al I dopoguerra; economia corporativa, poi libero-scambista, infine “bloccata”;

c. dal punto di vista giuridico: legge Cambray-Digny 1884-1923; riforma De’ Stefani; L. 1° marzo 1964, n. 62; programmazione economica dopo gli anni ’70.

2. Lo studio del bilancio medesimo risente delle modalità, dei metodi e

degli approcci interpretativi della Ragioneria Pubblica e della Contabilità di Stato – ad esempio i) della differenza fra la classificazione aziendalistico-patrimoniale dei valori secondo la legge De’ Stefani e la economico-funzionale della cit. L. 62/1964, ii) del passaggio dalla “finanza neutrale” al bilancio strumento della politica economica, iii) infine della differenza fra somme di valori di mercato ragioneristicamente ottenuti e costruzione di “grandi aggregati” macroeconomici di natura mista.

3. Tutto ciò premesso, scopo dello scritto è lumeggiare il pensiero degli

aziendalisti italiani a riguardo del tema, suddividendoli nelle seguenti grandi Scuole:

3.1 Giuseppe Cerboni, 3.2 Fabio Besta; 3.3 Allievi di Fabio Besta, 3.4 Gino Zappa, 3.5 Allievi di Gino Zappa.

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Il Bilancio dello Stato nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1970

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1. Introduzione: gli studi in materia di contabilità pubblica e bilancio dello Stato

Le dottrine che si sono occupate di finanza pubblica e di bilancio dello Stato in Italia, dall’Unità a oggi, se evidenziano convergenza di studi e di contributi, risultano tuttavia appartenere a molteplici branche disciplinari, non sempre omogenee, e tanto meno raccordate fra loro.

I contributi, dunque naturalmente differenziati, si collocano in un lungo arco temporale, nel corso del quale la contabilità pubblica è stata al centro di importanti riforme legislative, con interventi normativi dapprima di sistemazione della disciplina —in particolare con le leggi Cambray-Digny (1869) e De’ Stefani (1923)—, successivamente di modifica sostanziale della stessa, soprattutto con i provvedimenti degli anni Sessanta (L. 62/1964), Settanta (L. n. 468/1978) e Novanta (L. n. 94/1997).

Anche in Italia il bilancio dello Stato è dunque risultato —direttamente o indirettamente— oggetto della teoresi in campo economico, in particolare della finanza pubblica prima, della macroeconomia successivamente (fra gli altri Pantaleoni, 1891; Nitti, 1900; Lenti, 1948; Parravicini, 1951; Cozzi, 1958; Arena, 1963; Marzano, 1964; Zaccaria, 1972; et. al.) .

La teoresi economica del bilancio pubblico, tuttavia, in quanto riferita a un’entità sistemica quale è l’azienda, e nel caso di specie l’amministrazione pubblica, non può prescindere dalle discipline che da sempre hanno individuato proprio nell’azienda il proprio campo speculativo e nel bilancio il precipuo esito formale della sua economicità: Ragioneria, Economia aziendale.

Del resto, nei Maestri di queste, il bilancio pubblico quale sintesi di valori composti a sistema, previsionali o consuntivi, di reddito, di patrimonio o di cassa, non è mai risultato fine a se stesso, ma invece, come in macroeconomia, esito di processi economico-amministrativi di tipo appunto pubblico, essi pure da giudicarsi secondo i principî —questa volta aziendali— delle scelte dei bisogni da soddisfare, e della produttività-economicità nel soddisfarli.

Anzi, è proprio nelle concettualizzazioni dell’Economia Aziendale italiana, e nelle teorie contabili sviluppatesi a muovere dalla seconda metà del Secolo XIX, che si possono scorgere i due elementi di fondo sui quali la più volte ricordata teoresi economica si è costruita e sviluppata nell’arco temporale qui preso in considerazione:

a. le caratteristiche propriamente tecniche del bilancio pubblico, strumento di rendicontazione finanziaria, reddituale, patrimoniale;

b. le funzioni direttamente o indirettamente ascrivibili ai bilanci delle pubbliche amministrazioni, strumenti della programmazione

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macroeconomica e sintesi informative atte a descrivere gli esiti delle scelte di politica economica e lo stato della finanza pubblica nelle sue principali variabili quantitative.

Se nel bilancio pubblico convergono quindi —e divergono— Diritto, Economia politica, Ragioneria, Economia aziendale, il presente studio intende proporre, nei paragrafi che seguono, dapprima una sintetica ricostruzione delle tappe legislative in materia di contabilità di Stato in Italia, quindi l’illustrazione dei profili tecnici che da sempre qualificano il bilancio in quanto oggetto della Ragioneria, infine la disamina dell'articolato pensiero degli aziendalisti italiani sul tema, in particolare nel periodo 1880-1970.

Tale proposta, e con essa l’intreccio interdisciplinare che si rende ancor più manifesto alla luce di alcuni noti studi e contributi della macroeconomia, da un lato confermano la molteplicità di approcci più sopra ricordati, dall’altro pongono all’aziendalista non pochi spunti di riflessione critica in tema di validità, effettività e realismo delle politiche economiche che furono applicate in Italia soprattutto dopo gli anni ’60 del secolo XX; dunque possono richiamare alla mente Thomas Bibington Macaulay quando — nel 1848, riassumendo le vicende della finanza pubblica britannica a muovere dalla fine del Seicento— identificava nel debito pubblico “un prodigio che ha confuso la saggezza e l’orgoglio di statisti e sapienti”1.

2. Evoluzione legislativa e caratteristiche tecniche del bilancio dello Stato 1880 – 1970

2.1. Premessa

La ricostruzione storiografica, e la conseguente analisi critica, delle norme di legge dedicate alla contabilità, al bilancio e più in generale alla finanza pubblica, se collocata nell’evoluzione dell’economia e della politica italiane dall’Unità agli anni Settanta del Secolo scorso, può convenzionalmente effettuarsi distinguendo due fasi rilevanti:

a. il periodo classico, il cui perimetro si estende dall’Unità d’Italia (in particolare con la legge Cambray-Digny, 1884), fino alle riforme degli anni Sessanta (in particolare con la legge 62/1964);

b. il periodo successivo, che muove dalle suddette riforme degli anni Sessanta e giunge —nel solco della politica del deficit spending di stampo keynesiano o pseudo-tale—, fino ai giorni nostri, con le riforme

1 T.B MACAULAY (1848), History of England from the Accession of James I, 5 Vol.,

Vol. I, Chapter I.

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degli anni Settanta, Ottanta e Novanta (fra gli altri, provvedimenti sul governo del ciclo economico, con la legge n. 468/1978, e sulla programmazione pluriennale della finanza pubblica, con la legge n. 362/1988).

2.2. Il periodo classico

Dall’analisi delle norme di contabilità di Stato succedutesi dall’Unità fino ai primi anni Sessanta del secolo XX emerge un quadro complessivo che, sul fondamento dei primi provvedimenti legislativi introdotti da Cavour nella seconda metà del Secolo Decimonono (specie la legge n. 483 del 25 marzo 1853), si è poi progressivamente completato con l’attuazione di tre riforme nel 1869, 1883, 19232, se rilevanti dal punto di vista della sistemazione organica, tuttavia non segnate da significativi elementi di innovazione tecnica dal punto di vista delle caratteristiche e dei contenuti del bilancio dello Stato, già sostanzialmente definiti dai provvedimenti entrati in vigore con l’unificazione del Regno.

L’impianto legislativo dettato dalla legge 23 novembre 1923 n. 2440, in effetti, non si presentava nella sostanza molto diverso dalle previsioni legislative vigenti negli anni immediatamente successivi all’Unità. In argomento, come ebbe ad affermare lo stesso proponente,

“si andava ad adottare un sistema di norme col quale, senza discostarsi fondamentalmente dalla legislazione vigente, si apportano in questa innovazioni necessarie per rendere, sia l’opera amministrativa, sia quella connessa di controllo, più rapide e pronte”3.

Come confermato dai giuristi dell’epoca, il provvedimento in questione, infatti,

“fondava in gran parte le sue massime sui criteri della ragioneria, giacché questa scienza che ha per oggetto di tenere in evidenza le operazioni di un’azienda, è quella che meglio si presta a dare ordine alle varie parti di una legge avente come scopo la dimostrazione e la regolazione delle varie operazioni amministrative e contabili della grande azienda dello Stato” 4.

Si spiegano così, ad esempio, le norme che nel 1923 confermarono i) una struttura dei conti pubblici fondata unicamente —e semplicemente— su

2 Si tratta dei seguenti provvedimenti, tutti ampiamente noti: Legge 22 aprile 1869, n. 5026 (Cambray-Digny); Legge 8 luglio 1883, n. 1455, riunita poi con la Cambray-Digny nel Testo Unico n. 2016 del 1884; L. 18 novembre 1923, n. 2440 (De’ Stefani).

3 Relazione del Ministro Segretario di Stato per le Finanze sui decreti riguardanti le nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, 1923

4 F. ROSTAGNO (1926), Contabilità di Stato, p. 5

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prospetti contabili aventi pure funzioni di rendiconto, ii) il criterio della competenza nella formazione del bilancio, iii) infine, il criterio di classificazione dei valori —che non a caso Teodoro D’Ippolito ebbe a definire “aziendalistico-patrimoniale”5— fondato sulla distinzione fra entrate e spese “effettive” e per “movimento di capitali” (rectius, modificative e permutative), ripreso pressoché integralmente dalla dottrina ragioneristica allora dominante6.

L’accentuazione dei connotati tipicamente aziendali della pubblica amministrazione, e dunque la funzione del bilancio quale strumento per la “resa del conto” del pubblico denaro, trovava così piena rispondenza nelle caratteristiche che le norme sopra richiamate via via assegnarono al documento in parola.

Tuttavia, nella ratio delle disposizioni all’epoca vigenti, il bilancio pubblico rivestiva la funzione di strumento unicamente accertativo-contabile, volto cioè a rappresentare —sul fondamento di un meccanismo di scritture contabili— i flussi di entrata e di spesa della pubblica amministrazione, qualificando al contempo l’azione politica del potere esecutivo.

La funzione in parola, del resto, ben si incardinava nella concezione stessa dello Stato così come veniva delineandosi nelle proposte della dottrina ragioneristica italiana, concezione questa che inquadrava l’amministrazione pubblica nel più generale concetto di azienda, nel caso di specie caratterizzata dalla compresenza di processi erogativi e patrimoniali, condotti secondo una naturale politica definita all’epoca, da Aldo Amaduzzi, “di pareggio economico tra i costi dei bisogni soddisfatti e i ricavi delle contribuzioni raccolte”7.

Il periodo classico, proprio per le motivazioni e le considerazioni sino ad ora ricordate, evidenzia quindi uno speciale fervore negli studi di Ragioneria, in particolare nel campo della Ragioneria Pubblica applicata all’azienda dello Stato.

2.3. Il periodo post-keynesiano

Il quadro legislativo delineato dopo la riforma del 1923, organico e soddisfacente in relazione al contesto economico e sociale dell’epoca, manifestò i primi segni di inadeguatezza dopo la crisi del 1929, poi con il disastro delle finanze pubbliche successivo, quindi con il II conflitto mondiale, infine soprattutto con il diffondersi di interpretazioni e terapie

5 T. D’IPPOLITO (1961), Riforma del bilancio e della contabilità dello Stato 6 La dottrina del tempo è ormai ancorata - dopo il venir meno degli influssi cerboniani

dell’ultimo decennio del Secolo XIX - sulla teoria dei conti a valore di Fabio Besta 7 A. AMADUZZI (1936), Azienda di erogazione, Principato, Messina, p. 173

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keynesiane (Hansen, 1941, Hicks, 1947, Di Fenizio, 1948) le quali —ponendo in crisi il paradigma dell’economia neoclassica— criticizzarono anche alcuni cardini sui quali all’epoca si basavano le scelte di politica economica. Fu così posta in discussione, fra l’altro, l’impostazione fondata sulla finanza pubblica neutrale, e la conseguente opzione per la teoria del (necessario) pareggio del bilancio pubblico, ben coerente —fra l’altro— con una concezione tipicamente <aziendalistico-patrimoniale> dei conti dello Stato (bilancio quale strumento accertativo-contabile).

Gli eventi successivi alla crisi del 1929 segnarono dunque, almeno in alcune nazioni europee, una progressiva svolta negli indirizzi di politica economica, di fatto promuovendo l’intervento dello Stato nell’economia: la finanza pubblica, si è scritto, via via abbandonò la logica della neutralità per divenire sempre più congiunturale e attiva, con ciò tentando di favorire —e di controllare— lo sviluppo del ciclo economico8. A ciò si aggiunsero poco dopo gli sviluppi del pensiero economico, con la Teoria Generale pubblicata nel 1936, dunque con l’influsso delle teorie keynesiane percepibile fin dagli anni Quaranta del Novecento.

Le nuove tendenze della scienza economica, la progressiva legittimazione dell’intervento dello Stato nell’economia anche in forme programmatiche e debitorie, la diffusione dei parametri aggregati nella valutazione dei sistemi economici, furono tra i fattori che dettero origine alla formalizzazione di rilevazioni statistiche a livello aggregato, poi definite di “contabilità nazionale”, volte a misurare l’andamento dei principali dati aggregati delle economie nazionali. Quella, intesa in generale come “l’insieme dei principi e dei metodi con cui si rappresentano, per mezzo di conti sistematicamente collegati fra loro e con riguardo all’intera nazione, i dati relativi alla produzione, al consumo e all’investimento”9, e keynesianamente interpretata, si diffuse ampiamente nel periodo in esame dal punto di vista tecnico e infine legislativo (L. 62/1964).

La contabilità nazionale, o “macro-contabilità” nelle parole di Paolo Emilio Cassandro10, tardò dunque ad affermarsi rispetto alla contabilità dello Stato in senso stretto; le ragioni di tale ritardo, in effetti, potevano ricondursi ad alcuni fattori specifici, fra i quali proprio gli indirizzi di politica economica prevalenti nel Secolo XIX e nei primi anni del successivo, indirizzi prevalentemente liberistici e che rendevano più limitata —o poco plausibile— l’esigenza di disporre di quantità economiche atte ad orientare

8 C. ARENA (1963), Finanza Pubblica, Utet, Torino 9 O.CASTELLINO (1985), Introduzione alla contabilità nazionale, Giappichelli,

Torino 10 P.E.CASSANDRO (1958), Le contabilità nazionali, Cacucci, Bari

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l'intervento diretto dello Stato nel sistema se non in situazioni di “finanza straordinaria”.

Gli sviluppi delle analisi economiche fondate sulle quantità aggregate —fra cui il prodotto interno lordo, i consumi e gli investimenti— influirono significativamente sui meccanismi stessi di interpretazione dei conti pubblici, i quali dovettero di necessità adeguarsi anche al fine di inserire la <Pubblica Amministrazione> nel novero dei soggetti —famiglie, imprese e "resto del mondo"— sui quali si basavano i suddetti sistemi di rilevazione statistica.

Il progressivo passaggio dalla finanza neutrale alla finanza attiva, unitamente alla diffusione dei sistemi di contabilità nazionale, fecero via via emergere alcuni profili di inadeguatezza delle norme che disciplinavano la contabilità pubblica e il bilancio dello Stato nel Regno d’Italia.

In particolare, in un contesto ove la teoria economica andava sempre più incardinandosi su posizioni distanti dalle teorie classiche, ove i grandi aggregati venivano assumendo un ruolo sempre più rilevante nelle politiche di governo dell’intero ciclo economico, le norme del 1923 fecero emergere alcuni limiti e resero sempre meno compatibile, in materia soprattutto di bilancio dello Stato, l’appoggio ai canoni classici della Ragioneria pubblica (fra questi, soprattutto le logiche di classificazione dei valori fondate sul criterio <aziendalistico-patrimoniale>).

L’esigenza di tenere conto, nella contabilità nazionale, dei dati relativi all’economia delle pubbliche amministrazioni nel loro complesso, delle quali lo Stato è parte integrante e fondamentale, si fece dunque sentire —in Italia come in altre nazioni d’Europa— già sul finire degli anni Quaranta, immediatamente dopo la conclusione del secondo conflitto.

Ne derivò, pertanto, un <bilancio dello Stato> non più interpretabile quale strumento meramente accertativo-contabile, quale strumento della ragioneria nelle parole ricordate di Fortunato Rostagno; in altri termini, ne derivò un bilancio che, di per sé,

“non costituiva più semplice esposizione contabile delle operazioni connesse al mantenimento dei servizi pubblici tradizionalmente fondamentali, ma mezzo principale della complessa azione statale” 11.

In questa logica, dunque, il bilancio non solo doveva rendere possibile una ragionevole valutazione delle entrate e delle spese dello Stato, non solo doveva risultare garanzia di equilibro fra quelle stesse spese ed entrate: doveva anche e soprattutto consentire una valutazione complessiva degli

11 RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO (1963), in AA.VV., Aspetti della riforma del bilancio dello Stato e della pubblica contabilità, Atti del VII Convegno di Studi di politica economica e finanziaria, Milano, Giuffrè.

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effetti che —in contesti di finanza congiunturale— la manovra di politica economica poteva produrre nell’economia nazionale; doveva, in sintesi, trasformarsi da strumento accertativo-contabile a mezzo per la pianificazione macro-economica.

Tale mutamento di prospettiva contribuì da un lato a porre in evidenza i limiti di una legislazione ormai sempre più inadeguata rispetto alle nuove impostazioni, dall’altro soprattutto a favorire il progressivo passaggio del bilancio finanziario da un’impostazione basata su connotati aziendali e ragioneristici a un’altra, viceversa fondata su canoni macro-economici; uno spostamento, insomma, dalla Ragioneria e dall’Economia Aziendale alla Macroeconomia e alla Politica Economica.

Fu nel contesto descritto che maturò la prima importante riforma della legislazione in materia di contabilità pubblica dopo la sistemazione normativa del 1923, quella che nel 1964, con l’approvazione della legge n. 62, accolse le istanze di cambiamento di cui si è dato conto, segnando definitivamente —per il bilancio dello Stato— la trasformazione cui più sopra si è fatto cenno: dalla Ragioneria alla finanza pubblica, dal ruolo cioè di rendiconto contabile dell’attività della pubblica amministrazione a strumento per l’attuazione della politica economica della nazione.

Muta così, con l’entrata in vigore della legge n. 62/1964, la stessa logica di classificazione dei valori del bilancio dello Stato, la quale da aziendalistico-patrimoniale (Cambray Digny - De’ Stefani), diviene economico-funzionale, con la suddivisione —nell’ambito delle spese pubbliche— fra parte corrente e parte in conto capitale; si tratta, ad evidenza, di una logica radicalmente modificata rispetto alla precedente, che viceversa distingueva le spese in ordinarie, straordinarie, effettive o per movimento di capitali.

Non a caso, è proprio a muovere da questi anni che i contributi della Ragioneria italiana —fino ad allora non numerosi, ma comunque significativi soprattutto dal punto di vista dell’analisi dei connotati tecnici della contabilità pubblica— via via si allontanano da questi temi, lasciando non di rado i campi dell’analisi economica agli studiosi di finanza pubblica, e dei profili giuridico-normativi ai giuristi, che ne fecero una branca speciale denominata appunto Contabilità di Stato; è ben nel periodo –certo non a caso– che Alberto Ribarbelli pone quale titolo di un suo breve ma significativo contributo in materia la domanda:

“La contabilità di Stato è una disciplina di carattere giuridico oppure

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una disciplina di carattere tecnico-contabile ?”12,

evidenziando così il sostanziale, progressivo allontanamento degli studi dal tema —da sempre considerato pilastro della disciplina— della contabilità e del bilancio dello Stato, soprattutto nei profili tecnico-ragioneristici.

Diversa è, in argomento, la vicenda degli studi propriamente economico-aziendali: nel periodo ricordato i contributi dei Maestri della disciplina, da Aldo Amaduzzi e Paolo Emilio Cassandro, fino a Pietro Onida e a Carlo Masini, non mancano di prendere in considerazione, nell’analisi dell’azienda di erogazione, le tematiche connesse all’economicità dell’azienda statale, con le conseguenti valutazioni in tema di sacrifici richiesti e di prestazioni offerte, dunque di entrate, spese e risultati differenziali —avanzo, disavanzo e pareggio— del bilancio dello Stato13.

Nel contesto qui descritto, l’indirizzo intrapreso con la legge n. 62 del 1964 si rafforza ulteriormente, sul piano legislativo, con le successive riforme degli anni Settanta e Ottanta.

Dopo la ricostruzione e il boom, infatti, i mutamenti socio-politici della fine degli anni Sessanta e le crisi economiche di sistema dei primi anni Settanta offrirono nuovi e rinnovati spunti di riflessione sul tema del ruolo dello Stato nell’economia e, conseguentemente, sulla funzione dei conti pubblici nel contesto della finanza pubblica italiana.

Su queste premesse, il progressivo adeguamento della legislazione contabile pubblica alle mutate impostazioni della finanza congiunturale trovò poi la propria sistemazione legislativa sul finire degli anni Settanta, quando la legge n. 468/1978 pose le basi per un’ampia, organica e per certi profili rivoluzionaria, riforma del sistema dei conti pubblici; tale sistemazione legislativa, nell’intervenire sulle norme tecniche di formazione del bilancio dello Stato, finì per sostituire pressoché integralmente tutte le disposizioni della legge di contabilità di Stato del 1923 ancora vigenti.

L’ampiezza della riforma e la sua pervasività appaiono evidenti scorrendo le tematiche oggetto di modifica normativa; con la legislazione del 1978, fra gli altri elementi di novità, si introducono infatti, dal punto di vista tecnico-ragioneristico:

- i bilanci di cassa, affiancati ai tradizionali bilanci di competenza; - i bilanci pluriennali, che con il bilancio di previsione avrebbero potuto

garantire l’attuazione di una finanza pubblica fondata sul criterio della

12 A. RIPARBELLI (1960), La contabilità di Stato è una disciplina di carattere

giuridico oppure una disciplina di carattere tecnico-contabile ?, in Rivista Italiana di Ragioneria, Roma

13 P. ONIDA (1963), in AA.VV., Aspetti della riforma del bilancio dello Stato e della pubblica contabilità, Atti del VII Convegno di Studi di politica economica e finanziaria, Milano, Giuffrè.

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programmazione economica; - i conti pubblici riferiti non solo allo Stato, ma anche al settore della

finanza pubblica allargata.

Tale processo di rinnovamento della legislazione contabile pubblica trova il proprio completamento un decennio più tardi, quando —con la legge n. 388/1988— si pongono le basi per l’attuazione di una politica di bilancio dello Stato fondata sui criteri della programmazione e del controllo ex ante sia i) dei processi di sviluppo della spesa, sia ii) dell’andamento tendenziale del debito pubblico: al bilancio dello Stato, composto dai prospetti annuali e pluriennali, consuntivi e previsionali, si affianca infatti il Documento di programmazione economica e finanziaria, antecedente rispetto al bilancio e ancora oggi elemento centrale per l’impostazione della manovra di finanza pubblica annuale e pluriennale.

In quasi cinquant’anni di mutamenti legislativi si passa dunque dal bilancio inteso quale semplice previsione-consuntivazione di entrate e uscite, svincolate per così dire dall’andamento tendenziale dell’economia (De’ Stefani), al bilancio quale strumento di previsione di entrate e uscite in una logica di programmazione economica, di natura annuale e pluriennale, improntato a canoni di programmazione finanziaria imposti ex ante per legge (l. 62/1964 e l. 468/1978).

Cambia dunque il volto del bilancio dello Stato, e muta di conseguenza il connotato interdisciplinare che qualifica gli studi specialistici in materia: dai contributi di scienza delle finanze e tecnico-ragioneristici si passerà via via —salvo importanti eccezioni14— alla sempre più marcata diffusione di studi e contributi riconducibili alla macroeconomia e alla finanza pubblica15.

2.4. Le caratteristiche tecniche del bilancio dello Stato nell’interpretazione della Ragioneria italiana 1880-1970

La ricostruzione storiografica delle vicende legislative in materia di bilancio dello Stato offre gli elementi-base per individuare i canoni interpretativi sui quali si regge l’analisi delle potenzialità informative dei conti pubblici del nostro Paese; pur in un quadro di contenuti tecnici alquanto complesso e articolato, possono in effetti individuarsi, al riguardo,

14 P.CAPALDO (1973), Il bilancio dello Stato nel sistema della programmazione

economica, Giuffrè, Milano; L.F. MARINIELLO (1978), Considerazioni sull’economicità e sull’efficienza dell’azienda statale, Giannini, Napoli

15 P.ONIDA (1965), Economia d’azienda. In tale contesto, peraltro, non muterà la natura intrinseca del bilancio pubblico, il quale – proprio perché sistema di valori finanziari incardinato nella logica dell’azienda c.d. di erogazione – era e rimane un prospetto contabile, sintesi di entrate e uscite riferite a un periodo amministrativo

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tre nuclei tematici sui quali far convergere l’attenzione di chi legga e interpreti i dati del bilancio finanziario:

a. la rappresentazione dei valori finanziari; b. la classificazione dei valori finanziari; c. la struttura tecnico-formale del bilancio dello Stato.

Il profilo sub a) attiene alla scelta tecnica fra sistema della competenza, nell’ambito del quale i valori trovano la propria rappresentazione nella fase giuridica dell’entrata e dell’uscita (accertamenti e impegni), e sistema della cassa, nel quale viceversa i valori trovano rappresentazione nella fase materiale dell’effettivo incasso e pagamento.

Le problematiche sottese a tale scelta tecnica, che porta con sé giudizi e valutazioni diverse da parte di colui che interpreta il significato e la portata dei conti pubblici, furono oggetto di dibattito nelle varie occasioni di riforma della contabilità pubblica, a muovere dai lavori parlamentari che precedettero la promulgazione del provvedimento Cambray-Digny (1869): l’opzione per il sistema della competenza —unico che lascia derivazioni nel tempo tramite il sistema dei residui, che consente l’individuazione dei diritti e degli obblighi in senso giuridico, infine che vincola l’azione dei pubblici poteri sulla base di una predefinita programmazione macroeconomica—, ha accompagnato la legislazione pubblica in materia di bilancio dello Stato dall’Unità fino ai nostri giorni. L’opzione per il sistema della cassa, unico ad esprimere fatti materiali e dunque a dare una rappresentazione realistica della situazione finanziaria dell’ente anche in prospettiva dinamica, accompagna viceversa i conti pubblici italiani a muovere dal 1978 quando il bilancio di cassa affiancò il tradizionale bilancio di competenza, rendendo sotto questo profilo l’informazione più organica e completa.

Il profilo sub b) attiene invece alle modalità di classificazione dei valori nel bilancio finanziario: qui pure, le molteplici soluzioni tecniche —ancora una volta saldamente incardinate nei principî della Ragioneria— costituiscono fattori di accrescimento della qualità complessiva dei conti pubblici, in particolare con riferimento al significato e all’utilità informativa dei valori-saldo che —quali risultati differenziali (i.e. avanzo primario, indebitamento netto)— possono di per sé contribuire ad una più efficace analisi dello stato dei conti pubblici.

Nell’evoluzione più sopra tracciata, anche il tema della classificazione dei valori è stato oggetto di più interventi legislativi, dalla Cambray-Digny (1869) fino alle riforme degli anni Novanta (L. n. 94/1997), sia sul piano dell’esposizione-classificazione delle entrate e delle uscite, sia su quello del raggruppamento-riclassificazione di questi stessi valori nei prospetti riassuntivi del bilancio di previsione e del conto consuntivo. Di tali

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interventi, per quanto di interesse in questa sede, occorre segnalare dapprima la classificazione aziendalistico-patrimoniale, già ricordata e sostanzialmente vigente dall’Unità e fino ai primi anni Sessanta (L. n. 62/1964), poi la classificazione economico-funzionale, essa pure già menzionata, in vigore ancora oggi, anche se modificata nel 1997 con l’introduzione —nel sistema dei “Titoli-Categorie-Capitoli”— delle c.d. unità previsionali di base, volte a distinguere il bilancio amministrativo, redatto per l’esecuzione delle operazioni di gestione, dal bilancio politico, composto ai fini dell’approvazione parlamentare (Anselmi, 2001; Borgonovi, 2001; Giovannelli, 2000; Pavan, 2003).

Il profilo sub c), infine, riguarda più specificamente la struttura complessiva dei conti pubblici nazionali, la quale ha subito mutamenti significativi nel percorso evolutivo che dalla legge De’ Stefani (1923) è giunto sino alla riforma dettata dalla legge 3 aprile 1997, n. 94; mutamenti —questi— coerenti rispetto alla progressiva, e più volte ricordata, trasformazione del bilancio dello Stato, delle sue funzioni, nonché delle sue logiche redattive.

Dal bilancio-rendiconto, dunque, si è via via sostanzialmente transitati al sistema dei conti pubblici nazionali, fatto di documenti molteplici di natura sia strettamente contabile (bilancio di previsione, redatto per competenza e per cassa, bilancio pluriennale, rendiconto generale dello Stato), sia specificamente informativa (Documento di programmazione economica e finanziaria, Relazione previsionale e programmatica, Relazione annuale sulla stima del fabbisogno pubblico, Relazioni trimestrali di cassa).

La delimitazione dei nuclei tematici qui effettuata, mentre ha consentito di poter dimostrare l’esistenza —nel sistema del bilancio dello Stato— di connotati tecnici incardinati esclusivamente nella Ragioneria, offre una chiave di lettura dei conti pubblici diversa da quella che sovente, in questo torno di anni, ha qualificato l’approccio modellistico macroeconomico; chiave di lettura che, muovendo dalle basi tecniche appunto della Ragioneria, riporta nell’alveo dei contributi degli aziendalisti italiani il dibattito sui grandi temi della finanza pubblica.

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3. L'economicità dell'azienda territoriale nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1912

3.1. L'economicità dell'azienda territoriale in Giuseppe Cerboni e nei contemporanei di Fabio Besta

Nel ripercorrere la storia della Ragioneria non solo quale tecnica, ma nondimeno quale espressione d'una scienza (al tempo, e sinteticamente, la scienza dell'amministrazione), occorre da un lato evitare di eccedere —attribuendo caratteri di sistematicità e prescrittivi di politiche a impostazioni strettamente tecniche—, dall'altro però evitare di restringere e rinchiudere trattazioni (e considerazioni, e financo semplici osservazioni) apparentemente soltanto tecniche nel tecnicismo dei "ragionieri", i quali viceversa —ben conoscendo i temi di cui trattavano, ed essendo uomini di scienza, cittadini e contribuenti non diversi dagli altri— potevano con ragione avvedersi anche della natura politica, ed economico-finanziaria, dei momenti solo apparentemente tecnici della ragioneria pubblica e della contabilità di Stato.

D'altra parte l'epoca —memore dei disastri finanziari di alcune antiche monarchie come delle guerre napoleoniche, delle rivoluzioni valutarie, e nel contempo conscia dei pregi della stabilità monetaria (che addurrà al gold standard)— era ben lungi da ipotizzare deficit sistematici che non fossero appunto il risultato di guerre, rivoluzioni, calamità, fusioni fra Stati; identicamente, poteva concedere deficit transeunti dovuti a temporanei accidenti o squilibrî, purché quelli fossero appunto di breve durata, per questo finanziati con cambiali a breve, e possibimente rimediabili.

Le misure di politica economica erano dunque naturalmente contenute nell'attento bilanciamento fra entrate e uscite (questo e.g. il senso tecnico, non certo politico-sociale, della tassa sul macinato), prima che politicanti di vario genere pensassero di poter trattare fantasticamente le componenti del bilancio dello Stato.

Citeremo quindi soltanto di volata, nell'attesa che questi o altri autori riprendano il tema —tralasciando dunque il Villa delle Nozioni e pensieri sulle pubbliche amministrazioni16, e il Tonzig,— lo studio di Francesco Marchi L'applicazione della partita doppia nell'amministrazione del regno d'Italia17; i lavori di Giuseppe Cerboni in tema di contabilità di Stato prodromici all'applicazione della logismografia ai conti pubblici18; le

16 Pavia, Tipografia Eredi Bizzoni, 1867 17 Prato, Giachetti, 1870 18 Relazione sullo stato militare di Toscana e rendimento di conti della corrispettiva

amministrazione dal 1° gennaio 1859 al 31 marzo 1860, Firenze, Tofani, 1861;

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osservazioni di Bonalumi, Le ultime riforme nella contabilità dello Stato19; i molteplici lavori di Giovanni Rossi, inizialmente logismografici fino a Primi saggi di critica logismografica20; ancora, le osservazioni dell'ultimo Cerboni Sull'importanza degli articoli 18° e 20° della legge di contabilità di Stato21; di Benedetto Lorusso La Partita Doppia applicata ad un sistema di scritture patrimoniali finanziarie22; i due articoli di De Brun Le scritture metodiche della Ragioneria generale dello Stato (1905)23; la Ragioneria di Stato di Ettore Mondini24; la trattazione di D'Alvise, Le scritture della ragioneria generale dello Stato25; infine, di nuovo Giovanni Rossi, Sul bilancio finanziario e sul rendiconto patrimoniale26.

3.2. L'economicità dell'azienda territoriale in Fabio Besta

Ove si rivada all'opera di Fabio Besta —specialmente nel quadro della sua epoca, della temperie politica, delle alternanze e confusioni speculative— non ci si può accostare al di lui edificio senza un profondo senso di ammirazione e di reverenza. E ciò vale nondimeno nel campo della Ragioneria Pubblica, ove il suo grande trattato inedito —come sempre sorretto da profonde e innovative conoscenze storiografiche da un lato, da grande lucidità comparatistica dall'altro— appare magistrale —e non solo per l'epoca— sia dal punto di vista computistico, ragioneristico, procedurale, sia prima ancora per le profonde conoscenze economico-sociali, politiche, amministrative, che ne fanno un trattato di politica economica e di scienza dell'amministrazione in senso proprio27.

Sull'ordinamento della contabilità dello Stato, Firenze, Tipografia Giuliani, 1866; Quadro di contabilità per la scrittura in partita doppia della Ragioneria generale dello Stato, Roma, Stamperia Reale, 1877

19 "Rivista di Contabilità", 1878 20 Reggio Emilia, Stabilimento Tipografico Artigianelli, 1882 21 Roma, Tipografia Elzeviriana, 1901; cfr. anche, l'anno successivo Su gli articoli 18 e

20 della legge di Contabilità generale dello Stato, "Rivista di Ragioneria", Gennaio-Febbraio

22 "Rivista di Ragioneria", Marzo-Aprile 1902 23 "Rivista di Ragioneria", luglio 1905 e agosto 1905 24 Como, Ostinelli, 1914 25 Padova, Tipografia Crescini, 1910; cfr. anche, precedentemente, Sull'articolo 18 della

legge di contabilità dello Stato, "Rivista di Ragioneria", Novembre-Dicembre 1901 (e cfr. n. precedente)

26 "Rivista Italiana di Ragioneria", Agosto-Settembre 1921; sul punto cfr. già prima I problemi sul bilancio finanziario, sul rendiconto patrimoniale e sulle scritture metodiche della Ragioneria Generale dello Stato prospettati dal prof. Giovanni Rossi, "Rivista Italiana di Ragioneria", Febbraio 1918

27 Il lavoro è usualmente citato come Ragioneria pubblica, 1880. Si tratta —a sapere di chi scrive— dell'omonimo corso, comparso a più riprese in dispense litografate in elegante corsivo inglese, rarissimo sul mercato antiquario, e del quale (o delle varie tirature

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Del resto —ricordato che "il più potente e il più efficace dei diritti di sovranità è quello di consentire le imposte e regolarne l'impiego"28, e che "nel potere legislativo e nel potere esecutivo si comprendono tutti gli organismi finanziarî propriamente detti, [i quali] sono gli organi della gran macchina delle finanze dello stato"29—, dichiarato obiettivo di fondo dell'A. era ben di "studiare quali siano le forze prime che a questo infondono movimento e vita, quali gli ordigni che codesto movimento e codesta vita tramandano in tutte le parti, quali i freni che ne moderano gli impulsi, quali gli strumenti che rilevano e ricordano la somma del lavoro compiuto."30.

Nell'impossibilità di darne conto in questa sede, si desiderano tuttavia menzionare espressamente —fra gli altri— i seguenti capitoli del Libro Secondo (pp. 316-1091):

VII, Del bilancio riguardato come istituto approvato da legge e dei rapporti tra esso e le leggi organiche dello Stato;

IX, I residui attivi e passivi nei loro rapporti col bilancio; XIII, Discussione e approvazione del bilancio,

ove —in unione a proposte di innovazioni tecniche, proposte risolutive giacché dibattute storiograficamente e comparatisticamente—, Fabio Besta sottolinea fra gli altri i problemi i) della opportuna distinzione fra spese permanenti e transitorie, anche dal punto di vista della copertura delle stesse, ii) della necessaria —ma sempre variabile— elasticità del bilancio pubblico.

Certo, ritornano nel trattato temi dibattuti all'epoca, specialmente in tema di:

i. esercizio e anno finanziario, "con molta incertezza nella fissazione degli elementi o della materia dei bilanci e dei conti"31, problema poi risolto in Italia con la L. 22 aprile 1869;

del quale?) esistono copie sparse or qua or là nelle biblioteche pubbliche, talora con titoli simili o leggermente differenziati. Si cita nel seguito dalla copia schedata Contabilità di Stato, s.l., s.n., 1895? —però denominata al dorso Bilancio dello Stato— presso la Biblioteca dell'Università Commerciale "Luigi Bocconi", Fondo Zappa, n. 1274, con sottolineature e evidenziazioni di mano dell'ex-proprietario

28 op. cit., pp. 316-317 29 op. cit., p. 317 30 ibidem 31 op. cit., p. 423. Si legge ivi nel seguito (pp. 423-424): "E questa incertezza veniva dal

prolungamento dell'esercizio oltre l'anno finanziario, dall'erroneo concetto che si aveva dei residui, allogandosi fra essi non solamente le competenze veramente accertate e non riscosse o pagate, cioè a dire, veri crediti e debiti liquidi dello stato, ma ancora altre somme che erano crediti o debiti puramente ipotetici, oppure spese che si aveva in animo di fare con fondi già consentiti in bilancio, bensì pure non impegnati in nessuna maniera; e infine dal fatto che al cominciare di un esercizio dovevasi senz'altro trasportare nel suo bilancio e

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ii. patrimonio dello Stato: definizione, valutazione, valorizzazione, espressione dello stesso (né staremo a dire "in logica patrimoniale", giacché vi rispondevano l'epoca, e l'Autore, e le leggi - le quali in sostanza vi rispondono ancora);

iii. classificazione di rendite e spese; iv. correlazione fra classi di entrate e di spese (che in un certo periodo in

Gran Bretagna si era voluta forzosa, e l'A. ci ricorda —con richiamo anche al Diritto amministrativo inglese del Gneist, e al progetto di legge n. 342/1865 di Quintino Sella— "Già al principio del secolo presente tutte le entrate erano diventate permanenti ed immutabili, cioè a dire si consentivano di anno in anno solo alcune tasse, vere tasse di guerra, come quelle sulla rendita (income tax). La separazione delle entrate in più fondi con vincoli speciali non poteva essere scevra di gravi inconvenienti, specialmente quando andavano crescendo a dismisura gl'interessi sul debito nazionale e le altre pubbliche spese, onde al fine di ottenere maggiore regolarità e speditezza nel servizio del tesoro … si riunirono quei fondi in un solo fondo consolidato (consolidated fund) facendosi così un gran passo verso l'unità del tesoro, [che] si ebbe intera … [il] 12 luglio 1816."32);

v. bilanci di cassa e di competenza.

Ma tornano soprattutto —certo secondo modalità tecniche giuridicamente definite, e ogni volta diverse— i problemi sempiterni delle entrate e delle imposte, delle spese correnti e per investimento, dell'equazione variamente risolta fra bisogni collettivi e sacrifici personali.

L'opinione di Besta è ogni volta garbata ma fermissima, pur se espressa in forma —anche auto-interrogativa— di opinione, parere, suggerimento, consiglio; e ogni volta meglio fondata rispetto alle altre allora correnti, o di anonimi contradditori:

" Se una provincia ha speso in un anno dieci milioni supponiamo per la costruzione d'una ferrovia, mi ripugna il dire che quell'amministrazione si è in quell'anno impoverita di altrettanta somma … una spesa la quale accrebbe la ricchezza comune e coopererà al lavoro degli amministrati e gioverà al loro benessere e provvederà al loro decoro per un gran numero di anni.

nelle sue scritture le somme riferentisi a spese straordinarie da compiersi in più anni, le quali, concesse per l'esercizio dell'anno precedente, non si fossero, mentre che esso durava, impegnate o pagate. Così la fissazione dei dati del conto di un anno doveva cominciarsi al suo finire, al 31 dicembre, riprendersi poi al chiudersi dell'esercizio, nove mesi più tardi, né poteva dirsi compiuta e definitiva mai per la mutabilità dei resti."

32 op. cit., p. 93

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Un'impresa privata valuterebbe i lavori in corso per la costruzione della ferrovia e li porrebbe fra gli elementi attivi del suo patrimonio per l'ammontare di dieci milioni e provvederebbe poi al loro ammortamento graduale. Perché non dovrebbe far lo stesso l'amministrazione provinciale? E un procedimento analogo perché non dovrebbe applicarsi per le somme spese nella costruzione di strade carrozzabili o mulattiere, di canali, di pubblici edificî e via dicendo?

Non è quindi per avventura logico il conchiudere che tutto quanto ha costato danaro ad un'azienda pubblica e non ha ancora perduto ogni utilità deve computarsi nella costituzione del fondo oggetto delle scritture dei conti?"33.

In particolare, pare meriti in questa sede di venire riportata —dal citato cap. XIII, Discussione e approvazione del bilancio— l'impostazione generale seguente, la quale sintetizza nel contempo —come sempre dovrebbe essere— il momento politico, giuridico, e non di meno economico-tecnico.

"Ho già dimostrato: a) che il bilancio in quanto è strumento di controllo legislativo dovrebbe riguardarsi come istituto avente efficacia legale e giuridica senza limiti definiti di tempo in quelle parti che riguardano i bisogni normali e permanenti dello stato, e per tempi vari designati da singole leggi speciali nelle altre parti attinenti a bisogni transitori; b) che le riforme e modificazioni nell'una o nell'altra parte dovrebbero ottenersi con leggi le quali sanciscano non già direttamente la nuova somma che verrebbe a raggiungere l'entrata mutata o la nuova limitazione della spesa, sebbene la variazione alla fissazione d'entrate o limitazioni di spese precedentemente in vigore; c) che le mutazioni alle voci del bilancio regolato da leggi speciali debbano ottenersi per via di leggi singole, separate, e quelle alle rimanenti voci rispetto alle quali l'autorizzazione o la limitazione nasce nel bilancio soltanto mercé di leggi di variazioni, o d'assestamento del bilancio."34.

Il procedere bestano manifesta un ordine e una gerarchia implausibili ai politicanti d'ogni tempo, avvezzi a prestidigitazioni dalle quali traggono non le punizioni dovute, o financo una posizione economica di indifferenza, ma invece vantaggi che penalizzano larga parte delle collettività amministrate.

Eppure quell'ordine è —in Fabio Besta— in via previa ordine sociale; poi economico-tecnico anche dal punto di vista giuridico; infine tale anche dal punto di vista normativo nonché parlamentare, inverando procedure ogni

33 op. cit., p. 23 34 op. cit., pp. 540-541

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Il Bilancio dello Stato nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1970

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volta corrispondenti, le quali rispecchino la natura economica delle variazioni, dunque l'opportunità anche giuridica di distinguere nelle forme e nei tempi in funzione di ciò che è antecedente o susseguente, consuntivo o preventivo, infine ordinario o straordinario dal punto di vista economico e pertanto legislativo.

Ad esempio, esaminata con attenzione sul punto, sulla base d'una letteratura internazionale trilingue, la situazione nei varî Stati, Besta esamina in particolare la situazione inglese, a riguardo della quale —pur riconoscendola non tutta trasferibile in continente trattandosi là di bilanci di cassa—, suggerisce tuttavia, se non di prenderne spunto, almeno di tenerla in considerazione per molteplici aspetti. Le valenze in tema di politica economica e finanziaria nonché di politiche e prassi del Tesoro (in generale nonché vis à vis la banca centrale), con i paralleli spazio-temporali che se potrebbero indurre fino alle "operazioni di mercato aperto" sono dati —in questa sede— come noti per il Lettore.

"Quando è molto inoltrata o finita la discussione delle spese, la

Camera, raccolta in Comitato delle vie e dei mezzi (Committee of Ways and Means), tratta dei mezzi e dei modi onde sopperirvi. Questi mezzi sono di tre sorta: 1a La parte del fondo consolidato costituito delle entrate permanenti, la quale rimane dopo che si è provveduto a tutte le spese permanenti. 2a La rinnovazione in una determinata misura delle imposte temporanee e la creazione di nuove imposte. 3a I pubblici prestiti per i bisogni straordinari, e l'emissione di biglietti dello Scacchiere (Exchequer bills), i nostri buoni del tesoro, per i bisogni passeggieri del servizio di tesoreria.

Si hanno tre sorta di biglietti dello Scacchiere, distinti fra loro colla denominazione: deficiency bills, ways and means bills, exchequer bills. I primi servono a provvedere alle spese permanenti e vengono emessi dallo Scacchiere e dati alla banca d'Inghilterra in garanzia di somme da essa anticipate al governo per sopperire alle deficienze che si possono verificarenel fondo consolidato, o meglio nel conto dello Scacchiere in tempi in cui scadono i pagamenti degli interessi sul debito pubblico, o delle altre spese permanenti. Simili biglietti portano la scritta payable to the Governor and Co. of the Bank of England or to their order; ciò nonostante non sono mai stati negoziati dalla banca d'Inghilterra. Essi vengono rimborsati di giorno in giorno a misura che si verificano nuovi versamenti d'entrate, e il rimborso deve compiersi nel trimestre in cui sono emessi.

I biglietti della seconda serie (ways and means bills) sono girati ancor essi alla banca, ma in garanzia delle somme che presta allo stato pel pagamento delle spese non permanenti quando nel conto dello Scacchiere mancano i fondi. Anch'essi non vengono negoziati dalla banca: devono essere rimborsati nel trimestre successivo a quello in

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cui furono emessi, e frattanto fruttano interesse il cui massimo per centum per diem è fissato dal parlamento.

Finalmente i biglietti della terza serie (supply exchequer bills) corrispondono ai buoni del tesoro di tutti gli altri stati, e l'emissione loro si fa e per provvedere al cambio di quelli venuti in corso di pagamento, e per procurare all'erario nuovo danaro. Gli exchequer bills che si trovano sul mercato inglese appartengono tutti a questa classe. "35.

Besta ricorda poi le procedure inglesi in tema di servizio del bilancio,

stringenti dal punto tecnico, temporale, nonché delle procedure parlamentari, e consolidabili nei seguenti passi:

1. presentazione del bilancio di previsione, con specificazione dei "servizi a votarsi ogni anno, ossia per le spese non permanenti (estimates of the voted services)";

2. discussa la spesa, discussione dei mezzi con i quali sopperirvi (cfr. supra);

3. approvazione della Camera dei Lords, sanzione della corona, conversione in legge quali atti propedeutici all'erogazione del fondo consolidato;

4. "quando il più delle spese permanenti furono votate … il cancelliere dello Scacchiere sottopone … il budget generale dell'entrata e della spesa dell'anno", e vi acclude una relazione finanziaria; le proposte accettate vengono tradotte in legge che stabilisce i) l'entrata in vigore, ii) la durata delle imposte temporanee votate;

5. infine eventuali leggi di appropriazione —delle quali più volte fu tentato l'emendamento da parte della Camera Alta—, da intendersi quali "act to apply a sum out of the consolidated fund and surplus of ways and means to the services of the year … and to appropriate the supplies granted"36.

Caso particolare è infine rappresentato dai deficit di bilancio, a riguardo dei quali Besta si pronuncia come segue.

35 op. cit., pp. 534-536 36 op. cit., pp. 536-538. Prosegue poi quest'ultima sul punto: "Questa legge, che suolsi

votare verso il fine della sessione, incomincia dal fissare la rimanente somma da erogarsi dal fondo delle entrate pel pagamento delle spese, in aggiunta e a complemento degli assegni già consentiti in conto, poi concede la facoltà di emettere conti sullo Scacchiere delle varie specie entro limiti determinati, indi enumera le spese votate, e le somme del fondo delle entrate che vengono applicate ad ogni servizio, e infine contiene la clausola che rimane vietata qualsiasi distrazione delle somme dalle singole spese a cui furono appropriate, salvo qualche eccezione per la guerra o marina, di cui dirò più tardi."

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Il Bilancio dello Stato nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1970

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"Ove il bilancio di uno stato sia colpito da un forte disavanzo acuto, o da un disavanzo cronico … i fondi da raccogliere, o con provvedimenti straordinari, o con aumenti di vecchie imposte, o con imposte nuove, possono trovare la loro determinazione, e dimostrazione, o nella esposizione dei bisogni sopraggiunti, o nei consuntivi degli anni precedenti assai più che in un bilancio di previsione; e nel fissare la misura degli accrescimenti delle tasse già stabilite o delle tasse da istituire, conviene anche badare, e principalmente, alle condizioni economiche e politiche della nazione, cioè a dire alla capacità di fornire nuovi tributi che può ravvisarsi nei contribuenti, e alla possibilità di forzarveli senza provocare rivolte o sconvolgere il paese. Ma tali provvedimenti straordinari o rincrudimenti di tributi o tributi nuovi non si possono utilmente proporre e votare in sede di bilancio."37.

Appare immediato ciò che sarà poi un quasi corale leit-motiv degli aziendalisti italiani: i deficit dover venire soddisfatti o con maggiori imposte o con mezzi altrettanto straordinari quanto i disavanzi devono essere. Ohibò, imputeremo loro —potrebbe suggerire qualche professore che al tempo della I repubblica percepiva laute prebende pubbliche per suggerire la rovina della finanza pubblica italiana— di ignorare i vantaggi della stampa di biglietti, del debito crescente, della finanza si direbbe oggi creativa?

Ora, a parte che all'epoca vigeva il gold standard, con le limitazioni (ma anche la disciplina) che esso imponeva; a parte che maggiore era la coscienza etico-sociale, tant'è che ci si interrogava in primo luogo sulle sorti che avrebbero subito le generazioni successive ove si fosse attuata finanza d'avventura, e che Maffeo Pantaleoni avrebbe scritto Imposta e debito in riguardo alla loro pressione (1891); a parte quanto sopra, occorre infine considerare che molti aziendalisti —Besta primo fra tutti— ben avevano studiato le biografie economiche caratterizzate nella storia da deficit e debiti, e ne conoscevano le conseguenze.

4. L'economicità dell'azienda territoriale nel pensiero degli aziendalisti italiani 1922-1948

I successori di Besta dedicarono forse minore attenzione —o quantomeno minore fervore sia storiografico sia giuridico— ai temi della ragioneria pubblica. Il fatto è peraltro noto agli studiosi, e sarà pertanto qui sufficiente ricordare alcuni nomi da Alfieri a D’Alvise a Vianello a tutti gli altri, e in particolare poi agli allievi diretti del Nostro, quelli che Pietro Onida aveva a suo tempo icasticamente definito I divulgatori del Besta38.

37 op. cit., p. 543 38 P. ONIDA (1951), Le discipline economico-aziendali, Milano, Giuffré

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Certo, occorrerebbe rammentare nel contempo l’affermarsi progressivo —all’epoca— di studi giuridici sul tema, con il formarsi e l’autodefinirsi della Contabilità di Stato anche quale disciplina, dal citato De Brun, già organico nel 1911 a Rostagno (1926) e più ampiamente a Morselli (1935)39 - il parere critico di Riparbelli è già stato citato.

Pare peraltro opportuno accennare sia ad alcuni studi particolari, fra i quali il Patrimonio di Chianale40; poi passi del normalmente non-citato Giovannini, successivamente aziendal-corporativo, infine un lavoro oggi meno noto di Aldo Amaduzzi, Le aziende di erogazione (s.d. ma 1936)41, ove egli dice fra l’altro:

“Lo Stato può essere studiato da vari punti di vista, fra i quali v’è quello della sua concezione aziendale, dello Stato come sistema economico operante in un determinato ambiente per il raggiungimento di determinati fini. (…) … la scienza delle finanze, ovvero l’economia finanziaria, come capitolo dell’economia politica, o meglio della politica economica, studia l’aspetto sociale dei fenomeni finanziari, supposta la loro equivalenza con i fenomeni economici dello stato e degli altri enti pubblici. L’aspetto aziendale, e particolarmente lo studio dei fenomeni “finanziari” ed economici atteggiati a sistema aziendale può essere compito proprio della nostra economia aziendale.”42.

come pure, con più diretto riferimento alle scritture doppie:

“… il problema delle scritture sistematiche nelle aziende di erogazione, se può essere agevolmente superato … Le scritture doppie, nell’azienda di erogazione, dovrebbero, per giungere alla conoscenza di risultati economici efficaci superare … le difficoltà …………….esercizio.”43.

39 A. DE BRUN (1911), Contabilità di Stato, Società Editrice Libraria, Milano; F.

ROSTAGNO (1926), cit.; E. MORSELLI (1935), Teoria generale di finanza pubblica: saggio metodologico e giuridico, Cedam, Padova.

40 A. CHIANALE (1935), Il patrimonio degli enti pubblici nei conti e nei bilanci, Giappichelli, Torino

41 A. AMADUZZI (1936), Aziende di erogazione. Primi problemi di organizzazione, gestione e rilevazione, Principato, Messina

42 op. cit., pp. 104 e 105 43 ibidem, pp. 242-243

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5. L'economicità dell'azienda territoriale negli aziendalisti italiani 1954-1970

5.1. L'economicità dell'azienda territoriale in Paolo Emilio Cassandro

In onore del Centenario della Corte dei Conti (1963), Paolo Emilio Cassandro inquadra il tema annotando in via previa il dilatarsi nei decenni dei compiti dello Stato; il moltiplicarsi delle sue strutture centrali e periferiche; e poi soprattutto l'accrescersi dei volumi di mezzi impiegati e avocati, dunque la complessità dei controlli necessarî.

Egli eccepisce poi la natura essenzialmente formale dei medesimi (controlli di legittimità), escludendo che questi —pur orientati alla razionalità dell'azione amministrativa, alla sana gestione economica, e in definitiva al principio del minimo mezzo— possano nel contempo inverare il controllo economico o di merito.

Le norme di legge e regolamentari infatti, al di là del proprio proceduralismo non di rado rigido,

"hanno un carattere generale ed astratto, e la semplice generica loro osservanza può in molti casi non corrispondere sostanzialmente all'esecuzione realmente conveniente di una data operazione. Per accertare, nel caso concreto, che l'operazione si sia svolta nel modo economicamente più efficace, bisogna … studiare l'operazione nei suoi termini economici sostanziali — costi che essa cagiona, utilità che essa produce."44.

Occorre allora —Egli dice— un controllo sostanziale, i.e. di convenienza, il quale si sostanzi in un "giudizio di valore" (Werturteil) quanto più possibile oggettivato.

Giudicare la convenienza economica comporta peraltro —a parte il problema classicamente noto, per cui non si giudica l'operazione singola bensì il sistema di operazioni— la definizione della medesima nell'azienda erogatrice pubblica, in particolare statale.

Ora, la convenienza economica nelle aziende pubbliche territoriali è nel contempo e dell'azienda in quanto tale e della collettività: essa si sostanzia infatti i) in attuazioni con il dispendio minimo possibile di mezzi, dunque ii) nell'impiego ottimo dei mezzi prelevati, così iii) consentendo o la riduzione delle imposte o il migliore soddisfacimento di bisogni consolidati o il soddisfacimento di bisogni nuovi. (Di passaggio ciò consente di annotare

44 P.E. CASSANDRO (1963), L'economicità dell'azienda statale e il controllo della

Corte dei Conti, in AA.VV., Studi in occasione del Primo Centenario della Corte dei Conti nell'Unità d'Italia, Milano, Giuffré, pp. 61-77, a p. 64

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che l'ipotesi del deficit spending pare implicitamente esclusa, in una logica imposte-spese ove tertium non datur).

Occorre peraltro a tal punto interrogarsi se ci si debba rinchiudere nell'esame della convenienza economica di scelte pubbliche date, o se viceversa il citato controllo sostanziale possa estendersi anche al giudizio sulla convenienza sociale.

Il parere di Cassandro è senz'altro per il sì: controllo qui pure non politico bensì sempre economico, il quale deve informare la collettività, sul costo di date scelte e azioni pubbliche, eventualmente violatrici della convenienza economica collettiva; controllo il quale —prima ancora— possa renderne edotto il Parlamento, organo volitivo fautore di orientamenti generali che debbono avere fondamento anche economico.

Il controllo economico dunque —come del resto in Belgio, Gran Bretagna, Stati Uniti d'America— sia dunque illimitato, e come tale rivolto: i) alle operazioni da eseguirsi per legge, ii) alle operazioni ricomprese nella discrezionalità dell'esecutivo, iii) a tutte le operazioni comunque attuate, vuoi in via diretta, vuoi per il tramite di aziende autonome o di società pubblicamente partecipate.

All'attuazione di tale controllo economico si frapporranno certo difficoltà, sia tecniche sia organizzative, tutte peraltro —le une e le altre— non insormontabili.

Dal punto di vista tecnico, infatti, scissa operativamente l'economicità sistematica in interna ed esterna, si tratterà:

1. per l'interna di definire corretti standards, espressivi dell'andamento "normale" (e.g. tempi normali di esecuzione, consumi normali di beni, dunque volumi normali di operazioni da svolgersi in un tempo x con l'impiego di un quantum dato), poi tutti da omogeneizzarsi tramite il metro monetario;

2. per la esterna di definire costi-standard e proventi-standard per le varie categorie di operazioni, nella ricerca attenta ed assidua di costi-tipo.

Dal punto di vista organizzativo, viceversa, il suggerimento cassandriano è di infeudare anche di questo controllo la Corte dei Conti, certo una volta i) rafforzata nella propria indipendenza dal potere politico, ii) resa competente anche dal punto di vista economico-tecnico, iii) dunque integrata, ed opportunamente articolata anche dal punto di vista organizzativo (specie dopo la l. 21 marzo 1958, n. 259).

Diverranno dunque in tal modo possibili sia il controllo consuntivo —non a soli intervalli annuali ma anche più brevi— (quasi, parrebbe, un controllo in itinere), ma nondimeno, e congiuntamente, anche un controllo preventivo sull'attività pubblica, soprattutto per le gradi operazioni di investimento e di spesa.

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5.2. L'economicità dell'azienda territoriale in Pietro Onida e Carlo Masini

5.2.1. Il comune radicamento in Gino Zappa

Gino Zappa, comune maestro di Onida e Masini, non aveva dedicato alla Ragioneria pubblica soverchia attenzione —salvo quanto si potrebbe estrapolare dai volumi pubblicati delle Produzioni, e dagli inediti— fino al noto Ragioneria applicata alle aziende pubbliche, testo peraltro didattico45.

Eppure anche in questo, pur in tempi antecedenti al diffondersi delle prassi spacciate per keynesismo, lucida appare la percezione —soprattutto per gli eventi pre-bellici dopo il 1929, e bellici— del ruolo mutato, e delle mutate caratteristiche— della finanza pubblica, pur nell'assidua commemorazione di congiunzioni e complementarità, e in un contesto di blando, relativo agnosticismo. Dicono infatti fra l'altro gli Autori:

"L'equilibrio effettivo è, per la sua stessa natura, un equilibrio nel lungo andare, mentre nel breve andare gli avanzi possono succedersi ai disavanzi e viceversa …Ma anche se riferiti a periodi brevi, cioè all'anno finanziario, i singoli risultati d'esercizio sono tra di loro «congiunti» e complementari, per la stessa natura dei bisogni ai quali rispondono le aziende pubbliche territoriali e per le connessioni di ordine economico-tecnico che si manifestano nella sequenza dei vari esercizi. Ma oltre ad essere congiunti nel tempo, i risultati dei vari esercizi acquistano un diverso significato in relazione alla contingente situazione economica e finanziaria della Nazione e del mondo ed alle particolari finalità che le singole aziende intendono perseguire nelle alterne fasi della congiuntura. (…) Il concetto di equilibrio tra le entrate e le uscite delle aziende pubbliche territoriali ha, quindi, un carattere eminentemente «dinamico» e «congiunturale». Il conseguimento di un equilibrio congiunturale comporta una attiva partecipazione delle aziende pubbliche territoriali, e, in particolare, dell'azienda dello Stato, alla dinamica del mondo economico. Sono lontani i tempi in cui le aziende pubbliche territoriali potevano assistere passivamente alle reciproche ripercussioni fra l'economia nazionale e l'economia delle rispettive aziende, preoccupate soltanto del proprio bilancio. Le nuove esigenze dei tempi hanno indotto le aziende pubbliche territoriali a svolgere una più o meno estesa politica «congiunturale», talora detta anche «produttivistica», assumendo le funzioni di regolazione dell'economia nazionale, in stretta connessione con l'economia mondiale.".46.

45 G. ZAPPA, A. MARCANTONIO (1954), Ragioneria applicata alle aziende

pubbliche: primi principi, Milano, Giuffré 46 op. cit., p. 28

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Successivamente, appunto sia Onida sia Masini riprenderanno il tema nei loro trattati, non per combinazione tutti impostati sull'architettura di aziende (di erogazione e di produzione classicamente in Onida, familiari-di produzione-composte pubbliche in Masini) quali operatori effettivi nel sistema che tutte le raccoglie e unifica e nel quale si intrecciano dal punto di vista dei capitali e dei redditi, come pure della produzione e distribuzione di ricchezza.

5.2.2. Pietro Onida, o dell'aziendalismo keynesiano

Nell'opera ove culmina il suo pensiero sistematico, l'Economia Aziendale, Pietro Onida tratta diffusamente —e specialmente— anche i problemi dell'azienda pubblica territoriale: vista ovviamente in modo organico, dunque sia come componente organica e costitutiva del sistema, sia nei legami strutturali e funzionali che essa intreccia con le aziende familiari e le aziende di produzione di ogni ordine e categoria.

E' ben tale ultima considerazione che già consente a Onida —nel capitolo II del Libro I, le lunghe e analitiche pagine dedicate all'economicità— di fare ingresso in una eccezione rilevante al principio dell'economicità quale autosufficienza nel tempo, ricercata e svolta per «massimi simultanei dinamicamente combinati» di produttività e redditività: l'economicità collettiva o macroeconomicità, relativamente alla quale così si esprime:

" … nel quadro generale dell'economia di un dato paese, può anche verificarsi, talora, che certe aziende, per se stesse non autosufficienti, possano essere convenientmeente costituite o, se già esistenti, mantenute in vita, secondo un criterio di economicità super-aziendale o di convenienza macroeconomica, riferita appunto all'economia generale del paese."47.

Ricordato sul punto il concetto di economie esterne all'azienda —quando "attività deficitarie per una data azienda, o non idonee a rimunerare in alcuna misura o in misura pari ai saggi di mercato, una parte dei capitali da essa richiesti, si giudichino tuttavia convenientemente esercitabili per considerazioni macroeconomiche riguardanti, ad es., l'aumento dell'occupazione e lo sviluppo economico di zone depresse"48—, Onida ribadisce peraltro:

47 P. ONIDA (1971), Economia d'azienda, Torino, UTET, p. 65 48 ib., p. 66

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a) ispirandosi a Giuseppe Ugo Papi49, che "il concetto di economicità nazionale qui accolto dev'essere inteso … nel senso che il mantenimento invita di un'impresa per se stessa non autosufficiente possa giudicarsi —nella concreta situazione economico-sociale del paese— condizione inevitabile per conseguire vantaggi indiretti fondatamente compensativi, sul piano dell'economia nazionale, dell'onere diretto che al paese arreca l'esercizio di quell'impresa: non si tratta di compensare perdite di qualunque natura su certi interventi con utili su altri interventi, ma di ammettere solo perdite che, in determinate condizioni ed entro certi limiti, possono ritenersi indissociabili dagli utili"50;

b) che, se "il concetto … sopra delineato non può, almeno in astratto, essere respinto … altro è naturalmente il discorso circa le difficoltà di farne in concreto corrette applicazioni e di evitare gli abusi ai quali esso potrebbe facilmente aprire le porte"51, anche per le note difficoltà di misurazione;

c) che "Le iniziative giustificate unicamente da motivi di macroeconomicità sono, di regola, realizzabili solo da imprese pubbliche, in quanto nei giudizi di convenienza queste imprese possono essere chiamate a tener presenti relazioni economiche interaziendali o intersettoriali che escono dal quadro dell'impresa privata", ciò risultando rilevante "per le economie sociali così dette «miste», nelle quali imprese pubbliche e imprese private operano nel quadro della «politica di piano» e della programmazione macroeconomica che lo Stato si propone di realizzare, pur senza sopprimere l'economia di mercato."52.

Quest'ultima osservazione consente di entrare in un altro punto rilevante di Onida, il tema delle economie che allora di dicevano "miste".

Ricorderemo quindi di volata al Lettore essere, quello, l'esito di epifenomeni sociali che avevano connotato in modo peculiare l'economia non solo italiana nei precedenti trenta-quarant'anni, e che non di meno connotavano l'epoca in cui l'Autore scriveva, e lo Zeitgeist della medesima:

al fondo vi era la collettivizzazione dell'economia da poco sovietica, con i "piani quinquennali" susseguenti al 1925;

49 In particolare a Espansione di attività e comportamento delle aziende a

partecipazione statale, 1963 50 ib., p. 67, con abbreviazioni e la fusione nel testo di un capoverso della n. (2) 51 ib., p. 68 52 ib., pp. 100-101

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ma quei processi si erano involontariamente estesi anche per contingenze macroeconomiche in sistemi politici forse antetitici e opposti, ma non poi così lontani nella concezione dello Stato: nell'Italia del Littorio, quando il governo fascista —vistosi costretto a salvare le grandi banche miste, specialmente la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano dalle loro maldestre politiche, e avventurose speculazioni— aveva reso lo Stato italiano secondo al mondo per controllo pubblico dell'economia appunto dopo l'Unione Sovietica (1932 ss.);

altrettanto, sia pure per diverse cause, processi e modalità, in Germania: dal punto di vista pratico per il risanamento dell'economia weimariana ad opera del governo nazionalsocialista (1933 ss.), prima combattendo le riparazioni, poi con larghi programmi di lavori pubblici, quindi riarmando, infine costituendo il III Reich quale perno degli scambi della Mitteleuropa in un sistema di clearings compensati e di regulierte Divisenkursen; dal punto di vista teorico-pratico con i suggerimenti di tutti gli Autori che proposero variegate forme di Planwirtschaft;

così pure negli Stati Uniti d'America (1932 ss., l'epoca è questa), con il New Deal, le opere e gli investimenti pubblici non con la sola Tennessee Valley Authority, le tre presidenze Roosevelt e infine l'ingresso nel secondo conflitto mondiale e i processi di pianificazione bellico-produttiva su scala mondiale;

si era dunque giunti all'economia di pace, ma pure questa veniva caratterizzata da forme progressivamente regolate, seppure su base anglosassone data la vittoria nel conflitto: sistema di Bretton Woods, dollar exchange standard, cambi fissi, Fondo Monetario Internazionale, liberoscambismo tuttavia fino al 1954-56-60 su basi contingentate, disciplinate, tariffate;

piano Beveridge in Gran Bretagna; e in Italia, con l'avvento appunto dei governi di centro-sinistra, proposte

più o meno opportune, talora anche attuate, di nazionalizzazioni, "programmazione", interventismo politico-burocratico, "politiche dei redditi" variamente dirigiste.

Ecco dunque Pietro Onida —dopo avere distinto e delineato, anche ai fini degli svolgimenti d'impresa— le economie di libero mercato e le collettiviste, così pronunciarsi, anche con rinvio a Saraceno, in tema di "economie di tipo misto":

"Con la «politica di piano» lo Stato si propone di conseguire complessi obiettivi sociali, soggetti più o meno largamente a condizioni di natura economica e dispone, all'uopo, ordinamenti pubblici ed un sistema di proprie iniziative e di propri interventi diretti

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nella produzione e distribuzione di beni e servizi, accanto all'iniziativa privata, in quanto questa risulti o sia ritenuta, bensì utile e necessaria ma non idonea, da sola, o insufficiente alla realizzazione dei propri obiettivi. [questi] possono essere diversi, di natura economica e non economica, e variamente composti, secondo le condizioni sociali … e le scelte dei centri di potere … Fra questi obbiettivi possono, ad es., aversi i seguenti: l'eliminazione di notevoli squilibri nello sviluppo economico di diverse regioni del paese o di dsiversi settori dell'attività (ad es., agricoltura e industria), … l'accrescimento del reddito medio pro capite, il conseguimento di un alto livello di occupazione, una meno ineguale distribuzione del reddito …. E' innegabile che per il conseguimento di non pochi obbiettivi sociali … l'iniziativa privata non è adatta o non basta … Si apre, così, la strada agli ordinamenti economico-sociali di tipo misto, nei quali la politica di piano, da parte dello Stato, e la programmazione macroeconomica si combinano col permanere della libera iniziativa privata e dell'economia di mercato, postulando anche l'iniziativa pubblica in quanto necessaria… Agli effetti di questa politica, l'iniziativa pubblica e quella privata possono felicemente integrarsi…."53.

Relativamente alle medesime economie Egli ricorda inoltre —fatti salvi i doveri di competenza dei "programmatori"—: i) la volontà di sviluppare regioni e nazioni e correggere "forti ed estesi squilibri sociali" tramite l'azione dello Stato, unico a poter sopportar lunghi "tempi d'attesa"; ii) l'opportunità di correggere le tendenze monopolistiche dell'iniziativa privata; iii) infine l'eventualità che i pubblici poteri intervengano, ai fini della programmazione economica, anche tramite stimoli, divieti, condizioni di ogni specie riferiti all'iniziativa privata.

I profili ricordati si riflettono nella "gestione delle aziende pubbliche di erogazione": l'attività economico-finanziaria dello Stato si riflette infatti sì nel bilancio, ma vi è qui pure una "politica di bilancio" che invera —nella propria interezza— differenziate scelte di politica economica e finanziaria.

Relativamente a questa egli ricorda che un medesimo risultato di «pareggio», «avanzo», «disavanzo» ben può differenziarsi a seconda i) delle combinazioni di entrate ed uscite delle differenti categorie, ii) dei "fattori di carattere transitorio o permanente, ordinario o straordinario che concorrono a determinare il risultato"54, come pure il "diverso significato economico [delle] uscite in conto capitale secondo il contributo ch'esse potranno portare

53 ib., pp. 492-507; le citt. sono dalle pp. 492-496, con abbreviazioni 54 ib., p. 298

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allo sviluppo produttivo del paese"55, per ribadire quindi un rilevante principio economico-aziendale:

"Nell'interpretare e nell'apprezzare sotto l'aspetto economico-sociale il pareggio o il disavanzo o l'avanzo del bilancio di un ente che attinge i propri mezzi monetari dalle risorse economiche della collettività e che in più modi può agire sulle medesime, occorre tenere presente che le entrate e le uscite di bilanci osi delimitano in parte mutuamente, in funzione di scelte nelle quali si esplica la politica economico-sociale dello Stato, trasferendo redditi e potere di acquisto dai privati allo Stato, dallo Stato ai privati, quindi anche da privati a privati, e variamente operando, per queste vie, sulla distribuzione della ricchezza, sulla produzione, sul risparmio, sul reddito. "56.

In tale ambito cosa pensare del pareggio dei bilanci pubblici, dunque —differenzialmente— dell'eventualità di non ottenerlo? L'epoké ricordata —e in particolare forse la Politica economica keynesiana di Celestino Arena (1953)— non erano trascorse senza lasciare effetti sull'aziendalismo di Pietro Onida. Egli asserisce infatti:

"Il pareggio è una mèta alla quale ogni sana amministrazione deve tendere; ma la via di un sano pareggio in un'economia in sviluppo può anche passare, in date fasi, attraverso disavanzi di esercizio. … per l'azienda dello Stato, il pareggio non è un fine ma un mezzo per conseguire gli scopi di benessere e di progresso economico-sociale propri dello Stato … Sotto questo profilo, il disavanzo ed il connesso indebitamento non può sempre essere respinto (a parte i casi di forza maggiore, come ad es., in tempi di guerra) in nome del benessere, del progresso e della sana amministrazione: [l'Amministrazione] ha per compito finale, non di conseguire in ogni esercizio e in qualsiasi modo il pareggio, ma di favorire, con un'accorta e ben studiata politica economico-finanziaria, l'accrescimento del reddito nazionale e del benessere collettivo …"57.

Certo, ciò detto

" … occorre richiamare l'attenzione sui gravi danni che alla economia pubblica e della nazione possono derivare dai disavanzi di bilancio accettati con leggerezza e senza severo esame della loro necessità o convenienza … occorre che, entro tempi di attesa sopportabili, l'accrescimento dei debiti e dei relativi oneri trovi compenso in adeguati accrescimenti del reddito nazionale [giacché] i disavanzi continui non fermamente controllati sboccano facilmente nell'inflazione a ritmo progressivo, con i gravi danni ad essa relativi,

55 ibidem 56 id., pp. 298-299 57 id., p. 300, con abbreviazioni e montaggio differente rispetto al testo

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[anche] se è vero che la stabilità dei prezzi a lungo andare non sarebbe neanche desiderabile perché significherebbe (Amoroso) immobilità dell'economia, arresto del progresso tecnico e delle iniziative, infiacchimento delle energie rinnovatrici."58.

5.2.3. Carlo Masini contro lo scardinamento dell'economia nazionale

A propria volta, nel trattare l'azienda pubblica Carlo Masini —ribadito che "le aziende … in concreto sono le unità economiche fondamentali del sistema economico generale"59, ne eccepisce il sommarvisi al giorno d'oggi di funzioni di erogazione ma non di meno di produzione, e ne sottolinea dunque la natura non tanto territoriale, quanto piuttosto composta (la denominerà infatti sempre, pur nelle varie loro articolazioni, azienda composta pubblica). Egli riprende dunque Zappa, ma pare interessante notare che —pur nel noto contesto di socialità, e in specie dell'influsso cristiano-cattolico di Cathrein, Sertillanges, Maritain— egli pare meno facilmente corrivo, rispetto a Onida, relativamente allo pseudo-keynesismo che, già praticato, manifestava in atto e soprattutto in potenza i disastri dei quali sarebbe risultato foriero.

Ciò posto Egli ricorda che —anche di quelle— "il dinamico sistema di quantità economiche, [e] la sintesi di esercizio complessiva, parte del sistema integrato di informazioni interne ed esterne riferita ad un periodo amministrativo h-esimo" vanno rappresentati "seguendo lo stesso metodo di determinazione usato per l'azienda di produzione e per l'azienda familiare"60.

Annotate incisivamente le caratteristiche principali delle coordinazioni economiche delle aziende composte pubbliche, fra l'altro distinguendo per gruppi: 1) il patrimonio e le variazioni di esso, 2) la dinamica non-numeraria e la numeraria, Masini ricorda, se non altro dal punto di vista sistematico, variabili quali61:

a) eRh(S), «risparmio pubblico di esercizio», convertito in «perdita

pubblica d'esercizio» ove negativo e dunque collegabile al «deficit patrimoniale»;

b) ePh(B), risultato della gestione patrimoniale per investimenti in beni da

frutto; c) ePh

(S), risultato-somma (positivo o negativo) dei risultati di esercizio delle imprese pubbliche;

58 id., pp. 301-302, e 483, con abbreviazioni e montaggio in sequenza 59 C. MASINI (1970), Lavoro e Risparmio, Torino, UTET, p. 145 60 ib. 61 id., pp. 145-148

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d) gth quota di riserva congetturata per l'esercizio h-esimo, la quale si aggiunge al fondo e concorre a costituire così Pth

(G), "«riserva» alla fine del periodo amministrativo h-esimo per rischi definiti ma non calcolabili incombenti sullo svolgimento dell'azienda"62.

Con riferimento a tali grandezze Egli più specificamente suggerisce quanto segue:

1. costi, remunerazioni del lavoro, interessi passivi, ammortamenti e quote di riserva costituiscano il risultato "di attività di gestione, di organizzazione e di rilevazione efficienti secondo tecniche progredite";

2. risulti eRh(S) > 0, "contenuto in misure definibili solo per indici vari di

soddisfacimento di fini istituzionali per mezzo di investimento per destinazione di risparmio pubblico"63, e inoltre vincolo posto alla politica di investimenti pur in "beni efficienti"; inversamente la perdita d'esercizio —specie se perdurante— risulta manifestativa "di costi per bisogni pubblici eccedenti la capacità contributiva del soggetto economico, e data la struttura del patrimonio è indice sicuro di indebitamento oneroso, quindi con effetto moltiplicatore del dato di perdita"64;

3. la struttura del patrimonio, efficiente in termini fisici per i fini dell'istituto, nella sua struttura a valori, eviti di "essere caratterizzata da indebitamento eccedente per prestiti correlato a una situazione finanziaria tesa e antieconomica"65, anche perché

"Gli elementi costitutivi del patrimonio alla fine di un periodo amministrativo … come in ogni ordine di aziende non esprimono compiutamente tutte le condizioni interne in atto per il futuro dell'azienda. Il metodo di determinazione … non palesa ad esempio molti impegni per contratti di ogni specie stipulati, e in particolare nell'azienda pubblica composta il conserto di «norme vincolanti» in atto per l'accertamento dei tributi e per la «produzione di servizi obbligatori»"66.

Ne deriva palese un'immagine facilmente tacciabile di retró, di altmodisch dai moderni prestidigitatori in derivati e in "eliminazione del rischio", e tuttavia ben nota —e ben cara— ai conoscitori della realtà economico-aziendale dotati di coscienza sociale: cura dell'interesse pubblico nel senso della Gemeinschaft, sana amministrazione, tecniche

62 id., p. 148 63 id., p. 194 64 id., p. 195 65 ib., p. 150 66 id., p. 150

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amministrative adeguate e moderne dal punto di vista economico-aziendale, equilibrio economico nei suoi profili reddituale, finanziario, monetario. Annota infatti Carlo Masini relativamente a tali punti:

"Il tributo, nelle sue specie e misure, è definito dagli organi rappresentativi della collettività cui è destinato, quindi indirettamente da una parte notevole del soggetto economico dell'azienda composta pubblica. Il tributo deve rappresentare il contributo monetario di tutte le aziende familiari, di produzione e di altra specie cui pertengono i membri della collettività in oggetto, per i fini che solo riuniti nella comunità pubblica si possono attingere e per i fini che scaturiscono dall'esistenza della medesima comunità pubblica. Il sistema delle quantità economiche palesa che la corretta definizione del tributo è questione interdipendente con il corretto governo —secondo tecnica ed etica— anche dell'azienda pubblica composta, con la conseguente definizione dei bisogni pubblici e delle modalità di loro soddisfacimento."67; "L'indagine intorno al soddisfacimento dei fini istituzionali trova dati molteplici nel sistema di quantità economiche anche nella espressione di sintesi di valori; ma nella pratica italiana, e di molti altri Paesi, si hanno ancora strutture superate, forse dovute a vincoli posti da leggi di tempi lontani e sempre in vigore. Basti accennare per le sintesi di valori ai preventivi finanziari e patrimoniali, che non hanno la struttura metodologica delle moderne tecniche di programmazione e pianificazione costituite in sistema con quelle di determinazione varia consuntiva di periodo breve o esteso, analitiche o di sintesi secondo prescelto criterio temporale di classificazione. Per il contemperamento fra il soddisfacimento dei fini primi definiti per i bisogni comunitari dei membri della comunità territoriale (la popolazione del territorio), per lo più contribuenti, e i fini necessariamente congiunti di remunerazione di coloro che prestano lavoro nell'istituto, sono indispensabili informazioni in quantità monetarie e non-monetarie di varia specie, spesso di difficile apprezzamento globale. […] L'attesa è di «beni pubblici» di certe specie, in date qualità e volumi in dati tempi, con la più «razionale» distribuzione per il soddisfacimento del bisogno, a costi e rendimenti economici, correlata alla più razionale struttura di misurazione, ripartizione e prelevamento del tributo."68; "Nella gestione delle aziende composte pubbliche dei tempi presenti l'indebitamento assume grandezza di sempre più notevole rilievo, con il ricorso ad operazioni di «scoperto di tesoreria» e di mutui a lunga scadenza. … Si è posta una politica di produzione di beni pubblici e di

67 id., p. 149 68 id., pp. 150-151

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Arnaldo Canziani – Renato Camodeca

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intervento nell'economia del Paese fondata largamente sul ricorso al prestito in vista di presunte misure future di tributo. Tale politica può addurre, pur nelle malcerte ed indeterminate sintesi di patrimonio di esercizio, alla manifestazione di un «deficit patrimoniale» … Gli oneri dei prestiti […] gravano spesso nelle sintesi economiche d'esercizio, e il loro regolamento —congiunto con il rimborso dei prestiti— rende ardua la soluzione dei problemi di fabbisogno monetario e di fabbisogno finanziario. I limiti economici e politici interni e internazionali all'inflazione e allo scardinamento dell'economia del Paese riguardano tutto il sistema delle aziende composte pubbliche, non solo di quella dello Stato. Si deve riconoscere che consumi privati e pubblici sono costituiti in unico sistema, con vincoli definiti da circostanze e condizioni proprie di ciascun Paese."69.

69 id., montate a intarsio le pp. 150 e 195-196

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2006 AL 2010:

52- Cinzia DABRASSI PRANDI, Relationship e Transactional Banking models, marzo 2006.

53- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Federica LEVATO, Brand Extension & Brand Loyalty, aprile 2006.

54- Mario MAZZOLENI, Marco BERTOCCHI, La rendicontazione sociale negli enti locali quale strumento a supporto delle relazioni con gli Stakeholder: una riflessione critica, aprile 2006

55- Marco PAIOLA, Eventi culturali e marketing territoriale: un modello relazionale applicato al caso di Brescia, luglio 2006

56- Maria MARTELLINI, Intervento pubblico ed economia delle imprese, agosto 2006 57- Arnaldo CANZIANI, Between Politics and Double Entry, dicembre 2006 58- Marco BERGAMASCHI, Note sul principio di indeterminazione nelle scienze sociali,

dicembre 2006 59- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il debito pubblico italiano 1971-2005 nel-

l'apprezzamento economico-aziendale, dicembre 2006 60- Giuseppina GANDINI, L’evoluzione della Governance nel processo di trasformazione

delle IPAB, dicembre 2006 61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension:

l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007

62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo 2007

63- Arnaldo CANZIANI, La ragioneria italiana 1841-1922 da tecnica a scienza, luglio 2007

64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la rendicontazione sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007

65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007

66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico della moratoria, dicembre 2007.

67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007.

68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007.

69- Anna CODINI, Governo della concorrenza e ruolo delle Authorities nell’Unione Europea, dicembre 2007.

70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al cliente nel settore della meccanica varia, dicembre 2007.

71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.

72- Mario NICOLIELLO, La natura economica del bilancio d’esercizio nella disciplina giuridica degli anni 1942, 1974, 1991, 2003, dicembre 2007.

73- Marta Maria PEDRINOLA, La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F., dicembre 2007.

74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi giuridici a confronto: modelli di corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008.

Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it

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75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

76- Alberto MARCHESE, Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia, maggio 2008.

77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, factoring e credito al consumo: business maturi e in declino o “cash cow”?, giugno 2008.

78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese, giugno 2008.

79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre 2008.

80- Guido ABATE, I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto, novembre 2008.

81- Paolo BOGARELLI, Unità e controllo economico nel governo dell’impresa: il contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008.

82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, imprese e sociologia dell’abbigliamento d’alta moda, dicembre 2008.

83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing, dicembre 2008.

84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell’istituto societario, dicembre 2008.

85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008.

86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di compliance e responsabilità di governance, dicembre 2008.

87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove dinamiche di mercato, febbraio 2009.

88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand extension, counterextension, cobranding, febbraio 2009.

89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local Public Utilities, febbraio 2009.

90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, febbraio 2009.

91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merger Accounting be Reconsidered?: A Discussion Based on the Chinese Approach to Accounting for Business Combinations, maggio 2009.

92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi finanziaria o crisi dell’economia reale?, maggio 2009.

93- Arnaldo CANZIANI, Le rivoluzioni zappiane— reddito, economia aziendale — agli inizî del secolo XXI, giugno 2009.

94- Annalisa BALDISSERA, Profili critici relativi al recesso nelle società a responsabilità limitata dopo la riforma del 2003, luglio 2009.

95- Marco BERGAMASCHI, Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane, novembre 2009.

96- Alberto FALINI, Stefania PRIMAVERA, Processi di risanamento e finalità d’impresa nelle procedure di amministrazione straordinaria, dicembre 2009.

97- Riccardo ASTORI, Luisa BOSETTI, Crisi economica e modelli di corporate governance, dicembre 2009.

98- Marco BERGAMASCHI, Imitazione e concorrenza nell’abbigliamento di moda: un’interpretazione economico-aziendale della normativa vigente, dicembre 2009.

99- Claudio TEODORI, Monica VENEZIANI, Intangible assets in annual reports: a disclosure index, gennaio 2010.

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Febbraio 2010

Paper numero 100

Arnaldo CANZIANI - Renato CAMODECA

IL BILANCIO DELLO STATONEL PENSIERO DEGLI AZIENDALISTI ITALIANI

1880-1970

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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