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CCoonnvveeggnnoo--SSeemmiinnaarriioo

MMaarrggaarreett FFuulllleerrllee ddoonnnnee ee ll’’iimmppeeggnnoo cciivviillee nneellllaa RRoommaa rriissoorrggiimmeennttaallee

RRoommaa,, 2233 mmaaggggiioo 22001100OOssppeeddaallee FFaatteebbeenneeffrraatteellllii -- SSaallaa AAssssuunnttaa

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Atti del convegno

Conosci per scegliereeditrice

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© Proprietà letteraria riservata2010 Conosci per scegliere editrice s.c.Via Pescosolido, 26 - 00158 Roma - Tel/Fax 06 57301599E-mail: [email protected]

ISBN 978-88-903772-2-8

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Copertina: grafica di Lorena Nurzia

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IInnddiiccee

IInnttrroodduuzziioonneea cura di Mario Bannoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7

SSaalluuttiiDott. David Mees,addetto culturale dell'Ambasciata degli Stati Uniti d'America . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9

Prof. Jaroslaw Mikolajewski,direttore dell'Istituto Polacco di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11

Prof. Péter Kovácsdirettore dell'Accademia Ungherese in Roma, Consigliere dell'Ambasciata d'Ungheria presso il Quirinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13

Dott.ssa Anna Maria CerioniSovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14

IInntteerrvveennttiiMargaret Fuller, un'intellettuale e una realizzatriceProf.ssa Cristina Giorcelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18

Novità storiografiche sulla Repubblica RomanaProf. Marco Severini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25

Difesa di Roma del 1849: Memoria e territorioEnrico Luciani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .38

Operatività Sanitaria Militare nell'Italia del 1848-49Prof. Antonio Santoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

Gli strumenti medico-chirurgici ai tempi di Magaret Fuller OssoliFederica Anna Leda Dal Forno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

Le donne del 1848Prof.ssa Ginevra Conti Odorisio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

Il Patriottismo delle Donne del RisorgimentoProf.ssa Fiorenza Taricone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

CCoonncclluussiioonniia cura di Mario Bannoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .91

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IInnttrroodduuzziioonnee

MMaarriioo BBaannnnoonniiComitato italiano per il Bicentanario di Margaret Fuller Ossoli

Buongiorno a tutti.A tutti voi che avete scelto di dedicare questa domenica mattina per

incontrare la Sig.ra Margaret Fuller Ossoli. E, naturalmente, ai nostriillustri ospiti che ce la sapranno presentare nel modo più competente.

Io sono Mario Bannoni e rappresento in Italia il Comitato per ilBicentenario di Margaret Fuller.

Con questo incontro - fissato oggi, proprio nel giorno di 200 annifa, della nascita di Margaret - intendiamo aprire una serie di eventi alei dedicati, programmati per quest’anno e che certamente aprirannodoverosi spazi anche durante il prossimo anno - nell’ambito dellemanifestazioni dedicate al nostro Risorgimento.

Oltre al giorno, anche la scelta di questo luogo non è stata casuale- proprio in queste sale del Fatebenefratelli si svolse una delle piùappassionate esperienze di Margaret, impegnata nell’assistenza aiferiti durante le gloriose e poi tristi giornate che segnarono l’epilogodella Repubblica romana.

A questo proposito voglio cogliere subito l’occasione perringraziare la struttura dell’Ospedale che con grande sensibilità havoluto offrirci questa occasione di incontro.

Prima di lasciare la parola ai nostri ospiti, desidero portarvi il salutodi Laurie James che dirige a New York l’associazione dedicata aMargaret Fuller.

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Egregi intervenuti,

desidero salutare tutti voi che in questo 23 maggio 2010 sieteriuniti nella stessa corsia d’ospedale dove Margaret Fuller Ossoliassisteva i feriti della Repubblica romana, per celebrare la sua vita ela sua importanza, in occasione del suo 200° compleanno.

È gratificante sapere che, grazie all’impegno nostro e vostro inItalia, oggi molte persone provenienti da due grandi paesi e culturestanno onorando contemporaneamente Margaret su entrambi i latidell'Oceano Atlantico.

È un avvenimento al quale Margaret avrebbe voluto davveroassistere! - un grande affratellamento - dato che la sua visione e il suoimpegno in Italia erano, come per Mazzini: vedere l'Italia unita conun forte sostegno dell’America e viceversa.

Più di una volta essa scrisse dall’Italia ai lettori americani: "l'Umanità è una sola, e batte con un solo grande cuore".In America stiamo commemorando Margaret con molte

appassionanti manifestazioni:• una lettura dei suoi scritti, con 8 attrici, tutte impersonanti la Fuller

presso il "City University Graduate Center"• una presentazione di diapositive presso il "Center For Independent

Publishers", • una festa di compleanno e la lettura di un dramma presso la

"Community Church di New York".• inoltre avremo: tre "percorsi sulle orme di Margaret", visitando i

luoghi da lei vissuti: a New York; a Boston, Cambridge e Concord;e in Italia: a Roma, Rieti, e Firenze. Sì, alcuni di noi verranno nel mese d’ottobre per vedere l'Italia che

la Fuller ha amato, che ha lodato, e che sentiva la sua vera patria:"l'Italia, la mia Italia", esclamò più volte.

Mi congratulo con voi per il vostro eccezionale programma e viauguro il meglio. Possa la vostra celebrazioni essere illuminante estimolante.

Laurie JamesPresidente del Comitato USA per il Bicentenario di Margaret Fuller Ossoli

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SSaalluuttii

DDootttt.. DDaavviidd MMeeeessAddetto culturale dell'Ambasciata degli Stati Uniti d'America

Illustri professori e illustri ospiti.Sono veramente lieto di portare a questo importante congresso,

che celebra il bicentenario della nascita della bostoniana MarchesaMargaret Fuller Ossoli, i saluti del nostro Ambasciatore David Thorne.Da bostoniano mi è poi particolarmente gradito presenziare - purtrop-po anche se solo brevemente - a questi lavori che credo e mi augurotratteranno adeguatamente una grande amica dell’Italia e una gran-de americana.

Della Fuller esiste un unico ritratto fotografico, un dagherrotipo afirma John Plumbe che la ritrae, nel 1846. L'immagine la mostra inuna posa classica del tempo: seduta, elegantemente vestita i capelliraccolti dietro la nuca in un ricco chignon, il volto poggiato delicata-mente sulla mano, assorta nella lettura di un libro. Un'immagine che,mi pare, lascia trasparire ben poco del vero carattere di questa donna,forte nei suoi valori e risoluta nel far valere diritti che i tempi ancoranon concedevano alle donne.

Nel 1959, Carlo Izzo, uno dei padri fondatori degli studi america-nistici in Italia, nella sua monumentale Storia della letteratura Nord-americana, parlando della Fuller, la iscriveva nell'importante movi-mento trascendentalista e di lei diceva che “non si può certo dire cheemani... un qualsiasi fascino di femminilità: battagliera, imperiosa,insofferente, persino acre, il suo atteggiamento è quello caratteristicodi chi, originariamente timido, o socialmente inferiore – inferioritàdovuta al suo essere donna – riesce infine, con le sole sue forze, aspezzare la guaina della timidezza o ad abbattere le barriere sociali”.

Certo il Professor Izzo, un uomo e uno studioso di valore, ma anche

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d'altri tempi, non le riconosceva quel ruolo proto-femminista che stu-diosi più recenti le hanno, a ragione, attribuito. Ai conferenzieri chemi seguiranno, spetterà il compito di analizzare appieno la personali-tà di una donna che, come accennavo, forte delle sue idee, coscientedelle proprie forze, affronterà una vita breve ma ricchissima di avve-nimenti, tanto letterari, quanto storici di qua e di là dell’oceano.

A me, concludendo questo breve intervento, interessa ricordarviquanto dice la targa posta sul Margaret Fuller Memorial diCambridge, Massachusetts: "Figlia del New England per nascita, cit-tadina di Roma per adozione, cittadina del mondo per il suo genio."

Il suo impegno, il suo amore per entrambi i Paesi, la rendono dicerto un pilastro della storia dell’amicizia e dei rapporti culturali e sto-rici fra i nostri due Paesi. Al Dottor Bannoni va quindi il nostro plausoper aver voluto ricordare in un modo tanto importante questa paginatanto significativa della Storia che ci unisce. A tutti gli altri va la miagratitudine per la vostra partecipazione e i vostri contributi.

Grazie e buon lavoro a tutti.

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PPrrooff.. JJaarroossllaaww MMiikkoollaajjeewwsskkiiDirettore dell'Istituto Polacco di Roma

UUnn cceennnnoo aallll’’aammiicciizziiaa ffrraa MMaarrgghhaarreett FFuulllleerr OOssssoollii ee AAddaamm MMiicckkiieewwiicczz

Aleksander Chodzko annotava il 26 febbraio 1847 nel suo diario, aproposito di un dibattito parigino appena concluso: Mickiewicz “haparlato davanti a molte altre donne e ha impressionato la Fuller finoa farla cadere svenuta sul sofà”. Nella lettera del 10 aprile 1847scritta a Roma e indirizzata a Markus e Rebeca Spring, la stessaMargaret Fuller scriveva: “Mi chiedi se amo M[ickiewicz]… Rispondoche l’ho sentito come la musica, oppure un paesaggio bellissimo…”Nel mistero di questi frammenti si nascondono più trame di questarelazione che è difficile caratterizzare con un nome univoco, amiciziadi carattere intimo, morale, intellettuale, artistico. Se fra i due ci fossel’amore, come lo vogliono in molti, incoronato con la nascita delfiglio, come lo desiderano alcuni, non lo sapremo mai. Più certezze ciarrivano dal già citato Chodzko che testimonia: “La sua [della Fuller]opinione sul matrimonio e molte sue idee sulla vita e sul destino delgenere umano coincidono perfettamente con la Causa”. KrzysztofZaboklicki, dal cui saggio cito questi frammenti da lui tradotti, precisache la "Causa di cui parla Chodzko a proposito della Fuller è quindiquella propagata dai mistici polacchi che si riallacciavanoprincipalmente a Louis-Claude de Saint Martin e a EmanuelSwedenborg”.

Non si è conservata nessuna delle lettere della Fuller a Mickiewicz,se ne sono conservate invece dieci indirizzate da Mickiewicz a lei, stu-diate accuratamente da Leopold Wellisz, e questi testi, una delle piùbelle parti del suo carteggio, bastano per capire che si trattava di unacomunione ben più ricca di un’ispirazione mistica. Di certo, arricchisce

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e accende l’immaginazione la poesia di Emerson mandata dalla Fullera Mickiewicz come invito a incontrarsi, la raccomandazione di cono-scere Mickiewicz rivolta alla Fuller dal suo devoto Mazzini, la compre-senza di Margharet e Adam nella Parigi e nella Roma ispirate dal desi-derio della libertà e liberazione, ma anche i loro colloqui sulla femmi-nilità, nonché la scelta della Fuller Ossoli di far diventare Mickiewiczpadrino di suo figlio. Facile immaginarsi inoltre quanto valesse per laFuller come fonte di informazione Mickiewicz autore del poema“Smierc pulkownika” / ”Morte del colonnello”/, in cui ha dato l’imma-gine eroica di Emilia Plater - eroina polacca morta nel 1831 in segui-to alle fatiche dell’insurrezione antizarista, adorata dalla Fuller fino alpunto di fargliene tenere il ritratto nella camera da letto.

L’analisi della complessa e intima / qualunque cosa ciò debbasignificare / relazione fra Margharet Fuller Ossoli e Mickiewicz, il mag-giore poeta polacco di tutti i tempi, stonerebbe nel contesto di un semi-nario su “le donne e l’impegno civile nella Roma risorgimentale”, maun cenno a questa storia bellissima, proprio perché indecifrabile eavvenuta su più livelli, ci è sembrato assolutamente dovuto.

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PPrrooff.. PPéétteerr KKoovvááccssDirettore dell'Accademia Ungherese in Roma, Consigliere dell'Ambasciata d'Ungheriapresso il Quirinale

Egregi rappresentanti del Comune di Roma, delle Ambasciate di StatiUniti e di Polonia, del Comitato Organizzatore, egregi oratori e gentiliospiti.

Il direttore dell’Accademia d’Ungheria in Roma in rappresentanzadell’Ambasciata della Repubblica d’Ungheria saluta con grande onorei festeggiamenti organizzati per la ricorrenza del bicentenario dellanascita di Margaret Fuller Ossoli. Una donna molto colta, moderna emolto attiva nella sua epoca: letterata e giornalista progressista e fem-minista che basò la sua attività sull’emancipazione femminile e sullenuove teorie pedagogiche.

Ma oggi ricordiamo questa donna soprattutto per la sua attivitàpreziosissima svolta durante i movimenti risorgimentali, quando tra iferiti curati si trovò anche un nostro connazionale ungherese, che tratanti altri prese parte alle lotte aiutando i compagni italiani a raggiun-gere la libertà tanto desiderata.

Coi migliori saluti.

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DDootttt..ssssaa AAnnnnaa MMaarriiaa CCeerriioonniiSovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma

Sono molto felice e onorata di portare agli organizzatori delSeminario, al dott. Mario Bannoni, ai rappresentanti dei prestigiosiIstituti culturali esteri e a tutti i presenti il saluto del Comune di Romae in particolare quelli dell’Assessorato alle Politiche Culturali e dellaComunicazione e del Sovraintendente ai Beni Culturali professorUmberto Broccoli.

Ritengo molto importante e significativo che sia proprio un incontrodedicato all’impegno delle donne, spesso oscuro e dimenticato, adanticipare le celebrazioni previste dal Campidoglio per il prossimosettembre in occasione del 140° anniversario di Roma Capitale,anticipatrici a loro volta di quelle nazionali del 2011 percommemorare i 150 anni dell’Unità d’Italia.

A tal proposito mi piace in questa sede anticipare che laSovraintendenza comunale ha svolto la ricognizione di tutte lememorie risorgimentali presenti in città, ne ha verificato lo stato diconservazione per approntare e progettare i necessari interventiconservativi e ha già avviato la manutenzione straordinaria di PortaPia: luogo simbolo della presa di Roma del 20 Settembre. A breve,anche d’intesa con il Comitato per le celebrazioni del 150°, sarannoavviati altri interventi di restauro, tra i quali in questa sede mi sembrasignificativo menzionare quello del monumento ad Anita Garibaldi sulGianicolo, che è stato oggetto nei mesi scorsi di accurate indaginistatiche e diagnostiche.

Tornando al tema dell’incontro, che mi è particolarmente caro inquanto unisce due argomenti - le donne e le memorie risorgimentali -

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ai quali è legata molta dell’attività svolta in questi anni, devo dire chela partecipazione al seminario mi ha fornito l’occasione di pormialcune domande: quante donne, tra le tante che hanno partecipatoalle vicende risorgimentali, e in particolare a quelle della RepubblicaRomana, sono ricordate in città? Come e dove?

Ai relatori dell’incontro il compito di approfondirne le figure e leimprese.

Anita (1821-1849), senz’altro la più famosa tra tutte, è ricordatacon il monumento appena citato, realizzato nel 1932 da Mario Rutelli,e nella targa posta sulla dimora che condivise con Giuseppe tra il 26giugno e il 2 luglio del 1849 in via delle Carrozze 59; collocata a curadella Società di Mutuo Soccorso Reduci Garibaldini e dall’IstitutoGiuseppe Garibaldi.

Colomba Antonietti Porzi (1826-1849), la giovane combattente diVenezia e Roma, ha un busto tra gli eroi della passeggiata delGianicolo, realizzato nel 1911 da Giovanni Nicolini ed è menzionata,quale unica donna, in una delle due targhe che commemorano ipatrioti romani caduti per l’indipendenza d’Italia poste nel 1876 sulprospetto di Palazzo Senatorio.

Giuditta Tavani Arquati (1832-1867), senz’altro la più famosa delleromane, è commemorata con un busto in via della Lungaretta 95-96,posto al disopra della targa che ricorda gli avvenimenti che portaronoalla sua uccisione in quella casa nel 1867. La targa è stata collocatadai cittadini di Trastevere e dalla Società Operaia centrale romana.

A entrambe, Colomba e Giuditta sono state dedicate due scuole:nel 1932 un’Istituto Professionale Femminile in via dei Papareschi, allaprima; una Scuola Elementare nel suo Trastevere, alla seconda.

I loro resti sono stati trasferiti nel Mausoleo Ossario Garibaldinonel 1940 provenienti dalla cripta di S. Cecilia nella chiesa di S. Carloai Catinari, quelli di Colomba, e da una tomba terragna nel Cimiterodel Verano, ancora esistente, quelli di Giuditta.

Nel Mausoleo, realizzato dal Governatorato di Roma, peraccogliere le spoglie dei combattenti per Roma Capitale tra il 1849 eil 1870, e dove sono conservate le spoglie di Goffredo Mameli, sonopresenti anche le memorie di: Marta Della Vedova, Anastasia NobiliNassi, Teresa Valenzi Sorbetti, Orsola Cesari - tutte cadute comeColomba a Roma nel 1849 - e Luigia Poli, caduta a Bologna nellostesso anno.

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Alla patriota milanese, Cristina Belgiojoso Trivulzio, tanto attiva aRoma nel 1849 nell’organizzazione della sanità, insieme a EnrichettaDi Lorenzo Pisacane e Giulia Paolucci, è stato dedicato un viale nelXVI Municipio in occasione del 140° anniversario della RepubblicaRomana (1989).

Chiudo con la figura centrale della giornata e con la memoria piùrecente a lei dedicata. Infatti in occasione del 150° anniversariodella scomparsa della scrittrice e giornalista americana, inconcomitanza con il Convegno Internazionale di Studi svoltosi nelnovembre del 2000 presso la American Academy of Rome, e surichiesta della presidentessa della Mazzini Society Giuliana Limiti,l’Amministrazione comunale ha collocato la targa commemorativasul prospetto della dimora romana in Piazza Barberini 2. L’iscrizionela ricorda così:

“Attiva sostenitrice degli ideali mazzinianiGiornalista e coordinatrice delle infermiere negli ospedali romaniContribuì alla fraternità politica e democratica Tra l’Italia risorgimentale e gli Stati Uniti d’America”

Sicuramente molti dei presenti sanno che alla Fuller è intitolatodal 1962, su proposta dell’Istituto per la Storia del RisorgimentoItaliano, un viale all’interno di Villa Sciarra, non so quanti sanno cheproprio grazie alla richiesta e alla perseveranza di Mario Bannoni abreve la targa toponomastica sarà corretta rimettendo nel giustoordine i cognomi di Margaret: Fuller e Ossoli. Oggi infatti, chi cercaFuller nella toponomastica romana, rischia di rimanere deluso, inquanto compare prima il cognome del marito. Al di sotto dei datianagrafici, verrà poi dato il giusto risalto alla sua attività assistenziale“durante la Repubblica Romana”. L’inaugurazione della nuova targaè prevista in occasione del tour celebrativo “Seguendo le orme dellaFuller” che si svolgerà tra Roma, Rieti e Firenze il prossimo ottobre.

Concludo con un ringraziamento, considerato, infatti, che granparte di queste memorie sono state e sono collocate attraverso il loroincessante lavoro, colgo l’occasione per ringraziare tutte leAssociazioni che rifacendosi a vario titolo agli ideali risorgimentali,mantengono viva la memoria delle donne, degli uomini e degli

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avvenimenti, grazie ai quali si è compiuto il sogno dell’Unità d’Italiacon Roma capitale.

Auguro a tutti buon lavoro, esprimendo l’auspicio che l’attivitàdelle donne in ogni campo trovi la luce della conoscenza.

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IInntteerrvveennttii

MMaarrggaarreett FFuulllleerr,, uunn''iinntteelllleettttuuaallee ee uunnaa rreeaalliizzzzaattrriiccee

PPrrooff..ssssaa CCrriissttiinnaa GGiioorrcceelllliiDirettrice del Dipartimento di Studi Euro-Americanidell'Università di Roma Tre e coordinatrice del programma dottorale in studiamericani, autrice di varie pubblicazioni riguardanti la Fuller

AAbbssttrraacctt::M. Fuller, educata dal padre ad essere una intellettuale, fu versata nellafilosofia, nella storia, nelle letterature classiche, nelle lingue straniere.Sofisticata seguace del Trascendentalismo di R.W. Emerson (che, purrivolgendosi a tutti gli essere umani, teneva presenti soprattutto gli uomini),curò per anni la sua pubblicazione, The Dial, e scrisse il primo pamphletstatunitense sull'emancipazione femminile (in risposta a quello della inglese M.Wollestonecraft di circa mezzo secolo prima).

Allo spirito speculativo, tuttavia, unì sempre una straordinaria versatilità nelfar fronte alle necessita' pratiche. Quando lascio' Concord per andare a NewYork seppe trasformarsi in giornalista attenta ai problemi sociali, che affrontòin reportage coraggiosi e controcorrente.

Anche in Europa e in Italia seppe capire il momento storico e scriverne conpassione civile. Dal momento in cui la Principessa Cristina di Belgiojoso lanominò responsabile dell'Ospedale Fatebenefratelli, mostrò le sue capacitàorganizzative in momenti di grande confusione e di mancanza dicoordinamento.

Anche il suo (infausto) ritorno in patria fu dettato da contingenze materiali(la necessità di lavorare), cui si piegò per il bene dei suoi cari e con nobilespirito di sacrificio. Un ritorno che si preannunciava così difficile, anche esoprattutto per le scelte da lei operate mentre era nel nostro paese, da farlepreferire, secondo alcuni, la morte: fu tra i pochi che non raggiunse laspiaggia quando il cargo a vela su cui viaggiava affondò.

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Ringrazio il Signor Mario Bannoni che, senza alcun supportoeconomico, dotato solo di buona volontà e di tanto entusiasmo -- unentusiasmo che ha contagiato tutti noi che siamo venuti qui oggi -- hapreso questa bella iniziativa di celebrare Margaret Fuller nelBicentenario della nascita. E l’ha fatto scegliendo come luogo diincontro questo ospedale che tante memorie Fulleriane custodisce.

Bannoni mi ha invitata in quanto americanista e perchè nelNovembre 2000 ho organizzato, insieme alla collega Giuliana Limiti,Presidente della Mazzini Society, il Primo Convegno Internazionale chemai fosse stato dedicato a Margaret Fuller in Italia e, perfino, inEuropa. Il Convegno si tenne sul Gianicolo, alla American Academy,e, al termine, su nostra richiesta, fu posta una lapide commomorativasulla casa di Piazza Barberini/angolo Via Sistina in cui Fuller abitò nel1848-49.

Da quel Convegno scaturirono due volumi, uno pubblicato inDimensioni e Problemi della ricerca storica, edito da GiuseppeMonsagrati e da me (Roma, Carocci, I, 2001) e un altro intitolatoMargaret Fuller. Transatlantic Crossings in a Revolutionary Age, editoda Charles Capper (il biografo di Margaret Fuller) e da me (Madison,Wisconsin University Press, 2007).

Perché ho titolato il mio intervento "Margaret Fuller: un' intellettualee una realizzatrice"? Perché, nel sentire comune, l'umanità è divisa indue gruppi: gli intellettuali, da una parte, e i realizzatori, le personepratiche, dall'altra. Di solito alle donne capita di essere catalogate inquesto secondo gruppo! Margaret Fuller è, invece, un fulgido esempiodi come sia stata tanto una donna di notevole spessore culturale (fuuna traduttrice, un critico letterario, una teorica femminista, unagiornalista, una curatrice di volumi, una storica, una scrittrice diviaggio), quanto una donna che sapeva provvedere alle esigenze dichi a lei era affidato. Sempre e costantemente, come la sua vitadimostra.

Nata nel 1810 a Cambridgeport, vicino Boston, nel Massachussets,era figlia di un avvocato che era stato eletto senatore: apparteneva,quindi, ad una famiglia agiata. I genitori avevano avuto, dopo di lei,sei figli maschi. Fu educata dal padre come un uomo. Conosceva ilgreco, il latino, era familiare con la letteratura italiana, conoscevabene il tedesco e la letteratura tedesca (era intenzionata a scrivere unabiografia di Goethe), conosceva bene la letteratura francese e inglese.

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Un'educazione così severa, “maschile,” le compromise, in parte, lasalute: soffrì di incubi e di emicranie terribili fin dall’ adolescenza.Quando morì il padre, la famiglia sarebbe caduta nell'indigenza, seMargaret non avesse provveduto. Per mantenerla, prima insegnò, poiintraprese una pratica che a Boston e nella storia del femminismo fuil primo germe di istruzione per le giovani: tenne conferenze apagamento la Domenica. Queste "conversations," in un momentostorico in cui le donne non venivano normalmente educate che adessere buone madri e mogli, furono un formidabile strumento diformazione. Le sue lezioni toccavano gli argomenti più vari: dallaletteratura greca e latina, alla storia, alla storia dell'arte, allamitologia, alla demonologia, addirittura.

Nel 1840 Fuller fu segnalata a R. W. Emerson, il teorico delTrascendentalismo, come persona intelligente e capace e per due annifu la curatrice della sua rivista, il Dial . Non si limitò, tuttavia, soltantoa preparare impeccabili fascicoli, ma scrisse anche 33 saggi perquesta rivista. La collaborazione con Emerson finì due anni dopo,sostanzialmente perchè Fuller aveva bisogno di guadagnare e perdivergenze di carattere. Si formò nel circolo trascendentalista, così,l’opinione che Fuller fosse una donna aggressiva, supponente, tropposarcasticamente ironica. È probabile che, a tratti, ella abbia mostratoqueste caratteristiche, ma certamente la sua personalità era costituitaanche da ben altre qualità-- quali: la cultura, l’indipendenza digiudizio, la forza eumeneutica, l’audacia di posizioni contro-corrente-- che quel mondo non seppe apprezzare e valorizzare. Nel 1843 sulDial pubblicò il primo saggio, che oggi potremmo chiamarefemminista, nel suo paese: “The Great Lawsuit”; nel 1845 l’ opera furipubblicata in formato di opuscolo con il titolo Woman in theNineteenth Century. Il suo intento era, soprattutto, quello dirivendicare la parità di diritti tra uomini e donne, in quanto partecipidella stessa “anima divina” (la “oversoul” emersoniana). Come alcunescrittrici abolizioniste prima di lei, Fuller paragonò, in quest’opera, lacondizione della donna a quella dei neri.

Nel 1844 entrò a far parte dello staff del giornale The New-YorkDaily Tribune, il cui direttore, H. Greeley, credette nelle sue capacità.Fuller, quindi, passò da una fase teorico-filosofica (quellatrascendentalista) concentrata sullafiducia nella crescita personale,nella possibilità, cioè, che ciascuno possa e debba sviluppare le

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potenzialità che possiede, ad un interesse anche pratico nei confrontidella societàe, quindi, a favore delle riforme sociali. I suoi interventi sulgiornale si indirizzarono, infatti, anche verso tematiche civili, quali: leprigioni femminili, la condizione delle prostitute a NewYork , imanicomi, gli ospedali per i poveri. Fuller divenne, in altre parole, una-- come la chiameremmo oggi -- “intellettuale impegnata.”

Nel 1846 accettò la proposta fattale da alcuni amici di venire inEuropa come istitutrice del loro figlio. Il direttore del suo giornale, perl’occasione, la nominò corrispondente dall'estero. Fuller fu la primadonna a ricoprire questo ruolo negli Stati Uniti. Andò prima inInghilterra, dove conobbe personaggi importantissimi, come Carlyle,Worthsworth, e anche Giuseppe Mazzini. Poi andò a Parigi, doveconobbe George Sand, Chopin, e anche Lamennais e Considerant.

Il 27 Marzo 1847 arrivò a Roma. Il Giovedì Santo conobbe ilMarchese Giovanni Angelo Ossoli, per caso, a San Pietro, che alloraera, per gli stranieri, un luogo d'incontro, una specie di grande salotto.A Maggio lasciò Roma per viaggiare nel Centro e nel Nord d’Italia conla famiglia con cui era venuta in Europa. A Milano fece una serie diincontri importanti: con Alessandro Manzoni, per esempio. In Ottobreritornò da sola a Roma, forse anche perché desiderava rivedereOssoli. Da Roma scrisse corrispondenze molto incisive per il New-YorkDaily Tribune. Si tratta di articoli che mescolano, soprattutto all'inizio,le impressioni di viaggio, i commenti sulle opere d'arte e sullecaratteristiche della sua popolazione ai commenti politici. NelSettembre dell’anno successivo, 1848, nacque a Rieti il figlio, AngeloEugene Philip. Dopo due mesi Fuller lasciò il figlioletto alle cure di unanutrice e tornò a Roma. Con lo scoppio dei moti rivoluzionari e la fugadi Pio IX dalla città (24 Novembre), i suoi reportage si concentraronosempre di più sulla situazione politica italiana e romana, inparticolare. Sono corrispondenze formidabili per passione civile e,soprattutto, per la foga con cui cercò di persuadere il governo del suopaese ed i suoi concittadini a venire al soccorso di una Repubblicasorella. La sua adesione ai principi Mazziniani fu totale. Ma tutto fuinvano.

Durante l’assedio della città da parte delle truppe francesi (dal 28Aprile 1849), comandate dal Generale Nicolas C.V. Oudinot, il suolegame con l'Italia e con la città di Roma si fece sempre più forte, tanto

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che la Principessa Cristina di Belgiojoso la nominò “regolatrice” diquesto ospedale Fatebenefratelli dove venivano ricoverati i feriti diambo le parti. Anche Ossoli partecipò ai combattimenti sul Gianicoloa fianco dei patrioti. In una corrispondenza del 27 Maggio, dopo uncannoneggiamento sulla città, Fuller scrisse:

Sono rimasta sulla loggia a contemplare la città. Tutto dorme con quella specialearia di serena maestà che solo questa città possiede. Questa città che è cresciuta nonper via delle necessità del commercio o dei lussi della ricchezza, ma prima di tutto pervia dell’eroismo, e poi della fede. [...] La luna sale tra le nuvole [...] è possibile che iltuo globo guardi su una Roma che fuma e brucia e veda il suo sangue migliore scorreretra le pietre senza che ci sia uno al mondo che la difenda, uno che venga in aiuto --neppure uno che gridi un tardivo”Vergogna!”?

E poi, quando tutto fu compiuto, così si espresse in un articolo del6 Luglio:

Ieri sono andata a vedere le scene del conflitto. Avevo persino timore a guardarele ville Quattro Venti e Vascello [...] tutte fatte a pezzi [...] Fui colpita più che maidall’eroico valore dei nostri, lasciatemelo dire, come l’ho detto sempre, perchèdovunque io vada una gran parte del mio cuore rimarrà per sempre in Italia. Spero chei suoi figli mi riconosceranno sempre come una sorella, sebbene non sia nata qui.

Dopo l’ingresso dei francesi a Roma, Fuller, con Ossoli e ilbambino, ripararono prima a Rieti e poi a Firenze. Nel Maggiodell’anno successivo, poichè i mezzi per vivere potevano venire lorosolo dalla sua penna (Ossoli non aveva mai lavorato), si decise alasciare l’Italia con loro per ritornare nel suo paese. Furono unapartenza ed un viaggio carichi di presagi negativi, che terminarono il19 Luglio 1850 con il naufragio della nave a vela su cui viaggiavano,la “Elizabeth,” davanti alla costa di New York –naufragio in cui tutti etre perirono. Poichèquindici dei ventidue passeggeri si salvaronoraggiungendo la terraferma, Perry Miller ha persino avanzato l’ipotesiche, stremata dalle preoccupazioni per il futuro, timorosadell’accoglienza che avrebbe ricevuto dal suo mondo (non si è maitrovato alcun documento che testimini l’avvenuto matrimonio tra lei eOssoli, per esempio), Fuller abbia scelto di lascarsi andare. Nelleacque dell’Atlantico si perse anche il manoscritto di una storia dei

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movimenti rivoluzionari italiani, che aveva dichiarato di starescrivendo.

Fuller ebbe certamente una vita difficile, cui fece fronte, comemeglio potè, attingendo con coraggio alle risorse della suaintelligenza e delle sue doti pratiche. Fu certamente la statunitense chepiù cercò di aiutare, con l’una e con le altre, il nostro popolo,entrando, così, nella nostra storia. Le dobbiamo riconoscenza.

La Prof.ssa CCrriissttiinnaa GGiioorrcceellllii, fra l’altro, èautrice di un saggio dedicato a MargaretFuller, uscito nella raccolta “GliAmericani e la Repubblica Romana del1849”, co-curata da Sara Antonelli,Daniele Fiorentino, e GiuseppeMonsagrati e pubblicata da Gangemi. Inoltre è stata co-organizzatrice delConvegno su M. Fuller tenuto pressol'Accademia Americana di Roma nel

2000, e ha co-curato la pubblicazionedegli atti relativi nella rivista "Dimensionie Problemi della Ricerca Storica". Ha anche co-curato una scelta dei saggi uscitiin tale rivista e pubblicati dalla WisconsinUniversity Press nel 2007 in un volume daltitolo “Margaret Fuller: Transatlantic Crossingsin a Revolutionary Age”.

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MMaarriioo BBaannnnoonnii

Leggo ora una breve lettera redatta in inglese, inviata a Margaret il 30aprile 1849 su carta intestata del Comitato di Soccorso pei Feriti

Cara Miss Fuller,siete nominata Regolatrice dell’Ospedale Fate Bene Fratelli.

Andate lì alle dodici se la campana d’allarme non avrà suonato prima.Quando arrivate là, riceverete le donne che verranno per i feriti edarete loro le vostre istruzioni in modo da assicurarvi di averne un certonumero, di notte e di giorno.

Possa Dio aiutarci.

Cristina Trivulzio di Belgiojoso

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NNoovviittàà ssttoorriiooggrraaffiicchhee ssuullllaa RReeppuubbbblliiccaa RRoommaannaa

PPrrooff.. MMaarrccoo SSeevveerriinniidell’Università di Macerata, Dipartimento scienze storiche e documentariericercatore e autore di vari libri sulla Repubblica Romana inquadrerà il momentostorico in cui la essa ebbe luogo

AAbbssttrraacctt::Nell'ultimo quindicennio si è assistito a una sostanziale revisione degli studi edelle interpretazioni sulla Repubblica Romana del 1849.

Grazie a questa stagione di studi si è potuto meglio articolare il periodorepubblicano, analizzare le cause principali del suo fallimento, ricostruire ilruolo di protagonisti e comprimari e circoscrivere con maggiore attenzione leeredità che la Repubblica ha lasciato alla storia nazionale (costituzionemoderna, laicità dello Stato, iniziativa popolare, relazioni internazionalibasate sugli ideali di fraternità e di collaborazione etc.).

Molti sono i temi che sono apparsi al centro della ricerca storiografica, macinque appaiono i più importanti:• l'esame analitico di come si è svolta la vicenda repubblicana nelle diverse

periferie dello Stato. • l'ampliamento dei temi di indagine che hanno lasciato il prediletto

orientamento politico-militare per spostarsi su aspetti di storia sociale,culturale, di genere, etc.

• l'accertamento di che cosa abbia reppresentato nel corso di un secolo emezzo di storia italiana la Repubblica dopo la Repubblica, sia nel sensodel radicamento della memoria storica a livello popolare e istituzionale,sia nell'ambito della ricezione degli eventi del 1849 sul piano strettamentestoriografico.

• le ragioni, essenzialmente di natura politica e ideologica oltre checulturale, che hanno portato nel secondo dopoguerra ad un costante oblio

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dell'epopea quarantanovesca.• l'assunzione della Repubblica Romana tra gli episodi fondativi dell'identità

italiana.

Nel 1999, in occasione del 150° anniversario della RepubblicaRomana, la «Rassegna storica del Risorgimento» realizzò un Numerospeciale dedicato all’avvenimento: un fascicolo indubbiamenteimportante, al quale partecipavano insigni nomi degli studirisorgimentali, ma che destava l’interesse degli addetti ai lavori ancheper altri due aspetti, la notevole attenzione riservata agli avvenimentidel 1848 e la presenza di una adeguata rassegna di studisull’esperienza quarantonovesca1.

Se ciò costituiva un indubbio passo in avanti rispetto all’oblio in cuila Repubblica Romana era rimasta per quasi tutta la seconda metà delNovecento, latitavano d’altra parte sia il senso di una prospettivanuova ed efficace attorno a cui impostare una nuova fioritura di studisia l’idea di affidare ad una nuova e qualificata leva di studiosi questorinnovamento storiografico.

Rinnovamento che si è indubbiamente verificato in questo ultimodecennio, ma che per una complessa serie di ragioni, non ultimaquella della circolazione editoriale, non ha pienamente attecchito.

Non è un caso che in un recente volume Giulia Colombo abbiaintrodotto il suo breve intervento con le seguenti parole:

La storiografia italiana recente ha dato poco spazio all’analisi deglieventi legati alla proclamazione della seconda Repubblica romana.Questa carenza può essere collegata ad una più generale tendenza aconsiderare gli episodi rivoluzionari italiani del 1848-1849 in unaprospettiva di lungo periodo, come tappa intermedia del processo diunificazione nazionale2.

Tale valutazione se può essere sostanzialmente condivisa per laseconda parte, va decisamente rivista per quanto riguarda la prima.

Infatti già nel 2005 Lidia Pupilli aveva pubblicato sulla «Rassegnastorica del Risorgimento» una puntuale rassegna dei principali studi econtributi sulla Repubblica del 1849 proprio a partire dal sopra citatoNumero speciale del 1999: da questo intervento risultava chiaramentela vivacità della riflessione euristica e storiografica sugli avvenimentiquarantanoveschi sia per quanto riguarda la dimensione romana sia

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per quanto concerne quella periferica e regionale3.Non è questa la sede per ricordare tutti questi studi scientifici – ai

quali si sono accostate di recente anche due ricostruzioni realizzate dagiornalisti che hanno riscosso un certo successo ma che fin dal titolohanno tradito una visione storica datata4 – ma pare almenoopportuno citare i principali settori indagati.

Su un piano generale, restando nell’ambito delle ricerchepropriamente scientifiche, sono comparse due distinte ricostruzioned’insieme ad opera del sottoscritto (2002 e 2006)5, la seconda dellequali, sia per la rapidità con cui sono state esaurite le copie di edizionesia per difficoltà di distribuzione editoriale, ha fornito la base per unaulteriore rilettura che vedrà le stampe nella seconda metà di questo2010.

Così come hanno sviluppato proficui percorsi tematici ed euristicisia il volume collettaneo frutto della mostra allestita nell’autunno 1999con la documentazione originale dell’Archivio di Stato di Roma epubblicato, in collaborazione con la Rivista Storica del Lazio,dall’editore Gangemi nel dicembre dello stesso anno (volume chetratta aspetti di carattere istituzionale, politico, militare ecostituzionale)6, sia il volume posto in essere dalla Biblioteca di storiamoderna e contemporanea, curato da Lauro Rossi e stampato daPalombi nel 2001, che si occupa degli aspetti politico-militaridell’epopea repubblicana7.

Di grande impatto storiografico è risultato anche il volumepromosso dal Centro Studi Americani di Roma sul rapporto tra gliamericani e la Repubblica del 1849, opera che tra l’altro indaga ilruolo e le figure degli statunitensi che, presenti nella Roma del ’49 –su tutti Margaret Fuller e i diplomatici Nicholas Brown e Lewis Cass jr.– sostennero la causa repubblicana, lo spazio e l’interesse che lacultura statunitense dedicò alle vicende repubblicane, la raccolta ditesti e documentazioni inedite, insieme all’impossibilità del governo diWashington di riconoscere il regime mazziniano per timore diun’impasse che avrebbe potuto alterare le relazioni tra Stati Uniti egrandi potenze europee8.

Non meno significative due monografie uscite nel 2003. IreneManzi ha finalizzato interessi e ricerche di medio periodo in un’operadensa e agevole che tratta sotto diversi aspetti la carta costituzionaledella Repubblica promulgata il 3 luglio 1849, alla vigilia della sua

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caduta9, mentre Giuseppe Monsagrati, cui si devono moltepliciricerche su personaggi e aspetti del periodo quarantanovesco, haricostruito le diverse fasi storiche della Repubblica,contestualizzandole, da una parte, con le sue origini quarantotteschee, dall’altra, con la memoria dell’evento nella pubblicistica e nellastoriografia risorgimentale: se Roma e i romani hanno inserito senzadifficoltà nella tradizione storica cittadina la Repubblica del 1849, conmaggior difficoltà quest’ultima, specie nel corso del ventesimo secolo,è divenuta uno degli episodi fondativi dell’identità nazionaleitaliana10.

In una dimensione periferica, vanno invece segnalati sia i primitentativi di ricostruzione su scala regionale11 sia rigorose edizioni ditesti riguardanti l’assedio di Roma, memoriali di nobildonne ebenestanti, diari e ricordi di donne12.

Un altro contributo determinante è giunto dalla ricerca biograficache all’interno di dizionari di ampio respiro o di natura tematicaoppure nell’ambito di ricerche svolte per atti congressuali o, ancora,in una dimensione monografica, hanno illustrato temi e aspetti digrande rilevanza13. A questi si è aggiunto, nell’aprile 2010, labiografia di Mazzini scritta da Giovanni Belardelli e fresca distampa14, su cui si avrà modo di ritornare.

Volendo sintetizzare le novità interpretative proposte dalla maggiorparte di questi studi non può non sfuggire sia la sottolineatura dellacentralità dagli eventi romani nel più ampio contesto risorgimentalesia la sua capacità di lasciare cospicue eredità sul piano politico,militare, costituzionale e civile al costituendo Stato italiano.

Se la mancanza di un coordinamento concreto ed efficace tra tuttele forze democratiche italiane e l’ostilità dell’Europa all’idea di unapenisola politicamente unificata, e dunque l’isolamento internazionaledella Repubblica, furono le due principali cause del fallimentodell’epopea quarantanovesca, quest’ultima lasciò eredità talmenterilevanti da essere recepite, pur con notevole ritardo, dallo Statoitaliano.

La laicità dello Stato, contestualmente alle garanzie offerte allaChiesa cattolica (e agli altri culti) per l’esercizio del potere religioso;l’iniziativa popolare e le libere decisioni di un’Assemblearappresentativa come principi basilari della nuova comunitànazionale; l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge; una

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Carta costituzionale che costituisse insieme la legge fondamentaledello Stato e la suprema garanzia dei diritti e dei doveri degli italiani;la partecipazione politica e civile come forma di dialogo e di incontrotra i membri di una nazione; delle relazioni internazionali non piùbasate sulla guerra e sull’oppressione, ma sulla fraternità e lacollaborazione dei popoli come su un’Europa libera e unita: e, diconseguenza, l’intuizione, tutta mazziniana e democratica prima cheliberale e cavouriana, che senza il sostegno di una grande potenzaeuropea il sogno dell’Italia unita fosse destinato a non concretizzarsi.

Accanto a questi elementi, altri, non certo meno importanti, sonoandati caratterizzandosi sul piano storiografico: la necessità di unaperiodizzazione meglio articolata degli avvenimenti (con un prologocompreso tra la fuga di Pio IX, 24 novembre 1848, e l’approvazionedel decreto fondamentale con cui nacque la Repubblica, 9 febbraio1849: un primo periodo di governo repubblicano guidato dalComitato esecutivo, 9 febbraio-29 marzo 1849; la fase del triumviratomazziniano, 29 marzo-30 giugno ’49; un epilogo ristretto a pochigiorni, ma ricco di avvenimenti di grande rilievo politico e simbolico,30 giugno-4 luglio 1849); il rapporto tra la genesi romana dellaRepubblica e il suo qualificarsi come base di uno Stato italiano(avallato in ciò dalla rappresentatività italiana in seno ai diversiesecutivi, all’Assemblea costituente, ai vertici militari, al corpodiplomatico, alla dirigenza e ai governi locali insediatasi con leelezioni amministrative del marzo-aprile 1849), democratico emoderno, forse troppo avanzato per i tempi; l’evidente desiderio dirinnovamento e modernizzazione avanzato dalla Repubblica vennecondiviso sia dai numerosi patrioti italiani giunti a Roma con l’idea dipartecipare a un grande momento di riscatto nazionale sia dallanuova classe dirigente, omogenea a livello socio-professionale quantocomposita nella precedente militanza politico-amministrativa15.

Molte storie individuali, del resto, richiedono ricerche specifiche ouna migliore contestualizzazione: se è indubbio che Mazzini visse laprima ed unica esperienza di governo della sua esistenza, il suo ruolodi «statista di razza» palesato in quei tre mesi del ’49 è stato messo indubbio dal recentissimo saggio di Belardelli che, in verità, si soffermapiù sulla cultura politica mazziniana, romantica e di derivazionerousseauiano-giacobina, e sulla sua contrarietà ai partiti e alle regoledell’assemblea rappresentativa che non sulla complessa visione

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internazionale degli eventi che il genovese rivelò nella Romaquarantanovesca16.

Come hanno ampiamente dimostrato gli studi di Mauro Ferri17, siattuò sotto la Repubblica, nonostante una conflittualità iniziale traMazzini e la Costituente e la propensione del primo verso una dittaturasui generis, uno stretto legame fra triumvirato mazziniano eAssemblea, legame non privo di temporanei attriti e incomprensioni,ma fondato sul rispetto e la fiducia reciproci.

D’altra parte, Mazzini fu l’anima e il motore del nuovo governo: lasperanza in una ripresa della guerra d’indipendenza, contenuta nellostesso proclama indirizzato dal Triumvirato alla popolazione nelgiorno stesso del suo insediamento, svanì ben presto e rese centrale ilcompito di salvare la Repubblica. Il Triumvirato mazziniano, in ognicaso, segnò il momento più alto e democratico della vita dellaRepubblica Romana che divenne, nella primavera del 1849, lacapitale di uno Stato italiano, moderno e laico, che concentrò mezzied energie per assicurare una sopravvivenza sempre più minacciatadall’incombente intervento militare straniero e, contestualmente,intensificò l’azione di rinnovamento istituzionale, politico e sociale giàintrapresa nella fase di interregno post-pontificio e sotto il ComitatoEsecutivo.

In sostanza, la grandezza della caratura politica di Mazziniconsistette in una realistica visione degli eventi europei – come delresto contestare al genovese l’idea (poi mutuata da Cavour) chel’unificazione politica della penisola non potesse essere disgiunta dalsostegno di una potenza europea di primo piano come la Francia –nel porre il suo impegno indefesso e quotidiano a disposizione di tutti(a partire dai singoli cittadini, visto che era solito mangiare in unacomune trattoria e dormire in una modesta dimora, rifiutando ognitipo di sfarzo) e nel credere fermamente che la Repubblica, nata quasiun mese prima del suo arrivo a Roma, dovesse rappresentare il primonucleo fondativo di un’Italia finalmente libera, indipendente,democratica e repubblicana18.

Dal canto suo, Garibaldi fu indubbiamente il personaggio piùpopolare della Repubblica, l’autentica icona del 1849 anche perl’opinione pubblica europea, ma si trovò solo e incompreso da partedelle autorità repubblicane: infatti, tra il nizzardo e il governo romano,al di là di frizioni personali ed episodiche, si rivelò una chiara diversità

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di vedute dal momento che egli contrappose, alla difesa statica diRoma voluta da Mazzini sulla base di una valutazione sostanzialmentepolitica, una guerra di movimento ed offensiva, pronta a sfruttare lediverse forme di lotta popolare e ad esportare, attraverso leinsurrezioni, la guerra rivoluzionaria19.

Non pochi personaggi su cui si è soffermata l’attenzione degli studirecenti, inoltre, sono rimasti sostanzialmente imprigionati nelle gabbieinterpretative allestite alla rinfusa e in una cornice oleografica dallastoriografia post-risorgimentale: clamoroso per certi versi il caso diCarlo Armellini, triumviro e vero uomo per tutte le stagioni dellacongiuntura repubblicana, il quale, pur potendo beneficiare di unavera e propria biografia che è stata realizzata con criteri aggiornati eha fatto giustizia di non poche inesattezze tramandatesi fino alsecondo dopoguerra, veniva ricordato nella sopra citata rassegna del1999 non certo per questa biografia, ma per la succinta ed erratascheda biografica realizzata nel 1965 da Renzo De Felice per ilDizionario biografico degli italiani20.

In ogni caso, sono stati proprio i più recenti studi sulla Repubblicaromana a sviluppare le più interessanti suggestioni interpretative e,dunque, a delineare una serie di obiettivi per le nuove ricerchesull’argomento.

Un primo è costituito dallo sforzo di ricostruire analiticamente comesi sia svolta la vicenda repubblicana nelle diverse periferie dello Stato,cercando di esaminare chi ha assunto il potere, come si siano svoltele elezioni amministrative, quale tipo di contributo è stato offerto suscala locale per divulgare gli istituti repubblicani e difendere ilterritorio invaso da quattro Stati europei (il cui intervento – è benericordarlo – venne formalmente richiesto da Pio IX per riprenderepossesso del potere temporale), quale tipo di approccio memoriale sisia sedimentato nel tessuto nazionale e locale.

Un secondo aspetto concerne i diversi temi che tuttora meritano unarticolato approfondimento: un più analitico studio delle relazioni chela Repubblica cercò di intrattenere su scala nazionale e internazionale,il ruolo delle donne21, degli ebrei22, insomma di categorie socialisaltuariamente rese oggetto di studi specifici.

In particolare, appare oggi ben contestualizzato il ruolo svolto nellaRoma quarantanovesca dalla giornalista statunitense Margaret Fuller(1810-1850), una delle voci più autentiche e originali dell’epopea

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quarantanovesca: osservatrice attenta e scrupolosa, la Fuller sostenneapertamente gli ideali di libertà e democrazia, fu particolarmentevicina a Mazzini sul piano ideologico ed emotivo e scorse negli eventirepubblicani la vibrazione dello spirito egualitario della madre patria,invitando (senza successo) quest’ultima a sostenere il governo dellaRepubblica e criticando apertamente il comportamento falso emenzognero tenuto nella circostanza dalla Seconda Repubblicafrancese. Corrispondente del «New-York Tribune», foglio radicale cheavrebbe dal 1852 pubblicato anche articoli di Karl Marx, e“regolatrice” dell’Ospedale Fatebenefratelli su nomina di CristinaTrivulzio di Belgiojoso, fu una delle poche voci straniere che rimaserocolpite dalla Roma moderna, attiva e ricca di speranza politica,anziché di quella classica e oleografica, e spese tutta se stessa per farconoscere agli americani, in maniera meticolosa quanto solidale, lacoraggiosa partita che gli italiani stavano giocando al centro dellapenisola in quella coda della rivoluzione dei popoli così tantodisprezzata dalle cancellerie europee. La sua scrittura ora partecipe evibrante ora delusa e amareggiata, la sua figura eclettica e romantica,la sua fine drammatica – perì tornando in patria, il 17 maggio 1850insieme al marito, il marchese Giovanni Angelo Ossoli, e al loro figlioAngelino, nel naufragio a largo di New York di una nave partita daLivorno – hanno destato un’attenzione da parte di storici e studiosi chenon pare essersi ancora esaurita23.

Un terzo obiettivo consiste nell’esaminare cosa abbia rappresentatola Repubblica dopo la Repubblica sia nel senso del radicamento dellamemoria storica a livello popolare e sia sul piano della ricezione sulpiano storiografico. Sotto quest’ultimo punto di vista, va ricordato chesolo con le tre grandi opere storiche realizzate tra la fine della secondaguerra mondiale e il 1960 (Rodelli, Di Nolfo, Candeloro) e con lemostre e le iniziative organizzate per il centenario della Repubblica siè potuto disporre di ricostruzioni d’insieme capaci di entrare nellebiblioteche degli italiani.

Tuttavia a questa fase proficua, terminata nel 1960, ha fatto seguitoun trentennio di pressoché totale oblio, poi riscattato dalla prima,innovativa ricerca di autentico rilievo storiografico come quella sullecomunità laziali di Franco Rizzi24.

Un quarto punto di vista è strettamente collegato al secondo: chi havoluto la fuoriuscita della Repubblica romana dal panorama e

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dall’identità storica nazionale? Indubbiamente, le forze politiche eideologiche che hanno dominato la scena culturale italiana delsecondo dopoguerra, quelle di estrazione marxista e cattolica, non sisono mostrate interessate a sviluppare nuove ricerche sulla Repubblicadel 1849 così come, su un piano più generale, sul Risorgimento.

Tuttavia va ricordato come, proprio nel corso delle celebrazionicentenarie in Parlamento, fossero stati due intellettuali di punta, comeil comunista Concetto Marchesi e il cattolico Igino Giordani, ariportare la calma in una commemorazione infuocata dal settarismopolitico.

In un’aula di Montecitorio arroventata da polemiche e accusereciproche tra i deputati dei diversi schieramenti politici, alla metà delpomeriggio del 9 febbraio 1949, Marchesi, insigne filologo e storicodella letteratura latina, affermò che «la lampada accesa in Roma nel1849» era tutt’altro che spenta ad un secolo di distanza e avevasegnato «i passaggi da uno all’altro orizzonte della storia umana»,mentre quella Repubblica aveva avuto sì una vita breve, ma avevaconosciuto una morte così eroica che conteneva «in sé i germi vitali deigrandi avvenimenti» e aveva riportato il popolo al governo dellanazione, senza che gli eserciti stranieri potessero arrestare «la storiadella nuova Italia»25.

Dal canto suo Giordani si associava alla «celebrazione» delcentenario di un avvenimento che era stato «deprecato dai nostripadri» e aveva suscitato polemiche «fra i nostri e i vostri pionieri»; diseguito, il «cattolico militante» Giordani ricordava l’importanza diMazzini nella Roma quarantanovesca, il suo spirito di concordia al disopra delle parti, il suo programma «di ricostruzione politica e socialed’Italia e d’Europa», che aveva esposto con una chiarezza tale darenderlo uno dei «grandi istruttori dell’umanità» in quanto artefice diquel «carattere universale» espresso nella formula Dio e Popolo, chenon era diversa ma complementare al Dio e libertà propria dei padridel movimento cattolico: un’idea, quella mazziniana, che secondoGiordani era ancora, nel 1949, di grandissima attualità perché «davaalla politica tutt’altro significato», poiché il popolo diventaval’interprete della volontà divina. Mazzini era stato il pedagogo dellanuova politica basata su valori morali visto che Giordani concludevail suo intervento, applauditissimo, con questo suggestivo invito:«Prendiamo da Mazzini l’insegnamento di una fedeltà ai valori

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spirituali, che nessuna violenza, nessun odio stupido e criminale puòdistruggere»26.

1 Sulla rilevanza di questo Numero speciale e sulle ricerche uscite tra la fine del secolo scor-

so e quello attuale si veda M. Severini, Il preludio della Repubblica. Gli studi recenti sulla

Repubblica Romana del 1849, in «Rinascita della Scuola», 2003, n. 2, pp. 71-79.2 G. Colombo, La Rivoluzione in convento. Lettere di religiose nella seconda Repubblica roma-

na, in Scritture di donne. La memoria restituita, a cura di M. Caffiero e M. I. Venzo, Roma,

Viella, 2007, p. 347.3 L. Pupilli, La recente storiografia sulla Repubblica Romana del 1849, in «Rassegna storica

del Risorgimento», a. XCII, supplemento al fasc. III, Numero speciale per il bicentenario della

nascita di Giuseppe Mazzini, 2005, pp. 65-78.4 C. Fracassi, La meravigliosa storia della repubblica dei briganti. Roma 1849: Mazzini,

Il Prof. MMaarrccoo SSeevveerriinnii si occupa da moltianni di storia e storiografia politicadell'età risorgimentale e contemporanea. I suoi principali temi di ricerca sono statiMazzini e la Repubblica Romana del1849, Garibaldi, l'età giolittiana, ilproblema dei notabili e lo studio dellarappresentanza parlamentare. Fral’altro, nel 2002 è stato autore di “Diariodi un repubblicano. Filippo Luigi Polidori

e l'assedio francese alla Repubblicaromana del 1849”, pubblicato daAffinità Elettive Edizioni. Nel 2004 è stato co-aoutore insieme conPietro Pistelli de “L' alba della democrazia.Garibaldi, Bruti e la Repubblica romana”,pubblicato dal medesimo editore. Il suo prossimo libro sulla Repubblicaromana è previsto per quest’anno.

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Garibaldi, Mameli, Milano, Mursia, 2005; S. Tomassini, Storia avventurosa della rivoluzione

romana. Repubblicani, liberali e papalini nella Roma del ’48, Milano, Il Saggiatore, 2008.5 M. Severini (a cura di), Studi sulla Repubblica Romana del 1849, Ancona, affinità elettive,

2002, e Id. (a cura di), La primavera della nazione. La Repubblica Romana del 1849, Ancona,

affinità elettive, 2006.6 Archivio di Stato di Roma, Roma, Repubblica, venite: percorsi attraverso la documentazione

della Repubblica romana del 1849, Roma, Gangemi, 1999.7 Biblioteca di Storia moderna e contemporanea, Fondare la nazione. I repubblicani del 1849

e la difesa del Granicolo, a cura di L. Rossi, Roma, Palombi, 2001.8 Gli Americani e la Repubblica Romana del 1849, a cura di S. Antonelli, D. Fiorentino, G.

Monsagrati, Roma, Gangemi, 2000.9 I. Manzi, La Costituzione della Repubblica Romana, introduzione di M. Severini, Ancona,

affinità elettive, 2003.10 G. Monsagrati, La Repubblica Romana del 1849, in Almanacco della Repubblica, a cura di

M. Ridolfi, Milano, Bruno Mondadori, 2003, pp. 84-96.11 M. Severini, Nascita, affermazione e caduta della Repubblica Romana, in La primavera della

nazione, cit., pp. 60-97.12 Pupilli, La recente storiografia sulla Repubblica Romana del 1849, cit., pp. 69-72. Tra le edi-

zioni uscite dopo il 2006 va ricordato il volume A corte e in guerra. Il memoriale segreto di Anna

de Cadilhac, a cura di R. De Simone e G. Monsagrati, Roma, Viella, 2007.13 Pupilli, La recente storiografia sulla Repubblica Romana del 1849, cit., pp. 72-78.14 G. Belardelli, Mazzini, Bologna, il Mulino, 2010.15 M. Severini, Attualità della Repubblica Romana del 1849, in «Il Pensiero Mazziniano», 3,

2008, pp. 28-33.16 Belardelli, Mazzini, cit., pp. 145-157.17 M. Ferri, Mazzini uomo di governo, in Pensiero e Azione: Mazzini nel movimento democrati-

co italiano e internazionale, Atti del LXII Congresso di storia del Risorgimento italiano, Genova,

8-12 dicembre 2004, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2006, pp. 54 e ss.18 Severini, Nascita, affermazione e caduta della Repubblica Romana, in La primavera della

nazione, cit., pp. 53-54.19 M. Severini, Garibaldi repubblicano, in Id. (a cura di), Garibaldi eroe moderno, Roma,

Aracne, 2007, pp. 79-94. Si vedano anche L. Riall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Roma-

Bari, Laterza, 2007, pp. 55-104 e M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzio-

nario disciplinato, Roma, Donzelli, 2007, pp. 9-26.20 M. De Nicolò, Gli studi sulla Repubblica Romana negli ultimi cinquanta anni, in L’opera

della municipalità romana durante la Repubblica del 1849. Atti della Giornata di Studi (Roma,

19 aprile 1999 – Sala Promoteca), a cura di E. Capuzzo, Comune di Roma – Istituto per la sto-

ria del Risorgimento italiano, Roma, «Rassegna storica del Risorgimento», LXXXVI, 1999,

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Numero speciale per il 150° anniversario della Repubblica romana (d’ora in poi Numero spe-

ciale), pp. 115-150.21 S. Soldani, Donne e nazione nella rivoluzione italiana del 1848, in «Passato e presente», XVII

(1999), pp. 75-102; R. De Longis, Patriote e infermiere, in Fondare la nazione, cit., pp. 99-107;

M. Severini, Diario di un repubblicano. Filippo Luigi Polidori e l’assedio francese alla Repubblica

Romana del 1849, affinità elettive, Ancona 2002, pp. 47-53; La primavera della nazione, cit., pp.

206-226.22 E. Capuzzo, Gli ebrei e la Repubblica Romana, in Numero speciale, pp. 267-286.23 Mentre per una ricostruzione generale e per un aggiornamento bibliografico e storiografi-

co si rimanda ai diversi saggi del volume Gli Americani e la Repubblica Romana del 1849, va

notato che alla Fuller G. Mosagrati ha dedicato un profilo sul Dizionario biografico degli italia-

ni (vol. 50, 1998, pp. 703-707), mentre Mario Bannoni sta concludendo una monografia sulla

giornalista bostoniana.24 F. Rizzi, La coccarda e le campane. Comunità rurali e Repubblica Romana nel Lazio (1848-

1849), Milano, FrancoAngeli, 1988.25 Severini, Attualità della Repubblica Romana del 1849, cit., p. 38.26 Ibidem, pp. 39-40.

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MMaarriioo BBaannnnoonnii

Lettura di uno stralcio di una lettera che Margaret ricevette il 9 giugno 1849

Volete mostrarvi donna e perdonare? Merito d'esser perdonato; sepoteste passare tutto un giorno vicino a me vi maravigliereste non delmio silenzio con quelli che amo, ma che io sia vivo!

Dalle sette della mattina, ieri, alle sette di sera sono stato continua-mente a scrivere, a scrivere per fino mentre parlo con la gente, .... Allesette fui chiamato al letto di un amico, Mameli1, un giovane poeta esoldato promettente: dovevo persuaderlo a sopportare l'amputazionedella gamba... non si potè fare ...; lo lasciai alle nove, ... di nuovo finoal tocco dopo mezzanotte. Ogni cosa, dal particolare di un soldatoarrestato... alla difesa; da una disputa... a una discordia fra due gene-rali: ogni cosa viene fino a me.

Perfino a mia madre scrivo raramente poche parole. Se la cosadovesse durare a lungo, non v'è forza né volontà umana che possa resi-stere. ...

Ho pensato a voi spesso; la sola cosa che potevo fare.Conservatevi fedele e fiduciosa; pregate per Roma e per l'Italia: è con-centrata qui!

Sempre vostro.Giuseppe Mazzini

1 Goffredo Mameli, poeta e autore dell'Inno italiano "Il Canto degli Italiani" (meglio conosciu-

to come "Fratelli d'Italia), fu ferito durante l'attacco francese del 3 giugno a Villa Pamphili. Fu

amputato della gamba destra, ma troppo tardi, morì a 22 anni il 3 luglio 1849.

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DDiiffeessaa ddii RRoommaa ddeell 11884499:: MMeemmoorriiaa ee tteerrrriittoorriioo

EEnnrriiccoo LLuucciiaanniiPresidente dell’Associazione Amilcare Cipriani e direttore del sito del ComitatoGianicolo. È possibile accedere al sito web per ulteriori informazioni:www.comitatogianicolo.it/new/index.htm

Come presidente dell’Associazione Amilcare Cipriani e direttoreresponsabile del sito www.comitatogianicolo.it ho accolto con moltopiacere l’invito a partecipare a questo Seminario che intende onorarela memoria di Margaret Fuller nel Bicentenario della nascita. Al nomedi Margaret Fuller, infatti, è legato una data importante della storiadella nostra Associazione: nel novembre 2000, al ConvegnoInternazionale su Margaret Fuller, all’Accademia Americana, noipresentammo il nostro primo progetto di itinerario garibaldino, e loabbiamo ricordato anche pochi giorni fa, nella nostra assemblea sulBicentenario di Margaret Fuller programmata per l’otto marzo e poirinviata al 6 maggio a causa di un incendio doloso avvenuto nei nostrilocali.

Da oltre 10 anni, in effetti, l’Associazione Amilcare Cipriani èimpegnata in una azione divulgativa che si pone l’obbiettivo di tenerviva la memoria della Repubblica Romana del 1849, dei suoiprotagonisti e dei suoi ideali, in quanto parte irrinunciabile dellanostra identità di italiani e di democratici.

La nostra azione divulgativa e’ volta a far conoscere il valore storicodei luoghi dove si svolsero i più significativi episodi della Difesa diRoma del 1849, e cioè il territorio che comprende il Gianicolo edintorni. E non solo i luoghi più famosi, come Villa Pamphilj, Porta SanPancrazio, Villa Sciarra, l’Accademia Americana, San Pietro inMontorio, ma anche tanti altri luoghi di Monteverde, Trastevere e

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Portuense che pure hanno una nobile storia legata alla Difesa diRoma, che la gente non conosce pur vivendoci o passandovi accantotutti i giorni. Noi stessi, che abbiamo la sede in Via di Donna Olimpia30, in un lotto di case popolari, ignoravamo quanto questo luogofosse legato a importanti fatti della Difesa di Roma del 1849, inparticolare all’attacco dei francesi del 3 giugno. (Proiezione diimmagini)

Con Cesare Balzarro e Claudio Bove abbiamo perciò realizzato eanimato, con racconti per immagini, un sito web a tale scopo, un sitoche si avvale di apporti qualificati di prestigiose istituzioni quali laBiblioteca di Storia moderna e contemporanea e Il Museo Centrale delRisorgimento di Roma. Tra gli elementi di maggior interesse il sitoespone tre mappe dello Stato Maggiore francese, allegate al libroSiege de Rome del Generale Vaillant che comandava le operazionid’assedio. Due di queste mappe, la 2 e la 3, appaiono di eccezionaleimportanza in quanto sono le prime mappe plano-altimetriche di tuttala zona del Gianicolo, eseguite con il moderno metodo delle curve dilivello, presso che sconosciuto all’epoca. Abbiamo così informazioniesatte sulla morfologia del terreno nel 1849, che consentono una piùapprofondita conoscenza dei fatti storici, e si prestano a confronti conla morfologia attuale del territorio. L’esistenza di queste mappe eradel tutto sconosciuta alla cultura urbanistica attuale. Quando noi neparlammo per la prima volta, nel maggio 2005 in occasione di unamostra tenuta presso il nostro Circolo, fummo poi invitati a farneoggetto di relazione tenuta nel novembre 2005 dal nostro vice-Presidente ing. Cesare Balzarro presso la Facoltà di Architettura “ValleGiulia” dell’Università Sapienza di Roma, nell’ambito del ConvegnoRoma contemporanea: storia e progetto. Apprendemmo così che noi,che istituzionalmente siamo divulgatori e non ricercatori, avevamofatto una importante scoperta, o meglio una riscoperta. Questariscoperta fu poi integrata da una vera scoperta, o meglio da un colpodi fortuna, quando al mercato antiquario francese trovammo unmanuale d’istruzione per gli ufficiali francesi sulle trincee d’assedio,del dicembre 1849, dal titolo Leçons sur l’école des sapes, cheevidentemente si basava sulla recentissima esperienza dell’assedio diRoma, ed era totalmente inedito: lo abbiamo tradotto in italiano emesso sul nostro sito, wwwcomitatogianicolo.it .

Passo ora a descrivere le varie fasi dell’assedio, in gran parte

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traendo quanto dirò dal nostro opuscolo “I luoghi dei Francesi”,scritto da Giuseppe Monsagrati, Cesare Balzarro e Carlo Benveduti.La copertina del libretto già richiama un argomento, la breccia del 3giugno nel muro di Villa Pamphili, che è stato oggetto di una nostrafortunata ricerca, conclusa con l’identificazione esatta della zonadove fu praticata la breccia. (Proiezione di immagini).

Questa prima mappa francese,tratta dalla ben nota mappaitaliana ordinata dal Cardinal Falzacappa, anche se priva di curve dilivello è peraltro interessante anche sotto il profilo morfologico per larappresentazione dei rilievi in modo quasi pittorico e immediatamenteleggibile. Per noi questa prima mappa è importante perché mostratutto il quadro delle operazioni militari. La grafica di Carlo Benvedutievidenzia la rete di strade utilizzate dai francesi, mentre l’area atratteggio comprende la zona del fronte interessata dalle trinceed’assedio: i numeri indicano i punti nevralgici dello schieramentofrancese.

La zona del fronte è al Gianicolo. Con consumata tecnicad’assedio, i francesi avanzavano verso le Mura Gianicolensilentamente, al coperto, “come talpe” , scavando le loro trincee lungoun fronte di attacco che andava dal Bastione 9 (a sinistra della PortaSan Pancrazio, guardando dall’esterno) fino al Bastione 6, cioè finoalle mura di Villa Sciarra nei pressi di Largo Berchet.

Nelle immediate retrovie vi era il Grande Deposito di trincea, nellazona oggi corrispondente a Piazzale Dunant, e nelle vicinanze erasistemato il Quartier Generale del Genio e dell’Artiglieria (Villa SanCarlo, in area oggi corrispondente al margine est dell’ospedale SanCamillo); il Quartier Generale del Comando supremo aveva sede aVilla Santucci, (oggi corrispondente al complesso sanitario di ViaRaMazzini); nella vicina ansa del Tevere, a Santa Passera, i francesiavevano gettato un ponte di barche. Poco più a valle del ponte vi erail Porto di Santa Passera importantissimo punto di attracco per ilnaviglio fluviale. Come dice Vaillant, nel fare grandi elogi alla marinamilitare francese, a Santa Passera arrivavano tutti i rifornimenti e letruppe di rinforzo che giungevano via mare fino a Fiumicino, e poirisalivano il Tevere con battelli e tartane; e sempre qui a Santa Passeravenivano imbarcati i feriti che rientravano in patria. (Proiezione diimmagini).

Fondamentale importanza aveva il Grande Deposito di Trincea di

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Piazzale Dunant quale centro di smistamento delle truppe impegnatenei lavori d’assedio. Infatti passavano di qui tutti i movimenti di truppeper gli avvicendamenti in trincea: artiglieri, travailleurs di fanteria (lamassa di manovalanza addetta allo scavo delle trincee) sapeurs (glispecialisti del genio), guardia alla trincea (battaglioni a protezione deilavori). Quando era il loro turno per andare a scavare in trincea, itravailleurs si raccoglievano presso il Grande Deposito, qui venivanodotati di attrezzi e materiali d’assedio (pale, picconi, fascine,gabbioni, ecc.), e poi venivano avviati ai posti di lavoro, sotto la guidadi ufficiali del genio. Finito il turno, i travailleurs tornavano al depositodi Piazzale Dunant, lasciavano gli attrezzi e facevano rientro airispettivi accampamenti. Questi movimenti di truppa, così comel’afflusso dei materiali e il trasporto dei feriti, impegnaronointensamente questa linea di comunicazioni fino agli ultimi giorni delconflitto, tanto che proprio allora venne costruita la strada attraversoil canneto nel vallone dei Quattro Venti, come è scritto sulle mappe al5.000 e al 2.000.

Per tornare al 3 giugno, l’attacco contro Villa Pamphilj si basasull’azione sincrona e combinata di due colonne d’assalto. La primacolonna era accampata presso Villa Maffei (sull’Aurelia, non lontanodalla Clinica Pio XI), e doveva effettuare un’azione diversiva:scendendo lungo la Strada del Casale di San Pio V, (che alloraarrivava fino all’Aurelia) si poteva raggiungere facilmente il muro dicinta di Villa Pamphilj, e in effetti la colonna costeggiando il muro apasso di corsa penetra nella Villa dal lato ovest (Via della Nocetta),attraverso una porta trovata aperta. La seconda e più potentecolonna, che conduce l’attacco principale, penetra a Villa Pamphilj dasud (Via Vitellia): il grosso delle truppe entra attraverso una breccia nelmuro di cinta aperta con l’esplosivo, mentre poco lontano, sulladestra, una compagnia di chasseurs passa attraverso una apertura perlo scolo delle acque, rimuovendo la griglia di protezione. Secondo unnostro studio , la breccia si trovava sulla attuale via Vitellia, nonlontano da Largo Grigioni,( e più precisamente si trovava a circa 130metri di distanza dal semaforo dell’Olimpica, come abbiamoaccertato recentemente). La griglia invece era posta in prossimitàdell’attuale incrocio di via Vitellia con Via di Donna Olimpia, dove ilterreno ha la quota più bassa, e dove tuttora esiste una griglia. Nelquadro strategico delineato, si ritiene possa avere rilevanza il fatto

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che, come risulta dall’ordine generale del Generale Oudinot in data 2giugno 1849 , il principale contingente d’attacco dei francesi, il 33° dilinea, alla vigilia dell’attacco avesse propri reparti dislocati in localitàBruggiani (corrispondente a Largo Ravizza), a breve distanzadall’obbiettivo: da lì infatti si arrivava rapidamente al Vicolo dellaNocetta (Via Vitellia) attraverso una stradina (oggi ravvisabile nelVicolo Vicinale, tra Piazza Ceresi e Via Vitellia), che sbocca proprio trabreccia e griglia. (Proiezione di immagini)

L’ultima mappa, da noi realizzata con l’uso del computer,sovrappone la rete delle trincee francesi, rilevata nel 1849 dalDecuppis, ad una mappa di Roma attuale. Come abbiamo potutoconstatare distribuendola in centinaia di copie, questa mappa destagrande interesse anche nella gente comune del quartiere, che sentenobilitata la propria dimora dalla memoria storica della RepubblicaRomana. Sul nostro sito la mappa è anche disponibile in versionestampabile

Le operazioni militari nell’ultima fase del conflitto si possonoseguire bene sulla mappa al 2.000.(Proiezione di immagini) Il 21giugno vengono aperte le brecce nei Bastioni 6 , 7, e nella cortinaintermedia (mura di Villa Sciarra). Nella notte, con un colpo di manoi francesi si impossessano di tutto questo tratto di mura. Non riesconoa procedere oltre per la tenace resistenza dei romani, che si sonoattestati su una nuova linea di difesa, da Porta San Pancrazio a VillaSpada, utilizzando un tratto delle Mura Aureliane che alloraesistevano, benché malridotte, e che partendo dal Bastione 8(Accademia Americana) scendevano verso valle con tracciato similealla Via Angelo Masina. Punto di forza della nuova linea di difesa eraproprio il Bastione 8 (Accademia Americana) Qui i romani avevanouna batteria ben piazzata per opporsi all’attacco, la Batteria dellaMontagnola, così chiamata perché sistemata su un rialzo del terrenoallora esistente, la Montagnola. Nella notte tra il 29 ed il 30 giugnoi francesi, appoggiati dall’artiglieria, sferrano l’attacco decisivo Dopoun furioso bombardamento, viene aperta una breccia nel fianco delBastione 8, e due colonne vanno all’assalto uscendo dalle trincee esalendo su per la breccia. Contemporaneamente una terza colonnaattacca dall’interno delle mura, per prendere il bastione alle spalle edeliminare la Batteria della Montagnola al più presto possibile. Questaterza colonna parte dalle posizioni occupate sin dal 21 giugno al

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Bastione 7, cioè parte dall’interno di Villa Sciarra, zona della voliera,e si suddivide in due distaccamenti. Il primo distaccamento procedelungo le mura, dal lato interno, secondo un itinerario che corrispondealla Via Pietro Roselli, e punta direttamente alla sommità del Bastione8, verso una costruzione in fiamme, la casa Merluzzo, ubicata propriosopra la breccia, nello stesso punto ove oggi si trova la “casa rustica”dell’Accademia Americana, all’angolo con Via Giacomo Medici . Ilsecondo distaccamento si porta molto più a valle, espugna una trincearomana uccidendo tutti gli occupanti, supera il muro aureliano,attacca Villa Spada senza penetrarvi, e risale verso la Porta SanPancrazio prendendo alle spalle le postazioni romane dell’ottavobastione. Dopo una lotta accanitissima, anche gli artiglieri dellaMontagnola vengono tutti uccisi .

Alla mattina del 30 il Bastione 8 è preso. Il 3 luglio l’esercitofrancese entra in città.

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MMaarriioo BBaannnnoonnii

Lettura di uno stralcio di un breve brano tratto dal dispaccio n° 34, cheMargaret inviò al suo Giornale il 6 luglio 1849

Il 4 luglio, giorno tanto gelosamente celebrato nella nostra terra, èquello dell'entrata dei francesi a Roma!

..... Ieri sono andata sul luogo del conflitto. È stato terribile anchevedere il Casino dei Quattro Venti e il Vascello, dove i francesi ed iRomani sono stati molti giorni così vicini gli uni agli altri, tutti ridotti inpezzi, con i ricchi frammenti di stucco e di pittura ancora attaccati alletravi, tra i grandi fori fatti dalle cannonate -- e pensare che gli uominierano rimasti a combattere lì pur essendo solo un ammasso di rovine.

I francesi, infatti, erano completamente al riparo gli ultimi giorni --ai miei occhi inesperti, la portata e l'accuratezza delle loro opere sem-bra miracolosa, e mi ha dato la prima chiara idea dell'impreparazionedegli italiani a contrastare eserciti organizzati.

Mi sono resa conto che i loro comandanti non avevano ancora suf-ficiente conoscenza dell'arte della guerra per comprendere come i fran-cesi stavano conducendo l'assedio.

Certamente le loro risorse erano in ogni caso inadeguate a resiste-re -- solo continue sortite avrebbe arrestato l'avanzata del nemico, maper compierle e presidiare anche le mura le loro forze erano insufficien-ti.

Sono stata colpita più che mai dall'eroico valore del "nostro" popolo(lasciatemelo d'ora in poi chiamare così, perché ovunque potrò anda-re, una gran parte del mio cuore rimarrà sempre in Italia).

Spero che i suoi figli sempre mi riconoscano come una sorella,anche se non ho tratto qui il mio primo respiro.

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OOppeerraattiivviittàà SSaanniittaarriiaa MMiilliittaarree nneellll''IIttaalliiaa ddeell 11884488--4499

PPrrooff.. AAnnttoonniioo SSaannttoorroo Brigadier Generale Medico presso la Direzione Generale della Sanità Militare,Presidente Commissione medica di seconda istanza e docente presso l’Universitàdegli studi di Firenze

PPrreemmeessssaaI precedenti Relatori hanno affrontato con diverse ottiche lesequenzialità storiche degli eventi che posero fine all'effimeraRepubblica Romana del 1849, anche focalizzando diversi aspetti dellepersonalità dei maggiori protagonisti e della Nostra Eroina inparticolare. Pertanto questo contributo si attesta soltanto sullatrattazione delle problematiche sanitarie di guerra nella breve storiamilitare di quella Repubblica, essendo successivamente sviluppate letracce storiche della tecnologia chirurgica dalla Coautrice, espertamuseale.

La seconda parte del XIX secolo fu un'epoca che vide correrevelocemente la Medicina e la Chirurgia, peraltro sollecitate al medicalimprovement in occasione dei frequenti conflitti che si sviluppavano indiverse parti del mondo. Alcune discipline mediche erano ancora di làvenire: la Radiologia sarebbe nata solo nel 1895 con la scoperta diRoentgen dei raggi X, la Rianimazione non esisteva, così come laChemioterapia antibiotica (annunciata a fine secolo dal medicomilitare italiano Vincenzo Tiberio); empiricamente insufficientel'Infettivologia, mentre le specialità chirurgiche (Otorinolaringoiatria,Oculistica, Ortopedia, Ginecologia) erano primordialmenteraggruppate in una confusa pratica Chirurgia Generale, solo da pochidecenni strappata ai barbieri ed ai flebotomi ed in procinto di esseremeglio legata agli studi della Medicina. L'Anestesia era appena nata

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nel 1846 a Boston ad opera di un dentista, Morton che ebbe adimpiegare il pericoloso, ma efficace cloroformio, mentre i dentistifrancesi usavano l'etere solforico, peraltro impiegato per un interventoodontostomatologico anche sulla Fuller, ma l'Anestesiologia dovevaancora entrare sui campi di battaglia: l'avrebbe fatto dopo 6 anni inCrimea.

Le ferite agli arti di maggior impegno patologico, in assenza dei dilà da venire antibiotici, imponevano cruente e dolorosissimeamputazioni (non è comunque documentato infatti l'impiego dianestetici da parte dei chirurghi militari nella Roma del 1849).

L'assedio si svolse nella canicola della prima estate eppure, vuoiper la millenaria abbondanza d'acqua potabile in Roma, vuoi per ilsapiente regime sanitario dei medici assediati, contrariamente aquanto successe a Venezia, pur in era preantibiotica, non vi furonoepidemie di colera o altro.

LLaa ssaanniittàà mmiilliittaarree ddeellllaa RReeppuubbbblliiccaa RRoommaannaaL'Esercito della Repubblica Romana si era costituito nella primaveradel'49 mediantela fusione di una buona parte delle truppe pontificieindigene (in particolare i militari che avevano operato nella campagnadel 1848 contro gli Austriaci nel Veneto) e da volontari: la LegioneItaliana di Garibaldi, i Bersaglieri Lombardi di Luciano Manara etantissime altre formazioni di italiani e stranieri. Al momentodell'assedio della prima estate del '49 in Roma vi erano circa 12000militari, per metà ex papalini ed altrettanti volontari. È da dirsi che ilpopolo di Roma, spesso nel passato poco incline ad azioni belliche, si

Fig. 1

Fig.1,2 - Vari tipi militaridella RepubblicaRomana, 1849 (da CodiceCenni S.M.E., Roma)

Fig. 2

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pose in buona parte a combattere i Francesi e comunque a sostenerelogisticamente i combattenti [ 2 ]. Fu uno sforzo titanico perchè solo ilCorpo di Spedizione del generale Oudinot metteva in linea 30000francesi ben addestrati (veterani d'Africa e delle cruente repressionidelle rivolte parigine dell'epoca di Luigi Filippo... diversi erano i militaridel tipo descritto nei Miserabili da Victor Hugo ad espugnare lebarricate dei vicoli parigini) con 75 cannoni: praticamente unfavorevolissimo rapporto di forze 3 a 1 rispetto ai non sempreaddestrati assediati in Roma. Quell'epopea, seppure circoscritta a circaun breve semestre, fu costellata di episodi di straordinario valore chetuttora arricchiscono l'apoteosi dei valori ideali della Nostra Nazione.

I Triumviri, illuminati dal professionale consiglio del colonnellonapoletano Carlo Pisacane, organizzarono in tempi brevi tuttal'ossatura dell'esercito e conferirono rilievo alla struttura opertivasanitaria militare. In particolare con il Regolamento Organico pelCorpo Sanitario dell'Armata (pubblicato sul Bollettino delle Leggi dellaRepubblica Romana il 31 marzo 1849) furono istituiti:1. l'Organo Direzionale Consiglio Superiore Sanitario (con l'Ispettore

Generale, 8 ufficiali medici, chirurghi e farmacisti e 3 impiegati);2. Tre Ospedali Militari in Roma (ciascuno con organico di 4 medici, 6

chirurghi, 2 farmacisti e 5 impiegati); gli Ospedali erano insediatirispettivamente:

a. l'Ospedale Militare Principale, con funzioni di sede direttiva,presso il complesso dell'antico Ospizio della Trinità dei Pellegrini in Arenula;

b. l'Ospedale Militare di San Carlo, vetusto nosocomio militarepontificio, istituito da Pio VII nella 2^ metà del 700 ( sarebbepoi stato riorganizzato nel 1861), situato presso l'Ospedaledi Santo Spirito in Sassia, nella cosiddetta Spina di Borgo,quartiere che poi sarà demolito dallo sventramento ediliziodell'epoca fascista per dar luogo all'ampia prospettiva dellaBasilica di San Pietro, godibile da Castel Sant'Angelo, creatada via della Conciliazione;

c. Ospedale Militare dell'Isola Tiberina nell'odierno OspedaleFatebenefratelli millenario nosocomio insediato sull'Isolafluviale;

3. il Convalescenziario del Quirinale, attendato negli odierni giardinidel Colle;

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4. il Corpo Sanitario Reggimentale 2 chirurghi per i Reggimenti diCavalleria, 3 per ciascun Reggimento di Fanteria e 4 per l'interoCorpo di Artiglieria;

5. alcune (fino ad 8) Ambulanze Divisionarie e di Riserva con Medici,Chirurghi, Amministrativi ed Infermieri con l'Ufficiale diinquadramento.

Tutte le sedi sanitarie erano sormontate da una bandiera nera,perchè fossero riconoscibili dagli osservatori dell'artiglieria francese equindi risparmiate dal cannoneggiamento: non sempre però fu così,in particolare l'Ambulanza in San Pietro in Montorio, prossima agliassalti francesi, riportò gravissimi danni con perdite umane anche trai soccorritori; gli stessi Ospedali Militari, ben più distanti dalla linea delfuoco, furono colpiti, sia pur non gravemente, da colpi di cannone;alcune palle, fortunatamente non di tipo cavo – esplosivo si andaronoa conficcare in muri, selciati e persino in qualche altare, a pochi metridalle degenze dei feriti o dalle salette chirurgiche.

La Repubblica Romana in campo sanitario militare tentò di fare lecose perbene, disciplinandone anche le tenute: infatti con Ordine delgiorno emesso in data 12 maggio 1849 fu emanato il Regolamentodell'Uniforme che ordinò al Corpo Sanitario vestiario similare a quellodei Corpi di Fanteria regolare.

Tuttavia, nonostante gli sforzi edittali, gli ospedali erano obsoleti,sporchi, poco arieggiati, con poco materiale sanitario, mal conservato

Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5

Fig. 3, 4, 5,Ufficiale Medico(mostreggiatura nera) -Ufficiale Chirurgo(mostreggiatura rossa) -Militare dell'Ambulanza

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ed inadeguato; il personale esecutivo era sovente ubriaco, di certoimpreparato e poco dedicato. L'umanissimo Triumviro Mazzini ne restòsgomento e chiese aiuto alla patriottica Principessa Cristina Trivulzio diBelgiojoso che accorse con le sue amorevoli e coraggiose donne, tracui l'americana Margaret Fuller. Bende e filacce divennero pulite edappertutto questi angeli di solidarietà assisterono con impegno ecapacità feriti e malati.

FFeerriittii ee ccuurraannttii iilllluussttrriiA giugno la battaglia prese ad infuriare nei pressi del Gianicolo; lemura ed i caseggiati erano tenacemente tenuti dagli uomini delGenerale Garibaldi, le perdite erano ingenti: 1500 caduti tra idifensori, qualche migliaio di feriti, più o meno gravi ( ne morirà il 9%)tra i combattenti e la popolazione cannoneggiata; i medici facevanomiracoli, ma i mezzi erano quelli dell'epoca, le donne erano a dareun'utilissima mano. I Francesi con i loro abili sistemi d'attacco ebberoperdite notevolmente inferiori (2000 uomini complessivamente tramorti e feriti), prevalentemente per armi a tiro breve e per baionetta:Garibaldi aveva un parco d'artiglieria ben minore e con cannonidesueti; poi non compiva bombardamenti dissennati, come il nemicoOudinot.

I Bersaglieri lombardi del colonnello Luciano Manara furono comegli Spartani di Leonida ed anche il loro Capo, ferito gravementeall'addome nella difesa di VillaSpada, ebbe a morire,nonostante le instancabili curedel dottor Pietro Ripari che saràil Direttore di Sanità dei Mille diGaribaldi.

Il volontario genoveseGoffredo Mameli, giovanissimoautore del nostro Inno Nazionale,seguì la sua sorte con una lungaagonia e sarà altrettantoamorevolmente curato ed assistitoda un altro futuro capo medicogaribaldino, Agostino Bertani.

Fig. 6Pietro Ripari, UfficialeMedico che assisté ilmorente, LucianoManara (Fig. 7)comandante deiBersaglieri Lombardi

Fig. 6

Fig. 7

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Il giovanissimo sottotenente ticinese EmilioMorosini, mortalmente ferito all'addome e fattoprigioniero dai Francesi sarà amorevolmente edaltrettanto vanamente curato dai Chirurghimilitari nemici. Non erano ancora possibili letrasfusioni di sangue, non era conosciuta laterapia infusionale e l'assenza di antibioticiimponevano un tributo di morti inimmaginabilenei nostri tempi.

Miglior fortuna avrà invece un giovanepittore, volontario lombardo, Gerolamo Indunoche sarà assistito all'Ospedale dell'Isola Tiberinaproprio dall'infermiera Margaret Fuller. Dopo laconvalescenza l'Induno riprenderà il pennello edi colori e sarà uno dei più grandi illustratoriperenni dell'epopea risorgimentale.

BBiibblliiooggrraaffiiaa

M. BRANDANI, P. CROCIANI, M. FIORENTINO: “L’Esercito Pontificio da Castelfidardo a Porta

Pia - 1860 - 1870 - Uniformi, equipaggiamento, armamento“, INTERGEST, Milano 1976

STATO MAGGIORE ESERCITO “La Repubblica Romana” RIVISTA MILITARE Roma, 1982

RIVISTA MILITARE: “Gli eserciti italiani dagli stati preunitari all’Unità Nazionale“ Quaderno n°4,

I. G. D. A., Novara 1984

Fig. 8

Fig. 8, 9Agostino Bertani, medico militareche ebbe ad assistere l'agonizzanteGoffredo Mameli ( a destra )

Fig. 9

Fig. 10Margaret Fuller ed il suoassistito, il ferito convale-scente Gerolamo Indunoall'Ospedale Militaredell'Isola Tiberina

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GGllii ssttrruummeennttii mmeeddiiccoo--cchhiirruurrggiiccii aaii tteemmppii ddii MMaaggaarreett FFuulllleerrOOssssoollii

FFeeddeerriiccaa AAnnnnaa LLeeddaa DDaall FFoorrnnoo Arte, Ricerca, Restauro

I conflitti, da sempre, non solo presentano uno scenario bellico epolitico molto complesso, ma comportano altresì un’articolazione delservizio sanitario in rapporto alle accresciute necessità ed esigenze disoccorso del tutto peculiari all’evento e ai vari tipi di scontro armato.

È triste doverlo constatare, ma proprio la guerra è stata moltospesso motivo di progresso in campo medico, sia per quanto riguardale modalità di primo soccorso, sia in relazione a discipline quali lachirurgia, l’infettivologia, la tossicologia, l’igiene, l’alimentazione (delsoldato)… una panoramica che, come possiamo vedere, coinvolgemolte delle branche universitarie attuali.“La guerra è un’epidemia ditraumi” disse il famoso chirurgo Nikolai Ivanovitch Pirogoff “padrefondatore” della Croce Rossa russa.

Certo, esaminare tutti i problemi che un conflitto potevacomportare in campo sanitario ci è impossibile, in questa sede cilimiteremo a fornire pochi e semplici esempi di quello che potevaessere la strumentazione medico-chirurgica a disposizione diMargaret Fuller Ossoli nel periodo della Repubblica Romana (1849) enegli anni subito a seguire.All’epoca, la strumentazione medica venivadi volta in volta ideata dai chirurghi in relazione alle nuove esigenzedi cura dei feriti ed in seguito realizzata da valenti artigiani. Molti sonoi testi che ci riportano le illustrazioni e le funzioni di questi strumenti,da Paré a Diderot e D’Alembert o Panckoucke, tutte mostrano quanto

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fosse fervida e abile la ricerca per l’innovazione dell’operazionechirurgica. Da un passato che vede la figura del chirurgo identificarsicon quella del barbiere , si giunge con la figura di Ambroise Paré inFrancia e con Giovanni Alessandro Brambilla (1728 – 1800) in Italiae Austria a far assurgere la chirurgia a pari dignità rispetto allamedicina. L’atto chirurgico era tuttavia considerato sempre un“estrema ratio” e veniva intrapreso solamente nel caso in cui ilpaziente altrimenti sarebbe sicuramente morto. Siamo nell’era pre-antibiotica e un ottimo chirurgo era in grado si salvare solo il 10 – 20% dei suoi operati.

Ma rivolgiamo ora lo sguardo ai soli strumenti dell’epoca fra i piùsignificativi che sono relazionabili alla cura delle ferite di guerra.

LLaa ssoonnddaa ddii NNeellaattoonnUn classico strumento dell’epoca è la sonda cerca-proiettili di Nelatoncon testa esploratrice in porcellana. Vi era infatti il problemadell’estrazione dalle ferite delle pallottole, quest’ultime erano infattidifficili da individuare una volta penetrate profondamente nei tessuti.Inserendo questa sonda nella ferita, quando la sfera di porcellanaincontrava un ostacolo, veniva ruotata e sfregata sullo stesso, sel'oggetto ostruttivo era una pallottola di piombo, una volta estratto lostrumento, sulla porcellana era possibile rilevare tracce metalliche equindi identificare la posizione del proiettile. Un esempio moltosignificativo dell’innovazione dovuta a questo strumento è l’episodioche vede Nelaton (1807-1873) accanto a Garibaldi, mentre siappresta a curare la ferita d’arma da fuoco riportata dall’Aspromontenel 1862. Il proiettile ritenuto nella caviglia era introvabile: per 2 mesiben 26 chirurghi si erano cimentati nella sua ricerca senza successo,Nelaton con la sua sonda munita di sfera in porcellana riuscì invecead individuarla facilitando l'intervento di rimozione. Il problemadell’estrazione dei proiettili era comunque ben precedente all’avventodei fucili a ripetizione, infatti, oltre ad una serie di diverse sonde especilli, si era creata una particolare pinza per l’estrazione deiproiettili, i primi dei quali furono proprio delle palle d’archibugio.

DDaall rraassooiioo aall bbiissttuurriiCome già annunciato, proprio per la coincidenza della figure

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chirurgo-barbiere, il primo strumento utilizzato per le operazionichirurgiche è il rasoio. Il bisturi nasce proprio da tale strumentomodificato nell’affilatura della lama, ovvero, si crea un utensile conlama a doppio taglio che viene dapprincipio utilizzato per piccoleincisioni cutanee o come lancetta per salasso. Con il tempo acquisiscevarie forme e funzioni in rapporto al tipo di operazione da eseguire.Negli ospedali da campo quando i bisturi perdevano l'affilatura sitentava di rimediare con la pietra abrasiva contenuta nel suo astuccioin pelle. Questo da un'idea delle disastrose condizioni in cui il chirurgodoveva a volte operare.

LLee aammppuuttaazziioonniiNei secoli passati le amputazioni erano interventi frequenti dato cheanche una banale ferita ad un arto poteva infettarsi facilmente a causadelle precarie condizioni igieniche di allora. Dopo una primamedicazione locale, o alla peggio dopo una cauterizzazione, se non siriusciva ad arrestare l’infezione bisognava ricorrere all’amputazione.Dai coltelli per amputazione alle seghe chirurgiche, gli strumentidedicati a questo genere di intervento diventarono sempre più vari enumerosi, alcuni presentavano l’impugnatura ed il dorso staccabile,altri erano dedicate agli arti o alle dita.

IIll RReettrraattttoorree ddii PPeerrccyyPierre François Percy (1754-1825), chirurgo capo della GrandeArmata di Napoleone, fu anche un abile progettista di strumentichirurgici tanto da meritare numerosi premi dell’Accademia Reale diChirurgia di Parigi e una lettera di elogio del nostro famoso chirurgoGiovanni Alessandro Brambilla.

Il retrattore di Percy, pur con qualche modifica, è sostanzialmenteusato ancora oggi; serviva negli interventi d'amputazione degli arti perseparare l’osso dai tessuti molli circostanti; l’immagine mostra il suouso.

LLaa ccaauutteerriizzzzaazziioonneeLa cauterizzazione è stata per lungo tempo il solo mezzo conosciutoper bloccare le emorragie in genere o conseguenti alle amputazioninonché per sanare l’insorgere di infezioni gravi; di norma venivapraticata con diversi tipi di ferri sagomati resi incandescenti ma a volte

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si impiegava persino dell’olio bollente. Alcuni autori riportano delleimmagini di questi strumenti nei loro libri: Ambroise Parè (1509-1590)nelle sue "Oeuvres" del 1585, Panckoucke nella propria“Encyclopédie” del 1784 ed in seguito molti altri. Esistevano quindidiversi ferri sagomati, ognuno specifico per un particolare tipo diferita; questi strumenti non subirono grandi variazioni con il passaredei secoli rimanendo pressoché invariati. Vi erano differenti modelli diantichi cauterizzatori detti "bottone ardente", in francese "bouton defeu", utilizzati ampiamente per ogni forma di ferita; altri, più piccoli,denominati “pietra infernale” e con la punta in nitrato d’argento,erano impiegati per piccoli trattamenti cutanei e per toccature faringeenella difterite. Si deve ad Ambroise Paré l'idea di legare con un filo learterie e le vene recise eliminando dove possibile il barbaro uso deicauteri.

AAgghhii ee ssuuttuurreeIntorno al 1850 gli aghi erano principalmente di due tipi: aghi ricurviche passavano interamente attraverso i lembi della ferita conducendocon sé il filo di sutura e aghi “passafilo” che, dotati di manico,venivano solamente inseriti allo scopo di far appunto passare il filo dauna parte all’altra del lembo di pelle per essere infine ritratti e reinseritiquante volte fosse necessario. I fili di sutura erano sempre di lana o diseta, molto spesso non sterilizzati per cui, se si sopravvivevaall’operazione, inevitabilmente rimaneva sempre una cicatrice moltoevidente.

PPiinnzzee EEmmoossttaattiicchheeVerso il 1830 J. F. Charrière ed E. Koeberlé idearono delle pinzeemostatiche autobloccanti, il blocco delle ganasce era ottenutofacendo scorrere un cursore a coda di rondine che agganciava la testadi un chiodo proveniente dalla branca inferiore. Le pinze emostatichehanno dato un grande contributo alla chirurgia: oltre a ridurre leperdite di sangue, esse hanno permesso di avere un campo operatoriopiù pulito quindi una chirurgia più mirata e sicura. Evoluzione dellachiusura delle pinze. Le pinze a braccia incrociate hanno subitonotevoli cambiamenti: all’origine il chirurgo o il suo aiuto dovevanomantenere manualmente la chiusura della pinza con una pressionecostante, a metà Ottocento invece, Jules Emile Péan ideò un incastro

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che permetteva di ovviare a questo inconveniente mantenendocostante e autonomo il blocco delle ganasce. Ancora oggi le pinzeemostatiche a forcipressione portano il suo nome.Evoluzione deglisnodiCon l'avvento della sterilizzazione si è evidenziata l'importanzadella pulizia degli strumenti, si è cercato quindi di aprirecompletamente le pinze e le forbici per eliminare eventuali residuirimasti all'interno dello snodo. Infatti il sangue che restava nel puntodi giunzione delle due parti, oltre ad essere di per sé motivo dicontaminazione ed infezione, era altresì causa di ossidazione per lostrumento che diveniva il possibile vettore di un morbo quale iltetano.L’anestesia agli esordiIl 16 ottobre 1846 il dott. ThomasMorton, noto odontoiatra statunitense, praticò per la prima voltaun’anestesia generale in un intervento chirurgico per l’asportazione diun "tumore vascolare cervicale", segnando così la nascita dellamoderna anestesia. Il suo apparecchio consisteva in una sfera divetro contenente una spugna imbevuta di etere e provvista di dueaperture: una comunicava con l’esterno, l’altra era fornita di un tuboed una maschera applicata al viso del paziente che respirava i vaporidel liquido narcotizzante. Già da qualche anno si era sperimentatal’anestesia, quantomeno in campo odontoiatrico, tanto che la stessaFuller nel 1847 fu sottoposta all’etere proprio per un intervento diquesto tipo. La maschera di Thomas Skinner, di cui rimangono pochiesemplari, è la prima maschera a struttura metallica per etere ideatanel 1862. Una maschera usata sopratutto per il cloroformio fu inveceprogettata da Johann Friedrich August von Esmarch modificando lamaschera di Skinner; fu dotata di una fiaschetta con dosatore,bombata su un lato e piatta dall'altro, progettata per essere facilmenteinserita all'interno della maschera metallica al fine di essere piùagevolmente trasportata.

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MMaarriioo BBaannnnoonnii

Lettura di alcuni brani tratti dai dispacci della Fuller

27 maggio 1949:… per la prima volta, ho visto quel che soffrono gli uomini feriti. La

notte del 30 aprile l’ho passata in ospedale e ho visto la terribile ago-nia di chi moriva o di chi doveva essere amputato: ho provato le lorosofferenze mentali e la mancanza dei cari lontani, dato che molti diquesti erano Lombardi, venuti dai campi di Novara per combattere conmaggior fortuna. Molti erano studenti dell’Università, … arruolatisi e …gettatisi nella prima linea di combattimento. … gli ospedali … sonostati messi in ordine, e vi ci sono stati mantenuti dalla PrincipessaBelgiojoso.

6 giugno 1849:… Le perdite dalla nostra parte sono di circa trecento uccisi e feriti;

le loro devono essere maggiori. In una villa sono stati trovati settantaloro cadaveri. Trovo i feriti [italiani] all'ospedale al colmo dell’indigna-zione. I soldati francesi hanno combattuto così furiosamente, che liritengono falsi come il loro generale e non possono sopportare il ricor-do della loro visita, durante l’armistizio e i loro discorsi di fratellanza.…I francesi lanciano razzi in città: uno è scoppiato nel cortile dell'ospe-dale, appena ero arrivata lì ieri, allarmando molto i poveri sofferenti.

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LLee ddoonnnnee ddeell 11884488

PPrrooff..ssssaa GGiinneevvrraa CCoonnttii OOddoorriissiiooordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università Roma 3, Dip.to StudiInternazionali

AAbbssttrraacctt::In questa breve relazione il mio intento è quello di illustrare, tramite alcuniesempi, la situazione delle donne nel 1848. Il caso dell’inglese HarrietMartineau e del suo viaggio in America dimostra la qualità della riflessionefemminile in tema di democrazia e cittadinanza. Negli S.U. nel 1848 vi saràla Dichiarazione dei Sentimenti con la quale si elencano le richieste femminiliin tema di diritti e di eguaglianza politica e si traccia un programma per lapolitica dei vari movimenti in America ed Europa. In Francia durante larivoluzione del 48, le donne ,convinte che l’avvento della Repubblicasignificasse l’eguaglianza dei diritti si giunse alla costituzione di un Comité desdroits des femmes e le donne si impegnarono nella competizione elettorale.Jeanne Deroin fu la prima a candidarsi.

In Italia l’esperienza della Repubblica romana vide l’impegno della Fuller edella Belgiojoso. E per terminare, vorrei accennare all’azione umanitaria diJessie White Mario che, negli anni successivi, fu l’infermiera dei mille e operòin tutti i modi perché si giungesse alla convenzione di Ginevra del 1864 perriconoscere la neutralità dei feriti ed organizzare la loro assistenza.

Il 1848 è stata sicuramente una data cruciale non solo per la storiaeuropea ma anche per la storia delle donne. Negli Stati Uniti, nellaConvention di Seneca Falls del 1848, venne approvata la

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Dichiarazione dei Sentimenti nella quale si elencavano le richiestefemminili in tema di diritti e di eguaglianza politica e si tracciava unprogramma per la politica dei vari movimenti ed associazionifemminili in America ed Europa1. La struttura della Dichiarazione,basata sul contrasto tra i principi affermati nella Costituzioneamericana del 1776 e le loro carenti applicazioni ricalcava lo schemaproposto da Harriet Martineau in Society in America2. In Franciadurante la rivoluzione del 48, le donne, convinte che l’avvento dellaRepubblica significasse l’eguaglianza dei diritti costituirono un Comitédes droits des femmes e si impegnarono nella competizioneelettorale. Jeanne Deroin fu la prima a candidarsi3.

In Italia l’esperienza della Repubblica romana vide l’impegno diMargaret Fuller4, autrice di Woman in the Nineteenth Century e diCristina di Belgiojoso, sulla quale sono appena usciti gli atti delConvegno tenuto all’Università di Roma Tre nel 20075.

In questa mia relazione vorrei brevemente ricordare la figura diJessie White Mario sottolineando il suo impegno umanitario nellacura dei feriti e la sua azione a favore della convenzione di Ginevradel 1864 per riconoscere la neutralità dei feriti ed organizzare la loroassistenza. Appartenente ad una famiglia inglese di costruttori navali,Jessie conobbe Garibaldi nel 1854 in occasione del suo primo viag-gio in Italia, in compagnia dell’amica di famiglia Emma Roberts6.Allora ventitreenne, Jessie apprese da Garibaldi i particolari della dife-sa di Roma del 1848 e degli eventi successivi, la fuga, la morte diAnita. Durante le passeggiate sulla spiaggia di Nizza, il generale conil bastone “tracciava sulla sabbia la posizione degli assediati e degliassalitori, ricordando il nome di tutti i caduti e gli speciali atti di valo-re in una guerra in cui tutti furono eroi”7. Da questo momento il gene-rale fece alla giovane inglese, così interessata alle vicende italiane ecosì determinata, una promessa: in caso di necessità l’avrebbe con-tattata e le avrebbe affidato il compito di curare i suoi feriti. Jessieprese molto sul serio questo impegno e, certa che l’occasione si sareb-be presentata ,di ritorno in Inghilterra, nel 1855 cercò di iscriversi aduna facoltà di medicina, ma scoprì che alle donne era proibito diven-tare medico8.

Jessie non rinunciò peraltro ai suoi interessi e si avvicinò a Mazzini,allora in esilio a Londra, continuando a servire la causa italianatenendo conferenze e curando la raccolta di fondi. Mazzini teneva in

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gran conto le sua capacità giornalistiche e la sua forte determinazio-ne politica. La riteneva seria ed energica e credo che sarebbe riusci-ta a fare più di venti uomini messi insieme. Mazzini non si sbagliava ele attribuì sempre compiti elevati ch’essa svolse con successo. In casaStansfeld venne deciso che la White avrebbe dovuto tenere una seriedi conferenze in Inghilterra e Scozia nell’aprile del 56-57. Non si trat-tava solo di conferenze e collaborazione intellettuale, ma anche di uncoinvolgimento nella preparazione di insurrezioni, secondo il metodomazziniano. Venne messa al corrente del progetto di Pisacane e laWhite collaborò attivamente alla raccolta di fondi per questa spedi-zione “e il denaro affluiva”9. Ai primi di maggio del ’57 la White, susuggerimento di Mazzini, dopo la fine delle conferenze che avevanocontribuito ad aumentare il consenso e l’entusiasmo per la causa ita-liana, si recava a Genova. Qui conobbe Alberto Mario, un giovaneveneto latore di una lettera di Mazzini che lo presentava come unintellettuale colto e raffinato, anche se un po’ scettico.

Pisacane, prima di partire per la sua sfortunata missione, le avevaaffidato il suo testamento politico perché lo traducesse e lo facessepubblicare all’estero qualunque fosse stata la conclusione della suaimpresa10.

Fu in questa atmosfera di tensione angosciosa per l’esito della mis-sione di Pisacane che Jessie e Alberto decisero di unire le loro vite. Com’ènoto i fatti presero una piega tragica e l’unica consolazione di Jessie fuquella di aver avuto comunque il tempo di tradurre e spedire ai giornaliinglesi il testamento di Pisacane. Un matrimonio il loro assolutamenteunico, basato sull’indipendenza personale e il rispetto delle diverse opi-nioni reciproche. Mario ne accettò completamente l’impostazione, comelui stesso scrisse “La signorina White diventata signora Mario continuò nelculto dell’unitarismo e dell’dealismo di Mazzini: io rimasi fedele al fede-ralismo e al positivismo di Cattaneo, e da questa varietà di pensieri e distudi, fiorita sulla medesimezza degli affetti e degli ideali, nacque l’armo-nia che dura da venticinque anni”11.

Quello che è particolare negli scritti storici di Jessie White Mario,data anche la sua funzione , era l’attenzione particolare ai feriti, allesofferenze provocate dai conflitti e al modo di porvi rimedio. Fu vicinoa Garibaldi dopo il suo ferimento e gli tenne la mano mentre un medi-co fiorentino Zanetti estrasse la pallottola, dopo aver allargato la feri-ta con le sue pinzette.

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Nel 1867 Garibaldi andò a trovare i coniugi Mario a Firenze e questavolte ricorse alle sue qualità di traduttrice consegnandole il suo romanzoClelia perché lo traducesse in inglese12. Jessie accettò senza alcuna esita-zione e si diede anche da fare per trovare un editore inglese.

In settembre del 1867 andarono insieme al Congresso della pacea Ginevra al quale parteciparono anche Quinet, Leroux e Bakunin.Dove Garibaldi progettò la nuova spedizione a Roma. A Roma Jessiefu protagonista di una missione estremamente pericolosa affidataglida Garibaldi quella di recuperare il cadavere di Enrico Cairoli e otte-nere lo scambio tra il fratello ferito Giovanni con dei prigionieri papa-lini. In carrozza , munita di uno speciale lasciapassare, la White sidiresse sulla via Nomentana da dove entrò a Roma. Entrare in que-sto modo nella città agognata da Mazzini e Garibaldi, occupata daifrancesi, fu un spettacolo deprimente: “Voci francesi risuonavano daogni dove con la prepotenza di chi parla da padrone”13. A Roma fufatta prigioniera, mentre i francesi si preparavano ad attaccare i gari-baldini. Al mattino seguente, quando le venne comunicato che potevaritornare alla frontiera lo scontro si era risolto con la sconfitta deigaribaldini.

Per Jessie Garibaldi dimostrò la sua vera grandezza quando, dopola sconfitta di Sedan, si recò in Francia per sostenere il paese cheaveva determinato la caduta della repubblica romana, che lo avevasconfitto a Mentana e sostenuto il potere temporale dei Papi. Jessie loraggiunse in Francia, questa volta sola, senza il marito Alberto, conl’incarico di corrispondente di guerra per l ‘ Herald Tribune” di NewYork. Ma anche qui Garibaldi le affidò il compito tradizionale e conun brevetto scritto di suo pugno Jessie fu nominata:”Ispettrice delleambulanze sul campo di battaglia”. Ma le funzioni di Jessie erano inrealtà molto più ampie ed oltre alla cura dei feriti Jessie si prestava acompiti di vivandiera , di cuoca, di traduttrice.

Non un lamento usciva dalla penna di Jessie, nessuna recrimina-zione sulla follia umana, solo una precisa trascrizione dell’evento epiuttosto sottolineava il coraggio di quegli uomini, la loro abnegazio-ne, il loro valore. La morte del chirurgo Ferrarsi che un momentoprima galoppava accanto a Garibaldi e una palla lo trafisse penetran-do attraverso una guancia e uscendo dietro la testa. “L’ultimo istantedella battaglia egli galoppava verso la prima linea latore di uncomando di Garibaldi e cadde morto compiendo così il massimo atto

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del dovere, che fu sempre per lui guida della sua vita”14.A volte Jessie veniva presa dai ricordi del suo primo ospedale, quel-

lo di Milazzo quando lavorava insieme ai dottori Ripari e Stradivari econ l’infermiera Emilia Ginami. Oppure ricordava il ‘66 quando lavo-rava con Bertani “il chirurgo per eccellenza dei volontari, il qualeaveva organizzato ospedali durante le barricate di Milano che furonopoi ammirate da Radetzki e sotto il cannone francese a Roma e fucapo medico dei cacciatori delle Alpi in Lombardia”15. Ed era ancoraBertani a raccogliere i feriti sotto le scariche dei chassepots a Mentana.

L’interesse della White per le cure ai feriti, per la storia dell’assisten-za ai feriti durante le guerre, diede luogo anche negli anni seguenti aduna serie di articoli, di estremo interesse, non segnalati dalle biogra-fie sulla White Mario, pubblicati sul “Frasers’s Magazine”. La Whiteriprende molte delle cose già narrate nei libri precedenti ma ne appro-fondisce gli aspetti storici legati alla sua esperienza di infermiera.Esperienza particolare, perché non limitata, come nel caso dellaNightinghale, all’assistenza dei feriti in ospedale, ma che si estendevaal campo di battaglia, al recupero dei feriti, al loro trasporto, all’usodella barella più adatta , alla ricerca del riparo, alle prime medicazio-ni o operazioni d’urgenza.

Questi articoli intitolati Experience of Ambulances vennero pubbli-cati sul Fraser’s Magazine , nel 187716 e in questi scritti appare evi-dente quella sua profonda “sympathy per le sofferenze umane” che neavevano determinato l’impegno umanitario fin dagli anni giovanili.Nella ricostruzione degli eventi storici ai quali aveva direttamentepreso parte, la White Mario intendeva non solo di ricordare i prota-gonisti dei conflitti, le loro vite spesso brutalmente interrotte, il corag-gio dimostrato, la forza d’animo, l’abnegazione di medici ed infermie-ri, ma anche sostenere la Convenzione Internazionale di Ginevrasulla neutralità dei feriti e delle persone impegnati nella loro assisten-za. Secondo la White Mario potevano comprenderne l’utilità soloquanti avevano esperienza di feriti sui campi di battaglia. Il suo valo-re umanitario era incalcolabile e, dopo la sua esperienza durante laguerra franco-prussiana essa riteneva che bisognava giungere ad uninsieme di regole per punire tutti coloro che avrebbero violato o nonosservato la convenzione stessa. Esperta nella raccolta di fondi, laWhite Mario ricordava che questa istituzione umanitaria non godevadi finanziamenti pubblici ma dipendeva interamente dalle elargizioni

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dei privati. Erano necessarie barelle, piccole ambulanze, muli, caval-li, chirurghi, dottori, infermiere, cibo portabile e dadi di brodo Leibig.Questi dadi Leibig ricorrono spesso nella sua storia: come donna laWhite Mario non faceva solo la corrispondente di guerra, l’infermiera,la traduttrice, ma spesso anche la vivandiera, la cuoca e il brodo aiferiti era una delle prime cure. Bisognava dunque prendere contattocon le autorità locali del territorio dove doveva essere organizzata l’as-sistenza ed era necessario possedere capacità diplomatiche e dimediazione in quanto occorreva una organizzazione centralizzata chenon doveva entrare in conflitto con le autorità militari né con quellecivili.

La White Mario ricordava l’impegno dimostrato dalle donne duran-te la guerra civile americana, un lavoro spesso taciuto e non storiciz-zato di fronte ad avvenimenti bellici più clamorosi. Esisteva una retedei collegamenti tra Mr. Bellow, capo della U.S. Sanitary Commissione Presidente dell’ American Association for Relief of Misety ofBattlefields ed Henry Dunant segretario del Comitato Internazionaleeuropeo17. La White Mario riportava gli estremi della sua corrispon-denza con Bellow al quale aveva scritto per avere informazioni preci-se e concrete su come si erano organizzate le donne americane, perpoterlo trasmettere alle donne italiane e alle loro associazioni. Inquesto modo le donne potevano essere considerate come “yellow-workers-co-operators in the true sens of equality, of mutual liberty andfraternity”18. Dopo l’esempio di Florence Nightinghale, celebratainfermiera inglese durante la Guerra di Crimea, il sogno di tutte ledonne americane era stato quello di fare le infermiere negli ospedali.Bellow ricordava che molte donne americane “si recarono al fronteper condividere le privazioni e la sofferenza dei soldati. …Alcune nel-l’impossibilità di fare diversamente, si vestirono da uomini e portava-no il moschetto in alcuni casi per tutta la campagna”19. In seguito poiapparve chiaro che non tutte le donne potevano fare le infermiere, mache la maggior parte di loro poteva essere utile in altro modo. “Laprima cosa da dire alle donne italiane” concludeva Bellow “ è chepoche possono essere utilizzate negli ospedali, solo quelle con espe-rienza, tatto e pazienza, ma che la maggior parte delle donne patrio-te può essere utilizzata per altre forme di servizio”: cucire abiti, lavo-rare a maglia, preparare i pasti per gli ospedali, inviare pacchi, rac-cogliere fondi e per infinite altre attività. Ma occorreva una precisa

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organizzazione per coordinare tutte queste attività.La White Mario osservava infine la carenza di contributi storici sul-

l’unità italiana , ed ancora di più sulla organizzazione del serviziosanitario volontario, sul quale esprimeva un lusinghiero giudizio. Ivolontari italiani – riteneva - erano sicuri di essere soccorsi e curati suicampi di battaglia meglio di qualsiasi altro soldato o volontario. Unastoria del servizio sanitario volontario in Italia avrebbe potuta esserescritta solo dal dottor Agostino Bertani, ma la White Mario intendevaportare il suo contributo parlando delle sue esperienze personali comeinfermiera nelle guerre garibaldine.

E, per concludere, ricorderò quanto la White Mario scrisse suBertani durante l’assedio da parte dei francesi della repubblica roma-na. Bertani , durante l’assedio romano, occupava un posto modestoma era sempre disponibile, nei vari ospedali che erano stato organiz-zati, dei Pellegrini, di Monte Citorio, al Quirinale, a S. Pietro inMontorio, a Santa Maria della Scala a collaborare con “quella nobilebanda di donne” costituita da Anita Garibaldi, la principessa Cristinadi Belgiojoso, Giulia Modena e Margaret Fuller Ossoli.

“Una bomba cadde sull’ospedale dei Pellegrini mentre Bertanistava operando e fu la sua presenza di spirito che calmò il terrore edimpedì che i feriti corressero all’aperto”20. Spesso la White Mario rac-conta episodi sconosciuti o dimenticati, relativi alla sorte dei feriti, deimorti, dei loro soccorritori. Dopo l’ingresso dei francesi a Roma gliassediati fecero un ultimo disperato assalto “ desiderosi soltanto diunire le loro ceneri a quelle degli altri 4.000 difensori caduti perRoma”21 e Manara cadde, non ancora trentenne, tra le braccia diAgostino Bertani che per restituire il corpo alla vedova e al figlio deci-se di imbalsamarlo.

Senza arsenico, senza sostanze bituminose o aromatiche, avendo adisposizione solo il bi-cloruro di mercurio ed uno strumento per sem-plici iniezioni, l’operatore assorbì il veleno dai pori della pelle e per unmese stette così male che, dopo l’ingresso dei francesi , Bertani nonseppe se sarebbe stato in grado I usufruire del salvacondotto procu-ratogli da un chirurgo militare corso.

La White Mario credeva che la Convenzione di Ginevra avrebbealleviato molte sofferenze. Questa autorizzava i combattenti a prele-vare i propri feriti e a trasportarli, se possibile, nei propri ospedali.

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Ma tutti gli altri, quelli che non potevano essere trasportati, poteva-no essere curati negli ospedali e dai medici chirurghi nemici.

1 Vedi il testo in G. Conti Odorisio-F. Taricone, Per filo e per segno. Antologia di testi politici

sulla questione femminile dal XVII al XIX secolo, Torino, Giappichelli, 2008, pp. 211-216.2 Vedere G.Conti Odorisio, H. Martineau e Tocqueville: due diverse interpretazioni della

democrazia americana, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003. 3 M. Riot-Sarcey, Les femmes de 1848 en France ou la singularité de l’universalité française,

in Cristina di Belgiojoso: politica e cultura nell’Europa dell’ottocento a cura di G. Conti

Odorisio, C. Giorcelli, G. Monsagrati, Napoli, Loffredo, 2010, pp.123-145.4 Sulla Fuller non è il caso di dare qui una bibliografia. Oltre al volume di C. Giorcelli, segna-

lo il recente contributo di Christine Stansell, The Feminist Promise, New York, The Modern

Library, 2010.5 G. Conti Odorisio-C. Giorcelli-G. Monsagrati (a cura di), Cristina di Belgiojoso: politica e

cultura nell’Europa dell’ottocento, Napoli, Loffredo, 2010.6 Su J. White cfr. E.A.Daniels, Posseduta dall’angelo. Jessie White Mario la rivoluzionaria del

Risorgimento, Milano, Lursia, 1977 e R. Certini, Jessie White Mario una giornalista educatrice

tra liberalismo inglese e democrazia italiana, Firenze, Le Lettere, 1998.7 J. White Mario, Vita di Garibaldi, Milano, Treves, 1882, p. 160.

La Prof.ssa CCoonnttii OOddoorriissiioo ha scritto librisul pensiero politico di Bodin, Locke eHobbes. Il suo libro su Bodin è statotradotto nel 2008 in francese pressol'Harmattan. Ha scritto “Harriet Martineau eTocqueville: due letture diverse dellademocrazia” americana, Rubbettino2003, e da questo libro è stato tratto unarticolo pubblicato su "The TocquevilleReview".

È stata la prima docente ad insegnare“Storia della questione femminile”, temasul quale ha pubblicato numerosi libri ,tra i quali la recente antologia “Per Filo eper Segno”, Giappichelli 2008, coautricela Prof.ssa Fiorenza Taricone.

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8 La prima donna medico fu Elizabeth Blackwell (1826-1910), cfr.L. Mazenod-G. Schoeller,

Dictionnaire des femmes célèbres, Paris, Laffont, 1992, pp.96-97.9 IWM, Della vita di A. Mario in Scritti artistici e letterari di Alberto Mario a cura di G.

Carducci, Bologna, Zanichelli, 1884, ., p. XLV.10 Ivi, p. LIV.11 Ivi, p. LXXIX.12 Ivi, p.375.13 Ivi, p.423.14 Ivi, p. 536. 15 Ivi, p.60. A Bertani la White dedicherà una biografia: A. Bertani e i suoi tempi, Barbera,

Firenze, 1888, 2 voll.16 Jessie White Mario, Experience of Ambulances, Fraser’s Magazine I, June 1877, pp. 768-

785; II, July 1877, pp. 54-74; III, August 1877, pp. 247-266.17 F. Giampiccoli, Henry Dunant, il fondatore della Croce Rossa, Torino, Claudiana, 2009 e L.

Firpo (a cura di ), Henry Dunant e le origini della Croce Rossa, Torino, UTET, 1979.18 White Mario, Experience of Ambulances cit., I, p. 771.19 Idem.20 J. White Mario, Experience cit., I, p. 775.21 Idem.

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MMaarriioo BBaannnnoonnii

Da un dispaccio di Margeret Fuller Ossoli

Oh uomini e donne d'America ...Vedo che avete riunioni, dove parlatedegli italiani, degli ungheresi. Vi prego fate qualcosa; fate che (tutto)non finisca con una semplice invocazione sentimentale.

Questo è (certamente) meglio delle ridicolizzazioni di tutto ciò che èliberale, come fanno gli inglesi - i quali parlano delle sante vittime delpatriottismo come "anarchici" e "briganti" -, ma non basta. Non dove-te mettervi in pace la coscienza.

Siate riconoscenti verso il Cielo per i privilegi che ha sparso su di voi,per ottenere i quali molti qui soffrono e muoiono ogni giorno!Meritatevi di mantenerli, aiutando i vostri compagni a raggiungerli. Ilnostro governo non può interferire, ma l'azione privata è possibile, èdovuta!

Per l'Italia, in questo momento, è troppo tardi, ma tutto ciò che aiutal'Ungheria aiuta qui pure .... Inviate denaro, inviate incoraggiamenti,riconoscete come legittimi capi e governanti quegli uomini che rappre-sentano il popolo, che capiscono i loro bisogni, che sono pronti a mori-re o vivere per il loro bene. Kossuth non lo conosco, ma la sua gentelo riconosce; Manin non lo conosco, ma con quale ferma nobiltà, conquale premurosa virtù, egli ha agito per Venezia!

Di Mazzini conosco l'uomo e le azioni, grande, puro, e tenace: unuomo a cui solo il futuro potrà fare giustizia, in quanto raccoglierà ifrutti di quel che ha seminato oggi. Amici, concittadini e amanti dellavirtù, amanti della libertà, amanti della verità! State all'erta; non ripo-sate ... nelle vostre facili esistenze...

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IIll PPaattrriioottttiissmmoo ffeemmmmiinniillee nneell RRiissoorrggiimmeennttoo

PPrrooff..ssssaa FFiioorreennzzaa TTaarriiccoonneeUniversità di Cassino

AAbbssttrraacctt::Le antologie patriottiche dell’Ottocento decantano spesso gli sforzi di quantesi erano rese benemerite nella causa del risorgimento nazionale; il risaltomaggiore tuttavia viene dato alle "madri eroiche", quelle che avevano offertoi figli alla Patria, esortandoli a difenderla e a combattere.

In un secolo in cui bisognava, oltre all’Italia, "fare gl’italiani", i cataloghisono affollati da una vera pletora di donne-mogli e donne-madri, tutte ferma-mente nutrite di alti ideali. Nei decenni che vedono l’unità d’Italia e la prepa-rano, la donna è impegnata a sacrificare senza remore i figli alla Patria, acurare i feriti, viva essa in una villa o sia contadina, di cui non è rimasto ilnome, a cui gli austriaci squarciarono il ventre.

Il tipo d’azione a cui era chiamata si può definire "a latere", occorrendonella guerra, come recitava un’espressione dell’epoca, "sia il generale che lasentinella"; ed effettivamente la gamma dei suoi interventi è stata eterogenea:"giardiniera", seguace del Mazzini, procacciatrice di danaro per le cartelle delprestito sempre Mazziniano, conversatrice apparentemente disimpegnata neisalotti, vere fucine di idee e progetti insurrezionali, nonché luoghi di reperi-mento e aggiornamento di notizie, realizzatrice di coccarde e divise tricolori,improvvisatrice di pubbliche proteste e manifestazioni contro "l’asservimentoallo straniero", staffetta nei momenti cruciali, infermiera sempre presente dopoi fallimenti dei primi moti insurrezionali e le guerre d’indipendenza, sobillatri-ce attraverso scritti, opuscoli, pamphlets e tanto altro ancora.Il dubbio non ècerto quindi relativo alla sua presenza più o meno attiva nel risorgimento

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nazionale (comprese quelle che osteggiavano il processo, le reazionarie, learistocratiche, e perfino le brigantesse), ma alle lacune storiografiche in talsenso. Manca ancora una in realtà una ricerca sistematica approfondita cheriunisca, analizzi e metta complessivamente in evidenza il ruolo femminile nelrisorgimento.

Nei loro confronti già Vittorio Cian circa cinquant’anni fa, aveva coniato iltermine “femminismo patriottico”: Bisogna che noi signori uomini abbiamocoraggio di confessare che, senza volerlo, solo spinti dal nostro istinto e dallenostre abitudini di maschi sopraffattori, nello scrivere la storia abbiamo fattoe continuiamo a fare un po’ troppo la parte del leone; abbiamo finito cioè conlo scriverlo un po’ ad usum non delphini, ma viri, dell’uomo cioè quasi del soloed unico attore di essa. Bisogna che abbiamo pure il coraggio di rivederlaquesta storia scritta da noi e di riconoscere col fatto che, quanto più si esten-dono e si approfondiscono le indagini sul nostro Risorgimento, più vediamobalzar fuori numerose figure di donne...perciò è tutta un’opera di giustizia sto-rica distributiva".

MMooddeellllii ffeemmmmiinniillii:: ttaannttii ee ddiivveerrssiiGli elenchi di celebrità femminili italiane dell’Ottocento, sorta di"cataloghi" in cui sono appaiate, in modo anche eterogeneo, donnedi diversissima formazione, età, provenienza, ideali politici, e ambitioperativi, sono pressoché tutti ispirati, come è facile supporre,all’esaltazione degli eroismi che produsse il connubio donna-patria1.

Spesso caratterizzate da un marcato tono apologetico, queste anto-logie patriottiche decantano, con una certa monotonia di accenti, glisforzi di quante si erano rese benemerite nella causa del risorgimentonazionale; il risalto maggiore tuttavia viene dato alle "madri eroiche",quelle che avevano “offerto” i figli alla Patria, esortandoli a difender-la e a combattere. Come genere letterario, il catalogo risente diretta-mente dell’epoca in cui è concepito, in una parola ne riflette le esigen-ze ed è funzionale, o volutamente disfunzionale all’epoca stessa; in unsecolo quindi in cui bisognava, oltre all’Italia, "fare gl’italiani", i cata-loghi sono affollati da una vera pletora di donne-mogli e donne-madri, tutte fermamente nutrite di alti ideali. Non si mirava più, comenei cataloghi settecenteschi a scovare donne d’eccezione nella storia

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affinchè, dimostrando come fossero numericamente non trascurabili,si capovolgesse l’eccezione stessa in regola, ma ad additare alle futu-re generazioni donne-prototipo già costituenti una regola, aventi qua-lità morali di sostegno, all’uomo, al padre, al fratello.

Nei decenni che vedono l’unità d’Italia e la preparano, la donna èimpegnata non a studiare restando nubile, come la femme savantesettecentesca, ma a sacrificare senza remore i figli alla Patria, a cura-re i feriti, a contribuire con i propri mezzi morali o materiali, vivanoesse in una villa come le nobili lombarde precorritrici della CroceRossa, o siano semplici contadine, di cui non è rimasto il nome, a cui,come si legge, “gli austriaci squarciarono il ventre”.

Il tipo d’azione a cui erano chiamate, si può definire "a latere",occorrendo nella guerra, come recitava un’espressione dell’epoca,"sia il generale che la sentinella"; ed effettivamente la gamma degliinterventi si dimostrò svariatissima: "giardiniera", seguace del Mazzini,procacciatrice di danaro per le cartelle del prestito sempre mazzinia-no, conversatrice apparentemente disimpegnata nei salotti, vere fuci-ne di idee e progetti insurrezionali, nonché luoghi di reperimento eaggiornamento notizie, realizzatrice di coccarde e divise tricolori,improvvisatrice di pubbliche proteste e manifestazioni contro "l’asser-vimento allo straniero", staffetta nei momenti cruciali, infermiera sem-pre presente dopo i fallimenti dei primi moti insurrezionali e le guerred’indipendenza, sobillatrice attraverso scritti, opuscoli, pamphlets etante altre cose ancora.

Nel corso della prima guerra mondiale, nei libri, nelle conferenzeper le scuole, le "eroine risorgimentali" erano un tema familiare ediscusso, naturalmente per creare un ponte ideale e di riferimento congli analoghi atti di eroismo delle patriote del conflitto mondiale. È unafemminilità "eroica" quella espressa dalle protagoniste delRisorgimento, e "poiché ogni più diverso carattere tra esse è espresso,vedremo la sognatrice esperta nell’opera della cospirazione, cuiadempie con mite spirito fedele e quella che alla propaganda d’italia-nità dedica- splendida avventuriera- una multiforme talvolta fantasti-ca attività, la guerriera ardimentosa, rinato spirito spartano, indivisi-bile dal suo duce o dal suo compagno, tenace nel suo odio contro lostraniero; la madre eroica che offre i figlioli al martirio o allavittoria,l’anima ardente di sacrificio e di carità, prodiga di cure ai feri-ti sul campo; la provvidente che appresta ogni aiuto ai cospiratori e ai

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combattenti, l’aristocratica e la popolana, la scrittrice e l’incolta...”2.Le testimonianze del 1848 hanno tramandato la memoria di un

forte coinvolgimento delle donne nelle rivolte contro l’Austria e nelleesperienze repubblicane che ne seguirono: "popolane" sono sulle bar-ricate di Milano e di Brescia a combattere e a soccorrere i feriti, "signo-re" formano gruppi e comitati di assistenza e lavorano attivamente allaraccolta di offerte di ogni genere per proseguire la guerra.

A Roma la pubblicazione, tra l’aprile e il novembre 1848, di un gior-nale unico nel panorama nazionale, dal significativo titolo “La donnaitaliana” attesta come le donne fossero considerate parte integrante, ocomunque necessaria, di quella comunità nazionale faticosamente incostruzione. Il giornale, diretto da Cesare Bordiga, cui collaboravanouomini e donne di ogni parte d’Italia, dedica un’attenzione particolareall’educazione patriottica delle donne italiane e le sollecita a farsi parteattiva nella lotta contro l’Austria, non solo incoraggiando gli uomini acombattere per l’indipendenza italiana ma collaborando attivamentecon loro. Nei numerosi racconti edificanti e componimenti poetici disapore manzoniano s’incitano le donne a dare ampie dimostrazioni diamor patrio, a sacrificare ricchezze e affetti: "Noi siam donne, ma purenel petto / Ferve amore da patria, di gloria / Noi siam donne, ma santamemoria / Di Camilla e di Clelia serbiam… Oh!Si rechin le gemme, imonili / Alla patria che aita dimanda / Per vil oro, ne avremo ghirlanda/ Di splendore, di gloria immortal”3.

Fin dai primi numeri del giornale, si susseguono appelli e resocon-ti che segnalano gli atti di generosità delle donne italiane per la causadell’indipendenza, oltre che le notizie della raccolta di fasce e medici-nali per i combattenti della Lombardia e del Veneto. Un gruppo didonne venete, Antonietta Del Cerè Benvenuti, Teresa MosconiPapadopoli ed Elisabetta Michel Giustinian promuove la costituzioneall’interno della guardia civica veneziana di un battaglione di donne:“Ufficio delle cittadine inscritte in questo battaglione deve essere dicurare i militi che cadessero feriti, preparare le cartucce e fare quan-t’altro la carità di patria può domandare da noi”; è consideratocomunque un ruolo non facile, a rischio di pericolose contaminazionise ci si premura di precisare che “il battaglione” che sarà posto sottogli ordini di un apposito capo, eletto dal Comandante generale,adempierà la sua missione evitando qualunque comparsa in pubbli-co”4. Comparsa che invece le donne non sempre eviteranno, nel corso

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degli eventi, se si segnalano le gesta eroiche di Luigia Battistotti, com-battente sulle barricate milanesi, o l’ardore di Cristina di Belgiojosoche recluta e conduce i volontari napoletani in Lombardia, di IsabellaLuzzatti, Carolina Percoto, Giulia Modena, che sono sui campi di bat-taglia del Veneto e addirittura si mettono alla testa di centinaia di "cro-ciati"5, come vengono definiti i volontari combattenti della "santa"guerra contro lo straniero. Ai ripetuti messaggi che mirano a conqui-stare le donne alla causa dell’indipendenza italiana e a un movimen-to patriottico che, in nome della madre Italia, affratelli tra loro tutti ipopoli oppressi d’Italia e le donne agli uomini, rispondono tutte colo-ro che ovunque in Italia, prendono parte attiva alle rivoluzioni. Tant’èche il termine stesso di "partecipazione" appare insufficiente a conno-tare l’esperienza femminile e rischia di essere ancora una volta una"formula che presenta le donne come ospiti occasionali in una storianon loro dove la normalità e la norma è l’azione degli uomini: parte-cipare non equivale a far parte, anzi marca il divario fra appartenen-za e convergenza momentanea”6.

La presenza delle donne non fu solo quantitativamente rilevante inquesta fase che fu un momento cardine del processo di unificazionema produsse significati ben oltre il 1848 e il compimento stesso del-l’unità. In questa fase le donne, lungi dal restare escluse, sono chia-mate in causa attraversi il legame familiare, in quanto madri, figli,consorti di patrioti, ma anche come sorelle in quanto figlie della stes-sa madre Italia, e dunque come patriote esse stesse secondo una inter-pretazione estensiva e di genere dell’idea di fratellanza. E tuttavia lanatura del patriottismo femminile contemplava precisi ruoli nei qualile donne erano chiamate a dare il loro contributo alla causa italiana:se un legame fraterno univa le loro sorti a quelle dei loro uomini nonper questo erano uguali e dunque “il completamento della rete paren-tale con l’inclusione delle donne era giocato all’interno di una chiaradistribuzione di ruoli genere specifici”7.

Delle donne romane, cui pure non manca di rivolgersi “La donnaitaliana”, il giornale lascia trasparire un’immagine contraddittoria,come di un universo ancora poco sensibile al richiamo della patria,generose nello spogliarsi di quelle gemme di cui andavano altere neigiorni della servitù, ma poco proclivi a dare pubblica dimostrazionedel loro patriottismo; d’altronde “non è ufficio delle donne il gridarenelle piazze e prorompere in eccessi di una gioia smodata”.

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È sempre lo stesso direttore del giornale, Cesare Bordiga, che sisente in dovere di rispondere con toni sarcastici alle critiche che ven-gono mosse alle donne romane accusate di scarsa sensibilità verso icombattenti: “Cosa mai giova che le romane abbiano fatto dono allapatria dei loro monili, del loro oro? Per empire la cassa nazionale esseerano invece in dovere di regalare filacce”.

Il dubbio non è certo quindi relativo alla sua presenza più o menoattiva nel Risorgimento nazionale (comprese quelle che osteggiavanoil processo, le reazionarie, le aristocratiche, e perfino le brigantesse),ma alle lacune storiografiche in tal senso. Mancano ancora infattiricerche sistematiche di ampio respiro che riuniscano, analizzino emettano complessivamente in evidenza il ruolo femminile nelRisorgimento. Nei loro confronti già Vittorio Cian, nel 1930, avevaconiato il termine “femminismo patriottico”: Bisogna che noi signoriuomini abbiamo coraggio di confessare che, senza volerlo, solo spin-ti dal nostro istinto e dalle nostre abitudini di maschi sopraffattori,nello scrivere la storia abbiamo fatto e continuiamo a fare un po’ trop-po la parte del leone; abbiamo finito cioè con lo scriverlo un po’ adusum non delphini, ma viri, dell’uomo cioè quasi del solo ed unicoattore di essa. Bisogna che abbiamo pure il coraggio di rivederla que-sta storia scritta da noi e di riconoscere col fatto che, quanto più siestendono e si approfondiscono le indagini sul nostro Risorgimento,più vediamo balzar fuori numerose figure di donne...perciò è tuttaun’opera di giustizia storica distributiva".

Anche Atto Vanucci, memorialista del Risorgimento, mostrò d’aver-ne coscienza, giunto alla quinta edizione della sua classica opera.Rilevava che non gli uomini soltanto affrontarono le ire feroci deidespoti e che "anche il sesso che chiamiamo debole sfidò prigioni etorture, anche le donne salirono impavide sul patibolo del tiranno ecaddero olocausti della causa del vero...Numerose già alla fine del1833 le nuove Ginevre d’Italia, a partire dalla fine del XVIII secolo,cioè agli albori dei Risorgimento diventano legione quando ci si spin-ga alla fase ultima e conclusiva di esso che comprende la guerra. Edacché la statistica non dev’essere un’opinione, riconosco che le cen-tinaia di nomi femminili, più o meno illustri, finora venuti alla luce,sono una piccola minoranza in confronto alle migliaia di martiri ecombattenti. E sarà atto non di generosità, ma di giustizia da partedell’uomo il riconoscere che all’inferiorità numerica o quantitativa è

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grande compenso la qualità dell’azione femminile"8. La distinzione traun "martirologio" maschile ed uno femminile è semmai da rintraccia-re unicamente nel fatto che quest’ultimo è fatto di "riserbo, di soavitàfuggitive, di silenzi, di rinunzie, ma non per questo è una passività tra-scurabile"9. Per di più, non sono poche quelle che potrebbero definir-si secondo V. Cian, eccezioni: "cioè le forme donnesche di eroismo viri-le, tali da implicare quella resistenza anche fisica e quell’audacia eviolenza d’impeti che si considerava prerogativa dell’uomo"10.Accanto a figure note come Eleonora Pimentel Fonseca, e LuisaSanfelice, Cian pone non a caso la descrizione di una donna definitagenericamente "vecchia madre” quasi a simboleggiare la diffusionedel sentimento d’italianità, senza bisogno di generalità precise; quel-la donna di Città Sant’Angelo che rispon¬de ai borbonici: “Io nonposso andare appresso agli uccelli che volano, io non so dove sia miofiglio e se lo sapessi, lo rimetterei piuttosto nelle mie viscere che sve-larlo a voi”.

Figure emblematiche sono citate in rappresentanza di un’interamoltitudine, e il nodo centrale rimane quello di una conoscenzaapprossimata del tutto incerta sui contorni di questa moltitudine. La"rimozione del femminile" è evidente ad esempio in uno dei personag-gi più singolari dell’epopea risorgimentale, definita di volta in voltamegalomane, strana, incoerente, ardita, ma quasi mai pensatricepolitica, quale fu, e benefattrice innovativa,poliglotta, viaggiatricecoraggiosa: Cristina di Belgiojoso. Insolito comunque uno dei docu-menti firmati di suo pugno che fungevano da brevetti di nomina, inte-stato nel modo seguente: Spedizione napoletana per l'Alta ItaliaDivisione Begioioso: Noi Cristina Trivulzio Principessa di Belgiojosoavendo inteso il voto generale dei nostri amat-issimi giovani che ven-gono con noi alla difesa della Patria, confermiamo col grado diAiutante Maggiore il sig. don Giuseppe Del Balzo e come tale lo ricon-fermiamo.

Ma la sua attività patriottica e il prezzo che ne derivò sono al disopra di ogni ironia; i sequestri con cui l’Austria colpì i suoi beni alpunto da ridurla a vivere di attività precarie all'estero, fanno il paio conla motivazione di quegli stessi sequestri spiegata per esteso negliarchivi della polizia austriaca; Cristina era definita molto fanatica, incontatto epistolare con i radicali del Canton Ticino; una volta esule aParigi tentava "i più decisivi passi per favorire la causa italiana.

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Successa la rivoluzione, assoldò proletari (forse un lapsus per volonta-ri n.d.r.) che personalmente condusse a Milano. Dopo il reingressodelle truppe, invocò l’aiuto dello straniero, ma tornati vani i suoi sfor-zi, andò vagando per la Grecia e la Turchia ritirandosi dalla scenapolitica”11. Accorse alla difesa di Roma nel ‘49 e diresse gli ospedaliassistendo personalmente Nino Bixio e Goffredo Mameli; l’Hanotauxuno dei frequentatori del suo salotto parigino, scrisse che nessuno piùdella Belgiojoso aveva operato "pour la propagation de l’idée italién-ne".

Accanto a queste figure elitarie per privilegi di nascita e formazio-ne culturale, agivano anche, realmente e concretamente, le combat-tenti delle Cinque Giornate di Milano. Nei Souvenir historique dellamarchesa Costanza D’Azeglio si ricorda la partecipazione femminilenelle forme più svariate: “con il gettar giù dalle finestre gli austriaci,con l’olio bollente, col vetriolo”. Altre “tiraient le pistolet, oppure si ser-vivano "de cruches de grés" (letteralmente bocche di arenaria n.d.r.) aguisa di bombe"12. Fra le protagoniste delle Cinque Giornate, LuigiaBattistotti, la quale, giovanissima e sposata da poco, si avventò controun croato e strappatagli la pistola, intimò agli altri cinque di arrender-si; abbandonato l’abbigliamento femminile per prendere posto tra ifucilieri volontari, combatté per tutte le fatidiche cinque giornate.“Instancabile nel ferire, nell’incoraggiare alla pugna, nel correre aprestare soccorso di viveri a quelli che, chiusi dal nemico, correvano ilrischio di morire di fame"13.

La Battistotti, detta "la brunetta di Borgo Santa Croce" e le altremilanesi hanno il loro equivalente, se così si può dire, nelle combat-tenti bresciane.

Fra le valorose delle Dieci Giornate troviamo il nome di AnnaRogna Contini, che nella notte del 23 marzo 1848, sbalzata dal lettoda una cannonata austriaca che aveva fatto crollare le pareti dellacamera, seguì il marito sulle barricate, armata di fucile notte e giorno.È la stessa popolana che, ritornata poi nella casa in rovina e sorpre-sovi un croato nell’atto di razziare, lo afferrò gridandogli: Vattene! Lebresciane non uccidono inermi, cacciandolo giù per le scale.

Vincenza Ausmini Tondi unì capacità militari a doti diplomatiche.Nata nel 1829, si sposò quattordicenne; nel 1849, il marito, liberale,fu imprigionato per attività cospirative e la Tondi si trovò da sola atenere le fila del movimento liberale viterbese. Nel ’59 assolse il diffi-

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cile compito di mandare in porto un plebiscito segre-to della città eprovincia per decretare l’annessione. Alla fine del '60, subì la carcera-zione prima e poi lo "sfratto"dal territorio pontificio; raggiunto il mari-to a Orvieto, continuò a lottare con lui e militarono insieme neiCacciatori del Tevere.

Non mancarono, come in ogni epoca, travestitismi di vario tipo; daquelli meno evidenti come Giuseppina Lazzeroni, milanese, che "vesti-ta di un corsaletto con pugnale e pistola alla cintura, si fa onore fra iconcittadini che combattevano gli austriaci a fianco di un fratello"14. Aquello meditato e progettato di Erminia Mannelli, fiorentina: "visto tor-nar malato dal campo il fratello cui somiglia perfettamente, sta inforse appena pochi dì, poi segue risoluta la sua ispirazione, si vestedegli abiti di lui, diserta la sua casa, va a costituirsi al reggimento ecosì bene si diporta nelle marce ed al fuoco che nessuno si accorgedella sostituzione. Ferita a morte e reso così palese l’essere suo...ellaviene trasportata nella sua casa a Firenze dove muore"15.

IIll ccoonnttaaggiioo ddeeggllii iiddeeaallii ggaarriibbaallddiinniiLe spedizioni e le gesta di Garibaldi suscitarono ampi consensifemminili che si concretizzarono, se non in arruolamenti veri e propri,in una volontaria offerta dei più svariati servizi da parte delle donne.Le più numerose erano naturalmente coloro che erano sposate adufficiali o a semplici soldati delle spedizioni garibaldine, come AnnaGalletti de Cadilhac, moglie dell’ufficiale Bartolomeo Galletti. Nel1848 promosse una riuscita manifestazione di donne romane;organizzò feste a favore degli ospedali, dei soldati, e degli asilid’infanzia; era particolarmente sollecita nell’assistere i feriti,meritandosi da Garibaldi l’appellativo di angelo degli ospedali,mentre il popolo l’aveva ribattezzata "la bella Roma".Rosa Strozzi, nata a Roma nel 1830, diventata moglie del capitanogaribaldino Vincenzo Santini, quando Oudinot ruppe le trattativediplomatiche con Roma e Garibaldi assunse la difesa della città,decise di non abbandonare neanche temporaneamente le filagaribaldine, neppure quando il marito cadde a S. Pancrazio. SeguìGaribaldi anche in Sicilia e si guadagnò una medaglia al valore. Preseparte alla campagna del Trentino e fu presente a Mentana; ritiratasi avita privata si dedicò ad attività benefiche e morì nel 1888.Baldovina Vestri, popolana nata a Siena nel 1842, chiese perso-

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nalmente a Garibaldi di adibirla alle cure dei soldati. Si rese utileassolvendo ogni tipo di mansione: dallo strigliare i cavalli, al rancio,curare i feriti. Si avvicinava fino alle file nemiche per prendere acqua,raccogliere erbe medicamentose e trascinare via i caduti. Si spensealla tarda età di novant’anni.Se in questa sede ometteremo di parlare delle "madri eroiche" eoffrirono i loro figli e le loro sofferenze alla patria, come la citatissimaAdelaide Bono Cairoli, non è possibile tralasciare per il grandeimpatto sull’immaginario collettivo la figura di Anita Garibaldi.

Infatti, se alle patriote del Risorgimento è stata resa finora una par-ziale giustizia, alla sua figura è toccata invece una sorte più benigna;non completamente oscurato dalle gesta di Garibaldi, il personaggioAnita è entrato in un alone mitico, di grande dinamismo, insieme allesue doti di combattività e tenacia, non disgiunte da una serie di carat-teristiche prettamente femminili, come il sentimento che la univaall’eroe dei due mondi; o come la sua stessa immagine fisica, nonlegata ad un travestitismo maschile, ma a noi tramandata come tipi-cam-ente femminile: vesti ampie, capigliatura abbondante, gesti chesono insieme coraggiosi e pudichi, incisivi e morbidi. Narra di leiGaribaldi che "i primi anni della sua vita assomigliano a quelli di qual-siasi fanciulla di natura vivace e pudica, cresciuta all’ombra dellafamiglia; accompagnava volentieri il padre alla caccia, ma nulla pote-va far supporre in lei degli istinti battaglieri"16.

Nel 1829, Garibaldi, uscito dalla laguna con tre navi corsare perattaccare gli Imperiali sulle coste del Brasile, ebbe modo per la primavolta di apprezzarne il coraggio, in una delle versioni che descrivonola loro conoscenza. Pregata da lui di scendere sulla costa dove senzapericolo avrebbe potuto rimanere spettatrice del conflitto, rispose col-l’impugnare una spada e incoraggiare al combattimento, ritta sul cas-sero. Il vento che soffiava favorevolmente al nemico dava modo dibordeggiare e cannoneggiare la piccola flotta repubblicana. Uscitaillesa da una cannonata, gridò a Garibaldi di snidare i codardi che sinascondevano, andando lei stessa a colpirli con la sciabola."Stupenda di coraggio Anita si dimostrò anche in un altro combatti-mento navale, che riuscì forse ancora più sanguinoso dell'altro.Somigliava in quel giorno – narra Garibaldi - alla dea delle battaglie.Dopo aver distribuito le armi dell’abbordaggio, si pose al cannone.Reso questo inutilizzabile, "diede mano al moschetto e non cessò di

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sparare fin quando vide i nemici, né sbarcare, né approfittare dei ripa-ri, ritta e tutta esposta al fulminare tremendo del fuoco nemico".Prodigi di valore - narra sempre Garibaldi- rinnovò nel combattimen-to terrestre di Coritilani. Le sorti della battaglia erano sfavorevoli per irepubblicani. Garibaldi era rimasto con soli 73 uomini di fanteria,attorniati da 500 uomini della cavalleria nemica. "Anita doveva pro-vare in quel giorno le avverse ed amare peripezie della guerra. Nonsapendo adattarsi al semplice ruolo di spettatrice, essa sollecitava lamarcia delle munizioni e a questo scopo si avvicinava alla principalescena del combattimento, quando un nugolo di cavalieri nemici, inse-guendo alcuni fuggitivi s’avventarono sui custodi del treno. Anita, fran-co cavaliere, avrebbe potuto agevolmente fuggire e lasciare uno spa-zio tra sé ed i nemici incalzanti, ma, inaccessibile alla paura, non volleil cavallo se non quando si trovò avviluppata da una frotta di nemici.Così circondata, spiccò uno slancio e forse si sarebbe salvata se ilcavallo non fosse caduto morto. Invece dovette arrendersi e fu fattaprigioniera". Al combattimento navale di Santa Caterina accende leistessa la miccia al cannone; altrove, diventa pressoché l’unica infer-miera dei soldati e guida la scorta delle munizioni. Impara di fatto sulcampo tutto ciò che è utile nelle battaglie: le tecniche per coprireGaribaldi, ad avere dimestichezza col moschetto, a "bracciare" unavela, a cavalcare nelle marce, a caricare nelle mischie, a passare lanotte nei bivacchi, "a durar nelle veglie come un veterano, a disprez-zare le delicatezze, a dissimulare le necessità, a domar talvolta i tor-menti del suo corpo..."17. Quasi sul campo, da fuggiasca, trovò lamorte che mise fine ad un sodalizio sentimentale-guerresco pressochéunico nella storia italiana.

IIll bbiieennnniioo 11884488--4499 aa RRoommaaNella primavera 1848, mentre scoppiano i moti rivoluzionari e laguerra contro l’Austria, la situazione di Roma è ancora fluida, la cittàè ancora lontana, non solo geograficamente, dal teatro di guerra.

Ma pochi mesi dopo il moto rivoluzionario tocca anche Roma e laguerra coinvolgerà anche uomini e donne, che da fuori erano arriva-ti per difendere in prima persona ideali patriottici. Nella futura capita-le trova la morte una combattiva protagonista del risorgimento:Colomba Antonietti, figlia di fornai umbri, costretta a fuggire da casaper il rifiuto dei suoi alla richiesta di matrimonio fatta dall’ufficiale

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Porzi; l’opposizione era dovuta alla differenza sociale esistente fra idue, aristocratico lui, di modesta estrazione lei, il che avrebbe compro-messo le sorti dell’unione. Colomba Antonietti combatté vestita dauomo a fianco del marito e venne ferita mortalmente a Porta S.Pancrazio. Purtroppo, come Anita Garibaldi, è stata penalizzata dallamancanza d’istruzione e poiché non è rimasto nessuno scritto autogra-fo, la conosciamo solo attraverso ciò che altri hanno scritto di lei: ilmarito Luigi Porzi, i familiari, Garibaldi, i discendenti.

In ciò, Colomba Antonietti ha seguito la sorte di tutte le donne che,private di auto narrazione, sono state o in massima parte rimossedalla storia, o sopravvissute nell’inconscio collettivo come mito, age-volate dalla presenza di un uomo dai tratti eroici, come fu il casoancora una volta di Anita Garibaldi. Nel “Monitore Romano”, foglioufficiale della repubblica Romana si legge nel giugno ’49 cheColomba Antonietti di Foligno, di 22 anni, seguiva da due anni ilmarito, luogotenente di linea, dividendone le fatiche e le lunghemarce. “Alla battaglia di Velletri si battette come un uomo, come unEroe degno del suo marito, e del suo cugino Luigi Masi.

Il 13 giugno si trovava presso le mura a San Pancrazio; là, mentrepassava al marito il sacco ed altri oggetti necessari alla riparazionedella breccia, una palla venne a ferirla nel fianco: Ella congiunse lemani, le alzò al cielo e morì gridando:Viva l’Italia”. Toni diversi useràil volumetto clericale Gli ultimi sessantanove giorni della Repubblica inRoma, scritto nel 1850, che contestava l’articolo del “Monitore” in cuiil martirologio della libertà italiana registrava il nome di una donnacombattente vicina al marito18. In uno scritto di Carlo Rusconi, lettera-to, deputato nell’Assemblea della Repubblica Romana, la figuradell’Antonietti assume già i contorni del mito.

“A Roma aveva chiesto ripetute volte di poter far parte in quelle sor-tite con cui gli assediati venivano tratto in tratto debellando gli assali-tori, ciò che non le era stato concesso perché a repentaglio di unamorte quasi sicura non fosse posto un esser dotato di sentimenti cosìeccelsi. Pregata dai circostanti di allontanarsi dalle mura, rispondevacon dignità che la sua vita era consacrata all’Italia da gran tempo, eche prezzo non aveva per lei se non in quanto poteva giovare alla suapatria sventurata. Serena, tranquilla impavida restava al suoposto…alcuni soldati caddero in quella morti ai suoi piedi, né per lenuove istanze fattele ella volle ritirarsi; vi fu un momento anzi in cui

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elle fece un passo verso il marito per fornirlo degli strumenti che avevaaddimandati, e una palla di cannone la percosse adempiente quell’at-to di amore coniugale. Quella giovane cadde inginocchiata, levò lemani e gli occhi al cielo, e spirò dopo un minuto gridando Viva l’Italia.I suoi leggiadri lineamenti si copersero del pallore della morte, ma ilsorriso non si scompagnò dalle sue labbra, che anche in quell’eternosilenzio esprimere pareano l’amore e la fede che collegata l’avevanoin vita alla sua famiglia e alla sua patria. Un lungo grido di commise-razione s’innalzò dai circostanti; l’uomo che unito aveva le sue sorti aquelle di lei fu trascinato lontano, in preda alla più orribile disperazio-ne. Le onorate spoglie di quell’infelice, poste su un cataletto, furonoportate per le vie di Roma spettacolo di compianto universale, e ilpopolo trasse in folla dietro al feretro coperto di bianche rose, simbo-lo del candore di lei spenta sì crudelmente nel fiore della giovinez-za”19.

Molte donne romane saranno da parte loro in prima fila a rispon-dere alle necessità di sacrificarsi per le esigenze della patria. In unaseduta dell’assemblea, mentre Mazzini accennava alle drammaticheurgenze, dalla tribuna riservata alle donne, scriveva GiuseppeBeghelli, uno dei più convinti estimatori del patriottismo femminile“cominciava una pioggia d’oro, di pendenti, di fermagli, e d’anelli.Nella patria delle Cornelie, era naturale questo splendido esempio dipatriottismo”20.

Nell’aprile del 1849 l’intervento francese contro la Repubblicaromana era ormai deciso e l’assemblea repubblicana votava la resi-stenza a oltranza. Subito dopo lo sbarco dell’esercito francese aCivitavecchia, in attesa dell’attacco imminente, il triumvirato da unlato contava le forze militari disponibili, dall’altro allertava la popola-zione e ne organizzava la resistenza attraverso l’istituzione di unaCommissione Centrale delle barricate composta da Enrico Cernuschi,Vincenzo Cattabeni, Vincenzo Caldesi e Rinaldo Andreini; si nomina-vano i rappresentanti del popolo che, rione per rione, daranno istru-zioni per la costruzione delle barricate, con l’obiettivo di "difenderepalmo a palmo il terreno: "le milizie d’ogni genere fanno e faranno illoro dovere. Tocca al popolo fare il suo. Tutte le contrade della cittàdebbono essere difese”, scrive il “Monitore romano”. Carlo Pisacane,che sarà capo di stato maggiore della Repubblica Romana, all’indo-mani di quell’esperienza, bollerà come del tutto inani simili provvedi-

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menti: "Difendere palmo a palmo e casa per casa la città è un gene-re di guerra che non può ordinarsi dal governo e dal militare: il popo-lo bisogna che lo faccia spontaneamente".

La mobilitazione non esclude le donne: "Nel momento che ogni cit-tadino offre la vita in servigio della patria minacciata, le donne deb-bono anch’esse prestarsi nella misura delle loro forze e dei loro mezzi.Oltre il dovere dell’infondere coraggio nel cuore dei figli, dei fratelli,altra parte spetta pure alle donne in questi difficili momenti. Non par-liamo per ora della preparazione di cartatucce [sic] e munizioni d’ognigenere, cui potranno essere più tardi invitate le donne romane. Ma giàsin d'oggi si è pensato di comporre una Associazione di Donne alloscopo di assistere i feriti, e di fornirli di filacce e delle biancherie neces-sarie. Le donne romane accorreranno, non v'ha dubbio, con sollecitu-dine a questo appello fatto in nome della patria carità"21.

Le donne romane effettivamente accorrono in gran numero: centi-naia rispondono all’appello del Comitato di soccorso ai feriti, che recale firme di Alessandro Gavazzi, bolognese, cappellano militare mag-giore, di Enrichetta Pisacane, Cristina Trivulzio di Belgiojoso e GiuliaBovio Paulucci, donne di diversa estrazione, mogli per lo più di alcunidei protagonisti delle vicende rivoluzionarie. Cristina di Belgiojoso èstata in prima fila nelle giornate milanesi, poi, è attratta anche se nonconvinta dagli esperimenti politici del Governo provvisorio toscano edella Repubblica Romana. Enrichetta Di Lorenzo è la compagna diCarlo Pisacane: già sposata al conte Dionisio Lazzari, madre di trebambini, fuggita con Pisacane da Napoli nel 1847, è stata con lui perdue anni in Inghilterra, in Francia, in Svizzera e infine in Italia suicampi di battaglia lombardi, nel marzo 1849 è a Roma con Pisacane,che provvede, con lo stesso Mazzini, alla riorganizzazione delle forzemilitari. Giulia Bovio Silvestri, bolognese, è la moglie di VittorioPaulucci de’ Calboli, già comandante della piazza di Bologna e deigiovani volontari bolognesi, il cosiddetto Battaglione della Speranza.Nei giorni immediatamente successivi, lo stesso Comitato di soccorsoai feriti si costituisce in Amministrazione delle ambulanze con signifi-cativo ampliamento della sfera d’azione. Ai precedenti componenti delcomitato di soccorso si aggiungono alcuni "cittadini" in maggioranzapersonale sanitario già in forze negli ospedali romani. Il Comitatocomunica con l’Amministrazione di sanità militare, col Municipio e coiMinisteri della Guerra e dell’Interno.

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Le ambulanze, cioè i punti di soccorso ai feriti, vengono collocati inparte presso ospedali e ospizi, in parte presso conventi più o menoprossimi ai luoghi di combattimento. A fine aprile come sedi di ambu-lanze vengono approntati la Trinità dei Pellegrini, antico ospizio fon-dato nel `500 da Filippo Neri, gli ospedali di S. Giovanni in Laterano,Fatebenefratelli, S. Spirito, S. Giacomo, il convento della SS.Annunziata delle Turchine a Monti, il convento di S. Pietro in Montorio,a ridosso del Gianicolo, S. Teresa a Porta Pia, e, in un secondomomento, il Palazzo del S. Uffizio, il Convento della Scala (dove peral-tro i frati non consentiranno mai l’ingresso alle donne assistenti),l’Ospedale di S. Giovanni de’ Fiorentini, la Canonica di S. MariaMaggiore. A ognuno di essi è preposta una delle componenti ilComitato di soccorso. All’Ospedale della Trinità dei Pellegrini, l’assi-stenza è affidata a Giulia Paolucci e a Dina Galletti, bolognese, mogliedi Giuseppe Galletti, presidente dell’Assemblea costituente; dell’ospe-dale di S. Spirito è "regolatrice" Giulia Calame Modena, svizzera diBerna, moglie di Gustavo Modena, combattente con il marito nelVeneto e responsabile di un ospedale da campo a Palmanova, dove èferita, poi imprigionata dagli austriaci finché, liberata, non raggiungeFirenze e di qui Roma; a S. Giacomo è Malvina Costabili, ferrarese,moglie di uno dei componenti della Commissione di finanze, a SanGallicano Adele Baroffio, moglie di Felice Baroffio, milanese, medicoe chirurgo militare, combattente contro l’Austria e poi esule inPiemonte, a S. Giovanni, Paolina Lupi, a San Pietro in MontorioEnrichetta Pisacane, al Fatebenefratelli è "regolatrice" Margaret Fuller,giornalista americana appassionata sostenitrice della causa italiana, aSanta Teresa, Enrichetta Filopanti, moglie di Quirico Filopanti (pseudo-nimo di Giuseppe Barilli), deputato di Bologna all'Assemblea costi-tuente, a Monti, Olimpia Razzani.

Il ruolo svolto da Cristina di Belgiojoso nell'organizzazione delleambulanze è di primo piano, come ha modo di notare una delle suecollaboratrici, Enrica Filopanti che, nel celebrare l’eroismo dei com-battenti e la generosità delle donne che svolgono opera di assistenza,il cui numero "anzi che scarseggiare eccedeva", insiste sulle capacitàorganizzative e l’attiva determinazione di Cristina di Belgiojoso. E sot-tolinea come con "uguale zelo" vengano accolti e curati nelle ambu-lanze tutti i feriti, sia italiani sia francesi.

Se nelle organizzatrici dell’assistenza è motivo di particolare orgo-

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glio trattare tutti i feriti "con uguale zelo", senza riguardi per la divisache portano, la loro opera non è a questo riguardo universalmenteapprezzata. Ai riconoscimenti tributati alle infermiere da Ferdinand deLesseps, inviato nell’aprile a Roma in missione diplomatica per tenta-re una mediazione con la Repubblica, per aver prestato, ai ventiseiferiti francesi dei combattimenti del 30 aprile tutte le cure del caso,fanno da contrappunto altri giudizi di parte francese tutt’altro chebenevoli: c’è chi getta su di loro il sospetto più infamante, descriven-dole come signore dalle "nude spalle e seducentemente adorne" chesolo apparentemente si dedicavano alla cura dei soldati, in realtà"assidevansi al capezzale dei malati francesi per far proseliti collavoluttà tant’è che Cristina di Belgiojoso sarebbe stata soprannomina-ta, tra i francesi, Bellejoyeuse. E a chi chiede ai soldati francesi feriti sesono ben curati, qualcuno di loro ammette che le cure non mancano:"Pour les soins, il n’y a rien à dire... mais pour la moralité c’est autrechose. Quelles pratiques! Nous n’en voudrions pas au régiment pourcantinières"22.

Ma Alphonse Balleydier, autore di queste note, non è e non sarà ilsolo: non solo i francesi gettano il disprezzo e il ridicolo sulle infermie-re. È rimasta famosa la testimonianza di Antonio Bresciani, letteratogesuita. Falsificando i reali motivi delle visite compiute dalla Belgiojosonei conventi alla ricerca di luoghi adatti ad accogliere ambulanze,immagina che la Belgiojoso si rechi invece ad annunciare alle suore ildecreto del 27 aprile con il quale il triumvirato non riconoscendo laperpetuità di voti, dà facoltà di sciogliersi dalle regole a tutti i religio-si e religiose che ne abbiano l’intenzione proteggendoli contro ogniviolenza e accogliendo i religiosi che ne facciano richiesta nelle mili-zie della Repubblica. Nella scena dipinta dal Bresciani la Principessa,accompagnata da altre “profetesse” con modi arroganti, legge ildecreto e incita le suore a sciogliersi dai voti, ma di fronte alla fermez-za delle suore, deve battere in ritirata. E non è questa l’unica forma diprevaricazione compiuta ai danni delle religiose: di ben più graviattentati al pudore si sarebbero resi colpevoli gli studenti dellaSapienza. E come le persone anche i luoghi: Bresciani lamenta che iconventi siano stati ridotti ad alloggiamenti militari, a magazzini, aospedali: "E fosse stato soltanto per riporvi i feriti; ma nel brutalecomunismo repubblicano, cacciavano di casa le monache per empirei monasteri della plebe sfrenata e ingorda, sotto sembiante di sottrar-

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la al pericolo delle bombe. Indi i religiosi vedeansi inondare di fem-mine i collegi e i conventi ...Infemierine, le quali s’avvolgean snellettee leggere intorno ai letti ín grembiulino di seta a ventaglio; colle mani-che riboccate assai sopra il gomito; colli sciallini appiccati agli arpio-ni dell’antisala, perché il caldo e l’afa le opprimeva; coi capi benacconci, per non aver sembiante di suore, e non metter tedio e nau-sea agli eroi d’Italia, ai martiri della libertà; con certi risolini in bocca,con certe parolette dolciate, da mandarli all’altro mondo in ben altraguisa che non fanno i preti in cotta e stola"23. I conventi, dunque,potrebbero sopportare di essere inquinati dai feriti, ma non dalledonne, che, oltretutto, danno in punto di morte agli eroi e ai martirid’Italia ben altro viatico di quello che la religione prescriverebbe.Un’altra accusa tocca dunque alle donne e ai preti, come AlessandroGavazzi, che con loro hanno a che fare, quella di non munire i mori-bondi dei conforti religiosi, un’accusa dalla quale la Belgiojoso dovràdifendere se stessa e il triumvirato, che, oltre a Gavazzi, nominato nelmarzo "cappellano maggiore dell’armata", assegnò un cappellanomilitare a ogni ambulanza e si preoccupò di stilare un regolamentoper i cappellani militari della repubblica24.

Anche i medici non mostrano di apprezzare l’ingresso di questefigure irregolari nell’ambiente sanitario, sia pure in situazione d’emer-genza, e molti di loro protestano contro l’invasione muliebre" e "ildispotismo delle femmine”. In realtà dissapori e contrasti all’internodell’ambiente ospedaliero tra personale regolare e infermiere volon-tarie furono all’ordine del giorno e la Belgiojoso li attribuì sia all’ina-deguatezza delle strutture sanitarie e alla mentalità retriva di medici eamministratori, sia al comportamento irresoluto e compromissorio deltriumvirato, preoccupato di mantenere un modus vivendi con gliappartenenti all’amministrazione pontificia.

In realtà, Cristina di Belgiojoso non si limita ad organizzare l’ope-ra di soccorso momentaneo. Il suo ruolo le dà modo di rendersi contodella situazione complessiva dell’assistenza sanitaria a Roma e di con-cepirne un progetto di riassetto che nel maggio 1849 espone ai trium-viri. Il progetto prevede l’allargamento delle competenze del Comitatodi soccorso a una sorta di sovrintendenza a tutti gli ospedali romani,la trasformazione dell’ospedale della Trinità dei Pellegrini in ospedalemilitare nonché convalescenziario per malati dimissionati ospedali esede di scuola infermieristica per le donne assistenti; al comitato, inol-

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tre, spetterebbe l’amministrazione del patrimonio della trinità deiPellegrini, la direzione dell’ospedale militare, la direzione dell’istitutodelle donne assistenti. A questo proposito non manca di mettere l’ac-cento sulla necessità che alle infermiere venga richiesta "molta severi-tà di costumi e regolarità di vita quasi monastica”, una risposta pre-ventiva alle accuse di immoralità che da più parti pioveranno sullastessa Belgiojoso e sulle altre volontarie e un segnale che il contattoe la cura del corpo sono considerati motivo di attrazione e al tempostesso di pericolo per le donne.

Ai primi di giugno accorre a Roma Agostino Bertani, reduce dalleesperienze fiorentine, e immediatamente Mazzini, lo invita, in qualitàdi medico, a visitare le ambulanze e gli ospedali visite nelle quali èaccompagnato da Paolo Baroni, medico e presidente del Consigliosuperiore militare di sanità, e da Cristina di Belgiojoso, che nonmanca di segnalargli Io stato penoso in cui versa l’assistenza a Roma,reso ancor più grave dalla situazione di guerra. A conclusione dellevisite Bertani stila per il triumvirato un rapporto e un progetto di rior-ganizzazione. Bertani si preoccupa soprattutto di rendere gerarchical’amministrazione sanitaria attraverso l’istituzione di un Consiglio diamministrazione superiore che gestisce i fondi e il magazzino delleforniture centralizzato da cui vengono distribuiti materiali alle singoleambulanze, e un Consiglio sanitario civile e militare, autorità sanitariae al tempo stesso politica, che svolga un compito di sorveglianza sani-taria sulle ambulanze che da questo dipendono. A capo di ogni ambu-lanza sta un direttore sanitario, che sovrintende anche alla parteamministrativa. A ogni ambulanza è addetta una "patronessa"; alcorpo delle "patronesse", a capo del quale è una presidente, spetta la"sorveglianza" e la "pietosa istanza per ottenere mezzi materiali e per-sone di assistenza caritatevoli". Le patronesse, si aggiunge infine nelprogetto, sarebbero indipendenti dai direttori, ma in accordo con essi"per il miglior bene dei malati”.

Entrambi i progetti sono destinati, come è ovvio, a rimanere letteramorta. La situazione militare si aggrava disperatamente e i francesistanno sferrando gli ultimi attacchi; Bertani non può far altro che met-tersi a disposizione nella sua qualità di chirurgo: il 29 giugno PaoloBaroni gli assegna un posto nell’ambulanza della Trinità dei Pellegrini,che è peraltro in corso di smobilitazione, perché ormai troppo espo-sta, e in trasferimento al Quirinale. A Bertani sono affidate alcune

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decine di feriti, tra cui Goffredo Mameli, in condizioni troppo gravi peressere trasportati. E nella Trinità dei Pellegrini Bertani rimane alla curadei feriti fino alla fine di agosto “quando Roma giaceva nella dispera-ta pace della morte”25.

Ma non è il solo a continuare, finché è possibile, a prestare la pro-pria opera per i feriti. Lo stesso fanno molte delle donne, Belgiojosostessa, Giulia Modena, Margaret Fuller e altre che, al sopraggiungeredei francesi, resistono con fermezza in quello che ormai è da loro con-siderato come un vero posto di combattimento.

Alle pendici del Gianicolo gli uomini hanno difeso fino allo stremoil loro onore militare, negli ospedali si è combattuta la battaglia delledonne per la patria italiana non solo contro i nemici stranieri, ma con-tro ogni genere di avversità, morale e materiale. Un duplice fronte cheCarlo Rusconi, ministro degli Esteri della Repubblica e protagonistadelle trattative con il generale Oudinot che precedettero l’interventofrancese, ricorda con accenti commossi: "Molte…donne gareggiavanoin egual modo in Roma col sesso più forte nel difendere la patria loroe le istituzioni che dovevano ravvivarla. Molte altre ancora, a uffici piùmuliebri attendendo, la carità loro mostravano assistendo i feriti,vegliando le notti al capezzale dei morienti. Non mai il compito delladonna era stato più nobile di quello che si mostrasse in quei momen-ti né mai maggiori virtù rifulso aveva nel sesso gentile chiamato da Dioa dividere i destini dell’uomo. Per quegli uffici pietosi doveva essereposcia vilipesa; tanta abnegazione, tanto amore, tanto affetto dipatria dovevano essere segnalati al mondo come una libidine scelle-rata; e le angeliche donne in cui quegli affetti vivevano, stimmatizzardoveansi come meretrici abbiette26.

VVeerrssoo ll’’uunniiffiiccaazziioonneeNella futura capitale si consumò anche il dramma di Giuditta TavaniArquati. Nata a Roma nel 1836, vissuta nel rione Trastevere, sposòFrancesco Arquati di umile condizione; pressati dalla miseria, i duedovettero temporaneamente emigrare a Venezia per cercarvi lavoro;in seguito Giuditta tornò a Roma, dedicandosi ai suoi nove figli. Il 25ottobre del ‘67, mentre Garibaldi espugnava Monterotondo, dopoaver fatto prigioniero il presidio papale, nella fabbrica di Giulio Ajanialla Lungaretta, capo delle cospirazioni di Trastevere, quaranta patriotifra cui l’Arquati, accompagnato dalla moglie e un figlio, si erano

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riuniti per organizzare una rivolta. Alcune spie segnalaronoall’ispettore di polizia del rione Campitelli, Luigi Rossi,la riunione; sicircondò il luogo, con trecento uomini, tra zuavi e gendarmi. I patrioti,asserragliati, presero le armi e Giuditta prestava aiuto soccorrendo iferiti, porgendo le munizioni. Quando, invece dell’intervento di altripatrioti sopraggiunsero rinforzi zuavi, la sorte dei combattenti fusegnata e durò fino a che, mancando le armi, i soldati entraronoabbattendo la porta. "Inumana fu veramente la carneficina deicospiratori che non erano riusciti a fuggire...Disarmati tutti ebarbaramente trucidati, Giuditta, già ferita da più colpi di proiettilivenne finita a colpi di baionetta dopo che avevano già fatto sotto i suoiocchi la stessa sorte il marito e il figlio diciassettenne Antonio. Poi fraquell’ammasso di ossa stritolate e crani rotti, i difensori dello statopontificio si sedettero a mensa“27.

La patriota romana è una delle poche donne ad essere lungamen-te ricordate anche dal patriota Alberto Mario, consorte di Jessie WhiteMario, una delle biografe del risorgimento nazionale, fedelissima aMazzini e a Garibaldi. Nei suoi scritti letterari ed artistici A. Marioricorda che nel 1870, mentre si trovava a Roma, ricorreva il terzoanniversario di una “tragedia patriottica” avvenuta nel rione Trasteverenel 1867. “Fino dal mattino la casa Ajani n.97 in via della Lungarettaera fastosamente addobbata a lutto con damaschi neri a fettoni fim-briati in oro. Nel mezzo dell’addobbo sorgeva un busto naturale didonna ancora giovane con aspetto e forme di matrona antica; aspet-to e forme che ancora si ravvisano nelle donne trasteverine. Sotto albusto, un’iscrizione; e più sotto, altre tre. Corone di fiori di lauro pen-devano intorno. Tutta la via della Lungaretta era cosparsa di foglied’alloro. Da tutte le abitazioni sventolavano bandiere tricolori. Laporta principale della casa Ajani stava aperta. La gente v’entrava, visi-tava gli appartamenti e ne usciva per una porta laterale che mette inaltra contrada. Il giorno 25 non meno di settantamila persone furonoa quella casa, ed altrettante nei giorni seguenti: Io ci andai due volteed era una interminabile processione di pedoni e di carrozze, alcunadelle quali anche di principi romani. Al vespero del 25 accorsero incorpo l’associazione dei reduci delle patrie battaglie in colonna di cin-quecento, le rappresentanze dei quattordici rioni portando bandiere abruno e tre bande musicali che accrescevano la mestizia universalecon musiche funebri.

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Solamente il 29 potei penetrare nella casa anch’io e udire la pieto-sa istoria dalla bocca del proprietario amico mio Giulio Aiani, unodegli attori principali del dramma. Il 22 ottobre 1867 ci fu un tenta-tivo fallito d'insurrezione al Campidoglio, presso la caserma Serristorifatta saltare in aria, e altrove. Il 23 ci fu l’eccidio dei fratelli Cairoli edei loro settanta compagni che si spinsero fino ai Monti Parioli pressoRoma. Il 25,mentre Garibaldi espugnava Monterotondo facendoviprigioniero tutto il presidio pontificio, quaranta patrioti romani con-vennero in casa di Giulio Aiani, capo delle cospirazioni in Trastevere,per deliberare sul da farsi. La casa Aiani era mutata in arsenale, depo-sito d'armi, fabbrica di cartucce e di bombe all'Orsini.

La signora Giuditta Arquati, che aveva tra i quaranta il propriomarito e un figliolo di diciassette anni e presagiva gravi eventi in quelgiorno, volle, trovarsi in mezzo ad essi col pretesto di sorvegliare ilpranzo. Luigi Rossi ispettore di polizia del Rione Campitelli, segnalataal governo la numerosa adunanza, capitò lestamente in via dellaLungaretta con trecento fra zuavi e gendarmi per procedere ad unaperquisizione in casa Aiani. Al primo avviso di tante spade i patriotichiusero le porte e corsero all’armi. Nella fretta scattò a caso un colpodi fucile Per gli zuavi fu il segno dell’attacco. I patrioti risposero conbombe e con fucilate dalle finestre e dalla terrazza, ove già era salitoPaolo Giovacchini, quinquagenario, capo del lanificio Aiani, annessoalla casa. V’aveva condotto i suoi tre figli Giuseppe, Giovanni eFrancesco; e tutti e quattro, allo scoperto, bersagliati dai fuochi incro-ciati di due campanili, pugnarono durante tre ore.

La signora Arquati, passando dall'una all'altra camera, portavamunizioni ai combattenti e li animava, assisteva i feriti. E quei bravi,ispirati dal sereno coraggio e dalla bellezza di lei raddoppiavano disforzi, superavano se stessi. E infatti i trecento nemici furono tre volterespinti nell'atto dell’assalto, e cominciavano già a desistere dalla inu-tile impresa. Quando, dopo due ore, sopraggiunsero altri trecentozuavi, la lotta infuriò più di prima. La signora Arquati porgendo ai suoiamici bombe e i fucili carichi viva l’Italia, diceva loro, viva Roma. Noncediamo a quegli assassini. Coraggio! e si stringeva la mano al mari-to e baciava i capelli del figlio giovinetto nel dar loro il fucile caricato.Io parlai con parecchi dei sopravvissuti a quel cimento; e mi narranoche sopraesaltati dall’indescrivibile intrepidità di quella donna, da’suoi atti e da’ suoi modi risoluti ma tranquilli e signorili; tennero testa

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ai seicento come ai trecento e più volte li ributtarono. Non ci sono piùcartucce, ma ve n’ha un deposito in una camera chiusa. Se ne cercainvano la chiave; e mentre si è intesi ad atterrarne la porta, gli zuavi,profittando, del fuoco quasi cessato, assaltano e abbattono con unsupremo sforzo quella della strada ed entrano. Il trombettiere discen-de alla prima scala, uccide il primo zuavo, indi ferisce se stesso di stilee muore. Un vecchio dei quaranta postosi in cima della seconda scaladice ai compagni: «Io sto qui e salvo la ritirata. La mia vita è presso alfine; lasciatemela spender bene: andate E quelli passarono nel fabbri-cato dell’opificio che comunica alla casa mediante una scaletta inter-media. A ventidue, calatisi da un finestrino sopra un tetto e risaliti peraltro finestrino opposto, che mette in casupole di poveri, venne fatto disalvarsi; furono arrestati più tardi.

I zuavi ed i gendarmi, trattenuti al piede della scala dalle bombelanciate dal vecchio, non si avvidero della fuga dei ventidue: ma,ucciso il vecchio, irruppero negli appartamenti, e in un batter d’occhiovi spezzarono ogni mobile, ogni oggetto. La signora Arquati aspetta-va i nemici di pie’ fermo sulla soglia dell’ingresso; e cadde per piùcolpi di fucile a bruciapelo che però non l’uccisero e poté trascinarsi adue passi dal sito ove giacevano il marito e il figlio. Gendarmi e zuavile trafissero sotto gli occhi l’uno e l’altro con sì fieri colpi di baionetta,da bucar il muro a cui stavano appoggiati; indi trafissero lei pure conpiù colpi. Ella era incinta! Di palla e di punta ammazzarono gli altridieci nella stanza attigua e nella loggia. Il medico inviatovi dal gover-no e il becchino e i vicini assicurano che quei cadaveri avevano le ossastritolate, i crani rotti, la pelle coperta di lividure; e taluno fu gettatodalla finestra nel cortile. Dopo di che zuavi e gendarmi s’assisero allamensa preparata dalla signora Giuditta Arcuati, bevendo alla vittoria.

Il busto esposto rappresenta l’immagine dell’eroica donna. La gal-leria e la stanza vicina furono anche addobbate magnificamente innero. Dove giacquero trucidati la Giuditta e il marito e il figlio sorge-va una croce in marmo vagamente scolpita, dono dei marmisti diRoma; sulla parete pendevano corone di fiori e di sempreverdi appe-se dai visitatori. Vedevansi nell’intonaco della parete i buchi fatti dallebaionette nel passar da parte a parte i corpi di quei gloriosi infelici ela parete spruzzata di sangue e larghe macchie sanguigne sul pavi-mento. Simili buchi e macchie e colpi di palla proprio al basso dellaparete presso al pavimento si vedevano anche nella stanza vicina. Nel

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mezzo della quale alzavasi un tumulo ove leggevasi i nomi di tutticaduti. Il colore tetro degli apparati, le corone, le iscrizioni, i segniorrendi di quella tragedia e l’immagine viva della donna sublime,stringevano il cuore. Molte lacrime furono versate, e confesso cheanch’io non rimasi a ciglio asciutto; e molte imprecazioni e maledizio-ni proruppero da tutti i cuori contro i preti e contro Pio IX. Confesso dinon aver mai assistito a scena più toccante e più grandiosa: più dicentomila romani mossi da un elevato sentimento di patria pianserosul luogo ove per la patria cadde gloriosamente un pugno di concitta-dini e una nobile donna”28.

La Prof.ssa FFiioorreennzzaa TTaarriiccoonnee ha pubblicatola recente antologia “Per Filo e per Segno”,Giappichelli 2008 (coautrice la Prof.ssaGinevra Conti Odorisio).Altre pubblicazioni:- Teoria e prassi dell'associazionismo

femminile italiano.

- Isabella Grassi. Diari (1920-21).Associazionismo femminile emodernismo.

- Le donne in Italia.Educazione/istruzione, coauthorMimma De Leo.

- Viaggio intorno alle donne.

1 Il testo di questa relazione è prevalentemente tratto dal libro a mia firma Donne e guerra.

Dire, fare, subire, Cosma e Damiano 2009.2 G. SARDIELLO, Femminilità eroica, Reggio 1916, p. 7 e ss.3 UNA ITALIANA, Alle donne italiane, “La donna italiana. Giornale politico- letterario”, 27

maggio 1848, cit., da R. DE LONGIS, Patriote e infermiere, in Fondare la Nazione I repubbli-

cani del 1849 e la difesa del Gianicolo, a cura di L. ROSSI, s.l., 2001, p.99.4 Ibidem.5 Ibidem.6 A. BRAVO, Introduzione, in Donne e uomini nelle guerre mondiali, Roma- Bari 1991, p.VI.7 A. M. BANTI, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia

unita, Torino 2000, p.154.8 V. CIAN, Femminismo patriottico del Risorgimento, Roma 1930, p.3 e ss.9 Ivi, p. 8.10 Ibidem, p. 8.11 Ivi, p. 11.

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12 Souvenir historique de la marquise Constance D’Azeglio, Torino 1884, p.216.13 N. NECHERI LUCATTELLI, La donna nel Risorgimento, Cremona 1899, p.22.14 Ivi, p. 25.15 V. GIGLIO, Vite di donne, Milano 1957, p. 96.16 Ivi, p. 97. Su di lei, F. TARICONE, Vecchi miti e nuove realtà, in Anita la giovinezza della

Rivoluzione, a cura di A. QUERCIA e F. TARICONE, Roma 2001.17 Ivi, p. 100.18 Op. cit., Malta 1850.19 C. RUSCONI, La Repubblica Romana, Torino 1851.20 G. BEGHELLI, La Repubblica romana del 1849, Lodi 1874, p. 90.21 “Monitore Romano”, 27 aprile 1849.22 A. BALLEYDIER, Histoire de la révolution de Rome. Tableau religieux, politique et militaire des

années 1846, 1847, 1848, 1849 et 1850 en Italie, Paris 1851, pp.113-4.23 A. BRESCIANI, Della Repubblica romana Fatti storici dall’anno 1848 al 1849, appendice

all’Ebreo di Verona, Napoli 1858, pp.13-9.24 A. MALVEZZI, La principessa Cristina di Belgiojoso, Milano 1937, pp.405-6. Su di lei anche

G. PROIA, Cristina di Belgiojoso ed Augustin Thierry. Amicizia intellettuale e impegno politico,

Università Roma Tre 2007.que et militaire des années 1846, 1847, 1848, 1849 et 1850 en

Italie, Paris 1851, pp.113-4.25 J. WHITE MARIO, Agostino Bertani e i suoi tempi, Firenze 1888, p.140.26 C. RUSCONI, La repubblica romana del 1849, Roma 1877, p.187.27 F. ORESTANO, Eroine, ispiratrici donne d'eccezione, cit., p. 374. P. BARBERA, Le donne e la

guerra, cit., p. 8.28 Scritti letterari e artistici di Alberto Mario, a cura di G. CARDUCCI, Bologna 1901, p.107 e

ss.

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CCoonncclluussiioonnii

MMaarriioo BBaannnnoonniiComitato per il Bicentenario di Margaret Fuller Ossoli

A chiusura di questo incontro vorrei portarvi una mia personale esperienza,che può meglio chiarire il mio appassionato impegno, anche nel ruolo chequi mi vede rappresentare il Comitato per il Bicentenario della Fuller.

Premetto che non sono nè uno storico nè un letterato - nè per formazio-ne nè per esperienza professionale - sono solo un accanito lettore con unospiccato interesse per la Repubblica Romana, e forse, grazie a qualchegene paterno, anche con una certa predisposizione per l'investigazione sto-rica (o la ricerca, volendo nobilitare il termine).

Margaret Fuller ... Un incontro casuale per me ... Un amico m'ha fattonotare: "come spesso accade all’inizio di una storia d’amore".

Ho incontrato Margaret circa quattro anni fa quando è spuntata fuori dauna nota in un bel saggio giornalistico dedicato alla storia della repubbli-ca romana: mi sono incuriosito! … Mi sono subito attaccato a internet! Chese ne diceva su di lei? Su questa signora, “giornalista” dell’ottocento checon i suoi reportage raccontava “in diretta” agli americani un momentoimportante della nostra storia patria?

Questo l’inizio. Per farla breve - da oltre tre anni dedico tutto il mio tempo - quanto mi

consente la mia numerosa famiglia - a Margaret Fuller.Mi sono procurato libri e documenti: c’è molto, quasi tutto, specie i

manoscritti, negli Stati Uniti. Mi sono messo a tradurre la sua numerosacorrispondenza, sono diventato più che topo di biblioteca, topo di archivi… perché la mia curiosità andava sempre oltre. Mi sono particolarmentededicato agli anni che la Fuller ha trascorso in Italia, che a me sono sem-brati di grande rilevanza sia per la sua esperienza intellettuale e professio-nale, sia perché così determinanti per la sua vita e realizzazione persona-le, come donna.

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L’impegno politico, un marito che era anche un compagno, comepotremmo dire oggi - cui divenne sempre piu' legata pur mantenendoe offrendo grande liberta' - una gravidanza sofferta, un figlio, l’espe-rienza cruda della battaglia, le sofferenze dei combattenti vissute “sulcampo”....

Sulle orme della Fuller, incrociando dati conservati negli archivi stori-ci e catastali con quanto si può trarre dalle memorie e dalla corrispon-denza con gli amici ed il marito, sono sicuro di aver rintracciato i luoghi,le abitazioni nelle quali visse fra Roma, L’Aquila, Rieti, Firenze.

Mi sono anche dedicato ad approfondire i suoi rapporti con gliamici italiani e, ovviamente, ho cercato di dare un volto e una storiaal personaggio del marito, Giovanni Angelo Ossoli, inquadrandolonella Roma del tempo, nell’ambito della sua nobile famiglia, rico-struendo il ruolo e il grado che aveva in seno alla guardia civica edescrivendo lo scambio affettuoso che emerge dalla corrispondenzacon Margaret.

Per quanto attiene all’incontro di oggi, credo di aver documentatocon la grande pignoleria - che nessuno osa negarmi - l’attività del-l'ambulanza istituita presso questa sala durante il periodo in cuiMargaret Fuller fu incaricata dell’assistrenza ai feriti.

Spulciando negli archivi ho trovato molto, desidero solo accennaread alcuni di questi ritrovamenti:

1) tra i difensori della Repubblica qui ricoverati, gli Italiani nonappartenenti allo stato erano un quarto del totale e, inmaggioranza, era composto da cittadini del lombardo-veneto;

2) i restanti difensori, tre quarti del totale, erano piu' o menoequamente distribuiti tra - per usare una terminologia attuale -laziali, emiliano-romagnoli, umbri e marchigiani. C'era poi ancheun ungherese;

3) l'ambulanza presso questa sala non s'occupo' soltanto dei feritirepubblicani ma curo' indistintamente - possiamo dire cosi' - amicie nemici. Infatti tra di essi c'erano sette francesi, catturati il 30aprile e sette napoletani, presi da Garibaldi a meta' maggio;

4) uno dei feriti divenne poi un pittore famoso: Girolamo Induno, cheresto' qui 26 giorni per "ferite penetranti al torace".

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Altro ci sarebbe da dire, ma viene meno il tempo: sto riunendo eordinando tutto in un libro che sarà presto pubblicato. A proposito:desidero qui ringraziare il mio editore e il suo staff, che ha sposatotanto la causa della Fuller da farci omaggio della molto suggestivalocandina che tutti avete apprezzato. Spero che questo mio lavoro,nella circostanza del Bicentenario che cade quest’anno, possa rap-presentare anche un affettuoso ricordo e un doveroso omaggio della“sua Italia” alla quale Margaret dedicò gli ultimi ed intensi anni di vita.

Ho accennato prima alla mia famiglia: mi sento in dovere di rin-graziare mia moglie per i suoi consigli e per il suo aiuto nel lavoro maanche per la sua comprensione e pazienza. Ringraziamenti a tutti, inparticolare agli oratori per la loro disinteressata partecipazione e, dinuovo, al Fatebenefratelli che mi ha aperto i suoi archivi e ci ha ospi-tato consentendoci di ricordare questa sua “responsabile dell'assisten-za ai feriti”, incarico ricoperto se pur per breve tempo, con grandepassione e in sintonia con lo spirito umanitario dell'OrdineOspedaliero dei Fatebenefratelli.

A tutti grazie e buona domenica.

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Finito di stamparenel mese di ottobre 2010

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