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Una riflessione su deontologia professionale e diritto alla riservatezza M. Schiavon Editoriale di Gli esiti delle cure infermieristiche a cura di S. Buchini L’eccellenza nella pratica clinica degli infermieri a cura di F. Cecchini Dal sapere tacito alla creazione di conoscenza a cura di G. Moretto il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia il periodico del Collegio IPASVI di Gorizia Anno IX n° 2/2009 Direttore Responsabile: Mario Schiavon. Redazione: Consiglio Direttivo Collegio IPASVI di Gorizia - via Morelli, 28 - 34170 Gorizia. Tel/fax 0481534024. Stampato presso: Centro Stampa Tipografia - via Romana 46/48 - 34074 Monfalcone. Aut. Trib Gorizia n° 273 di data 18/3/97. Periodico Trimestrale. Poste italiane SpA - Sped. in abbonamento postale. D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n°46), art 1, comma 2. DCB/Gorizia.

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Una riflessione su deontologia professionale e diritto alla riservatezza

M. SchiavonEditoriale di

Gli esiti delle cure infermieristichea cura di S. Buchini

L’eccellenza nella pratica clinica degli infermieria cura di F. Cecchini

Dal sapere tacito alla creazione di conoscenzaa cura di G. Moretto

il periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Goriziail periodico del Collegio IPASVI di Gorizia

Anno IX n° 2/2009

Direttore Responsabile: Mario Schiavon. Redazione: Consiglio Direttivo Collegio IPASVI di Gorizia - via Morelli, 28 - 34170 Gorizia. Tel/fax 0481534024. Stampato presso: Centro Stampa Tipografia - via Romana 46/48 - 34074 Monfalcone. Aut. Trib Gorizia n° 273 di data 18/3/97. Periodico Trimestrale. Poste italiane SpA - Sped. in abbonamento postale. D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n°46), art 1, comma 2. DCB/Gorizia.

Direttore Responsabile:Mario SCHIAVON

Redattore Capo:Gloria MORETTO

Redazione:Alessandro BATTAGLINI, Francesco CECCHINI, Edi Maurizio FEDEL, Gloria GIURICIN, Orietta MASALA, Alessandra RIGOTTI, Luana SANDRIN, Debora VALENTINI

Feedback è aperto alla collaborazione di quanti desiderino intervenire sulle sue pagine con argomenti riguardanti qualsiasi aspetto della professione.Gli articoli dovranno essere redatti in lingua italiana, su supporto Word in ambiente Windows e dovranno comprendere titolo ed Autore nonché gli eventuali riferimenti bibliografici.Con l’invio del testo e degli eventuali allegati, l’Autore concede autorizzazione piena ad utilizzare l’articolo sia per la pubblicazione che per eventuali riedizioni.La Redazione si riserva la facoltà di apportare eventuali modifiche al testo originale, tali da non stravolgere le intenzioni dell’Autore, che sarà debitamente e anticipatamente informato di tale evenienza.

Sara BUCHINI, Angelo DANTE,Patrizia MAGRIN, Adriana SVERCO,

è un periodico trimestrale.

Grafica:Gloria Moretto

Stampato presso:Centro Stampa Tipografia

via Romana, 46/48 34075 Monfalcone (GO)

il periodico del Collegio

Proprietario ed Editore:Collegio Provinciale IPASVI

Via Morelli, 38 - 34170 GoriziaTel/Fax: 0481534024

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Sommario:

Editoriale: ................................................................................................ pag. 3 M. Schiavon

L’eccellenza nella pratica clinica degli infermieri ...................................... pag. 5 F. Cecchini

Dal sapere tacito alla creazione di conoscenza ....................................... pag. 11 G. Moretto

Gli esiti delle cure delle infermieristiche ................................................... pag. 16S. Buchini

il periodico del Collegioil periodico del Collegio3

Un riflessione su:

DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

E DIRITTO ALLA RISERVATEZZA

di Mario Schiavon

Presidente del Collegio Provinciale IPASVI di Gorizia

Sul tema della riservatezza dei dati personali e sensibili si sta sviluppando, da

alcuni anni, un acceso dibattito, acuitosi soprattutto dopo l’emanazione della

legge 31 dicembre 1996, n. 675, evolutasi, in seguito nel decreto legislativo 30

giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”).

Le finalità di questa discussa normativa, che sono ben note e si ricollegano, tra

l’altro, all’attuazione dell’Accordo di Schengen, che ha abolito i controlli alle

frontiere interne di alcuni Stati membri, vanno ricondotte alla necessità di evitare

che il trattamento dei dati del singolo avvenga contro la sua volontà, ovvero

secondo modalità che gli possano causare un danno.

Con tali premesse, è pacifico considerare che la normativa in questione si sia

concentrata particolarmente sulle professioni sanitarie, per le quali si va ben al di

là del trattamento dei dati personali, entrando nell’ambito proprio di quelli

“sensibili”, ai quali è riservata una disciplina particolarmente restrittiva, essendo

idonei, secondo la citata normativa, a rivelare, tra l’altro, lo stato di salute della

persona.

Su tutto ciò, si innesta, chiaramente, l’intreccio tra tutela della riservatezza dei

dati e deontologia professionale, intesa, quest’ultima, come quell’insieme di

regole etiche che, affermando che fini e mezzi sono strettamente correlati l’un

con l’altro, orientano il comportamento del professionista intellettuale.

Il nuovo codice deontologico della Professione Infermieristica, approvato dal

Consiglio Nazionale della Federazione Nazionale dei Collegi Provinciali IPASVI

nella seduta del 17 gennaio 2009, recepisce pienamente, all’articolo 26, tali

principi. Questo, infatti, recita che “L'infermiere assicura e tutela la riservatezza

nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel

passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza.”

il periodico del Collegioil periodico del Collegio4

Si pone, quindi, un forte elemento di continuità tra le due normative, quella

nazionale e quella professionale, che fa leva sui principi di “pertinenza” e “finalità”

dell’attività svolta. Qualsiasi trattamento di dati sensibili, cioè, non può che essere

correlato alla funzione svolta dall’Infermiere, che proprio l’articolo 1 del predetto

Codice Deontologico, definisce come “Professionista sanitario responsabile

dell’assistenza infermieristica”, individuando, in tal modo, una missione rivolta al

beneficio della persona e della collettività.

Le conseguenze di fatti avvenuti di recente, che hanno visto la pubblicazione di

foto di pazienti su un noto sito internet di social network, non fanno che

confermare la necessità di rafforzare la sensibilizzazione, svolta dalle

rappresentanze provinciali di categoria, attraverso i Collegi Provinciali IPASVI,

anche su questi importanti temi, che costituiscono, al giorno d’oggi, il

presupposto per una società moderna, ma rispettosa dei diritti di tutti i cittadini.

www.fmsasg.com/SocialNetworkAnalysis/

il periodico del Collegioil periodico del Collegio5

La pratica clinica esperta F. Cecchini

Codice Deontologico del 10/1/2009…

Capo III Art. 11 L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e, aggiorna saperi e

competenze, attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e, cura la diffusione dei risultati.

Art.13 L’infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se

necessario, all’intervento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti…

Quale sia la conoscenza infermieristica dal punto di vista sociologico traspare chiaramente dagli studi che negli anni hanno accompagnato la cultura infermieristica.

Più distante appare, invece, l’aver appreso le conoscenze racchiuse nella reale attività degli infermieri, ovvero la “conoscenza che aumenta con il passare del tempo attraverso la pratica di una disciplina applicata”.

Tale conoscenza non solo non è stata studiata (e quindi registrata dagli stessi infermieri), ma non è stata nemmeno percepita come differente dal sapere teorico. Questa carenza nella registrazione delle nostre attività e osservazioni cliniche, priva la conoscenza teorica della propria unicità snaturando lo specifico professionale dell’infermiere, e confondendo la disciplina del nursing con altre scienze.

Nelle attività degli infermieri clinici esperti è racchiusa una grande quantità di sapere inutilizzato, che non può essere ampliato, sviluppato e condiviso se gli infermieri stessi non registrano in modo sistematico ciò che apprendono dalla propria esperienza.

Quali, allora, le differenze fra la conoscenza pratica e quella teorica?

Se da un lato il sapere teorico , (sapere che/know that), è fonte e strumento di spiegazione e prediction per eventi futuri simili (stabilendo quindi le condizioni necessaria al verificarsi di un evento), dall’altro il sapere come (know how ) risulta essere differente e non sempre legato al primo.

Lo sviluppo del sapere di una disciplina, quindi,

consiste nell’ampliamento della conoscenza pratica attraverso sia le indagini scientifiche basate sulla teoria, sia la registrazione del sapere come, che si sviluppa con l’esperienza clinica nella pratica quotidiana. L’esperienza viene intesa in questo contesto come risultato del fatto che nozioni e ipotesi preconcette siano state messe alla prova, perfezionate o disconfermate dalla situazione reale.

L’esperienza è, pertanto, un requisito della competenza professionale.

Questo aspetto della conoscenza clinica viene però spesso trascurato in favore dell’impegno ad apprendere le ultime procedure tecnologiche. Si dedica, forse, eccessiva attenzione all’apprendimento dalla tecnologia e delle procedure più recenti anziché all’acquisizione di capacità di giudizio clinico (“clinico” non equivale a “medico”; il metodo clinico è unico e adottabile da qualunque professione abbia la responsabilità sulla risoluzione dei problemi di salita della persona).

Gli infermieri, attraverso il confronto di giudizi

classificati, osservazioni, casi paradigmatici (casi esemplare, modello ibrido fra la conoscenza teorica non affinata e conoscenza pratica ingenua, il cui collante è l’esperienza vissuta dal professionista), lo sviluppo di significati comuni rispetto alle risorse che promuovono l’aiuto in situazioni cliniche che quotidianamente viviamo, (come la salute, la malattia, la nascita, la morte…), potrebbero concorrere a ri-costruire e ampliare l’arte e la scienza infermieristica dandole nuovi significati.

Per attualizzarsi la cura necessita che chi-ha-cura e chi-riceve-cura comunichino ed interagiscano l’uno con l’altro e che in questa interazione chi-ha-cura eserciti le qualità distintive dell’essere umano: linguaggio, pensiero ed emozioni che consentano di empatizzare e comprendere i reali bisogni dell’altro.

Partendo da queste riflessioni ho cercato in Patricia

Benner le ragioni in merito all’agire la cura da parte dell'’infermiere, ponendo particolare attenzione alle capacità assistenziali derivanti dall’esperienza. Patricia Benner applica all’infermieristica, come chiave di lettura dell’esperienza di pratica assistenziale, il modello Dreyfuss sull’acquisizione delle abilità .

il periodico del Collegioil periodico del Collegio6

I cinque livelli di abilità che ne derivano, riassumono e riflettono l’esperienza formativa, professionale e clinica degli infermieri nelle varie fasi del loro percorso di vita professionale. Ecco, dunque, che l’eccellenza nell’esercizio

professionale trova il suo itinerario attraverso cinque livelli di abilità del professionista: l’infermiere novizio, l’infermiere principiante avanzato, l’infermiere competente, l’infermiere abile e l’infermiere esperto . (1)

Le trentuno competenze (dal latino cum= con e pètere = competere, gareggiare) professionali che ne derivano segnalate nel testo della Benner, vengono poi classificate in sette aree di pratica infermieristica:

1. Ruolo di aiuto 2. Funzione di insegnamento-coaching (attività

dell’allenatore) 3. Funzione diagnostica e di monitoraggio del paziente 4. Gestione efficace di situazioni soggette a rapidi

cambiamenti 5. Somministrazione e monitoraggio di interventi e

regimi terapeutici 6. Monitoraggio ed assicurazione della qualità delle

attività di assistenza sanitaria

7. Competenze organizzative e relative al ruolo lavorativo.

Lontana da noi l’idea che questi trentuno esercizi di

competenza (per la loro trattazione si rimanda al testo della Benner già citato) possano essere espressione completa dell’assistenza infermieristica. Anzi, il seguirli pedissequamente porterebbe solo all’esaurimento di una lista di compiti.

Se è vero, invece, che le competenze descritte siano esempio ad altre realtà organizzative e proprio da queste debbano essere espresse come sintesi delle richieste di assistenza della popolazione ad essa afferenti, capirete come questo sia uno strumento duttile nelle mani del professionista che si impegna a leggere la realtà in cui opera e vive.

Esperto: la persona ha enorme esperienza, una comprensione totale e intuitiva della situazione e può concentrarsi su una parte precisa del problema. Le sue prestazioni sono

fluide, flessibili ed abili.Il focus è sull’appropriatezza

5

Abile: la persona percepisce le situazioni come insiemi, piuttosto che nei singoli aspetti, ne percepisce il significato in termini di obiettivi a lungo termine. Riconosce quando il

quadro atteso non si materializza e modifica i piani in risposta ad essoIl focus è sulla complessità

4

Competente: la persona ha padronanza e possiede la capacità di pianificare, fronteggiare e gestire le situazioni infermieristiche. Lavora in situazioni simili da 2-3 anni.

Il focus è sulla progettualità3

Principiante avanzato: la persona fornisce prestazioni marginalmente accettabili, identifica gli aspetti grazie ad esperienze pregresse, ma ha bisogno di sostegno nel

contesto clinico (es aiuto nello stabilire le priorità)Il focus è sul tutoraggio

2

Novizio: la persona ha un comportamento governato dalle regole, limitato e privo di flessibilità. Non ha esperienza della situazione

Il focus è sull’esecuzione1

COMPETENZAPUNTEGGIO

Scala di DREYFUS-DREYFUS (1986): bilancio di competenza, descrizione dei livelli posseduti

Esperto: la persona ha enorme esperienza, una comprensione totale e intuitiva della situazione e può concentrarsi su una parte precisa del problema. Le sue prestazioni sono

fluide, flessibili ed abili.Il focus è sull’appropriatezza

5

Abile: la persona percepisce le situazioni come insiemi, piuttosto che nei singoli aspetti, ne percepisce il significato in termini di obiettivi a lungo termine. Riconosce quando il

quadro atteso non si materializza e modifica i piani in risposta ad essoIl focus è sulla complessità

4

Competente: la persona ha padronanza e possiede la capacità di pianificare, fronteggiare e gestire le situazioni infermieristiche. Lavora in situazioni simili da 2-3 anni.

Il focus è sulla progettualità3

Principiante avanzato: la persona fornisce prestazioni marginalmente accettabili, identifica gli aspetti grazie ad esperienze pregresse, ma ha bisogno di sostegno nel

contesto clinico (es aiuto nello stabilire le priorità)Il focus è sul tutoraggio

2

Novizio: la persona ha un comportamento governato dalle regole, limitato e privo di flessibilità. Non ha esperienza della situazione

Il focus è sull’esecuzione1

COMPETENZAPUNTEGGIO

Scala di DREYFUS-DREYFUS (1986): bilancio di competenza, descrizione dei livelli posseduti

La competenza scaturisce da una miscellanea di abilità, capacità, comportamenti, atteggiamenti che si acquisiscono gradualmente attraverso un percorso formativo professionale, sociale, attitudini al lavoro in equipe, capacità di prendere iniziative ed essere disponibili ad affrontare i rischi. Nell’immaginario infermieristico collettivo si fa strada una domanda:

“Chi è il professionista competente? Quale ruolo ricopre?”

La risposta potrebbe essere: “il competente è uno specialista che risolve problemi complessi; ha conoscenze e abilità che non sempre corrispondono al ruolo che ricopre”. E’ competente colui che è capace di adattarsi e riadattarsi alle dinamiche evolutive del suo sistema ambientale e relazionale di riferimento, costruendo e trasformando continuamente i suoi modelli di conoscenza e azione; ciò che è visibile della competenza di un individuo sono le relative performance professionali, ad essa casualmente collegate. Un’implicazione del modello Dreyfus è che i modelli formali strutturati, le analisi delle decisioni o i modelli di processo non sono in grado di descrivere i livelli avanzati di prestazione clinica che si possono osservare nella pratica reale, ne descrivere adeguatamente l’ampiezza e la profondità dell’infermieristica così come viene applicata. L’approccio interpretativo tende invece a considerare un comportamento come avente potenzialmente molteplici

significati anziché uno solo; per capirlo bisogna quindi esaminarlo nel suo contesto più ampio. Un approccio interpretativo elimina il problema delle interminabili liste di compiti senza separare nettamente gli aspetti tecnico-strumentali da quelli espressivi, più marcatamente ‘umanistici’ dell’assistenza infermieristica ma, d’altro canto, mette in crisi la linearità del processo di nursing che, semplificando eccessivamente il contesto e le operazioni infermieristiche, limitando l’esplodere delle conoscenze insite nella pratica. Infine, essendo l’infermieristica relazione (D.M.Sanità 14 settembre 1994, n.739 nel quale leggiamo “L’assistenza infermieristica […] è di natura tecnica, relazionale, educativa), non può essere descritta con strategie che ne trascurino il contenuto, il contesto e le funzioni. Una pratica esperta supera i limiti dei modelli formali, i quali, aggiunge l’antropologa Deborah Gordon commentando il saggio della Benner, “dovrebbero essere usati con discrezione”, ed in modo tale da non eclissare gli aspetti relazionali, olistici e intuitivi del Nursing (Gordon 2003, 190). (2) Gordon, d’altro canto, ricorda quali potrebbero essere i pericoli di un’eccessiva fiducia e di un uso acritico dei modelli formali nell’assistenza infermieristica come la reificazione (consistente nell’identificare un modello con la realtà), la richiesta di un’ omogeneità esasperata, una carente sensibilità ai dettagli ed alle sfumature delle situazioni dei pazienti e, in particolare, degli Infermieri.

il periodico del Collegioil periodico del Collegio7

In termini riepilogativi si può rappresentare il percorso di competenza come nel diagramma che segue: (3)

il periodico del Collegioil periodico del Collegio8

L'attuale complessità dell'infermieristica, basti pensare alla tendenza a ridurre la durata della degenza, il livello di acuzie dei pazienti, il numero degli interventi diagnostici, (che imporrebbe una maggiore attenzione allo sviluppo di carriera e alla retention dei professionisti che svolgono l'assistenza diretta ai pazienti) fa si che l 'intercambiabilità e la sostituzione degli infermieri siano, in realtà, procedure costose e tali da non portare un'assistenza di qualità.

In questo momento storico connotato da un problema di

“emergenza infermieristica” anche se più corretto sarebbe dire di una continua e crescente richiesta di personale infermieristico qualificato, diventa fondamentale affronta-re una delle modalità con cui affrontare questo complesso problema e cioè la capacità di “attrarre e trattenere” questi professionisti.

I fattori collegati al turnover (e quindi alla retention

degli infermieri) sono numerosi: 1. Fattori igienici, estrinseci al contenuto della presta-

zione lavorativa non garantiscono una vera soddisfazione, ma prevengono o riducono l’insoddisfazione e la demoti-vazio-ne. I fattori estrinseci o dell’insoddisfazione inclu-dono le condizioni di lavoro, il salario, la gestio-ne/amministrazione, le relazioni interpersonali, le politi-che organizzative dell’azienda.

2. Fattori motivanti, intrinseci al lavoro stesso, assicu-

rano la vera e propria motivazione ed includono il suc-cesso, il riconoscimento esplicito, il lavoro in sé e la re-sponsabilità, il coinvolgimento nelle decisioni, i rapporti con superiori e con i colleghi.

E' ancora diffusa l'idea che l’avanzamento nella carriera

sia stato e sia legato all’abbandono dell’assistenza diretta ai pazienti per il passaggio all’insegnamento o alla direzione dei servizi. Agli infermieri, invece, andrebbe facilitato il percorso di carriera (a lungo termine) nell’attività clinica, e al modo di procurarsi possibilità di sviluppo e di avanzamento basate sulla competenza e sulla formazione proprio nell’ambito clinico.

Nel tentativo di minimizzare gli effetti di un elevato turnover, gli infermieri dirigenti hanno cercato (e cercano tuttora senza averne coscienza) il più possibile di standardizzare l'attività infermieristica e di stabilire una routine per il suo svolgimento. Tutto questo ha comportato un'eccessiva formalizzazione dell'assistenza infermieristica in ospedale, nonostante le crescenti responsabilità discrezionali degli infermieri nell'ottica del benessere dei pazienti. La maggior parte delle procedure e delle politiche sono progettate in modo da garantire un'assistenza sicura quando questa sia fornita da infermieri con un livello minimo di competenza.

Va invece affermato che il riconoscimento formale della capacità di assumere decisioni in relazione a problemi clinici renderebbe legittimo un sistema di

promozioni basato sulle capacità anziché sull'anzianità. Inoltre, sanzioni formali potrebbero ridurre l'entità, attualmente notevole, della tensione di ruolo e della confusione che si associa a responsabilità che non sono ufficialmente riconosciute.

Quello che si propone, non consiste in una sconsiderata raccomandazione di abbandonare le regole.

Invece, una comprensione più competente e avanzata di una situazione consente un comportamento ordinato senza doversi attenere a regole rigide.Una volta che la situazione sia stata descritta, le azioni che si intraprendono possono essere interpretate come un comportamento ordinato e ragionevole che risponde alle esigenze della situazione stessa piuttosto che, come già detto, a principi e regole rigide. Si possono produrre altre regole descrittive, tali da consentire molteplici eccezioni, ma l’esperto opererà in maniera flessibile anche in situazioni nuove che prevedono inevitabilmente altre eccezioni. Chi si occupa di gestione del personale infermieristico dovrebbe battersi per avere strutture che promuovano la stabilità al fine di massimizzare le prestazioni cliniche esperte. Accade troppo spesso che gli infermieri siano considerati intercambiabili, un modo miope di gestire persone, e che dovrebbero invece distribuire i professionisti esperti nell'assistenza a una determinata popolazione di persone siano costantemente disponibili alla consultazione.

Se vogliamo che una carriera nell’ambito dell’infermieristica clinica possa stare al passo con le opportunità presenti in altro campi, dobbiamo ritenere necessari una ristrutturazione e cambiamenti significativi al fine di evitare la fuga di cervelli (potenziali infermieri più ricchi di talento scelgono campi che offrono stipendi migliori, opportunità di sviluppo di carriera e partecipazione alle decisioni).

Per il riconoscimento e una remunerazione che corrispondono alle conoscenze, alle capacità e alla responsabilità di questi operatori, è essenziale che: 1. retention e sviluppo di carriera per gli infermieri

collocati in posizioni di imput clinico e che producano relazioni scritte, frutto di revisione e condivisione dell’esperienza con i propri pari

2. si crei un sistema di promozione clinica tale da integrare lo sviluppo della conoscenza clinica con quello della carriera

3. le relazioni tra medici e infermieri siano maggiormente improntate sulla collaborazione

4. vi sia un maggior riconoscimento del significato del ruolo dell’infermiere nell’assistere la persona.

L’infermieristica deve, infine, riguardare l’autentica

presa in carico di una persona, anche per ciò che riguarda il suo reintegro nel tessuto sociale o la sua tutela nei confronti di ciò che lo spaventa.

il periodico del Collegioil periodico del Collegio9

ESPERIENZE Appare interessante il progetto di condivisione delle

informazioni presentato dalla collega Cesira Prandi al XI Congresso Nazionale IPASVI (www.ipasvi.it) , tenutosi a Firenze nel mese di febbraio 2009.

Partendo infatti da un bisogno comune di condividere

esperienza clinica sui principali problemi (reali) che si venivano a creare nell’assistere persone con patologie oncologiche e fruitori di cure palliative (relazione con il malato, documentazione…), veniva costituito un social forum i al cui interno poter inserire (e consultare) il sapere esperto di colleghi infermieri che avevano già vissuto la stessa situazione (il caso esemplare).

i Proggetto Prometeo ROPVDA

Attraverso la raccolta della letteratura grigia attinente all’argomento, l’analisi critica degli articoli e la revisione della biblioteca, cercava di:

· favorire il sistema della conoscenza

· contaminare i soggetti al fine di trasformare i luoghi di lavoro in collettori di sapere (competenza)

· esplicitare le conoscenze tacite Il risultato, interessante non tanto per la sua unicità

quanto per la spinta alla creazione stessa, è visibile e consultabile da tutti gli utenti, con la possibilità di interagire in modo attivo con i colleghi.

L’indirizzo web è il seguente: http://thinktag.org/index.php?page=channels.ViewAll&chID=1&PHPSESSID=25c4ecbdd2bfcb772ab7773159eb4ba7

www.sincositalia.it/domende-risposte/titolooo...

il periodico del Collegioil periodico del Collegio10

Bibliografia per un approfondimento: × Santullo “L’infermiere e le innovazioni in Sanità” (2° ed.) Ed. Mc Graw-Hill 2006 × L.Sasso et Al “L’infermiere laureato specialista/magistrale: il progetto formativo” Ed. Mc Graw-Hill 2008 × L. Benci “Aspetti giuridici della professione infermieristica – elementi di legislazione sanitaria.( 4° ed) Ed. Mc Graw-Hill

2005 × Decreto Ministeriale 2 Aprile 2001 (pubblicato nel S.O. n.136 alla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 5 Giugno 2001) × Pubblicazione Federazione Nazionale Collegi IPASVI -Codice Deontologico dell’infermiere 2009 (Deliberazione n.1/09

del 10/1/2009)

× L’Infermiere - Notiziario aggiornamenti professionali- Numero 4/2007 –Speciale competenze/La valutazione × L’Infermiere - Notiziario aggiornamenti professionali- Numero 6/2008 × J.J. Guilbert “La guida pedagogica del personale sanitario”, Pubblicazione OMS offser n° 35, 4° ed. italiana a cura di G.

Palasciano e A. Lotti, Ed. Dal Sud, Bari, 2002 Sitografia

× www.miur.it × http://www.ipasvi.it/pubblicazioni/archivioriviste/dettaglioIndiceRivista.asp?IDRivista=71 × http://asr.regione.emilia-romagna.it/wcm/asr/aree_di_programma/risorseumane/sez_arc/arc_modelli_direz.htm × http://www.riaonweb.it/Documenti/tesi_pdf/tesi_specialistica_marcello_gasti.pdf

× http://thinktag.org/index.php?page=channels.ViewAll&chID=1&PHPSESSID=25c4ecbdd2bfcb772ab7773159eb4ba7

Referenze: 1 P. Benner “L’eccellenza nella pratica clinica dell’infermiere – l’apprendimento basato sull’esperienza” Ed. Mc Graw-Hill

2003 2 Gordon, Deborah, 2003, “Un’applicazione della ricerca. Identificare l’uso e l’abuso dei modelli formali della pratica

infermieristica “ in Patricia Benner, L’eccellenza nella pratica clinica dell’infermiere, op.cit., pp.189-190. 3 M. D’Innocenzo: La competenza professionale, atti convegno ANIARTI, 2001

BIBLIOTECA DEL COLLEGIO

I testi della biblioteca del Collegio possono essere consultati dagli iscritt i durante l ’orario di apertura dell’ufficio: Martedì e Venerdì dalle 16.00 alle 19.00

CAMBIO INDIRIZZO

Si invitano tutti gli iscritti che v a r i a n o i n d i r i z z o a d informare tempestivamente la Segreteria del Collegio.

il periodico del Collegioil periodico del Collegio11

Dal sapere tacito alla creazione di conoscenza G. Moretto

Il potere non deriva da un sapere custodito, bensì da un sapere partecipato. Bill Gates Un importante aspetto della pratica infermieristica e-

sperta è rappresentato dalla conoscenza tacita, vale a dire il complesso di conoscenze acquisite implicitamente con il compimento delle attività lavorative, la cui acquisizione non dipende dall’attenzione o dalla consapevolezza dell’apprendimento ed i cui contenuti, di conseguenza, non sono sottoposti a riflessione o verifica. Caratteristiche rile-vanti della conoscenza tacita sono rappresentate dal fatto che non viene coscientemente percepita come guida della proprie azioni, ma lavora al di sotto di una soglia soggetti-va (le perfomance vengono eseguite sulla base di sugge-stioni e probabilità percepite), ha una struttura complessa, contiene teorie ingenue, semplici e talvolta erronee, che possono però essere rettificate mediante l’esplicitazione, come verrà esposto nei paragrafi successivi. (1)

Molti dei fenomeni classificati come “intuizione” si ri-feriscono alla conoscenza tacita acquisita durante l’esperienza in un determinato dominio.

L’intuizione può essere definita come la comprensione istantanea di conoscenza senza evidenza di pensiero sensi-bile, in altri termini, l’intuizione è un processo che porta ad accurate conclusioni basato sulla ricezione di una quantità relativamente bassa di conoscenza e/o informazioni. Nella pratica clinica, l’intuizione è un processo per il quale l’infermiere riconosce qualche fenomeno sul paziente che non può, o può con molta difficoltà, essere verbalizzato (“quel paziente ha un aspetto che non mi convince …”). (2)

L’impredicibilità delle situazioni, l’impossibilità di pia-nificare a causa dei costanti cambiamenti nei flussi di in-formazioni, la necessità di riconoscere situazioni critiche e di gestirle prontamente richiedono esperienza, intuizione (capacità prognostiche non strutturate) e pertanto cono-scenza tacita.

La conoscenza tacita si acquisisce e si rafforza con le esperienze concrete e sensoriali, la sua acquisizione non dipende dall’attenzione e pertanto, i suoi contenuti non so-no sottoposti ad analisi o riflessione, non viene conscia-mente percepita come guida delle proprie azioni.

Sebbene la conoscenza tacita è descritta come essere di importanza massima nelle situazioni critiche, non si posso-no negare alcuni suoi aspetti negativi. L’acquisizione inci-dent-based della conoscenza tacita si accompagna infatti ad una scarsezza di riflessione.

Questo può portare ad correlazioni illusorie o errori (superfiducia nelle proprie convinzioni, sovrastima della probabilità di un evento), che possono portare a reazioni sbagliate in situazioni problematiche: poiché l’ambiente di apprendimento è per lo più incontrollabile, la conoscenza acquisita implicitamente può consistere in contenuti non solo appropriati e corretti, ma spesso inappropriati se non addirittura errati.

La conoscenza tacita può essere riconosciuta, ad esem-pio, nell’incapacità per gli infermieri esperti di esprimere cosa non va in un paziente nonostante tutti i parametri vita-li siano normali, nella sensazione che sta per accadere qualche evento dannoso; le emozioni non sono vissute ne-gativamente ma come fonti di informazioni affidabili e va-

lide. Sembra che gli esperti ricordino immagini olistiche della precedenti esperienze, le comparino e rilevino, attra-verso la percezione di numerosi segnali, che qualcosa in quella situazione sia differente dalle altre esperienze me-morizzate: senza dipendere dalle interpretazioni sequenzia-li, analitiche e dispendiose in termini di consumo di tempo l’esperto può agire prontamente nelle situazioni critiche.

Dal punto di vista della psicologia del lavoro, l’esperienza consiste in capacità olistiche ed anticipatorie: vale a dire l’integrazione e la re-interpretazione degli aspet-ti e delle informazioni contenute in una situazione.

Un’altra precondizione per il lavoro guidato dall’esperienza è l’abilità nell’utilizzo di patterns (pacchet-ti) di azioni senza essere coscienti delle singole parti (es.: lo scenario di una RCP).

Le caratteristiche principali del lavoro basato

sull’esperienza sono: ú la percezione attraverso i diversi sensi di informazioni

diffuse e non esattamente definite, ú l’attenzione distribuita a tutto il setting e non al partico-

lare, ú la non separazione tra pianificazione ed esecuzione, ú l’utilizzo di patterns olistici di azioni, che rendono non

necessaria l’analisi sequenziale (il problem solving clas-sico) e consentono lo sviluppo rapido di strategie in si-tuazioni caratterizzate dal caos. (2) Nella letteratura sul decision making infermieristico tre

elementi sembrano essere rilevanti sui risultati della deci-sione presa: a) chi prende la decisione (il decisore), b) il compito/performance in oggetto e c) il setting nel quale viene presa la decisione.

La natura ed il background del decisore consistono nel-la conoscenza, nell’esperienza, nell’intuizione e nelle capa-cità cognitive, che sostengono l’abilità dell’infermiere nel dare un significato alla decisione presa. Un’importante fon-te di conoscenza, riconosciuta come facente parte dell’esperienza dell’infermiere, è l’apprendimento di ante-fatti e conseguenze in situazioni di decision making in cui la conoscenza del paziente ha giocato un ruolo cruciale.

La natura del compito si riferisce alla complessità della decisione da prendere, le cui determinanti includono il nu-mero, l’affidabilità, la ridondanza, la sovrapposizione di stimoli ed il livello di irriducibilità dell’incertezza (ad es., i fattori che determinano la complessità della decisioni in-fermieristiche in terapia intensiva sono la qualità e quantità di comunicazione, il rischio elevato e le proprietà intrinse-che della decisione).

La natura del setting consiste negli aspetti ambientali quali dinamicità ambientale, turni, certezze sulle patologie, obiettivi assistenziali conflittuali, stress per il fattore tem-po, partecipazione numerosa alla presa di decisione, norme, obiettivi e cultura organizzativa (ad esempio, fattori come la maggiore o minore tolleranza alle interruzioni del lavoro infermieristico). (3)

il periodico del Collegioil periodico del Collegio12

Come esplicitare ciò che è tacito L’agire pratico non si caratterizza come semplice messa

in pratica di regole generali (ad es. linee guida evidence based) ma come strategia per risolvere problemi specifici, attraverso le opportune decisioni. Nel loro libro, Evidence Based Medicine: How to practice and teach EBM, Sakett e Coll. hanno posto questa definizione: “l’Evidence Based Medicine è l’integrazione delle migliori evidenze dalla ri-cerca con l’esperienza clinica ed i valori del paziente.

L’agire pratico si configura quindi come un “sapere del particolare”, che è un sapere esperienziale, mai completa-mente prevedibile e trasmissibile a priori.

Gli individui inseriti nei contesti organizzativi, sono co-stantemente immersi in questo “sapere del particolare”, con il quale costantemente si confrontano per risolvere i pro-blemi. La conoscenza di cui sono portatori è legata al loro continuo agire e, nell’azione, al loro sperimentare soluzioni adeguate. Tuttavia, spesso gli operatori non si sentono por-tatori di un sapere, perché il sapere che viene dall’esperienza non prende forma come semplice conse-guenza del partecipare ad un contesto esperienziale, ma presuppone l’intervento della ragione riflessiva, cioè l’essere pensosamente presenti rispetto all’esperienza. (4)

L’accumulazione di conoscenza implicita da parte dei

singoli avviene per mezzo dell’esperienza diretta, vissuta, mentre l’arricchimento esplicito si deve alle ripetute espe-rienze su tali riflessioni. La qualità della conoscenza impli-cita è determinata da due fattori. Il primo è la varietà dell’esperienza, che non deve limitarsi ad attività ripetitive e deve andare al di là del semplice e consueto svolgimento delle normali attività. Il secondo viene definito come “co-noscenza della razionalità” cioè la capacità razionale di riflettere sulle proprie esperienze.

L’interazione tra esperienza e razionalità amplifica quindi la conoscenza individuale e consente agli individui di formarsi la propria percezione del mondo, percezione però che, se non è ampliata verso livelli più alti, finisce per rimanere a livello personale.

Le capacità delle organizzazioni di essere “pensosa-

mente presenti” rispetto alla loro esperienza, e quindi di diventare consapevoli dei saperi pratici che in esse costan-temente si producono, le caratterizza come “learning orga-nizations”, concetto esploso negli anni ’90 negli studi or-ganizzativi e che si può tradurre con “organizzazione che apprende” ma anche con “apprendimento organizzativo”.

I saperi pratici presenti all’interno di un’organizzazione sono più o meno consolidati, più o meno oggettivati e più o meno disponibili. I saperi che riguardano, ad esempio, le attrezzature, l’uso di procedure standardizzate, possono es-sere ampiamente codificati e diffusi. Ma c’è un’altra gran-de fetta di sapere pratico, molto meno decodificata e con-divisa, che riguarda gli schemi di rappresentazione, i codici di interpretazione degli accadimenti comuni, le abilità e le competenze che sono state sviluppate con l’esperienza. È questa la dimensione del sapere esperienziale più importan-te, perché, se esplicitata all’interno di una Comunità di Pratici, può dar luogo a significativi apprendimenti.

Per “pratici” si intendono i professionisti che costante-

mente si confrontano con attività altamente esperienziali, in cui sono chiamati a prendere decisioni e nelle quali molte

dimensioni (scientifiche, ma anche emotive, sociologiche, antropologiche, ecc.) sono presenti. Nei Paesi anglosassoni il termine pratictioner qualifica le più elevate competenze (advance pratictioner nurse).

È stato ipotizzato che un’organizzazione apprende nel momento in cui “…promuove al proprio interno, capillar-mente, un processo di esplicitazione, creazione e circola-zione del sapere, nonché di traduzione di questo stesso sa-pere in concrete pratiche operative”. (4)

Per creazione e circolazione del sapere si intende una

pratica discorsiva in cui due o più individui mettono in comune delle esperienze e si interrogano sul loro significa-to, andando quindi a costruire delle interpretazioni e dei saperi che non erano presenti in loro prima di questa espli-citazione.

Tutto questo è possibile soltanto a patto di sviluppare consolidate pratiche riflessive nelle organizzazioni, una sorta di “disciplina del pensare”.

Tra i principi che stanno alla base dell’apprendimento

dell’adulto ve ne sono due particolarmente importanti per il nostro ambito di trattazione: il principio dell’apprendimento complesso e quello della modifica dell’immagine di sé.

Il principio dell’apprendimento complesso ci insegna

che per l’adulto apprendere non significa solo aggiungere nozioni al campo conoscitivo precedente, ma, soprattutto, modificarlo: modificare le idee precedenti, i collegamenti e le connessioni logiche secondo cui l’individuo aveva pre-cedentemente organizzato le rappresentazioni mentali e le concezioni sulla base della propria esperienza. Agganciare le nuove informazioni alle strutture cognitive pre-esisitenti, ai modelli culturali e di comportamento operativo vuol dire attivare un apprendimento “significativo”, cioè dare loro un significato. Dall’altra parte si trova il cosiddetto apprendi-mento “fittizio”, cioè quel tipo di apprendimento semplice che non si è integrato con il campo conoscitivo ed espe-rienziale precedente, ma che si è invece solo aggiunto (de-positato), il che può essere sufficiente per superare un esa-me, ma non per determinare apprendimento permanente (ad es. i corsi di formazione ECM su argomenti non ineren-ti la pratica professionale soggettiva).

Il principio della modifica dell’immagine di sé e del

ruolo ci insegna invece che imparare nuove conoscenze e capacità relative all’esercizio del proprio ruolo lavorativo, comporta inevitabilmente una modifica della nozione che il soggetto ha del proprio ruolo lavorativo e dell’immagine di sé nel ruolo professionale, dell’identità lavorativa e del proprio rapporto con le attività operative lavorative. L’immagine di sé, inoltre, nelle organizzazioni passa attra-verso l’immagine che gli altri hanno della persona, imma-gine che dipende strettamente dall’esercizio di capacità e attività.

I due principi suesposti (e super-riassunti), riuniti, si

possono sintetizzare nel principio dell’apprendimento co-me forma di cambiamento.(5)

il periodico del Collegioil periodico del Collegio13

L’ampliamento della conoscenza

Nel 1994 due docenti di organizzazione aziendale giap-ponesi, Nonaka e Takeuchi, hanno elaborato un modello teorico sulla creazione della conoscenza nelle organizza-zioni, modello dinamico che si basa sull’ipotesi fondamen-tale che il sapere umano si genera e si diffonde mediante un rapporto interattivo sociale tra conoscenza implicita ed esplicita. (6)

Questa interazione viene definita come “conversione della conoscenza”, fenomeno che avviene tramite quattro “mo-dalità diverse: 1. Socializzazione: dal sapere tacito al sapere tacito (af-

fiancamento sul lavoro, apprendistato). 2. Esternalizzazione: dal sapere tacito al sapere esplicito

(metafore, concetti, ipotesi, modelli, analogie). 3. Combinazione dei saperi espliciti: da esplicita a espli-

cita (gestione documentazioni elettroniche, reti di co-noscenze).

4. Interiorizzazione: dal sapere esplicito al sapere tacito a livello più alto (learning organization).

Anzitutto c’è la modalità di conversione che permette di trasferire conoscenza implicita tra gli individui: si può apprendere da altri senza che si faccia uso del linguaggio, ricorrendo all’imitazione ed alla pratica: è il cosiddetto on-the-job training cui la conversione della conoscenza impli-cita si basa sull’esperienza. Questo processo di condivisio-ne della conoscenza implicita viene detto “socializzazio-ne”.

Il secondo modo per convertire conoscenza fa leva sull’uso di processi sociali per combinare diversi “blocchi” di conoscenza esplicita tra gli individui, utilizzando mec-canismi quali ad esempio la diffusione di procedure stan-dardizzate, lo scambio di file da banche dati, ecc. Questo processo di creazione della conoscenza esplicita a partire dalla conoscenza esplicita viene detto “combinazione”.

La terza e la quarta modalità di conversione si riferi-scono al passaggio tra conoscenza implicita ed esplicita, che, in effetti, sono complementari e si allargano nel tempo tramite la loro interazione. Questa, a sua volta, si può e-strinsecare in due differenti operazioni, l’una definita “e-sternalizzazione” di conversione da conoscenza implicita a esplicita, l’altra detta “interiorizzazione” converte la cono-scenza da esplicita ad implicita, l’apprendimento di cui ab-biamo trattato nella parte iniziale di questo articolo. La me-tafora riveste un ruolo importante nel processo di esterio-rizzazione, mentre l’azione si collega profondamente al concetto di interiorizzazione.

Entrambi i processi si basano direttamente su di un elevato grado di impegno da parte degli individui e richiedono con-tinue ed intenzionali riflessioni.

Ciascuna delle quattro modalità di conversione della conoscenza crea, da sé, un qualche tipo di nuova conoscen-za, ma nessuna è sufficiente a se stessa, al contrario, esse costituiscono processi fra loro complementari e interdipen-denti.

La creazione di conoscenza entro l’organizzazione, in

quanto distinta dalla creazione di conoscenza individuale, ha luogo quando queste modalità sono “organizzativamen-te” gestite, in modo da formare un ciclo continuo. Esso è determinato e accelerato dallo “slittamento modale”: esi-stono delle “spinte” che provocano tali slittamenti tra le diverse modalità di conversione.

Anzitutto, la modalità detta “socializzazione” prende avvio dalla formazione di un team che facilita lo scambio di esperienze e punti di vista tra i membri (le riunioni di reparto focalizzate alla discussione dei problemi assisten-ziali, vale a dire centrate sui temi core della professione). La creazione di conoscenza nelle organizzazioni ha biso-gno di questo “brodo di coltura”, rappresentato dai gruppi di lavoro, in cui i singoli componenti cooperino nella crea-zione di nuovi concetti o rivelazione di concetti insiti nella conoscenza tacita dei singoli.

I gruppi devono essere auto-organizzati ed essere impo-stati sulla fiducia reciproca tra i componenti, base fonda-mentale per una collaborazione costruttiva, che può essere implementata attraverso la condivisione delle esperienze di ciascuno: è impossibile comprendere gli altri se non se ne condividono le esperienze. La condivisione di esperienze facilita anche la creazione di una “opinione comune” a tutti i componenti del gruppo, una base comune di comprensione (socializzazione).

Come gestire il processo ampliamento della conocenza

il periodico del Collegioil periodico del Collegio14

L’ “esteriorizzazione” poi è innescata da cicli successi-vi di significativi “dialoghi”, in cui l’impiego sofisticato delle metafore può essere usato per aiutare i componenti del gruppo ad articolare le loro opinioni e quindi a rivelare quella conoscenza implicita nascosta che sarebbe altrimenti difficile comunicare. La conoscenza implicita, propria del gruppo, viene tradotta in concetti espliciti, da far condivi-dere al di fuori dei confini del gruppo stesso.

Una volta, quindi, che un gruppo ha forgiato un concet-to, esso viene combinato con i dati e con la conoscenza al di fuori di tale gruppo, in modo da articolarlo in termini specifici più concreti e condivisibili.

Questa modalità combinatoria è agevolata da spunti quali il collegamento dei membri del gruppo con altri re-parti dell’organizzazione e la documentazione della cono-scenza esistente.

Alla fine di questo processo iterativo il nuovo concetto sarà acquisito e cristallizzato, e la condivisione della cono-scenza esplicita si andrà ad inserire in molteplici aspetti della conoscenza implicita (interiorizzazione).

Il processo di “cristallizzazione” è un processo sociale che si svolge a livello organizzativo, e consiste nella acqui-sizione stabile e “ufficiale” delle nuove conoscenze emerse dall’esteriorizzazione della conoscenza implicita all’interno dei meccanismi operativi e della cultura organizzativa esi-stenti.

La creazione di conoscenza nell’ambito

dell’organizzazione consiste quindi in una serie di processi dinamici attraverso tutte e quattro le modalità di conver-sione della conoscenza: la conoscenza implicita dei singoli individui ne è la base e l’organizzazione deve mobilitarla, amplificandola organizzativamente, cioè intenzionalmente, mediante le quattro modalità e cristallizzandola a livelli superiori a quello individuale (dal singolo operatore al gruppo, al dipartimento, all’organizzazione).

L’aggrovigliarsi dinamico di questi processi si definisce

“spirale della conoscenza” ed è illustrato nella figura n° 2.

L’interazione tra conoscenza implicita ed esplicita si fa-rà sempre di maggiore dimensione e di velocità man mano che si sposta tra i livelli dell’organizzazione. La creazione di conoscenza nell’ambito organizzativo è un processo a spirale crescente, che ha inizio a livello individuale, per poi montare a livello collettivo (gruppo) e quindi a quello or-ganizzativo, raggiungendo talvolta il livello interorganizza-tivo (ad esempio i progetti di area vasta). La capacità dei leader di mobilizzare questo processo è conditio sine qua non per la sua riuscita.

Conclusioni La spina dorsale della creazione della conoscenza in

ambito organizzativo si può riassumere nelle seguenti pro-posizioni: 1. il soggetto fondamentale della creazione di conoscenza è

l’individuo, che si deve impegnare personalmente in vir-tù delle proprie intenzioni, dell’autonomia di cui gode e delle opportunità ambientali.

2. La conoscenza si crea nel corso dell’interazione dinami-ca tra conoscenza implicita ed esplicita, che sono com-plementari l’una dell’altra.

3. Esistono quattro modalità di conversione della cono-scenza (socializzazione, combinazione, esteriorizzazione e interiorizzazione) che vengono agevolate con la costru-zione di terreni di interazione, coordinamento e docu-mentazione, dialogo e confronto tra i soggetti.

4. Lo slittamento tra le modalità di conversione della cono-scenza produce la spirale cognitiva in cui la conoscenza si espande dal livello individuale verso i livelli di grup-po, di organizzazione e inter-organizzativi.

5. La conoscenza individuale viene ampliata mediante il ricorso periodico alla “conoscenza dell’esperienza” e alla conoscenza della razionalità.

6. Il gruppo di lavoro costituisce il terreno di interazione dove la conoscenza dei singoli viene condivisa e nuova-mente concettualizzata come conoscenza del gruppo du-rante il processo di condivisione dell’esperienza, di crea-zione della fiducia e del dialogare sui concetti.

Fig. 2: La spirale del processo di creazione di conoscenza organizzativa

il periodico del Collegioil periodico del Collegio15

7. La qualità della conoscenza dell’organizzazione è deter-minata dai parametri di valutazione che vi vigono, a loro volta stabiliti dalle aspirazioni del management.

8. La conoscenza nell’organizzazione allarga la base cogni-tiva dell’organizzazione stessa e stimola la creazione di conoscenza nell’ambiente circostante, la quale, a sua vol-ta, innesca un nuovo processo di creazione di conoscenza da parte dell’organizzazione.

9. La creazione di conoscenza nell’ambito organizzativo è facilitata al massimo dalle intenzioni, dalle motivazioni, dall’autonomia dei soggetti, dalla sovrabbondanza e va-rietà di stimoli ambientali, dalla possibilità di vivere e-sperienze di qualità, offerti rispettivamente ai livelli in-dividuale, di gruppo, organizzativo e interorganizzativo.

10. La creazione di conoscenza nell’ambito organizzativo è facilitata al massimo dal processo di middle-up-down-management (caratterizzato dalla grande rilevanza fun-zionale attribuita ai “quadri intermedi”, che operano co-me team leader e fungono da collegamento tra gli ideali del top management e la realtà, spesso caotica, di chi si batte in prima linea, il “nucleo operativo” a dirla come Mintzberg; nelle organizzazioni sanitarie sono rappre-sentati dai coordinatori infermieristici e dai RID).

Non è solo necessario, quindi, portare la conoscenza ta-

cita al livello conscio e razionale, ma si deve anche prov-vedere al design di strutture e processi di lavoro che diano l’opportunità di riflettere sulle esperienze di lavoro sia a livello individuale che organizzativo.

Fintanto che le attività degli infermieri esperti non sa-ranno adeguatamente rilevate e documentate, e fintanto che lo sviluppo della competenza clinica sarà limitato da una carriera clinica inadeguata, mancherà un legame essenziale per lo sviluppo della disciplina infermieristica.

A fronte di una crescente responsabilità discrezionale degli infermieri nell’ottica del benessere dei pazienti si as-siste ad una eccessiva tendenza alla formalizzazione dell’assistenza infermieristica in ospedale, considerata co-me la parte standardizzabile della prestazione sanitaria: la remunerazione per DRG non comprende le prestazioni in-fermieristiche nelle spese del personale (che sono conside-rate come costi fissi) per cui la standardizzazione con pro-tocolli e procedure è ritenuta la metodica più efficiente di gestione del personale, alla faccia del ragionamento clinico e/o critico. Fino a che non diventiamo economicamente interessanti per il sistema non c’è ragione per alterare lo status quo, l’eshtablishment.

La tendenza alla standardizzazione deve inoltre stimo-

lare un’ulteriore riflessione. Se non si presta la dovuta at-tenzione, l’implementazione acritica di linee guida, proce-dure e/o percorsi assistenziali (così spinta attualmente, sul-la base dello “tzunami” dell’Evidence Based Medici-ne/Nursing), fa correre il rischio: a) di ridurre il “care” ad una serie di compiti, distogliendo

dalla cura olistica, e b) di rendere il personale esperto e dotato di potere discre-

zionale sostituibile con altro personale altrettanto capace di eseguire una procedura, ma incapace di fornire assi-stenza individualizzata e flessibile, facilitata dall’esperienza. (7)

Una cultura nella quale seguire le linee guida Evidence

Based è visto come il più elevato indicatore di qualità do-

vrebbe essere considerata piuttosto come una cultura che “restringe” le cure: una infermiera esperta non rifiuta le linee guida, ma le utilizza come “parte di” e non come inte-ra e unica ratio che informa il proprio decision making.

L’enfasi sul care (prendersi cura) piuttosto che sul cure (curare) è citata come la maggiore distinzione tra il nursing e la medicina. Le terapie mediche (standardizzate sulla ba-se delle evidenze scientifiche) sono più facilmente dimo-strabili del caring infermieristico e il focus olistico infer-mieristico (che si basa su dimensioni intangibili), nell’attuale contesto positivistico ed efficientista in cui tut-to viene monetizzato, ha scarso valore economico.

Tutto ciò trova un corrispettivo anche nel sistema con-trattuale, infatti, gli incentivi per continuare la carriera nel-la clinica sono limitati ai meccanismi ferraginosi e obsoleti delle fasce orizzontali: la competenza infermieristica esper-ta è, nelle correnti applicazioni contrattuali, sinonimo di anzianità di servizio, e la categoria Ds è riservata ai coor-dinatori cioè agli infermieri che hanno scelto di staccarsi dalla clinica per intraprendere una carriera direttiva.

Emerge con urgenza quindi la necessità di esplicitare e correlare le competenze cliniche infermieristiche esperte ai risultati di salute che sappiamo e possiamo ottenere con la nostra professione, per conquistare quello spazio decisiona-le (che attualmente ci è negato) nell’unico modo deontolo-gicamente accettabile, cioè nell’interesse dell’assistito.

Referenze:

1 Herbig B., Bussing A., Ewert T. The role of tacit

knowledge in the work context of nursing. Journal of Advanced Nursing 2001;34(5):687-95

2 Billay D., Myric F., Luhanga F., Yonge O. A pragmatic

view of intuitive Knowlwdge in nursing practice Nursing Forum 2007;42(3):147-155

3 Hedberg B., Larsson U.S. Environmental elements affecting the decision making process in nursing practice. Journal of Clinical Nursing 2004;13:316-324

4 Zannini L. (2005), La tutorship nella formazione degli adulti. Uno sguardo pedagogico. Milano, Guerini

5 Bruscaglioni M. (2004) La gestione dei processi nella

formazione degli adulti. Milano, Franco Angeli 6 Nonaka I., Takeuchi H. (1995) The knowledge-creating

company, Oxford University Press (trad.it. 1997, Guerini e Associati)

7 Christensen M., Hewitt-Taylor J. (2006) From expert to tasks, expert nursing practice redefined? Journal of Clinical Nursing 15,1531-1539

il periodico del Collegioil periodico del Collegio16

ESITI DELLE CURE INFERMIERISTICHE a cura della Dott.ssa Sara Buchini

Riassunto dell’articolo “Palese A, Beltrame ER, Bin A, Borghi G, Bottacin M, Buchini S, et al. Esiti sensibili alle cure infermieristiche: analisi critica della letteratura. Assistenza infermieristica e ricerca 2008;27(1):33-42

Non riuscire a misurare l’efficacia di quanto gli in-fermieri svolgono e/o di quanto sono capaci di influen-zare l’esito di un paziente, evidenzia un vuoto rilevante di conoscenze.(1) Anche la discussa “invisibilità” degli infermieri verso i manager, gli altri operatori, verso i pazienti e/o l’opinione pubblica dipende proprio da questo.(2)

Gli effetti delle cure infermieristiche non sono ancora

così chiari ed il bisogno di definire un set di esiti uni-versalmente accettato, espresso in un linguaggio uni-forme e misurabile attraverso le metodologie formal-mente riconosciute, rappresenta una delle priorità dell’infermieristica a livello internazionale. Avere a disposizione un set di esiti consentirebbe di: 1. attestare i cambiamenti dello stato dei pazienti che

sono determinati dagli infermieri; 2. avviare strategie per potenziare gli esiti nelle realtà

che esprimono i risultati attesi e/o accettabili; 3. creare strumenti di documentazione dell’assistenza

focalizzati sugli esiti da perseguire; 4. approfondire alcuni comportamenti di care, altri-

menti la personalizzazione delle cure o la presa in carico rimarranno teoriche e non saranno valutabili nella pratica infermieristica;

5. focalizzare la preparazione degli studenti infermie-ri sugli esiti clinici che l’infermieristica è in grado di influire nella pratica;

6. aiutare i direttori dei servizi nel definire le risorse necessarie all’assistenza sulla base di studi che do-cumentano l’associazione tra esiti migliori e quan-tità del personale.

Definizione del concetto di “esiti sensibili all’infermieristica”.

Non esiste ancora una definizione universale per nursing outcomes o nursing sensitive outcomes, infatti, per “esiti infermieristici” si intende lo stato, il compor-tamento o la percezione di un individuo, di una fami-glia o di una comunità misurato lungo il continuum di assistenza, come risposta ad un intervento infermieri-stico.(3, 4)

Per Stone (5) gli esiti infermieristici non si riferisco-no necessariamente agli aspetti classici dell’assistenza (i bisogni di assistenza infermieristica), ma riguardano anche l’insieme degli effetti organizzativi generati da-gli infermieri.

L’assistenza infermieristica è un trattamento da cui dipendono alcuni effetti: ad interessare non è l’esito degli infermieri (nurses outcomes), ma l’esito delle cu-

re infermieristiche erogate (nursing outcomes). Gli esiti che dipendono dai comportamenti professionali degli infermieri si distinguono in azioni tecniche (per esem-pio la mobilizzazione del paziente), relazionali (per e-sempio toccare i pazienti o creare un ambiente favore-vole alla loro guarigione e al loro comfort) ed educati-ve (per esempio sull’autogestione della terapia).

Needleman et al (6), invece, distinguono il concetto di esiti infermieristici (l’impatto degli infermieri sui pazienti), da quello di esiti sensibili all’infermieristica (risultati e complicanze associate alla capacità degli infermieri di realizzare il proprio lavoro) e da quello di performance (abilità tecniche degli infermieri). Le prime classificazioni.

Recentemente si è iniziato a discutere sugli esiti delle cure infermieristiche, ma già le teoriche li avevano in-dividuati definendo l’infermieristica e le sue finalità. Per esempio Florence Nightingale fu la prima ad ipo-tizzare misure di esito tipiche della medicina (mortalità e morbilità) anche per l’infermieristica, Henderson, in-vece, dichiarò che l’esito più importante è l’indipendenza del paziente nelle ADL (Activities of Daily Living, attività di vita quotidiana).(7)

Negli anni seguenti, con l’evoluzione del concetto di assistenza infermieristica, vennero definite altre tipolo-gie di esito legate al benessere ed al comfort.

Soltanto con Needelman et al (8) e Aiken et al (9, 10) le cure infermieristiche sono state nuovamente associa-te alla mortalità ed alle complicanze dei pazienti.

Tre sono i momenti importanti che hanno dato avvio

al dibattito ed alla creazione delle prime classificazioni degli esiti sensibili all’infermieristica: 1. l’Associazione delle Infermiere dello Stato di Al-

berta (Canada) ha realizzato nel 1993 una prima revisione delle pubblicazioni disponibili dal 1987;(11)

2. l’Università dell’Iowa (USA) ha sviluppato nel 1995 il NOC (Nursing Outcomes Classification) che ha guidato il dibattito internazionale per anni sui risultati clinici degli infermieri;(3)

3. Marek ha strutturato nel 1989 un elenco iniziale di esiti che poi ha rivisto con Lang (12): gli esiti sono stati classificati in categorie che nell’insieme de-scrivono complessivamente l’influenzadell’infermieristica sui pazienti.

il periodico del Collegioil periodico del Collegio17

Stabilità del sistema e benessere ottimale

Betty Newman

Due tipologie di outcomes: Esperienza soggettiva e risposta fisiologica.

Janice Morse

Alto livello di armonia tra mente, corpo e spirito. Autoconoscenza, auto rispetto, auto cura e auto guarigione.

Jean Watson

Essere/diventare integrati. Sviluppare processi di vita positiva e pattern di funzionamento.

Callista Roy

Benessere del paziente

American Nursing Association

Qualità della vita e risultati raggiungibili: salute per il singolo, il gruppo, la società.

ImogeneKing

Benessere individuale o di gruppo e qualitàcongruente alla cultura

Madelaine Laininger

1980-1990

Responsabile ed autonoma azione del paziente.

Dorothy Orem

IndipendenzaVirginia Henderson

1970

Sviluppo della personalità e massima produttività

Hildegard Peplau

Sollevare dalla tensione e dal disconfortraggiungendo un equilibrio interno ed interpersonale

Dorothy Johnson

1950-60

Mortalità e morbilitàFlorence Nightingale

1800

EsitiAnno/Autore

Stabilità del sistema e benessere ottimale

Betty Newman

Due tipologie di outcomes: Esperienza soggettiva e risposta fisiologica.

Janice Morse

Alto livello di armonia tra mente, corpo e spirito. Autoconoscenza, auto rispetto, auto cura e auto guarigione.

Jean Watson

Essere/diventare integrati. Sviluppare processi di vita positiva e pattern di funzionamento.

Callista Roy

Benessere del paziente

American Nursing Association

Qualità della vita e risultati raggiungibili: salute per il singolo, il gruppo, la società.

ImogeneKing

Benessere individuale o di gruppo e qualitàcongruente alla cultura

Madelaine Laininger

1980-1990

Responsabile ed autonoma azione del paziente.

Dorothy Orem

IndipendenzaVirginia Henderson

1970

Sviluppo della personalità e massima produttività

Hildegard Peplau

Sollevare dalla tensione e dal disconfortraggiungendo un equilibrio interno ed interpersonale

Dorothy Johnson

1950-60

Mortalità e morbilitàFlorence Nightingale

1800

EsitiAnno/Autore

Tabella 1. Principali teoriche ed esiti sensibili all’infermieristica.

il periodico del Collegioil periodico del Collegio18

Doran et al (13) hanno ridotto a sei gli esiti sensibili all’infermieristica:

1. prevenzione delle complicanze; 2. risultati clinici, compresa la gestione dei sintomi; 3. conoscenza della malattia (da parte del paziente) e

la sua gestione appropriata; 4. risultati funzionali psichici, mentali e sociali corre-

lati al self care; 5. soddisfazione del paziente; 6. costi delle cure.

Criticità di alcune classificazioni Nursing Outcomes Classification (NOC).

Si tratta di un elenco di 385 esiti, descritti minuzio-samente e considerati sensibili alle cure infermieristi-che.(14) Purtroppo l’adozione del NOC comporta alcuni pro-blemi: 1. ogni operazione di traduzione e di validazione de-

ve essere condotta con attenzione perché gli esiti dipendono dal contesto e devono essere confrontati con il ruolo professionale degli infermieri negli Stati Uniti d’America che è diverso da quello ita-liano;

2. l’elenco di esiti del NOC può essere molto utile nella gestione di un paziente, ma non lo è altrettan-to nella rilevazione dei cambiamenti delle condi-zioni di salute di popolazioni;

3. gli esiti coincidono con un problema del paziente che gli infermieri hanno l’autorità di gestire.

Indicatori di qualità di processo e di risultato.

Dagli anni 1980 il dibattito sulla qualità ha investito la professione infermieristica e la letteratura. Agli inizi, quando la Joint Commission aveva iniziato a riflettere sugli indicatori, aveva affermato che: § i risultati dei pazienti sono influenzati da tutte le

attività dell’organizzazione sanitaria; § il miglioramento continuo delle cure è un obiettivo

importante;

§ l’accreditamento deve riguardare gli aspetti chiave del sistema;

§ l’accreditamento potrebbe potenziare la perfor-mance delle organizzazioni.

Gli indicatori adottati dal sistema della qualità sono indicatori di struttura, di processo e di risultato. Questi ultimi potrebbero essere considerati simili agli esiti sensibili alle cure infermieristiche, ma non è così: § nella revisione e nel miglioramento della qualità

gli indicatori di esito sono espressione del contri-buto di tutti e non di un’unica professione;

§ nel sistema della valutazione della qualità si privi-legiano gli eventi sentinella, che rappresentano una misura seria, indesiderata, infrequente ed evitabile.

Nursing Minimum Data Set (NMDS). Werley et al (15) hanno definito il NMDS come un set di dati minimi essenziali e standardizzati sull’infermieristica. Inizial-mente non era collegato agli esiti: gli infermieri dove-vano riportare solo i problemi dei pazienti e gli inter-venti effettuati. (16) Solo successivamente sono stati inclusi gli esiti che costituiscono oggi l’aspetto priorita-rio da documentare. 1. alcuni indicatori potrebbero essere associati anche

all’azione di altri operatori, alla vulnerabilità del paziente, alla mancata compliance dello stesso o dei suoi caregiver, alle norme igieniche di base, etc;

2. secondo Mick et al (19) mancano teorie che spie-ghino adeguatamente alcune relazioni tra assisten-za infermieristica ed esiti e, quindi, manca anche la possibilità di verificare la relazione tra variabili ma, soprattutto, di giustificarla;

3. è effettivamente possibile studiare l’impatto degli infermieri (isolando il loro contributo da quello di altri operatori) con tecniche sensibili e capaci di catturare le minime variazioni tra le diverse tipolo-gie di pazienti nelle diverse fasi della malattia e nei diversi contesti? Si sa poco su come gli infermieri gestiscono le ore di assistenza che erogano e sulla quantità di cure dirette ed indirette erogate.

13. Risoluzione delle diagnosi infermieristiche

12. Raggiungimento degli obiettivi

11. Frequenza dell ’uso del servizio, costi, riospedalizzazioni

10. Soddisfazione del paziente

9. Benessere, qualit à della vita

8. Conoscenza (ad esempio livello di conoscenza ad esempio su dieta, farmaci, trattamenti, diagnosi)

7. Comportamenti (ad esempio applicazione di conoscenze ed abilità, problem solving, motivazioni e

compliance)

6. Vita a domicilio (ad esempio funzionamento dell ’unità famigliare, difficolt à/sforzi dei care giver, modello di vita della famiglia, ambiente, funzioni di ruolo e di supporto)

5. Misure psicosociali (ad esempio modelli di comportament i, relazione, coping, autocura, concetto di s é,

emozioni, attitudini)

4. Sicurezza

3. Stato funzionale (ad esempio attivit à nella vita quotidiana, autocura, mobilit à, comunicazione)

2. Controllo dei sintomi (ad esempio dolore, comfort, fati ca, nausea, costipazione, diarrea, incontinenza)

1. Fisiologici (ad esempio pressione sanguigna, frequenza cardiaca, temperatura, guarigione delle ferite, glicemia, edema)

13. Risoluzione delle diagnosi infermieristiche

12. Raggiungimento degli obiettivi

11. Frequenza dell ’uso del servizio, costi, riospedalizzazioni

10. Soddisfazione del paziente

9. Benessere, qualit à della vita

8. Conoscenza (ad esempio livello di conoscenza ad esempio su dieta, farmaci, trattamenti, diagnosi)

7. Comportamenti (ad esempio applicazione di conoscenze ed abilità, problem solving, motivazioni e

compliance)

6. Vita a domicilio (ad esempio funzionamento dell ’unità famigliare, difficolt à/sforzi dei care giver, modello di vita della famiglia, ambiente, funzioni di ruolo e di supporto)

5. Misure psicosociali (ad esempio modelli di comportament i, relazione, coping, autocura, concetto di s é,

emozioni, attitudini)

4. Sicurezza

3. Stato funzionale (ad esempio attivit à nella vita quotidiana, autocura, mobilit à, comunicazione)

2. Controllo dei sintomi (ad esempio dolore, comfort, fati ca, nausea, costipazione, diarrea, incontinenza)

1. Fisiologici (ad esempio pressione sanguigna, frequenza cardiaca, temperatura, guarigione delle ferite, glicemia, edema)

Tabella 1. Classificazione degli esiti sensibili all’infermieristica secondo Lang e Marek.

il periodico del Collegioil periodico del Collegio19

Referenze: 1. Bauman MK. The importance of outcome measurement in quality assurance. Holist Nurs Pract 1991 Apr;5(3):8-13. 2. Mallison MB. Access to invisible expressways. Am J Nurs 1990 Sep;90(9):7. 3. Moorhead S, Johnson M, Maas M, Swanson E. Nursing Outcomes Classification (NOC). 4th ed. St. Louis, MO:

Mosby, 2008. 4. Donabedian A. The definition of quality and approaches to its assessment. Explorations in quality assessment and

monitoring. Vol. 1. Ann Arbor, Michigan: Health Administration Press, 1980. 5. Stone PW. Nursing shortage and nursing sensitive outcomes. Appl Nurs Res 2002 May;15(2):115-6. 6. Needleman J, Kutzman ET, Kizer KW. Performance measurement of nursing care. State of the care and current

consensus. Med Care Res Rev 2007 Apr;64(2 Suppl):10S-43S. 7. Neale NJ. Patient outcomes: a matter of perspective. Nurs Outlook 2001 Mar-Apr;49(2):93-9. 8. Needleman J, Buerhaus PI, Mattke S, Stewart M, Zelevinsky K. Nurse staffing levels and patient outcomes in

hospitals. Final report for Health Resources Services Administration. Boston, Massachusetts: Harvard School of Public Health, 2001.

9. Aiken LH, Clarke SP, Sloane DM, Sochalski J, Silber JH. Hospital nurse staffing and patient mortality, nurse burnout, and job dissatisfaction. JAMA 2002 Oct 23-30;288(16):1987-93.

10. Aiken LH, Sean PC, Douglas MS. Hospital staffing, organization, and quality of care: cross-national findings. Int J Qual Health Care 2002 Feb;14(1):5-13.

11. Prophet C, Dorr GG, Gibbs TD, Porcella AA. Implementation of standardized nursing languages (NIC, NOC) in on-line care planning and documentation. Informatics: the impact of nursing knowledge on health care informatics. Amsterdam: IOS Press, 1997.

12. Lang NM, Marek KD. The classification of patient outcomes. J Prof Nurs 1990 May-Jun;6(3):158-63. 13. Doran DI, Sidani S, Keatings M, Doidge D. An empirical test of the Nursing Role Effectiveness Model. J Adv

Nurs. 2002 Apr;38(1):29-39. 14. College of Nursing - University of Iowa. Nursing Outcomes Classification (NOC) [Online]. 2008. Available from:

http://www.nursing.uiowa.edu/excellence/nursing_knowledge/clinical_effectiveness/noclabels.htm 15. Werley HH, Devine EC, Zorn CR, Ryan P, Westra BL. The Nursing Minimum Data Set: abstraction tool for

standardized, comparable, essential data. Am J Public Health. 1991 Apr;81(4):421-6. 16. Turtiainen AM, Kinnunen J, Sermeus W, Nyberg T. The cross-cultural adaptation of the Belgium Nursing

Minimum Data Set to Finnish nursing. J Nurs Manag 2000 Sep;8(5): 281-90. 17. Bowling A. Measuring disease: a review of disease specific quality of life measurement scales. 2nd ed.

Buckingham and Philadelphia: Open University Press, 2001. 18. French B. British studies which measure patient outcome, 1990-1994. J Adv Nurs 1997 Aug;26(2): 320-8. 19. Mick SS, Mark BA. The contribution of organization theory to nursing health services research. Nurs Outlook 2005

Nov-Dec;53(6):317-23.

4. alcuni indicatori potrebbero essere associati anche all’azione di altri operatori, alla vulnerabilità del paziente, alla mancata compliance dello stesso o dei suoi caregiver, alle norme igieniche di base, etc;

5. secondo Mick et al (19) mancano teorie che spie-ghino adeguatamente alcune relazioni tra assisten-za infermieristica ed esiti e, quindi, manca anche la possibilità di verificare la relazione tra variabili ma, soprattutto, di giustificarla;

6. è effettivamente possibile studiare l’impatto degli infermieri (isolando il loro contributo da quello di altri operatori) con tecniche sensibili e capaci di catturare le minime variazioni tra le diverse tipolo-gie di pazienti nelle diverse fasi della malattia e nei diversi contesti? Si sa poco su come gli infermieri gestiscono le ore di assistenza che erogano e sulla quantità di cure dirette ed indirette erogate. La va-riabilità degli esiti potrebbe dipendere dalle abilità decisionali dell’infermiere di attribuire la giusta priorità;

7. l’assistenza infermieristica in Italia non ha ancora un’adeguata reportistica: in molti ospedali la car-tella infermieristica non viene archiviata insieme alla cartella clinica e la qualità della documenta-zione infermieristica in particolare, e sanitaria in genere, è ancora da migliorare.

La ricerca futura

In Italia è urgente aprire un dibattito sugli esiti sensi-bili all’infermieristica intervistando gli infermieri per capire quali sono quelli ritenuti più importanti o più presidiati, oppure ricercando il consenso su quelli ri-portati nella classificazione NOC per valutare la perce-zione dell’associazione o meno alle cure infermieristi-che, o cominciando ad utilizzare sistematicamente gli esiti già documentati dalla ricerca.

Bisogna però fare alcune considerazioni. § Gli esiti sensibili all’infermieristica devono essere

sostenuti da basi razionali solide e non partire da rivendicazioni professionali o competizione inter-professionale, ma capire quanto gli infermieri rie-scono a modificare il percorso clinico di un pa-ziente.

§ Quali esiti potrebbero diventare sensibili ad un’infermieristica “non clinica”, ma più centrata sui percorsi dei pazienti?

§ Verificare se l’attribuibilità degli esiti dipende an-che dal contesto: il contributo degli infermieri ad un problema del paziente varia molto secondo il contesto, la possibilità di agire in autonomia o di lavorare su prescrizione, ma si modifica anche in base alle competenze.

§ Verificare se è necessario definire un “modello di riferimento degli esiti dell’infermieristica” per ca-pire se è più efficace un modello malattia-specifico, per aree omogenee, per fascia di età e complessità, per tappa di cura o un’integrazione di più modelli.

§ Definire anche quali sono gli esiti che meglio e-sprimono l’azione professionale diretta alla fami-glia ed alla comunità.

§ Riflettere se ha senso continuare a discutere sugli esiti attribuibili all’infermieristica o se sarebbe più logico misurare gli esiti ottenuti, valutando poi, per gruppi di pazienti confrontabili, quale differenza di esiti può essere spiegata dalla quantità e qualità del personale coinvolto.

§ Si dovrà probabilmente iniziare a pensare agli esiti dei sistemi sanitari, piuttosto che a quelli specifici dell’infermieristica, anche per le diverse caratteri-stiche dei ruoli professionali tra i paesi, che non sono sempre confrontabili.

La redazione di Feedback

augura a tutti i colleghi

buone vacanze

Claude Monet (1875) La passeggiata