Iglù 3

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E tu non ci puoi fare niente… niente! numero tre la newsletter sulla comunicazione dell’agenzia iceberg Piazza della Vittoria, 1 62100 Macerata T 0733 230139 [email protected] Iglù numero 3. Si parla (già, perché le parole hanno una loro voce) un po’ del giornale del Comune di Macerata. Poi si sfogliano altri argomenti, che riguardano (perché le parole hanno un loro punto di vista) la struttura grafica del giornale, un veloce dizionarietto più o meno giornalistico, un riferimento a Borges, una considerazione sull’iPad, il nostro essere stati a CartaCanta, e alcune notizie curiose – sempre nel settore della stampa. A proposito, non ci è venuto da citare, tra gli articoletti dell’Iglù numero 3, la mitica battuta «È la stampa, bellezza». Rimediamo subito. La battuta completa era: «È la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi fare niente… niente!». Lo diceva Humphrey Bogart, giornalista ne L’ultima minaccia, film del 1952, diretto da Richard Brooks. C’era di mezzo, nella storia, la libertà di stampa. Inchiostri o pixel, la libertà è la libertà. Buona lettura.

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Newsletter Iceberg comunicazione

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E tu non ci puoi fare niente… niente!

numero tre

la newsletter sulla comunicazione dell’agenzia iceberg

Piazza della Vittoria, 1 62100 Macerata

T 0733 230139 [email protected]

Iglù numero 3. Si parla (già, perché le parole hanno una loro voce) un po’ del giornale del Comune di Macerata. Poi si sfogliano altri argomenti, che riguardano (perché le parole hanno un loro punto di vista) la struttura grafi ca del giornale, un veloce dizionarietto più o meno giornalistico, un riferimento a Borges, una considerazione sull’iPad, il nostro essere stati a CartaCanta, e alcune notizie curiose – sempre nel settore della stampa.A proposito, non ci è venuto da citare, tra gli articoletti dell’Iglù numero 3, la mitica battuta «È la stampa, bellezza». Rimediamo subito. La battuta completa era: «È la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi fare niente… niente!». Lo diceva Humphrey Bogart, giornalista ne L’ultima minaccia, fi lm del 1952, diretto da Richard Brooks. C’era di mezzo, nella storia, la libertà di stampa. Inchiostri o pixel, la libertà è la libertà.Buona lettura.

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Il giornale del Comune di Macerata ha cambiato veste. Non è un vezzo estetico. Un giornale “in sintonia” con il contemporaneo mondo dei segni (senza troppo scomodare Roland Barthes), ben impaginato grafi camente, invoglia alla lettura. Ovvio. Perché tutto, all’inizio, è sguardo, specialmente con un giornale. Si sfoglia, ci si lascia prendere da alcuni titoli, si leggono le prime righe di un occhiello (nome oculistico, e non è un caso), poi si torna indietro, si inizia a leggere PER DAVVERO. E così via. Gesti, un po’ naturali, un po’ familiari. Il lettore può non sapere com’è costruito il giornale che sta leggendo. Non è obbligato, ci mancherebbe. Anche se, ne siamo convinti, gli darebbe “più gusto” capire gli equilibri formali di un articolo, di un titolo, di una immagine. Quando un quotidiano o

voltare pagina

un settimanale – a tiratura nazionale – cambia veste grafi ca inizia il tam tam informativo. Pubblicità dell’evento su diversi mezzi, dallo spot tv all’annuncio radio, dalla pagina pubblicitaria all’articolo redazionale. Per vendere, in quell’occasione, più copie, sperando poi che il lettore curioso da occasionale diventi fedele, torni in edicola, o scelga di abbonarsi (conviene rispetto al prezzo normale, anche se le spedizioni il più delle volte ti fanno leggere un giornale con parecchi giorni di ritardo, e la vita è ormai un ricordo).Per il momento, il giornale del Comune di Macerata ha 16 pagine, spillate. Perché sedici e non diciassette o quindici? Paolo, il nostro grafi co, ci ha dato qualche informazione tecnica.Per la semplice ragione che non si deve sprecare la carta, e quindi le

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“segnature” – il foglio piegato in pagine da tagliare – sono multipli di quattro. Abbiamo così una foliazione in ottavi, sedicesimi, dodicesimi, ventiquattresimi e trentaduesimi (ne avevamo già parlato un po’ nell’Iglù 2). Il logo “macerata” è composto da caratteri che sono stati modifi cati. Assomiglia a quelle lettere che troviamo stampigliate sugli imballaggi di legno. Solidità, robustezza, con l’aggiunta di curvature che ingentiliscono le forme.In copertina, una foto occupa tutto lo spazio (in questo primo numero, piazza della Libertà), e dentro sette colonnine scorre l’indice degli argomenti. L’unica concessione al colore è il rosso standard dei titoli, preso dal rosso dello stemma del Comune.I titoli degli articoli sono in carattere “bastone”, molto lineari, razionali,

puliti. Il testo dell’occhiello è scritto con carattere Clarendon bold, classico, elegante e ben leggibile anche nei corpi piccoli. Per il testo degli articoli è stato scelto un Franklin bastone, anch’esso classico, molto lineare, essenziale, equilibrato, per facilitare la lettura.Il testo delle pagine è distribuito su sette colonnine, anche se poi lo spazio della gabbia risulta occupato da due colonne larghe alternate da colonnine per le brevi notizie e le didascalie. La carta è di tipo usomano (carta naturale, non patinata).Una novità, rispetto alle passate edizioni, sono le quattro pagine centrali (volendo, da staccare) dedicate agli eventi e alle occasioni culturali che la città offre.Aggiustamenti grafi ci futuri? Sicuramente qualcosa, ascoltando i pareri dei lettori.

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Abbiamo scelto da un dizionario del giornalista alcune parole forse non del tutto familiari ai non addetti ai lavori.

Formato = dimensione del giornale, comprende le misure di larghezza ed altezza della pagina. Ne esistono tre tipi: lenzuolo (formato classico: Il Messaggero); tabloid (la Repubblica, La Stampa); pocket.

Gabbia = l’impianto grafi co di base della pagina, costituisce il riferimento su cui vengono inseriti i vari elementi, ad esempio le colonne di testo, la testata, le immagini eccetera.

Colonne = gli elementi che danno la scansione verticale della pagina. Le colonne hanno delle giustezze variabili.

Testata = comprende il nome del giornale e i caratteri tipografi ci con cui è scritto. Costituisce l’elemento distintivo del giornale stesso (come il marchio per un prodotto).

parole di carta

Apertura = la parte della pagina in alto a sinistra.

Spalla = la parte della pagina in alto a destra.

Taglio medio = La parte centrale della pagina. Talvolta, il corpo del carattere del titolo di t.m. è maggiore di quello di apertura. Un tempo era considerato un errore.

Taglio basso/fogliettone = dal francese feuilleton, è la parte bassa della pagina riservata a un argomento di letteratura o sociale. Tra la seconda metà dell’800 e gli inizi del 900 vi compariva un romanzo a puntate, detto appunto feuilleton, pubblicato per fi delizzare i lettori.

Titolo = domina e introduce l’articolo e ha in genere molta evidenza grafi ca, ottenuta con l’uso di un corpo tipografi co notevole. Nel corso del tempo la titolazione è cambiata soprattutto a causa della concorrenza televisiva: è diventata più di commento poiché si dà per scontato che il lettore conosca già la notizia, attraverso la tv o la radio.

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Sommario = una volta era un estratto del testo, oggi aggiunge informazioni.

Occhiello = frase posta sopra il titolo che introduce l’articolo. Ha caratteri grafi ci differenti e più piccoli rispetto al titolo principale.

Manchette = abitualmente sono i riquadri a destra e a sinistra della testata, dedicati alla pubblicità. In generale, indica un riquadro pubblicitario.

Catenaccio = elemento della titolazione passante su due o più titoli, che quindi “incatena” insieme. Il termine è anche usato per indicare una riga di titolazione di ampia estensione ma di minor corpo, e quindi di minor impatto, rispetto al titolo.

Distico = breve nota che introduce un articolo. In genere è in corsivo, si trova all’inizio dell’articolo ed è di giustezza inferiore rispetto al resto del testo.

Brossura = allestimento delle pagine con l’uso di collanti. È usata in particolare per i periodici ad alta foliazione.

Proto = è il capo operaio incaricato della distribuzione e della ispezione generale del lavoro; in una tipografi a svolge un ruolo di “cerniera” tra la redazione e la tipografi a stessa. Non se ne vedono più, in giro.

Correttore di bozze = come il proto, è in via di estinzione; sempre più spesso è il giornalista che corregge da solo i suoi testi.

Elzeviro = indicava l’articolo di apertura della “terza pagina” (quella della cultura). Il nome elzeviro deriva da un carattere tipografi co realizzato da un incisore per gli stampatori olandesi Elzevier (attivi nel XVII secolo).

Filo di nota = breve testo (un commento), separato dagli altri da un fi lo.

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C’eravamo anche noi dell’Iceberg a CartaCanta GraphicFest, a Civitanova Marche, dal 19 al 22 maggio. Con un manifesto per il 150esimo dell’unità d’Italia e con 44 manifesti realizzati per l’Università di Macerata.Al progetto per il manifesto del 150esimo hanno partecipato moltissimi studi grafi ci e agenzie di comunicazione. La nostra proposta è stata di tipo grafi co (tipo, qui, equivale a genere, ma si può ugualmente dire tipografi co, tuttoattaccato, trattandosi di puro lettering (una grafi ca fatta solo di parole scritte). Abbiamo scelto 150 parole che in qualche modo ci rappresentano (150 modi di scrivere 150): da democrazia a cioccolata, da Costituzione a partecipazione, da libertà a spaghetti.

cartacanta

Dieci anni di comunicazione pubblicitaria dell’Università di Macerata.

150 modi di scrivere 150.1)2)3)4)5)6)7)8)9)

10)11)12)13)14)15)16)17)18)19)20)21)22)23)24)25)26)27)28)29)30)

democrazia costituzione libertà lavoro uguaglianza diritti doverisalute solidarietà pace accoglienza futuro amicizia tolleranza diversità cultura fratellanza bellezza gioia salutefiducia amore dignità onestà conoscenza giustizia felicitàidentità gentilezza legalità

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intelligenza occupazione festa opportunità tempo libero sensibilità fantasia serietà vacanze poesia desideridisponibilità libri considerazione stima verità simpatia civiltàtranquillità emozione passione affetto sogni sport pluralitàistruzione cooperazione generosità tenerezza ottimismo

61)62)63)64)65)66)67)68)69)70)71)72)73)74)75)76)77)78)79)80)81)82)83)84)85)86)87)88)89)90)

storia esperienza sobrietà musica naturalezza partecipazione saggezza sincerità lealtà condivisione arte serenità cordialità soddisfazione studio insegnamento scambio impegno serietà attenzione gradevolezza dinamicitàscuola cinema delicatezza allegriasperanza positività vitalità eleganza

91)92)93)94)95)96)97)98)99)

100)101)102)103)104)105)106)107)108)109)110)111)112)113)114)115)116)117)118)119)120)

educazione affinità paesaggio ambiente mare gioco armonia gratificazione benessere sorriso franchezza divertimento trasparenza coraggio iniziativa rispetto pensiero novità entusiasmo ricerca biologico ascolto teatro letteratura scienza consapevolezza spaghetti ricordi eticamontagna

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leggere camminare incontrarsi manifestare pizzastupirsi resistenza danza coscienzacomunità trasparenza aggregazione volontà verde unità utopia informazione semplicità gruppo fotografia curiosità memoria ironia immaginazione vivacità cioccolata progetti razionalità meraviglia creatività ic

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Nel cortile interno all’expo di CartaCarta sono stati affi ssi 44 manifesti (il video è nel nostro facebook), una carrellata di manifesti realizzati in quasi dieci anni per l’Università di Macerata. È venuto fuori, come era inevitabile, una sorta di album fotografi co, che, in fondo, non ci ha sorpresi troppo invecchiati, specialmente perché non ci sono state nostalgie (non ci piacciono proprio) nel conto degli anni e degli stili. Come abbiamo scritto nella cartolina dell’invito: La Storia ci insegna che certi muri crollano, la creatività ci insegna che alcuni muri vanno ricoperti con un po’ di fantasia. Speriamo di esserci riusciti. E di questi tempi è già tanto.

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I giornali che si leggono sull’iPad hanno video e google maps. I tempi corrono veloci, bastano due dita su un touch screen e si va che è una bellezza. Ci stiamo abituando. Google maps non esisteva ai tempi di Jorge Luis Borges, però il geniale visionario (anche se cieco) scrittore argentino usava la fantasia per zoomare lo spazio, quello nel quale era aperta una mappa stradale. Che, secondo Borges, per essere davvero una mappa perfetta avrebbe dovuto, dopo un ingrandimento non da poco, contenere se stessa aperta, sopra un tavolo, dentro una stanza. E quella stessa mappa contenere la stanza che contiene la mappa che contiene la stanza che contiene la mappa, e così di seguito, in una sequenza infi nita di contenitori. Uno specchio posto davanti ad un altro specchio crea un effetto di prolungamento all’infi nito.Ci fa penare alla famosa copertina di un doppio lp dei Pink Floyd, Ummagumma, del 1969. La foto mostra il gruppo in un giardino, la porta aperta, sulla parete della stanza una foto li ritrae nella posizione iniziale, con i personaggi che hanno cambiato però posto. Sulla foto appesa c’è ovviamente una foto appesa che ha una foto appesa, perdendoci nell’infi nito. Gli spazi sono sempre uguali, cambiano le posizioni dei personaggi. Un rifl esso modifi cabile. Fantasia allo stato puro.Ci viene in mente il fi losofo greco Zenone di Elea (489 a.C.), che con il suo primo paradosso enunciava: Le cose sono infi nite poiché tra la prima e la seconda ce n’è una terza e così via. Perdonateci la semplifi cazione.Nella realtà di ogni giorno, tutto assume una dimensione diversa: davanti ad uno specchio, che ne contiene un altro, anche se mi vedo all’infi nito mi pettino una sola volta. La realtà prevale. Questa spicciola considerazione serve per dire che anche i pixel hanno un loro ruolo sociale. Pensate alla televisione. Questa newsletter corre su impulsi radio, però la carta ci piace sempre, se poi è riciclata ancora meglio. Vorremmo anche umettare l’indice per sfogliare le pagine sull’iPad, ma resterebbero delle impronte. Pazienza.

iPenna e calamaio?

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Il direttore dice: «Una scelta diffi cile, ma avevamo bisogno di attirare più lettori». L’editore assicura: «Stamperemo tre copie per tenere viva la tradizione».

Per secoli i lettori hanno sfogliato le grandi e corpose pagine dello svedese “Post-och Inrikes Tidningar” (da tradurre più o meno come Giornale postale locale), nato nel 1645 per volere della regina Cristina.Dall’inizio del 2007, però, il quotidiano si è trasferito interamente online. Una decisione che ha suscitato lo scalpore di molti tra scrittori e lettori “affezionati” dell’inchiostro, che temono che anche altri antichi giornali possano fare la stessa fi ne.«Si tratta di una tendenza naturale», spiega il nuovo caporedattore del PoIT. «Internet andrà a dare un soffi o di modernità al giornale, che

Online il Post-och Inrikes Tidningar, il giornale più antico del mondo

fi no ad ora era disponibile solo per abbonamento». Tra le ultime tappe più importanti del giornale si ricordano il 1978, quando il quotidiano fu pubblicato in formato A4, e il 29 dicembre 2006, quando è uscita l’ultima edizione cartacea: 1500 copie di tiratura. I soli abbonati erano ormai le banche, i tribunali, gli avvocati, le amministrazioni locali e nazionali e le biblioteche. Il problema era quello di ridurre i costi e attirare più lettori, e così il Parlamento svedese ha optato per trasferire tutto online dall’inizio del 2007. Fino a dicembre il “Post-och Inrikes Tidningar” era proprietà dell’Accademia di Svezia, conosciuta in tutto il mondo perché assegna ogni anno i premi Nobel per la letteratura; con la svolta del quotidiano elettronico, invece, è passato tutto allo Scro (Swedish Companies Registration Offi ce), un’agenzia governativa.

(Tratto dall’articolo di Andrea Semeraro, repubblica.it febbraio 2007)

Sono già passati quattro anni da questa notizia. Il tempo corre veloce, basta un clic. Eppure, notizie di questo genere sembrano “di giornata” (quasi una terminologia ortofrutticola). È perché anche domani (un domani) ci diranno che quel giornale, quella casa editrice, quel teatro, quell’associazione culturale hanno chiuso le loro sedi, per ovvii motivi di cassa. Diventeranno, forse, una “nuvola” (cloud, quel posto nel quale archivieremo, prima o poi, i nostri pensieri). Importante, comunque, è avere sempre un link a disposizione.

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Chiude in India l’ultima fabbrica di macchine per scrivere.In Occidente, da almeno un decennio, sono considerate pezzi d’antiquariato e a usarle sono rimasti solo i nostalgici e gli eccentrici. Nei giorni scorsi ha chiuso i battenti in India la Godrej & Boyce, l’ultima azienda al mondo che produceva macchine per scrivere. Va defi nitivamente in pensione un’invenzione che ha dato grande lustro all’Italia (la prima macchina per scrivere fu ideata dal novarese Giuseppe Ravizza nel 1846 e una delle più celebri della storia, la mitica Lettera 22, fu realizzata dalla Olivetti a metà anni Cinquanta) e che ha radicalmente cambiato il modo di lavorare delle aziende nel XX secolo.In India il commercio di macchine per scrivere ha resistito fi no a pochi anni fa, ma il recente boom economico che ha investito il subcontinente asiatico e il relativo calo dei prezzi dei computer ne hanno sancito il defi nitivo tramonto. Nell’ultimo anno la Godrej & Boyce di Mumbai ha prodotto solo 800 esemplari, la maggior parte con tastiera araba per i Paesi islamici.

Un tasto dolente

Siamo molto lontani dai numeri raggiunti dalla stessa azienda nel corso dei decenni passati: i primi esemplari in India furono presentati negli anni Cinquanta e il primo ministro Jawaharlal Nehru descrisse la macchina per scrivere come «il simbolo della nuova indipendenza industriale dell’India». Negli anni Novanta la Godrej & Boyce vendeva sul mercato asiatico circa 50 mila esemplari. Poi è cominciato il veloce e inesorabile declino.Milind Dukle, direttore generale dell’azienda indiana racconta amaramente: fi no al 2009, producevamo 10-12 mila macchine ogni anno. Ma probabilmente i nostri clienti erano per lo più collezionisti. Chi ha bisogno oggi di una macchina per scrivere? Quando cominciammo questo business, la macchina per scrivere era uno status symbol».

(tratto da un articolo di Francesco Tortora - Corriere della Sera, 26 aprile 2011)