I videogiochi nel_contesto_educativo

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«Coloro che fanno distinzione fra intrattenimento e educazione forse

non sanno che l'educazione deve essere divertente e il divertimento

deve essere educativo».

M. McLuhan

Questa frase potrebbe essere utilizzata come riferimento di quei testi che

intendono parlare di edutainment. Con questo termine, fusione delle parole

educational (educativo) ed entertainment (divertimento), si fa riferimento

alla relazione tra didattica e ogni nuovo medium che intende porsi come

strumento educativo. La televisione inserisce da molti anni nei propri

palinsesti programmi dedicati principalmente al mondo dell’infanzia: non

semplici cartoni animati, ma trasmissioni nate con l’obiettivo di educare alla

manualità, all’uso dei colori, all’ascolto, alle operazioni basilari della scuola,

dalla numerazione all’alfabeto. In Italia, gli esempi più noti sono quelli de

L’albero azzurro, della Melevisione, di Art Attack (format importato dagli

Stati Uniti), del programma contenitore Trebisonda e dei tanti programmi del

pomeriggio di Rai Tre. Dall’estero arrivano invece dei programmi diversi,

impostati sull’assenza dell’uomo e sulla creazione di un mondo parallelo,

come i Teletubbies e i Fimbles, entrambi prodotti nel Regno Unito dalla BBC1.

Si può più o meno essere d’accordo con le diverse impostazioni di questi

programmi, ma quello che li unisce è una concezione dell’apprendimento non

                                                            1 BBC, British Broadcasting Corporation, è la più grande e autorevole società radiotelevisiva del Regno Unito con sede a Londra.

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basata sulla conoscenza di nozioni, quanto piuttosto sul gioco: è attraverso il

gioco, infatti, che al bambino è permesso di conoscere la realtà che lo

circonda, sperimentando nuove abilità, nuove modalità di relazione.

Con l’avvento delle tecnologie digitali, il discorso sull’edutainment si è

spostato dallo schermo della televisione al monitor del computer:

l’informatica in generale, e il videogioco più nello specifico, hanno aperto

ampissimi scenari e nuove possibilità di “apprendimento divertente”,

possibilità riscontrabili nelle caratteristiche stesse del medium,

dall’interattività, alla multimedialità, alla plurisensorialità al problem solving.

Infatti essi come internet e i software didattici richiedono una partecipazione

costantemente attiva, fatta di scambi stimolo-risposta, di scelte da dover

prendere, di gratificazione immediata o ritardata, di problemi la cui

risoluzione permette l’avanzamento nel gioco e nella conoscenza, mentre la

televisione è un media decisamente più passivo.

Internet offre ormai da tempo un ampio ventaglio di learning games, o

software didattici, pensati appositamente come accompagnamento dei classici

strumenti di insegnamento: programmi basati su specifiche fasce d’età, dai

tre-quattro anni alla preadolescenza, e a seconda dell’età provano a rendere in

versione ludica insegnamenti di italiano, matematica, geografia, logica,

inglese e molte altre discipline in grado di aiutare il bambino o il ragazzo nella

sua crescita cognitiva.

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Oltre alle grandi case editoriali che producono programmi a pagamento,

fruibili in CD-Rom, c’è poi la presenza di semplici professori di scuola che,

con passione e dedizione, creano e diffondono questi software in Rete.

Cercando nella versione italiana di Google, alle parole “Software didattici” i

primi tre risultati riguardano i siti Ivana.it1, Software Didattico Free2 e

Software didattico.it3.

Con l’esclusione di quest’ultimo, questi siti hanno come scopo quello di

mettere a disposizione un catalogo di giochi pensati appositamente per la

didattica sviluppati da docenti delle varie discipline che solitamente

effettuano un puntuale testing del loro software utilizzandolo in classe con i

propri alunni, verificandone l'efficacia, come si suol dire, sul campo. Si tratta

di software che, in un’ambientazione esplicitamente ludica (colori sgargianti,

animali parlanti, e quant’altro), propone i tipici esercizi di alfabetizzazione, di

principi matematici, di riconoscimento musicale, cromatico, oltre a esercizi di

associazione logica e quiz tematici, dalla geografia alla storia alle altre

discipline. È un’impostazione tutto sommato conservativa della didattica, in

cui strumenti, metodologie e pratiche comprovate vengono proposte

cambiando semplicemente l’approccio e la cornice.

Esistono poi, esclusivamente finora nel mondo dell’open source, molte

iniziative dedicate al settore educational. Ne sono un esempio le versioni

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EDU2 di alcune distribuzioni Linux, come Edubuntu5, Eduknoppix6,

Skolelinux7, Kdeedu8, pensate appositamente per associare attività ludiche e

istruzione, con particolare riferimento al mondo della scuola. Il sistema

operativo si mette insomma al servizio delle esigenze didattiche, offrendo un

pacchetto molto ricco di software didattici, e cercando di semplificare le

operazioni di configurazione del sistema e della rete3.

Il tema del Videogioco è un tema dibattuto nella letteratura critica e

scientifica più di quanto si possa pensare. Gli ambiti disciplinari che hanno

preso parte alla discussione sono la sociologia, la psicologia, le scienze

cognitive, le teorie delle comunicazioni di massa, la semiologia e perfino

l’estetica. Tali settori hanno inquadrato, talora con obiettività, talaltra con un

atteggiamento di parte (in positivo o in negativo), una tematica che non può

che essere multiforme, poiché il videogioco è un medium, un linguaggio e un

formato d’intrattenimento altamente composito.

L’atteggiamento di parte può essere interpretato come una tendenza alla

difesa o all’attacco di questa forma ludico-narrativa dovuta al fatto che il

videogioco, in quanto nuovo medium, ha generato una grandissima varietà di

reazioni rispetto ai diversi posizionamenti culturali e generazionali degli

osservatori. In effetti come molti contributi insistono a sottolineare4, fino a

                                                            2 EDU, è stato uno dei domini di primo livello originali creati nel gennaio del 1985. Attualmente il registro è tenuto dall'associazione non profit EDUCAUSE. 3 Fiorentino G., Il bambino nella rete. Dalla lavagna al computer, Marsilio, Venezia, 2002. 4 Bittanti M., Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del videogiocatore, Edizioni Unicopli, 2002.

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qualche anno fa la maggior parte delle riflessioni sul videogioco proveniva da

settori “altri” che studiavano questa nuova forma d’intrattenimento con

strumenti teorici ed empirici non sempre idonei, data l’assoluta novità del

videogame.

Solo di recente studiosi di preparazione multidisciplinare hanno preso in

mano quelli che oggi si suole chiamare games studies, affrancando lo studio

del tema dall’inadeguatezza e dall’avversione (anche ideologica) che aveva

caratterizzato gli analisti della generazione precedente. I games studies sono

diventati ultimamente “una disciplina autonoma di insegnamento e di ricerca,

il cui programma non è soggetto alle pretese tiranniche di una comunità

accademica accondiscendente, quando non apertamente ostile”5.

Si sono avute, pertanto, una varietà di opinioni teoriche sul tema videogame,

dovute in parte anche a una non ancora raggiunta teoria generale del

videogioco, che forse è una chimera irraggiungibile, dal momento che il

videogame non è un sistema conchiuso in sé ma un conglomerato composito

di componenti psicologiche, cognitive, pragmatiche, emotive, estetiche,

comunicative, quindi un universo molto sfaccettato che richiede, per la sua

completa analisi, l’apporto di molte discipline, oggi per l’appunto coacervate

nei nascenti games studies.

Un primissimo aspetto preliminare, per quanto possa sembrare scontato, è

relativo al termine con cui si designa questa forma espressiva. Il neologismo

                                                            5 Alinovi F., Nascita e Furori dei Videogiochi, Liocorno Editore, 2000.

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videogioco deriva dal fatto che questi giochi si svolgono dinnanzi a uno

schermo, a un video appunto: il giocatore ha gli occhi rivolti su un televisore o

su un monitor e interagisce con le azioni all’interno del mondo fittizio del

videogame mediante il joystick o altri strumenti di dialogo uomo/macchina.

Questo appellativo, però, ha provocato una riduzione della complessità insita

nel videogioco, così come per altre forme espressive una definizione erronea,

poi divenuta tradizione, ne ha sminuito la ricchezza: si pensi al fumetto, il cui

nome italiano lo dequalifica rispetto a tradizioni culturali che ne hanno colto

con maggiore attenzione gli aspetti strutturali, come la Francia, dove i fumetti

si chiamano bandes dessinées, “strisce disegnate”.

Oggi il videogioco viene da più parti indicato come una vera e propria

invenzione casuale, poiché la sua storia risale a esperimenti fra curiosità e

goliardia nei laboratori di ingegneria delle facoltà statunitensi negli anni

Cinquanta e poi in quelli di informatica6.

All’interno di questa singolare storia tecnologica emersero ben presto due

filosofie, quella del gioco cosiddetto arcade e quella del gioco domestico, cioè

una distinzione fra il videogioco progettato per le sale pubbliche e quello

destinato ai PC o ad appositi apparecchi per l’uso casalingo7. Quindi la

distinzione fondamentale che venne operata dal punto di vista hardware fu

tra un gioco da svolgersi in una sala apposita e un gioco da fruire fra le pareti

                                                            6 Bittanti M., Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del videogiocatore, Edizioni Unicopli, 2002. 7 Ibidem.

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di casa, con tutte le differenze situazionali del caso. Va ad ogni modo

segnalato che gli arcade differiscono dai giochi domestici perché nella quasi

totalità dei casi si riferiscono a partite contro il programma della macchina,

match accumulativi dove si sa già che sarà il computer a vincere e che per

essere giocate il più a lungo possibile necessitano di parecchie “sedute” di

gioco e dunque dell’inserimento di molte monete (insert coin).

La filosofia del gioco domestico è diversa perché il giocatore può giocare

quando e quanto vuole, e potrà arrivare a terminare la partita, che nel caso

dei giochi per la casa accentua la dimensione narrativa8. Come riferiscono

Carlà e Herz, fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta i videogiochi si diffusero

fra migliaia di programmatori e di appassionati tramite un network

internazionale grazie al quale ci si passava i codici generativi dei programmi,

che venivano modificati, migliorati, in parallelo con l’avanzare della

tecnologia hardware. È soprattutto grazie a questi hacker (termine che non

ha in origine nulla di negativo e che solo nella vulgata ha assunto l’errata

accezione di “pirata informatico”), oltre che ai primi pionieri della

programmazione e alle prime, piccole e artigianali software house, che i

videogiochi dalla loro fase aurorale si sono evoluti fino a raggiungere negli

anni alti livelli di sofisticazione9.

                                                            8 Herz, J.C., Il popolo del Joystick. Come i videogiochi hanno mangiato le nostre vite, Feltrinelli, Milano, 1998. 9 Carlà F., Space Invaders. La vera storia dei videogames, Castelvecchi, Roma, 1996.

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Bisogna considerare un altro fondamentale elemento del successo dei

videogiochi, l’interfaccia, cioè il collegamento materiale fra il videogioco e il

suo utente. Le interfacce di comando più note sono il già menzionato joypad,

l’antenato del joystick; il joystick, per l’appunto; il cross keypad (cioè i

comandi direzionali disposti a croce) e infine il 3D stick, cioè l’ormai noto

comando della PlayStation e di altri apparecchi simili, divenuto il nuovo

standard per tutti i giochi su console. Ciascuna di queste modalità di comando

ha dato vita a evoluzioni nell’uso manipolativo dei videogiochi e nella

relazione visuo-motoria fra occhio, cervello, mano e quindi della giocabilità,

tanto che “ci sono molte cose da imparare dai quadri di comando dei giochi,

che possiamo utilizzare nelle interfacce della vita quotidiana, come le

macchine bancomat e i sistemi di navigazione per le automobili”.10

Ma un altro elemento tecnologico la cui importanza è aumentata negli anni è

la cosiddetta “estensione” (un prolungamento del gioco), che ha attraversato

cinque fasi sia tecniche sia merceologiche: da un livello “zero” di sfruttamento

del concetto di estensione (i primi videogiochi) a una seconda fase, in cui fu

introdotto il “multilivello” (il gioco procede per stage successivi, sempre più

ardui); da una terza fase, molto recente, con l’introduzione dei cosiddetti

goodies (elementi di ricompensa virtuale come nuove modalità, opzioni,

immagini), a una quarta tappa in cui l’estensione è fornita dai data disk e

dalle “espansioni”, supporti esterni al gioco, che si acquistano a parte e

                                                            10 Ascione, C., Videogames. Elogio del tempo sprecato, Minimum fax, Roma, 1999. 

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contengono sezioni di software che consentono nuove potenzialità a un

medesimo gioco; e, infine, la quinta fase si contraddistingue per prodotti

particolari come transfer pack o lettori di card che fin dall’inizio sono previsti

nel piano commerciale relativo al dato gioco11.

Un altro aspetto preliminare di cui tenere conto per lo studio dei videogiochi è

quello generazionale. Infatti, come scrive Herz, autrice del più interessante

contributo sul tema delle generazioni di videogiocatori (seppure dal solo

punto di vista statunitense), “al giorno d’oggi, sono già due le generazioni di

ragazzini cresciute assieme a cinque generazioni di videogiochi. Non stiamo

parlando di un piccolo gruppo di persone. Non stiamo parlando di una

sottocultura”12.

Fra i vari aspetti dell’avvicendamento generazionale nel mondo dei

videogiochi non vi sono da considerare solo l’età dei giocatori e il grado

d’avanzamento di macchine e programmi, ma anche quello, da non

sottovalutare, delle occasioni di incontro e di gioco. Scrive Herz: “la sala

giochi degli anni Ottanta era uno dei pochi ritrovi davvero diversi nel regno

degli adolescenti. Si rivolgeva allo stesso modo ai liceali ben vestiti e a quelli

che la scuola l’avevano lasciata, ai secchioni e ai guerrieri della palestra […]

Ed essendo i videogiochi grandi equalizzatori, la sala giochi era più o meno

                                                            11 Bittanti M., Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del videogiocatore, Edizioni Unicopli, 2002. 12 Herz, J.C., Il popolo del Joystick. Come i videogiochi hanno mangiato le nostre vite, Feltrinelli, Milano, 1998.

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una meritocrazia”, laddove invece oggi “il popolo delle sale giochi è diventato

il popolo online”.

Una lettura molto suggestiva del videogioco è quella psicologica, secondo la

quale il gioco può essere interpretato attraverso diverse prospettive, infatti

anche il videogame come altri tipi di gioco può essere per il bambino “una

possibilità di trovare una soluzione ai problemi irrisolti del passato, di gestire

gli stress attuali e di sperimentare i diversi ruoli e forme d’interazione

sociale”13.

ASPETTI COGNITIVI DEI VIDEOGIOCHI

Un videogioco non è solo un passatempo ma è anche un linguaggio e dunque,

in definitiva, un approccio cognitivo. Emerge così un altro possibile

abbordaggio del tema videoludico, quello cognitivista, dal momento che molti

teorici del settore già in tempi non sospetti affermavano che determinati

linguaggi non sono semplicemente strumenti da applicare o usare bensì

mondi “immersivi”, nei quali l’utente si trova ad agire come se si trovasse in

un “ambiente fluido”14.

La tematica del rapporto fra bambini e videogiochi è emersa soprattutto in

ambito psicologico oltre che in quello specificamente pedagogico, e si è

sviluppata secondo tre teorie principali:

                                                            13 Bittanti M., Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del videogiocatore, Edizioni Unicopli, 2002. 14 Maragliano R., Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, 1996.

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• la general arousal theory, la quale suggerisce che i bambini provino

eccitazione per gli argomenti loro presentati e che incontrino il loro

gradimento e interesse;

• la social learning theory, secondo la quale anche il videogioco è una

forma di attività sociale attraverso cui è possibile l’apprendimento;

• la catarsis theory, secondo cui i bambini, vivendo determinati

sentimenti e situazioni nel gioco, ne vengono “purgati”15.

Il dibattito ha privilegiato un atteggiamento per lo più pessimista. Una delle

ragioni per le quali molti studiosi, per lo più di area psicologica e pedagogica,

hanno indicato i videogiochi come fattori negativi dello sviluppo psico-

cognitivo, sociale ed emotivo dei bambini e dei ragazzi è, forse

inconsapevolmente, di natura ideologica e basata su una implicita

contrapposizione fra buona parte della classe intellettuale a cui appartengono

in genere gli analisti di area psico-pedagogica, allevati da una cultura

alfabetica e scolastica (e quindi il più delle volte, oggi, «anacronistica»),

rispetto alle nuove generazioni, cresciute in un mondo multimediatizzato, e

che hanno ricevuto l’attributo di «media enthusiasts»16.

Per quanto riguarda il linguaggio videoludico ha grammatiche e sintassi tutte

sue. Coordinare fin dalla più tenera età mani, dita, occhi, tempi e obiettivi

strategici rispetto a uno scopo ha per i bambini e i ragazzi notevoli

                                                            15 Ibidem. 16 Maragliano R., Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, 1996.

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conseguenze sulle capacità visuomotorie. Uno studio ormai classico sui mass

media nella loro relazione con i bambini si interessa anche di videogiochi e

presenta al riguardo numerosi spunti interessanti. Greenfield chiama in causa

molti autori di area pedagogica e psicologica come Howard Gardner il quale,

nel 1983, già indicava il videogioco come «il connubio della televisione e del

computer». Vari studi del resto confermano l’ipotesi fondante secondo la

quale i bambini sono più attratti dal linguaggio delle immagini in movimento

rispetto alle figure statiche o, peggio, al testo alfabetico e si sono dedicati alle

differenti concezioni dello spazio fisico investite dal muovere i personaggi dei

videogiochi in spazi simulati, che essi siano bidimensionali o

tridimensionali17.

Nel periodo aurorale degli studi di settore pressoché tutta l’attenzione degli

studiosi si era concentrata sulle capacità sensomotorie degli utenti, senza

considerare i processi mentali, anzi escludendone la possibilità. Greenfield

abborda questo problema in modo molto diretto e “aggressivo” nei confronti

di chi critica i videogiochi senza conoscerli a fondo: «primo, le capacità

sensomotorie che implicano la coordinazione occhio-mano sono importanti in

sé stesse […]. Secondo, si è riscontrato che nei videogiochi le capacità richieste

vanno molto al di là della coordinazione occhio-mano: […] molti di coloro che

li criticano non sono in grado di giocarci e […] i problemi che incontrerebbero

                                                            17 Greenfield, Patricia M., Mente e Media. Gli effetti della televisione, dei computer e dei videogiochi sui bambini (1984), Armando, Roma, 1995.

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andrebbero molto al di là della semplice coordinazione»18. Nell’analisi

particolareggiata di un gioco molto famoso negli anni Ottanta, Pac-Man,

Greenfield porta annotazioni di grande interesse: «Pac-Man è più simile alla

vita che agli scacchi: il giocatore non solo deve superare gli ostacoli, ma deve

anche venire a capo di un compito induttivo che consiste nel calcolarne la

natura»19.

L’osservazione più importante di Greenfield però riguarda il «pensiero in

parallelo»20, contrapposto al «pensiero seriale». Quest’ultimo coinvolge i

lettori mediante processi di ragionamento lineare, il primo invece è «la

possibilità di assumere informazioni simultaneamente da più fonti», come

accade a chi, specialmente se fin da piccolo, si trova in un mondo popolato dai

linguaggi dell’audiovisione, dell’informatica e dei mass media; se ne conclude

che coloro i quali, come i bambini di oggi, crescono a contatto con la TV e il

computer, vengono favoriti nello sviluppo di procedimenti di acquisizione

dell’informazione «in parallelo». E questo porta, a sua volta, allo sviluppo di

capacità come la flessibilità e l’autonomia nel raggiungere dei risultati.

Questa importanza delle capacità cognitive del giocatore si estende anche alle

competenze di tipo “manipolativo”, nel caso in cui – come avviene spesso nei

videogiochi attuali ma come avveniva già in vari videogame degli anni

Ottanta – sia compito del videogiocatore “costruire” un percorso, oggetti, la

                                                            18 Ibidem. 19 Ibidem. 20 Ibidem.

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personalità e i “poteri” di un personaggio o di un veicolo. Alcune ricerche

hanno ben rimarcato l’importanza di tale fattore. Non solo: altra caratteristica

dei videogiochi, correlata alle precedenti, è che in genere i giocatori, una volta

esaurite le possibilità di un dato gioco, risolta la partita o portata a termine la

storia, non sempre trovano emozioni inedite da quel gioco, un po’ come

accade per altre forme d’intrattenimento. Rivisitare il gioco sarà possibile, ma

la novità è esaurita, perché le combinazioni manipolatorie, le sequenze di

gioco ritorneranno simili a quelle già provate, seppure mai uguali. S’è dunque

dimostrato, in tal modo, che i bambini cercano le novità e situazioni che li

mettano alla prova: tutto il contrario di un atteggiamento passivo. Il tema

della giocabilità/rigiocabilità dei videogame peraltro è riemerso di recente

nell’ambito degli studi sulla narratività.

Il fatto che la “narratività” dei videogiochi si basi sulla visualità, sulla

auditività e sulla corporeità, in una parola sulla sensorialità – ciò che avviene,

in forme peculiari, anche in altre forme narrative come il fumetto21 – fa sì che

le modalità di ragionamento dei videogiocatori e in generale delle nuove

generazioni (videogiochi o no) siano meno “lineari” rispetto a quelle di chi è

cresciuto in un’epoca senza TV e soprattutto senza media interattivi22.

Un altro importante aspetto è l’interattività. «L’America adora gli schermi

televisivi, e i videogiochi domestici [ci] hanno dato una maniera per allargare

                                                            21 Bittanti M., Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del videogiocatore, Edizioni Unicopli, 2002. 22 Maragliano R., Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, 1996.

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il nostro rapporto con loro. I videogame da casa hanno dato alla gente la

possibilità di manipolare l’azione sullo schermo, cosa che li ha resi la prima

forma di televisione interattiva»23. Si parla molto di questo elemento tipico

dei nuovi media, in particolare del computer, dell’internet e per l’appunto del

videogioco. Il tema dell’interattività è il punto fondamentale dell’analisi di

Greenfield: «è molto probabile che, prima dell’avvento dei videogiochi, una

generazione istruita ed educata con il cinema e con la televisione non si

sentisse a suo agio: infatti al mezzo di espressione più attivo, la scrittura,

mancava il dinamismo visivo; la televisione sfruttava il dinamismo, ma su di

essa lo spettatore non aveva possibilità di intervento. I videogiochi sono

quindi il primo mezzo che assomma dinamismo visivo e ruolo partecipativo

attivo del bambino»24. Greenfield e molti ricercatori statunitensi (e non)

hanno dedicato attenzione per lo più al rapporto fra i videogiochi e il mondo

infantile, ma a parte questa limitazione metodologica, che peraltro è

giustificata dalla problematicità dell’età infantile dal punto di vista

dell’apprendimento e della formazione della personalità, i risultati degli studi

americani e in generale anglosassoni tendono a dimostrare l’influenza del

videogioco nei processi di sviluppo dei giovani utenti: tanto che appare certo

oltre ogni ragionevole dubbio che il principale motivo della preferenza dei

                                                            23 Herz J.C., Il popolo del Joystick. Come i videogiochi hanno mangiato le nostre vite, Feltrinelli, Milano, 1998. 24 Greenfield, Patricia M., Mente e Media. Gli effetti della televisione, dei computer e dei videogiochi sui bambini (1984), Armando, Roma, 1995.

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bambini per i videogiochi rispetto alla televisione sia il controllo che è

possibile esercitare sulla storia e sui personaggi.

L’attenzione si può spostare su due elementi di grande utilità per la

comprensione approfondita delle strutture linguistiche del videogioco. Il

primo consiste nella non indispensabilità del sonoro. Certamente suoni,

rumori e musica sono d’aiuto per una più completa immersione nell’ambiente

ricreato dal videogioco, ma predomina una pressoché totale visualità del

videogame e il suo riferirsi a un universo e a linguaggi per lo più iconici e

cinematici. Il secondo elemento riguarda la fusione fra la pratica imitativa e

quella simulativa presenti nel videogioco: il videogame imita porzioni di

realtà a un livello di approssimazione più o meno accurato (o simbolizzato), e

simula meccaniche del reale; ma, ancora più interessante, spesso il videogioco

“simula una simulazione”, come nel caso dei giochi sportivi. In essi si

simulano il punto di vista di uno spettatore televisivo che assista a un incontro

(di calcio o di tennis ecc.) e, anche se il giocatore di fatto gioca partecipando

all’azione e determinandone il successo o il fallimento, lo fa come se si

trovasse a guardare un match in televisione. Quindi appare chiaro in tal senso

che le grammatiche e le sintassi del videogioco, nella maggior parte dei casi,

afferiscono a un immaginario televisivo oltre che cinematografico25.

Sotto l’aspetto pedagogico i contributi si concentrano sui vari aspetti cognitivi,

psicologici e linguistici del videogioco con grande apertura alla discussione e                                                             25 Bittanti M., Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del videogiocatore, Edizioni Unicopli, 2002. 

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attraverso la presentazione di un po’ tutti gli aspetti fondanti del videogiocare

in relazione agli utenti di età infantile e preadolescenziale. Vi si introduce una

terminologia, peraltro, molto indicativa dei processi mentali che gli utenti dei

videogame attraversano nel videogiocare: “analfabetismo” per designare

l’assenza o quasi di elementi alfabetici all’interno del cosmo videoludico,

segnato com’è, questo, dai codici iconici, e “dentrismo”, per indicare, con

licenza parlando, l’uso in situazione del videogioco da parte del bambino, che

ne attua un’esperienza empirica e non teorica, senza particolari sovrastrutture

di pensiero26.

IL VIDEOGIOCO COME STRUMENTO DI FORMAZIONE

Sono molti i contributi, sia divulgativi sia accademici, che hanno incentrato la

loro attenzione sul rapporto fra i videogiochi e il mondo dell’infanzia e

dell’adolescenza. Molti meno però sono gli interventi che hanno posto

l’accento sul rapporto fra la scuola, in quanto istituzione, e i videogame. V’è

dunque il bisogno, da parte degli adulti, di comprendere che i computer e i

programmi a essi associati sono fra i tramiti per la comprensione da parte

degli studenti e dei giovanissimi in generale del loro mondo e di quello

circostante.

Se è oggi evidente che i videogiochi sono per molti ragazzi un’occasione unica

per accostarsi al computer e continuano a costituire il canale privilegiato di

                                                            26 Maragliano R., Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, 1996.  

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accesso alla cultura informatica, in particolare per quegli aspetti che non

transitano ufficialmente attraverso l’istituzione scolastica, è vero anche, come

afferma Tanoni, che la scuola deve mobilitarsi in modo sì avveduto e

prudente, ma rapidamente, per incorporare il linguaggio dei videogiochi nelle

sue aule. Tanoni indica la formula “play to learn, learn to play” come base

per un apprendimento moderno, basato sugli stimoli motivazionali, che in

questo caso deriverebbero dall’uso gioioso delle sintassi del videogioco a

scuola; senza trasformare la classe in una sala giochi, naturalmente, ma con

l’intento di integrare le formule canoniche d’insegnamento e apprendimento

con i nuovi linguaggi.

Un nuovo tipo, multimediale e interattivo, di edutainment, che però si scontra

con le resistenze ideologiche dei detrattori, alcuni dei quali si muovono

ancora sull’antico solco tracciato a suo tempo dallo storico pedagogista Rudolf

Steiner (1861-1925).

Va ad ogni modo rimarcato come la scarsa conoscenza, da parte di molti

pedagogisti italiani, su quanto è stato prodotto altrove nel settore delle

ricerche teoriche ed empiriche sul rapporto possibile fra scuola, informatica e

edutainment, produca spesso ripetizioni di scoperte già acquisite27.

È indubbio che l’inserimento indiscriminato dei computer nelle aule

scolastiche, specie in quelle dei bambini più piccoli, possa risultare esasperato

e inadatto a un organico sviluppo cognitivo; il problema è allora la buona

                                                            27 Tanoni I., Videogiocando s’impara, Feltrinelli, Milano, 2003.

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20  

gestione dei computer da parte delle scuole e degli insegnanti. Tuttavia si

evita spesso di fare notare i difetti di competenza del mondo educativo e della

classe docente, a parte alcune ben documentate eccezioni28.

Invece è importante rivendicare l’importanza del digitale, e con esso anche dei

videogiochi, per la costruzione di un nuovo modello di didattica moderna, in

cui l’insegnante non sia una figura autoritaria e depositaria di tutti i saperi ma

un “regista” delle competenze che gli studenti devono acquisire e delle

conoscenze con cui devono confrontarsi. In Italia v’è chi ha rilanciato idee di

questo tenore nei confronti del computer e del videogioco individuando le

carenze del sistema scolastico e indicando nel concetto di “simulazione” una

delle chiavi di un nuovo modo di fare scuola, anche tenendo conto di quanto

scritto nel passato da autori stranieri29.

Quello che però, in ultima analisi, si può notare nel rapporto fra scuola e

videogioco, nei contributi di chi vi si è dedicato, è che si fa ancora una qual

certa confusione tra i software in generale e i videogiochi in particolare. Si

mettono cioè nello stesso calderone di un generico multimediale sia i

programmi di infotainment ed edutainment sia il mondo dei videogiochi veri

e propri30. In tal modo si corre il rischio di ridurre le potenzialità linguistiche

e la natura narrativa del videogioco a uno strumento di didattica canonizzata

alle modalità tipiche della scuola, inficiando le doti del videogioco e di altri

                                                            28 Maragliano R., Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, 1996. 29 Antinucci F., Computer per un figlio. Giocare, apprendere e creare, Laterza, Roma-Bari, 1999. 30 Tanoni I., Videogiocando s’impara, Feltrinelli, Milano, 2003.

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21  

linguaggi come il fumetto o il cinema d’animazione i quali, già similmente in

fase d’introduzione nella scuola, stanno rischiando di perdere il fascino di cui

godevano prima che venissero inseriti nel mondo educativo, depauperati

anche di quella legittima carica eversiva che li caratterizza normalmente31. Vi

sono comunque vari, ottimi tentativi di ammodernare l’apprendimento

secondo le modalità videoludiche: si tratta di prodotti e/o percorsi di

ragionamento che a volte raggiungono buoni risultati32.

Non fa invece alcuna confusione il citato Antinucci, il quale in un suo recente

contributo distingue fra l’apprendimento “simbolico-ricostruttivo” tipico del

mondo scolastico e del sapere classico, e un altro modo di apprendere, «che

non avviene né attraverso l’interpretazione di testi, né attraverso la

ricostruzione mentale. Avviene invece attraverso la percezione e l’azione

motoria sulla realtà […]. Questo apprendimento si chiama “percettivo-

motorio”»33. La differenza fra l’apprendimento astratto e quello esperienziale

è dunque, come Antinucci fa notare, lo stesso fra cultura libresca e cultura del

multimediale e, in generale, cultura dell’esperienza diretta, dove non c’è

differenza né ontologica né cronologica fra teoria ed esercizio pratico. Ma

Antinucci va ancora più in là annotando che l’esperienza percettivo-motoria è

di gran lunga quella preferita dagli esseri umani perché è nata,

biologicamente parlando, molto prima dell’apprendimento simbolico-

                                                            31 Bittanti M., Per una cultura dei videogames. Teoria e prassi del videogiocatore, Edizioni Unicopli, 2002. 32 Maragliano R., Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, 1996. 33 Antinucci F., Computer per un figlio. Giocare, apprendere e creare, Laterza, Roma-Bari, 1999.

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22  

ricostruttivo. E la forma principale di esperienza percettivo-motoria è il gioco.

Antinucci indica il videogioco come l’espediente che può rendere valida e

funzionante l’esperienza percettivo-motoria anche per situazioni che nella

realtà non potrebbero mai essere affrontate, e fulcro del suo discorso è

dunque la capacità simulativa portata dai videogiochi. La conclusione è una

domanda volutamente provocatoria, «la sfida è una sola: saremo capaci di

portare i videogiochi nella scuola?»34 .

IL RUOLO DEL VIDEOGIOCO

Ciò che è possibile fare con gli strumenti presenti in rete è comunque solo una

parte, meno importante dal punto di vista dell’impatto, del discorso globale

sull’edutainment. A stimolare iniziative e nuove prospettive d’insegnamento

sono senza dubbio i videogiochi, e non soltanto quelli pensati appositamente

per una finalità didattica. Quello che è interessante e ricco di potenzialità in

quest’utilizzo particolare del nuovo medium non è il suo piegamento a fini

didattici (pure di notevole interesse), quanto l’emergere di capacità

intellettive e di atteggiamenti mentali indotti da quest’uso.

Va detto, infatti, che nei confronti del videogioco (ma il discorso si potrebbe

tranquillamente allargare al gioco in generale) resiste ancora una sostanziale

pregiudizialità, rafforzata da un certo snobismo intellettuale e da una

concezione della cultura come qualcosa di disgiunto, di più importante della

                                                            34Antinucci F., Computer per un figlio. Giocare, apprendere e creare, Laterza, Roma-Bari, 1999.

Page 23: I videogiochi nel_contesto_educativo

23  

massa, per non parlare dei preconcetti nei confronti delle nuove tecnologie,

dell’innovazione tecnologica.

Tuttavia, il discorso da fare oggi intorno ai videogiochi ha assunto una

complessità tale da non permetterne trattazioni superficiali o al contrario

onnicomprensive. Il video-gioco è un medium dalle molte sfaccettature, che

ha ormai raggiunto la sua maturità, e con implicazioni che toccano

praticamente ogni campo, da quello sociologico a quello economico, da quello

antropologico a quello esistenziale.

Per parlarne, non si sente più neanche la necessità di un cappello statistico,

stracolmo di dati, quasi a giustificare la validità e l’opportunità delle proprie

riflessioni: sì, è ormai dal 2000 che l’industria videoludica ha un fatturato

complessivo superiore a quello di Hollywood; sì, l’età media dei videogiocatori

è più alta di quanto si pensi, così come non è vero che sono solo i maschietti a

giocare. Tutto vero; ma oltre e forse più di questo il videogioco possiede delle

qualità mediologiche che influiscono o potrebbero influire – come del resto

ogni altro medium dominante – sugli altri media e sull’individuo, sul suo

rapporto col mondo che lo circonda, sul suo modo di apprendere, sulla

percezione della propria morte.

La sua centralità nella cultura della simulazione, centralità che condivide con

Internet fino a quasi a confondersi, è dimostrata innanzitutto dall’influenza

che esso riesce ad esercitare sugli altri media, plasmandone alcune

peculiarità, e obbligandoli ad una generale riconfigurazione per poter restare

Page 24: I videogiochi nel_contesto_educativo

24  

in vita: la televisione, il cinema, il fumetto, la letteratura, sono costretti – chi

più chi meno – a fare i conti con la presenza del videogioco, usando strategie

che a volte puntano alla fusione, altre volte alla resistenza.

Gli ultimi film d’azione americani, ad esempio, mostrano una evidente

ascendenza videoludica, non tanto o non soltanto nei temi o negli effetti visivi,

quanto nella costruzione della trama, nella concatenazione spesso analogica

delle scene35: si pensi alla trilogia di Matrix, a La tigre e il dragone a Kill Bill

vol. 1.

Le più recenti produzioni di cartoons giapponesi sono accomunate dalle

medesime caratteristiche: una serie continua di combattimenti unita ad una

evoluzione del personaggio, sia dal punto di vista psicologico che fisico

(Dragonball).

In alcuni casi, a questo si aggiunge anche il fatto che gli scontri si basano sì su

personaggi umani - dei ragazzini -, ma che si fronteggiano per mezzo di veri e

propri media, esattamente come se si stesse giocando a un videogioco: gli

esserini zoomorfi nel caso dei Pokémon e le carte nel caso di Yu-Gi-Ho.

La televisione, già messa in discussione dalla presenza di Internet, ha

ulteriormente modificato la forma dei propri programmi proprio in

prospettiva videoludica, come per i reality show, i quali, oltre alla dimensione

interattiva con il pubblico da casa, hanno un format strutturato come una

                                                            35 Non c’è un rapporto logico-casuale tra una scena e l’altra, e l’avanzamento della trama avviene per salti alogici, come nella gran parte dei videogiochi in cui il passaggio al quadro successivo avviene non per logica narrativa ma per la morte di un avversario o per il ritrovamento di una “chiave”, di un “indizio”. 

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25  

serie di competizioni, mano a mano più difficili, e con regole che si

apprendono giocando. Anche i romanzi mostrano i primi segni di

contaminazione, e non soltanto nella letteratura di genere fantasy o

fantascientifico, sebbene la resistenza di questo medium alfabetico e

gutenberghiano sia ancora piuttosto alta e stia forse proprio in questa

refrattarietà la sua forza.

Videogiochi e media, ma anche videogiochi e percezione: la logica del save

game, per cui alla morte del personaggio si può riprendere dal punto in cui si

è salvato e non necessariamente dall’inizio, implica notevoli conseguenze

sull’approccio psicologico del giocatore. Come è successo per ogni forma

estetica al suo ingresso nel panorama mentale dell’uomo, si sono costituite

schiere di sostenitori e di detrattori del nuovo medium, di apocalittici e di

integrati36.

C’è chi legge in questa opportunità di ripetizione uno stimolo alla crescita, alla

capacità di controllare e gestire autonomamente il sé, proprio in virtù della

ripetizione continua dell’esperienza senza insoddisfazioni per il giocatore, e

chi invece sostiene il contrario o quantomeno mette in risalto i seri rischi etici

e comportamentali che potrebbero derivare da una partecipazione troppo

immersa a questa logica di ripetizione37.

                                                            36 Abruzzese A., Lo splendore della tv. Origini e destino del linguaggio audiovisivo, Costa e Nolan, Genova, 1999. 37 Pecchinenda G., Simulare il sé. Giochi elettronici e identità, Laterza, Bari, 1999.

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26  

Allo stesso modo, questa reiteratività della morte nel gioco, questa sua

spersonalizzazione e dislocazione può, a lungo andare, incidere anche al di

fuori dell’ambiente virtuale, andando a contribuire ad una sua già diffusa

estraneità dalla vita psichica dell’uomo contemporaneo, retaggio di una

evoluzione sociale e culturale sempre più distante dalle sue origini mortuarie.

Si tratta di un aspetto centrale nell’analisi del medium video-ludico, già

affrontato altrove, che lo investe di un valore antropologico più ampio di

quanto solitamente si tende a pensare: è necessario abbandonare i limiti

disciplinari che confinano il videogioco all’ambito tecnologico, artistico, o che

lo riducono a semplice fenomeno di costume; così come bisogna superare la

classica datazione che lo fa risalire ai primi anni ’70 del XX secolo, o al

massimo a qualche decennio addietro. Il riflettere su di esso implica una

riflessione sul concetto di morte, intesa sia come limite invalicabile

dell’esperienza, sia come luogo del non visibile e del metafisico, soglia di

accesso ad altre dimensioni.

La serietà di tali argomentazioni non evita ovviamente il lato ludico del

medium, che comunque risulta preponderante, sia nell’esperienza diretta che

nella motivazione all’approccio. Ed è proprio questa “ludicità” che caratterizza

l’applicazione del videogioco al contesto educativo.

La cultura è intimamente connessa all’attività ludica, sin nelle sue pieghe più

recondite, e anche le prime forme di attività culturali come la religione e l’arte

sono da ricondurre al gioco. Il gioco «oltrepassa i limiti dell’attività

Page 27: I videogiochi nel_contesto_educativo

27  

puramente biologica: è una funzione che contiene un senso. Al gioco partecipa

qualcosa che oltrepassa l’immediato istinto a mantenere la vita, e che mette

un senso nell’azione del giocare. Ogni gioco significa qualche cosa»38.

Approfondendo in senso strutturalista le intuizioni dello studioso olandese,

Roger Caillois ha rintracciato nella storia umana quattro grandi forme di

gioco:

• Agon, ovvero la competizione, in cui ciascun giocatore ha le stesse

probabilità di vincere;

• Alea, l’azzardo, in cui a decidere il vincitore è il caso;

• Mimicry, che indica il travestimento, l’accettazione momentanea di

una dimensione altra rispetto alla realtà e l’abbandono della propria

personalità;

• Ilinx, vale a dire la vertigine, il «tentativo di distruggere per un attimo

la stabilità della percezione e a far subire alla coscienza, lucida, una

sorta di voluttuoso panico39.

Il videogioco riesce a sussumere ogni modalità di gioco, ogni tipo di

partecipazione ludica, rappresentando una forma evoluta e niente affatto

limitante o banalizzante del gioco in generale: quasi in ogni titolo si può

rintracciare una simultaneità di sfida, fortuna e vertigine che si fondono e si

                                                            38 Pecchinenda G., Simulare il sé. Giochi elettronici e identità, Laterza, Bari, 1999. 39 Barone F., Prencipe D., Pedagogia e didattica del gioco, Interculturali Uno, 2010.

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28  

avvicendano in una realtà virtuale, di fronte alla quale si sospende più o meno

volontariamente la propria incredulità.

A dispetto di quanto comunemente si pensa, giocare a un videogioco non

sempre (ma verrebbe da dire quasi mai) è un’operazione intellettuale fondata

sulla semplicità e sul disimpegno, in realtà essi sono essi sono astutamente,

talvolta esasperatamente, difficili.

Il videogiocatore è sottoposto a difficoltà spesso stressanti, portatori di

nervosismo, che ad ogni modo non precludono la volontà di gioco. Giocare

predispone all’apprendimento, e l’essere preparati all’apprendere è già di per

sé un esercizio mentale.

Il senso del gioco non è ovviamente da prendere nel suo aspetto letterale:

esercitarsi nell’amministrazione di una città non spinge ovviamente a fare il

sindaco, così come il calarsi in un’atmosfera medievaleggiante non fa di noi

un guerriero o un saggio. Quel che bisogna rilevare nell’esercizio vide-oludico

è il lato che potremmo definire metaforico, che va cioè oltre quel che si vede

sullo schermo del computer. La simulazione dell’amministrazione di una

città, ad esempio, introduce chi gioca in un coacervo di dinamiche gestionali e

manageriali, che difficilmente si potrebbero esperire altrimenti. Per poter

proseguire nel gioco è necessario comprendere determinate urgenze, specifici

meccanismi e fare delle scelte opportune, non casuali: ad un’azione

corrispondono reazioni e conseguenze precise, che bisogna essere in grado di

prevedere o quantomeno di gestire.

Page 29: I videogiochi nel_contesto_educativo

29  

Ciò che conta non è a cosa stiamo pensando quando giochiamo, ma il modo in

cui pensiamo. La distinzione non riguarda solo i videogiochi, naturalmente.

Ecco cosa scrive John Dewey, nel suo libro Il mio credo pedagogico: “Forse il

maggiore degli errori pedagogici è il credere che un individuo impari soltanto

quel dato particolare che studia in quel momento. L’apprendimento

collaterale, la formazione di attitudini durature o di repulsioni, può essere e

spesso è molto più importante. Codeste attitudini sono difatti quel che conta

veramente nel futuro”.

Molto più dei libri, dei film o della musica, i videogame obbligano a prendere

decisioni. I romanzi possono stimolare la fantasia e la musica può evocare

forti emozioni, ma i videogame obbligano a decidere, scegliere, assegnare

priorità. Tutti i benefici intellettuali dei videogiochi derivano da questa virtù

fondamentale, perché imparare come pensare significa in definitiva imparare

a prendere le giuste decisioni: valutare prove, analizzare situazioni, consultare

gli obiettivi a lungo termini, e poi decidere.

Nessun’altra forma di cultura popolare impegna direttamente l’apparato

decisionale del cervello allo stesso modo.

Dall’esterno, l’attività primaria di un giocatore sembra una furia di clic e

spari, il che spiega perché il giudizio comune sui videogame insiste sulla

coordinazione oculo-manuale. Ma se si osserva attentamente l’interno della

mente del giocatore, l’attività primaria si rivela essere totalmente di altra

natura: prendere decisioni, alcune della quali fanno scattare giudizi, altre

Page 30: I videogiochi nel_contesto_educativo

30  

strategie a lungo termine. Tali decisioni sono esse stesse basate su due

modalità di lavoro intellettuale che sono la chiave dell’apprendimento

collaterale derivato dai videogiochi. Io le chiamo “capacità d’indagine” e

“capacità di creare legami telescopici”, o telescoping40.

Non ci si riferisce al cosiddetto multitasking, ovvero alla capacità di fare più

cose allo stesso tempo e di gestire con facilità questa molteplicità di azioni e di

obiettivi: il telescoping riguarda la percezione delle relazioni tra le azioni da

compiere, la capacità di stabilire priorità e di determinare il giusto ordine in

cui effettuare delle azioni, in cui fare delle scelte. Ad essere stimolata è la

propria predisposizione al problem solving, alla visione d’insieme.

Il videogioco non può certo essere la risposta ai problemi della scuola italiana.

Un uso più critico e maturo degli strumenti offerti dalla tecnologia attuale

potrebbe tuttavia rinvigorire la voglia di educare, di preparare al mondo, e –

dal lato studente – di apprendere e di venire in classe più volentieri. Senza

troppe ipocrisie: il “tempo della scuola” è sempre stato separato da quello

“della vita”. Probabilmente lo sarà sempre. Eppure, affiancare (e non

sostituire) a ciò che c’è ora nuove metodologie, nuovi approcci, nuove

tecnologie non potrebbe che avere degli effetti positivi. La configurazione

attuale della società, per una parte immersa nei suoi flussi e per il resto

tenacemente ancorata ai suoi luoghi, richiede con sempre maggiore urgenza

una “cognizione” chiara e matura del mondo che ci circonda, e il mondo che ci

                                                            40 Tanoni I., Videogiocando s’impara, Feltrinelli, Milano, 2003.

Page 31: I videogiochi nel_contesto_educativo

31  

circonda è sempre di più plasmato sulla una massiccia presenza mediatica,

informazionale, per sua natura globalizzante. Le nuove tecnologie vanno

conosciute, in modo da poterle sfruttare senza esserne sfruttati; e l’unico

modo per conoscerle è usarle.

Usare i videogiochi durante le ore di lezione contribuirebbe a questa presa di

coscienza, senza fare l’errore grossolano di voler fare tabula rasa del passato e

di votarsi ciecamente al futuro. Anzi, proprio l’utilizzo del videogioco richiede

un forte contrappeso mediologico: l’immersività indotta dai mondi virtuali, la

visione strategica e la capacità al problem solving, il telescoping, sono tutte

qualità che ne inibiscono delle altre. La capacità di astrazione, di analisi

approfondita, di concentrazione, non può che essere esclusa dall’esperienza

virtuale. È necessario dunque un approccio ecologico ai media e alla

tecnologia, soprattutto in campo educativo, così delicato e difficile, e questo è

possibile solo integrando più tipologie di linguaggi e facilitando situazioni di

“contrappeso formativo” che possano servire a compensare i limiti impliciti

nella dimensione virtuale dell’insegnamento-apprendimento (scarsa aderenza

alla realtà, isolamento fruitivi, standardizzazione, superficialità, ecc.).

Riprendendo il vecchio adagio per cui prima viene il dovere e poi il piacere,

l’edutainment ci suggerisce che forse i due termini possono essere invertiti,

Page 32: I videogiochi nel_contesto_educativo

32  

ma senza dimenticare che entrambi devono essere rispettati: prima il piacere,

ma poi il dovere41.

PRINCIPI DIDATTICI

I videogiochi hanno reali proprietà didattiche, ma sono spesso orientati ad un

utilizzo commerciale che sottovaluta le loro potenzialità educative. Gli

sviluppatori dei videogiochi hanno costruito ormai efficienti macchine

didattiche che sfruttano pienamente le potenzialità espressive del medium

digitale. Il loro scopo è di mantenere viva la motivazione degli utenti e

sostenere i processi di auto-apprendimento necessari per imparare a giocare,

ma in una prospettiva pedagogica queste tecnologie potrebbero avere

applicazioni più complesse.

I training level sono i momenti dove i modelli e le teorie didattiche utilizzate

dagli sviluppatori di videogiochi assumono particolare evidenza.

James Paul Gee, attraverso lo studio comparato di diversi giochi, individua

fino a 36 principi didattici abitualmente utilizzati dai progettisti industriali.

In alcuni casi questi principi anticipano innovazioni che potrebbero arricchire

le attuali prassi di insegnamento.

Le fasi iniziali dei giochi sono generalmente disegnate per contenere tutte le

risposte necessarie per avviare la partita in un contesto già ludico, facilitando

                                                            41 Tanoni I., Videogiocando s’impara, Feltrinelli, Milano, 2003. 

Page 33: I videogiochi nel_contesto_educativo

33  

l’utente nell’apprendimento di procedure e tecniche che sarebbero altrimenti

complesse e difficili.

Nei training level dei videogiochi si apprendono le regole e gli obiettivi del

gioco senza dover ricorrere a lunghe sessioni di studio sui manuali. Appena lo

schermo si accende, i designer presentano un gioco disseminato di indizi,

tracce, soluzioni affinché il giocatore possa risolvere autonomamente ogni

ostacolo. Un problema sconosciuto nei videogame è sempre presentato in una

forma nuova, ma chiaramente individuabile, riconducibile ad un compito già

risolto. Il giocatore e sollecitato a percorrere soluzioni creative ed originali,

ma in un contesto preordinato e controllabile. Le difficoltà in un compito sono

organizzate in forma scalare, eventualmente con l’aiuto di una voce fuori

campo che offre alcune indicazioni di base o attraverso elementi interni al

gioco come indicazioni grafiche o percorsi vincolati. Solo in rari casi il

giocatore è indotto ad abbandonare il videogioco e ricorrere al manuale

incluso nella confezione o ad aiuti e gruppi di discussione presenti in internet.

La rete è più spesso utilizzata da comunità di giocatori esperti per scambiarsi

consigli e trucchi.

Tutti i giochi contengono infatti bugs e cheats che sono distribuite più o meno

intenzionalmente dagli sviluppatori.

I quadri preliminari sono immediatamente giocabili ma non per questo sono

semplicissimi, anzi presentano difficoltà crescenti che si adattano

intelligentemente alle abilità del giocatore. L’apprendimento è più efficace se i

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34  

nuovi compiti inducono un lieve senso di frustrazione. Questa frustrazione

motiva il giocatore ad apprendere e continuare la sessione di gioco. Il game

designer valuta accuratamente come distribuire le difficoltà in modo analogo

ad un educatore che in una progettazione didattica suddivida i carichi di

studio. Le tecnologie permettono però il vantaggio di individualizzare i

percorsi di gioco, di calibrarli sulle abilità dei giocatori e quindi modellare la

percezione di difficoltà entro i limiti delle conoscenze acquisite. Questo

principio alimenta il senso di auto-efficacia anche nel caso si verifichino

fallimenti, perché questi ultimi si risolvono sempre, dopo alcuni tentativi, con

dei successi. Il giocatore è immerso in un contesto didattico senza averne

consapevolezza anche se si percepiscono molti vincoli di sistema che

strutturano l’interazione. Questi pattern di interazione strutturata, se ben

progettati aumentano anche il livello di soddisfazione del giocatore.

Il percorso è affiancato da piccoli apprendimenti guidati in ogni fase,

controllati da un software intelligente che modella gli scenari e presenta

difficoltà rilevando e computando le azioni del soggetto.

La percezione dell’impatto della propria interazione in un sistema aumenta

proporzionalmente ai limiti imposti al contesto dell’interazione. I limiti

offrono un frame di riferimento, un contesto all’interno del quale l’interazione

può essere percepita.

Questi vincoli corrispondono a decisioni didattiche accurate che sono

funzionali al design delle esperienze di gioco. Si possono impiegare anche

Page 35: I videogiochi nel_contesto_educativo

35  

diverse settimane di esercizio per introdurre i neofiti al software ed istruirli

sulle tecniche di base, specialmente se il giocatore non è esperto di quello

specifico genere di videogioco. Evidentemente l’esperienza è però così

intrinsecamente motivante che permette di accettare anche dei continui

fallimenti. I giochi sono interessanti, in una prospettiva didattica, proprio

perché sembrano facilitare apprendimenti complessi e rendono piacevole

anche la frustrazione di non riuscire a superare un ostacolo, di incontrare

difficoltà nell’apprendere la tecnica necessaria.

Tutto questo avviene comunque in modo gratificante, il giocatore non ha

consapevolezza dei complessi processi in atto e della struttura progettuale che

sostiene il gioco, continua a giocare solo perché lo trova piacevole. Si tratta di

una gratificazione simile a quella che offre la letteratura o il cinema, un

piacere che deriva dalla curiosità di conoscere come finisce la storia. Le

narrazioni nei videogiochi si svolgono però in continuo presente, in un tempo

fluido che non riproduce affatto la tipica sequenza della tradizione letteraria o

della programmazione curriculare che prevede una lezione, un’esercitazione

ed una verifica. Gli schemi di prova ed errore si ripetono in modo ciclico e gli

apprendimenti hanno una struttura reticolare e diffusa, non si apprendono

blocchi di conoscenze, ma frammenti di informazioni contestuali che si

sedimentano e costruiscono una conoscenza esperenziale ed articolata. Si

tratta di un sapere diverso da quello trasmesso dai libri, perché è fondato

sull’azione dove gli elementi contestuali e taciti hanno piena rilevanza. Questo

Page 36: I videogiochi nel_contesto_educativo

36  

sapere rifiuta la chiusura gerarchica e predefinita dei campi e degli elementi

significativi di un percorso di conoscenza. La performance precede la

competenza, il modello di apprendimento scardina la consueta struttura

spazio-temporale della lezione e della lettura, e sono superati i criteri di

pertinenza e propedeuticità.

I videogiochi hanno delle caratteristiche che ritroviamo anche in altri

dispositivi multimediali, ma offrono un contesto di osservazione unico perché

rappresentano la frontiera più avanzata dell’innovazione connessa con le ICT

didattiche.

Indagare i principi impliciti nei videogame ci permette, ad esempio, di

comprendere come costruire simulazioni didattiche che sostengano

l’apprendimento senza rinunciare ad elementi di intrattenimento. Infatti sono

proprio questi elementi apparentemente secondari, come gli effetti grafici e le

ricostruzioni spaziali, che seducono e motivano il giocatore perché incarnano

fantasie o rappresentano la realtà con una qualità iconica ed un realismo

inedito. Esplorare nuovi quadri e continuare il gioco significa anche

incontrare scenari inattesi e sempre più complessi che meravigliano per la

loro qualità espressiva.

I giochi utilizzati a scuola potrebbero condurre gli allievi all’interno di mondi

immaginari o realistici facendo leva su emozioni primarie, come paura o gioia,

e rendendo interessante anche ambienti che hanno caratteristiche

riconoscibili e familiari. I giochi sono una sfida, una competizione continua

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37  

indirizzata al raggiungimento di obiettivi chiari e precedentemente fissati. Il

giocatore sfida se stesso, mette alla prova la propria abilità oppure sfida un

avversario reale o un personaggio del gioco. Vincere ha una precisa funzione

motivazionale ed insieme al divertimento è parte integrante del processo di

apprendimento e memorizzazione. Inoltre competere significa apprendere a

gestire le emozioni e collaborare con altri giocatori nel caso di giochi di

gruppo.

I software migliori permettono una gratificazione immediata, l’interazione è

sempre rapida e le interfacce sono intuitive, in modo da offrire un feedback

tempestivo sul comportamento e realizzare una coincidenza di percezione,

azione, e apprendimento. Giochi come Tomb Rider prevedono che l’avatar

compia azioni complesse quali: saltare, abbassarsi, arrampicarsi, prendere la

mira, cambiare arma, correre. Ognuna di queste azioni corrisponde a delle

sequenze di digitazione intuitive che dopo la prima fase di assimilazione

diventano automatismi. Il sistema percettivo del giocatore si estende oltre lo

schermo e sente con la pelle virtuale del proprio avatar. Per rinforzare questa

percezione, i progettisti dispongono un corredo di input sensoriali che

accompagna ogni azione e che rapidamente si impara a riconoscere. Se un

proiettile colpisce il giocatore, l’interfaccia di controllo che abbiamo in mano

vibra intensamente, insieme ad una vibrazione dell’immagine sullo schermo e

ad un rumore specifico. Evidentemente questo genere di rinforzi sensoriali

Page 38: I videogiochi nel_contesto_educativo

38  

permette di sedimentare gli apprendimenti nel corpo, non solo nella testa, di

trasformarli appunto in esperienze e renderli facili, divertenti e duraturi.

Un trasferimento di questi modelli in ambito scolastico potrebbe essere

estremamente utile ad esempio per l’apprendimento di elementi di base di

molte discipline curriculari, si pensi a come si potrebbe esperire la geometria,

la storia o la lingua inglese. Il mondo virtuale dei videogiochi genera la

sensazione di aver esteso i propri sensi oltre i propri limiti fisici,

incrementando così anche la propria percezione di auto-efficacia42.

Le conoscenze si costruiscono nel fare e nel giocare grazie ad un riscontro

istantaneo e visivo. I videogiochi complessi, come ad esempio quelli che si

possono giocare sulle ultime consolle della Microsoft o della Sony, creano

un’esperienza di immersione in un ambiente virtuale che accende l’interesse

nel gioco. Un apprendimento profondo richiede un impegno esteso e questo

impegno è favorito da un processo di immedesimazione e sostituzione

identitaria. Ad esempio è più facile studiare fisica impersonando il ruolo di

uno scienziato in un laboratorio di fisica applicata, oppure apprendere

elementi di geografia viaggiando attraverso un mondo virtuale.

Infine un ulteriore elemento motivazionale è dato dalla natura sicura dei

videogiochi che permettono esplorazioni, sperimentazioni e azzardi in un

mondo protetto, in una realtà simulata sempre più simile a quella reale, ma

                                                            42 Carzo D., Centorrino M., Tomb Raider o il destino delle passioni. Per una sociologia del videogioco, Guerrini e Associati, Milano, 2002. 

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senza alcuna conseguenza sulla vita quotidiana. Si possono correre rischi che

si verificano solo all’interno del gioco e terminano spegnendo il gioco.

Gli elementi che rendono motivanti i videogiochi possono essere riassunti

nella seguente tabella:

CARATTERISTICHE ELEMENTI MOTIVANTI

Divertimento Soddisfazione e piacere

Competizione Coinvolgimento intenso e appassionato

Obiettivi Auto-efficacia

Risultati e punteggi Retroazione e regolazione

Adattabilità Individualizzazione

Vittoria Gratificazione

Conflitto Adrenalina

Problem solving Stimolazione della creatività

Interazione Costruzione di comunità e gruppi sociali

Rappresentazione di una storia

Emozione

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APPRENDIMENTO DIGITALE IN CLASSE

Le caratteristiche tecnologiche e linguistiche dei videogiochi introducono

strategie e modelli cognitivi originali trasferibili anche in contesto scolastico.

Queste tecnologie sono ad esempio utili nel fornire sostegno motivazionale a

studenti con difficoltà di apprendimento, a chi ha accumulato debiti formativi

oppure a chi può contare su uno scarso supporto familiare e sociale. Le

questioni scientifiche che la ricerca pedagogica rivolge ai videogiochi

riguardano principalmente le strategie di motivazione ed i modelli di

apprendimento. Gli studi che si stanno effettuando intendono scoprire se

modelli e tecniche utilizzate con successo nei videogiochi siano davvero

trasferibili nel contesto scolastico e con quale eventuale controindicazione. Si

cerca di comprendere se la mutuazione di modelli, tra contesti di

apprendimento informali a formali, offra dei reali vantaggi per studenti ed

insegnanti.

I videogiochi attivano modelli di apprendimento innovativi perché rimandano

a logiche metaforiche, abduttive, non lineari che sono difficilmente adottabili

nelle aula scolastiche. Eppure le sperimentazioni sono numerose ed Internet

raccoglie migliaia di blog e gruppi di discussione di docenti di scuole primarie

e secondarie, soprattutto anglosassoni, che documentano la grande varietà di

applicazioni didattiche realizzate sinora con i videogiochi. Lo scopo di questi

siti è di offrire un sostegno a chi adotta, o intende adottare, i videogame in

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classe per diversificare gli insegnamenti disciplinari o come introduzione ed

alfabetizzazione ai media.

I confini tra esperienza e conoscenza nei giochi ben fatti si assottigliano,

generando contesti di apprendimento immersivi ed esperenziali. I giocatori si

ritrovano in un’aula, o meglio in un laboratorio virtuale e interattivo dove si

apprende per imitazione, ricerca ed apprendistato. La documentazione di

esperienze didattiche e l’esistenza di specifiche comunità di pratiche offre

indicazioni utili sulla diffusione di questi modelli di insegnamento e

rappresenta un ulteriore stimolo alla ricerca.

Navigando tra i siti delle scuole si può notare come la maggior parte dei

sussidi multimediali a cui si fa riferimento sono semplici quiz interattivi e

puzzle talvolta realizzati dagli stessi insegnanti. Il livello tecnologico è molto

basso e non si utilizzano affatto le potenzialità che i giochi attuali offrono.

Sono esperienze interessanti sotto il profilo dell’educazione ai media ma

marginali rispetto a processi di innovazione didattica.

Vi sono anche diversi esempi di collaborazioni tra alunni e docenti nella

costruzione di esercitazioni e sussidi multimediali. Lo scopo è spesso quello di

incoraggiare la partecipazione nelle attività d’aula di soggetti che dimostrano

deficit attentivi, scarso interesse o insicurezza. Questi elementi di

discontinuità con la prassi curriculare non offrono però molti benefici se non

sono inseriti in una pianificazione didattica coerente e continua.

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I giochi complessi, quelli che richiedono lunghe sessioni di training, sono

purtroppo utilizzati raramente, hanno però l’interessante obiettivo di

promuovere l’attitudine al cambiamento e facilitare l’esplorazione di nuovi

schemi e paradigmi cognitivi. Questi giochi infatti possono sostenere

l’acquisizione di abilità di problem-solving e di decision-making applicabili in

diversi contesti come ad esempio l’orientamento scolastico ed universitario. I

giocatori sono spinti anche a costituire team, gruppi di lavoro ed attivare

comunità di apprendimento, questa qualità si rivela particolarmente utile nei

contesti di formazione a distanza dove è importante attivare delle strategie di

compensazione per l’assenza di interazioni faccia a faccia. Questo genere di

videogiochi può anche ridurre il tempo di sequenze di acquisizione di

informazioni affiancando il lavoro dei docenti nei contesti più ripetitivi. Per

esempio nell’apprendimento delle lingue straniere o della matematica l’uso di

giochi si è dimostrato efficace nel migliorare le prestazioni degli allievi

durante le esercitazioni.

Anche i giochi di esplorazione interattiva sono ottimi veicoli per radicare

contenuti curricolari, come concetti di storia o scienze, che possono essere

difficili da visualizzare o manipolare con materiale concreto. Questa famiglia

di giochi permette di semplificare sistemi complessi grazie alle proprietà di

visualizzazione ed esplorazione. Permette di agire in spazi virtuali e

modificare i tradizionali rapporti spazio-temporali tra gli eventi.

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I giochi enigmistici interattivi sono usati invece più spesso nei contesti

aziendali per migliorare la creatività e lo sviluppo delle capacità strategiche.

I giochi di simulazione sono i più rari perché per essere validi richiedono una

programmazione molto sofisticata e delle interfacce realistiche. Nel migliore

dei casi possono essere costruiti come storie interattive e la partecipazione in

queste storie può influire sull’adozione di strategie di metacognizione o nella

costruzione di specifiche strutture mentali. Vivere una narrazione, influenzare

il flusso degli eventi, cooperare per raggiungere un obiettivo con un

compagno o un personaggio artificiale offre agli allievi la possibilità di

sviluppare una visone strategica e d’insieme.

I videogiochi di azione stimolano invece un efficiente coordinamento senso-

motorio fine ed esercitano abilità analitiche e spaziali, abilità iconiche ed

un’attenzione visiva selettiva.

I giochi on-line sono sicuramente i più promettenti perché possono

incoraggiare comportamenti cooperativi e competitivi in un contesto protetto

e questo apre un potenziale di innovazione anche maggiore dei giochi

tradizionali in cui il giocatore instaura una relazione esclusiva con il

computer. I giocatori interagendo simultaneamente con altri giocatori e con

l’ambiente stesso, raggiungono cooperativamente obiettivi come superare i

livelli più alti, esplorare, fare amicizie ed acquisire conoscenze e abilità. I

meccanismi di supporto all’apprendimento sono sostenuti da network sociali

in costante cambiamento dove i giocatori senior e junior partecipano

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scambiandosi suggerimenti e artefatti di gioco, sostenendo l’apprendimento

dei giocatori meno esperti e permettendo ai più esperti di rendere le loro

conoscenze esplicite.

Il futuro dei giochi on-line ha la potenzialità di innovare profondamente le

pratiche didattiche introducendo nella progettazione la copresenza di

elementi di individualizzazione dei percorsi di apprendimento e la creazione

di una comunità educante che garantisca l’accesso a soggetti attivi, curiosi ed

interdipendenti43.

                                                            43 Fiorentino Giovanni, Il bambino nella rete. Dalla lavagna al computer, Marsilio, Venezia, 2002. 

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