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2 GNGTS 2014 SESSIONE 1.1 I TERREMOTI OLOCENICI DELLA FAGLIA DI CITTANOVA �CALABRIA MERIDIONALE: NUOVI DATI PALEOSISMOLOGICI P. Galli 1,2 , E. Peronace 2 , P. Messina 2 1 Dipartimento della Protezione Civile Nazionale, Roma 2 CNR-IGAG, Roma Introduzione. L’Arco Calabro, nel suo settore tirrenico, è stato l’area sorgente dei più energetici e catastrofici terremoti della storia sismica italiana. A partire dal diciassettesimo secolo, separati a volte da pochi anni o tutt’al più da qualche decennio, quasi venti eventi con Mw ≥ 6 si sono succeduti tra la foce del Crati a nord e lo Stretto di Messina a sud. Di questi, dieci sono stati parametrizzati con Mw ≥ 6.5 nei cataloghi sismici, cinque dei quali con Mw ≥ 6.9 (Fig. 1). Prima di questa micidiale sequenza, responsabile di oltre duecentomila morti e della distruzione di centinaia di località, gli eventi sismici presenti in catalogo o rintracciati da recenti studi specialistici sono pochissimi e caratterizzati da una documentazione generalmente povera e non conclusiva. L’unico per il quale si abbia contezza di danni molto gravi ed estesi è quello del 1184, avvenuto tra la valle del Crati e quella del Sinni, ma con fonti così scarne ed elusive che non ne hanno permesso una valida parametrizzazione.

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I tERREMotI oLoCEnICI dELLA fAGLIA dI CIttAnovA �CALAbRIA MERIdIonALE��: nUovI dAtI PALEoSISMoLoGICIP. Galli1,2, E. Peronace2, P. Messina2

1 Dipartimento della Protezione Civile Nazionale, Roma2 CNR-IGAG, Roma

Introduzione. L’Arco Calabro, nel suo settore tirrenico, è stato l’area sorgente dei più energetici e catastrofici terremoti della storia sismica italiana. A partire dal diciassettesimo secolo, separati a volte da pochi anni o tutt’al più da qualche decennio, quasi venti eventi con Mw ≥ 6 si sono succeduti tra la foce del Crati a nord e lo Stretto di Messina a sud. Di questi, dieci sono stati parametrizzati con Mw ≥ 6.5 nei cataloghi sismici, cinque dei quali con Mw ≥ 6.9 (Fig. 1). Prima di questa micidiale sequenza, responsabile di oltre duecentomila morti e della distruzione di centinaia di località, gli eventi sismici presenti in catalogo o rintracciati da recenti studi specialistici sono pochissimi e caratterizzati da una documentazione generalmente povera e non conclusiva. L’unico per il quale si abbia contezza di danni molto gravi ed estesi è quello del 1184, avvenuto tra la valle del Crati e quella del Sinni, ma con fonti così scarne ed elusive che non ne hanno permesso una valida parametrizzazione.

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Non è chiaro se questa distribuzione temporale dei terremoti in Calabria sia dovuta ad un reale silenzio delle principali sorgenti sismogenetiche prima del seicento o, viceversa, ad un silenzio delle fonti, dovuto - per esempio - alla generale marginalità ed isolamento storico-culturale della regione nel corso del medioevo e dell’epoca moderna, oltre che all’effettiva perdita di migliaia di documenti nelle catastrofi sismiche degli ultimi secoli (Scionti et al., 2006). Probabilmente, ad entrambe le cose.

In ogni caso, la risoluzione di questo problema, attualmente impossibile da un punto di vista meramente storiografico - attesa anche la distruzione dei registri delle cancellerie angioine e aragonesi e di molti altri documenti archivistici nei bombardamenti a Napoli nel 1943 - può essere affrontata precipuamente per via geologica, invero approfondendo le conoscenze sull’evoluzione tettonico-stratigrafica tardo quaternaria dei depositi e delle forme distribuiti lungo tutta la fascia sismogenetica dell’Arco Calabro in prospettiva di studi di carattere paleosismologico attraverso le strutture indiziate di movimenti recenti.

Da questo punto di vista, negli ultimi anni, grazie all’impegno di molti gruppi di ricerca, la fascia costiera tirrenica della Calabria meridionale, anche nel tratto di offshore, è stata ripetutamente oggetto di studi finalizzati all’inquadramento crono-stratigrafico delle successioni di terrazzi marini, del loro sollevamento e delle loro eventuali deformazioni (p.e.: Dumas et al., 1982, 1987, 1999, 2005; Miyauchi et al., 1994; Balescu et al., 1997; Pirazzoli et al., 1997; Catalano et al., 2003; Dumas e Raffy, 2004; Tortorici et al., 2002, 2003; Antonioli et al., 2006; Cucci e Tertulliani, 2006; Ferranti et al., 2007, 2008; Bianca et al., 2011; Pepe et al., 2013; Spampinato et al., 2014). I diversi studi sono giunti a importanti conclusioni, a volte anche in contrasto tra loro, sia nell’attribuzione dei singoli terrazzi ai rispettivi stadi isotopici marini e quindi ai ratei di sollevamento degli stessi, che all’esistenza e all’attività di faglie al margine o trasversali ai terrazzi [se ne veda la sistematica revisione e confutazione in Dumas (2008)], alle quali sono stati talvolta associati terremoti noti (p.e., un aftershock della sequenza iniziata il 5 febbraio 1783 o l’evento di Mw > 7 del 1905) o anche sconosciuti. In quest’ultimo caso, l’esistenza dei paleoterremoti e la loro scansione temporale è stata inferita dagli autori sulla base del presunto e ripetuto sollevamento cosismico di linee di costa oloceniche, ubicate nel blocco di letto di faglie normali, e datate tramite analisi al carbonio 14 di markers biologici. Tuttavia, oltre a quanto già stigmatizzato in Dumas (2008), considerando che in una faglia distensiva circa l’80% dello scorrimento viene aggiustato dallo sprofondamento del blocco di tetto, il sollevamento cosismico da 0.5 m a 2 m del blocco di letto riportato dagli autori per ciascun evento non sembra consistente con un evento di fagliazione normale associabile a strutture di lunghezza tipicamente tra 20 e 30 km.

D’altra parte, nella fascia più interna, ovvero nell’area epicentrale dei terremoti più distruttivi del sei-settecento, le conoscenze sull’evoluzione stratigrafica e tettonica pleistocenica dei depositi marini e continentali coinvolti nei processi deformativi restano limitate a pochi lavori, quasi mai supportati da vincoli cronologici numerici. Ciò non ha impedito, nel corso degli ultimi due decenni, di condurre alcuni studi paleosismologici sia nella Calabria settentrionale che in quella meridionale. Questi hanno permesso di individuare diverse evidenze di fagliazione di superficie riconducibili ad altrettanti eventi cosismici sia su strutture note in bibliografia che su faglie precedentemente sconosciute. Partendo da nord (Fig. 1), le prime sono la faglia del Monte Pollino (1 in Fig. 1: Michetti et al., 1997; Cinti et al., 1997, 2002), di Rossano (3 in Fig. 1: Galli et al., 2010), delle Serre (8 in Fig. 1: Galli et al., 2007) e di Cittanova (9 in Fig. 1: Galli e Bosi, 2002), mentre le seconde si riferiscono al sistema di faglie dei Laghi (5 in Fig. 1: Galli e Bosi, 2003; Galli et al., 2007). I paleoterremoti associabili alle numerose fagliazioni individuate sono stati parametrizzati e compendiati nel Catalogo dei Paleoterremoti italiani (Galli et al., 2008).

In alcuni casi, questi studi hanno consentito di associare alcuni terremoti di epoca storica - già presenti e parametrizzati nelle compilazioni sismiche - alle rispettive faglie, come nel caso degli eventi del 5 e 7 febbraio 1783 (faglia di Cittanova e delle Serre, rispettivamente), dell’8

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giugno 1638 (faglia dei Laghi) e del 25 aprile 1836 (faglia di Rossano). In altri casi, sono stati individuati nuovi terremoti, avvenuti al più tardi in epoca tardo romana o altomedievale, come sulla faglia del Pollino, dei Laghi e di Cittanova. Da questo punto di vista, seppur limitatamente alle strutture investigate, queste poche analisi hanno confermato l’assenza di grandi terremoti in epoca basso medievale-moderna (i.e., precedentemente al diciassettesimo secolo), mentre hanno cominciato a illuminare la storia sismica dei periodi precedenti.

Nel caso della faglia di Cittanova (9 in Fig. 1), oggetto della presente nota, Galli e Bosi (2002) avevano individuato - oltre alle inconfutabili tracce letterarie, iconografiche e geologiche dell’evento del 5 febbraio 1783 - evidenze relative ad un precedente evento in epoca romana e altri indizi di fagliazioni oloceniche. Lo scavo di una nuova trincea paleosismologica e altre osservazioni condotte lungo gli oltre 25 km di affioramenti della faglia - precedute da analisi aerofotogeologica ed elaborazioni di modelli digitali del terreno su basi LIDAR ad alta risoluzione - hanno permesso, grazie anche a datazioni numeriche dei depositi coinvolti nei processi dislocativi, di valutare meglio lo slip-rate tardo pleistocenico della struttura e di fornire nuovi limiti cronologici ai paleoterremoti individuati.

La faglia di Cittanova. La faglia di Cittanova è una struttura distensiva N220, lunga circa 30 km, che deprime il basamento cristallino-metamorfico della catena aspromontina dai ~1000 m s.l.m. delle spianate sommitali del crinale a circa -400 m s.l.m. (Piro, 2000) al di sotto dei sedimenti marini e continentali della Piana di Gioia Tauro.

In passato, l’attività quaternaria di questa faglia è stata ipotizzata sulla base di robusti indizi geomorfologici e geologici da diversi autori (Cotecchia et al., 1969, 1986; Tortorici et al., 1995; Jaques et al., 2001), mentre la sua attività olocenica e il potenziale sismogenico associato sono stati dimostrati definitivamente dalle analisi paleosismologiche di Galli e Bosi (2002), checché se ne vaniloqui in qualche compendio di sorgenti sismogeniche.

In particolare, la faglia mette a contatto, basculandole e trascinandole contro il complesso granitico-granodioritico e metamorfico dell’Aspromonte, le successioni plio-pleistoceniche marine della paleo-Stretta di Siderno-Gioia Tauro (Longhitano et al., 2012), composte - dall’alto verso il basso - prevalentemente da sabbie e areniti silico-bioclastiche organizzate in dune sottomarine,marne argillose e argille azzurre. Oltre alle unità marine, la faglia disloca i sovrastanti depositi continentali, composti sia da alluvioni ghiaiose terrazzate che da potenti cunei di sabbioni colluviali, frutto del disfacimento della fascia cataclastica impostata nel plutone granitico di Cittanova (Atzori et al., 1977). Di fatto, il paesaggio della piana è interamente dominato dalla

Fig. 1 – Modello altimetrico digitale della Calabria. Sono evidenziate le principali strutture sismogenetiche note e i terremoti con Mw>5.5 (modificato da Galli et al., 2006). A tratto pieno le faglie investigate tramite analisi paleosismologiche (1, Faglia del Monte Pollino-Frascineto; 2, faglie della Valle del Crati; 3, faglia di Rossano; 4, faglia di Cecita; 5, faglia dei Laghi; 6, faglia del Savuto; 7 faglie della Stretta di Catanzaro; 8, faglia delle Serre; 9 faglia di Cittanova; 10, faglie di Reggio Calabria). Le cifre 1-2-3 sugli epicentri delle sequenze del 1638 e 1783 corrispondono ai tre rispettivi mainshocks del 27-28 marzo e 8 giugno 1638 e 5-7 febbraio, 28 marzo 1783.

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superficie fossile del terrazzo alluvionale alto di Cittanova-Taurianova che si estende dai piedi dell’Aspromonte verso la linea di costa, interrotto solo dalle profonde incisioni delle fiumare. Una serie di datazioni radiometriche di paleosuoli sepolti in prossimità della superficie dei lembi terrazzati delle alluvioni, nonché di colluvi pedemontani interdigitati con esse, ha permesso di stabilire l’età di questo terrazzo (~28 ka), prima che lo stesso fosse definitivamente abbandonato dai corsi d’acqua, incassatisi progressivamente durante l’Ultimo Massimo Glaciale, quando il vicino livello base marino scese sino a ~125 m al di sotto di quello attuale (Lambeck et al., 2011). Dal momento che verso monte la superficie del terrazzo si insinua nei solchi vallivi e attraversa in più luoghi il piano di faglia, venendone dislocato di diversi metri (Fig. 2), la definizione della sua età ha permesso di vincolare lo slip-rate della faglia di Cittanova per il periodo successivo all’Ultimo Massimo Glaciale ad almeno 0.5 mm/yr.

Trincee paleosismologiche. Come accennato, in passato Galli e Bosi (2002) effettuarono una serie di trincee e saggi paleosismologici attraverso diversi segmenti della faglia di Cittanova. I siti investigati erano ubicati sia all’interno dell’abitato di Cittanova stessa, dove la scarpata di faglia ha una chiara espressione superficiale, pur essendo stata quasi completamente urbanizzata negli ultimi anni, che sui versanti del Torrente Melone, di Molochio e di Santa Cristina d’Aspromonte. Gli esiti di quelle analisi, oltre agli effetti del 1783, indicavano l’occorrenza di una fagliazione in epoca basso imperiale - correlata anche per via archeosismologica ad un evento avvenuto nella seconda metà del quarto secolo e ricordato da una lapide di Regium Iulium (AE 1913, 0227) - e di altre nel corso dell’Olocene.

Nella primavera-estate del 2014, oltre all’apertura di altri saggi nei boschi tra Santa Cristina d’Aspromonte e San Giorgio Morgeto al contatto tra il basamento cristallino-metamorfico e depositi fagliati di versante, è stato possibile aprire una trincea esplorativa in un sito eccezionalmente significativo dal punto di vista paleosismologico, in quanto unico lacerto non ancora totalmente rimaneggiato od obliterato della scarpata di faglia scolpita nel terrazzo alluvionale tardo pleistocenico nell’abitato di Cittanova. Questo sito, già identificato in Galli e Bosi (2002: pag. 7, Fig. 7) come quello rappresentato nell’acquaforte pubblicata nell’Atlante accluso all’opera del Sarconi (1784: Tav. XXXIX, Sbassamento della strada a Casalnuovo sotto la Cavalleria), per quanto assediato dalla strada Nazionale, da ville, discariche, fossi, colmamenti e muri di sostegno, conserva quasi intatta la morfologia originaria della superficie dell’apron alluvionale formato dalla Fiumara Serra - attualmente inforrata di circa 60 m - allo sbocco del fronte montuoso.

Fig. 2 – Veduta verso nordest della scarpata associata alla faglia di Cittanova. La foto evidenzia la dislocazione di uno dei lembi intervallivi afferenti alla superficie del terrazzo alluvionale alto di Cittanova, laddove questo attraversa il piano di faglia.

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Livellazioni topografiche attraverso la scarpata hanno consentito di valutare il rigetto apparente della superficie a circa 12 m, valore che non include però l’erosione del blocco di letto ed il seppellimento di quello di tetto, valutati ex post in trincea a circa 3 m, per un rigetto verticale totale di 15 m.

La trincea è stata scavata con un mezzo fornito dall’amministrazione comunale di Cittanova, che anche in questa occasione ha fornito il supporto tecnico e logistico alla campagna di indagini. Purtroppo, lo scavo è stato limitato dalle dimensioni dell’escavatore (il cancello di accesso non ha permesso l’entrata di un mezzo adeguato) e, sopratutto, dalla presenza del muro di contenimento della strada nazionale sul ciglio della scarpata. Ciononostante si è riusciti a operare un taglio di circa 20 m di lunghezza e di 3 m di altezza.

I depositi esumati nello scavo sono quelli relativi alle alluvioni ghiaiose e sabbiose del paleo-Serra, ed a colluvi vari impilati ai piedi della scarpata. La faglia disloca l’unità ghiaiosa del paleo-Serra nel blocco di letto contro le sabbie e i colluvi successivi, coinvolgendo anche una serie di colluvial wedges formatisi verosimilmente a seguito di diversi episodi di fagliazione (Fig. 3).

L’intera successione alluvio-colluviale è fagliata, ad eccezione dell’unità più alta che tronca e sigilla quelle sottostanti. Tutte le unità sono state datate tramite analisi AMS su campioni di terreno e su carboni e grazie al rinvenimento di frammenti ceramici, rivelando un’età olocenico-storica per l’intera successione, ad eccezione delle ghiaie del terrazzo, riferibili ad un periodo immediatamente precedente all’Ultimo Massimo Glaciale.

La presenza di tre cunei colluviali nel blocco di tetto, tutti e tre rifagliati da eventi successivi, suggerisce l’occorrenza di altrettanti episodi di fagliazione cosismica, più un ultimo e finale riferibile al 1783, per un totale di quattro terremoti. In breve, il più antico visibile è collocabile in un periodo successivo a 13 kyr BP e precedente 10 kyr BP . Il successivo in un periodo precedente o prossimo a 5.5 kyr BP. Il penultimo è successivo a 2.8 kyr BP e verosimilmente penecontemporaneo a 1.6 kyr BP. L’ultimo è ben successivo a 1.6 kyr BP, trattandosi sicuramente nel 1783.

Conclusioni. Le osservazioni di campagna condotte lungo 30 km di densamente forestati affioramenti della faglia di Cittanova, unite alle nuove datazioni numeriche di depositi chiave rinvenuti nella successione tardopleistocenica e all’analisi aerofotogeologica e delle immagini

Fig. 3 – Veduta grandangolare della zona di faglia della parete sud-occidentale della trincea di Cittanova. La faglia mette a contatto le ghiaie del terrazzo alluvionale precedente all’Ultimo Massimo Glaciale (a sinistra nella foto) contro sabbie e colluvi olocenici e storici. È ben visibile nel blocco di tetto il colluvial wedge riferibile all’evento più antico, rifagliato dagli eventi successivi.

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LIDAR ad alta risoluzione, hanno permesso di rivalutare con maggior precisione rispetto ai lavori precedenti i rigetti e lo slip-rate della struttura a partire dall’Ultimo Massimo Glaciale (~0.5 mm/yr).

L’individuazione di un sito paleosismologico strategico per la scansione degli ultimi eventi di fagliazione di superficie ha condotto alla definizione di tre paleoterremoti precedenti al 1783 nel corso dell’intero Olocene, caratterizzati da un tempo medio di ritorno di ~2.5 kyr, ma in realtà separati da intervalli irregolari, tra 5 kyr e 1.4 kyr.

In particolare, l’età del penultimo evento comprende la forchetta temporale già definita da Galli e Bosi (2002) per lo stesso evento nelle trincee precedenti e quindi è riferibile al terremoto ricordato nella lapide di Reggio Calabria, di poco precedente al 374 A.D. Anche il terzultimo evento ha un’età sovrapponibile con quella dell’analogo individuato in Galli e Bosi (2002) ed anzi ne restringe la forchetta ad un periodo molto prossimo a 5.5 ka. L’ultimo è databile tra 13 ka e 10 ka, e potrebbe corrispondere all’età di un colluvial wedge individuato in una delle trincee da Galli e Bosi (2002) e colà databile ad un tempo successivo a 12 ka.

La mancanza di unità correlative tra il blocco di letto e quello di tetto non consente la stima dei singoli rigetti, che può essere grossolanamente suggerita dallo spessore decimetrico dei rispettivi colluvial wedges. Abbinato alla lunghezza complessiva della faglia (~30 km) e tenendo a mente i parametri del terremoto del 5 febbraio 1783, questo può suggerire che anche questi paleoeventi abbiano avuto la medesima magnitudo associata all’evento di epoca borbonica (Mw~7).

Nel complesso, i nuovi dati raccolti lungo la faglia di Cittanova raffinano le stime sullo slip-rate, tempi di ritorno e paleoterremoti già pubblicati in passato e ribadiscono, se ce ne fosse bisogno, il ruolo primario e indiscutibile di questa struttura nel quadro della tettonica attiva e della pericolosità sismica regionale. Ringraziamenti. Siamo sinceramente grati al Comune di Cittanova ed ai tecnici dell’Ufficio Tecnico che negli anni hanno sempre supportato le nostre ricerche. Un particolare ringraziamento va ai Sindaci che si sono avvicendati nel tempo, al Geom. Giovanni Sergi, al Geom. Giuseppe Tigani e al Sig. Franco Avenoso. Siamo altresì grati alla D.ssa Liliana Costamagna, al Dr. Massimo Brizzi, al Dr. Mario Rolfo e alla D.ssa Simona Rosselli per la loro preziosa consulenza sui frammenti ceramici rinvenuti.

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