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Milano 2008, pp. 3-34 Qui il seguente testo è stato riedito Testi degli interventi al convegno ―Mille anni sono come un turno di guardia nella notte‖ Rimini, 21 agosto 2005; già editi in: I simboli, sorgenti di conoscenza e di creatività 1 - JULIEN RIES Direttore del Centro di Storia delle Religioni dell'Università di Lovanio Traduzione dal francese di Anna Vigorelli Nell'antica Grecia, la parola symbolon indicava un oggetto tagliato in due i cui possessori conservavano ciascuno una metà allo scopo di riconoscersi o di riconoscerne i portatori così da avere la prova delle loro relazioni di amicizia o di ospitalità. Nella parola si trova dunque il senso di garanzia di identità. Da qui, viene l'utilizzo della parola symbolon per indicare dei trattati firmati tra due Stati, dei contratti stabiliti per iscritto tra due persone. La parola dimostra un legame tra due persone. Nella storia della cultura, della letteratura, del pensiero e delle religioni, il simbolo ha conosciuto una grande estensione perché copre l'immenso campo dell'immaginario umano. Ogni anno il Meeting dedica una parte importante alla simbologia: le mostre, gli spettacoli teatrali musicali così come le conferenze e i seminari. Con il Maestro Demetrescu, quest'anno, dedicheremo tre seminari a far comprendere il simbolo e i simboli come sorgenti di conoscenza e di creatività. La mia parte sarà uno studio di antropologia che comprende tre passaggi: 1. Il simbolo, carta d'identità dell'uomo. Si tratta di vedere come, grazie alla sua immaginazione, si è formato l'Homo sapiens. 2. Il simbolo, rivelatore del mistero. Ecco una seconda tappa nella formazione dell'uomo, la scoperta del sacro, cioè della formazione dell'Homo religiosus. 3. Il simbolo, sorgente della creatività. Grazie alla sua immaginazione, l'uomo è creatore della cultura.

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Milano 2008, pp. 3-34

Qui il seguente testo è stato riedito

Testi degli interventi al convegno ―Mille anni sono come un turno di guardia nella notte‖ Rimini, 21

agosto 2005; già editi in:

I simboli, sorgenti di conoscenza e di creatività

1 - JULIEN RIES Direttore del Centro di Storia delle Religioni dell'Università di Lovanio

Traduzione dal francese di Anna Vigorelli

Nell'antica Grecia, la parola symbolon indicava un oggetto tagliato in due i cui possessori

conservavano ciascuno una metà allo scopo di riconoscersi o di riconoscerne i portatori così da

avere la prova delle loro relazioni di amicizia o di ospitalità. Nella parola si trova dunque il senso di

garanzia di identità. Da qui, viene l'utilizzo della parola symbolon per indicare dei trattati firmati tra

due Stati, dei contratti stabiliti per iscritto tra due persone. La parola dimostra un legame tra due

persone.

Nella storia della cultura, della letteratura, del pensiero e delle religioni, il simbolo ha conosciuto

una grande estensione perché copre l'immenso campo dell'immaginario umano. Ogni anno il

Meeting dedica una parte importante alla simbologia: le mostre, gli spettacoli teatrali musicali così

come le conferenze e i seminari. Con il Maestro Demetrescu, quest'anno, dedicheremo tre seminari

a far comprendere il simbolo e i simboli come sorgenti di conoscenza e di creatività. La mia parte

sarà uno studio di antropologia che comprende tre passaggi:

1. Il simbolo, carta d'identità dell'uomo. Si tratta di vedere come, grazie alla sua immaginazione, si è

formato l'Homo sapiens.

2. Il simbolo, rivelatore del mistero. Ecco una seconda tappa nella formazione dell'uomo, la

scoperta del sacro, cioè della formazione dell'Homo religiosus.

3. Il simbolo, sorgente della creatività. Grazie alla sua immaginazione, l'uomo è creatore della

cultura.

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1. Il simbolo, carta d'identità dell'uomo

I. Piccola raccolta di nozioni

La conoscenza umana — Dobbiamo cominciare con un breve approccio al nostro modo di

conoscenza del cosmo nel quale viviamo. È grazie agli organi dei nostri cinque sensi (gusto, olfatto,

udito, tatto, vista) che entriamo in contatto con il mondo e che il nostro cervello riceve un numero

infinito di impulsi che esso registra, smista mette in connessione. Siamo così di fronte ai problemi

dell'intelligenza, della memoria, dell'immaginazione, della parola, del linguaggio e della creatività

così come a tutti i problemi connessi alla crescita alla formazione, all'educazione, problemi

psicologici, sociali, familiari, culturali, religiosi. Non è immaginabile affrontare qui questo

immenso ambito dell'uomo, dell'umano e dell'umanesimo.

Per la nostra ricerca sul simbolo facciamo una distinzione importante tra il concetto e il simbolo,

due elementi di base per la nostra conoscenza.

Il concetto — Il concetto è il frutto, il prodotto di un'operazione dell'intelligenza, è il pensiero

astratto, indicato da una parola, ad esempio: il concetto di giustizia, di necessità. Secondo Jacques

Maritain, "il concetto è la natura intelligibile ricevuta dai sensi grazie all'astrazione e portata dallo

spirito dentro di sé al supremo grado di immaterialità" (Gradi del sapere, p. 233). La via dello

spirito consiste in un doppio movimento, che va dal concetto al reale e dal reale al concetto.

La concettualità è un'azione mentale che consiste nel formare, a partire dai dati dell'esperienza, la

rappresentazione intellettuale di un oggetto del pensiero. La concettualità è indispensabile in vista

della riflessione umana.

L'immaginario e la simbolizzazione — La conoscenza umana non funziona unicamente grazie a dei

concetti. Si deve fondare anche su delle rappresentazioni percepite a partire dal mondo esteriore,

sulla percezione di immagini. Stiamo assistendo ad una rivalorizzazione delle funzioni

dell'immaginario. La scuola di Gaston Bachelard e di Gilbert Durand ha creato un nuovo spirito

antropologico che ha lottato contro i diversi positivismi e razionalismi e ha valorizzato il ruolo

dell'immaginario nel pensiero umano, mostrando che l'immaginazione è un dinamismo

organizzatore e come tale è un fattore di omogeneità nella rappresentazione. Così facendo, essi

hanno dato all'immaginario un ruolo importante nella vita, nel pensiero e nel comportamento

umano. L'immaginario non è più considerato come "il pazzo del paese", ma come il fratello della

ragione, indispensabile cioè al funzionamento del pensiero. A lato del pensiero concettuale c'è un

pensiero simbolico. Tra i due esiste una coerenza, vero fattore di armonia dell'uomo.

Bisogna dunque smettere di scavare un fossato tra ragione e immaginario. I due sono indispensabili

per il funzionamento normale dello spirito.

II. Dall'Homo habilis all'Homo sapiens

A partire dal 1959 nei giacimenti di Olduvai in Tanzania e ad est del lago Turkana in Kenya, sono

stati scoperti resti di crani che datano due milioni di anni fa. A lato di questi resti si trovano dei

ciotoli tagliati su una faccia e su due facce, prova dell'abilità di questi uomini a fabbricare degli

utensili. È la prima cultura dell'umanità, la cultura di Olduvai e all'uomo che ha inventato questa

cultura si è dato il nome di Homo habilis (L. Leakey, Ph. Tobias, J. Napier, 1964).

L'inventario delle vestigia scoperte è importante: selci tagliate e tra di esse numerose bifacciali,

ciottoli che servivano da armi da caccia e da percussori, ossa di animali riutilizzate, strutture di

capanne di abitazione e di aree di lavoro. I paleoantropologi constatano che un abisso separa l'Homo

habilis dal suo avo Australopiteco poiché presso l'Homo habilis c'è l'abbozzo di caratteristiche

fisiche, culturali e sociali inesistenti presso l'Australopiteco, ma che serviranno da base allo

sviluppo dell'Homo sapiens.

L'Homo habilis aveva la capacità di elaborare progetti, di organizzare il lavoro, la caccia, di

osservare ciò che lo circonda, la natura, le risorse vegetali e animali. In più, la cultura dei ciottoli ci

fa vedere la prima utilizzazione di intermediari tra le mani dell'uomo e l'oggetto da trattare, cioè

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l'utensile. La mano non è più l'utensile come presso l'animale, ma diviene motore dell'utensile.

L'Homo habilis è un bipede, un Homo erectus.

Con l'utensile, l'uomo supera una tappa e arriva alla tecnica: deve avere un'idea e un progetto. Deve

scegliere un ciottolo e realizzare le operazioni necessarie al taglio: di qui l'intervento

dell'intelligenza e dell'immaginazione creatrice. Lavorare un ciottolo esige, da parte dell'Homo

habilis di intravedere di già l'oggetto tagliato e di vedere tutte le operazioni necessarie. C'è una

riflessione indispensabile, un possesso delle fasi del lavoro e la proiezione di uno schema, ciò

implica nell'uomo una immaginazione simbolica.

La scoperta della cultura di Olduvai e del suo autore, l'Homo habilis, è una grande tappa della

conoscenza dell'uomo. L'Homo habilis possedeva delle tecniche di acquisizione, di fabbricazione e

di consumo. Il raddrizzamento del corpo era una condizione indispensabile per l'evoluzione fisica

del suo cervello, per la liberazione delle sue mani, per la visione dell'orizzonte e dei dintorni, un

insieme di stimoli indispensabili alla sua crescita e alle sue scoperte.

La documentazione archeologica di Olduvai ci permette di andare ancora più lontano. In effetti, il

taglio delle selci implicava una sperimentazione, una scelta dei materiali e delle forme e da ciò una

messa in opera dell'immaginazione. Le aree di taglio di Olduvai ci fanno constatare, che i tagliatori

di selci sceglievano i loro materiali ritenendo conto della solidità, della qualità e del colore. Essi

gettavano tutto quello che non conveniva. Il taglio bifacciale dei ciottoli esigeva una ricerca della

simmetria, vera occupazione estetica. L'Homo habilis dà prova nello stesso tempo di una coscienza

simbolica e creatrice.

L'organizzazione dello spazio è un altro indice di questa coscienza simbolica dell'Homo habilis. Le

strutture delle capanne testimoniano della ripartizione in tre aree: zona soggiorno, zona di taglio o

divisione degli animali uccisi a caccia, zona di fabbricazione degli utensili. Ciò diventa sempre più

evidente con l'Homo erectus che subentra all'Homo habilis a partire da un milione e seicentomila

anni e che si chiama così perché la sua prima scoperta data della fine del XIX secolo a Giava, ma

che è presente ad est del lago Turkana in Africa da dove ha coperto tutto l'antico Mondo prima di

scomparire verso il 150.000 avanti Cristo (F. Facchini).

L'importante espansione della sua industria del taglio delle selci sembra perorare in favore di un

linguaggio necessario per la trasmissione delle tecniche. È lui l'inventore del fuoco: Choukoutein in

Cina, Terra Amata nel sud della Francia. Questa invenzione geniale è all'origine di una grande

mutazione nelle relazioni familiari e sociali e un indice di religiosità attraverso la scoperta di certi

riti del fuoco.

Attraverso una evoluzione morfologica molto lenta, l'Homo erectus si è trasformato in Homo

sapiens, le cui prime tracce sono visibili verso il 300.000, ma la cui caratteristica principale sarà il

culto dei defunti. Le tombe di Qafzeh in Palestina, 90.000 a.C., sono le più antiche e a partire da

questo periodo la religiosità funeraria conosce uno sviluppo rapido, segno della crescita della

coscienza simbolica e religiosa dell'Homo sapiens.

III. La simbolizzazione, proprietà essenziale dell'uomo

Siamo entrati in un nuovo spirito antropologico, cioè in un nuovo modo di comprendere l'uomo, il

suo linguaggio, la sua scrittura, la sua funzione simbolica.

Lo studio dell'uomo arcaico è importante perché ci permette di assistere all'ominizzazione. Le

scoperte africane, i lavori sulla posizione eretta, la liberazione delle mani, la liberazione del volto,

l'utilizzo degli utensili, il linguaggio legato agli utensili, il sistema gestuale mettono in luce la

funzione simbolica che è all'opera nello sviluppo della specie umana e nello sviluppo dell'individuo.

La simbolizzazione è una proprietà essenziale della specie umana secondo Jean Molino "altrettanto

seria, altrettanto solida, altrettanto reale delle funzioni di nutrizione e di riproduzione" (Molino,

1988).

Facciamo un rapido percorso con l'Homo sapiens. L'uomo di Neanderthal ha preso una cura

particolare dei suoi defunti. Le numerose tombe d'Europa contengono delle offerte fatte di alimenti

o di oggetti, segno di una credenza dell'aldilà. Nel Paleolitico superiore la presenza di oggetti di

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ornamento, di conchiglie, di denti, di canini di cervi e di ocra rossa costituiscono un insieme di

pratiche funerarie dall'evidente senso simbolico.

Bisogna soprattutto fermarsi all'arte franco-cantabrica delle celebri grotte di Francia, di Spagna e

d'Italia: centocinquanta tra le quali Lascaux, Les Combarelles, Rouffignac, Altamira, Monte

Castillo. L'arte rupestre di questi santuari ci mette alla presenza di una simbologia copiosa che noi

cominciamo solo ora a decifrare: associazioni di animali e di segni nella grotta di Lascaux,

simbolismo vegetale, specialmente il pino con i suoi rami, simbolismo del colore (bianco, nero,

rosso, giallo), simbolismo dei segni (punto, tratto, freccia, scala, cerchio, triangolo, rettangolo,

croce, mano, spirale). L'associazione degli animali bisonte-cavallo, mammouth, stambecco è

dappertutto presente e insieme ci invita a comprendere che i simboli dipinti sui muri e sui soffitti

non prendevano il loro senso che nel contesto di un discorso. Le pitture delle caverne franco-

cantabriche sono la traccia dei primi mitogrammi. Bisognerà attendere alcuni millenni per disporre,

grazie alla scrittura, dei grandi miti cosmogonici le cui radici si leggono sui muri e sui soffitti del

Paleolitico superiore.

Verso il 12.000 a.C. l'uomo esce dalle grotte e si insedia in piena natura. I primi villaggi si

costituiscono sul Medio Eufrate. L'Homo sapiens inventerà l'agricoltura. La sua immaginazione di

creatore del suo nutrimento l'aiuterà a scoprire nuovi simboli della Trascendenza ed è così che verso

l'8.000 abbiamo le prime rappresentazioni della divinità, la dea-madre e il toro preludio dei due

grandi culti dell'antico Vicino Oriente. Nello spazio di alcuni millenni ha luogo una vera

rivoluzione culturale e religiosa: creazione dei culti solari, costruzione dei primi templi, invenzione

della scrittura, civiltà mesopotamica e poi egiziana, ziggurat di Babilonia e piramidi d'Egitto.

Fermiamo qui il nostro inventario.

Il simbolo, carta d'identità dell'Homo sapiens — Grazie alle tracce che l'uomo ha lasciato, noi

abbiamo seguito la genesi dell'Homo sapiens: due milioni di anni. Abbiamo un'idea del suo

immaginario, cioè "dell'insieme delle immagini e delle relazioni di immagini che costituisce il suo

capitale pensato" (G.Durand, 1992).

Il segno e il simbolo sono due elementi essenziali di questo immaginario. Un segno è una realtà che

ha una sua propria consistenza ma che, sia per convenzione sia per relazione naturale evoca un'altra

realtà: il fumo è segno del fuoco. ogni segno è un mezzo di comunicazione tra gli uomini.

Il simbolo è un segno che evoca una realtà invisibile alla quale lega l'uomo facendone passare

l'intelligenza dal visibile all'invisibile. Il simbolo realizza una apertura al di là dello spazio

immediato e del tempo immediato: è iniziazione all'invisibile. È un significato che conduce al

significato. Il significato fa parte del mondo visibile: la volta celeste, il sole, la luna, la terra,

l'albero, l'uccello, l'acqua, l'uomo, la donna, il bambino. Ogni simbolo ha uno strato visibile. Il

significato è la parte invisibile, sconosciuta, l'oggetto della scoperta, il mistero.

Gilbert Durand ha messo in evidenza il ruolo del tragitto antropologico nella simbolizzazione. Al

punto di partenza ci sono le spinte dell'ambiente cosmico e di tutto ciò che lo circonda che agiscono

sulle fecondità dell'essere umano; ma queste spinte incontrano la vita psichica umana con tutte le

sue pulsioni. Tra questi due poli funziona un incessante scambio che gioca il ruolo di motore

dell'immaginazione creatrice. Questo tragitto antropologico permanente è specifico dell'essere

umano. Da allora l'universo del simbolo + il campo privilegiato dell'uomo, la sua carta d'identità.

Le funzioni del simbolo — Lungo tutto il percorso che abbiamo fatto con l'Homo habilis, erectus,

sapiens, abbiamo visto che il simbolo ha giocato un ruolo primordiale nell'ominizzazione. Di tappa

in tappa, l'uomo diveniva creatore e sapeva che era creatore. Quale ruolo ha giocato il simbolo in

questa presa di coscienza? Le ricerche di G.Bachelard, di C.G.Jung, di G. Durand, di M. Eliade, di

P.Ricoeur, di J.Vidal hanno precisato le funzioni del simbolo.

Al punto di partenza si trovano le immagini: tutti i gesti dell'uomo, le immagini prime e universali

come la volta celeste, il sole, l'acqua, l'albero, la terra che risvegliano la coscienza dell'uomo e vi

introducono un elemento di unità che conduce ad una dinamica creatrice. Questa creatività dello

spirito umano è basata sulla funzione biologica del simbolo.

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Una seconda funzione del simbolo si situa al livello della vita psichica umana. Il simbolo stabilisce

una relazione tra la coscienza e il subcosciente, questa zona molto ricca di ogni essere umano. Poi il

simbolo gestisce le energie, che sono così liberate nel subcosciente, nell'incosciente e fino alle

radici degli archetipi, dice Jung: immagini primordiali e universali, urbilder indispensabili alla

vitalità dell'Homo sapiens. Questi archetipi sono le radici profonde della coscienza.

Una terza funzione del simbolo è stata messa in evidenza da Jacques Vidal (1990): "Il simbolo dà

alla coscienza il mezzo di fare alleanza con le energie dell'esistenza di una Trascendenza, di un

Tutt'Altro con il quale si può fare alleanza. Entriamo nell'esperienza del sacro".

2. Il simbolo rivelatore del mistero Lo storico delle religioni non si interessa alle diverse specie di australopiteco, tutte scomparse

senza lasciare la minima traccia di cultura, ma studia l'Homo habilis scoperto nel 1959 a Olduvai in

Tanzania, che è caratterizzato dal bipedismo, dalla posizione verticale, dalla liberazione delle mani

e da un comportamento culturale (Tobias 1992), segno della nascita dell'Homo symbolicus. La

mobilità della testa, grazie alle vertebre cervicali, gli ha permesso di contemplare gli orizzonti

lontani così come la volta celeste, un elemento determinante per la crescita psichica, intellettuale e

religiosa.

I. La volta celeste e la prima esperienza del sacro

L'Homo habilis e l'Homo erectus hanno potuto contemplare la volta celeste che appariva ai loro

occhi come il tetto della terra sulla quale prendeva appoggio. Ciò spiega perché nelle diverse

cosmologie, più tardi, il disco della terra è rappresentato circondato da una catena di montagne che

sono le colonne della cupola celeste. Poichè il taglio delle selci manifesta la sensibilità dell'uomo

arcaico ai colori, dobbiamo pensare che sia stato impressionato dai colori del cielo, dal sorgere e dal

calare del sole, dalla successione del giorno e della notte.

La creazione della prima cultura da parte dell'Homo habilis, amplificata dall'Homo erectus con la

presa di coscienza di essere creatore della dimensione simbolica e della dimensione estetica, provata

dai colori e dalla simmetria, mostra l'uomo arcaico che si ambienta progressivamente nel cosmo.

Nel mio libro Le religioni, le origini, ho lungamente spiegato come, attraverso un metodo di

comparazione genetica, lo storico delle religioni arrivi a ritrovare la prima esperienza del sacro alle

origini dell'umanità. Si tratta della scoperta della Trascendenza attraverso la semplice

contemplazione della vita celeste. Nel suo Trattato, Mircea Eliade (1976) ha già insistito sul fatto

che siamo in presenza di un simbolismo che è un dato immediato della coscienza totale dell'uomo

che prende coscienza della sua posizione nell'Universo. La volta celeste simboleggia la

trascendenza, la forza, e l'immutabilità. Il cielo esiste: è elevato, è infinito, è potente. Le religioni

celesti sono inaccessibili all'uomo. Esse posseggono le suggestioni del trascendente, della realtà

assoluta, della perennità.

La volta celeste è un significante che rivela il mistero e questo mistero è la Trascendenza. L'Homo

habilis e l'Homo erectus si sentono legati da un vincolo misterioso a questa Realtà trascendente che

rivela la volta celeste con il movimento del sole di giorno, il movimento della luna e gli astri di

notte. È la prima esperienza del sacro che si concretizza più tardi con i culti solari e lunari e il culto

degli astri a partire dal Neolitico. L'immaginario dell'uomo antico, creatore della cultura, spettatore

di ciò che lo circonda e alla ricerca del suo destino si è trovato sotto l'influsso dei cinque grandi

simboli di base, volta celeste, simboli solare e lunare, acqua montagne e albero, ma il simbolo

determinante è quello del cielo.

Questo simbolo è restato rivelatore per l'esperienza del sacro, poiché lungo i millenni la

contemplazione della volta celeste stellata ha esercitato sull'uomo un fascino straordinario e gli ha

rivelato l'ordine sacro dell'universo. Pensate a tutti i culti solari e lunari della Mesopotamia,

dell'Egitto, della Cina, del mondo mediterraneo, dell'America precolombiana, dell'Arabia. Pensate

all'astrologia babilonese, mesopotamica, iraniana, cinese, alle costellazioni studiate dagli astronomi

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delle grandi civiltà. Più che la forma delle costellazioni, è l'immenso movimento di rotazione che fa

del cielo un aldilà della terra. Siamo in presenza di una simbolicità, di una ricchezza inaudita che

alimenta la Bibbia e le sacre scritture delle varie religioni, delle visioni mistiche come quelle di San

Benedetto, di San Gregorio il Grande, di San Basilio, dei testi grandiosi come quelli di San

Tommaso e di Dante.

II. Simbologia del mistero della vita e della sopravvivenza nell'aldilà

La simbologia della volta celeste ha dato all'uomo lo spettacolo di una serie di drammi cosmici: lo

spuntare quotidiano del sole ed il sorgere della luce, la sparizione del sole dietro la linea

dell'orizzonte ed il ritorno della notte; il sorgere degli astri al crepuscolo, il loro itinerario

imperturbabile nel corso della notte da un lato all'altro del cielo, poi il loro tramonto, le fasi di

crescita della luna, luna piena, luna decrescente e poi la scomparsa per alcuni giorni. Tutti questi

fatti sono innegabili.

Constatiamo che le prime tracce di riti funebri appaiono alla fine del percorso dell'Homo erectus e

diventano chiare con le tombe dell'Homo sapiens a Qafzeh in Palestina (90.000 avanti Cristo) e con

quelle dell'uomo di Neanderthal a partire dall'80.000 avanti Cristo. I riti funebri e le tombe sono

testimoni di sentimenti di alterità e di affetto riguardo al defunto, così come della credenza della

sopravvivenza nell'aldilà. Ci fanno individuare un momento storico nel percorso dell'Homo sapiens

e della sua esperienza del sacro.

Dobbiamo interrogarci sull'origine di questa credenza e a questo scopo dobbiamo restare nella linea

tracciata dall'attività culturale dell'Homo habilis ed erectus nel contesto del percorso antropologico

nel quale collochiamo l'azione del simbolo. Da allora noi possiamo pensare che l'Homo sapiens

posto sotto la duplice influenza dello spettacolo cosmico e della sua situazione nel cosmo, abbia

preso coscienza del suo destino a immagine del destino simboleggiato dagli astri e da tutto il

movimento della volta celeste: ha preso coscienza della vita e della sopravvivenza nell'aldilà situata

nella prospettiva della sua credenza in una Trascendenza, e in un Cielo separato dalla Terra.

Nel corso del Paleolitico superiore, all'epoca dell'arte franco-cantabrica, la generalizzazione delle

tombe e la loro disposizione, gli ornamenti che coprivano i cadaveri, le offerte deposte sulle tombe

vicino al defunto, l'utilizzo più regolare dell'ocra rossa, sostitutiva del sangue e della vita, indicano

una nuova crescita della coscienza della sopravvivenza nell'aldilà presso l'Homo sapiens sapiens.

Mircea Eliade ha insistito sulla posizione fetale di numerosi scheletri e sul loro orientamento verso

est. Questo ultimo rito sembra essere l'indice presso i vivi di una intenzione: "unire la sorte

dell'anima al corso del sole dona la speranza di una nuova nascita nell'altro mondo". Troviamo

questa credenza nella religione del Egitto faraonico. Una serie di riti funebri conferma ciò: la

lettiera di fiori simbolo dell'immortalità sul quale era posto un cadavere in una tomba di Shanidar in

Iraq 50.000 anni fa, le conchiglie incastonate nelle orbite oculari al fine di dare al defunto degli

occhi di eternità; la casa dei morti di Byblos del V millennio, dove una trentina di cadaveri si

trovano in una terra rossa.

Non bisogna dimenticare che all'epoca del Paleolitico superiore, dal momento in cui l'Homo sapiens

sapiens ha preso veramente coscienza del mistero della vita, della morte e della sopravvivenza,

l'arte franco-cantabrica, grazie ai soffitti decorati, ci invita a pensare all'esistenza di mitogrammi

oltre che a riti di iniziazione; ciò ci mette alla presenza di una simbologia molto ricca, rivelatrice del

mistero. Qui l'esperienza del sacro, unita alla percezione di una Trascendenza, è legata a una

memoria che fa riferimento alle origini, al cosmo, al mistero della vita. Per la prima volta ci

troviamo alla presenza di una storia sacra rammentata da un clan, che prende da essa dei modelli per

la sua vita. La coscienza religiosa di una comunità fa la sua apparizione allorché la

sedentarizzazione non esiste ancora. La simbologia maddaleniana annuncia una mutazione nella

coscienza religiosa dell'Homo sapiens sapiens.

III. Il simbolo dell'acqua e il mistero della vita

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L'acqua costituisce un simbolo primordiale, fondamento di ogni manifestazione cosmica, sorgente

della vita, principio di rigenerazione.

L'acqua sorgente della vita — Le acque simboleggiano la sostanza primordiale che precede ogni

forma e costituisce il supporto della creazione. Questo tema si ritrova in numerose cosmogonie. In

Egitto, il Noun è il grande oceano, prima sorgente e condizione della vita.

È anteriore al creatore di tutte le cose. In India, i miti cosmogonici hanno trasmesso numerosi

racconti delle acque originali creatrici dell'albero cosmico o del loto. La Genesi (1,2), parla del

soffio di Dio che aleggia sulle superficie delle acque.

Questo tema delle acque madri della vita ha segnato la storia religiosa dei popoli. Nella Bibbia i

pozzi e le sorgenti sono i luoghi di incontro e di alleanza degli uomini e di Dio; la roccia colpita da

Mosé, il pozzo di Giacobbe, segno dell'acqua viva del Vangelo. La rugiada è il simbolo della

benevolenza di Dio. Il savio è paragonato ad un pozzo (Sal 3,20).

Il simbolismo della purificazione — L'acqua cancella le colpe ed abolisce la storia. Tutte le

tradizioni del diluvio vi si trovano. A causa dei suoi peccati l'umanità scompare nel diluvio: è la

distruzione di tutte le colpe e di tutte le iniquità. Questo simbolo si trova anche nei rituali di

aspersione e di immersione. Prima di entrare nei templi e nei santuari, i fedeli sono invitati a fare

delle abluzioni. In Egitto, vicino ad ogni tempio, si trova un lago sacro richiamo del Noun

primordiale. Prima delle loro funzioni sacerdotali, i preti dovevano immergervisi. La preghiera

rituale mussulmana è obbligatoriamente preceduta dall'abluzione, poiché il fedele deve prima

mettersi in stato di purezza.

Contrariamente al fuoco che distrugge, l'acqua lava e dissolve l'impurità poi ridà una forza vitale.

Presso gli Aztechi e presso i Germani, il nuovo nato era immerso in un bagno purificatore poi

dedicato alla divinità. Giovanni il Battista predicava un battesimo di penitenza e di remissione dei

peccati (Lc 3,3).

Il simbolismo della rigenerazione — L'acqua opera una rinascita, cioè spiega i rituali antichi del

bagno sacro nei culti della fertilità dove le dee erano immerse nelle acque sacre allo scopo di

assicurare la pioggia e la fecondità della terra. Si conoscono gli stagni sacri di Pessinonte, di Ancyre

e di Paphos. La chiesa ha lottato per secoli per estirpare questi riti, che i pagani convertiti portavano

nel cristianesimo.

I riti funebri parlano della sete dei defunti. Il Vangelo di Luca cita il ricco che domanda ad Abramo

di mandare Lazzaro a intingere il dito per rinfrescargli la lingua (Luca 16,24). Nelle tombe orfiche

delle tavolette d'oro parlano di questa sete che tortura il defunto, in Grecia e in Egitto si prevedeva

la possibilità di alimentare con acqua le tombe.

Aggiungiamo ancora la simbologia terapeutica delle acque che spiega le tradizioni popolari e i culti

dell'acqua attorno a numerose sorgenti e fontane e attorno a fiumi come il Gange e il Nilo. Alcuni di

questi culti risalgono al Neolitico.

Il battesimo cristiano dà all'acqua tutto il suo valore simbolico ed il suo senso del mistero, poiché si

ricollega direttamente alla storia biblica che si compie in Gesù Cristo, l'autore del battesimo. La

pienezza simbolica del battesimo cristiano viene dall'Incarnazione, dalla Redenzione e dalla Chiesa.

Il sacramento cancella la storia antica e fa nascere il cristiano alla vita nuova (Gv 3,3-7). Tutte le

tradizioni antiche trovano un senso plenario grazie al Cristo Redentore.

IV. Simbolismo del centro e dello spazio sacro

La simbologia dello spazio sacro è universale; si tratta di spazi naturali e di spazi costruiti dall'uomo

come i santuari, i templi, gli altari. Ma la costruzione essa stessa si fonda su di un archetipo; è il

caso dell'altare sacrificale vedico o dello stupa buddistico.

Ma l'idea di spazio sacro si riferisce ad una simbologia più fondamentale, quella del centro, essa

stessa radicata nel simbolo della montagna sacra dove si incontrano il Cielo e la Terra e che si trova

al centro del mondo. Ritorniamo così alla prima esperienza vissuta grazie alla contemplazione della

volta celeste che fa scoprire all'uomo l'Altezza e la Trascendenza. Poichè la montagna è considerata

come luogo di incontro tra Cielo e Terra, essa diviene centro del cosmo. Le cosmogonie antiche ci

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hanno tramandato delle montagne sacre celebri: il monte Meru in India, il monte Sumbar dei popoli

uralo-altaici, Haraberezaiti in Iran, Himingbiorg dei Germani e degli Scandinavi, Fuji-Yama in

Giappone, K'ouen-Louen in Cina, l'Olimpo greco, il Kailasa residenza di Shiva in India. In

Mesopotamia si costruiva il centro dell'incontro del Cielo e della Terra, degli uomini e degli dei, la

ziggurat, montagna cosmica artificiale, torre a piani allo scopo di montare verso le divinità.

Nella tradizione biblica numerose montagne sono sacre e simboleggiano un centro ierofanico per

l'incontro degli uomini e del Dio unico: Sinai, Oreb, Sion, Tabor, Garizim, Carmelo, Golgota.

Numerosi salmi scandiscono l'ascensione degli uomini verso le altezze dove avverrà l'incontro con

Yhave. Così il Salmo 48 comporta una catena simbolica sacra: Dio-montagna-città-palazzo-

cittadella-tempio-centro del mondo. Il tempio è assimiliato alla montagna. In Egitto ogni tempio fa

riferimento alla collina primordiale emergente dalle acque alla creazione così che l'offerta fatta ogni

giorno agli dei nei templi faraonici era ritenuta indispensabile alla continuazione della creazione.

È nel centro, spazio sacro per eccellenza, che si realizzano la rivelazione divina e il compimento dei

misteri; celebrazioni del sacrificio, oracoli divini, riti di iniziazione, consacrazioni e benedizioni.

Secondo Nicola Cusano il centro è l'immagine perfetta della coincidentia oppositorum, riserva di

dinamismo e focolare dal quale partono i movimenti dell'uno verso il multiplo e dell'eterno verso il

temporale. In senso inverso al centro si ricongiungono tutti i processi di convergenza verso l'unità,

ciò ne fa un luogo di salvezza nel quale l'uomo tenta di ritrovare la sua condizione primordiale.

Il pellegrinaggio illustra nel modo migliore il simbolo del centro come rivelatore del mistero per

l'uomo. Il pellegrinaggio è in effetti un fatto umano universale dalle grotte di Lascaux e di

Rouffignac, dove i maddaleniani conducevano gli adolescenti per iniziarli ai riti di clan, fino ai

grandi pellegrinaggi attuali di Lourdes, di Loreto e di Compostela. Il pellegrino marcia verso un

centro per incontrarvi l'invisibile, al fine di entrare in una dimensione nuova dell'esistenza

suscettibile di cambiare la sua condizione.

V. Il simbolo nella vita dell'Homo religiosus

1. Homo symbolicus, Homo religiosus — Nel libro già citato Le religioni, le origini, ho studiato

simultaneamente, senza separarli ma per unirli, l'Homo symbolicus e l'Homo religiosus in base ai

documenti forniti dai paleontologi e dagli archeologi, dall'Homo habilis di Olduvai fino all'Homo

sapiens sapiens dell'Età del Bronzo. Tutta questa ricerca si fa secondo un doppio metodo

comparato: storico-comparativo e genetico. I risultati sono eloquenti poiché vediamo attualmente il

profilo dell'Uomo della preistoria, il meccanismo del suo immaginario e della sua coscienza, le sue

diverse esperienze del sacro, la crescita della sua coscienza religiosa dai primi presentimenti del

divino fino alla rappresentazioni delle divinità.

L'Homo symbolicus agli occhi dell'antropologo è l'uomo che è dotato di una facoltà che lo rende

capace di afferrare l'invisibile partendo dal visibile e così, grazie alla sua immaginazione, diviene

creatore della cultura e delle culture.

L'Homo religiosus è l'uomo in quanto soggetto dell'esperienza del sacro. Questo concetto implica

una esperienza che può essere vissuta in modo rudimentale, come nel caso dell'Uomo di Neandertal,

seppellendo i defunti. Questa esperienza può essere una vera esperienza religiosa come quella degli

oranti della Valcamonica o del Neolitico, che alzano le mani verso il cielo. Presso i fedeli sumeri o

egiziani l'esperienza del sacro raggiunge un livello di venerazione della divinità. Così il concetto di

homo religiosus è legato all'esperienza del sacro in un luogo determinato: greco, romano indù,

giudeo, cristiano.

2. Il passaggio dalla religiosità alle religioni — L'Homo habilis e poi l'Homo sapiens hanno

conosciuto l'esperienza del sacro grazie ai simboli del cielo, della volta celeste, del sole, della luna,

degli astri, della montagna, dell'acqua. Attraverso i grandi simboli l'Homo sapiens sapiens del

Paleolitico superiore ha già conosciuto i primi miti, è entrato nei riti di iniziazione e ha coscienza di

una storia sacra delle origini.

Una grande svolta si è avviata con la sedentarizzazione poiché dei nuovi simboli hanno ossessionato

l'immaginario dell'uomo del Vicino Oriente, che ha tradotto il divino con due nuovi simboli: la

donna e il toro. Si tratta di una profonda mutazione mentale che ha preso il suo slancio nel Neolitico

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con le statue divine, i santuari, gli affreschi di Anatolia, di Siria, di Palestina. L'umanità è passata

alle grandi religioni della Mesopotamia, dell'Egitto, del Mediterraneo.

In questa crescita permanente dell'umanità sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista

religioso, i simboli e il simbolismo hanno avuto un ruolo importante. La personificazione del divino

e le sue rappresentazioni simboliche con delle statue e con altre figure hanno spinto l'Homo

religiosus a costruire dei templi, dei santuari, delle ziggurat, allo scopo di incontrare delle divinità.

Così i santuari sono divenuti luoghi dove gli dei parlano con l'intermediazione degli oracoli.

Calendari delle feste, libri sacri, riti e teologie fissano la memoria, accrescono il patrimonio

simbolico e diventano sorgenti di iniziazione e di rivelazione.

3. Simbolo, Bibbia, Chiesa e Rivelazione dei misteri divini — Ho dedicato molto spazio alla

simbologia cosmica attraverso la quale si realizza una manifestazione del sacro. Grazie ai differenti

simboli cosmici, l'uomo antico si è trovato in presenza di numerose ierofanie. I simboli furono per

lui un vero linguaggio di rivelazione.

Passiamo adesso alla religione biblica e ci fermeremo qualche istante al ruolo del simbolo. Come ha

ben detto Paul Ricoeur "Con la fede ebraica la parola prevale sul numinoso" (1974). Le ierofanie

indietreggiano e il nome di Yhavé si oppone all'idolo delle religioni pagane: è il divieto di scolpire

immagini. Il sacro della natura arretra. E ci poniamo la domanda: la Bibbia, la Rivelazione biblica

ha rifiutato il simbolo? Il simbolo non è più un linguaggio di rivelazione?

Solo ora si comincia ad esplorare seriamente il simbolismo biblico e il suo ruolo nella rivelazione e

nella vita del popolo di Dio.

Bisogna dapprima dire che nell'Antico Testamento il numinoso costituisce ovunque un vero sfondo

alla rivelazione: pensate al cespuglio ardente, alla rivelazione del Sinai, al deserto nella vita

d'Israele, al Giordano, alle montagne sacre, Sinai, Oreb, Sion. Di fianco a questa simbologia

cosmica si trova un vasto ventaglio di simboli preso dalla natura: il fulmine, il fuoco, la luce, le luci

celesti, l'acqua, le tenebre, la notte, il vento, le nubi, l'ombra, il fumo, il tuono, l'arcobaleno. Questa

simbologia molto ricca entra veramente nella trama del messaggio biblico. Nel Nuovo Testamento

tutta la rivelazione di Gesù avviene con l'aiuto di un linguaggio simbolico, carico di una densità

dottrinale suscettibile di far entrare i suoi discepoli nel mistero. Il Regno è annunciato con una serie

di parabole nelle quali Gesù è ricorso alla natura, al lavoro quotidiano, alla famiglia e alla vita della

sua epoca. I grandi simboli cosmici si ritrovano di capitolo in capitolo: il cielo, la montagna,

l'acqua, la terra, l'albero, l'uccello. Di pagina in pagina la lettura dei vangeli fa sorgere in noi dei

lampi luminosi provenienti dalla simbologia che ornano il testo: il sale, l'acqua, i fiori, l'olio, il vino,

il pastore, il gregge, le pecore, gli agnelli, il pranzo di nozze, il campo di grano, le spighe, le

sementi, il raccolto, la cassa, la lampada accesa, la vigna, le vendemmie, il pozzo, l'acqua viva. È

attraverso questa straordinaria raccolta di simboli che passa la rivelazione di Gesù.

Il simbolo della pietra e della roccia indica la durezza, la resistenza, la solidità, la consistenza.

Incrollabile, la roccia serve per tagliare pilastri e colonne. La montagna di Sion è una roccia

incrollabile che simboleggia il radicamento di Israele come popolo dell'Alleanza. Gesù si è servito

del simbolo della roccia per designare l'Apostolo sul quale costruisce la sua Chiesa. Pietro è la

colonna fondatrice del collegio apostolico, il fondamento del mistero di unità dei pastori della

Chiesa di Cristo e della perennità dell'Istituzione ecclesiale. Nel simbolo di Pietro, roccia

fondatrice, abbiamo per i secoli la rivelazione permanente del mistero del Vicario di Cristo nella sua

Chiesa.

I simboli del pane e del vino sono dei simboli biblici molto numerosi nei due Testamenti. Ritornano

sotto diverse formule significative nei discorsi e nei miracoli di Gesù. All'ultima cena, ultimo pasto

pasquale segno dell'Alleanza di Dio con il suo popolo, Gesù prende il pane e il vino non soltanto

come simboli e come significanti, ma come materie del Sacrificio e del Sacramento del suo Corpo e

del suo Sangue nell'Alleanza Nuova. Siamo al vertice della rivelazione e al cuore stesso del mistero

della presenza di Dio tra gli uomini.

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3. Il simbolo sorgente di creatività Nel suo libro Sacro, Simbolo, Creatività (Jaca Book, Milano 1992), Jacques Vidal scrive: "Perché

studiare il simbolo? Dal momento che si tratta di un personaggio misterioso, è necessario che

studiamo la sua oggettività, la sua universalità, la sua qualità scientifica. Esso può aiutare l'uomo

disorientato, nella propria cultura ad avere vedute più ampie, a cogliere il proprio vero orientamento

al di là dei determinismi socio-culturali.

Scopriamo che il pensiero simbolico è intimamente legato al sacro, vi è una correlazione tra

l'identità del simbolo e l'identità dell'esperienza religiosa. L'uno e l'altra vanno insieme".

I. L'emergere dell'uomo creatore

Abbiamo già lungamente parlato del simbolo carta di identità dell'uomo e rivelatore del mistero.

Bisogna ora guardare l'uomo sotto il suo aspetto di creatore. E per questo dobbiamo, ancora una

volta, tornare alle origini, a quel momento in cui l'Uomo si è separato dall'Australopiteco per la sua

specificità di saper creare della cultura. Così noi ritroviamo l'Homo habilis, bipede, eretto, che si

serve delle mani per tagliare gli utensili e degli occhi per contemplare l'orizzonte e la volta celeste.

Però, prima bisogna fare uno studio scientifico a partire dalla paleontologia del simbolo. Questo

studio è stato fatto da André Leroi-Gourhan nel suo libro Il gesto e la parola (1965). Il momento

decisivo fu quello del raddrizzamento dell'essere vivente sui suoi piedi. Questa posizione esteriore è

il segnale di una nuova forza interiore, di una potenza di dominazione sul mondo esterno, di un

nuovo sguardo. Fu anche il momento di quello che Leroi-Gourhan chiama "l'equilibrio antropico",

cioé l'equilibrio umano (anthropos, uomo in greco). L'Homo habilis risponde in modo stabile

all'esigenza della posizione eretta. C'è dunque un dinamismo di verticalità che si manifesta.

A partire da questo bipedismo, da questa verticalità. da questa posizione eretta l'Homo habilis taglia

gli utensili, scopre la simmetria, scopre i colori. In lui il tragitto antropologico permette l'attuazione

di una coscienza creatrice grazie a una luce nuova che non esiste presso le grandi scimmie erette. È

"una luce di trascendenza venuta da altrove", dice Mircea Eliade, storico delle religioni. La Bibbia

interviene qui, per parlarci del soffio di Dio: "allora il Signore Dio plasmò l'uomo con la polvere del

suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Gen, 2,7). Ecco

la risposta decisiva: l'uomo diventa creatore perché ha ricevuto il soffio divino che è venuto ad

animarlo e a staccarlo definitivamente dall'Australopiteco. È la luce della trascendenza venuta da

altrove di cui parla Eliade.

Affinché la comprensione della mia esposizione sia chiara per tutti, riassumo i diversi dati dei livelli

della nostra conoscenza dell'uomo arcaico.

1° livello. Dal 1959 abbiamo una preziosa documentazione archeologica e paleoantropologica

nuova: l'Homo habilis già eretto 2 milioni di anni fa; creatore della cultura di Olduvai; il taglio degli

utensili, a una faccia e bifacciale; la scelta dei materiali; la scelta dei colori; Homo symbolicus,

Homo creator, in crescendo per diventare Homo sapiens. Questa scoperta è la prova dell'unità

psichica della specie umana.

2° livello. L'Homo habilis, erectus ha la coscienza di essere un creatore. Sa di sapere. (Y. Coppens,

1985). Secondo i paleoantropologi, all'origine di questa coscienza si trovano il raddrizzarsi, la

verticalità, l'equilibrio antropico, la facoltà di simbolizzazione, un nuovo sguardo sul mondo

esteriore. L'uomo non si fermerà più nella sua funzione creatrice perché il suo dinamismo interiore

e il suo immaginario sono forze che spingono sempre verso nuove realizzazioni culturali e religiose.

3° livello. La spiegazione paleoantropologica non basta. La spiegazione della psicologia del

profondo non fa che prolungare la spiegazione scientifica ma non è la spiegazione ultima. Per lo

storico delle religioni bisogna andare più lontano poiché le creazioni religiose dell'uomo (culti

funerari, religioni neolitiche, grandi religioni antiche) esigono la scoperta da parte dell'uomo

dell'esistenza della Trascendenza, di un legame tra il Cielo e la Terra, tra l'uomo e la Realtà

trascendente. Mircea Eliade parla "di una luce di trascendenza venuta da altrove".

4° livello. La Genesi ci dice che il Dio creatore ha infuso all'uomo un soffio divino. Questa nozione

di soffio divino è molto importante: bisogna comprenderla nel senso biblico del principio di vita.

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Noi abbiamo qui, l'espressione della rivelazione e della fede ebraica, cristiana e musulmana: il

miracolo della vita.

Dopo questa precisazione relativa all'Homo creator, si apre la prospettiva delle realizzazioni

storiche operate da lui nel corso dei secoli nell'immenso campo delle culture e delle civiltà. Mi

limiterò ad alcuni aspetti relativi alla creatività religiosa.

II. La creatività dell'Homo religiosus del Vicino Oriente antico.

1. La prima grande simbologia religiosa — Verso l'8.000 a.C. a Mureybet sul medio Eufrate

appaiono delle figurine femminili così come delle rappresentazioni simboliche del toro: questi

simboli della donna feconda e del toro precedono la nascita dell'agricoltura. Due millenni più tardi

dei tratti nuovi segnano le figure femminili presentate con più nobiltà da Byblos fino all'Iran: sono

delle donne incinte, regali; un'attenzione particolare è posta per la testa e per gli occhi. Nelle rovine

della città di Catal Huyuk in Anatolia, sono stati scoperte altre statuette di dee-madri, degli affreschi

dipinti e degli alto-rilievi così come delle teste di toro, prova di un culto nel VI millennio. La

diffusione di questo culto della dea-madre e del toro è testimoniata in tutto il Vicino Oriente, sulle

coste adriatiche, a Creta, a Cipro, a Malta e in Macedonia dal VI al III millennio. Le maschere, i

simboli e gli ideogrammi sono la prova dell'esistenza di riti. La scoperta di scene di oranti, le mani

alzate verso la divinità mostra che all'epoca di Catal Huyuk, una vera religione neolitica si era

diffusa in tutto il mondo mediterraneo. L'Homo religiosus ha creato la prima grande simbologia

religiosa.

2. L'uomo Sumero e Babilonese — Nel IV millennio i Sumeri arrivano in Mesopotamia dove

saranno raggiunti dai Semiti venuti dall'Ovest, gli Accadi. I Sumeri inventano la scrittura

cuneiforme, un'invenzione geniale, dovuta al loro immaginario e al loro dinamismo creatore, una

invenzione che è all'origine di una vera esplosione culturale e religiosa di cui abbiamo un mezzo

milione di documenti (Bottero, 1987). In sumero, l'Essere divino è indicato con il vocabolo dingir,

in accade con ilu. Un ideogramma precede sempre il nome divino: una stella che significa che dio è

in alto. Il mondo divino è concepito come un mondo celeste: l'astrologia è la scienza religiosa che

riallaccia il destino degli uomini alle volontà divine. Il divino si divide in molte personaggi

incaricati dei quattro settori: cosmo, astri, natura, città-Stato.

Le divinità sono rappresentate sotto forma umana con, come caratteristiche essenziali, la luce e lo

splendore. Questa luminosità può diventare una forza irradiante attorno alla testa della statua, un

alone che sarà ripreso dall'India, dall'Iran e dall'Occidente. Le statue divine sono riparate nei templi,

residenze divine. Percepito dai fedeli, lo scintillio risplende sui vestiti e all'interno dei santuari. Il

rito dell'incoronazione delle statue degli dei e delle dee è capitale perché conferisce alle statue una

potenza nuova e sovrannaturale. La luce e il fuoco danno al sacro la sua vera dimensione.

Impressionati dalla volta celeste, dalla luminosità degli astri e dal loro corso nel cielo, sensibilizzato

al sacro e cosciente dell'esistenza di un mondo divino trascendente con degli dei e delle dee

organizzati in gerarchia celeste, l'uomo mesopotamico ha creato una religione coerente con delle

statue divine e dei templi, con dei sacerdoti e dei libri sacri, con delle feste e dei culti, con dei

decreti divini e dei sacrifici giornalieri, con dei miti e delle preghiere. Ogni dio abitava nel suo

tempio costruito su una terrazza e sempre ricostruito nello stesso posto. Ma gli dei abitavano anche

nel cielo. Grazie alle ziggurat, torri sacre a piani munite di scale, i sacerdoti salivano a cercarli in

occasione delle grandi feste, specialmente alla festa dell'akîtu che a ogni primavera segnava il

rinnovarsi della vita in mezzo all'allegrezza popolare.

3. La creatività religiosa dell'Egitto faraonico — Dal IV millennio, gli abitanti della valle del Nilo

non hanno cessato di meravigliarsi ogni giorno: al mattino il sorgere del sole che avrebbe percorso

lo spazio della volta celeste per tuffarsi la sera dietro la linea dell'orizzonte; mai pioggia, ma la

crescita annuale del Nilo e l'inondazione della valle con una regolarità impressionante; acqua a

profusione, un limo nero fertile che prometteva bei raccolti, attorno al fiume una vegetazione

lussureggiante sotto un cielo luminoso. L'Egiziano concepiva le origini come un'età dell'oro con

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l'emergere della terra, della luce, dell'uomo e la trasformazione del caos nel cosmo. Tale simbologia

sottintende la sua creatività religiosa e culturale.

Dall'inizio del III millennio, tre teologie simboliste aprono un varco nel mistero delle origini. A

Heliopolis, si pensava a Atoum-Râ, il dio solare creatore di una "collina primordiale" emergente

dall'acqua. Così ogni tempio egiziano è considerato come una copia simbolica di questa collina:

anche la piramide ne è una replica. I teologi di Hermopolis hanno immaginato una simbologia

cosmogonica più complicata: collina originale, isola del fuoco (sole), uovo del mondo, dio in un

fiore di loto. A Memphis capitale della prima dinastia è il dio Ptha che ha creato col suo cuore e la

sua parola l'universo visibile e invisibile, tutti gli dei, le creature viventi, la giustizia e le arti. A ogni

dio — ce n’erano 753 — ha assegnato un posto nel paese e nel cosmo.

Gli dei sono delle potenze simboleggiate con lo scettro regale e personificate con un corpo di uomo

o di donna, o di animale. Per esprimere e simboleggiare la vita, il segno ankh è inciso sui muri dei

templi, sulle statue, sulle steli, è portato dai re e dalle regine, accompagna il defunto nella sua tomba

e sarà ripreso dai copti per simboleggiare la croce di Cristo che dà la vita al mondo.

Tutta la cultura egiziana porta l'impronta di una simbologia sacra, ivi compresa la scrittura

geroglifica riservata agli scribi, i maestri dell'iniziazione. Elaborato secondo la simbologia tripartita

del ka, il soffio divino, del ba, la coscienza personale e del akh, il principio di immortalità, il

mistero della vita ingloba la vita terrestre e la vita dell'aldilà poiché con l'imbalsamazione si rifà al

defunto un corpo di immortalità al quale un rito rende l'uso simbolico della bocca, dell'odorato,

della vista, dell'udito. Maat, lo stato della creazione, della natura e dell'Egitto previsto dagli dei

creatori è un dono divino personificato in dea.

III. Simboli, sorgente di ecclesiologia dei Padri.

Dalla fine del I secolo comincia l'elaborazione di una teologia cristiana che presenta al mondo

contemporaneo della nascita del Cristianesimo una sintesi del messaggio evangelico. Ci fermeremo

alla nascita dell'ecclesiologia e vedremo come prende radici nei simboli del mondo biblico e del

mondo ellenico che gli servono come supporto e fattore di crescita. Insisto sul doppio supporto:

mondo biblico, mondo ellenico.

1. La vigna e l'albero della vita — Il simbolo della piantagione, phuteia, ritorna regolarmente, e

questo simbolo è preso a prestito dal giudeo-Cristianesimo (Daniélou, 1961). La piantagione è un

simbolo che fa riferimento sia alla realtà del Paradiso, dove la piantagione fatta da Yahvé è irrigata

dai quattro fiumi, che alla simbologia della vigna in Isaia 61,2. Secondo San Cipriano "la Chiesa,

come il Paradiso, contiene nei suoi muri degli alberi carichi di frutti. Essa irriga questi alberi con

quattro fiumi che sono i quattro Vangeli attraverso i quali dispensa la grazia del battesimo".

Sant'Ephrem e Ippolito da Roma parlano del Verbo che è l'albero della vita piantato al centro del

Paradiso. Quest'albero della vita piantato al bordo delle acque ritorna come simbolo nelle catechesi

battesimali. Abbiamo a che fare con una serie di testi maggiori nei quali un insieme simbolico

costituisce un gruppo creatore importante per la dottrina della Chiesa: phuteia come simbolo della

Chiesa, l'albero del Paradiso figura del Verbo e annunciatore del battesimo (Daniélou, 1961).

Segue una precisazione: l'albero della vita diviene ceppo di vigna. Questa precisazione è influenzata

dal linguaggio di Gesù che d'altra parte ha le sue radici nella Bibbia poiché Israele è la vigna di

Yahvé in Isaia ed in Ezechiele. Il simbolo dell'unione del ceppo e dei tralci o del tronco e dei rami

per indicare l'unione di Cristo e della Chiesa si trova in Ippolito da Roma e in Zenone da Verona

che scrive che la vigna del Signore fu dapprima la sinagoga poi la Chiesa nostra madre. Diversi testi

dei Padri mostrano il riferimento al simbolo della vigna riferito alla Chiesa nel vangelo di Giovanni

(Gv 15,1-7). Il catechismo dei primi secoli cristiani ha sfruttato questa simbologia nell'ottica

dell'ecclesiologia e all'interno di questa spiega il senso del battesimo e del suo mistero. La

simbologia della piantagione, phuteia, ripresa dal Paradiso terrestre e accentuata dal discorso di

Gesù sulla vigna è servita a segnare un aspetto caratteristico della Chiesa, quello del suo innesto da

parte degli Apostoli e dei loro successori. Questa simbologia diviene una leva della creatività

missionaria dei primi secoli. Così Clemente di Alessandria mostra che i pagani sono trapiantati

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nella buona terra della Chiesa per trovarvi frutto. La Chiesa di oggi ritrova questi grandi simboli

ecclesiologici dell'epoca patristica. Ciò mostra l'attualità del nostro lavoro nella riscoperta della

creatività dei simboli.

2. La nave della Chiesa — La simbologia nautica occupa un posto di rilievo nell'elaborazione

dell'ecclesiologia dei Padri. Questa simbologia è molto ricca di significati e proviene da due mondi

differenti: dal mondo biblico, specialmente dagli avvenimenti della vita di Gesù sul mare di

Tiberiade e nella barca di Pietro, da un lato e dall'altro dal mondo greco che era un mondo di

navigatori.

a. Antenna crucis. L'antenna della croce — La simbologia dell'albero maestro, al quale è attaccato

il pennone che dà così forma ad una grande croce in legno, antenna crucis si trova già presso san

Giustino nel II secolo (Apologia I,55,3 e 4). Due altre figure intervengono: l'arca di Noè e la barca

di Pietro. Per mezzo di questa simbologia combinata, i Padri costruiscono l'ecclesiologia: ai loro

occhi, la Chiesa è la barca composta di numerosi legni diversi ma diretta e guidata dall'albero

maestro che è la croce di Cristo; "crucis ligno portamur" dice Agostino (H. Rahner, 1964). La nave

con il suo albero maestro appare come il simbolo della croce salvatrice. È senza dubbio la forma più

antica del simbolismo salvifico della nave: essa persisterà nel corso dei secoli. In certi testi,

l'antenna è considerata come un luogo di riposo, anapausis, mentre la scala rizzata contro l'albero

maestro permette ai fedeli di montare fino ai cieli. Questa simbologia cosmica della scala è nello

stesso tempo presente sia nella Bibbia che nel culto di Mitra. I Padri la riprendono dandole il suo

vero senso alla luce della croce di Cristo, salvezza degli uomini. Ippolito da Roma ha evocato

specialmente questa simbologia della salvezza.

b. La nave simbolo della Chiesa — Nell'antichità le navi erano costruite in legno e questa stessa

costruzione permetterà un primo significato. Diversi testi del III secolo spiegano minutamente il

simbolismo delle parti costitutive della nave e giocano sul senso dei diversi legni per mostrare gli

elementi umani che entrano nella composizione della Chiesa e per insistere sulla sua unità. Come i

diversi legni non fanno che una nave, così i diversi ordini sono necessari all'unità della Chiesa, una

nave di cui Dio è il proprietario, di cui Cristo è il pilota, di cui il vescovo è la vedetta, di cui i

presbiteri sono i marinai e i diacono i capi rematori. Epiphane ha dettagliato i pezzi della

costruzione e ha mostrato come essi contribuiscono all'unità.

Un'altra sorgente di ispirazione simbolica è l'episodio della tempesta sedata in Marco (Mc 6,47-51).

La visione dei dodici apostoli attorno a Gesù ha creato l'occasione per lo sviluppo del tema della

nave che è la Chiesa luogo di salvezza in mezzo al mondo che assomiglia al mare in tempesta.

Secondo Tertulliano, la barca scossa dai flutti è il simbolo della Chiesa in mezzo allo scatenarsi

delle persecuzioni e delle tentazioni allorché il Signore sembra dormire fino al momento in cui si

sveglia per la preghiera dei santi, simboleggiati dagli Apostoli, egli domina il mondo e rende la pace

ai suoi (De baptismo, XII, 8).

Queste poche indicazioni non sono che una breve introduzione alla vasta simbologia della nave e

della navigazione utilizzata dai Padri nella loro ecclesiologia (vedi H. Rahner, 1964).

Tentativo di sintesi Il simbolo e l'orizzonte dell'anno 2000 — Al termine delle mie tre relazioni sul simbolo vorrei

procedere a una breve sintesi.

Mircea Eliade dice che il simbolo appartiene alla sostanza della vita spirituale e che il pensiero

simbolico precede il linguaggio e la ragione discorsiva. Io ho mostrato che l'Homo habilis si rivela

come un Homo symbolicus e abbozza, con la creazione della prima cultura, l'identità dell'Homo

sapiens. Ho insistito sulle recenti scoperte africane perché sono capitali per la conoscenza

dell'Uomo. Esse permettono di risalire fino alle origini e di coprire ciò che viene chiamato tempora

ignota, i tempi oscuri, durante i quali l'Homo habilis creava le prime culture, e così facendo, si

rivelava Homo symbolicus e Homo religiosus. Eliade ci ha mostrato con tutta la sua opera che lo

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studio dei simbolismi interessa la nostra conoscenza dell'uomo come tale e il ruolo che esso ha

laddove si parla di un nuovo umanesimo e di una nuova antropologia.

Il simbolo è rivelatore dell'invisibile e del mistero. Attraverso il simbolismo della volta celeste

l'uomo arcaico è entrato nel mistero della Trascendenza, ha fatto le prime esperienze del sacro (J.

Vidal, 1992). Queste esperienze si moltiplicheranno e daranno alla coscienza umana una crescita

che non cesserà più. Decifrata alla luce dei simboli, la vita umana rivela le sue profondità il suo lato

divino e sacro. In Mefistofele e l'Androgino, Mircea Eliade spiega come il cosmo parli attraverso i

simboli. Essi rivelano delle modalità del reale che non sono evidenti sul piano dell'esperienza

immediata; essi considerano il reale, cioé il sacro, come cifrario dell'opera divina; essi sono

multivalenti e permettono all'uomo di scoprire una certa unità del cosmo, le sue origini, le sue leggi

che formula attraverso dei miti e dei riti. Il simbolismo religioso ha anche la capacità di esprimere la

coincidenza degli opposti e dei paradossi e guarda sempre delle realtà che impegnano l’esistenza

umana. Così i simboli hanno svelato all'uomo arcaico delle strutture del reale, delle dimensioni

dell'esistenza e hanno dato un significato all'esistenza umana. In altre parole l'Homo religiosus fu

dapprima Homo symbolicus.

Come si pone la questione del simbolismo biblico e della rivelazione nella Bibbia? Abbiamo forse

un rifiuto del simbolismo cosmico? No! perché il simbolismo giudeo-cristiano non contraddice il

simbolismo universale e "certi Padri della Chiesa hanno misurato l'interesse della corrispondenza

tra le immagini archetipe proposte dal cristianesimo e le immagini che sono ben conosciute

dall'umanità" (Eliade 1952). Nella rivelazione cristiana i simboli hanno ricevuto una nuova

valorizzazione, ma questa fu sempre condizionata dalla struttura stessa del simbolo. C'è un

compimento del senso. È il caso dell'acqua nel battesimo. È il caso dell'Albero cosmico che è

ripreso nel simbolo dell'Albero della Croce eretto tra la Terra ed il Cielo.

Il simbolo non è soltanto rivelatore del mistero e dell'invisibile, ma è anche sorgente di creatività e

a questo titolo è all'origine di un vasto campo nelle attività umane. In effetti tutte le culture

affondano le loro radici nell'immaginario dell'uomo. Mettendo in opera una dinamica di unità e di

totalità e mobilitando le pulsioni della vita psichica profonda che Jung chiama "archetipi", il

simbolo sviluppa delle nuove sorgenti di energia. Così l'esperienza simbolica diviene un'esperienza

biologica, essa diviene luce e forza di creazione. A partire da questa esperienza l'uomo passa allo

stadio delle realizzazioni e delle creazioni culturali e religiose.

Le immagini e i simboli esercitano una profonda influenza sulla vita, sull'orientamento, sulle attività

dell'uomo e della società. Bisogna prenderle sul serio e servirsene a ragion veduta. Eliade ha scritto

(1981) che "l'uomo moderno brulica di miti, mezzi dimenticati, di ierofanie decadute, di simboli

profanati e... che la desacralizzazione ininterrotta ha alterato il contenuto della vita spirituale". Ciò

si verifica ogni anno sempre più nelle nostre società occidentali.

Il nostro studio del simbolo e del simbolismo è pienamente di attualità. Esso ci preme per passare

all'azione al fine di usare le nostre forze al servizio dei nostri contemporanei e specialmente dei

giovani. Assistiamo ad un impoverimento drammatico dovuto ai positivismi ed ai materialismi, agli

pseudo-miti del sesso e della droga, ai nuovi simboli di una società alla deriva del godimento e

dell'edonismo. Stiamo per passare dal cosmo al caos.

L'uomo d'oggi deve ritrovare le strutture del reale, le dimensioni e il senso della sua esistenza nel

mondo. Deve ritrovare i suoi simboli, iniziatori all'invisibile, rivelatori del senso e sorgenti di una

nuova creatività. È un passo indispensabile per la creazione di una vera cultura. Ogni anno il

Meeting ce ne consegna degli esempi attraverso le sue esposizioni e le sue mostre artistiche. A voi

l'augurio di continuare perché una delle funzioni del simbolo è di essere promotore. Tra natura,

cultura e religione c'è una missione di legame e di educazione all'invisibile, di trasformazione

d'energia e di costruzione di una alleanza nella società *.

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2 -CAMILIAN DEMETRESCU Pittore e Scultore

Come definire il tempio cristiano? La Chiesa è nata con Cristo, le sue porte si sono aperte duemila

anni or sono e rimarranno spalancate fino alla Parusia, fino alla seconda venuta quando si

chiuderanno per sempre e avrà inizio il Giudizio. Per tutti, per chi sarà dentro e per chi sarà fuori.

Dopo il Giudizio il tempio non avrà più ragione di esistere, come sta scritto nell'Apocalisse di

Giovanni di Patmos perché nella Città sacra, nella Gerusalemme celeste, il tempio sarà Dio stesso.

E non ci saranno altari né roghi accesi per l'olocausto perché il grande sacerdote ha sacrificato se

stesso. Né serviranno candelabri, fiaccole o altri lumi perché tutto risplenderà della propria luce; né

arpe né organi per incantare i silenzi perché nelle anime vibrerà la musica della gioia.

1. Simbolica del tempio cristiano Arca, Etimasia, Corpo di Cristo — Tre significati assume la Chiesa terrena nell'arco di tempo che

scorre da Betlemme fino alla Parusia: Arca, Etimasia, Corpo di Cristo.

La Chiesa è la nuova Arca di salvezza dal diluvio del male insito nella storia stessa dell'umanità.

Quando alla fine dei tempi il diluvio della storia si fermerà, dall'Arca approdata sulla montagna

sacra scenderanno i vivi e dalle valli di fango saliranno a Giudizio i morti rimasti fuori dall'Arca.

La Chiesa è allo stesso tempo Etimasia che in greco significa preparazione, attesa della seconda

venuta. Durante tutto il periodo di attesa della parusia la Chiesa sostituisce la presenza-assenza di

Cristo, e in questo senso è il Corpo di Cristo.

Arca, Etimasia, Corpo divino: tutta la simbolica del tempio è incentrata su questa triade. Non si può

capire la complessità dei significati che stanno alla base della architettura e dell'iconografia cristiana

senza partire da questi tre simboli fondamentali.

Per definizione il tempio è lo specchio in cui si riflette il mondo celeste (Templum era lo strumento

antico per osservare il firmamento). Tutti i tempi rispecchiano la perfezione del creato ed in essa la

presenza divina. Il tempio cristiano, e sta qui la grande novità, non è più l'immagine riflessa del

divino, ma il corpo stesso del Dio incarnato. L'abside è la testa, la navata il corpo, il transetto le

braccia aperte, l'altare il cuore di Cristo, come scriveva Onorio di Autun.

Quando Gesù scacciò i mercanti dal tempio i Giudei gli chiesero conto: "Quale segno ci mostri per

fare queste cose?" Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere".

E i giudei: "Questo Tempio è stato costruito in 46 anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". Ma

"Egli parlava del Tempio del suo corpo", commenta Giovanni (Gv 2,18-21). La Chiesa cristiana è la

Chiesa dell'incarnazione. La si può definire quindi come l'incarnazione dell'antico tempio di

Gerusalemme nel Corpo di Cristo.

Con la Sua morte in croce, moriva anche l'antico tempio. "Il grande velo che copriva il Sancta

Sanctorum si squarciò in due da cima a fondo" (Mt 27,51). Il mistero nascosto agli occhi del popolo

nel tempo ebraico si scoprì agli uomini. Lo spirito si rivelò alla ragione. Al posto del Dio dei

sacerdoti, del Dio severo e vendicatore della vecchia legge venne il Dio degli umili, della

misericordia e del perdono. È questa l'essenza del tempio cristiano. Tutta la sua simbolica riassume

i significati dell'incarnazione del Verbo, immagine visibile del Dio invisibile.

La chiesa cristiana nacque nell'istante stesso in cui lo sguardo di Elisabetta si posò sul ventre di

Maria venuta a visitarla nella sua casa in montagna. "Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di

Maria, racconta Luca nel Vangelo, il bambino (Giovanni Battista) le sussultò nel grembo. Elisabetta

fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e Benedetto il Frutto

del tuo grembo"" (Lc 1,41-42). Incontrando il suo Battista, prima di scendere nell'inferno della

carne, Gesù metteva la prima pietra non contaminata dai peccati del mondo per edificare la Sua

Chiesa.

Il nuovo tempio sorgeva, come nel sogno di Ezechiele, su un'alta montagna, nella casa di Elisabetta,

presso la città di Gerusalemme, nel silenzio del grembo cosmico, non profanato dai rumori del

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cantiere mondano, dai martelli e dalle asce per squadrare le pietre, come voleva la tradizione

ebraica. Le pietre dovevano essere lavorate lontano dal cantiere e portate già tagliate. Si dovevano

soltanto mettere insieme. Le "pietre vive" dovevano combaciare l'una con l'altra nella geometria

della nuova legge annunciata dai profeti.

Come per l'Arca di Noè, per il tabernacolo di Mosè e per il Tempio di Salomone, le proporzioni

della Chiesa sono rivelate da Dio stesso. "Ecco, ti ho fatto il disegno sul palmo della mia mano, le

tue mura sono sempre davanti a me", dice il Signore a Israele (Is 49,16). Ezechiele riceve nel sogno

le misure del nuovo tempio di Gerusalemme, la cui struttura ha una sorprendente analogia con la

Chiesa romanica. Le regole costruttive venivano da Dio che ne è il vero architetto. I costruttori

imitano Dio, eseguendo il Suo progetto. Per questo la Chiesa romanica non è firmata. L'anonimato

medioevale rende omaggio al Grande Costruttore del tempio edificato con le pietre viventi degli

uomini, una Chiesa viva fatta di anime e non di pietre.

Nel rito di consacrazione della chiesa romanica, che dall'XI secolo, fa parte della liturgia, l'inno

riporta le parole di Pietro (2,5): "Beata città di Gerusalemme simile ad una visione di pace, costruita

nei cieli con le pietre viventi". Il vescovo canta benedicendo: "La pietra che è stata buttata dai

costruttori è diventata la pietra d'angolo". Cristo è la pietra d'angolo della Nuova Gerusalemme,

tempio del Suo Corpo.

Se la Chiesa cristiana è il riassunto del cosmo, della genesi, ogni chiesa, corpo di Cristo, è il centro

del mondo, è la nuova Arca che salva l'uomo dal diluvio del male. Entrando nel tempio si entra nel

mistero della creazione e della salvezza. Sono questi i due rami fondamentali dell'iconografia

cristiana.

Orientatio — Simbolo del Centro, la chiesa romanica è costruita in uno spazio sacro consacrato in

tempi immemorabili, spazio da sempre dedicato ad altari e templi. La costruzione di ogni nuovo

altare riprende il mito cosmogonico della creazione del mondo. La scelta primordiale di uno spazio

sacro, seguiva certe tecniche tradizionali tra cui in primo luogo la separazione dallo spazio profano

con un recinto e l'orientatio.

L'analogia uomo-chiesa-cosmo ci aiuta a comprendere il significato di quello che si chiama

orientatio. L'antropologia moderna definisce l'uomo un animale spirituale orientato. Il suo

orientamento agisce in due direzioni: verso la luce (eliotropismo) e verso Dio (teotropismo). Da

sempre l'uomo è stato attratto dalla luce del sole e dal mistero della volta celeste. Il suo duplice

orientamento, orizzontale e verticale, verso il sorgere del sole che dà la vita e verso la stella polare,

centro del cosmo, indica le due coordinate del suo essere nel mondo: vitale e spirituale.

Allo stesso modo è orientato il tempio cristiano, incarnazione di Dio nell'uomo. L'asse longitudinale

è orientata verso il sol levante, verso Oriente (lo dice la parola stessa), e per questo si chiama l'asse

solare, mentre l'asse verticale, axis mundi, collega il tempio alla stella polare.

La simbolica dell'asse solare si svolge tra la luce e l'oscurità. In tutte le mitologie il Paradiso si trova

in oriente, culla del sole, mentre Ade sta in occidente, nella caverna cosmica delle tenebre. Adamo è

stato cacciato dal Paradiso per la porta di ponente, verso un mondo senza luce. L'Ascensione del

Cristo ai cieli ebbe luogo sopra il sol levante. La grande battaglia primordiale tra l'Arcangelo

Michele e Lucifero, per il dominio del creato, fu data sulla soglia tra il regno del sole e l'abisso delle

tenebre nel profondo ovest. Fino al V secolo i cristiani pregavano dinanzi al sol levante, mentre gli

ebrei guardavano nella direzione del Tempio. Le tombe dei primi cimiteri cristiani erano orientate,

il defunto guardava verso il sole che vince le tenebre.

L'asse verticale, axis-mundi, orienta la chiesa verso l'alto, attraversa il centro del gradino che separa

la navata dall'abside e congiunge il cielo, la terra e l'inferno, il divino e il demoniaco. Anticamente

vi era incastrata una pietra che segnava il centro cosmico della Chiesa. La Stella Polare, asso fisso

dell'emisfero boreale, attorno al quale ruota la costellazione dell'Orsa maggiore, è il punto sacro di

riferimento della mitologia stellare. trono di Dio, astro che non tramonta mai, perno dell'universo.

Per Gregorio Magno "l'Orsa maggiore è la Chiesa che ruota attorno alla verità", mentre per Marie

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Madeleine Davy la Stella Polare è "la chiave degli antichi segreti perduti dall'uomo moderno,

tagliato fuori dal cosmo" (Initiation à la symbolique romane).

Orientata in alto verso il trono di Dio, la chiesa romanica può essere orientata orizzontalmente

anche verso il Nord indicato dalla Stella Polare. Il costruttore di chiese romaniche orientava di

regola l'altare verso Est, ma alcuni templi fanno eccezione, come per esempio Santa Maria di

Bominaco presso l'Aquila, con l'altare che guarda a Nord. Questo orientamento in funzione della

Stella Polare si può incontrare anche in luoghi dove sorgevano anticamente templi pagani o celtici.

L'asse orizzontale orienta l'edificio verso il Sole, ma allo stesso tempo unisce i due poli della chiesa:

il polo cosmico rappresentato dal portale d'ingresso, limite e soglia del mondo esterno, e il polo

mistico costituito dall'altare nel cuore dell'abside. Tra i due poli si svolge il percorso iniziatico, il

cristiano entra nel tempio per il portale Ovest. Dalle tenebre del ponente si avvicina gradualmente

alla luce del Sole che splende nell'altare. La porta Ovest era destinata al popolo, mentre il portale

Sud bagnato dalla luce di mezzogiorno era riservato agli iniziati (sacerdoti teologi saggi), già

illuminati dalla conoscenza. Sul percorso iniziatico si svolge la via salutis, la via della salvezza che

dal portale conduce verso l'altare, verso il trono del Verbo incarnato e allo stesso tempo guida in

alto verso il Mistero celeste.

Se la chiesa è il riassunto dell'universo, l'altare è il riassunto della chiesa stessa. La parola altare

viene dal latino altus che significa luogo alto. I gradini che solitamente conducono all'altare,

ricordano la salita del tempio di Gerusalemme, la montagna sacra sulla quale fu edificato. Cuore

della Chiesa che sta nel cuore della montagna sacra, l'altare è il microcosmo in cui si concentra il

mundus, l'intero creato. La liturgia dell'altare che si svolge sotto il Cristo Pantocrator, creatore

dell'universo, rispecchia la liturgia celeste della Genesi.

Quando è alzato su un Martyrium, su una cripta che ospita le reliquie di un cristiano sacrificato per

Cristo, l'altare rispecchia il mondo dei martiri. Talvolta una reliquia è incastrata nella pietra di un

altare. Nell'Apocalisse (Ap 6,9), Giovanni di Patmos scrive: "Quando l'Agnello aprì il quinto

sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio". Nel

rito di consacrazione di un altare, il Vescovo traccia 5 volte il segno della croce con la crisma

dicendo: "Signore che hai fatto la pietra, simbolo della durata e della forza, questa pietra a Te oggi

dedichiamo come Tuo altare".

Simbolica dell'architettura — La geometria dell'architettura romanica è rigorosamente simbolica.

La pianta dell'edificio fondata sul dialogo tra cerchio e quadrato mette a confronto i due simboli

fondamentali del rapporto uomo-Dio. Il cerchio che è simbolo del cielo, del sacro, dello spirituale.

Il quadrato invece rappresenta il cosmo, la materia, la condizione terrena. Per secoli la chiesa

bizantina era costituita da un cubo sormontato da una cupola. Santa Sofia di Costantinopoli ne è il

prototipo. Nel romanico la navata è rettangolare, appartiene alla regola del quadrato. L'abside e la

cupola sono circolari, dedicate a Dio, mentre la navata è destinata al suo popolo. Dio e uomo,

Spirito e materia si incontrano nel tempo mistico e nello spazio terreno del tempio e della liturgia.

Nell’austerità dell’architettura cistercense del XII secolo l’abside è ancora quadrata, poi diventa

poligonale, mentre nel romanico e nelle chiese dei Templari è sempre circolare. La cupola, come a

San Sepolcro di Gerusalemme, rispecchia la volta dell’universo.

Quello che distingue il romanico dall'architettura gotica, o rinascimentale, è la frequente irregolarità

della pianta dell'edificio. Per analogia con il corpo umano la chiesa romanica sfugge al rigore della

simmetria. La vita non è geometrica. I capitelli romanici non sono mai uguali, non si ripete mai lo

stesso motivo ornamentale, come nei tempi neoclassici dove regna la ripetizione modulare. Talvolta

l'abside romanica è deviata rispetto all'asse longitudinale della chiesa per ricordare la testa piegata

di Cristo sulla croce. Questa prevalenza dell'umano sul rigore geometrico, verrà eliminata dal

razionalismo della nuova architettura umanistica, quando il tempio diventerà palazzo e il simbolo si

spegnerà nel puro pretesto decorativo. Il calore del Dio-uomo che respira assieme ai fedeli nello

spazio romanico, vivo e imperfetto come la vita stessa, scomparirà gradualmente dalle gelide

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macchine architettoniche rinascimentali e barocche per disertare del tutto dagli squallidi garage per

le anime del nostro tempo, cioè le chiese fatte oggi.

Alla voluta imperfezione geometrica del romanico si contrappone il rigore simbolico dei numeri,

imperfetta da una parte ma rigorosa per quel che riguarda il simbolo dei numeri. Pari all'Arca e al

Tempio di Salomone, il rapporto ideale tra altezza e lunghezza dell'edificio deve essere di uno a

dieci e di uno a sei tra larghezza e lunghezza.

Sei, numero dell'universo, è il numero dei giorni della creazione, sei sono i punti cardinali della

croce tridimensionale, la stella di Davide a sei punte è composta di due triangoli sovrapposti che per

i cristiani sono le due nature di Cristo: divina e umana.

Dieci è il numero perfetto: due volte cinque [microcosmo (5) + macrocosmo (5) = Dio].

Tre è il numero del cielo. Dio è uno in tre persone, i Re Magi sono tre, simboli delle tre dignità di

Cristo: re, sacerdote e profeta; tre sono i livelli della vita umana: materiale, razionale e spirituale.

Quattro è il numero del quadrato, della materia, del creato, dell'incarnazione, dei Vangeli, quattro

sono i fiumi del Paradiso, quattro le lettere del nome di Yahvé (YHVH) (Y=uomo, H=leone,

V=toro, H=aquila — corrispondente al tetramorfo, ai quattro viventi).

Sette è il numero completo del rapporto uomo-Dio: tre, spirituale, sommato a quattro, materiale.

Sette sono i peccati capitali, sette le Chiese dell'Apocalisse, sette le trombe del giudizio, il numero

sette è la chiave del Vangelo di Luca, costruito su serie di sette, ecc.

Il dodici, tre volte quattro risulta dai quattro punti cardinali moltiplicati per i tre livelli cosmici: il

cielo, la terra e l'inferno. Dodici sono le porte della Gerusalemme celeste, dodici le tribù di Israele,

dodici i mesi dello zodiaco, dodici gli apostoli, due volte dodici sono i vegliardi dell'Apocalisse.

La simbolica dei numeri è profondamente radicata nella struttura e nell'iconografia del tempio

romanico. "Dio ha messo il numero in tutte le cose", scrive Sant'Agostino. Per Boezio, "Un uomo

estraneo alla matematica è incapace di arrivare alla vera conoscenza".

Il mistero dei numeri non investiva soltanto il tempio, dimora del corpo di Cristo. Nel chiostro,

prefigurazione della Gerusalemme celeste, della città sacra, il rapporto tra l'area totale e il quadrato

del giardino interno doveva essere rigorosamente di due a uno, per apparire allo sguardo di uno a

tre, per effetto della prospettiva. Il calcolo matematico essendo impossibile a quel tempo, i

costruttori romanici applicavano il metodo geometrico di Platone, descritto nel dialogo tra Socrate e

lo schiavo (nel Menone), tramandato dagli arabi nel Medioevo.

Il pozzo scavato al centro del giardino, del chiostro, accanto all'albero della vita, segnava l'ombelico

del cosmo attraverso il quale l'axis mundi scendeva nel regno dei morti. Quando il pozzo era

coperto, aveva una tettoia, il Cristo raffigurato affrescato sotto la cupola del tetto si rifletteva nelle

profondità dell'acqua per benedire i defunti.

Il portale — Se l'axis mundi è la via cosmica per la quale il mistero celeste scende nel tempio

romanico, il mondo terreno vi può accedere attraverso il portale. L'invito di Cristo agli uomini della

terra è chiaro come il sole: "Io sono la porta, se uno entra attraverso di Me, sarà salvato" (Gv 10,9).

La porta del tempio di Cristo si è aperta per dire al mondo che le porte del cielo sono spalancate a

tutti fino alla fine dei tempi. Quando si chiuderà avrà inizio la conta delle anime, il grande giudizio,

e rimarrà dentro soltanto chi sarà scritto nel libro della vita.

Il portale è prima di tutto "un arco di trionfo e un trono di Gloria" (Burckhardt). Ma un arco

trionfale che non si apre nello spazio, bensì nel tempo: chi vi entra non passa da un luogo a un altro

luogo ma da un tempo ad un altro tempo, dal tempo della vecchia a quello della nuova legge. Il

portale del tempo cristiano è la soglia che divide la storia dall'eternità.

Il portale riassume simbolicamente la pianta dell'edificio. Il rettangolo dei battenti riproduce la

navata, mentre il timpano ad arco, sovrastante l'architrave, riprende la forma dell'abside. Il popolo

terreno passa attraverso il quadrato dei battenti mentre il timpano semicircolare, simile all'abside e

alla cupola, ospita il Cristo in gloria benedicente. La porta, aperta a tutti fino alla Parusia,

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preannuncia il Giudizio Universale ampiamente rappresentato sui portali di alcune grandi cattedrali

del XII secolo, come Autun, Vezelay e Moissac.

Il Cristo del portale romanico è solare sempre in gloria. Appena un secolo dopo, nel gotico, sarà

sostiuito da un Cristo in agonia, crocefisso. Conseguenza di un profondo mutamento nel pensiero

teologico: al Christus vincit del romanico seguirà il Christus victus. L'uomo-Dio sconfitto dalla

morte prenderà il posto del Dio-uomo che sconfigge la morte. Il mondo solare del XII secolo si

oscurerà. I difensori del gotico parleranno di una umanizzazione del Cristo che soffre come noi

trascurando l'essenza del cristianesimo che non è fondato sull'agonia, ma sulla resurrezione di

Cristo. Muteranno anche alcuni caratteri simbolici. I cornicioni e le grondaie dei tetti si riempiranno

di orrendi mostri, raffigurati con realismo, per infondere il terrore del giudizio e del castigo finale.

All'inizio del Rinascimento il tribunale ecclesiastico chiamato Inquisizione diventerà istanza di

supplizi, proprio quando il nuovo umanesimo metterà l'uomo al centro dell'universo.

Tre sono i temi fondamentali illustrati dai portali romanici: la Psichomachia, la vita di Cristo e il

Giudizio Universale. Temi che corrispondono a programmi iconografici determinati da certe

influenze architettoniche, estetiche, morali e teologiche.

La Psicomachia, ovvero la lotta fra le virtù e i vizi per il possesso dell’anima, è un tema nato

dall’omonimo poema dello scrittore catalano Prudenzio, vissuto nel V secolo, che ebbe una vasta

diffusione nel medioevo. Il tema fu raffigurato prevalentemente sugli archivolti dei portali romanici

privi di timpano, in un’ampia area geografica estesa nell’ovest della Francia. Le chiese con simili

timpani si trovano sulle vie di pellegrinaggio che scendevano da Mont Saint Michel verso Santiago

di Compostela.

Il tema è abbinato sui portali ai segni zodiacali e ai simboli delle vergini sagge delle vergini stolte,

ai quali si aggiunge il simbolo giovanneo dell’agnello mistico. Prendiamo come esempio il portale

ovest della chiesa romanica di Aulnay, nel centro ovest della Francia, eretta sulla via di

pellegrinaggio che portava da Poitier a Compostela. Il portale ovest era destinato al popolo, il tema

iconografico aveva dunque una funzione educativa, oltre che di richiamo ai valori spirituali del

vangelo.

La composizione del portale è disposta su quattro archivolti che illustrano i tre livelli, o le tre vie

della vita cristiana: terrena, spirituale e celeste. Sull’archivolto superiore i segni zodiacali e i lavori

delle stagioni parlano della via terrena, della sopravvivenza materiale dell’uomo.

I due archivolti mediani sono dedicati alla salvezza dell’anima: sull’arco di sopra, a sinistra, le

vergini sagge con la lampada dritta, simbolo della vigilanza spirituale, a destra le vergini stolte, con

la lampada rovesciata, senza olio, simbolo dello smarrimento. In mezzo lo Sposo, Cristo, nella sala

del banchetto.

Sull’archivolto inferiore le sei virtù con scudo e lancia che calpestano i vizi: Patientia-Ira, Castitas-

Luxuria, Humilitas-Superbia, Largitas-Avaricia, Fides-Idolatria, Concordia-Discordia. In mezzo

una corona, simbolo della vittoria, del premio divino.

Sull’ultimo archivolto l’Agnello risorto, in mandorla, fiancheggiato da angeli, simbolo della via

celeste.

Cristo appare quattro volte su questo portale, in diverse ipostasi. Al centro dello zodiaco, raffigurato

dal cancro, segno del mese di giugno, solstizio d’estate, assimilato a Cristo come "solstizio eterno",

del sole che non tramonta mai. Sul secondo arco in mezzo al banchetto eterno, come Sposo

promesso alle vergini sagge, e sotto come corona delle virtù trionfanti sui vizi. E infine, come

Agnello sacrificale e risorto, in mandorla, fra gli angeli.

Era una simbolica familiare ai contadini del tempo. "Il gioco degli sposi", parabola evangelica

recitata da attori che giravano per le città nel XII secolo, godeva di un grande successo. Un simile

linguaggio colpiva direttamente, ammoniva ed istruiva senza spaventare, senza aggredire e

terrorizzare le anime con immagini di demoni e mostri terribili come in certi apocalissi in cui il

realismo brutale prevaleva sul simbolo. Ovviamente la scelta iconografica corrispondeva ad un

temperamento più sereno e gioioso, pur nel timore del Giudizio di Dio e delle trappole del peccato.

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Sul portale di mezzo giorno, destinato agli iniziati, ai teologi, ai maestri della parola, si svolge su

quattro archivolti sovrapposti uno dei più spettacolari sinedri di simboli di tutta l’arte romanica.

Sull’archivolto superiore 35 personaggi, uomini e animali bizzarri compongono il physiologus, un

vero bestiario simbolico sui temperamenti e sul comportamento umano: animali fantastici, sfingi,

dragoni, sirene e tritoni, simboli di tentazioni pericolose, cervi e caproni, asini e uomini che

cavalcano leoni (i quattro temperamenti), i vizi della carne e quelli dello spirito, uccelli e testa

d’uomo (l’anima che lascia il corpo), asini che suonano l’arpa (l’eterna presunzione umana) e

perfino la messa ridicola, tutto il carnevale variopinto della condizione umana sfila sull’arco del

portale.

Sui due registi mediani i 24 vegliardi dell’Apocalisse sono raffigurati ben due volte. In alto, seduti

sul trono con sopra il capo la corona, i vegliardi tengono in una mano l’ampolla e nell’altra un liuto.

Sull’arco sottostante, i vegliardi, in piedi, tengono in modo alternato uno l’ampolla e un altro un

libro. Ci troviamo di fronte a simboli di una eccezionale importanza.

L’ampolla, in mano ai vegliardi seduti sul trono, è simbolo della conoscenza rivelata attraverso la

preghiera, la meditazione, la conoscenza preadamica, prima del peccato, quando l’uomo parlava la

lingua degli dei ed era immerso nei misteri dell’universo senza dover tribolare. È la via della

conoscenza dell’assoluto. Il libro che tengono i vegliardi nel registro inferiore è invece simbolo

della conoscenza acquisita con lo sforzo della ragione, la conoscenza postadamica, dopo il peccato,

quando l’uomo fu condannato a guadagnare, d’ora in poi, la conoscenza con il sudore della sua

mente. È la via della conoscenza relativa, caduca e contraddittoria nello scorrere del tempo. Un

tema fortemente significativo nel dibattito perenne tra ragione e rivelazione, soprattutto in un

mondo come il nostro in cui la ricerca spirituale è stata completamente accantonata a beneficio

unilaterale di una conoscenza pragmatica, meramente utilitaria; squilibrio che ha portato ad una

grave alienazione della coscienza dell’uomo.

Il contrasto fra i due registri sul portale di Aulnay non è manicheo. Sull’archivolto inferiore non a

caso l’ampolla e il libro sono abbinati, così come le sette Arti liberali su cui poggiava l’istruzione

del tempo, erano composte dal trivium — la grammatica, la retorica, e la dialettica — arti della

parola, del verbo, chiamate artes sermocinales, e dal quadrivium — l’aritmetica, la musica, la

geometria e l’astronomia — arti di numeri, della ragione positiva, denominate artes reales.

Il tema delle due vie della conoscenza si è largamente diffusa sui portali delle pievi di

pellegrinaggio e della cattedrali del centro-ovest della Francia, fino ai Pirenei, ma nessuno ha

raggiunto il livello artistico e la complessità simbolica del portale di Aulnay.

2. Simbolica dell’iconografia cristiana La visione dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos costituisce il grande serbatoio simbolico

dell’iconografia cristiana. Senza questo straordinario tesoro di simboli che ha infiammato

l’immaginazione degli artisti di tutti i tempi, il messaggio escatologico del vangelo sarebbe rimasto

confinato nei limiti della parola scritta, non sarebbero mai nati tanti capolavori dell’arte medievale.

Negli ultimi secoli del primo millennio si usava leggere in chiesa, nella settimana santa,

l’Apocalisse. Il priore del convento di Liebana, nel nord della Spagna, un certo Beatus, consapevole

della difficoltà per il popolo semplice di capire i simboli del testo giovanneo, scrisse un commento

in parole povere, alla portata di tutti. Il commento si diffuse rapidamente ed ebbe una grande

fortuna. Illustrato da numerosi miniaturisti dei conventi della Catalogna soprattutto, entrò nella

liturgia pasquale con la novità di una vera catechesi audiovisiva: mentre si leggeva il brano in

chiesa, l’immagine dipinta a rovescio, sul rotolo, era esposta allo sguardo dei fedeli che vedevano il

simbolo commentato. Fu una rivoluzione che riportò in primo piano, alla luce del giorno, il

profetico e sconvolgente libro di Patmos.

L’insieme dei manoscritti miniati su pergamena, datati intorno al mille e custoditi nei più prestigiosi

musei del mondo, sono entrati nel patrimonio della cultura medievale con titolo generico di

Apocalisse del Beatus. Lo studio comparato di questi straordinari esemplari ci aiuta a decifrare e a

identificare alcuni dei più importanti archetipi dell’iconografia cristiana.

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La chiave fortemente simbolica della visione giovannea ha costituito dal principio un forte ostacolo

nella comprensione dei significati, rimasti tuttora avvolti nel mistero, malgrado gli innumerevoli

commenti e tentativi di decifrarli. Eppure, la maggior parte degli archetipi dell’iconografia cristiana

provengono da questo poderoso serbatoio di simboli che è l’Apocalisse. Prima di entrare nella

foresta di capitelli, mosaici e vetrate che brulicano nella penombra del tempio, bisogna ricordare

alcuni dei simboli giovannei che hanno maggiormente colpito l’immaginazione degli artisti.

Il Cristo con la spada a doppio taglio in bocca, simbolo del Verbo trionfante sul male; il Cristo in

trono circondato dal tetramorfo, simbolo dei quattro evangelisti: Giovanni-l’aquila, Matteo-

l’angelo, Marco-il leone, Luca-il toro, raffigurazione di origine babilonese trapiantata da Giovanni

nell’iconografia cristiana; la trasmissione del libro quadrato, a simbolo del trapasso dalla vecchia

alla nuova legge incarnata nel Vangelo, il libro quadrato che sostituisce l’antico rotolo ebraico; il

trionfo dell’Agnello immolato, circondato dai 24 vegliardi dell’Apocalisse (le 12 tribù di Israele più

i 12 apostoli); i Sette candelabri d’oro e le sette lampade che inquadrano il trono di Cristo —

simboli delle sette Chiese, (sette, numero perfetto che riassume l’intera Chiesa); i quattro cavalieri

dell’Apocalisse, simboli della follia umana, dell’infinita scalata di guerre e massacri della storia; la

Vergine vestita di sole con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle (i 12 apostoli).

Minacciata dal drago che si appresta a divorare il neonato, la donna grida per le doglie del parto.

Madre del nuovo Adamo, la Vergine è simbolo della Chiesa militante in lotta perenne con la bestia

a sette teste e dieci corna.

Agnus Vincit, la vittoria finale del Verbo di Dio, la vittoria di Gerusalemme contro Babilonia, prima

della chiusura della storia e delle porte della Chiesa, per il Grande Giudizio.

La nuova Gerusalemme, la città eterna, la Sposa dell’Agnello. Visione del nuovo cielo e della nuova

terra, senza il mare, simbolo del tormento eterno, della storia.

I quattro fiumi del paradiso "con acque limpide come cristallo che scaturiscono dal trono

dell’Agnello", simbolo dell’acqua viva della Verità che irriga il deserto del mondo.

L’Apocalisse e il Giudizio Universale — Su alcuni timpani delle grandi cattedrali romaniche il

Cristo glorioso, affiancato dalla Vergine e dai santi, presiede il Giudizio Universale, lo straordinario

evento che conclude la storia umana nel quarto e ultimo libro dell’Apocalisse di Patmos.

Ma attenzione! L’Apocalisse non è il Giudizio Universale. Al Giudizio Giovanni dedica soltanto

quindici righe. Quindici righe, nemmeno tutte insieme: dieci, dopo la vittoria finale contro la bestia

e il falso profeta (Ap 20, 11-15), tre nella descrizione della Nuova Gerusalemme (Ap 21, 8), e le

altre due alla fine, prima dell’Epilogo (Ap 22, 15). È tutto eppure queste quindici righe contengono

le parole di fuoco che hanno acceso la visione creatrice degli artisti di tutti i tempi. Senza questa

manciata di righe non sarebbero esistiti né i Timpani di Autun, Vezelay e Moissac, né il grandioso

mosaico di Torcello, né l’affresco della Cappella Sistina, né quello di Voronetz.

L’Apocalisse è prima di tutto la visione delle sciagure inflitte all’umanità dal diluvio del male della

storia, conseguenza del rifiuto dell’uomo di rinunciare a satana e alle sue opere. È la conclusione

logica delle sue scelte storiche che offendono il creatore, deturpano l’armonia cosmica del creato,

portano alla distruzione della natura e l’annientamento della vita. L’Apocalisse è l’uragano che si

abbatte sul destino umano in ogni epoca e che arriverà al culmine prima del Giudizio. È la

prefigurazione della fine della storia, inesorabile, senza ritorno.

L’Apocalisse descrive ampiamente l’abisso di malvagità in cui l’umanità precipitò dopo la caduta

originale continuando a sprofondare in ogni epoca. È una vasta istruttoria che prepara il Giudizio e

allo stesso tempo ammonisce e richiama l’uomo sulla via della salvezza.

Nell’ampio Giudizio Universale del timpano di Autun le quindici righe della "rivelazione

giovannea" (in grego Apocalisse significa rivelazione) rieccheggiano in un grandioso oratorio di

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pietra, scandito dal contrappunto di luci e ombre che danno vita ai protagonisti della visione di

Patmos.

Al centro, nella mandorla che unisce il Cielo alla terra, il Cristo in gloria con le braccia aperte deve

solo dar via al Giudizio. Tutto è pronto, ognuno è al suo posto: alla Sua destra la Vergine Maria, il

paradiso e San Pietro con le chiavi in mano; a sinistra i due profeti Enoch ed Elia, San Michele con

la bilancia per la pesa delle anime e i militi del diavolo che prenderanno in consegna i dannati. In

basso, sull’architrave, a destra la schiera dei beati che guardano la luce di Cristo, a sinistra i dannati

con lo sguardo disperato rivolto in senso opposto, verso le tenebre. Tutto è attesa, come il trono

dell’Etimasia che è la chiesa stessa, con le porte spalancate, ancora, fino all’ultimo giorno.

La Via Salutis — Se in senso architettonico il portale romanico riproduce la pianta del santuario, in

senso iconografico preannuncia i temi fondamentali dell’abside: Cristo in gloria e la Vergine,

simbolo della Chiesa militante. Il portale e l’abside sono i centri dei due poli — cosmico e mistico

— entro i quali si svolge la Via Salutis, il percorso iniziatico che conduce dalla soglia del tempio

fino all’altare.

Varcata la soglia si entra nel mistero del tempio cristiano, preannunciato dall’iconografia dei portali

e della facciata. Si passa non da uno spazio esterno ad uno interno, ma da un tempo ad un altro

tempo: dal tempo della vecchia a quello della nuova legge. Appena entrato, il pellegrino si sente

dentro il ventre di una Arca che naviga sulle acque di questo mondo, ma in un altro tempo. I moniti

della Psichomachia, gli avvertimenti delle vergini sagge, la fermezza delle virtù in lotta perenne con

i vizi umani, rappresentano sugli archivolti romanici, l’inesorabile resa dei conti del Giudizio finale

istoriato sui timpani; l’immagine gloriosa del Cristo circondato dai quattro viventi, gli hanno già

anticipato i ritmi del nuovo tempo in cui sta per inoltrarsi.

Arca di salvezza dal diluvio del male, Etimasia — trono del salvatore in attesa della Parusia, corpo

di Cristo, la Chiesa è il grande orologio cosmico che scandisce il tempo rimasto fino alla fine della

storia, quando le sue porte si chiuderanno per il Giudizio e avrà inizio il tempo eterno.

L’importanza della soglia, come dell’intero portale è immensa. L’ingresso delle chiese carolingie

era custodito da arcangeli; potenti leoni difendevano i portali romanici, e non solo dal maligno

personificato dagli "spiriti del deserto", ma anche dalle eresie. La Chiesa cristiana è aperta a tutti,

l’interdizione riguarda i nemici, i distruttori della fede, uomini o spiriti che siano. Il lato nord delle

chiese a tre portali era particolarmente difeso dalle insidie del demonio. Certe volte animali feroci

raffigurati sui modiglioni dovevano spaventare e tenere lontani i malfattori dello spirito, il falsi

profeti, i falsi messia.

Dalla soglia inizia il percorso iniziatico che conclude, sull’asse solare del tempio, verso il polo

mistico dell’altare, al centro dell’abside. Su questo percorso si svolge la Via Salutis, guidata dai

simboli raffigurati sui capitelli, negli affreschi, sulle vetrate, nei mosaici, simboli che per Marie

Madeleine Davy sono "le pietre miliari" nel cammino della conoscenza del sacro ("Initiation à la

symbolique romane").

La prima prova iniziatica che doveva affrontare il pellegrino nell’esperienza mistica del tempio,

appena varcata la soglia, era la prova del labirinto, rappresentato sul pavimento subito dopo

l’ingresso nella chiesa. Nella mitologia greca Teseo combatte il Minotauro al centro di un labirinto,

e ne esce dall’incantato percorso, che sembra senza uscita, grazie al filo di Arianna.

Nella cultura mediterranea il labirinto diventa simbolo della difesa di un centro: di una città, di un

santuario, di una tomba. Simbolo di difesa contro i non iniziati, contro gli ignoranti e i profanatori.

Costruito con tessere di pietra a colori contrastati, incastrate nel pavimento, il labirinto aveva il

significato del difficile cammino dell’uomo verso la verità, verso la salvezza. L’uomo entra nel

labirinto con la nascita e durante il lungo e tortuoso percorso della sua vita si avvicina al centro, alla

Gerusalemme celeste. Per chi raggiunge la meta, la morte significa l’ingresso nel Paradiso. La fede

è il filo di Arianna che conduce l’uomo alla salvezza.

Contrariamente al mitico labirinto costruito da Dedalo, il labirinto raffigurato nella chiesa cristiana

non ha vicoli ciechi, bivi ingannevoli, trappole mortali. Il percorso è continuo ma faticoso; un

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cammino di grande sforzo e di perseveranza che porta alla conquista eroica e mistica

dell’immortalità.

Il labirinto di Chartres, l’unico che si conserva ancora, con un diametro di 13 metri, esteso sul

pavimento da un colonnato all’altro della navata centrale, sviluppa un percorso di più di 260 metri,

che venivano percorsi in ginocchio dai pellegrini. Chiamato "la via di Gerusalemme", il labirinto

ricordava anche il percorso del calvario di Cristo sul Golgota. Presente nelle cattedrali di Sens,

Arras, Amiens, Auxere, e in molte altre chiese, è scomparso durante i secoli, man mano che i

significati simbolici del tempio cristiano furono dimenticati.

A Reims, nella cattedrale dell’Incoronazione dei re di Francia, è stato distrutto nel 1825, per

decisione del Capitolo. Un "benefattore", per di più canonico, ne ha pagato mille libbre per la

demolizione, considerando un dovere di estirpare dalla cattedrale una simile "indecenza", che

generava confusione, attirava i bambini e gli stolti.

Fortunatamente in Italia se ne conserva ancora qualcuno. Lo si può vedere tuttora sui pavimento di

San Vitale a Ravenna, mentre a San Michele di Pavia, metà del labirinto ancora conservato è

nascosta nell’abside da un tappeto pesante.

Dopo il portale, il labirinto costituisce la prima soglia della Via Salutis. Superata la prima volta, il

pellegrino guarda indietro per contemplare il cammino percorso. Sulla parete ovest, all’interno della

chiesa, vede, come a Torcello, raffigurato il Giudizio, con i suoi moniti e richiami all’inevitabile

scadenza del destino umano. Oppure, come a San Savino, nel Poitou, incontra lo sguardo di Maria

sul timpano interno, sopra la porta, simbolo della Chiesa militante in eterna lotta col drago che fino

alla fine dei tempi tenterà di divorare il frutto del suo ventre: la Chiesa, il corpo di Cristo. Dai primi

passi verso la mèta del suo cammino, l’altare, gli occhi del pellegrino rivolti verso l’alto si fermano

sui capitelli istoriati.

Il trapasso dalla vecchia alla nuova legge è rappresentato magistralmente su uno dei capitelli di

Vezelay, intitolato "Il mulino mistico". In alto a sinistra un personaggio (Mosé) versa in un piccolo

mulino con la ruota segnata da una croce il grano grezzo della vecchia legge. Sotto, a destra, un

altro uomo (San Paolo) raccoglie in un sacco la farina bianca della nuova legge, macinata dal

mulino mistico di Cristo. La forza espressiva, la chiarezza e la semplicità dell’immagine spiegano di

colpo l’essenza del cristianesimo, il compimento della primitiva legge ebraica, fondata sulla durezza

del Dio vendicatore, nella farina della nuova legge di Cristo, purificata dalla dottrina dell’amore. Il

simbolo rimane inciso per sempre nella mente del pellegrino.

Il concetto di incarnazione, su cui poggia tutta la simbolica del tempio cristiano, veniva raffigurato

con la stessa semplicità. In certe immagini medievali, sotto il piede del Cristo in trono, come

nell’evangeliario di Sant’Omero, oppure sulla croce, veniva tracciato un quadrato iscritto in un

cerchio. Simbolo del Cielo, di Dio, del sacro, il cerchio si fa quadrato, lo spirito si fa materia, Dio

scende nell’uomo. Era il modo più diretto per rappresentare l’idea di incarnazione del Verbo,

usando le virtù simboliche della geometria.

La Trasmissione del libro quadrato, tema frequente nei manoscritti dell’Apocalisse del Beatus, di

cui abbiamo già parlato. Quando Dio trasmette a Giovanni, per mezzo di un angelo, il libro

quadrato del Vangelo si compie l’atto di incarnazione della vecchia legge in quella nuova. La

vecchia legge era stesa su rotoli proibiti agli occhi del popolo (Yahvé chiuso nel cerchio ermetico

degli iniziati), mentre i vangeli furono scritti sulle tavolette degli scribi romani, aperte a tutti. La

forma quadrata dei vangeli è simbolo della Verità divina incarnata, e corrisponde al Verbo

manifestato nella storia.

L’incarnazione di Cristo è raffigurata sui capitelli della navata nei suoi momenti essenziali:

l’Annunciazione, la Visitazione di Maria — l’incontro di Cristo con il suo battista, Giovanni,

entrambi nel grembo delle madri, nella casa di Elisabetta, incontro che segna la nascita della Chiesa,

la Natività a Betlemme, l’Annuncio ai pastori, i Re Magi, il Massacro degli innocenti, il Battesimo

di Cristo, temi onnipresenti nell’iconografia romanica. La vita e il destino terreno di Cristo, la

predicazione, i miracoli, l’esperienza del deserto, le tentazioni, la passione e la croce, conseguenze

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inerenti all’incarnazione, sono i temi istoriati sui capitelli, sulle colonne affrescate, sulle vetrate,

temi che introducono e preparono le anime dei fedeli al mistero della resurrezione.

Le apparizioni del Cristo risorto a Maria Maddalena, a Tommaso e ai discepoli, l’Assunzione, sono

raffigurate nelle chiese con deambulatorio sui capitelli che circondano l’altare.

Se la facciata o il portale romanico illustra uno dei tre temi capitali — la Psichomachia, la vita di

Cristo o il Giudizio universale — scelta corrispondente a determinare aree culturali, l’iconografia

interna della chiesa è un intreccio complesso di più temi, disposti secondo un determinato criterio

simbolico: sul lato nord del transetto, come a Aulnay per esempio, dove erano ospitati i pellegrini in

cammino verso Santiago di Compostela, i capitelli rappresentano eroi biblici, San Giorgio che

sconfigge il drago, l’ultimo abbraccio tra Pietro e Paolo, ma anche l’avaro con la borsa appesa al

collo, divorato dai leoni, parabola che incitava i pellegrini alla carità. Sul lato sud, invece, sono

raffigurati demoni e dannati, Caino che uccide Abele, Dalila che sconfigge Sansone, i leoni della

prova dei neonati.

Soggetti della vita di Cristo si alternano con episodi del vecchio testamento, dell’Apocalisse di

Giovanni e del Giudizio finale, allegorie di vizi e virtù, sirene a due code, centauri, dannati, uomini

in lotta con le belve feroci delle passioni carnali, uccelli fantastici, simboli vegetali, acrobati,

animali solari, serpenti e draghi immaginari, tutto riconducibile al tormento eterno della coscienza

umana, ai moniti della Psichomachia di Prudenzio, ai simboli del paradiso e dell’inferno. Il bestiario

di Cristo accanto a miti pagani cristianizzati, leggende antiche e teologie popolari, proverbi e

credenze, precetti morali fusi in forme e moduli ornamentali arrivati dall’oriente o dall’islam

iberico, canoni bizantini abbinati a segni celtici, tutto partecipa a quel inesauribile serbatoio di

simboli dell’arte romanica destinata ad accendere e mantenere accesa la fede dell’uomo medievale.

Un uomo che non conosceva la parola profano, per cui tutto era o divino o demoniaco, antagonismo

radicale che sta alla base di tutta l’iconografia romanica. Per un simile uomo sarebbe stato

impossibile concepire il mondo profano di oggi, il relativismo della morale laica imperante perfino

in certi ambienti clericali. Per questo il confronto dell’uomo moderno con la simbolica medievale,

quando riesce a superare la soglia del turismo culturale o dell’archeologia estetizzante, può

ricondurlo a meditare sul vuoto di significati della vita di oggi.

Fra i temi cristianizzati delle mitologie antiche, oltre il labirinto, dobbiamo ricordare il mito di

Orfeo, assimilato a Cristo, che pari all’eroe greco scende nell’inferno della carne per salvare la sua

beneamata Euridice — l’anima umana — morsa dal serpente velenoso del peccato originale.

Simile ad Apollo, Cristo, astro-re, porta nel mondo il carro alato della luce del sole. La natività a

Betlemme è stata collocata simbolicamente subito dopo il solstizio d’inverno, che segna la rinascita

dell’astro solare.

Un capitello di Vezelay, raffigurante un grande uccello rapace che rapisce un bambino, riprende il

mito di Ganimede, così come a Saulieu, su un altro capitello, due aquile con le ali spiegate portano

al Cielo il corpo di San Vincenzo. Il soggetto s’incontra sui mosaici delle catacombe di San

Sebastiano in Roma, su una delle porte della basilica di San Pietro e su alcune pietre tombali e

sarcofagi paleocristiani.

Abbonda nell’iconografia romanica la sfinge in varie ipostasi, anche la sfinge tetramorfa, simbolo

di difesa del tempio.

Quando l’iconografia non si limita ai capitelli che fiancheggiano la navata, lo sguardo del pellegrino

cammina con gli affreschi della volta verso l’altare, come a San Savino di cui abbiamo già parlato.

Tutta la storia biblica del creato sfila davanti ai suoi occhi per ricordargli l’epopea del suo destino

umano. E quando l’affresco invade tutto il tempio, perfino le colonne e le pareti, in una decorazione

continua, come a Brioude o Issoire, o nei monasteri della Bucovina romena, affrescati interamente

anche all’esterno, il pellegrino di oggi vive la Chiesa come hierofania del paradiso. Vive la Chiesa

come arca di salvezza dalle brutture del mondo, in questa civiltà in cui la bellezza è naufragata

nell’utile, in un mondo in cui le chiese nuove sono diventate "garages per la anime", come la

chiama Sedlmayr.

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Parlare di architettura della chiesa di oggi, schiacciata, umiliata, degradata dall’ignoranza dei

simboli, dalla perversa alienazione dei residui iconografici, sarebbe come affondare il coltello in

una piaga dolorosa. I tempi sono cambiati, dicono gli umanisti di oggi; le vergini stolte si sono

ribellate al sopruso della morale bigotta, le virtù calpestate dai vizi hanno perso scudo e lancia;

intanto l’iconografia moderna non ha più bisogno di simili temi. Cosa dire delle cosiddette vetrate

astratte o informali che sono state imposte dalle commissioni delle bellearti nei massimi monumenti

romanici della Francia, per esempio?

Per rincuorarci pensiamo alle vetrate della cattedrale di Chartres. Nel XII secolo 45 confraternite di

artigiani avevano sponsorizzato la realizzazione della più mirabile opera di vetrate mai viste fino ad

oggi. Tutte dedicate all’Anima di questo mondo. La straordinaria storia di Carlo Magno raccontata

col fuoco dei colori era stata donata dalla corporazione dei drappieri. Come trattenere un sorriso

amaro pensando all’uso che si fa oggi dei fondi pubblici e privati destinati alla cultura sacra

"moderna"?

Proseguendo sulla Via Salutis il pellegrino si avvicina all’altare, centro e punto di arrivo

dell’iconografia cristiana. Il Cristo risorto, in gloria, il Cristo pantocrator-cosmocrator-chronocrator,

regnante sulla volta dell’abside, come a Monreale o Cefalù, è la mèta del percorso salvifico. Dal

portale d’ingresso l’uomo va incontro al polo mistico dell’altare, mentre il divino va incontro

all’uomo sulla soglia del sancta sanctorum. Lo accolgono i monumentali mosaici del Cristo

benedicente o della Vergine, sulle volte di tutte le chiese, dall’oriente bizantino, culla

dell’iconografia basilicale, fino all’estremo occidente mediterraneo.

L’iconografia dell’abside sta in una stretta corrispondenza con il tema del portale. Se il timpano

esterno raffigura Maria, sulla volta dell’abside troneggia la Vergine in gloria come nel mosaico di

Focide, oppure la Vergine col bambino, come sulla volta dell’abside di Torcello.

In alcuni santuari, quando manca il monumentale Cristo Pantocrator, regna nell’abside un silenzio

iconografico avvolto nel mistero di una suprema attesa. Al posto del redentore vi è rappresentata

l’Etimasia, il trono vuoto di Cristo, simbolo della Sua presenza-assenza, aspettando la Parusia, la

seconda venuta, con le insegne della Sua regalità divina e universale, lo scettro e il globo, oppure il

Libro o la croce, come sulla cupola del Battistero degli Ariani, a Ravenna, o nel mosaico del trono

bizantino a San Paolo fuori le mura.

Al Concilio di Efeso e al secondo Concilio di Nicea, il Vangelo, simbolo di Cristo, fu solennemente

deposto sul trono d’onore dell’assemblea dei vescovi. Per la prima volta l’Etimasia fu vissuta dalla

Chiesa, non solo raffigurata.

Il terzo tema dell’abside, oltre il Cristo Pantocrator e la Vergine – simbolo della Chiesa militante, è

L’Albero della croce, rappresentato sui mosaici di San Giovanni in Laterano, e di San Clemente a

Roma. La croce è la colonna vertebrale della Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse. Per chiarire

questo concetto ricordiamo la leggenda apocrifa del Viaggio di Seth nel Paradiso:

"All’età di 932 Adamo, ammalato da una malattia mortale, manda suo figlio Seth alla porta del

Paradiso per chiedere all’arcangelo che la custodisce l’olio della misericordia. Seth parte, seguendo

le orme dei passi dei suoi genitori cacciati dal Paradiso, orme sulle quali l’erba non era mai

cresciuta. Incontra l’arcangelo, che lo consiglia di guardare tre volte dentro il Paradiso. Seth

ubbidisce.

La prima volta vede l’acqua, i quattro fiumi che scaturiscono dai piedi di un albero secco. La

seconda volta vede un serpente attorno all’albero secco. La terza volta vede l’albero che si alza fino

al Cielo, e nella sua chioma secca, in alto, vede un bambino neonato.

L’arcangelo spiega a Seth le tre visioni e annuncia la venuta di un redentore che salverà i suoi

genitori dal peccato. Poi gli mette in mano tre semi del frutto fatale mangiato dai genitori, per

metterli sulla lingua di Adamo che morirà entro tre giorni. Seth ritorna e racconta al padre le parole

dell’arcangelo. Adamo, dice il testo apocrifo, ride per la prima volta dopo la cacciata rallegrandosi

per il redentore e la sua salvezza. Dopo tre giorni muore.

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Dai tre semi spuntano sulla tomba di Adamo tre alberi che vivranno fino al tempo di Mosé. Costui li

trapianta sul monte Tabor, al centro del mondo. Dopo mille anni il re Davide riceve l’ordine di

portarli a Gerusalemme, dove i tre alberi si fonderanno in uno solo. Dal suo legno fu fatta la croce

di Cristo.

Durante il supplizio il sangue del crocefisso cade sul teschio di Adamo sepolto ai suoi piedi e lo

lava dal peccato. Nello stesso istante la croce si trasforma nell’albero della vera vita.

La leggenda è una catena di simboli: ai piedi dell’albero della croce nacque il primo uomo Adamo

— fu consumato il peccato originale — Abele fu ucciso per mano di suo fratello — morì e fu

sepolto Adamo — nacque Cristo, il secondo Adamo — fu crocefisso il redentore — Cristo risorse

dalla croce che diventò l’albero della vita eterna.

È fuori di dubbio che si tratta di uno dei temi fondamentali del cristianesimo. Nel XII secolo è stato

raffigurato in maestà sul mosaico absidale di San Clemente, in Roma. La composizione è

complessa: L’albero della vita, dal quale emerge la croce, cresce sulla montagna del Paradiso. Il suo

fogliame riempie l’universo (tutta l’abside). Il legno della croce è segnato da dodici colombe

bianche — gli apostoli. Dalle acque dei quattro fiumi del Paradiso che scaturiscono sotto le radici

dell’albero, si abbeverano due cervi — anime assetate di verità. Un terzo cervo uccide il serpente: è

simbolo del Cristo vincitore.

Oltre la straordinaria ricchezza del mosaico a sfondo dorato, un certo particolare che può passare

inosservato, presenta una eccezionale importanza: un uccello chiuso in una gabbia. È il simbolo

orfico dell’anima prigioniera nel corpo, tema che per le sue implicazioni morali e religiose

costituisce un punto di partenza nel valutare l’essenza della rivoluzione cristiana.

Per gli orfici l’anima non poteva liberarsi dalla tomba del corpo (soma - sema) se non col prezzo

della morte, considerata una vera liberazione, il ritorno nel grande cosmo. Cristo insegnerà — ed è

questa la verità maestra del cristianesimo — che l’anima può salvarsi dalla prigionia, dalla

solitudine del corpo, uscirne fuori, liberarsi, senza dover pagare il tributo della morte, attraverso

l’amore. L’amore del prossimo. A San Clemente non è raffigurato il divenire cristiano di questo

simbolo orfico, ma la tensione mistica dell’intero mosaico ne suggerisce la metamorfosi:

l’immagine di due gabbie invece di una sola, spalancate, perché le due colombe — anime —

s’incontrino, vive, nella libertà dell’amore, in Cristo.