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I satelliti di Giove Nel 1979 i Voyager, osservando i quattro satelliti maggiori di Giove, hanno portato a nove il numero dei corpi simili alla Terra, dal cui confronto si potranno ricavare nuove conoscenze sulla loro evoluzione di Laurence A. Soderblom u na delle più spettacolari avventu- re scientifiche di tutti i tempi è iniziata il 5 marzo del 1979. In un periodo di circa 30 ore il veicolo spa- ziale Voyager I è volato al di là del piane- ta gigante Giove e ha inviato fotografie ravvicinate di tre dei quattro maggiori satelliti del pianeta: Io, Ganimede e Calli- sto. Osservati per la prima volta da Gali- leo nel 1610, i quattro satelliti sono co- munemente chiamati galileiani. Fotogra- fie particolareggiate del quarto satellite galileiano, Europa, sono state eseguite successivamente (il 9 luglio) dal Voyager 2, che ha esplorato anche gli emisferi di Ganimede e di Callisto che non erano risultati visibili al suo veicolo gemello. La scoperta forse più sorprendente fatta dal Voyager 1 è stata che su Io era in corso un'eruzione vulcanica. Voyager 2 dedicò perciò quasi 10 ore alle riprese di Io in una «osservazione vulcanica» suggerita dalle foto precedenti. Entrambi i veicoli spaziali eseguirono inoltre osservazioni lontane di Amaltea, un corpo simile a un asteroide scoperto soltanto 88 anni fa e fino a poco tempo fa considerato il satellite più interno di Gio- ve. Le immagini del Voyager però hanno rivelato che il pianeta possiede un altro piccolissimo satellite nei pressi del bordo più esterno di un debole anello simile agli anelli di Saturno. Questo quattordicesi- mo satellite di Giove, che ha un diametro di sole poche dozzine di chilometri e che si trova all'incirca a metà strada tra la super- ficie del pianeta e l'orbita di Amaltea, è stato scoperto da David Jewitt e G. Edward Danielson del California Institu- te of Technology, ed è stato indicato provvisoriamente con la sigla 1979J1. Amaltea e i quattro satelliti galileiani (e probabilmente anche 1979J1) percorro- no orbite circolari giacenti nel piano equatoriale di Giove e costituiscono quindi il sistema «regolare» di satelliti del pianeta. Gli altri otto satelliti di Giove riconosciuti come tali sono molto più pic- coli e percorrono orbite irregolari distri- buite ben oltre quelle delle sei più interne. Da un esame approfondito delle centinaie di fotografie dei satelliti galileiani e di Amaltea fornite dai due Voyager si pos- sono ricavare molte notizie sulle loro sto- rie, sulle loro età relative e sulla natura dei processi geologici attraverso i quali si sono evoluti. L'uso del termine satelliti per descrive- re i corpi scoperti da Galileo sottolinea la loro importanza per gli studiosi di scienza planetaria. Io, Europa, Ganimede e Calli- sto appartengono alla famiglia di oggetti chiamati terrestri, una famiglia che com- prende Mercurio, Venere, la Terra, la Luna e Marte. I satelliti galileiani sono simili ai corpi del sistema solare interno sia per dimensioni che per composizione, perciò i due gruppi di oggetti dovrebbero aver subito processi evolutivi confronta- bili e su scale temporali simili. Il risultato delle missioni Voyager è stato che il nu- mero di oggetti simili alla Terra con i quali si possono mettere alla prova i modelli teorici dell'evoluzione planetaria è rad- doppiato. Si può ora pensare che i pianeti del sistema solare interno rappresentino soltanto una piccola parte dello spettro di caratteristiche e di possibilità evolutive aperte a tali oggetti. Era noto da studi eseguiti con telescopi sulla Terra che i satelliti galileiani mo- strano certi comportamenti regolari, qua- li la diminuzione di densità e l'aumento di dimensioni con la distanza da Giove, mol- to simili a quelli del sistema solare nel suo complesso. Di Amaltea si può dire poco dalla Terra: non ha più di qualche centi- naio di chilometri di diametro, è rossa e scura. Io, il satellite più vicino a Giove, era noto per avere all'incirca le stesse dimensioni e la stessa densità (3,5 grammi per centimetro cubo) della Luna. Diver- samente dagli altri tre satelliti galileiani, Io non mostra tracce d'acqua nello spet- tro di riflessione nell'infrarosso. A causa della sua brillante colorazione rosso-aran- cio e della brusca caduta nel suo spet- tro di riflessione in prossimità dell'ultra- violetto, si era pensato che avesse una superficie ricca di zolfo. Europa, il secondo in ordine di distanza da Giove fra i grandi satelliti galileiani, ha anch'esso all'incirca le stesse dimensioni della nostra Luna ma è molto più lumino- so: riflette quasi il 70 per cento della luce solare che lo colpisce in confronto al 7 per cento della Luna (e al 35 per cento della Terra). Spettri eseguiti a lunghezze d'on- da dell'infrarosso vicino indicavano gran- di quantità di ghiaccio sulla superficie del satellite. Stime della sua densità (circa tre grammi per centimetro cubo) hanno fatto pensare che Europa possa avere una cor- teccia di ghiaccio e di acqua allo stato liquido spessa 100 chilometri. Il terzo e quarto membro del sistema di satelliti galileiani, Ganimede e Callisto, sono alquanto simili. Si sapeva di entram- bi che avevano pressappoco il diametro di Mercurio e una densità di circa due grammi per centimetro cubo (quella di Mercurio e la Terra è circa 5,5 grammi per centimetro cubo). Si poteva perciò ipotizzare che Ganimede e Callisto fosse- ro ancor più ricchi di acqua di Europa, ammettendo che tutti e tre siano formati principalmente da acqua e silicati tipici (ossidi di silicio). Ganimede, però, riflette il 50 per cento della luce solare contro il solo 20 per cento di Callisto, il che indica Callisto, il satellite galileiano più esterno, è stato fotografato il 5 marzo 1979, a una distanza compresa tra 337 000 e 364 000 chilometri, dalle telecamere a bordo del veicolo spaziale Voyager I. Gli altri tre satelliti galileiani, in ordine di distanza da Giove, sono Io, Europa e Ganimede. Giove ha in tutto 14 satelliti, compreso uno nuovo, piccolissimo, scoperto da Voyager 2 e indicato mo- mentaneamente con la sigla 1979J1. Il nuovo satellite ruota attorno a Giove all'interno dell'orbita di un'altro piccolo satellite, Amaltea, che a sua volta ruota attorno al pianeta internamente alle orbite dei satelliti galileiani. Le orbite degli altri otto satelliti di Giove sono esterne a quelle dei satelliti galileiani. Callisto ha all'incirca le dimensioni di Mercurio. Esso compie una rotazione attorno a Giove ogni 16,69 giorni a una distanza di 1,8 milioni di chilometri. In questo mosaico d'immagini la risoluzione, definita come la larghezza di una coppia di righe di scansione televisive, è di sette chilometri. La forma circolare vicina al bordo sinistro ha un diametro di circa 600 chilometri. 50

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I satelliti di GioveNel 1979 i Voyager, osservando i quattro satelliti maggiori di Giove,hanno portato a nove il numero dei corpi simili alla Terra, dal cuiconfronto si potranno ricavare nuove conoscenze sulla loro evoluzione

di Laurence A. Soderblom

u

na delle più spettacolari avventu-re scientifiche di tutti i tempi èiniziata il 5 marzo del 1979. In

un periodo di circa 30 ore il veicolo spa-ziale Voyager I è volato al di là del piane-ta gigante Giove e ha inviato fotografieravvicinate di tre dei quattro maggiorisatelliti del pianeta: Io, Ganimede e Calli-sto. Osservati per la prima volta da Gali-leo nel 1610, i quattro satelliti sono co-munemente chiamati galileiani. Fotogra-fie particolareggiate del quarto satellitegalileiano, Europa, sono state eseguitesuccessivamente (il 9 luglio) dal Voyager2, che ha esplorato anche gli emisferi diGanimede e di Callisto che non eranorisultati visibili al suo veicolo gemello. Lascoperta forse più sorprendente fatta dalVoyager 1 è stata che su Io era in corsoun'eruzione vulcanica. Voyager 2 dedicòperciò quasi 10 ore alle riprese di Io inuna «osservazione vulcanica» suggeritadalle foto precedenti.

Entrambi i veicoli spaziali eseguironoinoltre osservazioni lontane di Amaltea,un corpo simile a un asteroide scopertosoltanto 88 anni fa e fino a poco tempo faconsiderato il satellite più interno di Gio-ve. Le immagini del Voyager però hannorivelato che il pianeta possiede un altropiccolissimo satellite nei pressi del bordopiù esterno di un debole anello simile aglianelli di Saturno. Questo quattordicesi-mo satellite di Giove, che ha un diametrodi sole poche dozzine di chilometri e che sitrova all'incirca a metà strada tra la super-ficie del pianeta e l'orbita di Amaltea, èstato scoperto da David Jewitt e G.Edward Danielson del California Institu-te of Technology, ed è stato indicatoprovvisoriamente con la sigla 1979J1.

Amaltea e i quattro satelliti galileiani (eprobabilmente anche 1979J1) percorro-no orbite circolari giacenti nel pianoequatoriale di Giove e costituisconoquindi il sistema «regolare» di satelliti delpianeta. Gli altri otto satelliti di Giovericonosciuti come tali sono molto più pic-coli e percorrono orbite irregolari distri-buite ben oltre quelle delle sei più interne.Da un esame approfondito delle centinaiedi fotografie dei satelliti galileiani e di

Amaltea fornite dai due Voyager si pos-sono ricavare molte notizie sulle loro sto-rie, sulle loro età relative e sulla naturadei processi geologici attraverso i quali sisono evoluti.

L'uso del termine satelliti per descrive-re i corpi scoperti da Galileo sottolinea laloro importanza per gli studiosi di scienzaplanetaria. Io, Europa, Ganimede e Calli-sto appartengono alla famiglia di oggettichiamati terrestri, una famiglia che com-prende Mercurio, Venere, la Terra, laLuna e Marte. I satelliti galileiani sonosimili ai corpi del sistema solare internosia per dimensioni che per composizione,perciò i due gruppi di oggetti dovrebberoaver subito processi evolutivi confronta-bili e su scale temporali simili. Il risultatodelle missioni Voyager è stato che il nu-mero di oggetti simili alla Terra con i qualisi possono mettere alla prova i modelliteorici dell'evoluzione planetaria è rad-doppiato. Si può ora pensare che i pianetidel sistema solare interno rappresentinosoltanto una piccola parte dello spettro dicaratteristiche e di possibilità evolutiveaperte a tali oggetti.

Era noto da studi eseguiti con telescopisulla Terra che i satelliti galileiani mo-strano certi comportamenti regolari, qua-li la diminuzione di densità e l'aumento didimensioni con la distanza da Giove, mol-to simili a quelli del sistema solare nel suocomplesso. Di Amaltea si può dire pocodalla Terra: non ha più di qualche centi-naio di chilometri di diametro, è rossa escura. Io, il satellite più vicino a Giove,era noto per avere all'incirca le stessedimensioni e la stessa densità (3,5 grammi

per centimetro cubo) della Luna. Diver-samente dagli altri tre satelliti galileiani,Io non mostra tracce d'acqua nello spet-tro di riflessione nell'infrarosso. A causadella sua brillante colorazione rosso-aran-cio e della brusca caduta nel suo spet-tro di riflessione in prossimità dell'ultra-violetto, si era pensato che avesse unasuperficie ricca di zolfo.

Europa, il secondo in ordine di distanzada Giove fra i grandi satelliti galileiani, haanch'esso all'incirca le stesse dimensionidella nostra Luna ma è molto più lumino-so: riflette quasi il 70 per cento della lucesolare che lo colpisce in confronto al 7 percento della Luna (e al 35 per cento dellaTerra). Spettri eseguiti a lunghezze d'on-da dell'infrarosso vicino indicavano gran-di quantità di ghiaccio sulla superficie delsatellite. Stime della sua densità (circa tregrammi per centimetro cubo) hanno fattopensare che Europa possa avere una cor-teccia di ghiaccio e di acqua allo statoliquido spessa 100 chilometri.

Il terzo e quarto membro del sistema disatelliti galileiani, Ganimede e Callisto,sono alquanto simili. Si sapeva di entram-bi che avevano pressappoco il diametro diMercurio e una densità di circa duegrammi per centimetro cubo (quella diMercurio e la Terra è circa 5,5 grammiper centimetro cubo). Si poteva perciòipotizzare che Ganimede e Callisto fosse-ro ancor più ricchi di acqua di Europa,ammettendo che tutti e tre siano formatiprincipalmente da acqua e silicati tipici(ossidi di silicio). Ganimede, però, rifletteil 50 per cento della luce solare contro ilsolo 20 per cento di Callisto, il che indica

Callisto, il satellite galileiano più esterno, è stato fotografato il 5 marzo 1979, a una distanzacompresa tra 337 000 e 364 000 chilometri, dalle telecamere a bordo del veicolo spaziale VoyagerI. Gli altri tre satelliti galileiani, in ordine di distanza da Giove, sono Io, Europa e Ganimede. Gioveha in tutto 14 satelliti, compreso uno nuovo, piccolissimo, scoperto da Voyager 2 e indicato mo-mentaneamente con la sigla 1979J1. Il nuovo satellite ruota attorno a Giove all'interno dell'orbitadi un'altro piccolo satellite, Amaltea, che a sua volta ruota attorno al pianeta internamente alleorbite dei satelliti galileiani. Le orbite degli altri otto satelliti di Giove sono esterne a quelle deisatelliti galileiani. Callisto ha all'incirca le dimensioni di Mercurio. Esso compie una rotazioneattorno a Giove ogni 16,69 giorni a una distanza di 1,8 milioni di chilometri. In questo mosaicod'immagini la risoluzione, definita come la larghezza di una coppia di righe di scansione televisive, èdi sette chilometri. La forma circolare vicina al bordo sinistro ha un diametro di circa 600 chilometri.

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Le traiettorie dei Voyager sono state scelte in modo da ottimizzare laloro esplorazione dei satelliti galileiani. Voyager I (a sinistra) si èportato fino a 277 000 chilometri da Giove il 5 marzo. Voyager 2 (a

destra) non è giunto così vicino al pianeta, ma lo ha oltrepassato auna distanza di 650 000 chilometri il 9 luglio. Qui ogni satellite èrappresentato nel momento di massimo avvicinamento della capsula.

ZONA DI OCCULTAMENTODELLA TERRA

\ ZONA DI OCCULTAMENTODEL SOLE

ZONA DI OCCULTAMENTOV DELLA TERRA

\ ZONA DI OCCULTAMENTODEL SOLE AMALTEA

PERIAPSIDE

EUROPA

ALLISTOGIOVE

2 ORE_

GANIMEDEPERIAPSIDE

10

CALLISTO

EUROPA

GIOVE2 ORE

SATELLITEDIAMETRO

(CHILOMETRI)

DISTANZA MEDIADA GIOVE

(CHILOMETRI)

PERIODOORBITALE(GIORNI)

DENSITÀGLOBALE

(GRAMMI PERCENTIMETRO

CUBO)MASSA

(LUNA= 1)

MASSIMO AVVICINAMEN-TO (CHILOMETRI)

MIGLIOR RISOLUZIONE(CHILOMETR PER COPPIA

DI RIGHE)

VOYAGER 1 VOYAGER 2 VOYAGER 1 VOYAGER 2

AMALTEA 155 x 270 (±-8) 109 900 0,49 ? ? 420 100 558 270 7,8 11

10 3638 (±10) 350 200 1,77 3,53 1,21 18 640 1 127 920 1 21

EUROPA 3126 (±10) 599 500 3,55 3,03 0,66 732 270 204 030 33 4

GANIMEDE 5276(±10) 998 600 7,16 1,93 2,03 112 030 59 530 2 1

CALLISTO 4848 (±10) 1 808 600 16,69 1,79 1,45 123 950 212 510 2,3 4

Le caratteristiche fisiche e orbitali di Amaltea e dei satelliti galileianisono presentate in questa tabella insieme con il massimo avvicinamentodei due Voyager e con la risoluzione delle migliori immagini. Ogni veico-lo spaziale recava a bordo due camere Vidicon con lenti di differentedistanza focale: 200 e 1500 millimetri. Le immagini a colori sono state

ottenute eseguendo esposizioni in sequenza attraverso fi tri arancione,verde, blu, violetto e ultravioletto. Ogni immagine è formata da 800 ri-ghe di scansione con 800 pixel (unità di immagine) per riga. I due Voya-ger hanno inviato a terra complessivamente 35 000 fotografie. Tutte lefoto dell'articolo provengono dal Jet Propulsion Laboratory del Caltech.

ritmi evolutivi. Descriverò ora Amaltea ei quattro satelliti galileiani in ordine didistanza da Giove, come si sono mostratiattraverso le missioni Voyager.

Amaltea

Amaltea costituisce una classe a sé. Puressendo più piccolo dei satelliti galileianidi circa un fattore 10, è circa 10 volte piùgrande degli ormai ben noti satelliti diMarte. Fobos c Deimos. Amaltea è perciòil primo di una classe di oggetti di dimen-sioni intermedie a essere esplorato da vi-cino. Di forma ellissoidale irregolare, ilsuo asse maggiore (lungo circa 270 chi-lometri) punta verso Giove, mentre il suoasse minore (lungo 155 chilometri) è per-pendicolare al piano dell'orbita. Le im-magini trasmesse dai Voyager mostranoche esso riflette 50 volte di più la lucerossa rispetto alla violetta, confermandole osservazioni eseguite da terra. Pur es-sendo la sua albedo, o riflettività, com-plessiva di circa il 5 percento. alcune zonesono fino a tre volte più luminose.

Rudolf A. Hanel del Goddard SpaceFlight Center della NASA e i suoi colleghiche si sono occupati dell'esperimento«infrarosso» dei Voyager hanno scopertoche Amaltea è più caldo di quanto do-vrebbe essere se semplicemente assorbis-se e reirraggiasse la radiazione solare e laradiazione riflessa da Giove. Il calore ineccesso può essere prodotto da correntielettriche che percorrono le linee di forzadel campo magnetico di Giove o dal bom-bardamento di particelle intrappolate nel-la fascia di radiazione del pianeta. Laforma irregolare del satellite implica unasostanziale rigidità interna e un bassocontenuto di sostanze volatili.

Io

Si riteneva generalmente che Io, il sa-tellite galileiano più interno, possedesseuna superficie antica cosparsa di crateridel tutto simile a quella della Luna. Alcu-ni, però, non erano d'accordo su questainterpretazione. In un sorprendenteesempio di previsione scientifica, pubbli-cato solo tre giorni prima dell'avvicina-mento di Voyager 1 a Io, Stanton J. Pealedell'Università della California a SantaBarbara e Patrick M. Cassen e Ray T.Reynolds dell'Ames Research Centerdella NASA fecero notare che, essendo ilsatellite soggetto a forze gravitazionalirisonanti esercitate dai suoi satelliti fratel-li, Europa in particolare, la sua orbitaavrebbe dovuto risultare deformata e noncircolare. Io si muoverebbe oscillandolievemente nell'intenso campo gravita-zionale di Giove e pertanto dovrebbe es-sere ripetutamente deviato da forze dimarea e al suo interno si dovrebbe pro-durre un'enorme quantità di calore di at-trito. E, dal momento che il calore fini-rebbe col venire dissipato attraverso lasuperficie del satellite, Peale, Cassen eReynolds ipotizzarono che «dovrebbeverificarsi un diffuso e ricorrente vulcani-smo superficiale».

La previsione fu confermata, ma non

I corpi celesti studiati finora da vicino in missioni spaziali sono Mercurio, Venere, Terra e Luna,Marte e i quattro satelliti galileiani di Giove. Questi corpi sono chiamati terrestri a causa della lorosomiglianza con la Terra per dimensioni e composizione. I cinque corpi terrestri del sistema solareinterno sono disegnati alla stessa scala, sulla sinistra, in ordine di distanza dal Sole. L'arco a pic-cola nervatura che li circonda rappresenta il bordo del Sole. I satelliti galileiani sono disegna-ti alla stessa scala, con il bordo di Giove sullo sfondo, e in ordine di distanza dal pianeta.

una maggiore presenza di acqua o ghiac-cio sulla sua superficie.

Le traiettorie dei Voyager

Quando Amaltea e i quattro satellitigalileiani si muovono sulle loro orbite,mantengono costantemente una facciarivolta verso Giove, proprio come la Lunamantiene una faccia rivolta verso la Ter-ra. I loro periodi orbitali variano da 12ore per Amaltea a 16,69 giorni per Calli-sto. Le traietterie dei Voyager hannoapprofittato di questa rotazione sincronadei satelliti galileiani e delle loro posizionirapidamente variabili per ottimizzare ladescrizione fotografica delle loro superfi-ci. Mentre Voyager 1 si avvicinava a Io, ilveicolo spaziale riprendeva fotografiedell'emisfero del satellite orientato verso

l'esterno e di quello posteriore (nel sensodel moto), volava sotto il suo polo sud eproseguiva per incontrare da vicino Ga-nimede e Callisto, osservare i loro emisfe-ri affacciati verso Giove e oltrepassarli adalte latitudini in modo tale da poter esa-minare i loro poli nord.

Voyager 2 ha incontrato Callisto e Ga-nimede prima di raggiungere Giove equindi ha potuto fotografare gli emisferiorientati verso l'esterno e osservare laregione polare meridionale di Ganimede.Come risultato, l'80 per cento della su-perficie di Ganimede e di Callisto è stataesplorata con una risoluzione di circa cin-que chilometri o anche migliore. (La riso-luzione è definita come la larghezza didue righe di scansione televisiva.) AncheVoyager 2 ha fotografato circa un quartodella superficie di Europa con una risolu-

zione del genere. Dato che Amaltea e Ioruotano attorno a Giove rapidamente inconfronto al tempo per il quale ogni vei-colo spaziale è a contatto con il pianeta, èstato possibile fotografarli a tutte le longi-tudini con risoluzione intermedia (circa20 chilometri per coppia di righe). Il bre-ve periodo orbitale di Io (1,77 giorni)inoltre ha consentito ai due Voyager l'e-splorazione ripetuta del satellite a moltelongitudini nei pochi giorni vicini a ogniincontro, così che ora disponiamo di unaraccolta piuttosto completa e di una carat-terizzazione dei pennacchi che indicava-no le eruzioni vulcaniche sul satellite.

L'aspetto più interessante dei satellitidi Giove è ciò che si può apprendere dalloro confronto. Vengono registrati congrande evidenza al loro apparire unagrande varietà di processi geologici e di

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Giove, Io ed Europa sono stati fotografati da Voyager I il 13 febbraio 1979, quasi un mese primadel massimo avvicinamento del veicolo spaziale al pianeta. La distanza era di 21,6 milioni dichilometri; la risoluzione è 390 chilometri per coppia di righe di scansione televisive. Io apparecon Giove sullo sfondo, direttamente al di sopra della Grande Macchia Rossa. Europa è a destra.

Le migliori fotografie di Amaltea sono state scattate da Voyager I. Questo corpo simile a unasteroide ha l'asse maggiore di 270 chilometri e il minore di circa 155 chilometri. La fotografiasulla destra, eseguita a una distanza di 425 000 chilometri, ha una risoluzione di otto chilometri.

Le due facce di Io sono state fotografate a circa 11 ore di distanzaquando Vovager I si avvicinò e poi oltrepassò questo satellite piùinterno. La- fotografia sulla sinistra, ripresa da una distanza di circa860 000 chilometri, mostra l'emisfero di Io che guarda sempre in dire-zione opposta a Giove mentre il satellite ruota attorno al pianeta ogni1,77 giorni. La forma a ciambella vicina al centro rappresenta un vulca-

no in eruzione (Piume 3). La risoluzione è di circa 16 chilometri percoppia di righe. Il mosaico a più elevata risoluzione sulla destra venneripreso nel giorno del massimo avvicinamento del veicolo spaziale e mo-stra il satellite lo ruotato di circa 120 gradi verso destra, ovvero versoest. La grande regione a forma di cuore in basso a destra rappresentaPiume 1, il primo vulcano in piena attività scoperto su questo satellite.

Altri tre pennacchi vulcanici su Io, per un totale di otto osservati,salgono a un'altezza di circa 100 chilometri in queste due fotografie. Lafoto sulla sinistra, fatta da Voyager l, mostra Piume 2. Quella sulladestra, fatta da Vo yager 2 durante una «osservazione vulcanica» delladurata di 10 ore dopo il massimo avvicinamento a Giove, mostra Piume5 e Piume 6. L'immagine di Piume 2 è gemella di quella della copertinadi questo fascicolo. Qui la fotografia di Piume 2 è costruita con immagi-

ni riprese nella parte visibile dello spettro e mostra soltanto il piccolonucleo centrale del pennacchio. In copertina è mostrata un'immagineripresa attraverso un filtro ultravioletto (che lascia passare le lun-ghezze d'onda attorno a 350 nanometri) e rivela che il nucleo visibile ècircondato da un involucro più grande che diffonde la radiazione ultra-violetta. Nella fotografia a destra Piume 5 è il pennacchio inferiore,simmetrico. Piume 6, quello superiore, è più piccolo e asimmetrico.

50 chilometri di diametro contornata daun precipizio e circondata da lunghe cola-te a raggiera. L'aspetto è quello di unaforma vulcanica già osservata su altri cor-pi terrestri: una caldera, ossia un enormecratere a fondo piatto formatosi in seguitoallo sprofondamento di un apparato vul-canico preesistente o alla sua esplosione.Nell'emisfero osservato con alta risolu-zione sono state identificate più di 100 ditali forme, di grandezza superiore a circa25 chilometri. Le colate fuoruscenti daipresunti centri vulcanici sono multicolori:nere, gialle, rosse, arancioni e marroni.Per giustificare tali osservazioni i compo-nenti dello staff del Voyager hanno sug-gerito che tali colate siano costituite daqualsiasi cosa che vada dal basalto colora-to dallo zolfo allo zolfo puro; qualcuno haperfino suggerito l'esistenza di laghi emari di zolfo.

Se la superficie di Io è così giovane e sel'attività vulcanica è davvero così recentecome indicano le foto, tale attività do-vrebbe continuare anche oggi. Quelli dinoi che facevano parte della squadra ad-detta alle riprese del Voyager non si so-gnavano, tuttavia, di poter rilevare attivi-tà vulcaniche in corso su Io. La probabili-tà di vedere un vulcano attivo sulla Terra,a distanze analoghe, con telecamere comequelle a bordo dei Voyager è estrema-mente piccola.

Pochi giorni dopo l'incontro di Voyager1 con Giove, Linda A. Morabito, un inge-gnere del Jet Propulsion Laboratory delCalifornia Institute of Technology, stavaesaminando alcune immagini di Io ripresea grande distanza per scopi di navigazionespaziale. Le foto erano state sovraesposteper evidenziare le stelle sullo sfondo delsatellite. Nell'esaminare una foto. laMorabito notò una grande forma lumino-sa a ombrello al di fuori dell'orlo dell'emi-sfero meridionale di Io. Falliti tutti i ten-tativi di spiegare tale forma come unamacchia casuale, si dovette concludereche fosse qualcosa di reale. Evidentemen-te, 270 chilometri sopra la superficie diIo, stava volteggiando un'enorme nuvola.

Una volta accertata l'esistenza realedella nuvola, una ricerca rivelò l'esistenzadi non meno di otto vulcani attivi su Io chelanciavano pennacchi ad altezze variabilida 70 a 300 chilometri, con velocità chearrivavano fino a un chilometro al secon-do. Alcuni pennacchi sono altamentesimmetrici. In molti casi il materialeespulso sale fino a un'altezza di circa 100chilometri, formando una nuvola a formadi ombrello. Alcuni pennacchi mostranoun grande globo diffuso nell'ultraviolettoe un nucleo interno alle lunghezze d'ondavisibili. Il nucleo interno, spesso asimme-trico, può essere formato da particelle so-lide espulse su traiettorie balistiche.globo ultravioletto è probabilmente do-vuto alla condensazione di un gas che siespande simmetricamente. Degli ottopennacchi vulcanici osservati da Voyager1, sette erano ancora al loro posto quandoarrivò Voyager 2 quattro mesi dopo. Evi-dentemente i pennacchi sono in continuaeruzione e durano da qualche mese aqualche anno.

Un altro fenomeno interessante su Io èla presenza di brillanti macchie bianche obianco-bluastre lungo le scarpate e le fa-glie osservate in molte zone, ma in modoparticolare nella regione del polo sud.Tali caratteristiche sono diffuse, talvolta

variabili, e oscurano in apparenza la su-perficie sottostante; per tale motivo qual-cuno suggerì che potesse trattarsi di nubi(o materiale depositato da nubi) prodotteda un gas sfuggito dall'interno del satellitee condensatosi in qualche genere di neve.

Una delle osservazioni chiave che ha por-tato a una prima spiegazione sia dei pen-nacchi che delle macchie bianche è la sco-perta. fatta da John Pearl del GoddardSpace Flight Center e dai membri dell'e-sperimento «infrarosso» del Voyager,

immediatamente. Le prime immagini diIo con visibili impronte superficiali mo-strarono piccole macchie scure, alcunedelle quali circondate da deboli anelli. Laprima impressione fu che si trattasse deiprevisti crateri d'urto. Tale impressione sidovette ben presto rivedere quando foto-grafie di più elevata risoluzione mostra-rono che non c'erano affatto crateri d'ur-to. Alla risoluzione massima (600 metriper coppia di righe) si sarebbe potutovedere un cratere piccolo fino a un chilo-metro di diametro. Supponendo che su Iola velocità di formazione di crateri d'urto

maggiori di un chilometro non sia moltodiversa dalle velocità tipiche del sistemasolare interno, alcuni processi sulla super-ficie di Io dovrebbero far scomparire letracce dei crateri d'urto in un periodo dipoco inferiore a un milione di anni.

La superficie di Io mostra una moltitu-dine di strani paesaggi, con scarpate si-nuose e faglie. Le fotografie trasmessepoco prima del massimo avvicinamento diVoyager 1 a Io fornirono ur a spiegazionedel processo che potrebbe aver rinnovatola superficie del satellite. Una di tali fotomostra una depressione circolare di circa

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Figure di colate radianti su lo attorno a una caldera scura, il cratere diun vulcano crollato, appaiono in questa fotografia eseguita da Voya-ger I poco prima del suo massimo avvicinamento. La risoluzione è dicirca 2 chilometri. In quel momento il primo dei pennacchi vulcanicinon era ancora stato scoperto. Le caldere fornirono ai ricercatori dei

Voyager la prima vera spiegazione dell'assenza dei crateri d'urto cheessi si aspettavano di vedere molto tempo prima del massimo avvici-namento di Voyager 1. Anche in queste fotografie che forniscono lamassima risoluzione finora ottenuta, 600 metri, non si sono mai osservaticrateri d'urto perché essi sono stati cancellati dall'intenso vulcanismo.

Nella fotografia in alto, eseguita da Voyager 1, è mostrato il più grandevulcano attivo su Io, la sorgente di Piume 1. La figura a forma di cuore siestende per circa 1200 chilometri nella dimensione maggiore. Quandola stessa regione è stata fotografata da Voyager 2 (in basso) la figura aforma di cuore era stata sostituita da una più simmetrica. Successiveimmagini di Voyager 2 mostrano che le eruzioni erano cessate. L'im-magine di Voyager 2 ha una risoluzione di soli 24 chilometri men-tre l'immagine di Voyager l fornisce una risoluzione di 7 chilometri.

Tre caldere di Io sono mostrate in immagini eseguite a sei ore diintervallo mentre Vo yager I si avvicinava al satellite da una distanza di374 000 a 130 000 chilometri. Nella prima fotografia (in alto) il fondodi tutte e tre le caldere appare nero. Nella seconda (in basso) nellacaldera posta all'estrema destra si sono formate macchie luminosebianco-bluastre. Una possibile spiegazione è che l'anidride solforosaliquida sia sfuggita dall'interno del satellite e, raggiunta la superficie, siaesplosa dando origine a una grande nube di cristalli di ghiaccio e di gas.

che Io possiede una tenue atmosfera dianidride solforosa. Da misure di assorbi-mento nell'infrarosso si è calcolato chedurante il giorno tale atmosfera esercitauna pressione di circa un decimo di mi-crobar.

Un'altra caratteristica dell'assorbimen-to nell'infrarosso, scoperta nel corso diosservazioni telescopiche eseguite da ter-ra da Dale P. Cruikshank dell'Univer-sità delle Hawaii a Manoa. è stata inter-pretata pressocché in quello stesso perio-do da alcuni osservatori come dovutaprobabilmente ad anidride solforosa con-gelata sulla superficie del satellite. Unarecente analisi spettrofotometrica delleimmagini del Voyager fa ritenere che legrandi regioni bianche potrebbero esserecostituite per metà da anidride solforosa eper metà da zolfo. Queste scoperte fannopensare che l'anidride solforosa possaessere abbondante sugli strati superficialidi Io. Se le cose stanno così, l'anidridesolforosa liquida è stabile in una zona lacui sommità si trova poche centinaia dimetri al di sotto della superficie e si racco-glie in tale zona.

La presenza di sorgenti di anidride sol-forosa liquida, molto simili alle falde ac-quifere della Terra, potrebbe fornire unaspiegazione semplice di quelle che sem-brano nubi di ghiaccio uscenti da crepaccisulla crosta di Io. L'anidride solforosafluida dovrebbe trovare uno sbocco piùfacile verso la superficie lungo una spac-catura o alla base di una scarpata. Quan-do ha raggiunto la superficie, la pressio-ne. scendendo sotto un valore critico, faesplodere il liquido in una nebbia ghiac-ciata che si espande tutt'intorno per poiricadere sulla superficie. John F. McCau-ley dell'US Geological Survey e i suoicolleghi hanno ipotizzato che sia proprioun processo del genere a provocare l'ero-sione di materiale lungo le scarpate.

L'anidride solforosa di origine «acqui-fera» è stata citata anche per spiegare imolto più estesi pennacchi vulcanici.Bradford A. Smith dell'Università del-l'Arizona e i suoi colleghi della squadrafotografica del Voyager hanno suggeritoche l'anidride solforosa liquida possaprovocare violente eruzioni vulcanicheesattamente allo stesso modo dell'acquanella crosta terrestre. Nel modello propo-sto per Io, il calore, prodotto per effettodelle maree nella litosfera di silicati, vienetrasportato verso l'alto da zolfo fuso che èstato in contatto con la roccia rovente.Quando lo zolfo fuso viene in contattocon l'anidride solforosa liquida, il miscu-glio comincia a salire verso la bocca delvulcano espandendosi rapidamente aldiminuire della pressione e al vaporizzar-si dell'anidride solforosa. Quando rag-giunge la superficie, la sua velocità ècompresa tra 500 e 1000 metri al secon-do, dato in accordo con la velocità ricava-te dall'osservazione di pennacchi da 100 a300 chilometri al di sopra della superficie.Questo modello richiede grandi sorgentiisolate di zolfo liquido, possibilmenteabbastanza grandi da giustificare il nomedi mari dato a esse, al di sotto della super-ficie di Io. Qualche colata vulcanica po-

11 primo vulcano attivo su Io è stato scoperto in questa immagine ripresa da Voyager I 1'8 marzo dauna distanza di 4.5 milioni di chilometri dal satellite che aveva appena superato tre giorni prima.Linda A. Morabito del Jet Propulsion Laboratory scopri la leggera nuvola a forma di ombrello(Piume 1) sul bordo di lo mentre stava esaminando un'immagine trattata in modo particolare. Siscopri poi che la fotografia comprendeva un secondo pennacchio vulcanico che aveva assorbito iraggi del Sole che sorgeva, creando un bagliore appena all'interno della linea del terminatore.

In questa fotografia del Voyager I di una regione nei pressi del polo sud del satellite si possonovedere nuvole o depositi di superficie su Io in prossimità delle scarpate. La risoluzione è di circa 16chilometri. Le macchie bianche possono essere cristalli di ghiaccio prodotti quando l'anidride sol-forosa liquida appena sotto la superficie esce dalle spaccature nella crosta e solidifica bruscamente.

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Europa, il satellite immediatamente più esterno a Io, è stato fotografato da Voyager 2 con unarisoluzione massima circa otto volte maggiore di quella ottenuta da Voyager 1. Questo mosaico diimmagini di Voyager 2 ha una risoluzione massima di 4,3 chilometri. Esso mostra Europaattraversato in tutti i sensi da strisce e bande che possono rappresentare spaccature riempite dellacrosta ghiacciata del satellite. L'acqua, sotto forma solida e liquida, può costituire circa il 20 percento della massa di Europa. L'albedo, o riflettività, del satellite è quasi del 70 per cento, cioè 10volte superiore all'albedo della Luna (e il doppio di quella della Terra). Europa compie una interarotazione attorno a Giove in 3,55 giorni, su un'orbita posta a una distanza di 600 000 chilometri.

trebbe perciò essere costituita da zolfoquasi puro, come ha ipotizzato anche CariSagan della Cornell University.

Del tutto opposti sono i modelli propo-sti da Michael H. Carr e da Harold Ma-sursky dell'US Geological Survey, in cui

lo zolfo e i composti dello zolfo fungonosemplicemente da agenti coloranti dellecolate di lava del comune vulcanismo disilicati, quale quello della Terra. In realtànei diversi luoghi del satellite possonoessere in corso differenti meccanismi.

Esiste un consenso generale sul fatto che icolori vividi osservati sulla superficie sia-no coerenti con l'ampio intervallo di for-me molecolari dello zolfo conosciutecome stabili alla temperatura della super-ficie di Io, che varia tra 60 e 120 kelvin.

Europa

Europa era di gran lunga il più lontanodi tutti i satelliti galileiani all'epoca delmassimo avvicinamento di Voyager 1 aesso (32 270 chilometri) e perciò fu foto-grafato con la minima risoluzione, pari,nelle migliori immagini, a circa 33 chilo-metri per coppia di righe. Questa risolu-zione è confrontabile con una fotografiadel satellite terrestre che occupi un terzodell'altezza di un comune schermo televi-sivo. Voyager 2, che si è avvicinato fino a204 000 chilometri, ha fornito una risolu-zione otto volte superiore. Le immagini diEuropa di Voyager I mostrano un corpoquasi bianco con tracce e figure comples-sivamente sbiadite e di basso contrasto.La sua regione equatoriale mostra duefondamentali tipi di terreno: regioni mul-ticolori più scure e regioni più brillanti,entrambe attraversate da una serie di stri-sce strette e scure, larghe qualche decinadi chilometri, ma estese talvolta, per mi-gliaia di chilometri.

Nelle immagini ad alta risoluzione delVoyager 2 le strisce risaltavano come unampio intreccio di linee intersecantesi. Ilterreno scuro multicolore è risolto in unaserie di depressioni e altopiani interco-municanti le cui tipiche dimensioni sonodi alcuni chilometri. Molte delle depres-sioni possono essere crateri d'urto, ma laloro identificazione è incerta.

Sono stati identificati soltanto tre pro-babili crateri d'urto. Essi hanno diametricompresi tra 18 e 25 chilometri e mostranomorfologie tra loro notevolmente diverse.Un cratere è recente e a forma di scodella.Un altro è poco profondo e circondato daraggi scuri. Il terzo sembra sollevato su unpiedestallo come se la regione circostantefosse stata asportata. In alcune fotografieci sono tracce di numerosi piccoli crateri dipochi chilometri di diametro, in particola-re lungo la zona del terminatore (la zona alconfine con il lato illuminato del satellite).La superficie di Europa ha un'età di alme-no centinaia di milioni di anni e forse dimiliardi di anni.

L'assenza di particolari rilievi lungo ilterminatore, dove dovrebbero risultarepiù visibili, fa pensare che l'acqua, il piùprobabile componente volatile principaledel satellite, sia risalita alla superficie dal-l'interno e abbia formato uno spesso man-tello di ghiaccio che nasconde il rilievotopografico. Un mantello profondo 100chilometri sarebbe sicuramente in gradodi mascherare qualsiasi rilievo possa esi-stere sulla litosfera di silicati.

Europa, insieme a tutti gli altri corpiplanetari del sistema solare, è stato pro-babilmente creato dall'accumulo di mate-riale ruotante attorno al Sole da quattro acinque miliardi di anni fa. Da quel mo-mento in poi, ancora come per gli altricorpi, ha continuato a essere sottoposto a

un intenso bombardamento da parte dimeteoriti, grandi e piccole, forse per unaltro mezzo miliardo di anni. Il suo aspet-to attuale è probabilmente la somma deglieffetti del suo primitivo intenso bombar-damento e della sua storia termica. Se lasua crosta ghiacciata si è formata. conge-lata e irrigidita nel periodo del primitivo.intenso bombardamento, i segni degli urtidovrebbero vedersi chiaramente ancheoggi. Evidentemente la sua crosta è rima-sta calda, soffice e mobile fino a un'epocacosì avanzata della sua storia, da cancella-re ogni traccia di bombardamento.

Sono stati ipotizzati due meccanismiper spiegare come la temperatura super-ficiale del satellite si possa essere mante-nuta nel primo periodo. Fraser P. Fanalee i suoi collaboratori del Jet PropulsionLaboratory hanno suggerito qualcheanno fa che il calore liberato nel decadi-mento di elementi radioattivi sia stato dasolo sufficiente a mantenere il mantello dighiaccio di Europa soffice, e forse ancheliquido, fino a profondità di qualche deci-na di chilometri. Recentemente Cassen e isuoi colleghi hanno proposto come alter-nativa che lo stesso tipo di riscaldamentoper attrito dovuto alle maree agente su Ioabbia riscaldato Europa, anche se in mi-nore entità. Essi suggeriscono inoltre chele strisce scure sulla superficie del satellitepossano essere spaccature riempite, do-vute semplicemente alla dilatazione pro-dotta dalla solidificazione dei mari. Taleipotesi non può però spiegare adeguata-mente l'aumento di superficie dal 10 al 15per cento risultante dalla larghezza dellegrandi macchie scure.

Ganimede e Callisto

Ganimede e Callisto. i due satelliti gali-leiani più esterni, verranno qui trattati incoppia per la somiglianza delle loro pro-prietà complessive e anche perché le in-formazioni dei Voyager indicano che leloro superfici hanno subito sotto certiaspetti un'evoluzione parallela. Pur es-sendo Callisto il più distante da Giove, loesaminerò per primo perché è più facileda capire e perché le fasi del suo sviluppoappaiono evidenti anche in alcuni fra iterreni più antichi su Ganimede.

L'emisfero di Callisto affacciato a Gio-ve è stato fotografato ad alta risoluzione(2,3-7 chilometri per coppia di righe)quando Voyager I ha sorvolato il satellite auna distanza di 124 000 chilometri. Lasuperficie è quasi interamente coperta dicrateri, tuttavia Callisto appare ben diver-so rispetto alla Luna. Per esempio, si notauna completa assenza di rilievi visibili sulbordo brillante di Callisto. La metà sini-stra dell'emisfero è dominata da un siste-ma di anelli concentrici il cui centro si trovain una regione circolare brillante circa 10gradi a nord dell'equatore e il cui diametroè di circa 600 chilometri. Gli anelli, distan-ti da 50 a 200 chilometri, si estendono finoa un raggio di circa 1500 chilometri.

La densità di crateri nella parte internadel sistema di anelli è più bassa di unfattore tre rispetto a tutte le altre zone diCallisto. La densità nella parte esterna del

In questo mosaico di immagini di Voyager 2 si possono osservare ad alta risoluzione (circa 3,8chilometri per coppia di righe) alcuni dettagli lungo il terminatore di Europa. La luce solareradente rende possibile stimare che i lunghi e stretti pendii si ergono soltanto di circa 100 metri aldi sopra della superficie media. I pendii sono più abbondanti nell'emisfero meridionale delsatellite. La maggior parte dei terreni di Europa è formata da depressioni e altopiani intersecanti-si. Può darsi che molte depressioni siano crateri d'urto, ma sono troppo piccole per identificarle.

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Ganimede è il più grande dei satelliti di Giove. Questa fotografia, ripresa da Vovager 2 a unadistanza di 1 217 000 chilometri, mostra l'emisfero del satellite sempre nascosto al pianeta.L'emisfero è dominato da un'enorme area scura che è ciò che resta di un'antica crosta crivellatadall'impatto di meteoriti. All'inizio della sua storia può darsi che Ganimede avesse una densità dicrateri pari a quella odierna di Callisto. La densità di Ganimede è solo i due terzi di quella diEuropa, quindi potrebbe avere una maggiore percentuale d'acqua, forse fino al 50 per cento.

L'emisfero di Ganimede rivolto verso Giove è stato fotografato ad alta risoluzione da Voyager 1.L'area mostrata ha una larghezza di circa 1600 chilometri e ha una risoluzione massima di circaquattro chilometri per coppia di righe. Probabilmente la sua crosta è costituita principalmente daghiaccio, che è più scuro nelle regioni più antiche. Attorno ai crateri a raggiera il ghiaccio è più chiaro.

sistema è simile a quella delle altre regio-ni, ma, a giudicare dagli intrecci e dalleintersezioni delle forme, circa i due terzidei crateri si sono formati prima del si-stema di anelli. Evidentemente i crateripreesistenti entro 350 chilometri dallazona centrale hanno subito processi di ero-sione, mentre quelli a distanza maggiore sisono conservati. Sia agli anelli, sia allazona centrale sono sovrapposti crateri piùgiovani. La spiegazione più probabile èche il gigantesco urto che ha prodotto glianelli sia avvenuto agli inizi della storia delsatellite, quando la crosta non era suffi-cientemente rigida da sostenere e da man-tenere le forme topografiche di solito as-sociate a grandi bacini d'urto.

Gli anelli stessi potrebbero essersi for-mati dinamicamente subito dopo l'urtocon un grande corpo, oppure potrebberoessere stati una risposta ritardata rispettoal momento dell'urto, per il rimbalzo del-la regione centrale e il riassestamento del-la superficie circostante. Successivamentela crosta di ghiaccio è diventata rigida nelcongelamento a grandi profondità. Comevedremo, di un comportamento analogosono rimaste tracce nelle regioni più anti-che della crosta di Ganimede.

Le fotografie di Ganimede scattate dalVoyager 1 durante il suo avvicinamento alsatellite mostrano un corpo notevolmentesomigliante alla Luna terrestre. Una figu-ra, visibile a tale scala, che non rassomi-glia a niente di ciò che si è visto sullaLuna, è invece una complessa rete intrec-ciata di bande brillanti, irregolari e rettili-nee, interrotte e ramificate, che interse-cano il disco del satellite. A tale scalaqueste forme ricordano un po' i raggi deicrateri d'urto diffusi dovunque sulla su-perficie. La prima ipotesi è che tali forma-zioni possano essere di origine tettonica.

Nell'avvicinamento del Voyager 1 aGanimede furono individuati due tipifondamentali di terreni: regioni poligona-li ricche di crateri estese per diecine dichilometri circondate da regioni più gio-vani cosparse di scanalature. La regionescanalata occupava le brillanti figure retti-linee viste a risoluzione più bassa. I terre-ni scanalati comprendono creste e valliparallele e vicine, larghe ciascuna fino a15 chilometri e lunghe molte centinaia dichilometri. In alcune regioni si possonocontare fino a 20 valli e creste parallele.

La densità dei crateri nella regione sca-nalata di Ganimede è estremamente va-riabile e va da una densità equivalente aquella riscontrata nei terreni ricchi di cra-teri fino a una densità circa 10 volte infe-riore. La conclusione è che la formazionedei terreni scanalati ebbe inizio agli alboridella storia del satellite e proseguì perlungo tempo durante il periodo di intensobombardamento. La maggior parte deiterreni scanalati è un mosaico di sistemidiscreti, con i solchi di un sistema interrot-ti di colpo sul confine di un sistema adia-cente. In alcuni casi, invece, si intreccianol'uno con l'altro molti sistemi di solchi. Intali casi, il sistema più vecchio non vienecoperto dal più giovane, il che implica chela formazione dei solchi non avvenga conmovimenti laterali. È stata avanzata l'ipo-

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La presenza di terreni scanalati e con andamento contorto è un aspetto caratteristico di Ganime-de. Questa fotografia di Vo yager I lungo il terminatore, da una distanza di 135 000 chilometri, hauna risoluzione di circa 2,4 Chilometri. Le creste e le valli vicine e parallele sono solitamente largheda 5 a 15 chilometri. Si vedono anche sistemi più recenti di scanalature attraversare quelli piùantichi. Nell'area qui mostrata questo terreno ha sostituito del tutto l'antica crosta ricca di crateri.

tesi che i solchi si siano formati con unprocesso simile a quello che crea dicchiintrusivi nella crosta terrestre: nelle spac-cature è stato iniettato materiale fluidopoi solidificatosi.

Gli incontri dei due Voyager con Ga-nimede furono nettamente complemen-tari. Voyager I osservò l'emisfero del sa-tellite affacciato su Giove, mentre Voya-ger 2 incontrò il satellite prima del massi-mo avvicinamento a Giove del veicolospaziale e ottenne perciò fotografie adalta risoluzione dell'emisfero opposto.L'aspetto più sorprendente nelle osserva-zioni di Ganimede del Voyager 2 è unagrande regione circolare di antico terrenoscuro cosparso di crateri che copre circaun terzo di tutto l'emisfero. E il soloaspetto che si possa facilmente identifica-re con telescopi da Terra. La regione scu-ra è attraversata da una serie di brillantistrisce giganti leggermente ricurve e pa-rallele. Nelle fotografie ad alta risoluzio-ne esse rassomigliavano notevolmentealle strutture anulari di Callisto. Benchécerti studi abbiano dimostrato che le stri-sce su Ganimede formano cerchi concen-trici, non vi sono tracce, nel loro centro disimmetria, di una zona brillante distruttadall'urto simile a quella di Callisto. Evi-dentemente, la formazione di terreni piùgiovani, di solito scanalati, ha cancellatoogni traccia di un'antica regione d'urto.

Anche se i sistemi di anelli di Callisto edi Ganimede presentano forti somiglian-

ze, si può osservare che gli anelli di Calli-sto assumono la forma di rilievi a cimapiatta mentre quelli di Ganimede sonoscanalati. I solchi lasciano immaginarequale potesse essere l'aspetto dei rilievi diCallisto prima di essere riempiti.

Un'altra osservazione importante è laampia varietà di aspetto dei crateri d'urtodi Ganimede. Alcuni crateri appaionorecenti e di nuova formazione, mentrealtrove vi sono antiche forme circolari chesono poco più che «fantasmi», deboli im-pronte sulla crosta antica. Evidentementei crateri fantasma più brillanti si formaro-no quando la crosta di Ganimede era trop-po calda e soffice per conservare una trac-cia dell'urto che li produsse. Un esameapprofondito indica che più il cratere ègiovane o piccolo, meglio si conserva il suorilievo. Eugene M. Shoemaker e i suoicolleghi dell'US Geological Survey han-no concluso che le tracce di crateri in ter-reni antichi di Ganimede e di Callisto sonoanche registrazioni del gradiente termico edella robustezza della crosta superiore infunzione del tempo trascorso da quando idue corpi hanno iniziato a raffreddarsi.

La scoperta, da parte di Voyager 2, diun grande bacino d'urto di recente forma-zione, nei pressi del polo sud di Ganime-de, è un'ulteriore prova di variazioni no-tevoli nella robustezza e nella rigidità del-la crosta del satellite. Il bacino rassomi-glia a qualcuno dei più grandi bacini d'ur-to del sistema solare interno. Nelle foto-

grafie ad alta risoluzione si può vedereche il bacino a fondo piatto è circondatoda blocchi massicci e da un rivestimentodi materiali eruttati, indicando che all'e-poca della formazione del bacino la crostasi era indurita abbastanza per sostenererilievi montagnosi in grande scala. Il fattoche al bacino siano sovrapposti moltigrandi crateri fa ritenere che esso si siaformato nel primo miliardo di anni dopo laformazione di Ganimede, quando il satel-lite era ancora bombardato da corpi dinotevoli dimensioni. Evidentemente lacrosta si stava raffreddando rapidamentee solidificando durante le prime centinaiadi milioni di anni di esistenza del satellite.

Confrontando Ganimede e Callisto èpossibile ricostruire a grandi linee la sto-ria dell'evoluzione di Ganimede. Si puòpensare che l'antica superficie del satelli-te fosse molle, ghiacciata e scura, simileall'attuale superficie di Callisto. La gran-de schiera di strisce parallele leggermentericurve nell'emisfero nord è stata creataquando una grande meteorite ha bucato lasoffice crosta dando il via a oscillazioni esforzi che hanno fratturato la crosta inun'enorme figura di anelli concentrici.L'acqua riempì le fessure e solidificò. Inseguito si formarono le calotte polari ecominciarono a formarsi e a crescere ter-reni scanalati. Man mano che le sezionidella crosta scivolavano l'una sull'altra lespaccature aventi una data angolazionecon le linee di scivolamento davano origi-ne a terrazze. Poi la crosta diventò abba-stanza rigida da conservare tracce duratu-re degli impatti meteoritici. Il giovane ba-cino d'urto nei pressi del polo sud e ungrande cratere a raggiera brillante neipressi dell'equatore costituirono gli ultimigrandi aspetti su grande scala creati nel-l'emisfero opposto a Giove visto daVoyager 2. Nei molti miliardi di anni tra-scorsi da questi primi eventi dell'evolu-zione di Ganimede il satellite è evidente-mente rimasto in quiete.

Storia dei crateri

Uno degli obiettivi principali dellascienza planetaria è il confronto delle sto-rie geologiche dei pianeti e dei satellititerrestri del sistema solare come essi ciappaiono dalle immagini particolareggia-te inviateci dal veicolo spaziale. Il princi-pale strumento per stabilire le scale deitempi relative di queste storie dalle im-magini è di determinare la registrazionedei crateri d'urto sulla semplice premessache più vecchia è la superficie, più craterici sono su di essa. Stabilire una scala deitempi assoluta dalla registrazione dei cra-teri è molto difficile perché ciò richiedeuna conoscenza della velocità di forma-zione dei crateri su ciascuno dei corpi.

Vi sono oggi ampie testimonianze sucome la velocità di formazione dei crateridifferisca da una parte del sistema solareall'altra. Modelli delle velocità di forma-zione dei crateri per urto di asteroidi (e, inminore entità, di comete), unitamentealle osservazioni delle densità di crateri sucorpi differenti, suggeriscono che le velo-cità medie negli ultimi miliardi di anni

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EUROPA

10 (LIMITE SUPERIORE)

1 0 8

I I I I I I 1111 I 1 / 1 1 1 1

1 10

100DIAMETRO D (CHILOMETRI)

Le dimensioni e la frequenza dei crateri d'urto su Europa, Ganimede e Callisto cadono nell'in-tervallo misurato sulla Terra, sulla Luna e su Marte. Invece Io non presenta crateri d'urto finoalla risoluzione delle immagini fornite dai Voyager: circa un chilometro. La curva per Europa èmolto incerta perché si possono identificare con certezza soltanto tre crateri nelle immaginidei satelliti riprese dai Vo y ager. Le stime dei crateri d'urto relativamente alla Terra sono diRichard Grieve e Michael R. Dence del Canadian Department of Energy, Mines and Resources.

10-3

(PIÙ GIOVANE) (PIÙ VECCHIO)

GANIMEDETIPICHE

PIANUREDI MARTE

TIPICIMARly

LUNARI

CALLISTO (TERRENO CRATERIZZATO)

sono state simili per Mercurio, Marte, laTerra e la Luna (entro un fattore due).

Shoemaker ha invece avanzato l'ipotesiche negli ultimi miliardi di anni la velocitàdi formazione dei crateri per i satelliti diGiove sia stata nettamente inferiore ri-spetto ai corpi del sistema solare interno,di un fattore forse compreso tra 10 e 100.

Gli asteroidi, anche se vengono deviatiesternamente al sistema solare internoverso la regione dell'orbita di Giove, ven-gono probabilmente subito richiamati dal-l'intenso campo gravitazionale di Gioveverso altre parti del sistema solare. Perciòessi hanno soltanto una piccola probabilitàdi colpire Giove o i suoi satelliti. Stando

così le cose, il flusso di oggetti più piccolinel sistema di Giove è probabilmentedominato da comete periodiche, che sonomeno abbondanti degli asteroidi di alme-no un fattore 10 e forse di un fattore 100.

Un altro elemento che influenza le velo-cità di formazione dei crateri dei satelliti èla grande massa di Giove che fa aumentarevertiginosamente la velocità degli oggettiin arrivo. Così un corpo che cade su unsatellite prossimo a Giove tenderebbe aprodurre un cratere più grande di quantofarebbe su un altro più lontano. Questoaumento di velocità è trascurabile per Cal-listo, ma è di circa un fattore due perGanimede, tre per Europa e cinque per Io.

Quando si rappresentano graficamentele dimensioni dei crateri in funzione delladistribuzione di frequenza degli urti, per isatelliti galileiani e per corpi rappresenta-tivi del sistema solare interno, si ricavanoper Callisto e per Ganimede curve moltosimili a quelle ottenute per la Luna e perMarte. Invece Europa (sulla base di tresoli probabili crateri) e la Terra, rispettoagli altri corpi. hanno un numero di crate-ri. di diametro dato, minore di un fattoretra 10 e 50. Anche se è possibile che Eu-ropa abbia molti piccoli crateri di diame-tro inferiore a 15 chilometri, mancanoprove dirette della loro esistenza. Io,come abbiamo visto, non ha alcun craterefino al limite di risoluzione delle immaginidei Voyager. Il basso numero di crateridella Terra è dovuto alla difficoltà di iden-tificare piccoli crateri e agli effetti di can-cellazione dei processi geologici.

Si possono trarre le seguenti conclusio-ni generali. I terreni ricchi di crateri diGanimede e Callisto, confrontabili con glialtopiani ricchi di crateri della Luna, diMarte e di Mercurio, risalgono al periododel bombardamento torrenziale di circaquattro miliardi di anni fa. Evidentemen-te le terre scanalate di Ganimede si sonoformate prima della fine del primitivo,intenso bombardamento.

Si può dedurre un limite più basso per levelocità di formazione di crateri in epocherecenti. In primo luogo, la superficie diEuropa non può sicuramente essere piùvecchia di circa quattro miliardi di anni,altrimenti conserverebbe ancora le vesti-gia di grandi crateri antichi formatisi du-rante il primitivo bombardamento torren-ziale. Tre crateri identificati in quattromiliardi di anni pongono un limite inferio-re, per il flusso di oggetti che formanocrateri nelle vicinanze di Europa, a circaun decimo del flusso in vicinanza dellaLuna. Ciò è in accordo con la stima diShoemaker del flusso nelle vicinanze diEuropa e potrebbe portare alla conclusio-ne che la superficie di Europa abbia un'etàdi miliardi di anni. All'altro estremo del-l'intervallo di possibilità, la superficie diEuropa non potrebbe essere più giovanedi circa 100 milioni di anni, altrimenti ilflusso nelle vicinanze di Europa dovrebbeessere molto maggiore che in vicinanzadella Luna. Nel caso di Io, indipendente-mente dalle stime del flusso. l'assenza tota-le di crateri significa semplicemente cheesso possiede la più giovane e più dinamicasuperficie mai osservata nel sistema solare.

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