I ragazzi che si amano - Coro Gioventù Incantata · La vita che prepotente sboccia in loro li...

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40° anniversario I ragazzi che si amano Storie d’amori oltre i muri. Oltre le differenze religiose, etniche, culturali

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40°anniversario

I ragazzi che si amano

Storie d’amori oltre i muri. Oltre le differenze

religiose, etniche, culturali

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ideazione e progetto

Cinzia Zanon

test i

Marina Rossi

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Esistono luoghi in cui la terra trema senza interruzione ed il cielo è illuminato anche durante la notte. Le scie infuocate attraversa-no i balconi, squarciano i vetri ed entrano nelle case in cui nessu-no riesce mai a dormire. Si vive attanagliati da un’eterna tensione, si convive con un’infinita paura che prende per mano le persone quando scendono per strada, e le accompagna lungo i viali dove camminano senza sapere se mai rientreranno nelle loro case.Questi sono i luoghi della guerra.

Scenario a nubi rosse.Nella lanterna magica

sfilano mortali allegorie,fuochi artificiali

lapilli immateriali.

Stivali inzaccheratimitra al collo

guerriericalpestano sentieri

dove s’incendia l’animae la cenere sedimenta la rabbia.

testo: Cecil ia Barbatomusica: Gianmartino Durighello

GUERRA

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CChe fare… che cosa possiamo fare se non guardarci negli occhi? I miei, i tuoi, quelli di un bambino spaventato, ancora gli occhi di un vecchio che non si aspetta più nulla… per poi incrociare lo sguardo dei giovani che chiamano, urlano, chiedono attenzione, chiedono pace! La vita che prepotente sboccia in loro li costringe a non arrendersi; la ricerca d’amore li rende forti e irriducibili. Non li piegheranno le atrocità delle guer-re che devastano il mondo; loro continueranno a chiedere aiuto, grideranno, magari cadranno una volta, un’altra, un’altra ancora senza, però, chiudere gli occhi, né abbassare lo sguardo. Basta che tu resti in ascolto per avvertire la loro voce… riesci a sentirli?

Can you hear my cries?Can you see my eyes?I’m calling out to you.

Calling in the distance, softly.Could it be the sound of my heart?Here I am before you, reaching.Could it be I’m slipping away.

Can you hear my cries?Can you see my eyes?I’m calling out to you.

Suddenly I see I’m falling,trying to find a way off the ground.Will I see the future in me,as I see it slipping away.

I know you can hear,I know you can see.I’m calling out to you.

Hear my cries, can you see my eyes?Can you feel my cries?Can you feel my eyes?Tell me can you see my eyes, can you hear me calling out to you?

I know you can hear,I know you can see,I’m calling out to you.

testo e musica: Jim Papoulis

CAN YOU HEARRiesci a sentire le mie grida?Puoi vedere i miei occhi?Ti sto chiamando a gran voce.

In lontananza, dolcemente.Potrebbe essere il battito del mio cuore?Sono qui davanti a te, ti ho raggiunto.Forse me ne sto andando in silenzio.

Riesci a sentire le mie grida?Puoi vedere i miei occhi?Ti sto chiamando a gran voce.

Improvvisamente sto per cadere,cerco di trovare una soluzione.Vedo il mio futuro davanti a me,mentre lo vedo scivolare via.

So che puoi sentirmi,so che puoi vedermi.Ti sto chiamando a gran voce.

Senti le mie grida,puoi vedere i miei occhi?Puoi sentire le mie grida?Puoi sentire i miei occhi?Dimmi che riesci a vedere i miei occhi,riesci a sentire che ti sto chiamando?

So che puoi sentirmi,so che puoi vedermi,ti sto chiamando a gran voce.

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EEsistono luoghi in cui non è facile vive-re perché il buio, la polvere e il grigiore oscurano il sole… Eppure, tra le case squarciate, i muri divelti, le strade im-praticabili si sprigiona un’inspiegabile energia che lenisce le ferite e consola i cuori. Strano a dirsi ma c’è chi, con una forza di volontà che non si lascia piegare, guarda lontano; tra il fumo più denso si lascia prendere, nonostante tutto, dalla forza della vita. È per loro che tra i detri-ti sbucano delicati fili d’erba e sui rami degli alberi abbattuti si schiudono mi-nutissime gemme. Contro l’evidenza dei fatti, contro la brutalità dei gesti, anche qui qualcuno si cerca, si abbraccia, fre-me nell’attesa di un bacio, si emoziona per una carezza.Questi sono i luoghi dei ragazzi che scel-gono di amarsi.

testo: Laura Primonmusica: Sebastian Korn

i ragazzi che si amano

Siamo i ragazzi che si amano,

oltre i muri invalicabili

dell’odio

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SSono Hamed, palestinese senza futuro. Lo hanno rubato a me, giorno dopo giorno, come a tutta la mia gente, soffocata dal muro che divide Hebron, la mia città. Otto metri di altezza raggiunta sasso su sasso mi separa da parenti e amici sradicati all’improvviso dalla mia vita. La mia città sta morendo, ma esiste, come deve esi-stere ancora, una speranza: i miei giovani anni non possono perdere lo sguardo teso ad uno spiraglio di luce. Qui tutto è poco o niente, abbonda solo l’umiliazione, più pesante della povertà che, comunque, si può portare con dignità anche nei giorni di festa. Avere in casa gas, acqua, elettricità è cosa rara e un po’ di pane si conquista con una coda di almeno cinque ore. Sono un giovane che non sa cosa fare. Giro tra i vicoli e i negozi quasi vuoti; spesso mi soffermo nei pressi della rete metallica che divide la nostra miseria dalle case dei coloni israeliani. Ai piedi della rete crescono file di oggetti lanciati con astio, accumulati dal tempo, insieme a pietre, ornamento d’una rabbia che cresce di giorno in giorno e mi accorgo d’esser nato con pensieri pesanti come quelle pietre.

Sono Sarah, ragazza ebrea in cerca di futuro in una terra che ho sempre sentito mia. Il mio sguardo è corto, bloccato dal muro che divide Hebron, la mia città: otto metri di altezza raggiunta sasso su sasso che mi pesa sulle spalle, anche se in qualche modo mi protegge dagli attentati che si ripetono giorno dopo giorno, sempre più violenti. Frequento l’università, vorrei diventare una giornalista per parlare al mondo intero dell’angoscia che tormenta questa parte del mondo. Vorrei tracciare sulla carta parole

La città vecchia di Gerusalemme.

Sono palestineseed amo te,

ragazza ebrea.

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Ma navu al heharim rag’le ham’vaser.Mash’mia y’shua, mash’mia shalom.

Tradizionale israeliano

MA NAVU

Come sono belli sulle colline i piedi del messaggero.Egli parla di salvezza, Egli parla di pace.

(Isaia cap. 52:7)

che si sentano con la stessa forza delle sirene che squarciano il mio cuore quando an-nunciano l’arrivo dei qassam; vorrei fi ssare sulla carta i pensieri che in pochi secondi mi trafi ggono la mente mentre cerco il più vicino bunker di sicurezza e vorrei fi ssare sulla carta il sapore della paura. Per questo mi trattengo ai bordi della rete metallica che divide la mia solutine dalla miseria dei palestinesi. Ai piedi della rete crescono fi le di oggetti lanciati con astio, accumulati dal tempo, insieme a pietre, ornamento d’una rabbia che cresce di giorno in giorno e mi accorgo d’esser nata con pensieri pesanti come quelle pietre.

Sarah e Hamed si sono incontrati in questo luogo di divisione. I loro sguardi scuri e pro-fondi si sono incrociati in quel luogo di vergogna e hanno aperto un varco alla speranza. Un giorno, un altro, un altro ancora e la simpatia si scopre amore; la voglia di rivedersi diventa insopprimibile bisogno di stare insieme. Decidono di andarsene per cercare un luogo che sia giusto per loro. Si dirigono verso il deserto ai piedi del costone che sostiene il monastero di Marsba per poi raggiungere Beit Doqu, un’oasi in mezzo al deserto pa-lestinese, diffi cile da raggiungere come la terra promessa. Con i sandali pieni di sabbia s’incamminano verso una collina verde in mezzo al deserto; là possono nutrirsi di parole che offrono dignità all’uomo, in quel luogo la gente sa ancora guardarsi senza sospetto, diffi denza, odio. I missili continueranno a solcare il cielo, ma loro getteranno nella terra nuovi semi perché Hamed è un ragazzo palestinese e Sarah è una ragazza ebrea, ma sono soprattutto due ragazzi che si amano.

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Siamo i ragazzi che si amanoMMi chiamo Antoneta e vivo con ciò che è rimasto della mia famiglia a Budisalc, un villaggio poco lontano da Klina. Per arrivarci bisogna percorrere una strada asfaltata che taglia in due una campagna bellissima che in primavera si trasforma in una di-stesa di fiori. Amavo quella campagna e quella strada, soprattutto quando la percorrevo in bicicletta con i miei fratelli Ivan e Goran. Facevamo gare furibonde per vedere chi arrivava primo alla bottega del paese vicino. Un pomeriggio, ci ha sorpreso un suono assordante, secco e prolungato che ha messo in fuga gli uccelli. Neppure il tempo di capire e li ho visti cadere tutti e due a terra, falciati da una mitragliatrice. Dopo la morte dei miei fratelli ho cominciato a trascorrere giornate uguali le une alle altre, scandite dal canto del gallo che non sembra riconoscere nemmeno lui il giorno dalla notte.Semplicemente mi sveglio, taglio la legna per il fuoco, rassetto la casa, lavo i panni, preparo il pane, guardo le altre donne che cucinano o lavorano a maglia senza provare alcuna voglia di vivere. Mai più ho percorso la strada che porta a Budisalc: mi limito a spremere quel che posso dai miei giorni tristi e aspri, senza senso!

Mi chiamo Milosch, sono un ragazzo serbo che è nato dentro la guerra e non ha visto che guerra. Ho tanto cercato, crescendo, una via d’uscita che mi rendesse libero, ma la miseria non lascia scappatoie. La mia casa è stata bruciata con dentro tutto ciò che una famiglia di dieci persone

Sono kossovaraed amo te,

ragazzo serbo.

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Niška Banja, topla vodaza Nišlije živa zgoda.

Em ka ravlam, em kame ravla,and‘o Niši na mekav la

Jek duj, duj, dešujduj,cumi davte caje ando muj.

A Niška Banja l’acqua calda è meravigliosa per i giovani provenienti da Niš.

Lei sarà mia, la amerò e la lascerò a Niš .

Due, due, dodici voltela bacerò sul viso.

Tradizionale serbo

NIŠKA BANJA

aveva accumulato, acquistato, tutti i doni ricevuti, tutti i ricordi conservati, tutte le bestie allevate... insomma tutta la storia quotidiana di una famiglia se n’è andata, trasformata in fumo nero! Per questo, come fosse una via d’uscita, mi sono arruolato senza grande passione, né convinzione. L’esercito, dopo avermi fatto soldato, mi ha mandato in missione a Budisalc, nei pressi di Klina, dove si diceva esistesse un focolaio di sommossa tra i giovani kossovari. Un giorno, con i miei compagni, piazzo il posto di guardia presso il giardino di una piccola casa. All’inizio la convivenza con i proprietari è dura, basata sulla sfi ducia, poi, vedo Antoneta che si sta asciugando i capelli al sole, seduta su un gradino che porta all’orto e la mia vita, da quel momento, diventa un’altra cosa.

Antoneta fi ssa i suoi occhi nello sguardo di Milosch e vi legge dentro la stessa espressione che aveva Ivan quando, sognando, immaginava un futuro migliore; Milosch è stupito di perdersi nello sguardo di Antoneta…All’improvviso nasce prepotente in loro una gran voglia di rimboccarsi le maniche; im-maginano una minuscola attività che li aiuti semplicemente a sopravvivere; ritrovano la voglia di sfogliare il calendario per festeggiare le ricorrenze e i compleanni, per organiz-zare qualcosa che non sembra più banale e può aiutare molto ad addolcire la vita: lo fa Antoneta ragazza kossovara, lo fa Milosch ragazzo serbo, lo fanno loro che ormai sono due ragazzi che si amano.

Prizren, la culturale e storica capitale del Kosovo.

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Siamo i ragazzi che si amanoMMi chiamo Pradesh e sono un ragazzo indiano. Vivevo ad Agra, la sfavillante capita-le del grande impero Moghul, diventata nel corso dei secoli un megavillaggio in cui convivono poveri e ricchi, baracche e grandi centri commerciali, McDonald e fogne a cielo aperto. La confusione del traffico stradale regnava sovrana come in gran parte dell’India, ormai: automobili, risciò, furgoni, carri e animali. L’aria era irrespirabile al punto di doversi coprire naso e bocca con i lembi dei propri vestiti. In tutto questo, ad avere la meglio, erano le vacche: attraversavano la strada e tutto, per un attimo, si fermava intorno a loro. Per strada mi capitava di vedere bambini andare a scuola con la divisa e altri che, a piedi nudi, nelle pozzanghere e nel fetore dei loro escrementi, aiutavano i genitori a spalare il letame o a costruire mattoni. Non potevo immaginare di crescere così i miei figli e, proprio per questo, ho deciso di lasciare questa terra in-trisa di contraddizioni. La mia famiglia ha capito il mio cuore e non ha esitato a privarsi di tutto per offrirmi la possibilità di studiare. Sono giunto a Sheffield, nel Regno Unito, in una giornata di pioggia; per fortuna mi attendevano in un centro di accoglienza. È da lì che ho iniziato a progettare il mio futuro e sarò pronto e preparato a tornare nel mio Paese per aiutarlo a crescere.

Mi chiamo Aisha e sono una ragazza pakistana. Fino a sedici anni ho immaginato la vita come una piacevole passeggiata ma il mondo mi è crollato addosso quando mio padre, molto compiaciuto, ha portato a buon fine la trattativa per il mio matrimonio combinato. Mi hanno accompagnata a Sheffield nel Regno Unito come fossi un pacco

Sono indianoed amo te,

ragazza pakistana.

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da consegnare, promettendomi un fidanzato all’incirca ventenne. Ad attendermi invece un uomo flaccido e sudaticcio di oltre cinquant’anni che faceva accapponare la pelle. Ho pianto, gridato, chiesto comprensione, ma mi specchiavo in una serie di maschere: tutti mi fissavano impassibili, immobili, irremovibili consapevoli che le regole della Sharia davano loro ragione. Ho provato ad accettare il mio destino rinnegando le deci-ne di donne che ogni anno muoiono per difendere la loro libertà, rinnegando quelle che affrontano una sorte peggiore dell’omicidio e spariscono senza lasciare traccia, quelle spinte al suicidio da mariti e parenti, quelle picchiate e violentate per il solo fatto di essersi ‘occidentalizzate’. Ho provato senza riuscirci a piegare la parte più ribelle e libera di me stessa, ma è stata un’inutile battaglia. È per questo che sono fuggita, da loro e da me stessa, e poi è successo tutto in un attimo: mi hanno raggiunta e non ho sentito neppure dolore, ho avvertito solo il gusto dolciastro del sangue che mi colava in bocca ed il mio bel viso era sfregiato, deturpato per sempre. Ho trovato un riparo sicuro in un centro di accoglienza; altre donne, ora amiche preziose, mi curano, mi difendono, mi proteggono.

Ci sono due giovani che, tenendosi per mano, scendono la montagna verso la cittadina di Dharamsala, in India. Incontrano pastori gaddhi con l’inconfondibile berrettino, la giacca di lana grezza e l’orecchino d’oro. Incontrano bambini festosi, mucche e tanti uccelli che confondono il loro canto con il gorgoglio dell’acqua. Viaggiano attraverso le città di una terra vastissima in cui, pur tra mille difficoltà, convivono un miliardo di individui di etnie e religioni diverse. Viaggiano per incontrare gli imprenditori che a Bangalore stanno rivoluzionando l’industria informatica planetaria e gli scrittori dalla cui immaginazione stanno nascendo i nuovi capolavori della letteratura mondiale. Viaggiano attraverso la storia di un paese le cui origini coincidono con quelle dell’intera civiltà umana, per poi immergersi nel silenzio di un ashram alla ricerca del segreto di una spiritualità che ha origini millenarie e racconta che anche un viso sfregiato può racchiudere tutta la bellezza dell’universo. Questa è la scelta di Pradesh che è un ragazzo indiano, è anche la scelta di Aicha che è una ragazza pakistana, da questo momento due ragazzi che si amano.

Aliri mere naina naina ban parichit chari mere madhuri muratur biche an ari.

Kab ki thari panth nihar hunapne bhavan khari

Kaise pran piya rakh hunjivan mul jari

Tradizionale indiano

ALIRI MEREO amica, i miei occhi e la mia mente sono stati colpiti dalla sua dolcezzanella mia mente è indelebile il suo dolce volto.

Per quanto tempo ho aspettato nella stradaguardando nella direzione della sua casa.

Come posso vivere e respiraresenza il mio amore?

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Siamo i ragazzi che si amano

Üsküdara gider iken, aldýda bir yagmur.Kâtibimin setresi uzun etegi çamur.

Kâtip uykudan uyanmis gözleri mahmur.Kâtip benim ben kâtibin el ne karýsýr. Kâtibime kolali da gömlek ne güzel yarasir

Üsküdara gider iken, bir mendil buldum.Mendilimin içine de lokum doldurdum.

Kâtibimi arar iken, yanýmda buldum.Kâtip benim ben kâtibin el ne karýsýr.Kâtibime kolalý da gömlek ne güzel yarasýr.

Tradizionale turco

Üsküdara

SSono Anna, una ragazza cristiana. Mia madre e mia nonna, donne indipendenti e fem-ministe, mi hanno insegnato a vivere un’esistenza felice e positiva. Libertà, libertà, libertà: per loro è l’unico valore da difendere e proteggere sopra ogni altro, e così anche per me! Quando ho incontrato Riad, nei pressi dell’Università, sono stata colpita dalla serietà del suo sguardo profondo e da una <finezza d’animo> che ho colto subito, come potessi toccarla con mano. Ho provato a restargli lontana, ho persino cambiato corso d’esami per evitare un rapporto che intuivo difficile, ma ogni vita segue disegni inevitabili. Più fuggivo, più lo ritrovavo al mio fianco finché è successo, ci siamo baciati durante un’assemblea universitaria e abbiamo capito che forse così doveva essere: il destino aveva deciso per noi! Quando ho confidato a mia madre che ero innamorata di un ragazzo musulmano, ho visto vacillare per un attimo la sua sicurezza, poi mi ha detto: “Tu sai che i matrimoni musulmani non garantiscono diritti alle donne, sai che la moglie diviene sottomessa al marito ed è suo dovere obbedirgli, esattamente il contrario di quello in cui abbiamo sempre creduto.” Io ho risposto: “ So ogni cosa e la voglio affrontare con tutta la fiducia e l’amore che posso!” Mia madre si è seduta, mi ha chiesto un bicchiere d’acqua e dopo un sorso ed un sospiro, mi ha riempito il cuore con il suo sorriso.

Mi chiamo Riad e sono un ragazzo musulmano. La mia famiglia ha lasciato Marrakech quando io avevo otto anni e i miei fratelli ne avevano sei e cinque. Siamo giunti a Milano

Sono cristianaed amo te, ragazzo

musulmano.

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Stavo andando ad Üsküdara quando iniziò a piovereIl soprabito del mio compagno si sporcò di fango

Il mio compagno si era appena svegliato e aveva occhi assonnatiAh, se avessimo potuto tenerci per mano! Il soprabito del mio compagno era molto elegante

Mentre andavo ad Üsküdara, trovai un fazzoletto Presi un lokum (tipico dolce turco) e lo avvolsi nel mio fazzoletto

Cercavo il mio compagno e lo trovai accanto a meAh, se avessimo potuto tenerci per mano!Il soprabito del mio compagno era molto elegante

con quattro valigie e un grande smarrimento, come fossimo dei pesci fuor d’acqua. I miei genitori sembravano convinti di fare la scelta giusta nel lasciare un ambiente che non ci offriva sbocchi per il futuro ma, giunti nella nuova città, iniziarono ad en-fatizzare la lontana terra d’origine. Mio padre ricercava le sue radici alla moschea e mia madre si sforzava di educare noi figli, per destino tutti maschi, e premeva perché frequentassimo solo ragazze della nostra stessa fede. Ma io, un giorno, per strada, nei pressi dell’Università, ho incontrato Anna. Indossava un vestito scollato, aveva i biondi capelli smossi dal vento e una sigaretta tra le sue splendide labbra: mi son sentito morire perché ho capito all’istante che era la donna della mia vita ed esattamente il contrario di ciò che mia madre voleva per me.

Anna e Riad stanno insieme da un anno e da un anno combattono contro i pregiudizi e le difficoltà quotidiane. Sanno benissimo che non sarà facile la loro vita, ma vogliono ten-tare un esperimento spregiudicato nel quale può credere solo chi si affida all’amore ed è capace di godere la gioia che regala scartare i doni sotto l’albero di Natale e godere il sapore dello zenzero e della cannella nei giorni del Ramadan. Passeggiando mano nella mano lungo i Navigli, ignorano i pensieri della gente che osservandoli scrolla il capo ma si concentrano a sognare un loro futuro sereno. Lo possono sperare perché ora Anna, ragazza cristiana e Riad, ragazzo musulmano, sono soprattutto due ragazzi che si amano.

È un tipico brano popolare che risale alla fine del 1800, all’epoca dell’impero ottomano. A quel tempo, la città di Istanbul era abitata da popolazioni dei balcani e da molti greci, molti dei quali erano cristiani e convivevano in maniera pacifica con i turchi musulmani. Secondo la tradizione popolare, la protagonista della canzone Üsküdara è proprio una giovane greca cristiana che canta il suo amore platonico per un giovane turco musulmano. Il brano racconta la loro passeggiata verso il quartiere di Üsküdara, una zona molto famosa di Istanbul.

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MSiamo i ragazzi che si amano

Mi chiamo Anthony e sono un ragazzo bianco. Vivo a New York, una città che ha dato la possi-bilità alla mia famiglia di realizzarsi nel lavoro. I miei genitori si sono dati un gran daffare ma ora sono orgogliosi dei traguardi raggiunti. Non si sono fissati sul far soldi, quelli sono arrivati e chi non li accoglie con piacere… han-no cercato soprattutto, anche attraverso me, di accrescere quel bagaglio culturale, consi-derato il fiore all’occhiello di tutta la famiglia. Ho accontentato mio padre laureandomi con il massimo dei voti ed ho anche dimenticato la prepotente voglia di viaggiare, di esplora-re il mondo, per dedicarmi alla carriera che loro volevano per me. Poi ho conosciuto Mael ad una festa, o meglio, l’ho intravista lascia-re la sala caotica ed avviarsi a piedi, bella e selvaggia come una dea nera nel suo abito sgargiante. L’ho seguita, dovevo conoscerla e soprattutto non potevo fare a meno di scopri-re i tratti del suo viso color ebano e carpire il segreto del suo sguardo. C’è voluto un attimo e mi sono perso nei suoi occhi, innamorato perdutamente. La sera che l’ho portata a casa temevo una loro reazione, una sorta di stupore, uno sconcerto per quella nota cromatica sto-nata: di certo non sapevano come immaginare, come inserire un nipotino di colore nel futuro che avevano progettato per me ma la grazia di Mael li ha subito conquistati, per una volta accettavano quello che io volevo.

Mi chiamo Mael e sono una ragazza nera. Sono nata a New York e per fortuna, nella mia in-fanzia, mi sono divertita un sacco sulle giostre insieme ad altri bambini bianchi, cosa negata ai miei bisnonni, giunti con mille difficoltà da Segou, l’antica capitale dell’impero Bambara. La mia vita di studentessa alla Columbia Uni-versity è serena anche se molto impegnativa ma quanto profondamente, ed inaspettata-mente, sento radicato dentro di me il sole del Mali. Quando Anthony la sera mi fa compagnia,

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attraverso i racconti torniamo insieme nella mia terra. Ritorno alle mie origini, quando ancora a Segou c’erano ufficiali francesi e viaggiatori che inseguivano la fascinazione esotica dell’impero coloniale. Allora il corti-le dell’Hotel de la Rose, da sempre proprietà della mia famiglia, era un luogo piacevole, rinomato per le serate fresche, profumate dall’odore delle buganvillee in fiore. Alle pa-reti del cortile salivano piante rampicanti che fiorivano di colori caldi e intensi, mentre la notte era illuminata da tante luci basse sotto le quali conversare. Anthony sorride, giura che niente potrà cancellare questo passato, né i nostri sogni… e io ci credo!

Anthony e Mael affrontano con entusiasmo una vita capace di restare in equilibrio tra due mondi tanto diversi. Sono convinti che il loro futuro è in America, soprattutto in questi anni <politicamente straordinari>, come dice il pa-dre di Mael! Talvolta, però, sognano di partire, tornare a Segout, all’hotel del bisnonno, chiuso e ormai cadente; si immaginano di sanare le crepe aperte sui bianchi colonnati ed in quel luogo tornato ospitale, accogliere i molti ami-ci che ignorano la magia africana. Lì Mael, la sera, potrebbe recitare senza disagio le antiche poesie della sua terra, dire senza pudore al suo amato: <Eccoti qui, scintillante come una mo-neta d’argento tra le monetine di rame>. Sentono che la vita non è trascorsa invano e tante cose sono definitivamente cambiate per-ché il tempo aggiusta tutto, smussa gli spigoli, le asperità senza, però, cancellare la memoria e neppure i dolori, i desideri, i sogni, le speran-ze. Il tempo scorre come l’acqua di un ruscello che lentamente arrotonda i sassi sbrecciati trasformandoli in ciottoli, cambia la loro forma tanto che non potranno mai più ferire!Ce l’hanno fatta perché Anthony, un ragazzo bianco, e Mael, una ragazza nera, sono soprat-tutto due ragazzi che si amano.

testo e musica: U2

MLKdedicata a Martin Luther King,

esprime la speranza che i suoi sogni di pace e tolleranza possano avverarsi.

Sleep, sleep tonightAnd may your dreams be realizedIf the thunder cloud passes rain

So let it rain, let it rain.Rain down on he!

Sleep, sleep tonight.

Dormi, dormi stanotteE che possano avverarsi i tuoi sogniSe la nuvola di tuono porta pioggia

Allora lascia che piova, lascia che piova.Piova su di lui!

Dormi, dormi stanotte.

Sono biancoed amo te,

ragazza nera.

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Listen to the sound of my voice, can you feel the beat of my heart?Listen to the question I have.Listen to me.It’s all very simple to see what we need.

Give us hope, my voice is calling.Can you see? Look in my eyes.Can you feel? My hand is reaching.Give us hopeand we’ll show you the way.

Listen to the sound of my voice, can you feel the beat of my heart?Listen to the question I have.Listen to me.We are the future help us believe.

Give us hope, My voice is calling.Can you see? Look in my eyes.Can you feel? My hand is reaching.Give us hopeAnd we’ll show you the way.

Take my hand now look in my eyes,tell me what you see.

Give us hope, my voice is calling.Can you see? Look in my eyes.Can you feel? My hand is reaching.Give us hopeand we’ll show you the way.

testo e musica: Jim Papoulis

GIVE US HOPESiamo i ragazzi

che si amano oltre i muriinvalicabili?

Valicabili dell’odio.

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Ascolta il suono della mia voce, riesci a sentire il battito del mio cuore?Ascolta le mie domande.Ascoltami.È tutto molto semplicevedere ciò di cui abbiamo bisogno.

Dacci la speranza, la mia voce sta chiamando.La senti?Guardami negli occhi.Riesci a sentire?La mia mano ti raggiunge.Dacci la speranza e ti mostreremo la via.

Ascolta il suono della mia voce che ti chiama,Riesci a sentire il battito del mio cuore?Ascolta le mie domande.Ascoltami.Siamo il futuroaiutaci a crederci.

Dacci la speranza,la mia voce sta chiamando.La senti?Guardami negli occhi.Riesci a sentire? La mia mano ti raggiunge.Dacci la speranza e ti mostreremo la via.

Prendi la mia mano guardami negli occhi,dimmi cosa vedi.

Dacci la speranza,la mia voce sta chiamando.La senti?Guardami negli occhi.Riesci a sentire? La mia mano ti raggiunge.Dacci la speranza e ti mostreremo la via.

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testo e musica: Michael Jackson - Lionel Richie

WE ARE THE WORLD

There comes a timewhen we head a certain callwhen the world must come together as one.There are people dyingand it’s time to lend a hand to life,the greatest gift of all

We can’t go on pretending day by daythat someone, somewhere, will soon make a change.We are all a part of God’s great big familyand the truth, you know love is all we need

We are the world, we are the childrenwe are the ones who make a brighter dayso let’s start giving.There’s a choice we're makingwe're saving our own livesit's true, we'll make a better day just you and me

Send them your heart so they'll know that someone caresand their lives will be stronger and free.As God has shown us by turning stone to breadSo we all must lend a helping hand

We are the world, we are the children…

When you're down and out, there seems no hope at all,but if you just believethere’s no way we can fallWell, let us realizethat a change can only comewhen we stand together as one

We are the world, we are the children…

Siamo i ragazzi che si amano,

oltre i muri VALIC ABILI

dell’ odio

Page 19: I ragazzi che si amano - Coro Gioventù Incantata · La vita che prepotente sboccia in loro li costringe a non arrendersi; la ricerca ... del gallo che non sembra riconoscere nemmeno

Arriva un momentoin cui abbiamo bisogno di una chiamata,quando il mondo deve tornare unito.C’è gente che muoreed è tempo di aiutare la vita, il più grande regalo del mondo.

Non possiamo andare avantifingendo di giorno in giorno che qualcuno, da qualche parte, presto cambi le cose.Tutti noi siamo parte della grande famiglia di Dioe, lo sai, in verità l’amore è tutto quello di cui abbiamo bisogno.

Noi siamo il mondo, noi siamo i bambini,noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce,quindi cominciamo a donare.È una scelta che stiamo facendo, stiamo salvando le nostre stesse vite,davvero costruiremo giorni migliori,tu ed io.

Manda loro il tuo cuore così sapranno che qualcuno vuol loro benee le loro vite saranno più forti e libere.Come Dio ci mostrò, mutando la pietra in pane,così tutti noi dovremmo dare una mano soccorritrice.

Noi siamo il mondo, noi siamo i bambini, …

Quando sei triste e stanco, sembra non ci sia alcuna speranza,ma, se tu hai fiducia,non possiamo essere sconfitti.Bene, rendiamoci conto che le cose potranno cambiare soloquando saremo uniti come una cosa sola.

Noi siamo il mondo, noi siamo i bambini, …

Siamo i ragazzi che si amano,

oltre i muri VALIC ABILI

dell’ odio

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40°anniversario