I racconti della terza serata di 8x8 -- 2014

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    8x8 2014

    18 marzo |terza serata

    @Le Mura, Roma

    Valerio Codispoti

    Aldo Germani

    Enrico Losso

    Jessica Moretti

    Maria Elena Napodano

    Olivia Scotti

    Luca Vallese

    Carmen Verde

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    8x8 Un concorso letterario dove si sente la voce Oblique Studio 2014

    I partecipanti alla serata del 18 marzo 2014:

    Valerio Codispoti, Rondinella;Aldo Germani, Facce;Enrico Losso, La scelta di Zeno;Jessica Moretti,Essenza;Maria Elena Napodano, Paccegna;Olivia Scotti,Nonna Africa;Luca Vallese, Foglie;Carmen Verde, Pianerottoli e altri sospetti.

    Uno speciale ringraziamento alla casa editrice 66thand2nd, madrina dellaserata, e ai giurati Tomaso Cenci, Pier Paolo Di Mino e Francesco Longo.

    I caratteri usati per il testo sono lAdobe Caslon Pro e il Rockwell.Oblique Studio | via Arezzo 18 | 00161 Roma | [email protected]

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    Valerio Codispoti

    Rondinella

    Antonia e Quinto ebbero due gli, prima una femmina e poiil maschio. Ma seppero conservare la memoria e lo spirito diquesto soltanto. Sullaltra si intesero rimanendo in silenzio: fustabilito che non era mai esistita. Ne cancellarono la nascita set-timina, il corpo troppo minuto e il viso livido. E lo fecero tantoin fretta da non sentirsi neppure in dovere di riconoscerle unagiusta sepoltura.

    Fin da bambino, anche Aldo mostr una forma debole: la testaappuntita e le orecchie pronunciate.

    Affi nch le becche si abituassero pi vicine al cranio, sua madreprov a correggere quel difetto con delle bende.

    Apri le ali!, gridava Aldo, correndo tra le olivare. Il cotoneslacciava dalla fasciatura e il tessuto srotolava ammollando amezzaria. Apri le ali. Vola, vola!

    Ci che lui considerava un gioco per gli altri fu motivo di scher-no: Lindineddha, lindineddha di notte!, lo chiamavano a scuola.Come quelle dei pipistrelli, le sue orecchie venivano fuori rotonde

    e allungate. Vola Rondinella, vola!, gli dicevano i compagni.Cos Aldo sopravviveva da solo alle giornate, col mento al cieloa guardare laria muovere e a riconoscerne gli accenti.

    Venite mamma? Venite a giocare ai profumi degli alberi?Non sono mica una bambinaE posso averla? Posso averla una bambina?

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    Questo devi chiederlo a tuo padre, rispose Antonia e strinsela fronte in una grande ruga.

    Ma Quinto era troppo impegnato in falegnameria per occupar-si di lui. Perci, nei fatti, tutto quello che ottenne fu una stecca diabete chiaro da lavorare con il ferro.

    Aldo scendeva in picchiata al mare: correva tra i mezzi fusti di

    granturco e impugnava la bacchetta di legno.Corri Rondinella, corri!Fu addosso al tronco di un arancio che si incontrarono.Sei triste?, gli chiese.Ad Aldo parve pi alta, e questo bast per rassicurarlo. Aveva i

    capelli lunghi, rossi della quercia di sughero, e la pelle chiara comele inorescenze ancora acerbe del mais.

    Si rotta la motocicletta Aldo teneva la schiena alla cortecciae le ginocchia al petto. Le mostr la bacchetta spezzata a met. Poila gett lontano: Si rotta! Si rotta e non si pu aggiustare.

    rotta!, ripet lei. Indossava un vestitino leggero e le pieghe

    bianche del fondo duravano appena alle ginocchia: Rondinella, rotta?.Mi sai?Lho vista, ho visto una rondinella correre!E tu come ti chiami?Lei scosse la testa.E da dove vieni lo sai?Io so volare.Aldo spalanc gli occhi a mostrare tutta la sua meraviglia: Al-

    lora sei una bambina uccello!.E tu una rondinella. Quando sorrideva un lo di lentiggini

    arricciava sul naso.Fratello e sorella!, url. Giochiamo a questo!Il sole di luglio illuminava tutta la costa insistendo sul paese e

    sui campi.Rimasero sdraiati a lungo, nascosti tra i fusti del granturco.Quanti?, chiese lui.

    Valerio Codispoti

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    Almeno un milione, rispose, ritraendo il collo dal petto diAldo. E io?

    Aldo si inginocchi e tese lorecchio: Non si sente! Non cniente?.

    Lei si alz in piedi e allarg le braccia: Ma ho le ali, Rondinel-la. Muoveva le mani e correva simulando il volo di un uccello. Lespalline di cotone scivolavano verso i gomiti. Aldo rimase incantatoda quella leggerezza e pens che non avrebbe pi permesso ai giorni

    di esistere senza di lei.

    Io cos, disse chiudendo nel palmo solo i pollici. E tu quanti?,domand Aldo.

    Lei non rispose: rimaneva in piedi e lorlo dellabito adesso sem-brava allungarsi no alle gambe.

    Secondo me questi, fece Aldo alzando le mani. Pi tutti que-sti qui, e allungava il mento sulle dita.

    Allora decido io che gioco facciamo, disse lei e prese a cam-minare tra gli alberi con lo sguardo a terra.

    Per quando sono pi grande decido io!, borbott lui guar-dando il mare. Ma era gi piegata a raccogliere in terra i resti dellastecca. Glieli allung e disse: Aggiusta il manubrio, giochiamo allamotocicletta!. Aldo strapp una foglia di granturco e tir via le la-mine con i denti. Poi le sn arrotolandole tra le mani. Quandofurono robuste abbastanza fasci insieme i pezzi di abete.

    Salgo?, domand lei.Aldo rifece con la bocca il rumore di una marmitta ingolfata:

    Non parte!.Aspetta, sussurr lei. Le hai detto che ci vuoi bene?, e

    accarezz il manubrio.

    Aldo ripet il brontolio del motore: Ora tieniti forte.Lei gli cinse le mani ai anchi e accost il viso alla sua schiena.Aldo liber un boato dalla bocca e poi: Rondinella e bambina

    uccello!, url. Vai Rondinella, vai!Iniziarono a scendere segnando una rotta ingarbugliata lungo

    lo sterrato. Strillavano, alzando una scia di polvere dietro di loro.

    Rondinella

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    Pi veloce, pi veloce!, insistette lei. I lembi del vestito oracoprivano anche le caviglie. Inciamp nelle pieghe del tessuto ecadde a terra, spellando le ginocchia contro largilla dura: Ahi!,esclam. E allungava la pelle delle guance per trattenere le lacrime.

    Dobbiamo metterci la medicina. La prese sulla schiena e strin-se il manubrio: andava gi dritto. Lei lo abbracciava al collo e con legambe lo stringeva ai anchi. Il vestitino ora le copriva anche i piedie gonava dellaria che saliva dal mare.

    Aldo raccolse nelle mani lacqua e la vers piano.Ahi!, esclam di nuovo.Brucia?Annu soltanto, rimpicciolita anche dal dolore.Aldo si avvicin e soffi piano, con le labbra appena schiuse:

    Ora passa. Le si sdrai accanto e inizi a studiare il sole che len-tamente spariva dietro le colline. Dov quando non c?

    Vola via. Come me, vola via in cielo.La guard, preoccupato.

    Ma poi torna, torna sempreVieni a giocare a casa mia?Rimaniamo qui, non pi bello?Per decido io il gioco, disse Aldo. Sl maglia e pantalon-

    cini, prese la rincorsa e si tuff. Vieni!, urlava e con le bracciaspostava lacqua. Vieni a prendere il bagno.

    Lei si avvicin trattenendo con lavambraccio la gonna.Aldo and al largo. Poi torn indietro, alzando scomposto

    gambe e schiuma. Tir fuori la testa a riprendere ato e la videbagnarsi: lacqua le arrivava alla vita.

    Quando con i piedi tocc di nuovo il fondo, Aldo si ferm e

    guard alla riva: bellissimo!, disse.Ma lei non cera pi.

    Torn in quei campi tutti i giorni, lintera estate. E aspett l ognitramonto. Anche alla ripresa della scuola. Al mattino imboccava la

    Valerio Codispoti

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    strada per il mare, dava gas dal manubrio e correva no allarancio,senza ripigliare ato.

    Quando suo padre arriv, Aldo era con la schiena al tronco.Ti ho trovato, grid. Non ti muovere, e fece per slarsi

    la cinta.Aldo non accenn alcuna fuga. Lo ss e chiese: Dove vanno

    quelli che volano in cielo?.Quinto lo guard di traverso, senza rispondere.

    Dove vanno?, insisteva.Quinto continuava nel suo silenzio.Dove vanno?, grid.

    Costeggiarono la la di cipressi e raggiunsero lentrata. Poi preseAldo per mano e lo condusse lungo una via stretta ai lati della qua-le stavano delle costruzioni basse.

    Volano qui?Suo padre si ferm davanti a un quadrato appena rialzato di terra

    e annu.

    Qui?, chiese ancora. Davanti a lui solo una croce bianca senzanome.S, qui.Non il cielo qui. Dove sta?Volano in cielo, ma per noi sono qui.Aldo guard il padre e poi la croce.Bambina uccello, sei qui? Attese un istante: Ti aspettavo

    allalbero. Tu sei qui?. Rimase in silenzio. Lunica cosa che sentfu il vento contro la pelle: Non c nessuno, disse.

    La devi pensare.Tir su col naso e butt fuori laria. Non ci riesco. Mi aiutate,

    pap?Quinto si inginocchi e lo guard negli occhi; mostravano unospirito che ora sapeva riconoscere. Sedette a terra con le gambeincrociate, piegato da un dolore che non poteva pi celare. Pensaal suo viso, pensa alle mani. Te le ricordi le mani?

    Aldo strusciava i polsi alle orecchie.

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    E Quinto domand ancora: Te la ricordi? Adesso te la ricordi?.Non aveva le mani pap, aveva le ali, e allarg le braccia.

    Aveva le ali come le mie.

    Valerio Codispoti

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    Aldo Germani

    Facce

    qui, sopra il tetto di casa mia. Dice che non scende nch nonsalgo anchio. Ma io ho paura, non ci vado.

    Allinizio era soltanto una voce in strada, un richiamo lontano,arrivato n qui per caso, non certo per me. Mi sono affacciatoper curiosit solo quando si fatto insistente e un po pi vicino.Allora le ho sentite bene, le parole, ma dalla nestra non riuscivoa vederlo e sono sceso in cortile. La signora Misani, spaventata,guardava in alto e borbottava io chiamo i pompieri, quel ragazzo

    se cade sammazza. Cos ho alzato la testa, ho portato una mano ariparare gli occhi dal sole e Filippo era l.Ehi prof, ce ne ha messo di tempo!Camminava sul colmo, un equilibrista senza rete, le braccia leg-

    germente allargate. Sicuro di s, spavaldo dentro i suoi sedici anni.Filippo, scendi subito, ma sei impazzito?, gli ho urlato. Che

    cosa ti preso?Niente prof, tranquillo, sono passato a trovarla.Scendi, Filippo, pericoloso!No, prof, venga su lei. Deve vedere una cosa.Ma che stai dicendo? Cosa devo vedere?

    Non pu vederla da l, prof, mi ha risposto. Deve salire.Roba da matti, strepitava ansimando la signora Misani, ma un suo alunno quello? Brancolava sconvolta nel cortile, indecisasul da farsi, e guardava me per capire chi dei due avrebbe chia-mato i soccorsi. Io le ho detto aspetti un attimo, adesso scende.Mi ha guardato ancora pi stranita, non sapendo chi fosse pi

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    pazzo, se il ragazzo che passeggiava sul tetto o il professore chelo lasciava fare.

    Non la prima volta che me lo trovo davanti sospeso per aria aquel modo. Filippo uno di quei ragazzi che si arrampicano ovun-que, che saltano pareti e fanno grandi capriole quando cadono. Inclasse raccontava di questo cavolo di parkour, si vantava di saltarequalsiasi cosa, di poter andare dritto per dritto da un punto a unaltro della citt. Diceva che scavalcava muri e cancelli, che inven-

    tava strade dove non ce nerano. Pensavo esagerasse, non gli avevocreduto, poi glielho visto fare con i miei occhi. Proprio ieri. salito sul tetto della palestra della scuola usando gli edici pi bas-si come gradini. Molleggiato, disinvolto. Sembrava facile quellascalata impossibile. Ci ha messo quaranta secondi ed era in cima. stato uno spettacolo, pareva volasse. Non certo quello che hopotuto dire in classe. I compagni lora dopo erano cavallette, nonsi riusciva a tenerli. Loro parlavano di coraggio, io insistevo cheera pura incoscienza. E non ci provate, ho detto loro, mica tuttisono portati per fare salti come quelli. Va bene rischiare ma c unlimite, ce lhanno tutti. Filippo a non sapere bene qual il suo.

    La verit invece che quellesibizione era da applausi. Se ne sonoresi conto tutti. Anche il preside, ma lha sospeso una settimanalo stesso.

    Come ci sei salito?, gli ho chiesto prima.Da una pianta, l dietro, mi ha gridato indicando i tigli in

    strada, ma c un lucernario, lei pu passare da qui.Non ci penso proprio.Le do una mano io.Scordatelo, Filippo. Ma mi vedi? Se metto un piede l sopra

    sfondo il tetto e rotolo gi in un secondo.Soffro di vertigini, ho la pancia sfatta di un cinquantenne se-

    dentario e lagilit di un ippopotamo. Atleticamente sono un di-sastro. Ho sempre invidiato quei carpentieri seduti su una putrellanel vuoto, sopra New York, in quelle foto in bianco e nero. Masono portato per altro. Invece di costruire grattacieli rovisto librinegli archivi delle biblioteche. andata cos. Ho sognato a suotempo, ora alleno i sogni dei miei studenti.

    Aldo Germani

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    Lo sento camminare, ho il tetto in legno. Sto al primo piano,non cos in alto, ma saranno sempre cinque, sei metri. megliose scende, ma non ne vuole sapere. Insiste che importante, chedevo salire con lui. Ora che il cortile si riempito anche degli altrivicini sono tornato in casa, con la scusa di chiamare i pompieri, main realt mi hanno rotto i coglioni con le loro ansie e i commentisnenti sui ragazzi di oggi.

    Devo bere. Ho preso una birra dal frigo, lho aperta e giro per

    casa lungo tutte le traiettorie possibili, tra stanze e corridoi, al net-to di quel che le riempie. Pochi mobili e un sacco di carta. Giornalivecchi di anni. Quando mi si riempito lo studio, ho cominciatoa metterli in corridoio, poi ho usato le pareti in soggiorno. Ora cen una la in camera, lho appena iniziata. Li ammucchio in co-lonne di altezze diverse, senza un criterio preciso. Disegno skylinedi metropoli in cui non sono mai stato. Fa un certo effetto trovarsiimpilata davanti tutta quella schiera di giorni alle spalle. Usandoneuno alla volta non sembrano poi cos tanti, mentre visti cos met-tono quasi paura. Dove sono niti? Ce ne saranno ancora abba-stanza? Appoggio la birra, ci passo una mano sopra, li sento. Se li

    tengo qui non sembrano scomparsi del tutto.Bussano, ma non alla porta. un suono sordo di nocche sulvetro. Arriva dallo studio. Ci vado. Filippo dietro il lucernarioche fa chiari cenni con la mano per indicarmi la via di uscita emi sollecita a farlo pure in fretta. Come se fossi io quello in pe-ricolo. Mi avvicino scuotendo la testa, brontolo, ma so che se mireggo in piedi sui giornali posso arrivare alla maniglia. Ci salgo,apro e spingo in alto il vetro. Met nisce fuori, laltra metruota allinterno. Mi scosto e a momenti cado, mi appoggio almuro e caccio la testa fuori. Una talpa incauta al primo caldo dine inverno.

    Filippo accovacciato un metro sotto, mi d la schiena. Conuna mano mi tengo stretto al telaio, con laltra a un travetto. Ten-go gli occhi su di lui perch se guardo in basso barcollo, lo so. Sialza e mi viene incontro. Trattengo il respiro a vederlo camminarea quel modo, libero di passare in un corridoio daria senza giornaliai lati a proteggerlo dal vuoto che c sotto.

    Facce

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    Questo il massimo che ti concedo, Filippo. Ora vuoi dirmiperch mi hai fatto arrampicare n qui?

    Mi dia la mano. La tiro su.Piantala. Non ci riesco.Ma da l non vede!Cosa, Filippo?Le facce!, risponde convinto.Non riesco neanche a chiedere di chi?, in quel mezzo secondo

    ci arrivo da solo. Ce lha con quelli che stanno in cortile, col nasoallins. Inquieti e turbati, spaventati forse dallidea che si possadavvero volare, pi che dal male che il ragazzo rischia di farsi secade.

    uno spettacolo, prof. Venga a vedere. pieno di senzapalle.Mi sembra lo dica cos, tutto attaccato. Come fosse il nome di

    una specie protetta.Li vede, prof? Invocano i santi, sono tutti agitati. Mi guardano

    come un marziano.Un po hanno ragione, per, ti sembra normale saltare su un

    tetto?

    Ma lo ha detto lei che bisogna rischiare.S, ma non intendevoLa pila cede, si sposta di lato, mi aggrappo al bordo della ne-

    stra e impreco.Sembrano tutti preoccupati, ma non gliene frega un cazzo di

    niente a nessuno. A chi vuole che importa se cado?A tuo padre, che dici?A mio padre importa soltanto dei voti che prendo.Non vero, ti sbagli. come quelli l sotto. Dicono tutti le stesse cose. Studia, non

    fare il coglione, non fare il diverso per forza.

    Tiro fuori le braccia e sono appeso con quelle. Ho male allespalle. Abbasso la testa, non so che altro dire.Fanculo!, lo sento urlare. In piedi sul niente, appeso a un lo

    invisibile, il medio alzato a una trib ammutolita di senzapalle.Filippo, smettila. Tra quelle facce no a dieci minuti fa cera

    anche la mia.

    Aldo Germani

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    Ma era diversa, prof. Non si cagava sotto come gli altri.Adesso scendi, per favore.Anche ieri a scuola me ne sono accorto, ho visto come mi

    guardava quando sono sceso.Si accorto di cosa?Gli occhi, non lo so. Non era incazzato, prof, sembrava com-

    mosso. Lei non come gli altri.Invece sono uno di loro.

    Per me no.Non mi reggo quasi pi. Da dentro arriva il botto dei giornaliniti a terra. Penzolo nel vuoto.

    Sa come si vedono bene le facce delle persone da qui?Sudo freddo, respiro a fatica. E se avesse ragione?Io lho vista, la sua. Avanti, la mano prof.

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    Facce

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    Enrico Losso

    La scelta di Zeno

    Zeno odia i confessionali.Retaggio degli anni in cui doveva inlarcisi dentro: gli mancava

    laria. Quando ha chiesto a don Claudio di voler fare due chiac-chiere, ha temuto che lo facesse inginocchiare su uno di quelli.Invece il prete ha sorriso e gli ha detto: Mi accompagni a dare damangiare ai gatti.

    Sulla panchina del piccolo parco dietro la chiesa si sta bene.Si pu anche smettere di pensare di avere ancora poco tempo da

    vivere, riette Zeno. Don Claudio non fa domande. Aspetta, e dqualche avanzo di salsiccia a tre randagi.Zeno non sarebbe in grado di denire con precisione cosa lo

    abbia spinto a volere cos vicino a s una tonaca: sono decenni chese ne tiene alla larga. Appena alzato ha sentito unurgenza, un bi-sogno di chiudere il cerchio. Meglio non saprebbe spiegare.

    Era necessario arrivare a novantadue anni, sorride fra s.Quando anche il gatto grigio ha nito il suo pezzetto, le parole

    escono con naturalezza.Sono stato anchio un prete, tanti anni fa.Don Claudio ha un sorriso che spiazza.

    Zeno comincia a raccontare: marzo del 44.

    Quello che vide in quel seminterrato squallido fuori delle mura andavaben oltre gli spettacoli atroci che la guerra continuava a dispensare datroppi anni. Don Zeno vomit.

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    Non gli era mai capitato, neanche quando era stato fra i primi ad entra-re nella scuola bruciata per rappresaglia. Toss con rabbia, piegato in due,strizzando gli occhi. Non avrebbe pi voluto aprirli. Rimase in ginocchio.

    Prete! Ti ho fatto una domanda!Cerc di ancorarsi al Padrenostro, lo avrebbe salvato anche questa volta.

    Non lo avrebbe fatto affogare nel dolore. Sput le prime parole, ma dopoil sia santicato le altre non si lasciarono ricordare e lo abbandonarono.

    Delle mani robuste, da contadino, gli afferrarono i capelli, sulla

    nuca, e lo strappo lo costrinse a alzare la testa.La voce gli si avvicin allorecchio, pi cattiva.Non lo riconosci il tuo amico?Don Zeno preg di essersi sbagliato. Che sotto il sangue che aveva

    visto non ci fosse lui. Che limmagine orrenda sbattutagli negli occhifosse solo un incubo della notte, uno di quelli che evaporano al risveglio.

    Lo schiaffo arriv secco. E con quello le lacrime, e subito dopo listintodi alzare le palpebre.

    Un unico occhio lo stava ssando. Un obl azzurro che spuntava fratutto quel sangue. E dietro il sangue cera Andreas, non potevano essercidubbi. Don Zeno apr la bocca a riprendere ato. Troppa vista lo stava

    soffocando.Andreas era bloccato su una sedia, con i polsi legati dietro la schiena.La divisa della Wehrmacht era strappata sul petto, per lasciare lavoraremeglio il coltello.

    Gli avevano cavato locchio destro.

    Don Claudio ascolta attento. Quasi trasalisce quando Zeno si in-terrompe per passarsi la mano sulla guancia ispida.

    Ho compiuto tanti peccati nella mia vita. Avevo una relazionecon il soldato tedesco. Sarebbe dovuto essere un nemico, ma per

    me era solo il mio Andreas.Chi erano quelli che la portarono l?I partigiani di Corsaro. Erano venuti a sapere che me la facevo

    con un tedesco. Ci spiarono. Studiarono le nostre mosse, poi locatturarono. E presero anche me.

    Quanto possono essere cattivi gli uomini.

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    Un gigante di almeno due metri si frappose fra i due, dando le spalle alsoldato tedesco.

    Don Zeno non fece in tempo ad accorgersi degli stivali enormi e spor-chi che gli si erano parati davanti che unaltra mano lo afferr, questavolta dal petto. Fece presa sul tessuto della tonaca. Lo rimise in piedi.

    Si trov di fronte un viso largo, irsuto. Una benda nera gli coprivalorbita destra.

    Hai visto, prete, cosa succede ai tedeschi? Si dice occhio per occhio,

    no? Io ho restituito il favore.Don Zeno inizi a singhiozzare.Piangi? Non hai visto ancora niente.Corsaro moll la presa e don Zeno croll a terra, come se tutta la

    forza avesse abbandonato il suo corpo esile.Fai schifo, prete. Te la fai con un tedesco, e adesso tremi come un

    ragazzino. Ti avremmo gi dovuto ammazzare cento volte, in centomodi diversi.

    Corsaro sferr un calcio al anco di don Zeno.Ma oggi un giorno speciale. I compagni di Roma hanno ammaz-

    zato trentatr maiali nazisti in via Rasella. Oggi ci sentiamo generosi.

    Don Zeno ud un gemito uscire dalla bocca di Andreas.Scegli, prete. O tu o lui.Gli altri quattro partigiani rimasero impassibili. Don Zeno ne ve-

    deva solo le gambe, immobili.Se decidi di salvargli la vita, nisci al suo posto. Altrimenti puoi

    andartene e noi continuiamo a divertirci con lui.

    Zeno sospira. un sospiro fragilissimo. Don Claudio osserva isuoi occhi che sono velati. Ma non saprebbe dire se siano lacrimeo soltanto vecchiaia. Zeno ha la schiena diritta anche quando sta

    seduto, non dimostra tutti gli anni che ha.Dice in un lo di voce: Sono stato un vigliacco. Non ho avutoil coraggio di salvargli la vita. Lho tradito. Le tre frasi che pro-nuncia sembrano pietre tombali.

    Don Claudio si accorge di avere le mani fredde.

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    La scelta di Zeno

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    I partigiani lasciarono i due prigionieri da soli. Un ultimo gesto di per-dia, pi che di piet.

    Don Zeno si trascin verso la sedia da cui quellunico occhio conti-nuava a ssarlo. Singhiozzava, mentre Andreas non aveva detto an-cora nessuna parola.

    Andreas.Il corpo del tedesco ebbe un fremito.Dammi la forza, Andreas. Ti prego, dammi la forza. Voglio vivere.

    Sono gi morto, Zeno.Pronunci una zeta dura che galleggi fra le parole impassibili.Non ho il coraggio, Andreas, ho paura, ho paura, ho pauraMi hai detto che mi amavi.

    Zeno accarezza con entrambe le mani il manico del bastone. DonClaudio ha lasciato cadere a terra il sacchetto di carta marrone congli avanzi. Altri due gatti si avventano su tanta grazia.

    Ho avuto molto tempo per pensarci, da allora. Sono giuntoalla conclusione che non avrei mai trovato, in nessun angolo di me,

    la forza per salvarlo.Don Claudio fruga, ma non trova nessuna parola che gli sembriadatta.

    Lo vidi il giorno dopo, impiccato al ciliegio dietro la canonica.Zeno sente che non ha pi altro da aggiungere. Che raccontare

    gli ha fatto bene.Se ne va con passo incerto, mentre don Claudio rimane a os-

    servare i gatti.

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    Enrico Losso

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    Mia sorella conosce la cantilena che le sto rilando per que-sto persevera canticchiando a sporcare qualche altra pentola inu-tilmente. Non sopporta che le parli cos eppure mi istiga a farlo,come se volesse aumentare tanto il mio fastidio da eguagliarlo alsuo. Sono le nostre piccole battaglie quotidiane, lunica cosa che cisiamo portate dietro esattamente immutata dallinfanzia.

    Allora giocavamo a fare come la mamma: in quella fantasiauna di noi era il giudice e laltra, pressoch insignicante. In pra-

    tica si trattava di una continua gara al proprio turno: di tutte quel-le messinscena entrambe non desideravamo altro che sbattere ilschiante martelletto giallo sul tavolo e pronunciare: Ludienza tolta. Ne adoravamo il gesto, inconfondibile, e poi a mano amano andammo riscoprendo il potere che quello traeva con s.

    Nove mesi di convivenza ravvicinata dovevano pur aver crea-to delle somiglianze oltre laspetto, invece sembra ancora che daogni esperienza comune nascano continue visioni divergenti. Nelnostro gioco, io adoravo sentenziare ed emanare verdetti, mentreGiulia gongolava nel dichiarare concluso un discorso a suo pia-cimento e senza rigore di logica; allora per farlo, a lei, come ora,

    bastava smettere di ascoltare.Cos oggi condividere uno spazio ancora la cosa che pi ciaccomuna.

    E se nostra madre, fortunatamente per lei, impegnata a lavorono a sera non ha subito il malessere che le avrebbe procurato lacasa negli anni; nostro padre, fortunatamente per noi, non maisembrato particolarmente scosso dai reggiseni, rossetti, libri, bor-se e maglioncini sparsi per le varie zone notte e giorno. Lunicoevento che lo sbalord, un po pi dellordinario, fu il ritrovamentodegli ovuli vaginali tra le uova e il burro nel frigorifero. Ma an-che a quelli diciamo, non prest molta attenzione. Solo, a pranzo

    il giorno dopo lavvenuta scoperta, seduto a capotavola tra me emia sorella aveva domandato senza indugi: Chi fa sesso in questacasa?. Il tono ero quello che utilizza ogni volta che cerca di sem-brare autoritario. Di certo non tu pap, aveva risposto Giulia,alzandosi e posando il piatto sporco nel lavandino. Lo chapeau dipap era stato tanto evidente che aveva continuato a mangiare le

    Jessica Moretti

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    osservarla, ssarla nei suoi gesti naturali tanto da confondere ilconne ultimo del tempo, proprio come il mare in fondo a que-sto cielo limpido, arrivo a varcare il presente vivendo brevi attimidipinti solo dallarte del ricordare.

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    Essenza

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    Maria Elena Napodano

    Paccegna

    La prima volta che stemmo assieme avevo una vistosa caccola nellanarice sinistra, me ne accorsi tornando a casa. Appena rientratami guardai allo specchio per darmi unaggiustatina ed era l, mez-za incollata, tra la parete interna del naso e il foro, in bella vista.La presi tra indice e pollice e la stritolai, ondandola via con unoschiocco per biglie, restando a guardarmi con odio riessa.

    Presi il gatto in braccio e lui mi annus la bocca, forse ci sentivadentro il tuo odore. Lodore che sentivo io annusandoti la camicia

    era un leggero tanfo di campagna e cucina casereccia. La camicia.Bianca. Con un segno di inchiostro.Ti sei scritto sulla pancia.No, la mia pancia che si scrive sulla penna. Ti stai un po

    zitta?Ho bisogno di sclerare, sono in imbarazzo.E perch?Non hai mai paura di sembrare ridicolo a chi ti piace?No.

    Per assaggiarmi ti inlasti tutto il mio indice in bocca e poi lo sla-sti via con soddisfazione. Ti facesti succhiare il collo no al mentoe poi dicesti si po fa.

    Felicit, improvvisa vertigine nel desiderare di cavalcarti sullasedia quel giorno al bar. Mi sarebbero bastati novanta secondi pervenire, col tuo sesso dentro e la clitoride che ti si stronava vicino

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    Maria Elena Napodano

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    al pube. E dopo mi sarei voltata di spalle e ti avrei implorato pren-dimi da dietro, perch non c niente di meglio, per prolungarelorgasmo, dellessere inlata e spinta forte forte forte, no a cheanche lui non ce la fa pi e ti viene sulla schiena.

    Avrei potuto imparare molto da te, peccato non aver avutotempo per questo baratto. Non sentivo neanche che sarei stata ingrado di darti qualcosa in cambio. Quindi scusami, amore, se ti stosprangando.

    Il primo amplesso fu di nudi, lingue, mani, piedi, sessi vicini e di-stanti, aspetta, non venire ancora, ventre a ventre, pancia a pancia.Ciucciavi qualsiasi cosa ti mettessi in faccia e allungavi le protube-ranze in ogni valico del mio corpo con una destrezza disarmante.Continuavi a ripetere minchia! minchia! e io avevo terroredei tuoi occhi cos vicini alla mia cellulite, della tua bocca spudo-rata e porca, che i miei strilli ti sembrassero scomposti, che miavessi in pugno, tra baci profondi e sfacciati, mentre mi toccavi, titoccavo, dove mi portavi sempre la mano e mi dicevi guardalo.

    Quanto sei bono amore, persino ora, cos scomposto, devo am-mettere che mi fai ancora senso. Ho iniziato strappandoti proprioquel dolce pene ancora caldo e barzotto. Il tuo urlo roco e pro-lungato. Ti avevo cercato per anni: un uomo che parla mentre sco-pa, che guida mentre bacia, un manzo, solido come un uovo sodo,gi di suo. Scusami, quindi, se ti sto cucinando.

    Avevo parlato di te alle nuvole, che lando via col vento si portaro-no dietro il mio segreto. Ho sniffato la terra sulla quale avevi cam-minato, sono pi terra anchio, adesso. Non mi avresti mai visto

    volatilizzarmi nellaria, leggera, perch non cera niente di leggeronelle risate e nella beatitudine dellincoscienza con cui ti incontra-vo. Ho progettato tutto nei dettagli, anche mentre ti baciavo o tiscopavo in unarea di sosta al ritmo di Just push play, quando ti di-cevo di non farti domande e minimizzavo le stronzate, come quellavolta che ci impantanammo e i tuoi amici vennero a trainarci col

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    trattore. Da come mi portasti via capii che non sarei mai statala tua nuova moglie. No non stata colpa tua e non meritavi dimorire: la passione follia, fuori controllo, squilibrio, impulso,disordine, pericolo. Mi ero avviluppata intorno al tuo dito comeuna banda doro lucente, ma non era destino, no, non era volontdi Dio. Me lha detto lui. Scusami, amore, se ti sto mangiando.

    Paccegna: scanzonatezza e visibilio, detto come si dice dalle tueparti. Anima frivola e indecente come una canzone pop degli anni80. E comunque una strana sensazione rivedere il tuo cadave-re in decomposizione. Mi sembri cos avvicinabile, adesso, con leorbite cadenti. Ingoio tutto, senza vomitare, hai ancora lo squisitosapore della rucola selvatica, e la tua carne profuma sempre di ca-ramello e mandorla, sei buono, buonissimo. Ti taglio la lingua concui mi leccavi i capezzoli e la patata. Pata, mi chiamavi.

    Ed eccoti il cd che volevi. C tutto, da Zero a Vivaldi passandoper Bersani e i Police. Adesso, pezzo per pezzo, sullarmonia diquesto Inverno, ti sego al tempo dellAllegro non molto, agevolata

    dal molliccio della precottura.Inizio piano con lincipit degli archi polifonici, accelero manmano che entra il clavicembalo, e le tue ossa stridono come corde.Tiro e mollo, tiro e mollo, tiro e mollo no a che lulna non sisfracca. Mi sollazzo ancor di pi con giunture, scapole, ginocchia egomiti, che fanno i li osci penzolanti. E brandello per brandelloti getto nella fossa, amore mio, mentre sale il crescendo di semprepi e pi violini.

    Sei enorme, vero, ingombri. Stavamo stretti nella stessa spina

    dorsale, come un unico midollo che questa maledetta storia sta-va mescolando. Cho messo lunghi giorni per tirarti fuori goccia agoccia dalle mie vertebre. Tu, la tua becera tenerezza, il tuo sfron-tato amore per la schiettezza, il blando senso del futuro, ma soprat-tutto quellassurda mania di accarezzarmi, di dirmi che ero bella:non volevo crederci, poi mi hai fotografato. A dirla tutta, non era

    Paccegna

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    uno scatto per cui avrei pagato, cos realistico e ravvicinato, eppureho visto le mie rughe, le lentiggini dei traumi da scottatura e le hoaccettate. I tuoi occhi mi hanno restituito una donna serena, au-tentica, unica, e mi sono amata anchio, che di me non avevo maiamato neanche la vagina, pur avendone ricavato belle graticazioni.

    Ho consentito che ti chiavassi altre donne, ascoltato inerme men-

    tre parlavi di noi come una relazione, ti ho permesso di essere ilmio tutto pur essendo niente, di penetrarmi e uscirtene di nuovoe ridevo, quando te ne andavi. Come ho potuto? Farmi prendereper mano, scalare quel monte e scopare alla luce del giorno sotto ilcielo, raccontarti i miei traumi e le ferite, come?

    Cera troppo, capisci, amore? Cera troppo amore, anche se nonvolevi che lo chiamassi per nome. Invece, ora (che bello, ci pensi?)posso dirtelo bene che ti amavo: ti amavo! Che fortuna abbiamoavuto a incontrarci, vero? stato bellissimo viverti. stato bellis-simo morirti. Certo, alla ne sono rimasta solo io, ma che centra.Ne valsa la pena che dici?

    Frantumato e scarnicato, certamente mi stai rispondendo, da lsotto. E nalmente si dipana il senso dei rimpianti striscianti chesi sono insinuati col tempo, lodio per linatteso e le paure, paureche hanno preso il sopravvento dopo i primi febbrili incontri. Me-nomale che ci siamo fermati in tempo eh? Menomale, s. S, hocapito, inutile che lo ripeti cento volte, bastardo. Bastardo stu-pido mucchio dossa, metico olezzo di spensierati tempi andati,amma troppo vicina e tapina cenere di quello che non siamo maistati, insensato ritegno glio di un rigurgito postumo, ne polvere

    di quello che di te non ho mai avuto, di quello che non ti ho detto,di quello che non sono riuscita a prenderti, o che pensavi di nondarmi mai. Ce lho qui dentro ed mio, fottiti, non lo smaltir pi.Ora posso sotterrare i tuoi avanzi, cane, non prima di aver sputatosui tuoi luridi resti.

    Puah. Ecco.

    Maria Elena Napodano

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    Non rimane che scrivere qualcosa, su questa tomba improvvisata,incollando le chioccioline, raccolte appositamente, su una croceche non sta manco bene su, in bilico sul crepaccio dove mi haiposseduta e potrai goderti il meritato riposo. Sto attenta a formarela frase in modo che si legga, semplice e concisa: , .

    Va bene, no?

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    Paccegna

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    Nonna Africa

    diventato grande credendo che tua sorella fosse tua madre, maquando hai scoperto che cos non era probabilmente ti sei sologirato dallaltra parte e sei uscito per strada con la tua biciclettaandando velocissimo per vedere se cadendo sentivi male. In tre annidi lavoro in Italia sei riuscito a spedire a casa cinquemila euro chetradotti in franco Cfa sono tre milioni e mezzo. Una cifra enorme.Con questi soldi inviati mensilmente la tua famiglia avrebbedovuto, queste le premesse, comprare un nuovo camioncino per

    la vendita ambulante dei panini che tua sorella faceva al mercatodella citt, aprire un negozio di elettrodomestici, comprare animalida cortile per il piccolo allevamento della famiglia, sistemare larecinzione dellorto e pagare il guardiano. Inne, se ancora nonsembra abbastanza, ristrutturare la casa, farla nuova, di mattoniquesta volta.

    Rigiri con il mestolo il sugo nella pentola mentre esce da telimmagine della nonna seduta per terra con il fuoco di legna,alcune scodelle accanto, una bottiglia di plastica con olio gialloper cucinare ed una pentola di riso. Nessun mattone, nessuna casanuova. impossibile adesso fare una domanda di pi perch si

    intuisce di essere su un terreno fragile, friabile. Ogni passo procurauna crepa sulle pareti di argilla e paglia, e anche se il pavimento stato spazzato con cura ed sgombro di oggetti, ogni movimentoprocura un totale fracasso. Ma che strano, non c niente di quelloche avevi immaginato. Cerchi di aggiustarti il cappellino per dartiun tono, per ricordarti di tutta la strada che hai fatto per arrivareorgoglioso no a qui, poi ti ricordi delle scarpe di marca che hailasciato fuori dalla porta e per un attimo hai il presentimento chenon le ritroverai. Ti guardi intorno, poi guardi fuori. Non c orto,non ci sono animali. Ma forse uno scherzo? Forse il guardianosi mangiato tutto? La nonna ti dice che il guardiano non c mai

    stato e che tua sorella ha smesso di lavorare perch con i soldi chemandavi viveva bene cos. Cos come scusa? Eppure c qualcosache ti impedisce di credere a quello che lei dice o che ti impediscesemplicemente di cascarci dentro. il tono della sua voce o forse la vista dei lobi delle sue orecchie alle quali da piccolo ti appendeviprima di addormentarti.

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    Olivia Scotti

    Con un coltello tagliuzzi il tavolo mentre vedi tutto limpegno checi hai messo in questi anni per mandare i soldi a casa. Ma questopensiero troppo forte cos ti muovi veloce tra i fornelli cercandoaiuto in azioni scontate. Adesso senti di non avere pi scampo, perandare avanti sei costretto a mostrarmi quello che hai trovato nellatua casa in Africa, anche se ti brucia cos tanto. Ti vedo procederedritto verso larmadio che c nella sala da pranzo mentre diciche nella tua casa non cera niente, solo un mobile grande come

    questo. Per un attimo ti rendi conto che forse non sar in gradodi comprendere ma ormai non puoi tirarti indietro. Con un gestosecco spalanchi il mobile e ti volti veloce a guardarmi. Ed eccoche i miei occhi sgranati vedono piatti, bicchieri, posate. Masubito capisco che io non vedo quello che vedi tu. Avevi ragione.Infatti tu vedi una montagna di vasetti di creme sbiancanti. Ogniscaffale, ogni ripiano del mobile, ogni cassetto pieno di cremeche sbiancano la pelle di chi nasce troppo nero.

    Richiudi in fretta gli sportelli per paura che la tua vergogna mi

    contamini. Troppo tardi. Mi volto ed esco dalla stanza perch ilmio sguardo adesso non regge il confronto con quello che tu miproponi, con i tuoi occhi delusi, con i muscoli del tuo corpo chereggono il peso di viaggi tanto ingrati.

    Cos resti solo nella cucina e nisci di preparare il pranzo. Ituoi movimenti sono lenti, pesanti. Poi improvvisa ti arrivaunimmagine che ti consola. Vedi con chiarezza la nonna sedutasul letto con accanto il piccolo frigorifero bianco che le hai regalatoprima di partire. Solo per lei. Lo hai riempito di bevande gassate,lo hai chiuso con un grande lucchetto e poi le hai consegnato lachiave come per assicurarti di poter avere sempre un piccolo posto

    incontaminato.Confortato da questo pensiero prepari con cura due piatti dipasta ed esci a sorridermi.

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    Luca Vallese

    Foglie

    Spazza con cura le foglie dal cortile davanti casa propria. Lo spiaz-zo ha una forma inconsueta, diviso in una parte piana di lastre inpietra grigia, larga allincirca venticinque metri quadri, e in unasalitella in cemento che si affaccia, con un largo cancello rosso, allavia. Non ricorda di preciso quanti anni siano passati da quandoha dovuto calcolarne larea. Gli era servita allepoca per la stesuradel contratto dacquisto. Avrebbe fatto il conto una volta tornatodentro, su un pezzo di carta, risalendo con calma gli avvenimenti.

    Spazzare le foglie questanno gli era sembrato pi duro deglianni scorsi. Luomo aveva proceduto con fatica, maledicendo leginocchia sempre pi rigide.

    Tre giorni prima, quando era quasi a met del lavoro, si erareso conto che da pi di un minuto stava insistendo con la scopasu una foglia che non voleva saperne di seguire le altre nella di-rezione indicata dal gesto. Rimaneva incastrata in una delle sca-nalature incise a spina di pesce sulla discesa, utili nelle giornatedi forte pioggia. Forse le punte di saggina cominciavano a esseretroppo consumate; avrebbe dovuto comprarne unaltra. Con len-tezza si era chinato a prenderla, la fronte parallela al suolo. Poi si

    era tirato su. Era un bellesemplare di foglia, dal bordo ondulato,larga in mezzo e stretta alle estremit, non appuntita. Lavevaosservata con cura utilizzando la parte bassa delle lenti bifocali,quella per vedere da vicino. Aveva teso il collo allindietro: i ramispogli della grande quercia sopra di lui incrociavano il sole nellafoschia.

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    Quellalbero, diceva sempre ai pranzi a casa di suo fratello, ogniautunno mi fa fare una fatica bestia, ch se non fosse vietato lavreigi buttato gi. Ma questanno mi sono stancato, aveva pensato inquel momento, questanno faccio richiesta alla forestale, o me nefrego. I soldi non gli mancavano, avrebbe chiamato qualcuno.

    Mentre abbassava lo sguardo una ghianda si era staccata e loaveva colpito sopra la fronte.

    Ha quasi nito di radunare le ultime foglie. Il grosso mucchio cheha formato nellangolo del cortile quadrato molto umido nellasua parte inferiore, digradando dal marrone chiaro al castano; ver-so il colore della terra. una settimana che lavora tutte le mattine.Ha comprato alcuni sacchi di plastica nera al supermercato gi inpaese. Con la paletta raccoglie le foglie pi in alto e le mette nelsacco; le prime creano il fondo, rendendo il compito pi facile.Ogni tanto, sempre pi spesso verso la ne, utilizza la base dellapaletta per spingerle verso il basso e comprimerle. Non gli vienein mente che farebbe meno fatica usando un sacco in pi; fare

    meno fatica una cosa che non abituato a fare. Continua no ariempirne quattro.Una volta nito tira fuori un fazzoletto di stoffa dalla tasca e

    si asciuga il sudore, facendo alcuni respiri profondi. Si guarda at-torno; ha limpressione di aver fatto un buon lavoro. Lorologio alsuo polso segna le dieci e mezzo. Mancano due ore al pranzo. Lafoschia si leggermente diradata, lasciando spazio alla luce autun-nale. Sotto il lavello in cucina aveva trovato un vecchio sacchettodella Conad in cui ha messo le foglie avanzate dai sacchi. Lo ap-poggia sopra agli altri, messi in la davanti al cancello, in cimaalla salita. Il logo sbiadito spunta dal bianco del sacchetto, tra le

    pieghe della plastica ruvida e spiegazzata. piccolo rispetto aglialtri sacchi lucidi; sembra buttato l per caso. Resta a guardarlo perun minuto poi aggrappatosi al corrimano affronta la discesa, len-tamente. Alla sua destra, dalla siepe che lo separa dai vicini, suoicoetanei, goccia dellacqua. Lha innaffi ata quella mattina, insiemealle oriere sui balconi e ai piccoli vasi dappartamento.

    Luca Vallese

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    primi due sulla salita, quello degli altri sullo spiazzo. Sparge perbene le foglie, attento a non creare disegni o geometrie che lanatura non crea.

    Lascia la scopa di anco alla porta, per il giorno dopo.

    Luca Vallese

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    Carmen Verde

    Pianerottoli e altri sospetti

    Al 18 di via Colleoni, di gioved pomeriggio, si guardava la tv dallaFerri, terzo piano.

    Non era la soddisfazione di un bisogno materiale, ch il televi-sore ce lavevano tutte in casa, ci mancherebbe. Tanto pi che traun dolore di sciatica, un brontolio di stomaco o un pizzico di tos-se, era impossibile sperare di vedere una trasmissione dallinizio allane. Su quelle seggiole disposte ad anteatro, per, le ore volavanocome niente. Cavatesi lo szio di un giro di telecomando, dopo che

    a turno avevano fatto fare le piroette ai programmi sullo schermo, leamiche si salutavano tutte contente. Alle 7 precise.Quel pomeriggio, per, Linda Crespi volle portare lo scompiglio.Sentite, ve lo devo dire La Topai non stata morte natu-

    rale! Lhanno uccisa!Un omicidio? Proprio l, in via Colleoni? Era passato poco meno

    di un mese dai funerali di Gina Topai, quinto piano. Una cosa im-provvisa, nemmeno la soddisfazione di far arrivare lambulanza nelpalazzo. La notte sera coricata e il giorno appresso non sera sveglia-ta pi. Vassoi e caff erano andati e venuti a dozzine, quella mattina,dalla casa della defunta. Crocchi su tutti i pianerottoli: ha saputo

    della Gina? stava tanto bene! la ne arriva quando meno te laspet-ti Tempo ventiquattrore, la vicenda sera belle chiusa, funeralecompreso. A una certa et, la morte un fatto di cattivo gusto. Undelitto, per, cambiava tutta la storia.

    Il signor F, la Crespi puntava ora il dito verso il balconedirimpetto. Lha uccisa lui la Topai!

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    Disposte a ventaglio dietro i vetri della nestra, quel pome-riggio le vicine si misero di punta a spiare il davanzale dellin-quilino del quarto piano, con lo zelo investigativo appreso da-gli sceneggiati di Maigret. Mentre il giorno saffondava a poco apoco nelloscurit, con il passare dei minuti, nelle loro fantasie ilsospetto lievitava come un ciambellone. Lintero palazzo non eraoramai che un vestito cucito stretto stretto addosso al signor F.che intanto, ignaro delle dieci pupille aghiformi puntate a can-

    nocchiale sul balcone di casa sua, tirava gi la tapparella, fomen-tando i cattivi pensieri. stato lui stato lui, lampeggiava la dentiera della Cre-

    spi dietro la tenda di mussolina. E inlava una serie di punti di so-spensione, mentre le amiche aspettavano ansiose. Chaveva visto?Come faceva a esserne sicura? Silenzio. La signorina Linda Crespinon si spiegava. Rispondeva a spizzichi e bocconi alle vicine chevolevano conoscere tutto per lo e per segno.

    Lo volete proprio sapere? Non che poi vi spaventate?, dissela Crespi, scrutandole al di sopra dei grandi occhiali quadrati.

    Pi di questo? Avanti, Linda, ch cos fa morire pure noi.

    La buonanima m venuta in sogno, rivel, mezza soffocata,pallidissima in viso. E baci la croce dargento che portava al collo.Ges Ges!, mormor Elide Spaziani, e il pensiero le and al

    libretto postale che teneva nel primo cassetto del com. Un delittoper furto! S, poteva essere! Meno male che non la sganciava mai,la catenella alla porta.

    Quel delinquente, fece per continuare la Crespi, ma le pa-role le rimasero ancora una volta in gola, in un rantolo dasma.

    Un sogno? Ma che pazzia questa?, sbott la Scacchi, secon-do piano.

    Ah s? So pazza? E quand cos, allora scusate tanto, balz

    su, afferrando la borsetta con un tremito nella voce. Come si per-metteva, quella vipera? Due lacrimoni le affi orarono agli occhi.O Madonna, Linda! Si fa per dire, tent di calmarla la Ferri,

    allungando il collo dalla poltrona con la spalliera alta. Senza offesa,ma tante volte fossero stati i peperoni? capace, sa? Alla sera,restano pesanti. Cercava, con gli occhi, il consenso delle vicine, che

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