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I PRINCIPI GENERALI DEL PROCESSO INTERNAZIONALE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

Premessa

Lo studio del processo internazionale nasce dal fatto che l’attività dei tribunali internazionali ha

assunto una particolare rilevanza sia per il numero di corti permanenti istituite dal secondo

dopoguerra in poi (CIG, Corte di Giustizia CE, Corte Europea dei diritti dell’uomo, Tribunale

Internazionale del diritto del mare, Tribunali internazionali penali ad hoc, Corte penale

internazionale), sia per la varietà dei settori interessati.

Anche la procedura internazionale si basa su alcune norme essenziali per il corretto esercizio della

funzione giurisdizionale, i c.d. STANDARDS procedurali minimi applicabili ad ogni processo.

Questo aspetto è stato scarsamente considerato dalla dottrina che ha privilegiato lo studio del

funzionamento e della giurisprudenza delle singole corti.

Per ricostruire il nucleo fondamentale dei principi generali del processo internazionale non si può

fare a meno di prendere in considerazione la giurisprudenza della CIG che in questi anni ha

contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo del diritto processuale internazionale.

Particolare attenzione è stata data ai principi:

del consenso

della competence de la competence

audi alteram partem

iura novit curia

non ultra petita

res judicata

uguaglianza delle parti

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CAPITOLO I

I PRINCIPI GENERALI DI PROCEDURA NELLA TEORIA GENERALE DEL PROCESSO

INTERNO ED INTERNAZIONALE

Sez. I – Teoria generale del processo e principi generali di procedura

Il processo interno. Obiettiva difficoltà di enucleare principi comuni ai modelli processuali

affermatisi nei sistemi giuridici di civil law e di common law

Il processo, a prescindere dalle differenze tra i vari modelli, è caratterizzato dalla garanzia del

contraddittorio tra le parti e da alcuni principi comuni che riguardano principalmente la funzioni del

giudice, i diritti delle parti, il regime delle prove e la sentenza.

Una parte della dottrina nega l’esistenza di principi generali comuni agli ordinamenti giuridici

interni e sottolinea la necessità di distinguere gli elementi caratteristici del processo a seconda dei

modelli ordinamentali di riferimento (civil law e common law). Tale operazione non è semplice

perché non si può limitare all’analisi delle regole del processo, ma deve tener conto anche

dell’organizzazione politico-amministrativa del sistema di riferimento e perché sono rilevabili

significative differenze anche tra sistemi giuridici appartenenti ad una stessa famiglia (es. esistono

differenze tra il processo inglese e quello americano).

Le maggiori differenze tra sistemi processuali di common law e di civil law riguardano:

le fonti: nel sistema di civil law sono prevalentemente legislative, nel sistema di common law

prevale il potere regolamentare degli organi giurisdizionali

il grado di concentrazione del procedimento: nel common law il processo è prevalentemente

dibattimentale, nel sistema di civil law il processo si articola in una fase preliminare e in una

fase processuale vera e propria

il giudice: nel sistema di common law è presente la giuria

il diritto delle prove: nel sistema di civil law vige il principio del libero convincimento del

giudice che gode di ampi poteri di iniziativa; nel sistema di common law l’obbligo del

convenuto di addurre la prova contraria sorge solo dopo che l’attore è riuscito a produrre in

giudizio prove sufficienti e il giudice non può disporre prove d’ufficio, né indicare alle parti

temi e fatti da provare. Inoltre mentre nel civil law le parti nel corso del processo possono

modificare e precisare le loro domande e le loro conclusioni, nel sistema di common law

esistono rigide preclusioni e il principio dell’immutabilità della domanda

la sentenza: a differenza dei sistemi di civil law la decisione di primo grado costituisce il

momento centrale dell’esercizio della funzione giurisdizionale, non solo perché il judgment è

immediatamente esecutivo, ma anche perché le impugnazioni non hanno effetto sospensivo e

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rappresentano un’eccezione (l’appello ha carattere straordinario: è soggetto ad autorizzazione e

comportano solo un riesame delle questioni); inoltre il judgment non è necessariamente

motivato e può essere espresso il dissenso.

Il processo dei paesi socialisti si caratterizza per la massima concentrazione del giudizio di primo

grado, per il prevalere dei principi dell’oralità e dell’immediatezza e per l’ampio diritto di

intervento di organi pubblici e organizzazioni sociali. Un aspetto essenziale è il principio della

verità reale che si traduce nell’attribuzione al giudice di un potere autonomo e illimitato di

accertamento dei fatti.

Elementi caratteristici del processo interno e di quello internazionale e conseguente impossibilità

di applicare al contenzioso internazionale principi e tecniche processuali degli ordinamenti interni

La dottrina internazionale si è chiesta se esistano principi e tecniche processuali comuni agli

ordinamenti statali interni e all’ordinamento internazionale. Emergono infatti elementi di diversità

tra processo interno e processo internazionale:

soggetti del processo internazionale sono di regola gli Stati; solo in casi eccezionali è

riconosciuto il diritto di azione agli individui

nell’ordinamento interno la giurisdizione è obbligatoria e ciascun individuo può unilateralmente

adire gli organi giudiziari; la giurisdizione internazionale è facoltativa e riposa su base

convenzionale

il giudice internazionale non è un organo superiore alle parti e la sua competenza corrisponde

all’ambito soggettivo e oggettivo entro il quale la giurisdizione può esercitarsi in concreto

nel processo internazionale manca una distinzione netta tra processo civile e penale, anche se a

seguito dell’istituzione di tribunali internazionali per i crimini juris gentium la giurisdizione

penale sta acquistando una sua autonomia

manca nel processo internazionale un doppio grado di giurisdizione

Proprio per queste diversità è difficile trasporre sul piano internazionale i principi processuali del

diritto interno.

Il processo internazionale è disciplinato da principi profondamente diversi:

non è improntato ai principi di immediatezza, concentrazione e immediatezza

i poteri del giudice internazionale sono molto incisivi e più discrezionali per quanto riguarda

l’individuazione dei limiti della propria competenza, dell’oggetto, del diritto applicabile al caso

concreto e per quanto riguarda l’accertamento della verità, potendo disporre d’ufficio mezzi di

prove o chiedere alle parti di produrre altre prove (si applica il principio del libero

convincimento)

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al giudice è riconosciuto il potere di creare norme in materia di procedura e prova, ritenute

indispensabili ai fini del corretto esercizio della sua funzione.

Per quanto riguarda lo svolgimento del processo internazionale può essere suddiviso in quattro fasi:

1. istituzione del procedimento a seguito della presentazione di un ricorso congiunto o una

domanda unilaterale

2. la procedura scritta: consiste nello scambio di memorie e scritti difensivi con allegazione di

prove documentali

3. la procedura orale: consiste in un dibattimento che si svolge in una o più udienze

4. la fase deliberativa: avviene in privato anche i giudici possono rendere pubblica la propria

opinione dissenziente.

La sentenza ha il valore di res judicata; il giudice può applicare le norme del diritto internazionale o,

con il consenso delle parti, può ricorrere all’equità; può ormai ritenersi affermato l’obbligo di

motivazione della sentenza.

Sez. II – Le regole fondamentali del processo internazionale

La genesi dei principi generali di procedura affermatisi nell’ordinamento internazionale

Anche se manca una regolamentazione comune, il processo internazionale davanti alle diverse corti

internazionali permanenti presenta un notevole grado di omogeneità; esistono infatti standards

procedurali minimi (principi generali) applicabili davanti a ciascun tribunale, cui i tribunali possono

attingere in mancanza di norme statutarie.

I tentativi di codificazione delle regole di procedura arbitrale intrapresi dalla Commissione del

diritto internazionale

La disciplina del processo internazionale deriva in larga parte dall’Arbitrato.

L’arbitrato all’origine si caratterizzava per una notevole elasticità, per la prevalenza della procedura

scritta, per la segretezza della deliberazione e per la necessità dell’accordo delle parti.

Successivamente si cominciarono ad elaborare regole procedurali accettate in via convenzionali con

la previsione del contraddittorio delle parti, della pubblicità del dibattimento e dell’obbligo di

motivazione della sentenza.

Furono anche intrapresi tentativi di codificazione con le Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907.

A partire dagli anni ’50 anche la CDI intraprese in tentativo organico di sistemazione della materia

per definire le regole fondamentali e per assicurare la piena indipendenza del tribunale. Il progetto

enunciava:

il principio del consenso

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il potere del tribunale arbitrale di decidere della propria competenza e di formulare le regole

procedurali

il principi di uguaglianza delle parti

il principio di imparzialità del tribunale arbitrale

il principio del contraddittorio, sintetizzato nella formula audi alterma partem

la libertà di giudizio e il dovere di collaborazione degli Stati

il principio della res judicata e la motivazione della sentenza

la possibilità di ottenere l’annullamento della sentenza per eccesso di potere del tribunale, per

corruzione dell’arbitro o per violazione grave dei principi fondamentali della procedura.

Nel 1955 l’Assemblea Generale esaminò il progetto e ritenne che stravolgeva la tradizionale prassi

arbitrale, trasformandola in una procedura giurisdizionale quasi obbligatoria. Il progetto non venne

modificato e venne proposto non come progetto di convenzione, ma come modello di regole

procedurali cui gli Stati avrebbero potuto riferirsi e nel 1958 il testo venne adottato come Model

Rules on Arbitral Procedure. Tali regole erano obbligatorie solo se incorporate in un compromesso,

nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti.

Il fallimento del tentativo di codificazione ha segnato una battuta d’arresto nello sviluppo delle

norme di procedura giudiziaria.

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CAPITOLO II

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

L’autonomia conferita alla Corte dagli artt. 30 e 48 dello Statuto in ordine all’interpretazione e

applicazione dei principi generai di procedura. Il contributo della Corte allo sviluppo progressivo

delle regole di procedura internazionale

Il processo celebrato davanti alla CIG presenta i caratteri misti della funzione giudiziaria e del

regolamento arbitrale.

Sono elementi della funzione giurisdizionale: la predeterminazione di una lingua ufficiale, la

pubblicità del dibattimento, la motivazione obbligatoria, la possibilità di revisione della sentenza in

caso di fatti nuovi.

Sono elementi caratteristici della procedura arbitrale: il fondamento consensuale della giurisdizione,

le modalità di ricorso (compromesso e domanda unilaterale), l’ampio potere di valutazione delle

prove, la competenza a decidere sulla propria competenza, il potere di decidere secondo equità (se

richiesto dalle parti).

Vi è la tendenza a procedere ad una progressiva giurisdizionalizzazione attraverso

l’istituzionalizzazione della funzione giurisdizionale e l’affermazione di una progressiva

indipendenza e autonomia dalle parti. Al contrario del processo arbitrale in cui le parti esercitano un

controllo continuo su tutto il corso del processo, nel giudizio davanti alla CIG i poteri delle parti

sono più limitati (es. non possono decidere la composizione della Corte).

Inoltre nel settore del diritto processuale la Corte ha mostrato una certa innovatività e originalità

nell’interpretazione e applicazione dei principi generali di procedura, adattandoli alle esigenze del

caso concreto; in molti casi ha recepito i principi generali elaborati dai tribunali arbitrali e dalla

Corte Permanente. La CIG ha creato un corpus omogeneo di norme disciplinanti il processo

internazionale.

Da questo punto di vista particolare rilevanza assume l’art. 30 dello Statuto che conferisce alla CIG

il diritto “to frame rules for regulating its procedure”: la Corte ha il potere di elaborare le regole

idonee ad esercitare correttamente le proprie funzioni e le regole di procedura relative allo

svolgimento del processo. La Corte ha adottato due importanti documenti: l’Internal judical practise

e il Regolamento di procedura.

L’art. 48 riconosce alla Corte il potere di decidere quale procedura seguire nel caso concreto. Resta

dubbio se la Corte possa derogare a propria discrezione alle norme dello Statuto e del Regolamento

(si tende ad ammettere una deroga solo per le norme del Regolamento, purchè ci sia l’accordo delle

parti).

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L’art. 38 par. 1 lett. c) dello Statuto e il dibattito dottrinale sull’esistenza di principi generali di

diritto in materia di procedura

L’art. 38 par. 1 lett c) dello Statuto richiama i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni

civili quale categoria di norme cui la Corte può ricorrere per risolvere la controversia; questa norma

ha suscitato un acceso dibattito.

Per quanto riguarda la natura dei principi in esame:

secondo i positivisti non sarebbero altro che criteri interpretativi ai quali il giudice potrebbe

rifarsi in caso di lacuna nell’ordinamento giuridico internazionale; la statuizione del giudice

basata sul principio generale desunto dagli ordinamenti interni sarebbe una norma giuridica

internazionale

altri ritengono che tali principi costituiscono sul piano internazionale un’autonoma fonte del

diritto internazionale: una sorta di consuetudine sui generis o una fonte suppletiva (a seconda

degli autori) applicabile anche in mancanza di una disposizione convenzionale che ne autorizzi

l’impiego. In ogni caso occuperebbero un posto di rilievo nel contenzioso internazionale

Per quanto riguarda le modalità di applicazione di tali principi:

secondo alcuni il ricorso a questi principi sarebbe dovuto anche in assenza di una specifica

disposizione convenzionale autorizzativa, essendo sufficiente il richiamo contenuto nell’art. 38

secondo altri non esistono sufficienti elementi per ritenere che si sia formata una norma

internazionale generale di carattere processuale che attribuisca ai tribunali internazionali il

potere di applicare i principi generali propri degli ordinamenti interni; sarebbe quindi necessario

un accordo (per alcuni anche tacito) degli Stati

secondo una posizione completamente diversa l’art. 38 sarebbe una norma processuale

indicativa, in linea di massima, dei criteri da seguire nel procedimento per la risoluzione della

controversia .

il dibattito si è arricchito di ulteriori spunti di riflessione in riferimento alle fonti del diritto

internazionale processuale applicabili al processo davanti alla CIG. Se da un alto non sembra

dubbio che possa applicare taluni principi generali comuni agli ordinamenti giuridici statali

(competence de la competence, non ultra petita, nemo judex in re sua, res judicata, audiatur et altera

pars, obbligo di motivazione), dall’altro c’è chi rileva che, considerate le profonde diversità tra

sistemi di common law, sistemi di civil law, sistemi socialisti e sistemi islamici sarebbe arbitrario

parlare di principi comuni, per cui bisognerebbe riconoscere il potere discrezionale del giudice di

emanare norme processuali idonee a soddisfare le esigenze peculiari di ciascun caso concreto (tali

norme anche se ispirate ai principi presenti negli ordinamenti statali darebbero vita a regole di

contenuto in parte diverso).

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Di segno radicalmente opposto è la tesi sostenuta da quella parte della dottrina che afferma che tali

principi avrebbero influenzato la sviluppo della procedura giudiziaria internazionale, ma ai fini

della loro applicazione da parte del giudice internazionale dovrebbe esserci non solo il

riconoscimento da parte degli ordinamenti statali, ma la loro effettiva e generalizzata applicazione.

Al di là dei contrasti dottrinali occorre prendere in considerazione la prassi della CIG; sono

pochissimi i casi in cui si è fatto riferimento ai principi generali comuni agli ordinamenti statali

(uno dei casi è Barcelona Traction, dove si è fatto ricorso a tali principi per individuare la nozione

di SRL). Si può quindi affermare che anche quando i giudici si siano ispirati a tali principi poi la

Corte nella decisione ha rielaborato tali principi in relazione al caso concreto, affermandone

l’esistenza come norme dell’ordinamento internazionale.

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CAPITOLO III

I PRINCIPI GENERALI DI PROCEDURA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CIG

Il principio del consenso

Il fondamento consensuale della giurisdizione internazionale rappresenta un principio basilare di

diritto consuetudinario ed è una chiara derivazione del principio di sovranità. Mentre negli

ordinamenti interni le persone fisiche e giuridiche sono soggette per legge alla giurisdizione dei

tribunali nazionali, l’obbligo di uno Stato sovrano di comparire davanti ad un tribunale

internazionale dipende dalla sua volontà e pertanto solo l’accordo delle parti è idoneo ad istituire la

giurisdizione dell’organo e a conferirgli la necessaria competenza ad esaminare e risolvere la

controversia in atto.

Il principio del consenso si è largamente affermato nella giurisprudenza arbitrale ed è stato poi

incorporato negli Statuti della maggior parte delle corti permanenti (in particolare art. 36 St. CIG).

La giurisprudenza arbitrale ha sempre affermato la nullità della sentenza arbitrale resa in violazione

del principio del consenso ed anche per la CIG l’esistenza di un consenso validamente prestato è la

conditio sine qua non per la regolare istituzione del procedimento. Ai sensi dell’art. 36 il consenso

può essere prestato ad hoc mediante ratifica di un compromesso o ante hoc qualora esistano trattati

o convenzioni in vigore che prevedono l’istituzione delle corti o qualora le parti abbiano “dichiarato

di riconoscere come obbligatoria, senza speciale convenzione, nei rapporti con altro Stato che

accetti la medesima obbligazione, la giurisdizione della Corte”. In base alla prassi il consenso può

essere prestato anche ex post qualora, dopo l’istituzione unilaterale del procedimento (art. 36 par.

2), si abbia il consenso dell’altra parte (voluntary and indisputable) con comunicazione ufficiale alla

Corte o attraverso un apposito accordo. In assenza dell’accettazione espressa o tacita della

competenza, la Corte non può esaminare il caso e deve ordinare la cancellazione dal ruolo.

Il consenso può essere manifestato liberamente secondo le più diverse modalità, non è richiesto il

rispetto di formalità predeterminate; l’importante è che si possa evidenziare una chiara

manifestazione di consenso.

Per quanto riguarda la posizione degli Stati terzi direttamente o indirettamente coinvolti nella

controversia, la Corte ha affermato la propria competenza a pronunciarsi sul merito anche se la

propria decisione può produrre effetti sugli interessi giuridici di Stati terzi che non sono parti: in

assenza di specifico consenso la Corte non ha alcun potere di invitare gli Stati terzi a partecipare al

processo. In particolare nel caso Continental Shelf, la Corte ha avuto modo di chiarire che essa

deve rigettare la richiesta di autorizzazione ad intervenire nel processo che comporti l’introduzione

di una nuova controversia, se non ha l’assenso delle parti principali o degli altri Stati

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eventualmente coinvolti (in qualche caso la Corte ha autorizzato, anche in difetto di consenso,

l’intervento dello Stato in qualità di “non-party intervener”).

La Corte ha affermato la validità del principio del consenso anche quando opera in sede consultiva

(art. 65 St.); la rilevanza di tale principio è stata oggetto di riconsiderazione da parte della dottrina

soprattutto in riferimento all’attività conciliativa del Consiglio di Sicurezza, dal momento che

l’applicazione rigorosa del principio renderebbe impossibile al Consiglio di intervenire nelle

controversie suscettibili di minacciare la pace e la sicurezza internazionale.

Il principio della competence de la competence

Dal momento che l’esercizio della funzione contenziosa si basa sul principio del consenso il giudice

internazionale dovrebbe astenersi quando non è certo d avere la competenza per materia. Il

principio fondamentale di diritto internazionale che regola le questioni di giurisdizione di un

tribunale è il principio della competence de la competence, in base al quale, in caso di dubbio o di

contestazione, il giudice internazionale ha il potere di stabilire quali siano i limiti della propria

competenza in concreto. Si tratta di un principio generale comune sia ai sistemi giuridici europei sia

all’ordinamento internazionale. Si applica a qualsiasi tribunale internazionale al quale è

riconosciuto il potere di procedere anche d’ufficio ad una verifica intesa ad accertare l’esistenza

della propria competenza. E’ espressamente previsto in numerosi Statuti di tribunali internazionali

permanenti (art. 36 par. 6 St. CIG, art. 30 St. Corte Penale Internazionale). La prima enunciazione

del principio risale alla sentenza arbitrale nel caso Alabama del 1872.

Oggi si ritiene che il potere del giudice internazionale di decidere sulla propria competenza è

espressione di una norma consuetudinaria e ciò è confermato dall’art. 36 St CIG che dispone che

“in caso di contestazione sulla competenza della Corte, la Corte decide” e tale accertamento è una

questione di diritto che solo la Corte può risolvere; in genere l’accertamento della Corte è

sollecitato dalla contestazione della parte, ma la Corte può procedere d’ufficio:

quando una delle parti della controversia sia assente o si rifiuti di partecipare al processo,

atteggiamento che la Corte ritiene equivalente ad una contestazione della sua competenza (art.

53 St.)

quando la Corte deve adottare misure cautelari, in via incidentale; in questo caso prima di

provvedere deve verificare l’esistenza della propria competenza principale.

Le decisioni che la Corte adotta sulla propria competenza sono a tutti gli effetti “judicial decisions”,

obbligatorie per le parti, definitive e senza appello.

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Il principio jura novit curia

In diritto internazionale è generalmente riconosciuto al giudice il potere di adottare le proprie

decisioni indipendentemente dalle tesi giuridiche proposte dalle parti e di procedere di propria

iniziativa alla individuazione delle norme applicabili al caso concreto. In base al principio generale

jura novit curia, il giudice chiamato a risolvere una controversia in base al diritto internazionale

procede autonomamente alla rilevazione e applicazione delle norme internazionali pertinenti al caso

di specie, che non sono oggetto di prova a carico delle parti.

Secondo una parte minoritaria della dottrina si tratta di un corollario del principio dell’accordo tra le

parti, per cu cui sarebbero le parti a conferire al giudice il potere di ricercare le norme da applicare,

tanto è vero che potrebbero anche decidere di far decidere la controversia secondo equità o secondo

norme prestabilite.

La maggior parte della dottrina e la stessa prassi confermano invece il dovere del giudice di non

applicare le norme indicate dalle parti nel, compromesso, qualora siano in contrasto con le norme

vigenti (altrimenti la sentenza sarebbe nulla).

Tuttavia le parti possono escludere l’applicazione del principio jura novit curia se invocano

l’applicazione di norme diverse da quelle internazionali; in questi casi l’esistenza delle norme va

provata dalle parti, alla stregua di un qualsiasi altro fatto della causa.

La Corte ha esteso l’applicabilità del principio anche nell’esercizio della funzione consultiva.

I principi generali in materia di ammissione e valutazione delle prove

La teoria generale del processo prevede due regimi giuridici differenti:

il regime della prova legale in cui le modalità di produzione e il valore delle prove sono stabilite

dalle leggi e il giudice ha l’obbligo di attenersi alle sole prove presentate dalle parti

il regime della prova libera in base al quale al giudice è riconosciuta completa libertà

nell’apprezzamento del valore della prova e nella ricerca della verità.

Il diritto internazionale accoglie il principio generale della libertà del giudice in materia di

ammissione, acquisizione e valutazione delle prove; nessuna regola scritta limita quindi la

produzione, la forma e l’ammissibilità delle prove. Tale principio è oggi codificato nelle regole di

procedura delle Corti internazionali permanenti che hanno elaborato un corpus di norme procedurali

ben consolidato e omogeneo. Inoltre sono riconosciuti come principi generali:

il principio actori incumbit probatio: secondo il quale spetta al ricorrente l’onere di provare in

maniera adeguata la fondatezza delle proprie pretese; tuttavia quando l’attore non sia in grado di

fornire prove dirette, la Corte ammette la possibilità di ricorrere a prove indirette e circostanziali

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il principio della libera collaborazione delle parti nell’accertamento dei fatti (in base al principio

di sovranità il giudice internazionale non può imporre agli Stati alcun obbligo di produrre i

mezzi di prova che egli ritiene necessari)

il giudice può scegliere i mezzi di prova più appropriati, escludere quelli che non hanno

attinenza con i fatti da provare, chiedere ulteriori prove ed eventualmente ricorrere anche a

mezzi di prova indirette (dedurre dai fatti conosciuti l’esistenza di fatti sconosciuti)

non esiste sul piano internazionale un regime di presunzione legale tipico della procedura di

diritto interno.

Il principio non ultra petita

Il principio generale non ultra petita impone al giudice internazionale di non deliberare su questioni

o punti di diritto che non rientrano tra quelli richiesti dalle parti. La perfetta corrispondenza tra

petitum e giudicato è un preciso dovere cui è tenuto il giudice; in mancanza (sia se il giudice è

andato al di là della sua competenza, sia se non si è pronunciato su tutte le questioni) la sentenza è

viziata da nullità.

Tale principio ha trovato larga applicazione nella giurisprudenza internazionale, sia nella prassi

arbitrale (fin dal caso Isola d’Aves del 1865) sia nella giurisprudenza dei tribunali internazionali. La

CIG ha chiarito che tale dovere è collegato alle richieste originali delle parti; tuttavia ha applicato

tale principio con una certa elasticità o discostandosi dalle richieste delle parti o non pronunciandosi

su alcune questioni (e ciò è stato evidenziato nelle opinioni dissenzienti di alcuni giudici).

Allo stesso modo la Corte ha mostrato una certa elasticità anche nell’applicazione delle misure

cautelari, per cui si può ritenere che tale principio non trovi applicazione in materia considerato che

l’art. 41 non subordina il potere di concedere le misure cautelari alle richieste delle parti.

Nel silenzio della Corte, non dovrebbe trovare applicazione in sede di funzione consultiva.

Il principio della res judicata

La giurisprudenza arbitrale degli inizi del ‘900 ha affermato che il principio della res judicata ha

natura di principio generale del diritto internazionale. E’ stato quindi incorporato nella maggior

parte degli Statuti dei tribunali internazionali (artt. 59 e 60 St. CIG).

In base a tale principio la sentenza internazionale regola in via definitiva la controversia ed è

vincolante per le sole parti del processo; le parti hanno l’obbligo di dare esecuzione alla sentenza

mediante l’adozione di misure legislative, amministrative o giurisdizionali e se lo Stato non vi

ottemperi è ritenuto responsabile sul piano internazionale. Anche nell’ambito del diritto

internazionale e dello Statuto si distingue tra

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res judicata formale che si identifica nell’immutabilità (inapellabilità) della sentenza

res judicata sostanziale che si concretizza nell’obbligo per le parti di ritenere la controversia

definitivamente risolta, per cui non possono sollevare in un giudizio successivo la stessa

questione.

Secondo la Corte la sentenza ha valore di res judicata anche nei confronti degli Stati autorizzati ad

intervenire in qualità di parte, ma non di quelli autorizzati ad intervenire in qualità di “non-party

interveners”.

Ci si è chiesti se la Corte deve applicare il principio dello stare decisis, ovvero se le sue sentenze

abbiano valore di precedente; la Corte ha affermato la non obbligatorietà delle precedenti sentenze.

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CAPITOLO IV

IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA DELLE PARTI

Natura e contenuto del principio. Rispetto del principio audi alteram partem. Rapporto tra fair trial

e concetto di equality of arms

Il principio di eguaglianza delle parti nel processo ha un ruolo fondamentale anche nel processo

internazionale; trova riconoscimento nella prassi arbitrale e nelle disposizioni degli statuti e

regolamenti dei tribunali internazionali.

Il principio di eguaglianza si sostanzia nella garanzia per le parti di godere degli stessi diritti

processuali e delle stesse opportunità per sostenere le proprie ragioni davanti al giudice; ne

consegue che il rispetto di tale principio impone al giudice di garantire ad entrambe la parti quella

“equality of arms” che è parte integrante del diritto al fair trial; è evidente che anche le parti sono

tenute a rispettare il principio di lealtà processuale che garantisce l’equilibrio e la condizione di

parità delle rispettive posizioni processuali.

L’eguaglianza non può essere intesa in senso assoluto perché dipende concretamente

dall’atteggiamento delle parti e dalle scelte di politica giudiziaria; in ogni caso si concretizza nel

rispetto del principio audi alteram partem (affermato per la prima volta dalla Corte permanente nel

1929 e poi ribadito dalla CIG). Lo Statuto e il Regolamento della CIG contengono numerose

disposizioni finalizzate ad assicurare la piena partecipazione delle parti e la tutela dei rispettivi

diritti (nella giurisprudenza della Corte si è affermata la prassi della consultazione delle parti sulle

questioni di natura procedurale, con l’unico limite rappresentato dalla suddivisione del

procedimento nella fase scritta e in quella orale).

La nozione di parte

Per quanto riguarda il concetto di parte nella dottrina internazionalistica, al contrario del diritto

interno, non esiste una netta contrapposizione tra status di attore e di convenuto; tale distinzione è

quasi nulla nel caso in cui la controversia sia deferita al giudice mediante compromesso, pertanto

solo in caso di ricorso unilaterale sarebbe possibili individuare lo status di attore.

La nozione di parte nella prassi internazionale della CIG è stata utilizzata soprattutto per valutare gli

effetti prodotti dalla sentenza (solo nei confronti delle parti).

La competenza ratione personae

La legittimazione processuale è una qualità che la Corte può accertare anche d’ufficio; ai sensi

dell’art. 34 “solo gli Stati possono essere parti nel processo internazionale”, le organizzazioni

internazionali possono collaborare all’attività della Corte (in qualità di amicus curiae) fornendo le

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informazioni necessarie. Al contrario non è riconosciuta alcuna legittimazione (nonostante i recenti

orientamenti dottrinali tendano ad affermarne la responsabilità internazionale) agli individui. In

particolare la Corte è aperta agli Stati aderenti allo Statuto, che poi sono gli Stati membri dell’ONU;

se nel corso del processo viene a cessare lo status di membro, la competenza della Corte non viene

meno per il principio della perpetuatio iurisdictionis .

Uguaglianza delle parti e composizione della Corte

L’art. 31 dello Statuto attribuisce agli Stati un diritto assoluto, ovvero il diritto ad avere giudici della

stessa nazionalità di ciascuna parte e di scegliere una persona che sieda in qualità di giudice. Anche

questa norma è stata criticata perché contraria al principio dell’indipendenza dei giudici ed al

principio nemo judex in re sua, l’istituzione di giudici ad hoc è un corollario del principio

dell’eguaglianza delle parti (è questa una notevole differenza con il sistema interno).

Le garanzie processuali in materia di procedura e prova

Particolarmente significativo è il contributo della giurisprudenza della Corte allo sviluppo e

all’affermazione di regole procedurali intese a salvaguardare l’uguaglianza delle parti nel processo;

in particolare oltre al dovere di consultare le parti sulle questioni di procedura, il presidente deve

garantire al convenuto pari opportunità e gli deve accordare un tempo ragionevole per presentare le

proprie ragioni. Tuttavia una volta definito il thema decidendum le parti non possono avanzare

ulteriori pretese, né nella fase delle repliche, né nella procedura orale.

Per quanto riguarda il regime probatorio la corte gode di ampi poteri in materia, può decidere le

modalità epr acquisire i mezzi di prova, può chiedere alle parti di produrre documenti e fornire

chiarimenti, può istituire un’inchiesta o chiedere una perizia. Il rispetto del principio di eguaglianza

comporta che le parti devono reciprocamente comunicarsi i mezzi di prova che intendono produrre.

Il principio audi alteram partem e la procedura in absentia

Nel processo celebrato davanti al giudice interno, quando il contraddittorio si è regolarmente

instaurato, la scelta della controparte di astenersi dal comparire in giudizio non impedisce al giudice

di pronunciarsi. Anche nel processo internazionale soprattutto in caso di ricorso unilaterale è

possibile che il convenuto decida di contestare la competenza dell’organo giudicante, astenendosi

dal partecipare al processo. Allo Stato che scelga di non comparire è consentito di presentarsi

davanti al tribunale fino al momento della pronuncia della sentenza; non potrà però opporsi dopo

che la sentenza è stata emanata in quanto produce gli effetti di cosa giudicata.

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La pocedura in absentia è rimasta a lungo estranea al diritto internazionale perché ritenuta in

contrasto con il principio del consenso e con il principio audi alteram partem; nella prassi arbitrale

non si registra nessuna pronuncia in assenza; tale procedura si è diffusa con l’istituzione dei

tribunali internazionali permanenti; in particolare l’art. 53 St. CIG dispone che “se una delle parti

non compare davanti alla Corte o non provvede a difendere la sua causa l’altra parte può chiedere

alla Corte di decidere in favore delle sue richieste”, la Corte deciderà dopo aver accertato la propria

competenza e che le domande siano fondate in fatto e in diritto. La Corte infatti non può adottare

alcuna decisione in assenza di accordo tra le parti circa il riconoscimento della sua giurisdizione; ne

consegue che anche se assente, la parte deve aver comunque prestato il suo consenso in precedenza.

Inoltre nel rispetto del principio audi alteram partem la Corte deve fissare un’apposita udienza

affinchè il convenuto possa presentare il sue difese, ed in mancanza deve procedere comunque

all’esercizio della sua funzione di accertamento sulla fondatezza della domanda; deve garantire che

la parte assente sia costantemente informata dello svolgimento del processo e degli atti prodotti

dall’attore.

L’applicazione del principio in sede consultiva

Per quanto riguarda la procedura consultiva, con la revisione del Regolamento nel 1978 è stata

codificata la costante prassi. In particolare si è tenuto conto del fatto che per la Corte anche la

funzione consultiva ha natura giurisdizionale; ciò implica il rispetto da parte della Corte dei principi

fondamentali di procedura: il principio di eguaglianza delle parti, l’obbligo di garantire a tutti i

soggetti interessati pari opportunità di essere ascoltati e presentare documenti e memorie.

I procedimenti di natura consultiva non prevedono l’esistenza di parti in senso tecnico, dal

momento che possono accedere alla Corte in sede consultiva l’Assemblea generale, il Consiglio di

Sicurezza, gli organi dell’ONU, gli Istituti specializzati; sono esclusi gli Stati.

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Conclusioni

Considerata l’esiguità dei principi di procedura che possono dirsi effettivamente comuni ai vari

ordinamenti statali non sembra corretto trasporre i principi della procedura interna sul piano

internazionale; pertanto le fonti del diritto processuale internazionale vanno identificate in norme

generali o particolari proprie dell’ordinamento internazionale e nell’attività di rilevazione ed

enunciazione di tali regole va riconosciuto un ruolo di primo piano alla Corte internazionale di

giustizia (cd. World Court), punto di riferimento fondamentale per tutti gli altri tribunali

internazionali. Ciò è dovuto soprattutto all’originalità delle soluzioni talvolta adottate dalla Corte

che, oltre ad applicare il diritto internazionale in conformità dell’art. 38 St. ha in numerose

occasioni dettato il principio o la norma applicabili alla questione in esame addivenendo alla

soluzione più opportuna. Tale attività di accertamento delle norme internazionale e di creazione del

diritto hanno sensibilmente contribuito allo sviluppo del diritto internazionale sostanziale e del

diritto processuale. Proprio attraverso l’analisi della giurisprudenza della Corte si è potuto

constatare come essa abbia dato un impulso significativo allo sviluppo del diritto internazionale

processuale, contribuendo all’enunciazione di principi generali di procedura (minore rilevanza ha

avuto invece il diritto processuale interno)