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UniCredit ha radici nel futuro Intervento di Piero Barucci 1 I primi quindici anni di UniCredit 1. I documenti ufficiali ci dicono che il seme gettato a Genova nella primavera del 1870 ha dato luogo, più di 140 anni dopo, a un tronco robusto conosciuto in tutto il mondo. Allora, si era alla vigilia della “breccia di Porta Pia” e Firenze era ancora capitale del Regno; ed erano attivi cinque istituti di emissione. La “Banca di Genova”, così si chiamava, era una banca locale, sia per operatività che per azionariato. Di lì a poco, con Roma capitale, gli Istituti di emissione divennero sei, con quella Banca Romana che aprì, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, la prima grave crisi bancaria Italiana, quella che vide nascere la Banca d’Italia. E fu in quell’occasione che la piccola banca genovese mise radici, attraverso acquisizioni, a Roma e Milano ed assunse la denominazione di Credito Italiano. 2. La banca di cui voi oggi siete parte ha dietro di sé una lunga storia che si spera qualcuno scriva in un futuro non lontano. A tutti coloro che ne hanno fatto parte e non sono più fra di noi, un memore grato ricordo. A chi ne ha segnato una parte di un lungo percorso, la speranza che trovi il modo di testimoniarne qualche vicenda.

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UniCredit ha radici nel futuroIntervento di Piero Barucci

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I primi quindici anni di UniCredit

1. I documenti ufficiali ci dicono che il seme gettato aGenova nella primavera del 1870 ha dato luogo, più di140 anni dopo, a un tronco robusto conosciuto in tutto ilmondo. Allora, si era alla vigilia della “breccia di PortaPia” e Firenze era ancora capitale del Regno; ed eranoattivi cinque istituti di emissione. La “Banca di Genova”,così si chiamava, era una banca locale, sia per operativitàche per azionariato. Di lì a poco, con Roma capitale, gliIstituti di emissione divennero sei, con quella BancaRomana che aprì, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, laprima grave crisi bancaria Italiana, quella che videnascere la Banca d’Italia. E fu in quell’occasione che lapiccola banca genovese mise radici, attraversoacquisizioni, a Roma e Milano ed assunse ladenominazione di Credito Italiano.

2. La banca di cui voi oggi siete parte ha dietro di sé unalunga storia che si spera qualcuno scriva in un futuro nonlontano.A tutti coloro che ne hanno fatto parte e non sono più fradi noi, un memore grato ricordo.A chi ne ha segnato una parte di un lungo percorso, lasperanza che trovi il modo di testimoniarne qualchevicenda.

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A tutti voi, nelle cui mani e sulla cui professionalità èaffidato il futuro di una impresa bancaria così complessacom’è il Gruppo UniCredit oggi, l’augurio di un successopari all’impegno di cui avvertite essere parte ed alleattese degli azionisti, così come a quelle dell’economiaeuropea e di quella italiana.

3. Si è trattato di un’esperienza e di un percorso fantastici,resi possibili dalla consistenza della radice da cui hannopotuto essere alimentati. Venti o quindici anni sembranopoca cosa in un processo di sette o otto volte più lungo;ma per questo breve intensissimo periodo il CreditoItaliano ha potuto mettere a disposizione conoscenzeprofessionali ed una attitudine alle valutazioni del rischiogià allora di prima qualità.Era sempre stata una banca “di qualità”, sede ideale nellaquale occuparsi anche dei problemi della vita politicaitaliana.Lo fece, insieme alle altre tre grandi banche del tempo,all’epoca della prima industrializzazione della nostraeconomia nei tre lustri iniziali del secolo scorso, in unmomento in cui l’esperienza della “banca universale” siaccingeva a condurre l’intero sistema bancario italianonel gorgo di una crisi destinata a protrarsi per lungotempo.Lo fece poi al momento della nascita dell’IRI1 e lo fece,con rischi personali assai considerevoli, durante gli annidella guerra ‘civile’ (1943-1945), quando aveva ai suoivertici persone che cercavano di mettere insieme i fondiper alimentare la Resistenza.

1 Va ricordato il bel volume, AA.VV. Il Credito Italiano e la formazione dell’IRI. Atti del Convegno tenuto a Milano il 4 ottobre 1989, concontributi di S. Cassese, A. Confalonieri, N. Irti, F. Piga, R. Prodi, G. Toniolo. Milano: Scheiwiller, 1990.

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Di quel primo periodo, il Credito Italiano, sia pure nellasua radicale rifondazione attuale, è l’unica banca che oggisopravvive come erede di una tradizione nobile dell’arteitaliana di fare banca.Lo dimostrò, nel secondo dopoguerra, al momento dicreare Mediobanca, tenendo la schiena dritta durante iltentativo di salvataggio delle banche di M. Sindona,presentandosi con tutte le carte in regola quando, in unbrevissimo drammatico periodo di tempo, si ebbe il bigbang delle privatizzazioni nel sistema bancario italiano edil governo nazionale portò innanzi un massiccioprogramma di dismissioni2.

Come “Banca d’Interesse Nazionale”, il Credito Italianonon solo aveva dovuto superare la fase della capillarepresenza della regolamentazione, dei limiti alla crescitadegli sportelli bancari, dei vincoli all’evoluzione degliimpieghi e di quelli valutari, ma, e in primo luogo, avevasoltanto potuto osservare - spesso da lontano - l’enormeprocesso di delocalizzazione delle industrie dai centritradizionali con la nascita di molti distretti industriali cheandavano a dare valore alle preesistenti presenze dellebanche locali. Non ebbe altra soluzione che puntare adivenire il punto di riferimento per le banche nazionalinella valutazione del rischio d’impresa. Per anni lapresenza di una impresa nel portafoglio crediti del CreditoItaliano è stata considerata in Italia come un benchmark,una garanzia di qualità3.

2 Si può vedere la decisione del Consiglio dei Ministri del settembre 1992 tra i documenti esposti nell’ambito della mostra “Radici nel Futuro”,Milano, UniCredit Tower, novembre 2014, così come tutti i successivi documenti citati nel testo Gli originali completi sono a disposizionepresso l’ufficio Group Giving, Events & Art Management, UniCredit, Milano ([email protected]).3 Questo aspetto, insieme all’altro della forte preminenza della presenza del Credito Italiano nel Nord Italia, era favorevolmente notato neldocumento di Nomura Equity Research, Italian Privatisation. Context and Outlook. December 1993. Cfr. pp. 20-21.

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4. Ogni paese ha una sua storia ed una complessioneeconomica che gli è peculiare.

Quella dell’Italia, negli anni ottanta del ‘900, è stataun’era del sistema bancario italiano, facile in apparenza,ma ingannevole. La crescita economica era discreta, mal’inflazione era molto elevata ed il sistema produttivo erain grado di sopravvivere per le ripetute svalutazioni dellalira contro il marco.

Il fabbisogno pubblico raggiunse vette inconsuete ed ilrapporto debito/PIL superò di gran lunga il parametromassimo di lì a poco previsto dal Trattato di Maastricht.

Al sistema bancario non fu difficile trarre vantaggio dauno spread fra tassi attivi e passivi consistente, da untasso di interesse elevato nominalmente ma negativo intermini reali, dai vincoli alla mobilità dei capitali, dalledifficoltà all’ingresso di nuove imprese nell’industriabancaria. Anni oggi di agevole lettura, ma di ambiguaapparenza, contrassegnati dalla fortuna di quattrorampanti “cavalieri”, ma anche dall’immagine di “forestapietrificata” utilizzata per descrivere il nostro sistemabancario.Nei risvolti di un’evoluzione che sembrava essere senzasussulti, la Banca Centrale avvisò gli operatori che benaltre stagioni stavano arrivando, non tanto inconseguenza di qualche crisi bancaria dall’esitodrammatico, ma in ragione del recepimento della primaDirettiva europea sul coordinamento bancario che è del1977, ma che, non a caso, fu recepita in Italia solo nel1985.

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E’ significativo che C. A. Ciampi, allora Governatore dellaBanca Centrale, parlando del sistema bancario italiano diquegli anni, ha detto che l’anno della svolta può essereproprio fissato nel 1985.

A rileggere quanto si pensava e si scriveva allora sullebanche italiane si ha l’impressione di affacciarsi su unabisso di cui i protagonisti non conoscevano i confini.

Faticoso fu l’affermarsi del “commercial paper”, la doppiaintermediazione era diffusa, il rapporto depositi/impieghiera sempre superiore all’unità, il “margine di interesse”copriva tutti i costi operativi pure in presenza di unadisintermediazione sul passivo dovuta alla massiccia econtinua offerta dei titoli di Stato con alti tassi, l’attivitàregolatoria era fondata su parametri generali. Tuttoquesto avveniva in un mondo che ci appare non tantodistante nel tempo quanto ormai irrealistico.Si pensi che i “piani sportelli” del 1982 e del 1986, perl’intero sistema, raggiunsero nel totale le 1150 unità.Il quale nel breve arco di tempo che va dal 1990 al 1993fu radicalmente cambiato per effetto di decisioniconseguenti a Direttive europee, ad un Trattatointernazionale, ad un nuovo Testo Unico Bancario, ad unaprofonda mutazione nel ruolo del capitale pubblico nelleimprese italiane, a cominciare dalle banche. C’erano lepremesse per un rapido cambiamento di scenario,nonostante le violente oscillazioni della Borsa, unrisparmio negativo del settore pubblico del 6%,l’introduzione per le banche di vincoli patrimoniali minimiobbligatori rispetto all’attivo. Di fatto, il nostro sistemabancario, che era stato parte silente e favorita da quantostava avvenendo, divenne poi, d’un tratto, il motore

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trainante di una struttura politica, istituzionale edeconomica recalcitrante al cambiamento.

5. La banca considerata come un’impresa, costituì la pietraangolare di questo cambiamento. Questo implicavaconcorrenza a tutto campo nell’intermediazionecreditizia, possibilità di libera entrata nell’industria, liberadislocazione territoriale delle banche esistenti, autonomiagestionale, estensione dell’attività in campi nonstrettamente bancari, superamento del vincolo rigido frabanca ed industria, efficienza di conduzione, solvibilitàdelle banche, possibilità di ricorrere al capitale di rischio4,e, soprattutto, una redditività confrontabile con quellaconseguibile in altri settori produttivi.

Al momento in cui il Governo Amato decise di dare avvioad un vasto programma di privatizzazioni, è significativoche si pensò di iniziare con il Credito Italiano e con laNuova Pignone.E’ di quel tempo il completamento dell’attività legislativain Italia con la legittimazione della banca universale e conl’auspicio della Banca Centrale per la nascita di unmercato “contendibile”, anche a mezzo di operazioni diconsolidamento attraverso “operazioni di concentrazione,acquisizione e coordinamento di altri operatori”.

6. Del processo che ne seguì, il Credito Italiano è stato unodei principali protagonisti. La sua crescita è stataimportante tanto da poter essere considerata come unadelle più significative in Europa.

4 Nel 1992 erano quotate alla Borsa di Milano 23 banche su un totale di 230 società. Nel 1999 le banche erano divenute 40 su un totale di241 società. Si veda la slide 2 nei documenti allegati per maggiori dettagli. Le nuove banche quotate furono nel periodo più di trenta, mentremolte furono escluse dal listino perché incorporate. E’ da ricordare che il Credito Italiano era stato cancellato dalla Borsa nel 1935 perchédivenuto parte dell’Iri (insieme alla Banca Commerciale italiana mentre la Banca d’Italia restò nel listino fino all’anno 1936). Nel 1956 fuquotata Mediobanca e nel 1970 fu la volta del Credito Italiano.

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Lo è stata da un punto di vista quantitativo ma anchecome specificità degli obiettivi. Ha risposto a due scelte difondo: dare al costituendo gruppo una fitta rete dipresenze nelle aree dove il Credito Italiano era menopresente e dove più vivace e con maggiore crescita eral’economia locale e, all’un tempo, inoltrarsi con decisionenei mercati internazionali del credito e dei servizifinanziari dell’economia di quei paesi.

Oggi UniCredit è presente in quasi tutti i paesi dell’UnioneEuropea dell’area Centro-orientale più importanti e anchein altri le cui performances economiche sono stateintense e sono ancora promettenti, come vedremo indettaglio in seguito.

Questa grande e rapida espansione è avvenuta ricorrendoad una notevole varietà di operazioni, dall’acquisizionecon cash (Pioneer) a fusioni per incorporazione e scambiodi azioni, al ricorso all’offerta pubblica di acquisto, anchea cascata, su banche quotate in borsa oppure nonquotate.

Può essere temporalmente distinta in due fasi. La prima,anni 1995-1998, con le acquisizioni del Rolo e lasuccessiva fusione con Carimonte (e la presenza di Ras) ela nascita di Rolo Banca 1473 nella quale vieneincorporata la Banca Popolare del Molise e poi, nel 19985

attraverso la fusione fra il Gruppo Credito Italiano (CI eRolo Banca 1473) e Unicredito, formato da Cassa diRisparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, Cassa diRisparmio di Torino e Cassamarca. Si costituiva in talmodo, Unicredito Italiano, divenuto poi, nel 2003,UniCredit.

5Si veda l’autorizzazione di Banca d’Italia del novembre 1998 tra i documenti esposti.

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Si andò così a realizzare un assetto istituzionale del tuttonuovo in Italia e molto consistente.Le Fondazioni nate da banche solide, di qualità e moltopresenti nelle realtà e nelle economie locali (inparticolare in Piemonte, in Emilia Romagna e nel Veneto),sono state in grado di sostenere la crescita dell’interoGruppo e di assicurarne lo sviluppo anche nel lungoperiodo, mantenendo solido il rapporto con le specificitàproduttive locali.

Fu di conseguenza adottato il modello federale multi-business, imperniato sul ruolo di indirizzo e di controllostrategico della capogruppo, ma teso a valorizzare i puntidi forza di ogni banca entrata a far parte del gruppo.

La contestuale migrazione dei sistemi informativi suun'unica piattaforma permise di puntare ad unasegmentazione del mercato, non solo per area ma ancheper prodotto. E’ di quegli anni l’inizio dell’attività dell’e-banking e la creazione di centri di servizi condivisi. E risalesempre a quel periodo l’acquisizione della Bank Pekao inPolonia, destinata a significative modifiche dopo il 2005(come vedremo) e della società Pioneer GlobalInvestment Management, una società USA specializzatanel risparmio gestito, cui seguirono l’entrata nel Gruppo,per via diretta o indiretta, di società leader mondiali neifondi dei fondi hedge od in quello del segmento dedicatoagli investitori istituzionali.

La seconda fase può essere fissata negli anni 2005-2007,quando, realizzato il modello di servizi segmentati perprodotti e per canali distributivi, il Gruppo individuò unsecondo mercato “domestico” nell’Europa centro-orientale. Molti di questi Paesi si apprestavano a

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diventare parte dell’Unione europea, si caratterizzavanoper un alto reddito pro-capite ed erano destinati ad avereuna elevata crescita economica. Il Gruppo ha così oggiuna presenza importante nelle aree economicamente più“ricche” dell’Unione senza soluzione di continuità6.

Emerse allora la necessità di adottare una strategia diinvestimento di lungo periodo in grado di contemperare leesigenze di banche locali con quella di disporre diprodotti di caratura internazionale; la combinazioneideale per creare valore per le Fondazioni Bancarie.

Solo un Gruppo con natura “federale”, ma focalizzatosulle realtà locali, robustamente sostenuto dalle piùmoderne innovazioni della tecnologia dell’informazione,poteva garantire la necessaria multi-specializzazione.Nacquero così tre Divisioni (banche italiane, wholesalebanking, banche estere).Una accresciuta concorrenza sia in Italia che all’estero,per l’attività delle banche e delle società diintermediazione finanziaria, impose un nuovo modelloorganizzativo (il cosiddetto modello S3, varato alla finedel 2001) con la successiva creazione di una banca unica,capace di permettere poi una riorganizzazione internasfociata nel 2003 nella creazione del modello di trebanche nazionali “di segmento” (Unicredit Banca,Unicredit Banca d’Impresa, Unicredit Private Banking),nato dalla esigenza di razionalizzare ed ottimizzare gliinvestimenti del Gruppo. Il quale, attraverso il BusinessCombination Agreement con il Gruppo HVB e BA-CA del2005, ha realizzato la prima vera banca europea7.

6 Per una esaustiva visualizzazione dell’articolazione territoriale di UniCredit oggi si veda la slide 3 nei documenti allegati.7 Si veda l’autorizzazione della Commissione europea dell’ottobre del 2005 tra i documenti esposti.

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La crescita del Gruppo nei mercati internazionali aprì ilproblema di una presenza troppo importante in Polonia.L’iniziativa del governo polacco tesa ad impedire questapreminenza rispetto a banche controllate dallo Stato, el’opposizione alla decisione del Governo da partedell’Antitrust europeo, furono infine risolti con il testofirmato a Varsavia dal Ministro del Tesoro polacco edall’Amministratore Delegato di UniCredit il 5 aprile2006. Si chiudeva così il potenziale conflitto con lacessione di 200 dei 480 sportelli di BPH e l’integrazionedei rimanenti nella rete operativa di Bank Pekao.

Nel maggio del 2007 fu decisa la fusione perincorporazione di Capitalia in UniCredit, diventataoperativa il 1° ottobre di quell’anno dopo una delicataapprovazione dell’Autorità Italiana Antitrust anche per lequote di UniCredit in Mediobanca8. L’operazione9, dunque,si concludeva quasi simultaneamente alla cosiddetta crisidella banca Northern Rock.

Si sono così consolidati due gruppi italiani di primariaimportanza, cosicché è migliorato il posizionamento diUniCredit nei diversi segmenti di mercato (credito alconsumo, leasing, factoring), è cresciuta la dimensionedei business globali (come il risparmio gestito el’investment banking), oltre ad una buona integrazionenella rete degli sportelli.

Oggi si può dire che il Gruppo parla una stessa lingua, nelsenso che è la sintesi di culture bancarie edimprenditoriali le più diverse. Solo in tal modo ha potuto

8 L’autorizzazione della AGCM alla fusione fu concessa subordinatamente alla cessione di circa 200 sportelli per ridurre le quote di mercato inalcuni mercati locali, alla riduzione della quota di UniCredit in Mediobanca, al divieto di creare rapporti di partership o accordi diproduzione/distribuzione con il gruppo Generali, a realizzare interventi sulla governance al fine di allentare i legami con Mediobanca eGenerali con riferimento ai mercati in concorrenza (si veda il testo dell’Autorizzazione esposta in Mostra).9 Nel Gruppo entrò a far parte anche Fineco, recentemente quotata alla Borsa di Milano, che, come Bank Pekao quotata a Varsavia, siconfronta quotidianamente con i mercati.

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attrezzarsi perché ogni operatore potesse fronteggiare iproblemi che emergono e conseguire obiettivi semprenuovi con rapidità e successo.Il management team è davvero europeo; si riconosce inquella “Carta di integrità” che è la bussola che guidal’attività dei singoli che possono disporre degli strumentielaborati sulla frontiera dell’innovazione e dei prodotti;orienta l’operare di tutti perché si affermi la preminenzadi una ragione di convenienza economica.L’azionariato, mutato negli anni, ma attorno ad un nucleorestato invariato, è lo specchio di questa vocazioneinternazionale di UniCredit.

Al 30 giugno di quest’anno, il Gruppo aveva 130.577dipendenti10 (di cui più della metà di genere femminile),7765 filiali (incluse quelle in Turchia), di cui meno dellametà in Italia, un margine di intermediazione di 11.312milioni di Euro, un patrimonio netto di 48.937 milioni diEuro, il totale dell’attivo di 838.689 milioni di Euro, unCommon Equity Tier 1 ratio del 10.58%, un risultato digestione di 4.385 milioni di Euro ed un utile netto dopo leimposte di 1.116 milioni di Euro, secondo i dati resi notidal Gruppo.

UniCredit, oggi, serve in Europa oltre 33 milioni di clienti,è la banca italiana con maggiore capitalizzazione di Borsae rientra, come totale dell’attivo, tra le prime 11 Bancheeuropee, nonché settima dell’Eurozona.

7. La nascita e la crescita del Gruppo UniCredit va scanditanon solo nella sua articolazione geografica, ma, e inprimo luogo, sull’andamento della congiuntura

10 I dipendenti sono espressi in Full time equivalent (FTE: personale conteggiato per le ore effettivamente lavorate e/o pagate dall’Aziendapresso cui presta servizio). Dati ufficiali al 30 giugno comunicati da UniCredit.

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internazionale, sulla trasformazione intervenutanell’attività bancaria e finanziaria, sulla concorrenza neirelativi mercati, sull’atteggiamento delle attivitàregolatorie, e, sia pure in minor misura, su quellodell’autorità Antitrust. Bisognerebbe anche tener contodel mutamento intervenuto a livello europeo, sia con lanascita dell’Unione Bancaria, sia con le innovativepolitiche monetarie dispiegate dalla Banca CentraleEuropea nelle sue recenti esperienze e in quella che sipreannuncia. Solo in tal modo se ne può apprezzarel’evoluzione.

Qui è da sottolineare il fatto che, dal 1999 ad oggi,l’andamento dell’economia mondiale è costellato di crisifinanziarie. Prima quelle asiatiche (1997-98), poi la crisidella Russia (1998), poi del Brasile (1998-1998), poiquella, assai seria anche per i risparmiatori italiani,dell’Argentina (2000-2001), infine quella delle “dot-com”che alterò drammaticamente i valori di borsa fra lesocietà italiane e culminò poi con una crisi negli USA,ormai oggetto di analisi anche nei libri di testo, e che vasotto la dizione “sub-prime crisis”.

Il quadro è impressionantemente cambiato nel momentoin cui, stabilito per alcuni paesi europei un cambio fisso, siaprì la crisi cosiddetta dei “sub-prime”, in realtà di debito(2007-2010), cui fece seguito quella dei debiti sovrani(2011-2012).

Le crisi di cambio sono acute e dolorose, attribuibili aresponsabili di ardua individuazione e di rapidarisoluzione; quelle di equity, se di ampiezza limitata e senon si traslano significativamente sul sistema bancario,conducono a forti aggiustamenti di prezzi del comparto

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azionario; quelle di debito sono di lunga durata, e difficilida affrontare, in particolare quando al cambio fisso è daaggiungere una crescita debole, prezzi con aumentotendente a zero, ed un regime di carta moneta. In questicasi, il riferimento nelle quotazioni delle attivitàfinanziarie risiede nella solvibilità del debitore, ossia nellafiducia che ciò avvenga e, quindi, nella sua capacità diessere in grado di onorare il debito.

Ma oggi nell’insieme, ed in molti paesi, il debito crescemolto più del Pil. Ne consegue che in una UnioneMonetaria nella quale il bailout degli Stati ed iltrasferimento del debito tra essi non sono previsti, e chefonda la fissità del cambio sul tendenziale e progressivoriequilibrio del bilancio pubblico dei vari paesi, i vincoliderivanti per le politiche economiche e monetarie internerisultano molto elevati. E’ scattata così quella che vienechiamata la “trappola” o il “circolo vizioso” che comportauna condizione di sostenibilità del debito solo in presenzadi crescita, una crescita possibile solo in presenza di unaespansiva politica del credito, uno stato di sofferenzadelle banche in corrispondenza della crisi recessiva, unapolitica di riduzione del credito, con un incremento delladisoccupazione e una caduta della domanda interna.

Gli Stati sovrani con squilibri di bilancio hanno dovutoricorrere a saldi primari importanti, le imprese e lefamiglie hanno ridotto il loro indebitamento e la loroattività quando non sono stati in grado di espandere leentrate.

La Commissione europea ha, infine, varato una UnioneBancaria che prevede un Meccanismo unico disupervisione delle banche (SSM), un Meccanismo unico

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per la risoluzione dei problemi delle stesse in difficoltà(SRM), l’armonizzazione e il rafforzamento dei sistemi digaranzia dei depositi. Infine, in accordo con il Fondomonetario internazionale e con la Banca CentraleEuropea, è stata definita una griglia di comportamenti pergli Stati costretti a dover ristrutturare in qualche modo ildebito sovrano, dopo che il Presidente della BancaCentrale Europea si era detto disposto a fare qualunquecosa necessaria per mantenere in vita la moneta unicaeuropea.

Gli anni della cosiddetta “grande moderazione” (1990-2007) covavano in realtà una condizione di “granderecessione”, almeno nei paesi europei a reddito piùelevato; preludevano a un rientro obbligato del credito inuna situazione di mal sottile che permane e rende dicontinuo difficile il completamento di una forte UnioneEuropea. E’ stato scritto di recente che gli antichi greciavrebbero costruito sulla nostra recente esperienza unatragedia in cui si passa in rapida sequenza dall’arroganza,alla follia, alle conseguenze11.

8. Non è il caso di tornare in questa occasione sulle ragionidi questa crisi così prolungata che ha provocato per duevolte una diminuzione del Prodotto Interno Lordo in Italia.Parlando a chi opera in banca, e prevalentementenell’area europea, i dati di fatto, quelli derivabili daibilanci bancari, sono riconducibili ad un linguaggioinequivocabile12.

Negli anni della “grande moderazione”, quando il creditosi espandeva in ognuna delle sue componenti, le banche

11 E’ da vedere il recentissimo libro di M. Wolf, The Shifts and the Shocks: What We've Learned - and Have Still to Learn - from the FinancialCrisis. Londra: Allen Lane, 2014. In particolare la Parte prima.12 Per una panoramica sugli andamenti dei principali aggregati del sistema bancario a livello europeo, si vedano le slide 4 e 5 nei documentiallegati.

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europee poterono godere di una buona congiuntura e“consolidarsi” come veniva loro raccomandato.

Durante gli anni della “grande recessione”, che giungonosino a noi, la compatibilità macro delle banche peggioròrapidamente, in conseguenza di un deciso deleveragenegli attivi e delle necessarie rettifiche di bilancio dovutea sofferenze o cancellazioni di crediti.Durante gli anni della “esplosione del debito sovrano” edelle conseguenti politiche di rientro dei disavanzipubblici, in particolare le banche italiane hanno dovutoaffrontare una stagione di crescita negativa, unacondizione semi-deflazionistica, “spread” in drasticariduzione, una ristrutturazione aziendale e del portafogliocrediti assai profonda13.

E’ in queste condizioni di ardua confrontabilità nellaesperienza dei vari paesi, e di acuta concorrenza, cheanche il Gruppo UniCredit ha operato. E’ cresciuto, inbreve, al fine di assumere sempre più le condizioni di unabanca europea competitiva, ma mentre l’onda era avversae gli effetti negativi di quella precedente nonaccennavano a placarsi.

Le banche, in Italia ma non soltanto da noi, continuano adessere considerate come dei “bancomat” impersonali cuiricorrere in situazioni economicamente difficili. Sarebbeopportuna una riflessione a più voci, operatori,risparmiatori, commentatori, per scoprire perché tutto ciòcontinua ad avvenire.

13 Per una panoramica sugli andamenti dei principali aggregati del sistema bancario italiano, si vedano le slide 6 e 7 nei documenti allegati.

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9. I numeri parlano con chiarezza di quanto avvenuto eancor oggi avviene.Disegnano un quadro difficile, di lunga durata che solo direcente sembra migliorare.

E’ il caso di ricorrere a qualche affidabile evidenza. Il Tier1 ratio è per il sistema bancario europeo confortante eben superiore a quello previsto dalla normativa europea,con UniCredit che supera l’11% dopo aver toccato neglianni precedenti il 6,50%14. Ma questo è il risultato di unaprofonda revisione dei comportamenti e della strutturaorganizzativa, nonché di una dotazione di capitale chetutte le grandi banche europee hanno posto in atto negliultimi anni.

Anche in fatto di numero di occupati le banche europeesegnalano un picco verso il 2009-2010 per poi registrareuna sensibile diminuzione nel triennio successivo.

Il rapporto prestiti-depositi si riduce nell’insieme delsistema europeo da valori prossimi a 140 a circa 12015.Per le singole banche l’andamento è di quest’ordine esenso. Per UniCredit, il peso dei prestiti alla clientela sultotale attivo è, tuttavia, rimasto costante rispetto alperiodo pre-crisi, ed a livelli decisamente superiori inconfronto ai propri competitors. Al contrario, il peso delleattività detenute per finalità di trading si è ridotto inmaniera maggiore dei competitors16.

14 Istituti di ricerca specializzati danno per UniCredit a fine anno un Tier 1 in ulteriore crescita. L’utilizzo del Tier 1 ratio, e non del CET1 ratio, èqui reso necessario per un confronto con gli anni precedenti.15 Si veda la slide 5 nei documenti allegati.16 Nel 2008, i prestiti alla clientela rappresentavano per UniCredit il 59% del totale attivo, rispetto al 33% dei suoi competitors. Nel 2013 il livelloè rimasto stabile per UniCredit, mentre quello dei competitors si è portato al 40%. Nello stesso arco temporale, il peso degli assets detenuti perfinalità di trading è passato dal 20 al 10% per UniCredit, mentre per i competitors si è ridotto dal 43 al 28%.

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I due andamenti, diminuzione dei prestiti e riduzione dellospread fra interessi attivi e passivi, hanno ridottodrasticamente il margine di interesse delle bancheeuropee da 1.8 a 1.4 per cento sul totale dell’attivo17. Dicontro, la politica degli accantonamenti sottintende duecicli: di relativa stabilità fino al 2006-2007 e poi di rapidacrescita18.

10. Nel periodo della vita del Gruppo, gli ultimi tre lustri, leturbolenze monetarie, finanziarie, di base sono statecontinue e sensibili. Le banche italiane si sono affacciateal ciclo espansivo con un grande ritardo da recuperare,come dimensione, presenza internazionale e quote dimercato. Hanno cercato di recuperare una fisionomia eduna complessiva analogia rispetto ai concorrentiinternazionali agendo controcorrente, ma anche dovendosuperare una drammatica crisi che ha prodotto i suoieffetti perfino sulla nostra Banca Centrale.Il ciclo economico in Italia è stato un po’ diverso ancherispetto a quello europeo con una crescita moltomodesta, una recessione particolarmente lunga, una crisifinanziaria superata con costi rilevanti.Il doppio “dip” ha lasciato il segno, in particolare, ma nonsolo, nel sistema bancario, che aveva avuto fino al 2008una lunga anche se contrastata fase espansiva. Di fattoha attraversato due fasi di consolidamento19, con i picchidel 1999 e del 2008 e il conseguente innalzamento delgrado di concentrazione. Tale indice cresce in particolarmodo negli anni 2006-2007 a causa delle operazioniconcluse dai primi due gruppi bancari italiani, per poidiminuire in conseguenza di operazioni che hannoriguardato gruppi bancari di media e piccola dimensione, i

17 Si veda la slide 5 nei documenti allegati.18 Si veda la slide 5 nei documenti allegati.19 Per maggiori informazioni sulla concentrazione del sistema bancario italiano, si veda la slide 8 nei documenti allegati.

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quali hanno comunque sempre più del 50% dell’attivoper la presenza diffusa di banche con vocazione locale.

Va sottolineato che il valore aggiunto del settore delcredito si riduce significativamente rispetto al periodoantecedente la crisi20.

La vicenda del Gruppo UniCredit va riscostruita einterpretata in questo quadro di riferimento e ricordandoche la sua attività è, ormai per più della metà, svolta fuoridall’Italia.L’innovativa visione strategica e le conseguenti operazionidi acquisizioni compiute fra il 1996 e il 2008, si sonoconfrontate con le macro tendenze delle economie dovele banche del Gruppo operano, ed hanno risentito dellequalità degli attivi delle banche progressivamente entratea farne parte21. Ed hanno anche risentito del modo in cuila geopolitica ridisegna ogni mese i confini dei mercatibancari e finanziari.Si può dire, in modo ellittico, che il Gruppo ha coltopositivamente il ciclo espansivo ed ha risentito, più dialtri, di quello negativo.Rispetto alla sua “età dell’oro” 2005-2007, gli utili sonopassati da un livello medio superiore ai 4 miliardi di eurocon il massimo nel 2007, a valori assai piccoli, mapositivi, negli anni 2009-2010, a valori negativi negli anni2011 e 2013. Le rettifiche di capitale (avviamenti), ridottea zero fino al 2010, sono state rilevanti dal 2011 al 2013;quelle sui crediti, su valori insignificanti fra il 2000 ed il2009, sono divenute particolarmente importanti nel2013, dopo tre anni di write off elevati.

20 I dati di base fino al 2013 sono stati gentilmente forniti dal Sevizio Statistiche Finanziarie. Area Ricerca Economica e RelazioniInternazionali di Banca d’Italia. Per le intere serie storiche si può vedere, De Bonis, R.; Farabullini, F.; Rocchelli, F.; Salvio, A.. Nuove seriestoriche sull’attività di banche e altre istituzioni finanziarie dal 1861 al 2011: che cosa ci dicono? Banca d’Italia. Quaderni di storia economica.N. 26, giugno, 2013. Per maggiori informazioni sull’andamento del valore aggiunto prodotto dal sistema bancario italiano, e delle sueprincipali componenti, si veda la slide 9 nei documenti allegati.21 Per maggiori informazioni sull’andamento dei principali aggregati di UniCredit si veda la slide 10 nei documenti allegati.

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Escluso il 2008 ed il 2011, il Gruppo è stato comunque ingrado di assicurare un dividendo anche negli anni assaidifficili del 2009, 2012, 2013.22

Un cavallo di qualità, ma assai riottoso, è stato ricondottosul percorso più solido. Gli azionisti hanno seguito trediversi aumenti di capitale nei quattro anni che vanno dal2010 al 2014. Particolarmente rilevante quello attuatonel 2012. La somma degli aumenti di capitale è risultatacomunque inferiore alla crescita della capitalizzazione diBorsa23. L’andamento di quest’ultima ha colto latendenza, ma forse non la dimensione, della strategia dilungo e breve momento del Gruppo, che oggi è ritenutofra le azioni più interessanti del mercato dei titoli bancari.Non a caso si parla per il suo valore di un pay-off da“ristrutturazione”.Le tendenze di queste ultime settimane, ed il modo in cuisono state accolte dagli operatori le operazionistraordinarie più rilevanti, confermano questavalutazione.Due analisi abbastanza recenti, riguardanti il nostrosistema bancario, definivano il settore come “upgrading”da “neutral” a “outperform”24. Lo scrutinio appenacompiuto dalla BCE e dall’EBA ha però promosso solo unaparte delle maggiori banche italiane per l’esamecongiunto dell’AQR e dello “Stress Test”. L’auspicio diqueste istituzioni ad aprire una nuova fase diconsolidamenti bancari merita un’attenta riflessione. Nona caso il vostro Amministratore Delegato parla, per iprossimi anni, come di quelli della grande trasformazioneindustriale.

22 Per maggiori informazioni si veda la slide 11 nei documenti allegati.23 Per maggiori informazioni si veda la slide 12 nei documenti allegati.24 Si vedano: Mediobanca Securities, Banks Briefing. 08 September 2014 e Morgan Stanley. Unicredit S.p.A. Q. 2014. Restructuring Pay-off.August, 2014. Il „Price Target“, nei limiti di un dato insieme di condizioni, é indicato a Euro 8,1.

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11. Gli anni attraversati dalle banche italiane nel periodo2011-2013 sono stati particolarmente difficili. Ledifficoltà del ciclo che hanno colpito in tempi e perragioni diverse il sistema a livello europeo, sono diventateparticolarmente gravi per quello italiano, che ha dovutofronteggiare i timori di una crisi del debito sovrano, unviolento deleverage nell’attivo delle banche, una crescitanegativa dell’economia, una rapida diminuzione delmargine d’interesse, una sostanziale stabilità dell’indicegenerale dei prezzi25.La materia prima necessaria per l’industria bancaria haoggi prezzi prossimi a zero.

In uno scritto di E. Cuccia del 1997, a lungo sconosciutonella comunità bancaria, forse perché apparso anonimo,si legge:

“Non si deve perdere di vista che una riduzione del tasso diinteresse può determinare spostamenti nell’impiego delrisparmio delle famiglie verso investimenti diversi dai titolipubblici, con possibilità di scelte che spaziano nell’ambitopiù vasto della Comunità Europea….. Non vi è dubbio cheun sistema bancario con strutture valide ed efficienti e conistituti di dimensioni ‘europee’ può promuovere ‘ways andmeans’ per dare una corretta soluzione a questoproblema…”26.

Ci ammoniva, da me non creduto, che l’inflazione è unbrutto animale, ma che la deflazione è molto peggiore. Lebanche debbono ora costruirsi il margine potendo agiresolo sul lato di un attivo che sconta gli effetti di unarecessione ancora in atto. E’ da ricordare che in questo

25 Il periodo ed i problemi sono ben ricostruiti nel recente fascicolo della “Rivista di politica economica” (2014, fasc, IV-VI), edito a cura diCalciano, F.L.; Fiordelisi, F. ; Scarano, G. col titolo, “ The Restructuring of Banks and Financial Systems in the Euro Area and the of SMEs”. Inparticolare é da vedere il saggio di Baglioni, A.S.; Monticini, A.; Vaciago G., “After the Credit Crunch: Long-Term finance for Economic Growth”.26 Si veda, Cuccia, E. A cura di S. Gerbi e G. Piluso. Promemoria di un banchiere d’affari. Milano: Aragno editore, 2014, p. 197.

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sistema di condizioni avverse il Gruppo continua aderogare crediti al di sopra delle sua raccolta da clientela eche in questa opera di raddrizzamento di una traiettoriapreoccupante, UniCredit, come tutto il sistema bancarioitaliano, è proceduto senza fare ricorso ai prestitistraordinari europei o all’intervento del Tesoro comehanno fatto le banche in altri Paesi.

Ma la crisi di liquidità avvertita nel sistema bancario, inparticolare in quello italiano, fra il 2011 e il 2012 è statagrave e lo è stata ancora di più per UniCredit per ragioniche mi auguro F. Saccomanni, un protagonista di quellevicende, vorrà ricordare. Le Autorità che laregolamentavano avevano potuto meditare sulledifficoltà della banca Northern Rock che nel 1999 avevaancora depositi al dettaglio maggiori della metà deltotale delle passività, e che, al momento della crisi(settembre 2007), aveva depositi per meno di 1/6 dellepassività totali. Era naturale che le autorità politiche equelle della regolamentazione bancaria e finanziariadovessero intervenire. Gli indici sugli spreads sul mercatointerbancario raggiunsero picchi preoccupanti nel 2008 epoi alla fine del 2010. I tassi di interesse sui commercialpapers emessi da società finanziarie di buona qualitàarrivarono quasi a toccare i 600 punti base. Molteimprese, di qualità inferiore, videro chiudersi il mercatodei crediti a breve. C’era bisogno di ricondurre il volumedei prestiti a condizioni di minore anormalità. Il ruolosvolto dalla Banca Centrale Europea è stato determinanteper superare queste fasi critiche ed ancheinconsuetamente coraggioso.

Le dimensioni del finanziamento a tre anni a scadenza etasso fisso (LTro) sono state ragguardevoli e il tasso di

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interesse particolarmente favorevole. Ora, quellefinalizzate a dare credito al sistema produttivo, ad untasso di interesse ancora minore e a condizioni temporaliassai duttili (T-LTro), dovrebbero poter marcarepositivamente ed in modo più efficace il ciclo economicodel continente. Ma so che di questi problemi parleràl’Amministratore Delegato che ha già commentatofavorevolmente queste misure ed il modo in cui il Grupposi è attrezzato per renderle incisive.

12. Tutti i protagonisti di questa difficilissima fase del mondobancario e finanziario hanno avuto modo di riflettere conattenzione su quanto hanno fatto, detto o scritto. Qualche“conversione “ è in atto, e non dobbiamo aver paura digiudicarla positivamente. Ad una valutazione di chi è“esterno” al sistema, non sfugge tuttavia qualcheelemento di improvvisazione con riferimento alle tanteproposte di intervento. Le formule che invocano ocriminalizzano lo “shadow banking” o la “narrow bank”danno corpo a preoccupazioni reali e commisurate alladimensione dei problemi da affrontare. Assai interessantesembra la riflessione sugli effetti prodotti dalle regoleintrodotte dalle legge Dodd-Frank negli Stati Uniti oppuresul dibattito che sta avvenendo nel mondo anglosassonein conseguenza di regole assai rigide che hanno reso lebanche più solide, ma incapaci di sostenere una ripresaeconomica che, specialmente in Europa, tarda amanifestarsi.I mutamenti intervenuti nella Unione Europea, acominciare dagli interventi della BCE, sono stativeramente significativi, senza aver bisogno del testo di unnuovo Trattato i cui tempi di modifica sarebbero statitroppo lunghi per incidere su problemi di acuita difficoltàe di puntuale manifestazione. E’ l’intero scenario, anche

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quello tecnologico, che sta cambiando; ed i segni delmutamento risultano di difficile lettura.

Parlamento ed Autorità monetarie sono di fronte a untradizionale “dilemma”. Debbono regolamentare unsistema bancario e finanziario composto da imprese,specie se di grandi dimensioni, le cui difficoltà disegnanodrammatiche esternalità nel caso di fallimenti e chedeterminano molto spesso condizioni di asimmetria diinformazioni. Ma queste difficoltà non debbono essere difreno alla crescita dell’economia reale. C’è un generaleaccordo sul principio che le regole da imporre al sistemadebbano essere proporzionate ai pericoli che le suedifficoltà possono provocare.

L’accordo è sui principi ma, nel momento in cui si tratta didefinire le trame operative, le differenze tornano ademergere. Continuo a pensare che sia pericoloso anchesolo l’immaginare possibile il fallimento di qualche bancadi dimensioni rilevanti. L’importante è non sapere a priorichi è nel perimetro degli esclusi.

Ma è ben noto che le banche per essere “buone” devonopoter operare in “buone economie”. E che queste ultimeper essere sostenibilmente espansive hanno bisogno di“buone banche”. Ciò vuol dire che, in primo luogo, labanca, come ogni forma di impresa, deve essere in gradodi remunerare il capitale, onde essere oggetto diinvestimenti stabili e di lungo periodo.

Alle prime avvisaglie di crisi finanziaria, si ritenne che unacondizione di migliore equilibrio potesse essere raggiuntariducendo la concessione di credito a famiglie, imprese,Stati, la quale era stata senza dubbio eccessiva durantegli anni preziosi (in ogni senso) per i banchieri, i quali -

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come altri con il loro mancato intervento - avevano svoltoil ruolo di chi dissemina il campo di una fitta rete di mine,trascurando i pericoli di chi dovrà poi andare a coltivarlo.

La legge Dodd-Frank è figlia di questa anomalia, e di unafase di crediti certamente non rispondenti ad una politicadi “sana e prudente” gestione della banca. E tuttaviaqualche perplessità nasce per l’iniziativa di chi vorrebbeaumentare il “Total Loss Absorbing Capital” per leprincipali banche mondiali, la quale dovrebbe esserevalutata al G20 di Brisbane proprio in questo mese.Conviene riflettere su queste iniziative che nascono disicuro dai timori derivanti da esperienze che nessunovorrebbe ripetere ma che finirebbero per produrre effettinegativi in una economia, almeno quella europea,tutt’altro che in buona salute.

Fino a che esisteranno soggetti che producono risparmionetto e soggetti che lo utilizzano, un’attività diintermediazione bancaria e finanziaria è necessaria.Quando poi i soggetti che creano risparmio nettoderivante da importanti attivi nelle partite correnti sonodegli Stati sovrani che godono di rendite imponenti,oppure siamo di fronte a capitali che provengono dapersone od imprese che sono sospettate di svolgereattività fuorilegge (il cui primo obiettivo è quello di darelegittimità a guadagni di per sé esterni ai circuititradizionali), il problema si fa ancora più complesso. Ilsistema delle regole non può non tenerne conto, ancheperché l’attenzione del mondo intero è sempreconcentrata sugli effetti che si ottengono piuttosto chesulle cause che li determinano. Sta al senso di equilibriodi legislatori e regolatori contemperare la severità delle

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regole con la necessità che esse non penalizzino l’attivitàdi chi intraprende.

C’è il rischio di giungere a regolamentare in modo semprepiù stringente l’attività delle banche, mentre la loro quotanel mercato della intermediazione si va riducendo. C’è iltimore che non si aiuti così il sistema bancario a divenirepiù efficiente e/o che possa emergere la tentazione digravare di oneri crescenti le istituzioni finanziarie piùsnelle e già dotate di una buona predisposizione adaffrontare i rischi finanziari.

Il “dilemma” è in questi termini. Le soluzioni terranno disicuro conto del vivacissimo dibattito in corso. Oggi ècomunque una data storica del “Sistema Unico Europeo”.La natura multinazionale di UniCredit ha in fondoprecorso questo risultato: meriti e responsabilità siconfondono in una vicenda nella quale in ogni caso tuttivoi avvertite di essere parte.

Piero Barucci

Ringrazio coloro che hanno discusso con me qualche aspetto fraquelli toccati nel testo o che mi hanno fornito alcune elaborazionidi dati, poi utilizzati in minima parte. In particolare R. Creatini, A.Foglia, E. Federici, A. Roselli, D. Sottile, l’Ufficio studi dell’ABI ed icompetenti uffici di UniCredit.