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L’Associazione AIAS di Bologna onlus con il contributo della “Società di Lettura”, della Biblioteca “Natalia Ginzburg” ed il patrocinio della Provincia di Bologna e dei Quartieri Savena e Santo Stefano ha promosso nel 2004 un Concorso Letterario per ricordare lo scrittore Giuseppe Pontiggia che nel romanzo “Nati due volte” ha descritto con lucidità il rapporto di un padre con il figlio disabile. Come tema del Concorso Letterario, diviso nelle sezioni prosa e poesia, è stata scelta la frase presente nell’ultima pagina del libro “Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra” frase che si collega alla dedica che Pontiggia pone all’inizio:

Ai disabili che lottano non per diventare normali

ma se stessi. Al Concorso hanno partecipato 46 persone disabili provenienti da diverse città italiane dai 15 ai 60 anni; l’Associazione ha deciso di raccogliere in un testo tutte le opere inviate, riconoscendo in ognuna di esse l’espressione di una originale e particolare creatività. L’AIAS di Bologna ringrazia la “Società di Lettura”, la biblioteca Natalia Ginzburg, che con il loro contributo hanno reso possibile la realizzazione del Concorso Letterario, la Provincia di Bologna, i Quartieri Savena e S. Stefano di Bologna per il loro fattivo patrocinio. Alla Giuria selezionatrice che per mesi si è impegnata con grande competenza e totale generosità ad esaminare e valutare i numerosi testi esprimiamo la nostra gratitudine vivissima. Aias di Bologna onlus I componenti della Giuria : Gianfranco Vicinelli Scrittore - Umorista

Delia Nardi Fa parte de “La Società di Lettura” di Bologna, amante della

lettura Paola Parenti Giornalista – Assessore alla Cultura Comune di Casalecchio di

Reno (BO) Eraldo Baldini Romanziere, sceneggiatore, autore teatrale

Rosalba Casetti Insegnante – organizzatrice di corsi di poesia

Roberta Ballotta Responsabile della Biblioteca Natalia Ginzburg – divoratrice di

libri A Carlo Ciccaglioni che ha curato e coordinato i lavori del Concorso con intelligente passione va il grazie di tutti i partecipanti … I migliori testi selezionati saranno inoltre pubblicati sul sito dell’AIAS Bologna Onlus all’indirizzo www.aiasbo.it, sulla rivista aias nazionale e sul sito www.aiasnazionale.it

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I° PREMIO POESIA

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STEFANO ARGIOLAS NARCAO - CAGLIARI

Io urlo

Mi piacerebbe passare il tempo a parlare con tutti, per far conoscere il mio mondo. Le cose che non mi piacciono. Le cose che mi piacciono. La musica che amo, chi sono io, chi mi piacerebbe essere, uno che urla voglio…….VIVERE.

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I° PREMIO NARRATIVA

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GLORIA BELOTTI ADRO – BRESCIA

Punk, amore, emiplegia "Na fun to be around Walking by myself No fun to be alone In love with nobody else... "' Lo stereo acceso a volume implacabile. Senza nessuna pietà. Piena solo del suono che dagli auricolari rimbalzava nelle orecchie, e dello sgomento che le riempiva gli occhi, come il deposito di zucchero in una tazzina ormai vuota. Si immaginava berlo, quel caffé, in un' ipotetica mattina futura tipo nel 2016, sola, aggrappata al tavolo rifiutata da tutti causa emiplegia stronza, e intanto che la voce di Iggy Pop l' Iguana si arrampicava lungo le pareti della stanza una straripante voglia di urlare le sbatteva contro lo sterno testarda. -Sfigata- rimproverò se stessa storcendo le labbra in una smorfia. Doveva pensare positivo, cazzo, come sostenevano gli amministratori delegati della di lei vita, di quelli che ti valutano la condotta esistenziale pronti a mitragliarti di rimproveri al minimo turbamento sentimentale, salvo poi chiudersi in casa quando le picche toccavano a loro, e non li vedevi in giro per giorni. Sorrise, fissandosi la punta dei calzini a righe colorate. Lei almeno si sforzava di essere sincera con se stessa e non era facile mantenersi a galla in quel marasma di contraddizioni. Avrebbe voluto baciarti, tesoro. Avrebbe voluto baciare te.. Faticava ad ammetterlo, forse avrebbe avuto bisogno di un pò di Guttalax per cagare fuori i suoi sentimenti. Sbuffò. Neanche da innamorata riusciva a dimostrarsi romantica. Passate le lacrime si sorprese a pensare che sarebbe stato bello se lui fosse riuscito a volerle bene lo stesso. In fondo lui era un punk. E riuscite a immaginare qualcosa di più punk di una tipa ormai adolescente fuori tempo massimo che fatica a stare in piedi ma riusciva lo stesso a dimenarsi ascoltando gli Stooges? Beh, lei no. Perché il punk è l' handicap risuonano delle stesse contraddizioni, legati a filo doppio a una realtà concreta di casini, e di rabbia, ma non possono fare a meno dell'identica tensione a una indipendenza infinita, che anche se vaga e utopica è in fondo la spinta propulsiva di entrambi. Come in quella canzone dei Kina. che ascoltava sempre, la gioia del rischio. Lei che faticava a camminare si era ritrovata a scalpitare, impaziente di correre verso sogni più grandi di lei, che avrebbe inseguito anche a costo di afferrarli per i capelli, di acchiappare te per la punta della cresta. "E' difficile camminare sul ghiaccio/ però è la gioia del rischio/ che li butta sul lago Correre ogni giorno sulla lama del piacere/profondo, dell'insicurezza... " Lanciò una rapida occhiata alle sue forme, ormai quasi scomparse, riflesse nel piccolo specchio rotondo appoggiato sulla vasca da bagno distogliendo subito lo sguardo, ché il suo fondoschiena sembrava quasi averle gettato uno sguardo di rimprovero. La curvatura in fondo alla spina dorsale era quasi impercettibile. Tutti quanti. gli sguardi erano catalizzati dal suo braccio rigido e dalla sua gamba immobile. Sorrise senza gioia rendendosi conto che quel culo nessuno l' aveva mai percepita tranne lei, probabilmente. Si sedette. sulla vasca da bagno e il contatto del marmo freddo contro le sue ossa la fece rabbrividire per un attimo, e si presenta le mani la testa che ormai cominciava a girarle. Si ricordò il principale precetto

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buddhista:" La causa del dolore è il desiderio. Eliminando il desiderio si elimina il dolore ".Tremava appena,e aveva fame, fame d'aria, sentendosi soffocare. Si lasciò scivolare sul pavimento. Non aveva mai desiderato così intensamente di poter guarire, di essere come tutte le altre ragazze, belle, desiderabili, sane. Si morse un labbro cercando di smorzare un singhiozzo, Oh mierda, piagnucolare così, che caduta di stile.

Si ricordò di quel pomeriggio, quando sull'autobus, mentre si alzava in fretta per raggiungere l'uscita ormai a poche centinaia di metri dalla sua fermata, il contenuto della sua borsa si era rovesciato a terra. Si chinò per raccogliere il lettore cd, il quaderno degli appunti, il dvd di "Una giornata particolare ", la colonna sonora di "Paz", "Automatic for the people" dei Rem e tutto quanto il fottutissimo resto, sperando di riuscire a rimettere tutto a posto in tempo con la sola mano che aveva a disposizione, fuori diluviava e se fosse scesa alla fermata successiva sarebbe tornata a casa completamente ,fradicia. Il _ragazzo seduto di fronte a lei aveva continuato a riempirsi i timpani ingordi con la musica trasmessa dai suoi auricolari, indifferente. Non si era alzato per aiutarla a raccogliere la sua roba. "Fankulo" sussurrò. sottovoce a lui, a se stessa o al Fato bastardo prima di scendere dall' autobus di fronte alla gelateria, a poche centinaia di metri da casa. "Se fossi stata una strafiga da paura forse sarebbe già sull' attenti e pronto a darmi una mano a raccattare tutto,e magari anche a chiedere una bella slinguazzata di ringraziamento". Ma non le importava un emerito dell' indifferenza che trasudava lo sconosciuto, i suoi pensieri avevano già deragliato finendo con 1o schiantarsi addosso a un paio di occhi verdi sotto la cresta blu di quel tipo dal sorriso larghissimo, così diversi da quel fighetto spocchioso seduto lì dietro. Come al solito.

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SELEZIONATI POESIA

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PAOLO CANDORI IMOLA - BOLOGNA

Camminare e sperare Cammino – cammino, vado dal mio amore io uomo sono vita e vita voglia dare. Cammino – cammino, vado a pregare il cammino è fede. Cammino – cammino vado a giocare, il cammino è gaudio Ora cammino con le ruote, non do vita Ora cammino con le ruote, non c’è più gaudio Ora cammino con le ruote, ma prego. Anch’io sono uomo, uomo vero Io odo, io vedo, io intuisco, ma ricordare ciò che eri e mai più sarai, brucia tutte le speranze così come legna brucia sul camino Rinascerò dalle mie ceneri ne sono certo. I miei versi mi daranno gaudio e amore La vita avrà di nuovo sapore

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LUIGIA MELONI SAN GIOVANNI SUERGIU - CAGLIARI

Bambini Un vagito di neonato, una lacrima di mamma. Apri gli occhi, e tutto gira intorno. Il sole ti dà la luce. Vivi un giorno Sogni una notte. Un alito di vento ti solleva, vivi, ti posi sulla luna. Una nuvola; dolcemente ti porta su un prato, continui a sognare. Ti ritrovi seduto e poi a letto. Tutti ti guardano come il primo giorno. Eppure sei adulto nulla in te è cambiato non sei invecchiato. I pensieri son puliti, la mente lucida. Nessuno se ne accorge, quel bambino è ancora lì, nulla è cambiato quel bambino è rimasto.

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MARIA LUISA RADAELLI VILLA CARCINA - BRESCIA

Ascoltando Ciaikowski Ho ascoltato Ciaikowski e Ti ho rivisto. Eri in fondo a un viale, un lungo viale e sorridevi, mi aprivi le braccia e io correvo, correvo incontro a Te. Sono arrivata in fondo al viale; e Tu mi preso tra le Tue braccia e mi hai tenuta stretta per tanto tempo. Poi la musica è finita, il viale è sparito, io non correvo più e Tu, Tu eri sempre morto.

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MAURO PAOLINI PIANORO - BOLOGNA

Vivo felice in questa vita Amo la vita con tutte le sue sfumature e i suoi solchi Mi amo Mi curo Mi voglio bene Perché voglio essere bello ai miei occhi e vivere per vivere amarmi, impegnarmi, correre arrivare in ritardo dormire ridormire Amo te, lui, l’altro l’universo in cui vivo Amo per essere amato Voglio essere amato per essere felice ma voglio essere Non voglio far spegnere il mio lume non voglio che sparisca la mia personalità e perdere la mia via Voglio essere felice perchè sono io Me stesso quello che sono Cosi posso veramente amare lei non so chi è lei ma mi sto preparando

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SELEZIONATI NARRATIVA

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MIRKO FACCHINETTI ALBINO - BERGAMO

“L’impiccione viaggiatore”

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DALIDA BELOTTI ADRO - BRESCIA

Sottosuole Sentore di pioggia.Torpore mattutino. Lei era sdraiata su due sedili del solito autobus, e si guardava le scarpe, dello stesso colore dei fiori sugli alberi. Un fottio di petali rosa. Ascoltava Battisti, e ogni tanto chiudeva forte gli occhi, e muoveva le labbra, accennando le parole della canzone. Premeva - Play - e mentre il nastro nel walkman si sentiva trasportata nell' universo parallelo dei sentimenti normali. Trenta minuti di amore scorrevole, che in quel momento si sentiva autorizzata a sognare anche lei - scema ma non troppo - Nessuno ha voglia di decapitare le proprie speranze, nelle mattine non troppo fredde e di primavera, no? Ma si mordicchiava un labbro,esitante. Non poteva fare a meno di pensare che lei - Pensieri e parole - non ne aveva mai suscitati, non love oriented, almeno. Percepiva se stessa come un bizzarro incrocio geneticamente modificato tra Edward Manidifforbice, Jhon Merrick, e Samantha Worthington, quando frugava freneticamente nella borsa, cercando le chiavi dell' ascensore bastardamente nascoste nell' involucro blu degli assorbenti. Sua madre a volte diceva che le sarebbe piaciuto avere quattro mani, ma la figlia si sarebbe accontentata di contare su una dotazione standard.... Ah, avete mai provato a cambiarvi l'assorbente con una mano sola ? Era convinta che se fosse esistita una formula per calcolare il potenziale di sviluppo indipendente dalla famiglia di una ragazza emiplegiKa avrebbe compreso tra le variabili principali la capacità di destreggiarsi con la superficie adesiva degli assorbenti esterni. E riuscita a sviluppare una dimestichezza quasi invidiabile con quell'inevitabile involucro di plastica mensile, anche se si rendeva conto che ammetterlo suonava inedito e forse anche un po' ridicolo. Sapeva di gente che riusciva a rollarsi le cartine con una mano sola, e le sarebbe piaciuto imparare. Avrebbe voluto imparare anche un metodo rapido per svincolarsi dai luoghi comuni, almeno agli occhi delle persone che amava. A volte iniziava a gridare di non essere solo una versione sghemba e post PUNK del grillo parlante. Ormai capitava che prima. di uscire di casa si passasse uno strato di rossetto sulle labbra. Forse un giorno sarebbe riuscita anche a urlare che era anche lei, oh my God, una ragazza, con i sogni che sono sintomi, il sorriso dolcemente seducente e tutto il resto. Aveva iniziato a piovere, e le Converse rosa calpestavano strade coperte di petali fradici.

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MARCO MIGNARDI BOLOGNA

Possiamo immaginare tante vite ma non possiamo rinunciare alla nostra

Oggi mi sono sentito completo in tutti i miei organi. Sì, in questo giorno d'inizio del quinto mese, ho capito che eravamo due esseri umani uguali ma distinti, quindi capaci di vivere esperienze al momento presente unite e nel futuro prossimo separate, capaci di vivere il distacco. Ora io in questo involucro sento la tua protezione e vivo in te la sete e la fame, immaginando che un giorno berrò, mangerò e camminerò da solo. Sai, m'incuriosisce sapere come si vive sulla terra, se avrò un fratello o una sorella oppure se sarò figlio unico. Comincio a percepire i tuoi ritmi e il tuo: riposo, da ciò intuisco il naturale avvicendarsi del giorno quando vivi e ti muovi e della notte quando resti ferma e sola con te stessa. Immagino la vita con entusiasmo come un gioco dove vince chi mette a frutto le sconfitte da cui si può cominciare a vivere. Passano i giorni e la mia curiosità aumenta, con speranze dubbi e desideri vorrei sapere come ci si prepara ad entrare nel mondo. Siamo arrivati al giorno più atteso ormai da qualche `tempo fa caldo. Oggi pare proprio che i camici bianchi abbiano deciso che questa simbiosi così profonda debba terminare per noi. Si sono riuniti e dopo alterne vicende hanno deciso che devo nascere. Cara madre sei arrivata a questo momento con legittime attese e le ultime incertezze svaniscono, ma accade che la signora bilirubina vuole espandersi troppo, e con la sua invadenza comincia a salire la scala che dal mio sangue porta al cervello. Questa signora, a cui era stato interdetto l’accesso ha ammaliato il neuro carabiniere con il suo sorriso e alla fine, poiché lei,era carina, lui le ha concesso la chiave del mio dna. lo le avevo detto che doveva stare al suo posto ma lei pettegola e invadente è entrata e, arrivata fino al mio cervello, dove ci sono tutti i computer, li ha guastati con il suo profumo che si chiama: "e lei si è metta in fila a nascere". Dopo "Lascia o raddoppia" a Mike Buongiorno viene l'idea di presentare in televisione il suo nuovo telequiz "Scommettiamo che... io nasco disabile". Questo gioco un po' spietato, le regole sono simili a quelle della vita. Sulla grande ruota della fortuna se esce il cavallino vinci subito un bel destino, se esce la carrozzella il nostro caro presentatore, con serafica allegria, annuncia: "Peccato! Con l'handicap il concorrente è eliminato!". A me non è uscito il cavallino ma non mi ritenga sfortunato. Nella vita comincio a giocare le mie carte sfidando la sorte e rispettando i miei limiti. Con il tempo e l'esperienza imparo a supplire come posso alle gambe irrigidite. Anche se a volte guardare la scientifica realtà suscita la voglia di chiudere questo corpo in una scatola e dimenticarlo come un gioco rotto in un armadio, impuro a dare forma alle qualità del tema della diversità. Incontro altre storie simili alla mia che mi insegnano a guardare gli altri non per quello che possono fare ma per quello che sono, imparo a riflettere sulle situazioni tentando di non giudicare in base all'apparenza ma lasciandomi guidare dall'ascolto. Questo strano e imprevisto risultato si scontra col qualunquismo di chi mi dice "servi a niente", ogni mio giorno serve a far capire a qualcuno che è sbagliato sottolineare solo il risultato funzionale. Con un po' d'ironia, combattendo la tristezza e vivendo la giocosa fantasia dimostro la dolce utilità di una sorte giudicata avversa. Quando ero ragazzo tra sportivi, giornalisti ed attori la parola handicap la sentivo usare controvoglia. Solo adesso si comincia a riflettere più a fondo sullo spazio da restituirle per consentire alla società tutta di crescere in umanità psicologia e spiritualità, dando a tutti un possibile punto di equilibrio per non rimanere schiacciati dai ritmi della vita.

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Nel compiere il danno la bilirubina ha azzerata la matematica, ampliato l'italiano; dato rudimenti al francese e niente al bolognese dalla c dolce e la g dura. Fortunatamente il suo spray ha avuto un effetto ritardato così, almeno nel giorno in cui sono nato, sono apparso ben formato e, udite udite, almeno quel giorno non ho fatto terapia. Battezzato in gran fretta si temeva che la vorace signorina mi facesse fare un bel giro in Paradiso, ma si vede che lassù hanno pensato: "Resta un poco sulla terra per convincere qualcuno che malattia e disabilità non significano sempre morte". Così la mia vita è continuata per mostrare ancora una volta che il dolore offre sempre nuovi spunti, che portano a comprendere in profondità, senza imprecare, che si può stare bene con le proprie differenze tra la gente; di ogni continente. La scuola e l'università hanno accompagnato il mio divenire tra speranze e dubbi che tutti i giorni hanno dato i loro frutti. Nell'incontro con Dio ho accettato il mio destino senza chiedermi perché. Sono andato a tentoni nel mio mondo con la gamba storta e il cuore dolce. Insieme ad ogni amico che prende parte al mio cammino scopriamo e condividiamo, meravigliandoci, che facendo la pace con noi stessi le nostre disabilità possono diventare abilità. Questa sarà una scoperta che rivoluzionerà sempre ogni, piccolo passo della mia storia e del mio cammino, anche se a volte mi sento spaesato tra coloro che hanno scelto di vivere con ritmi per me insostenibili. Io vorrei che gli uomini andassero più piano non per poterne sostenere il passo, ma per offrir loro una possibilità di stare meglio con se stessi, con gli altri e con Dio.

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ANTONIO MOLINARI BOLOGNA

Non arrendersi Da quando la mia bella ditta è stata ceduta sono cominciati i disagi. Luigi, il mio caporeparto e grande amico, venne ad annunciarmelo una mattina di due anni fa. - La nostra ditta è stata venduta. I nuovi padroni prenderanno i macchinari e assumeranno anche chi di noi vorrà andarci - tirai un sospiro di sollievo. - Allora andremo insieme? - chiesi fiducioso. - Il problema è la distanza - rispose- la nuova ditta si trova a 30 chilometri da Bologna – - E allora - domandai disperato già intuendo la risposta - Per te non so...- le parole, ricordo, gli uscivano lente - io sono alla fine della carriera e non so se mi conviene ... - E non gli convenne, così oggi io devo fare a meno di lui e di tanti altri cari colleghi... Ma andiamo con ordine. I nuovi padroni, supponendo che io non potessi accettare il trasferimento per via della distanza, mi assicurarono che mi avrebbero aiutato a cercare un altro posto. Dove e come? A vent’otto anni, invalido in carrozzina, con solo il diploma di terza media? La mamma chiese un colloquio con loro e si trovò la soluzione: sarei andato con l'autobus di linea fino al capolinea e da li una macchina della ditta mi avrebbe portato al lavoro (tre chilometri circa): una disponibilità che commosse la mamma e lasciò me di stucco. E la mia macchina, pensai, con la quale da cinque anni ormai mi recavo al lavoro? L'avrei dovuta lasciare a casa. Oh no! Il pensiero mi corse ai primi giorni che alla sua guida mi ero avventurato per le strade della città, i più belli della mia vita. A casa i parenti avevano saputo del mio ardire e telefonavano: - Antonio guida la macchina?- Sì - rispondeva orgogliosa la mamma - Ma è andato a scuola guida? - insistevano - No, si è esercitato nel cortile, è un motociclo che si guida senza patente. L'ho mandato a lezione di teoria per riconoscere i cartelli stradali- - Ma che bravo! - commentavano - Lo so che è bravo - mi sosteneva la mamma e poi aggiungeva - Certo ogni volta che esce in macchina sto male ma non succede questo a tutte le mamme del mondo? - e con questo li metteva a tacere dimostrando che io, pur essendo in carrozzina, ero come tutti gli altri. Ma quando venni assunto dalla mia bella ditta distante quindici chilometri da casa, la mamma escluse subito che io mi potessi recare fin là con la mia macchina, zitto accettai che un pulmino del Comune mi trasportasse su e giù. E così, come un novello Pollicino, senza lasciare i sassolini ma con occhio vigile alla strada incominciai a memorizzare il percorso - semafori, curve, rotonde - e, in breve, sicuro del fatto mio osai annunciare - Domani vado a lavorare in macchina! - apriti cielo e tutto il resto ma così fu e la mamma dovette accettare la mia decisione. Ricordo quei viaggi all'inizio un po' tesi, mani ben strette al volante, fiato trattenuto, poi sempre più rilassati e rilassanti, goduti nel piacere di vedere i colori delle stagioni cambiare nella vasta pianura e... insomma un gran godimento ogni giorno. Sì, per cinque anni sono stato fortunato, la mia vita era quella che avevo sognato: il mio giro in macchina, la mia bella ditta che mi aspettava, i miei simpatici colleghi, il bel lavoro di montaggio insieme al mio caporeparto e grande amico Luigi. Ma adesso tutto questo è finito.

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Accettata la soluzione dell'autobus, seppure a malincuore, ho affrontato il mio destino fiducioso come sono di carattere. La fermata è vicino a casa ma gli autobus non sono attrezzati per far salire la carrozzina e non posso recarmici da solo ed essere così autonomo come vorrei. Così ormai da due anni la mamma tutte le mattine mi porta all'autobus e al pomeriggio (se non viene la nonna o Giuseppe) ritorna a prendermi per aiutarmi a scendere. E la mia macchina? La uso di nuovo solo per i giretti in città. E’ vero, qualche volta, ho affrontato il nuovo percorso e mi piace ma è lungo e mi stanca e poi, al contrario dell'altra strada, questa è supertrafficata, camion a volontà, motorini guizzanti, macchine rombanti, chi se la gode più? Io vado piano, sono prudente, non ho mai avuto un incidente e voglio vivere in questo bel mondo che non sempre è proprio come si vorrebbe.

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GLI ALTRI POESIA

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FRANCA ALBERTAZZI S. LAZZARO DI SAVENA - BOLOGNA

Metamorfosi Dov’eri, prima di conoscerti? Perché ti cercavo, affannosamente? È cambiata, la mia vita come una pelle. Vorrei che si fermasse il tempo, accanto a te. Non potrei cambiare, la mia vita e la mia libertà. Nessuna metamorfosi Possibile, può dare gioia.

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ALESSANFRO ALFIERI FERRARA

Al tramonto il fiume M’abbarbaglio del tramonto colorato di tutte le tonalità dell’anima e col il pensiero tuffo i ricordi più tristi, ma riaffiorano come cadaveri nello specchio dell’acqua scura. E’ come un giuoco di bimbo assorto questo mio immaginare; Ho nell’orecchi il lento scorrere del fiume e della vita.

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MATTEO BASEZZI TRIESTE

Possiamo immaginare tante vite ma non rinunciare.alla nostra…

Possiamo immaginare tante vite vissute con gli altri nelle storie, nelle avventure, belle e meno belle. Tante ne abbiamo passate e non verranno mai dimenticate, ci rimangono nei ricordi. Non muoiono mai, quei ricordi, stanno nelle menti e nei cuori. Ringraziando il cielo lì restano e ci rimangono, affettuosi. La vita si vive una sola volta, ci viene donata, vive in noi stessi: e porta con sé, dentro di te, nuovi arrivati. Possiamo vivere quante vite vogliamo e rinascere quante volte possiamo Ma mai alla nostra vita rinunciamo

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MARCELLO CAMILLI BOLOGNA

Palcoscenico Stasera tocca a te, entri nello spettacolo! Dovrai leggere queste poesie, dice Piero: mi raccomando stai tranquillo! Interpretale come se le avessi scritte tu: sono poesie di Danilo Dolci. Monica, Paolo; Laura, Rosario; Giuliana; Tonino e tutti gli altri si stringono intorno a me e gridano: MERDA! Sono solo nel buio, cresce l’emozione, tocca a me iniziare. La mia gola si blocca, scivolano le frasi intermittenti nella memoria. Lentamente il faro illumina la mai mente, il suo calore scioglie i miei pensieri. Tu mi accogli gentilmente cigolando dietro alle mie ruote. Sento il respiro del pubblico, non lo vedo. Tu mi dai forza. Monica entra in scena provocandomi con voce e movimenti sensuali, Paolo accende una sfida verbale con me; l’adrenalina sale, sale. Ora il mio corpo si muove! Parlo! Canto! Ho voglia di correre sul tuo piano. Cambiano le luci, suona la musica, entrano i cavalli, tutti Insieme corriamo verso il sole. Ora vedo la gente che applaude e grida. Bravi! Bravi! Mi volto, ti guardo, tu sei lì immobile, soddisfatto. Grazie Palcoscenico!

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ANDREA DI NOIA BOLOGNA

"A me mi piace" Vorrei non capisco Vorrei fare il giardiniere da grande Il postino lo so fare meglio Vorrei dare una mano a voi Vorrei fare lo spazzino Vorrei fare li dottore Bello questo Da grande non so fare niente Vorrei che si riprendesse lui Celestino Vorrei essere contento lo sono Andrea e sono come te Sono Barbaro il pirata II naso dritto I piedi sono grandi Ho due mani anzi quattro Occhi grandi che vedono Nel cervello non c'è niente Bellina la mia voce Attraversa la città E sono un uomo Se fossi Superman volerei Avrei la S sul petto Gli stivaletti rossi Anche la tuta e il mantello blu Vedo in città cosa c'è Poi telefono ad un taxi per un passaggio

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TARIKU DOSI PIACENZA

Posso…. Posso materializzare lo sapere in immagini. Posso pensare empatici applausi non manifestati. Posso mescolare tappe lamentose e tappe momentaneamente gioiose. Posso lasciare navi mascheranti fumosi orizzonti ammiccanti vissuti passati. Posso ansiosamente lottare solo contro me stesso. Posso arare i campi messaggeri di materia nostri mondi salmodianti parvenze misteriose. Posso macchiare modelli di umanità saccente. Posso memorizzare memorie remote e sostenere mille ascolti. Accade. Amare è in me. Ancora manco di materia umilmente umana. Ma vivere porta forme diverse sacre rappresentazioni di Colui chiamato Amore.

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DANIELA FALETRA BOLOGNA

Pregiudizio Urlare correre scappare NON voglio il tuo abbraccio il tuo alito sa di inganno e di raggiro Urlare urlare correre scappare calci e pugni Non mi lascerò contagiare la mia vita è molto preziosa. non voglio essere annientata dal tuo alito mortifero.

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MANUELA FILIPPOZZI NERVIANO - MILANO

La Bambola

Tutta vestita di raso, la bambola stava li, immobile. Bella come non mai ma, solo bella era. I bambini non osavano toccarla tanto bella e fragile. Tutta vestita di raso, la bambola stava lì, immobile. Era fragile, bella preziosa, ma ai bambini non piaceva. Non si poteva giocare con la bambola, se fosse caduta si sarebbe rotta, essendo di porcellana. I bambini giocavano con le altre bambole. La bambola era triste, non sapeva che una bambola Come lei, valeva di più delle altre bambole. Nessun bambino lo capiva. Rimase li immobile, senza divertire i bambini, per tutta la sua esistenza. Finché un giorno cadde e si ruppe, non avendo mai potuto far divertire i bambini, come tutte le altre bambole

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SIMONA GARDENGHI CASTEL GUELFO - BOLOGNA

Vita Bella La mia vita è così è come il tempo, un altro giorno è bello. A volte la nebbia cala su di noi, e ci fa vedere cose confuse; un vetro si appanna e non ci puoi vedere attraverso. Poi, all’improvviso, il velo si dissolve e si vede tutto chiaro: allora gli uccellini cinguettano felici nel tempo bello. Sento gli uccellini cantare, mi rallegrano molto, e vedo la natura che nasce; provo una gioia immensa, come se mi regalassero un giorno sereno.

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RAFFAELLA GIANNICA MELZO - MILANO

La Voce dei Miei Sogni Immagino una vita diversa dalla mia, con meno difetti che sono per esempio di ripetere sempre le stesse cose e non aspettare mai il momento giusto per chiedere qualcosa. Vorrei rinascere di nuovo ed essere un’altra persona, più bella più simpatica e più spiritosa. Posso immaginare tanti modi di vivere la mia vita, ma io sono Raffaella, non posso fermare la mia vita sui miei problemi; posso solamente modificare qualche difetto del mio carattere, ma non quelli del mio corpo oppure negare i miei limiti. Devo partire da quello che sono per realizzare i miei sogni; rinuncerei alla mia vita solo per fare nascere un figlio; anche se spero di cambiare la mia vita ritengo che sia molto fortunata, perché mi rendo conto che tante persone stanno peggio e non hanno tutto quello che ho io.

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GIOVANNI LIMONINO CAGLIARI

Il Pellegrino Da ragazzo ho percosso le strade della Sardegna con il cross regalatomi da mio padre. Ho cominciato a vivere libero, recandomi in quelle spiagge e in quella sabbia bianca come la neve. Spensierato percorrevo la mia vita come se vivessi da incosciente perché questa no era altro che l’innocenza. Da adulto percorrevo le montagne e le valli sull’altipiani sull’Altipiano Carsico di Trieste per amore della corsa. Ho fatto tantissime gare di corsa per le strade delle città del Friuli e del Veneto. La speranza di vincere era il sogno, che mi portavo appresso, la vittoria la mia gioia. Adesso da malato, come tanti altri, vivo come un pellegrino alla ricerca del Signore. Lassù nel cielo intravedo, come da una finestra, il Signore affacciato con un sorriso, che mi accompagna lungo il cammino. Quel sorriso mi dà la forza di vivere e affrontare tutte le avversità che ancora mi riserva la vita.

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STEFANIA MELIS CAGLIARI

Il treno della vita: L’importante è viaggiare, anche per me che non posso camminare: “no, non ho bisogno di partire, devo solo sognare”. a volte mi devo fermare, perché trovo degli ostacoli da superare, perchè devo ripartire! la mia famiglia, mi può aiutare. solo io, il treno che posso guidare, è il mio treno, non posso frenare: l’handicap, è un bagaglio da portare, con onore e dignità.

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PAGELLA SILVANA ALESSANDRIA

Immaginavo

Mi trastullavo ed immaginavo che la vita fosse un gioco. Mi destai dal mio torpore e mi accorsi che la vita è una lotta. Lotta E compresi Che la lotta porta ad una conquista. Conquistai con le mie forze morali e con le mie armi spirituali, e scoprii tante vittorie. Vinsi e sentii che ogni vittoria è come un gioco

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ANDREA PEDRETTI BOLOGNA

Cosa c’e’ cosa c’è che la mia vita è sola senza di te cosa c’è nella mia vita, sto male senza di te la mia vita non è niente senza questo gioco di mani che si intrecciano con te e questa città non è buia senza le mie mani che vanno con questa gioia

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GIANNI PILISI NARCAO – CAGLIARI

Vorrei un domani Vorrei essere un giorno ciò che non sono. Essere un altro me libero da me stesso, dalle pretese e attese. Libero da quel senso di mancanza che strozza il fiato e sovrappone ogni speranza. Vorrei sognare il sole e veder il tramonto, ma solo la vita è la realtà che mi circonda mai un sorriso. Ma chiedo amore e non crudeltà, solo passato e nascosto futuro, che in questa terra grande e immensa un domani vivere potrò.

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FABIO TAGLIATTI BOLOGNA

"Che so fare tante cose" Se fossi uno che ci vede farei tante cose Se fossi una macchina mi farei portare in giro Se fossi una persona finta mi vestirei da finto Se non fossi un essere umano mi vestirei con tutti i vestiti finti Se fossi un pianista suonerei il piano Se io fossi un pilota guiderei un aereo Se io fossi un ciclista pedalerei sempre Se fossi un motociclista guiderei la moto se ci vedessi Se io faccio tante cose io penso che sono un pensatore Se fossi un vedente guiderei i muletti e i trattori La mia testa è bella La mia testa non so dl che colore è La mia testa può essere una macchina bianca La mia testa non sa di cosa parlo La mia testa ha dei grandi pensieri La mia testa può essere bianca e ricoperta di tanti colori La mia testa può immaginare i rumori che sente un essere umano La mia testa non può pensare che sono un coccodrillo La mia testa crede che il coccodrillo va in una chiesa finta Io non so come ero una volta e non posso raccontare niente Una volta non sapevo che ero non vedente ma ora lo so perché me l'hanno detto Una volta non sapevo dove abitavo ma ora lo so Una volta non sapevo che quest'anno dovevo venire qua ma ora so che siamo in tante persone Una volta non sapevo che sapevo andare in bici ma ora lo so Una volta non sapevo quando ero nato ma adesso lo so Una volta non sapevo quanti anni avevo ma adesso lo so Una volta non sapevo fare niente ma adesso so fare tutto

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LISA TARQUINI BOLOGNA

"La bellezza è bella" Vorrei fare una cosa che non so fare Vorrei fare le cose che mi vengono impedite di fare Vorrei fare le cose che non posso fare Vorrei essere una strega Vorrei essere un'isterica Vorrei essere tante persone_ Vorrei andare in un posto dove mi nascondo Dove dicono questa persona è scomparsa nel nulla E non mi faccio vedere non mi faccio trovare non mi faccio cercare Vorrei avere tante sorprese che mi piacciono Vorrei fare le cose che mi piacciono Per esempio far chiacchierate Ascoltare la musica Scrivere Mandare lettere cartoline Vorrei andare a fare una passeggiata tante gite tanti pic-nic Vorrei fare una cosa diversa fare una cosa nuova Vorrei volare Vorrei provare a volare Vorrei raccontare delle barzellette Vorrei telefonare a tutte le persone che posso conoscere a tutta la citta Vorrei mandare dei messaggi Vorrei avere più pazienza Una volta volevo fare di testa mia ma ora cerco di accontentare gli altri Una volta facevo tanti giochi da piccoli ma ora faccio dei giochi da grandi Ora ho cambiato le cose Ho cambiato attività cioè faccio cose diverse Una volta non volevo accontentare gli altri ma ora sto provando e imparando Cerco di essere diversa di cambiare Cambio un po’ ma non tanto Una volta ero pesante Adesso lo sono anche adesso Sono una tipo pesante io Una volta facevo i capricci quando ero molto piccola ma li faccio anche da grande io i capricci Sono capricciosa Una volta mi chiamavano in tanti modi Che sono tremenda Lo facevano sia una volta che adesso Non facevo mai la brava ma ora la faccio un pochino Sto diventando molto brava Sono bella anche quando ingrasso Sono bella come carattere Sono bella quando faccio da me

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FRANCESCA TRASACCO CALENDASCO - PIACENZA

La vita La vita è un meraviglioso viaggio che vale la pena di percorre appieno e col cuore sereno. Non importa noi chi siamo quel che importa è che non ci fermiamo. Noi possiamo fingere di essere diversi Ma ci troveremo sempre persi.

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GLI ALTRI NARRATIVA

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FRANCESCA AGGIO BOLOGNA Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra.

PREFAZIONE (utile, ma non indispensabile) Ho iniziato a scrivere questo racconto, un pomeriggio di marzo mentre ero a casa ammalata. I compiti erano sulla mia scrivania che aspettavano, perché io frequento la 2°media, ma la mente si rifiutava. Per scrivere utilizzo il mio "amato"portatile e ho iniziato per cercare di mettere un po' ordine in quella mia testolina (non del tutto integra). Tante sono le emozioni che provo ogni istante della mia vita, spesso sento la necessità di esprimerle, perché altrimenti mi fanno male. Mio papà era in viaggio e al suo ritorno sarebbe stato il suo compleanno. Come sempre non sapevo cosa regalargli e dedicargli questo libro mi è parsa una buona idea. Credo che sia stata la prima volta che io abbia fatto una cosa così importante,entrambi avevamo bisogno di farci un così bel regalo. Penso di essere stata quasi completamente sincera mentre scrivevo, e sicuramente non tutto sarà chiaro a tutti. Ora comincia il "vero"libro...... Voi non conoscete tutte le emozioni che si nascondono fra tutti i pensieri che da ragazzini si hanno. - Avevo pensato di utilizzare due personaggi a me molto cari: Achille e Angelica, per raccontarmi, ma poi ho preferito essere direttamente io la protagonista. Quando conosco una persona spesso alcuni miei atteggiamenti non vengono capiti; per esempio è capitato che a scuola dei miei compagni parlino male di me, perché io sono diversa e non faccio, le loro stesse cose o faccio delle cose sbagliate, come agitarmi quando devo andare in bagno. Sottovalutano cosa faccio a scuola e mi dà fastidio perché io vorrei essere uguale agli altri. Uguale all'Eugenia,alla Lisa a mia sorella che io non riesco mai a raggiungere perché non studio abbastanza e sanno più cose di me, perché loro sono più interessate a tutto e trovano il tempo per fare tutto e io sono più lenta. Lenta, è un aggettivo che quasi mi perseguita. Io ho i miei tempi per fare qualsiasi cosa, ed è terribile perché mi devo adeguare agli altri, quando per me è quasi impossibile e invece loro, con un po' di volontà ce la farebbero. Quando capisco o sento che qualcuno parla male di me, vorrei reagire, arrabbiarmi, ma poi penso che potrei perdere quell'amicizia e allora rimango zitta. Io non so cosa mi riserva il Futuro, ma so che bisogna sbagliare poco. Quando ero alle scuole elementari, scrissi una poesia per la mia maestra Miria e dissi che mi sentivo come un animale selvaggio che correva velocissimo nella foresta (io che ancora non so camminare!!!) e libera come il vento (io che la libertà poco conosco, sempre con un adulto al fianco che controlla). La gente sa vedere anche ciò che non c'è e spesso si rifugia nella propria fantasia. Mi sono accorta che con il tempo avevo sempre più difficoltà a parlare con la gente, perché avevo paura di sbagliare. Ricordo una cena insieme ai miei genitori ed amici in cui ero così preoccupata di esprimermi nella maniera sbagliata che sono rimasta zitta tutto il tempo,ma avevo invece un grande desiderio di parlare. Non riuscivo a trovare nessun aggancio ai discorsi che mi sembrasse interessante per gli altri. Io che non sembravo affatto timida, mi sono ritrovata ad esserlo e non mi piaceva per nulla. Ho quindi deciso di iscrivermi ad un corso di recitazione teatrale, perché avrei forse imparato a mostrarmi ed essere una persona migliore. Ero fermamente convinta di dover cambiare. Da sempre non mi sono mai piaciuta molto, ora mi apprezzo di più. Chi come me, utilizza una fantastica carrozzina blu per muoversi,forse sa quanto fastidio,quanta frustrazione, quanta rabbia, quanto dispiacere, quanto dolore, quanta

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angoscia si provi ad avere gli occhi puntati addosso. In quei momenti vorrei picchiarli ed essere io a scrutarli seduti su quella bellissima carrozzina blu. Chi legge potrebbe pensare che io sia una persona infelice,e invece quegli attimi scompaiono in fretta e io sono una persona felice. Anche adesso ho appena pianto, ma subito sto sorridendo. Mi capita di pensare che per le persone cervello e gambe siano collegate, ma il mio cervello funziona (credo??) molto meglio delle mie gambe. Sono in grado di pensare e forse è per quello che ne soffro. Se è vero che per tutti è tanto difficile accettare la diversità, quanto può essere difficile per me, accettare la mia? Una bellissima canzone recita che rassegnarsi vuol dire ricominciare a vivere e forse è vero, ma sicuramente costa tantissima fatica. Sono riuscita a ridere per un episodio che di buffo ha poco, ma l'ho trovato così assurdo che ha suscitato in me divertimento. Nella palestra della mia scuola c’erano dei ragazzini che giocavano ed ho domandato di unirmi a loro, ma mi hanno fatto capire che non ero gradita, ovviamente senza dirmelo, e allora non ho fatto altro che starmene per conto mio, domandandomi che cosa poteva interessare a loro se io sono diversa, in fondo non disturbo mai. Il mio migliore amico, Matteo, (e se mai leggerà ne sarà contentissimo)è diverso da tutti, e finalmente amo questa parola, perché lui aiuta,ma lo fa veramente e sinceramente. Matteo mai si sente obbligato a farlo. Credo che per vivere la mia vita avrò ancora bisogno di essere guidata perché se oggi chi mi circonda mi insegna le "basi"allora domani sarò forse autonoma e indipendente. Oggi, per me l'importante è conoscere i fondamentali, poi quando sarò adulta e avrò una famiglia potrò vivere la mia vera vita. Ho bisogno di crederlo. M'immagino una vita normalissima, con un marito,dei figli e vissuta nella mia casa di campagna, perché lì sono libera, forse semplicemente per la vista di tanta natura.

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PIERO BASSI BOLOGNA

Nella pienezza, una speranza Siamo germogli che si aprono al sole. Durante l'inverno stiamo al calduccio sotto terra e aspettiamo con pazienza che arrivi il tiepido sole primaverile per rivelare al mondo la nostra bellezza e la nostra grandezza. Nel germoglio c'è tutta la meraviglia della pianta: il colore, il profumo, la particolarità, l'unicità. E noi siamo proprio così: unici, irripetibili, preziosi, ma... da coltivare, da curare ogni giorno con amore. Noi non vogliamo rinunciare a gustarci la vita, non vogliamo seccarci al sole torrido, nella speranza che qualcuno ci consideri, non vogliamo illuderci nell'attesa di un futuro sconosciuto. La cosa più bella che ci può capitare è di incontrare le persone, relazionarci con il mondo. Possiamo provare ad immaginare tante vite per noi, rinunciare alla nostra, renderci protagonisti di fatti e avvenimenti straordinari, prendere il largo su ali d'aquila... ma non possiamo abbandonare il bastone o le ruote, le stereotipie o le nevrosi. Possiamo allora immaginare tante vite, le vite degli altri, i loro conflitti, le loro gioie e le caparbie conquiste e vedere che poi non sono così diverse dalle nostre. Ma guai rinunciare alla nostra preziosa esistenza, ricca di tante sfaccettature, manipolata e manipolabile dalla malattia, dal dolore ma anche e soprattutto dalla speranza, dalla certezza di una positività che permea la realtà,dalla costanza nell'intessere rapporti con ciò che ci circonda. Mai rinunciare alla strada che è stata tracciata per noi, mai smettere di attendere che maturi ciò che in noi è stato seminato e ciò che noi abbiamo seminato. Mai rinunciare all'imprevisto, a ciò che arriva inatteso come l'arcobaleno dopo il temporale. In un clima di incertezza generale e di diffidenza dilagante, come fare per essere noi stessi? Come fare bene quel poco o tanto che riusciamo a fare? L'unica cosa da fare è non rinunciare mai alla nostra vita, perché solo vivendo pienamente noi stessi, saremo capaci di trasmettere valori e di educare al bello, al vero, al buono che sta dentro le cose e le persone, chiunque ci incontra o ci scontra. Ho immaginato tante volte di avere gambe per camminare, correre, giocare e lingua per parlare, cantare, urlare: non le ho. Ma ho mani per lavorare, testa per pensare e soprattutto cuore per amare. Per amare quella diversità che mi fa unico e prezioso e che mi fa dire: avanti! Non rinuncio al mio cuore, alle mie mani, alla mia testa; per il resto, qualcuno mi aiuterà. Se rimane in me la capacità di provare stupore per la mia vita, allora questo viaggio ha senso, questo dolore ha senso, questa gioia ha senso, questi incontri hanno senso.

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RICCARDO BRIOSCHI MONZA

La mia storia Riflessione e ricordi da un sasso in cortile

Da questo sasso in cortile, incomincia la mia storia; che dura da 54 anni, più precisamente cominciò il 18 maggio di 54 primavere fa, un giorno molto piovoso. La mia famiglia era una famiglia fatta così: un padre, una madre casalinga e mia sorella nata tre anni prima di me, infine c’era mia nonna Cecilia che decise ad ogni costo di farmi nascere due volte, come nel libro di Giuseppe Pontiggia. Dopo la scelta di farmi nascere ci fu la scelta di farmi vivere una vita il più possibile normale. Una vita fatta di drammi, di difficoltà e di coraggio che si manifestò in diversi momenti. Questo coraggio che acquistai grazie all’incontro con delle persone che condivisero e capirono la mia realtà, e dai quali ricevetti tanta solidarietà. La mia vita, è stata teatro fatto di tante genti, e ciascuna con un ruolo che, mi fece crescere…oppure la paragono ad un cortile dove si vivono tante storie come quelle raccontate da Felice Musazziconi con i suoi Legnanesi. Su quel sasso rimasto in quel cortile c’è rimasto un pezzo della mia storia, del mio passato. Su quel sasso a quattordici anni, scelsi di non morire e capii che c’era un futuro anche per me. Poi conobbi come tutti Papa Giovanni; e da una carezza prese a fluire la mia adolescenza, il mio esistere. Non mi sono mai sentito solo, la mia famiglia, i miei insegnanti,i medici e le terapiste. Tante persone, un caleidoscopio di storie, affetti e sentimenti. Di queste tante persone, la professoressa Vittoria, la fisioterapista Agnese, la dottoressa Giuliana, e in modo particolare mia madre Amelia e mio padre Carlo tutte persone che occupano e occuperanno un posto nel mio cuore. Un elenco di nomi, un insieme di storie che per anni sono state vicino alla mia, e che con lei si sono intrecciate e hanno formato la mia. Quanti sono i grazie che dovrei a persone care; alcune delle quali non le ho capite e neanche abbastanza amate. Oggi in questo mio presente ci siete anche voi. Cinquantaquattro anni ricordo quel sasso mi ha salvato, permettendo di scegliere la vita ed è da lì che capii che tutto poteva partire da una carezza. Oggi sono in un mondo sociale, un mondo fatto di gente che somiglia a quella gente che non si può considerare lontana, proprio perché tutto, prende le mosse da una carezza di Papa Giovanni cui sono devoto proprio perché ha salvato la mia vita con la sua sola presenza. Quando prego ringrazio Dio per avermi fatto incontrare tanta gente che mi ha voluto bene, siano essi passati presenti e magari sperando che ce ne siano di futuri. Dopo cinquantaquattro anni non ho voluto rinunciare a questa mia scrittura sulla comprensione e solidarietà, oltre a quella carezza che Papa Giovanni e per conseguenza logica la pedagogia del Concilio Vaticano II esortava a cogliere i segni del tempo. Oggi provo a cogliere i diversi segni, le diverse manifestazioni d’affetto della solidarietà; quello che è cambiato è naturalmente il mio ruolo: da soggetto, sono diventato un ispiratore e costruttore di solidarietà. Adesso è questo il mio ruolo, lo scopo della mia vita. In un ambiente lavorativo a contatto con persone che soffrono e lottano per vivere la loro vita il meglio che sia possibile, voglio essere per loro un sinonimo d’aggregazione sociale, un appoggop, un sostegno, un amico….

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Tento di mettere in pratica una frase che è rimasta impressa nella mia mente dell’Enciclica di Giovanni Paolo II. Per provare a capire e trovare un senso, ”perché vivere non è soltanto un verbo senza tempo e privo d’ogni altro significato”.

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MARCELLO CAMILLI BOLOGNA

Una vita sul campo Per descrivere oggi il mestiere del contadino, una tra le più vecchie attività dell'uomo é necessario tornare indietro nel tempo almeno di trent'anni, perché all'epoca esistevano ancora realtà dove si coltivava la terra in maniera tradizionale. La tecnologia con macchine sofisticate e potenti ha preso il posto di buoi, cavalli, asini, zappe, vanghe, falci, nonché delle braccia e della schiena dell'uomo; oggi i coltivatori della terra sono da considerare più tecnici che contadini. Le cognizioni e gli effetti degli eventi naturali sulle coltivazioni, sugli animali e sulla natura della terra formavano un interessante bagaglio culturale dell'uomo che conduceva la vita in campagna. Il tempo da impiegare nel lavoro dei campi, la mancanza di strumenti ed anche le scarse possibilità economiche non permettevano, in alcuni casi, di frequentare la scuola o di tenersi aggiornati sui vari processî scientifici, sociali e culturali. Il contadino normalmente era una persona forte, energica, pronta ad affrontare le fatiche del lavoro dei campi, le intemperie e soprattutto i soprusi del padrone; contemporaneamente era una persona saggia e generosa. In questo contesto si inserisce la storia di Rocco, bambino disabile affetto da nanismo, nato da una famiglia di contadini, nei primi anni cinquanta, in un piccolo paese della Toscana. Rocco rappresentò fin dalla nascita, la gioia e la preoccupazione dei genitori, poiché per una famiglia impegnata quotidianamente a portare avanti i pesanti lavori dei campi, la nascita di un figlio con limiti fisici, non rappresentava la massima aspirazione. Ma un figlio é sempre un grande dono della natura ed i genitori si adoperarono subito per verificare se dal punto di vista medico esistevano delle soluzioni che favorissero una crescita normale. Rocco fu fatto visitare da diversi specialisti che tentarono di risolvere il problema sottoponendolo a fortissime cure a base di ormoni. I risultati non furono quelli sperati, tutti si dovettero rassegnare al fatto che Rocco avrebbe dovuto affrontare la sua vita da una altezza inferiore agli altri. i genitori, abituati ad affrontare le difficoltà quotidiane con coraggio e determinazione, si adoperarono per dare, al proprio figliuolo, tutte -le opportunità per un proficuo inserimento sociale. Rocco dimostrava, sin da bambino, di crescere, nella sua particolare condizione, giocando, scherzando e muovendosi all'interno della vita. di campagna con grande vitalità ed interesse. Venne il momento di frequentare la scuola elementare: i genitori seguendo anche i consigli di parenti ed operatori sociali, decisero di mandare il ragazzo a studiare in collegio. Rocco rimase in collegio fino al compimento della scuola dell’obbligo, dove dimostrò ottime qualità ed attitudine allo studio, nello stesso tempo migliorò la socializzazione ed apprese un buon livello di educazione; dimostrava una particolare attitudine per la letteratura ed amava molto il teatro, in particolare si era appassionato alle commedie di Eduardo De Filippo. Dopo la scuola media, i genitori preferirono iscriverlo all’Istituto Tecnico per Ragionieri perché ottenuto il diploma avrebbe potuto trovare, in poco tempo, un lavoro. Rocco visse il periodo dell’adolescenza soffrendo molto la sua diversità; non veniva aiutato dai modelli dei giovani del paese che amavano la disobbedienza, il non rispetto delle regole, l’uso della bestemmia era molto frequente ed anche segno di distinzione; la maggior parte dei ragazzi del paese erano dei veri e propri monelli. Frequentando le scuole superiori trovò un impegno culturale e delle amicizie che lo aiutarono a non farsi coinvolgere dal gruppo. Assimilava ed apprezzava, giorno dopo giorno, il valore della vita, lo stare in buona compagnia ed il rendersi utile per gli altri. Il paese non offriva molte iniziative sociali e culturali; anche la parrocchia che di solito è un punto di incontro e di proposta per i giovani, si limitava con il vecchio Parroco Don Lorenzo, a gestire la quotidianità. Rocco conseguì il diploma di Ragioneria al termine dei cinque anni di studi con una buona valutazione. Dopo circa un anno trovò lavoro come

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ragioniere in una Società di servizi contabili, che consentì di rendersi economicamente autonomo dalla famiglia. Nei momenti di tempo libero cercava di migliorare le proprie conoscenze culturali e si dedicava, con discreti risultati, alle iniziative sociali del paese; per questo gli fu proposto di diventare consigliere comunale con l’incarico di seguire le politiche sociali e la pubblica istruzione; lui accettò ed ottenne buoni risultati: Rocco aveva un feeling particolare con le donne, le sue amicizie maggiormente erano femminili; si innamorò, in periodi diversi di due belle ragazze: Lorenza e Claudia, con cui visse una intensa relazione per circa due anni; in entrambi i casi il rapporto si sciolse al momento di scegliere il passaggio alla vita matrimoniale. All’età di 35 anni, inaspettatamente Rocco venne colpito da una grave malattia infettiva al midollo spinale, che rese la sua disabilità ancora più grave, togliendogli la forza nelle gambe e costringendolo a muoversi su una carrozzina. Ancora una volta aveva piovuto sul bagnato! Ma Rocco non si demoralizzò mostrando nuovamente una gran forza di volontà, utilizzando tutte le energie migliori che aveva in corpo e dentro la sua testa, cercò di riorganizzare la sua vita. Dovette abbandonare il lavoro per affrontare l'evolversi e le conseguenze della sua malattia; per questo si affidò alle cure di una struttura sanitaria di Bologna, dove rimase ricoverato per circa un anno. Quando il destino sembrava gli avesse girata le spalle, arrivò la sorpresa positiva, il cosiddetto colpo di fulmine: conosce la donna della sua vita, Francesca. Rocco e Francesca decisero di sposarsi e continuare a vivere a Bologna. Rocco oltre all'amore con Francesca ha trovato gli stimoli per una vita nuova, riscoprendo anche alcuni vecchi interessi: per la prima volta si trova a fare il marito ed affrontare le questioni della famiglia; il tempo che rimane lo dedica al Teatro. Studiare quotidianamente oppure mettersi in gioco, improvvisare movimenti e relazioni con gli altri costituiscono un essenziale allenamento che stimola energie positive utili alla propria vita. Recentemente Rocco ha terminato la produzione di una spettacolo dove interpreta il ruolo di un clown, esso termina con una sua battuta che recita: "La vita va vissuta sempre e con il massimo rispetto".

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CIRO ESPOSITO BOLOGNA

Il tempo della tentazione Ibiza l’isola dei sogni e del divertimento, quello che accadrà domani non ha importanza visto che posso godere, qui e ora, ciò che si presenta. Nei sogni di questi giorni, l’immagine di mio padre dentro la bara, tormenta il mio inconscio, mi costringe a una frammentazione: il tempo razionale e lineare del giorno, non esiste più per me. L’immagine ricorrente: sto aiutando il becchino a sistemare l’aria condizionata dentro la bara, è un modo per non far scoppiare l’addome di mio padre. Di sera, vado al porto, c’è un antico veliero e penso a lui, ai suoi lunghi viaggi…. Vivo in una sorta di eternità quotidiana che mi permette di essere romantico: non ho bisogno di dimostrare a nessuno la sua dignità e il mio dolore di amarlo. Passeggio in direzione del faro e osservo il veliero; poi vado verso il quartiere storico di Ibiza. Al castello c’è un promontorio, una costa altissima; mi affaccio da una balaustra. Ho una camicia di seta trasparente, sbottonata. Un vento fortissimo strattona la camicia, sembra di avere le ali. Leggero, potrei spiccare il volo, come un uccello in movimento verso il futuro ma con uno sguardo rivolto all’indietro, affascinato dalle altezze. Sarebbe semplice buttarmi giù. Vorrei lasciarmi andare… D’improvviso, ascolto una voce: sono afferrato da un abbraccio; il mio torace è stretto da due braccia robuste; mi giro, lo guardo ma non lo riconosco. Resto lì, immobile a piangere, ad accogliere l’abbraccio di uno sconosciuto.

* * * Il dolore procura ferite profonde: il viso è cambiato, l’occhio sinistro è solcato da rughe profonde piccole e sottili e l’occhio destro no: come se metà parte di me avesse accettato il dolore e l’altra no. Il tempo della tentazione del volo sembrava eterno, come lo erano l’ansia e l’emozione di rivedere il viso di mio padre.

* * * Volevo raggiungerti. Tu non ci sei. Tutti i ricordi rivivono davanti ai miei occhi. Chissà? Se ti avessi capito di più? Se ti avessi amato di più? Domande inutili e patetiche. Sono solo adesso? È già finita la nostra storia d’amore? No, non credo: il mio cuore è con te e tu sei al centro di me. Non ti dimentico anche se non ci sei. Ma che sarà di me? Se con te, tutto è stato inutile, incoerente, difficile. Adesso che sono solo non voglio credere negli addii ed è per questo che non ti dico “addio”.

* * * Vita misteriosa che cosa posso fare di te?

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Misericordia che scivoli tra le mie mani, sei una brezza, un leggero vento: non andare via. Che occasione! Che sorpresa! La mia volontà ha scelto la vita.

* * * Ritorno al porto, il veliero non c’è più: tu sei partito per un altro viaggio e non mi hai detto:<<Addio>>. Adesso che sei lontano, non ho più paura di amarti. La mia mano accarezza il mio viso come se toccasse il tuo: sereno, ritornato bellissimo, con tratti distesi: sei in pace. Tu non smetterai mai di amarmi. Se ti sentirò, se mi salverai ancora una volta, dammi la forza di vivere e la tua dignità, amore mio papà.

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MARIA LETIZIA FERMI CARPANETO - PIACENZA

Luca e Giorgio "Dai andiamo, fai girare quelle ruote, altrimenti arriviamo tardi... dai, ti spingo io!" Giorgio prese in mano la situazione, si mise dietro alla sedia a rotelle di Luca e spinse, spinse più forte che poté, tanto che i capelli di Luca si alzarono per il vento che gli sbatteva sulla faccia e lui rideva, contento e un po' rabbrividendo per l'aria che gli entrava nella camicia. Giorgio e Luca erano amici da un casino di tempo, si conoscevano dall'infanzia e fino ad ora erano stati inseparabili, con le solite litigate che si fanno da bambini, ma niente di veramente serio, solo com'è giusto avvenga fra amici. Dopo le scuole superiori fatte insieme nella stessa classe, Luca aveva contratto una terribile malattia e allora era cambiato, non poteva più seguire l'amico nelle sue mille imprese, o meglio, non riusciva a stargli dietro anche se avrebbe voluto e allora lo lasciò andare verso il suo destino senza accompagnarlo. Giorgio pensava che l'avesse abbandonato per qualche inspiegabile motivo, questa volta più grosso e potente della loro amicizia, che forse aveva a che fare con l'annosa questione della biondina, ma non ci andò mai a fondo. Giorgio continuò da solo la sua vita, scelse una carriera universitaria che gli piaceva e per la quale si sentiva portato e iniziò a studiare e a dare ottimi esami, sempre con la testa china sui libri. Per migliorare la sua preparazione, dopo poco si trasferì in Inghilterra e lì ci rimase qualche anno. Luca combatté senza di lui contro la malattia, non voleva il suo aiuto, perché Giorgio lo aveva abbandonato e non lo aveva seguito in questa prova, ma non aveva nemmeno il tempo di fermarsi a cercare di rintracciarlo, perché ora era troppo intontito dalla ricerca esasperata di qualcosa che bloccasse il progredire della malattia. Passarono gli anni e Giorgio tornò dall'Inghilterra, laureato e sicuro nelle conoscenze apprese; Luca, dopo molti ricoveri ospedalieri, si era ridotto sulla sedia a rotelle, la colonna vertebrale non riusciva più a tenerlo in piedi e aveva perso ogni interesse per la vita di società, rimaneva sempre chino sui suoi libri e usciva di casa solo per le numerosissime visite che doveva fare. Quel giorno Giorgio si presentò a casa di Luca, suonò il campanello e la madre lo fece entrare e gli fece mille domande sulla sua esperienza all'estero e sul lavoro; Giorgio rispose molto gentilmente al super-interrogatorio, in fondo sentiva la signora come una seconda mamma, ma alla fine non ce la fece più e disse: " Mi scusi signora se sono così veloce e sbrigativo a rispondere alle sue domande, ma... Sono ritornato qui con uno scopo preciso... Vorrei rivedere Luca... come sta signora, lui come ha passato questi anni? " Luca era lì dietro alla porta e come sentì pronunciare il suo nome entrò subito in sala sulla sedia a rotelle e disse: "Ciao Giorgio finalmente...... " ma non riuscì a pronunciare nient'altro e scoppiò in lacrime per l'immensa gioia che sentiva in sé; nemmeno Giorgio riuscii a trattenere le lacrime e disse: "Luca scusa se t'ho abbandonato..." La madre di Luca se n'andò dalla sala per lasciare soli gli amici e appena uscita dalla stanza Giorgio a bassa voce disse: "Tu con questa malattia hai intrapreso un viaggio senza di me; io non ce la facevo a vederti in quello stato, a fare fatica a camminare anche solo per qualche passo e poi sulla sedia a rotelle. Ma ora voglio recuperare il tempo perduto... ..." Non gli sembrava più di conoscerlo, c'era qualcosa che lo cambiava, che lo rendeva diverso e non era quella sua strana capigliatura con i capelli cortissimi e nemmeno il fatto della sedia a rotelle, ma la sua espressione in volto, con un sorriso tirato, forse fatto per forza, per mantenere una certa aria d'amicizia. Luca si schiarì la voce e disse: "Dimmi com'è l'Inghilterra, che bei monumenti ci sono....... lo non so se ci andrò mai..." Giorgio prese subito la palla al balzo e iniziò a raccontargli della sua vita al college universitario, delle nottate passate a studiare, della mole di libri che si era procurato in giro sui mercatini dell'usato e dei bei giardini che si trovavano

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attorno a ville antiche. Poi gli disse: "Ti va di venire con me stasera al teatro del paese, come ai vecchi tempi, per vedere uno spettacolo che sono sicuro ti piacerà?" Alle sette in punto Giorgio arrivò a casa di Luca e scesero in strada; all'inizio Luca cercò con tutta la sua forza di stare al passo di Giorgio, ma non ce la faceva; allora Giorgio si mise a spingere la sedia a rotelle di Luca e correva, zigzagando sulla strada per evitare i vari ostacoli, sassi e bidoni, e Luca correva anche lui, con la mente però, ed era già là, sotto al palco.

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MATTEO GABBANI PESARO

La vita di Donato Era una fredda e piovosa notte d'inverno, ma lei, Claudia non era triste perché fra due mesi avrebbe dato alla luce Donato il suo primogenito, che lei e suo marito, Luca avevano tanto atteso e desiderato. Ma poi , proprio quella notte, fu svegliata da forti dolori, improvvisi e inaspettati. Subito i due coniugi si precipitarono all'ospedale, impauriti e sconcertati ma fiduciosi che non fosse nulla di grave. La loro speranza fu subito annientata dai medici i quali la ricoverarono subito per un parto d'urgenza. La mattina dopo Donato venne alla luce e fu subito messo in un macchinario chiamato "incubatrice," in quanto troppo piccolo di peso. I genitori, tesi ma felici per questo parto prematuro, guardavano il loro scricciolo muoversi lentamente ma all'improvviso il sorriso scomparve dai loro volti. 1 medici, dopo un primo esame. avevano evidenziato una lesione celebrale: Donato avrebbe avuto problemi motori, forse anche psichici. Subito le menti dei due furono assalite da mille domande: perchè a noi? Nostro figlio avrà una vita normale? Potrà camminare? Potrà studiare? Cosa potrò fare per lui? e senza dirsi una parola scoppiarono in un pianto disperato. Tre mesi dopo Donato usci dall'ospedale e subito i suoi genitori iniziarono una lunga trafila di visite ed esami ma la risposta era sempre la stessa:» Vostro figlio non ha danni a livello intellettivo, ma solo a livello motorio, e con opportuni interventi e terapie potrà stare in piedi e camminare anche se non in modo autonomo«.Rinfrancati dalla diagnosi che faceva intravedere per loro una possibilità di vita "normale", i due uniti più che mai in questa nuova "avventura", si adoperarono per trovare le migliori strutture ed iniziò cosi per Donato un periodo di riabilitazione e piccoli interventi. Donato cresce, e al compimento dei tre anni, arrivo per lui l'ora di entrare a far parte della scuola materna. I dubbi dei genitori riguardo presunte difficoltà d'inserimento del proprio figlio furono subito fugati: Donato gioca, ride, scherza, è benvoluto dai compagni; inoltre si dimostra abbastanza veloce nel apprendere i primi insegnamenti. La stessa cosa si ripropone-anche al momento di entrare a far parte della scuola elementare e media. Gli amici aumentano, i risultati scolastici sono discreti, cresce cosi di pari passo la felicità di Luca e Claudia. Ma purtroppo le cose non andarono sempre per il meglio. In piena fase adolescenziale, Donato conobbe una prima crisi: i progressi verso la sua piena autonomia si fecero più lenti, lo studio che prima lo appassionava tanto, non gli interessava più, usciva sempre meno con i suoi amici preferendo rinchiudersi nella sua stanza. Iniziò i manifestarsi in lui la sensazione di non essere uguale agli altri: provava invidia nel vedere i suoi amici giocare a pallone, vedeva che le ragazze, che comunque gli dimostravano affetto non si comportavano con lui come con gli altri ragazzi, si sentiva non all'altezza verso i suoi genitori che cosi tanto lo avevano aiutato, ma a cui, secondo lui non aveva dato nulla in cambio. Ciononostante Donato "maschera" la sua crisi e a contatto con gli altri si mostra sempre felice e scherzoso come al solito, non destando alcun sospetto tra i suoi conoscenti. Gli anni passarono e Donato si diplomò con buoni voti. Arrivò per lui il momento di entrare a far parte del mondo del lavoro visto che gli studi non lo interessavano più. L'iniziale entusiasmo fu subito sopito dai tanti colloqui che si risolvevano in nulla di fatto, a volte anche dopo un semplice primo sguardo. Tutto questo non fece altro che acuire il suo stato di depressione e, nonostante Donato continuasse a ripetere che le cose sarebbero migliorate, nella sua mente balenarono i primi brutti propositi di suicidio.

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Cosi, un giorno di primavera, sopraffatto dallo sconforto, rimasto solo in casa decise di suicidarsi ingerendo una forte dose di barbiturici unita a dell'alcool. Fu fortunatamente salvato dall' arrivo tempestivo dei suoi genitori. Da quel momento Donato divenne un fiume in piena e diede sfogo a tutto il suo dolore e la sua sofferenza tenuta dentro per anni, lasciando increduli ed esterrefatti parenti ed amici. I genitori si sentirono morire e iniziarono ad interrogarsi su che cosa avessero sbagliato in tutti questi anni, ma nonostante tutto non riuscirono a trovare qualcosa di sbagliato nel loro comportamento. In effetti l'unica colpa di cui li si poteva accusare era di aver amato e protetto troppo il proprio figlio. Iniziò cosi per Donato una lunga trafila di incontri con psicologi, che però non portano a nessun risultato. Luca e Claudia presi dallo sconforto più totale, decisero come ultima spiaggia di rivolgersi ad Augusto, un disabile del loro quartiere, che con la sua attività di volontariato e di sport aveva salvato molti giovani in difficoltà. Donato incominciò a frequentarlo e, dopo l'iniziale scetticismo, iniziò ad aprirsi con Augusto e ritrovò piano piano la sua strada. Donato capi che nonostante la sua disabilità, poteva ottenere qualsiasi cosa, a patto di lottare per conquistarla. La prova ne era lo stesso Augusto, che nonostante la sua grave disabilità gli permettesse di muovere solamente la testa, aveva una serenità e una voglia di vivere che Donato non aveva mai riscontrato in nessuna altra persona. Inoltre con la sua attività era amato e rispettato da chiunque lo conoscesse. Donato ritrovò cosi la sua voglia di vivere, riuscì ad ottenere un occupazione, intraprese l'attività sportiva conobbe una ragazza, la sposò e fece due figli. Vi ho raccontato la vita di Donato, una vita "diversa" dal normale, direte voi, invece no é una vita come tante, fatta di gioie e di dolori, felicità e tristezza; perché Donato, come noi, avrà potuto immaginare per sé tanto vite, ma non ha rinunciato alla sua, come noi non possiamo rinunciare alla nostra.

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GIOVANNI LIMONCINO ASSEMINI – CAGLIARI

“La malattia accompagna la mia vita e … io l’assecondo con dolcezza”

Ho vissuto una vita da sano, ma con questo non voglio abbandonare la vita che devo vivere da malato, sarebbe come soccombere per la seconda volta. A tante cose devo adattarmi, poiché l’essere paralizzati comporta tanti problemi. Restare se stessi è accettare tutto ciò che non puoi fare. Essere ottimisti è la capacità di potersi proiettare in un futuro. E’ necessario essere sempre preparati a tutti i cambiamenti, spesso repentini affrontare i problemi per poter continuare a vivere anche nei momenti difficili. In questo momento più di prima il mio pensiero riesce ad andare ben oltre le mie capacità fisiche riuscendo ad eludere le difficoltà, pensando sempre tutto in positivo, consapevole dei miei limiti. Di sicuro non posso illudermi di avere le capacità di prima, ma certamente, se pur lentamente, cerco di portare a termine un progetto. Affrontare la vita da diversamente abili, vuol dire cercare in me tutte quelle risorse nascoste. Tra queste ho scoperto la parte poetica in me. Poter trascrivere la mia autobiografia, lasciando cosi un ricordo ai miei nipoti, mi da immensa gioia, come se comunicassi con loro. Ho scoperto che nel momento in cui ho perso il mio “IO” ho trovato “DIO”. Quando ero giovane la vita sembrava un gioco, tutto per me un semplice. Trascorrevo la vita tra il lavoro, la mia famiglia e la tanta amate atletica. Ero innamorato della corsa e le mie gambe lo sapevano e raramente mi tradivano. A casa avevo tante di quelle coppe che, non ricordo più il numero, ma di sicuro avevo abbandonato la cosa più importante che è “DIO”. Un giorno scopro in me di essere affetto da S:M: e da quel momento incomincia una nuova corsa ma affianco a me c’è “DIO”. Sono convinto che DIO è in me, ricordo che un giorno sentivo nell’aria un profumo meraviglioso, chiesi a chi mi stava vicino se percepiva nell’aria un profumo, ma mi rispose di no e in quel momento con dei movimenti del tutto involontari incominciai a masticare, proprio come se quel profumo avesse un aroma dolce. Di ciò ne parlai con il parroco del paese, che per sua consuetudine venire a trovarmi, ma considerò tutto questo un evento banale. L’evento si ripetè più volte nell’arco di due anni e io ancora oggi sono convinto che quello fosse un segno di “DIO” per indirizzarmi in un cammino spirituale che tutt’oggi percorro e che mai abbandonerò. Affrontare la vita con DIO mi avvicina alle persone anziane che hanno tanto da raccontare della loro passata giovinezza. Anche loro, come me, trovano difficoltà nell’affrontare la vita, ma io con il mio spirito cerco di dare loro dei momenti di conforto e serenità. Ricordo che un giorno vidi un vecchio, seduto in una panchina e fui colpito dalla sua solitudine, mi avvicinai a lui e gli chiesi quanti anni avesse, mi rispose che ne aveva novantatre e poi cominciò a raccontarmi la sua giovinezza. Quell’esperienza mi arricchì spiritualmente, ma allo stesso tempo diedi a lui entusiasmo per la vita, nonostante la sua vecchiaia.

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ANTONELLA MANNUCCI PALERMO

Una vita a metà “Immaginare tante vite”… Perché immaginarle se la vita la puoi vivere anche se sei una persona disabile! La vita è una e tutti hanno il diritto di scoprirla, assaporarla: E’ come un lungo viaggio, devi a poco a poco avventurarti riuscendo con tutte le tue forze a combatterla, ad inserirti in questo mondo dove sembra ci sia postoselo per le persone così dette normali. Attenzione!! Noi, “persone disabili” siamo “normali”, è la società che emargina, ma noi con il dovuto aiuto possiamo e vogliamo vivere. Molte volte la mia mente è volata altrove, dove mi vedevo libera di muovermi, di lavorare, di avere una mia vita privata. Sogno sempre di essere su una pista da ballo e su musica latino-americana muovere il mio corpo nei movimenti pacati e sensuali. Il tuo corpo diverso ma che nulla avrebbe da invidiare se non fosse ….. Mi piace molto l’estate, tuffarmi nel mare limpido e distendermi sulla sabbia, e perché no, farmi ammirare, indossare questi abiti alla moda svolazzando di qua e di là. Hai una forte rabbia dentro di te, purtroppo ti accorgi che è un’illusione. La musica mi porta lontano, dove il mio essere donna si congiunge con le vibrazioni dell’infinito e, vedi la vita più bella, senza sofferenza, senza occhi spalancati che ti scrutano anche con curiosità. Mi capita spesso di vedere ciò che gira intorno a me, sorpresa per quello che esiste di bello. Emozioni, sensazioni da vivere e non chiuderle e soffocarle dentro di te. Sembra un film dove puoi in qualche modo apparire come comparsa. Ho sempre lottato per non sentirmi una “persona disabile”, ho cercato sempre di frequentare luoghi e persone che mi facessero sentire viva e attiva, anche a scuola è stato piuttosto facile perché il mio handicap era motorio e potevo gestire la situazione, tutta la mia vita è stata centrata sulla normalità, perché ho sempre incontrato persone intelligenti. Se riesci ad andare avanti con caparbietà, c’è sempre la tua condizione a riportarti alla realtà, quella purtroppo è un dato di fatto. Nulla ti è dato senza che ti ricordino ciò che sei, così sei costretta ad ingoiare amaro. Molte volte mi sento sola e sconfitta perché sento la vita, quella vera sfuggirmi dalle mani e . . . . E’ facile immaginare tante vite, perché ogni giorno la vedi questa vita diversa: in tv, in strada, tutto appare nuovo per “noi disabili”, vuoi a tutti i costi farti spazio e respirare questa vita che purtroppo sei costretta a non avere. Sei legata a quel qualcosa che per certi versi ti ostacola, la carrozzina, ma solo per le barriere che ti circondano perché, essa, è la tua vita. Puoi fare tutto con la carrozzina, basta avere la forza per accettarla e condividere con essa la “tua preziosa vita”. Si, la nostra vita è preziosa e deve essere vissuta nella sua completezza. Devi cogliere ciò che ti da, perché poi ti rimarranno i bei ricordi un giorno . . . Mi piace raccontare della mia vita perché l’ho vissuta bene per un lungo periodo, sono stata bene in salute sino a tanti anni fa, adesso c’è delusione che tutta la mia beltà è finita con il peggioramento della mia malattia, adesso più che mai sono legata ad una carrozzina e la mia patologia mi ha trasformata mettendomi nella condizione di sentirmi non realizzata nella vita sociale ed affettiva. Mai sarò una donna completa e questa la vera ragione del perché immagino la mia vita diversa. Sì, una donna in carriera, che viaggia, con un compagno vicino. C’è chi la vita la perde tra droga e violenza, magari vogliono una vita lussuosa facendo del male, ma non è questo il senso della nella vita.

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Noi “persone disabili” siamo etichettati come quelli che non hanno obiettivi, sentimenti, ma chi lo dice! Anche nella nostra piccola vita siamo capaci di costruire. Di amare, di metterci in discussione. (Accidenti), lasciatemelo dire, la vita è MERAVIGLIOSA, e ve lo dice una persona che AMA la vita e vuole viverla a tutti i costi. Per me purtroppo è un miraggio, ogni giorno mi accorgo quanto desidererei Viverla diversamente ma ciò che faccio è, guardarla da dietro i vetri con tanta stanchezza. Non arrendiamoci, cerchiamo di INVENTARCI il nostro modo di VIVERE la vita. Una vita a metà ma pronta e fiduciosa di cambiarla e di gioire delle piccole cose che per noi sono grandi. E, come una sirena sogno di riemergere dalle acque libera in cerca di rifugio, di sostegno e trovare due nani forti che mi facciano vivere. . . . Ma forse sono solo Sogni di una Vita a metà.

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BEATRICE MANZO MONZA

I miei primi quaranta anni (di gioie e dolori) Non vi fate trarre in inganno dal titolo, mi chiamo Beatrice Manzo e non Marina Ripa di Meana, e il primo novembre compierò quarant’anni, ecco perché questa mia storia l’ho intitolata così. Sono nata a Nabeul in Tunisia nel 1964, secondogenita di due sorelle e un fratellino che è morto dopo 15 giorni. Era una domenica e nessun dottore era reperibile, al momento delle doglie, c’era solo un’infermiera incompetente. Il parto si presentava podalico, era necessario effettuare un taglio cesareo che non fu praticato. Dopo quattro ore, venni al mondo metà cianotica e quando entrò mio padre l’infermiera affermò che ero morta; mio padre si avvicinò, notò che il mio cuore batteva ancora, così, la scacciò e chiamò un’altra infermiera che mi mise nell’incubatrice e mi salvò la vita. Quella mancanza d’ossigeno mi provocò una paralisi ai nervi motori. Nel 66 lo stato arabo ci cacciò dalla Tunisia e su di una nave venimmo in Italia. Dopo un anno passato in un campo di profughi a Napoli, mio padre trovò un lavoro a Monza presso la Singer; il governo ci diede la casa, dove tuttora vivo. Fin da piccola, capivo benissimo che non potevo correre e giocare come gli altri bambini e tutte le sere pregavo la Madonna perché mi guarisse . Quando compii sei anni nel 70, andai in una scuola speciale per portatori di handicap a Gorla. Qui passai un’infanzia felice. Nel 75 m’iscrissero contro la mia volontà in una scuola normale, vicino a casa. Da un ambiente protetto e ovattato, mi trovai come un pesce fuor d’acqua, i miei compagni di classe scrivevano più in fretta di me e avevano i tempi d’apprendimento più veloci dei miei, mi facevano sentire diversa, prendendomi in giro. Le medie le feci alla Pascoli, e mi diplomai con il massimo dei voti. Fin da piccola, il mio sogno era di fare la maestra, ma per il mio problema di linguaggio, frequentai un biennio per segretaria d’azienda; quindi, avere un’opportunità di trovare un lavoro come impiegata. Dopo un decennio fatto di speranze, delusione nel tentativo di inserirmi nel mondo del lavoro, quando mi ero ormai rassegnata a vivere dentro quattro mura; fui assunta il 12 febbraio del 92 alla Schindler S.p.A. di Concorezzo. Qui trovai delle persone che mi stimano e mi vogliono bene, e da quel giorno incominciò per me una nuova vita. Mio padre morì nel 93, perché era malato di cuore, fu il primo di una lunga serie di lutti famigliari; e di tanto dolore. Nel 97 decisi di realizzare il mio secondo desiderio: quello di prendere la patente. Desiderio che si realizzò solo a metà; fui promossa all’esame di teoria, ma nell’esame di pratica fui bocciata, il mio desiderio d’autonomia era così forte che con l’appoggio del mio amico del cuore Sergio mi comprai un quadriciclo che funziona a diesel; alla faccia di quegli ingegneri che mi bocciarono, io guido lo stesso! C’è una cosa che mi è mancata e mi manca ancora, è essere amata desiderata come donna. Nel 89 conobbi un uomo sposato con due figli. All’inizio fu una bell’amicizia, ma poi si trasformò in una bruciante passione. Tanto era grande il mio bisogno di essere amata, che mi accontentai di vivere una storia clandestina; ripetevo a me stessa meglio poco che meglio di niente. In mezzo alla gente mi denigrava, per paura di compromettersi, ma quando eravamo soli mi faceva sentire la donna più bella e desiderata del mondo.

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Tormento ed estasi, inferno e paradiso. Nel 94 lui si separò dalla moglie, mi promise che non appena otteneva il divorzio si sarebbe sposato con me, ero veramente felice, ma nel luglio 97 venni a sapere da una persona solo un mese dal divorzio, si era risposato con un’altra; fu un gran dolore, che mi procurò un forte esaurimento. Il tempo sana ogni ferita, così a poco a poco ricominciai a vivere e a sperare. Finché c’è vita c’è speranza e dentro il mio cuore spero ancora di trovare il grande amore; questo è il mio terzo desiderio.

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FERDINANDO MEVIO BIANZONE - SONDRIO

Il rientro del medico Il giorno seguente fortunatamente il chirurgo italiano rientrò dalle ferie: vedendomi ridotto in quel modo rimase pietrificato davanti a me. Andò dalla caposala a chiedere informazioni ma lei fece finta di cadere dalle nuvole. Ci pensai io a spiegare corre erano andate le cose, e fu allora che cominciò ad apostrofarla in francese, utilizzando termini a me sconosciuti. Vi posso però assicurare che non erano complimenti ... Arrivò il primario e sentì anche lui la sua dose di critiche. Il mattino seguente mi portarono in sala operatoria, per togliere il liquido: quel che era fatto era fatto, si trattava quasi di chiudere una stalla dopo che erano scappati gli animali. Al mio ritorno in corsia mi svegliai e c'era mia madre, china su di me, che mentre mi teneva la mano mi chiedeva come stavo. Mi svegliai completamente solo più tardi, e mi accorsi della presenza di Carlo nel letto accanto. Il giorno dopo chiesi a Mumari, questo il nome del medico che mi aveva operato, se l'emiplegia che avevo contratto si sarebbe protratta nel tempo, oppure sarebbe stata una cosa di breve durata. Mi rispose che si sarebbe trattato di sopportarla sei, sette mesi, e bastarono queste poche parole a calmarmi. Ciò che mi ferì fu che un giorno un'infermiera mi chiamò per un esame, io le risposi di venirmi a prendere con la carrozzella e lei disse ironicamente "aspetta che chiamo l'auto presidenziale ". Incosciente, non sapeva che non potevo camminare? Ritornò poco dopo con una carrozzella tutta sgangherata, mancavano persino i copertoni alle ruote... Quando mi riportò in camera, ad esame effettuato, dopo avermi aiutato a sdraiarmi nel letto, vidi che se ne stava andando con quello che era stato il mio mezzo di trasporto. Chiesi se poteva lasciarmela, potevo forse utilizzarla più tardi, per farmi un giro, ma mi rispose che era l'unica in tutto l'ospedale. Le chiesi se stava scherzando, rispose di no e io cominciai a ridere così forte che accorsero anche gli altri italiani. Dopo aver spiegato l'accaduto, il padre di un ragazzo italiano ricoverato per un tumore al cervello, in seguito deceduto, si avvicinò e mi disse di stare tranquillo, che me l'avrebbe comprata lui la carrozzina.

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ANTONIO MOLINARI BOLOGNA

Gli amori del passato Sono al cinema, sento la nonna che sta piangendo seduta nella poltrona accanto a me mentre sullo schermo vedo il protagonista del film "Le chiavi di casa" che fa altrettanto: è l'ultima scena in cui il padre singhiozzando abbraccia il figlio handicappato Paolo, poi scorrono i titoli di coda, e io seduto fra la nonna che si soffia il naso e un amico che mi stringe forte una mano non so che dire. Anch'io sono commosso perchè durante la proiezione spesso mi sono distratto confondendo le immagini del film con i miei ricordi: gli anni di scuola, gli ospedali, i progressi, le delusioni. Soprattutto mi erano venuti in mente i primi tempi della scuola elementare coincisi col nascere di quel sentimento di amore-odio (così lo definì lo psicologo) verso la sedia a rotelle, un impulso che mi prendeva all'improvviso facendomi sfrecciare per i corridoi della scuola a una velocità supersonica rincorso dalle dade che spaventate mi urlavano dietro "fermatiiii!" O ancora di più, nei momenti più impensati, ricordo, mi si scatenava il desiderio irrefrenabile di smontarla. Oh quante volte, alla fine dell'intervallo, la maestra Rosa mi sorprese in un angolo della classe seduto in terra ad armeggiare con la carrozzina! E ogni volta era la stessa scena: subito si disperava, si arrabbiava e mentre mi urlava " che fai?" già i miei compagni si sguinzagliavano per la classe in cerca di bulloni, viti, leve da me già debitamente nascosti. Ricordo che poi con aria ingenua sollevavo il capo in su e il volto della Rosa mi si avvicinava sempre più rosso " Perchè lo fai?- mi supplicava - la carrozzina ti serve, se la distruggi chi ti porta in braccio?" A quel punto tutto il mio piacere svaniva e ritornando alla dura realtà tiravo fuori i bulloni e le viti e mi rimettevo ad aggiustarla, fra i suoi imperiosi comandi - "Tutti a posto!" - Calmatasi poi mi redarguiva: "Ecco lo sapevo, mi hai fatto perdere un sacco di tempo!" - mentre i miei compagni se la ridevano sotto i baffi (si fa per dire!) dimostrandomi con occhiolini e sorrisetti tutta la loro gratitudine per aver perso quel "sacco di tempo"! Nel film poi mi sono commosso durante la scena in cui si vede nell'album di Paolo il volto della sua innamorata Cristina e allora i ricordi si sono tutti rivolti ai miei grandi amori, il primo quello dei cinque anni delle scuole elementari: la bellissima Susanna. Non c'era volta che passasse vicino al mio banco, che stava di lato alla cattedra, e non mi facesse una carezza, che se mai poi se ne scordava veniva subito chiamata da me all'ordine. Devo dire che questo suo ascendente venne molto sfruttato dalla mia maestra Rosa: - Susanna vieni a sederti vicino ad Antonio e per favore aiutalo a finire il compito - Queste parole mi suonavano dolcissime e così, spesso e volentieri, al fine di sentirle pronunciare mi perdevo in lungaggini, cancellavo e riscrivevo, mi stiravo sulla sedia a rotelle, e finalmente arrivava il comando della maestra Rosa e Susanna si alzava dal suo banco e coi suoi passettini leggeri, obbediente e sorridente, veniva a sedersi accanto a me. Si può descrivere la mia gioia in quel momento? Credo di no. Poi ebbi un altro amore alla scuola media si chiamava Valentina: capelli lunghi, alta e snella. Era un tipo più serio rispetto a Susanna, un po' meno affettuosa, ma sapevo che mi voleva bene perchè mi guardava con ammirazione e apprezzava i miei progressi scolastici e si dimostrava contrariata quando la professoressa Teresa, l'insegnante di sostegno, mi portava fuori dalla classe. Anch'io non ero felice di quelle uscite e spesso rimanevo imbronciato. Così durante l'intervallo, glielo confessavo:

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- Non mi va di andare fuori a studiare, ma così è la legge, voi cosa avete fatto? - e lei pazientemente mi raccontava di matematica, inglese o storia ma io, confesso, non l'ascoltavo e godevo solo di averla accanto a me, grato che mi dedicasse il suo tempo e il suo amorevole sguardo. Bei tempi! Ah è vero, ci fu anche la Rita e lì ci scappò qualche bacetto sulla guancia; una sensazione bellissima che mi portava a sognare una vita accanto a lei. Facevo tanti progetti... Ma finita la scuola tutto si è complicato in quel campo, io sono diventato timido e le belle ragazze non mi guardano più. Usciamo dal cinema e il mio amico mi aiuta a fare i gradini mentre la nonna parla del film e di quanto l'è piaciuto. lo adesso sono un po' triste perchè i ricordi sono finiti e si ritorna alla realtà di cui non mi voglio lamentare perchè ho un lavoro, una bella famiglia, degli amici, ma nessun amore, peccato!

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FRANCESCO MOSCATI PONTINIA - LATINA

LA FINE DEI SOGNI "Ha detto che vuol parlare con il padre" dice l'infermiera. Entro con cautela, col passo timoroso di un peccatore pentito in chiesa; attorno a me lo spettacolo della sofferenza si dipana in tutto il suo turgore; immagini di uomini e donne in lotta. con mali dai nomi arcani e dal potere implacabile mi fanno pensare che poteva andare peggio, molto peggio di come è andata. Forse. "Tu sì nu stronz! Vattenn'a cà! Nun me poi rompere palle frn'a che io so viecchie! Truovate nu Iavoro e vattenne! Na' femmena! Nun sì capace e truvarte na femmena! Ma tu te ne rende cunto? Me lieve vent'anni evita! Fin'a quando m'aggia preoccupa e tè? Hai perso tutti i treni! Va afa u' barbone! Iettate a coppa bisce! Iettate! " ti dissi. Tu sei là, nel penultimo letto vicino alla finestra, tra un cancro terminale ed un extracomunitario cui è scoppiata una vena nel cervello. Senza occhiali non mi riconosci, sembri fissare il vuoto che ti circonda; gambe e braccia ti sono state legate al letto. Mi avvicino al tuo letto; questi giorni di agonia, di coma terapeutico hanno reso ancora più filiforme il tuo fisico; solo la tua faccia è gonfia, abnormemente gonfia, dal lato in cui è avvenuto l'impatto; il tuo occhio destro è chiuso, la tumefazione è così eclatante che la faccia ha la forma di un palloncino pronto a scoppiare; sembri un mostro strano, un incrocio tra un panda ed uno strano tipo di down. Mi riconosci; ti sforzi di sorridermi, ma non puoi, le fratture non te lo permettono: ne esce uno strano ghigno a metà che mi riempie di pena; sollevi i muscoli tesi del tuo capo dal letto di sofferenza; solo allora mi accorgo del profondo buco alla base della tua gola, una ferita aperta dalla quale spurgano gli umori neri dei tuoi polmoni, il frutto di dieci anni di fumo di sigarette. Fatico a non piangere; mi siedo a fianco a te e metto una mano sul tuo capo; vorresti parlarmi, ma fuori mi hanno spiegato che soffriresti troppo. "Possibile che non vi siate mai accorti che c'era qualcosa che non andava?" chiede la psichiatra. "Ha... ha sofferto qualche volta di depressione... " risponde Bianca, mia moglie. Non sa dire altro. Io non so aggiungere altro. "Mio figlio sta bene, è anche molto intelligente" vorrei dire “peccato che è uno strunz" già, la categoria dello stronzo, il criterio valutativo di mio padre. Lo ripeto sempre: "Mio padre aveva otto figli e ci chiamava tutti continuamente stronzi. E' questo. che ci ha spinti a fare qualcosa di buono nella vita! Lui lo faceva per il nostro bene!" Ma questo criterio non ha funzionato per mio figlio: da piccolo era intelligente, molto intelligente. Gli chiedevano cosa volesse fare, e lui se ne usciva sempre con risposte eclatanti: lo scienziato, il generale, l'archeologo. Poi ha iniziato a crescere: taciturno, debole. Senza amici: sempre in casa, da solo, a leggere libri. Ed ogni volta che l'ho spinto ad andarsene di casa, ogni volta che mi sembrava di essere riuscito nel mio intento di farlo divenire un uomo, ritornava indietro sempre più taciturno, depresso, sempre più chiuso nel suo mondo. Non so niente di quello che gli è successo fuori. Ora me ne accorgo. Dopo l'ultimo tentativo di trovare un lavoro al Nord l'ho tempestato. E lui ha reagito come ha reagito. Un volo dal quarto piano. Un litro di Lysoform trangugiato. Ha fatto sul serio, maledettamente sul serio. Ora sono lì di fronte a lui: si sforza di sorridermi; io cerco di rispondere al suo sorriso senza commuovermi. Sono io a parlare: "Francesco, perdonami... io non ti ho mai capito. Forse non ti ho amato abbastanza, forse non ti ho dimostrato abbastanza il mio amore..." Lui si sforza col capo di farmi cenno di no, che la colpa non è mia.

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Mi commuovo; la mia volontà logorata cerca di porgere un argine alle lacrime che tracimano e formano un velo sugli occhi; io sono un uomo, mi ripeto, io sono un uomo. Parlo: "Francesco... devi perdonarmi... ma ti prometto che, una volta usciti da qua, ci faremo un viaggio insieme... e parleremo da uomo a uomo... ci confronteremo... e tutto cambierà... ti troverai un lavoro, una ragazza... ed ora, perdonami... se sono stato troppo duro con te... " Sollevi nuovamente il capo: parli, nonostante le proibizioni dei dottori: "Papà... non è colpa tua... sono io che vi ho deluso... c'è qualcosa in me che non va... non va... " "Lo so... i dottori me l'hanno spiegato... ma tutto cambierà. TU CAMBIERAI, vedrai... Devi solo stare tranquillo... Ora, se mi perdoni, dammi la mano... " Mi porgi la mano tremolante, ed io la accolgo tra le mie. Non resisto più: le lacrime sgorgano copiose e scorrono imperterrite nell'incavo tra le gote ed il naso. Prima di congedarmi, mi dici un'ultima cosa. Dici: "Papà... una volta che sarò uscito di qui... accettate che... nulla cambierà nella mia vita... MAI. E' l'unica cosa che potete fare... vi prego... basta farmi lottare... " Annuisco. Hai ragione: finché siamo piccoli possiamo sognare di essere ciò che vogliamo, ma cresciamo solo quando accettiamo di essere ciò che siamo. Poi mi allontano, pensando: "Non ti preoccupare, piccolo mio, ci sono io" ricordando il bambino prodigio che era e che non c'è più e che, forse, non è mai esistito, se non nelle mie illusioni di genitore.

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GIANNI PILISI NARCAO - CAGLIARI)

“Ho immaginato tante vite, ma non rinuncero’ mai alla mia” In questo testo parlerò un po’ della mia vita, di ciò che sto vivendo e di come affronto la realtà. Sono un ragazzo nato nel 1980. Nel 1991 iniziarono i miei problemi, scoprii di avere un’atrofia muscolare spinale…. Ho immaginato la mia vita tantissime volte, tante da perderne il conto, ho immaginato di essere un ragazzo come tutti gli altri, ”senza problemi”, senza quei problemi che mi ostacolano la vita e mi privano del sorriso, i problemi che mi ritrovo ogni giorno. So benissimo che dovrò affrontarli, forse mi starò illudendo, ma in fondo spero che un giorno possa guarire, allo stesso tempo però già so e immagino il mio destino. Sembrerò un po’ banale ma lotto ogni giorno, ho dovuto e sto cambiando la mia vita in quasi tutto, ma sono cose che vivo solo io. Credo che tutte le persone che abbiano problemi come me, sappiano ciò che si prova e che significa, soffrire e tenersi tutto dentro. E c’è un perché, Io non ho ancora accettato la mia malattia, perché non avevo nulla, correvo, giocavo, a volte scappavo di casa per andare a rincorrere un pallone di calcio, tutto ciò che un ragazzo può fare a dodici – tredici anni. Queste sono cose che ricordo spesso o mi ricordano gli amici quando ci incontriamo “ti ricordi quando giocavamo a calcio insieme?” e invece ora è solo un sogno che è stato reale ma che è finito. Gia! Proprio come un sogno, ma poi ti svegli e non c’è più. Ora pian piano, giorno per giorno, ho paura del mio futuro, paura di non farcela. L’unica realtà positiva che abbia è la fisioterapia, che mi permette di rallentare il corso della malattia. E lì mi impegno assai, perché so che è per il mio bene e perciò non lo trascurerò mai. A volte mi chiedo come faccio ad essere così tranquillo, quando parlo con le persone, scherzandoci sopra, tutti mi dicono “ma come fai ad essere così forte d’animo?”, non ho risposta su ciò, forse perché sono un ragazzo che ha tanta voglia di vivere e non voglio arrendermi. Immagino tutte le persone che hanno problemi come i miei e tutte le persone diversamente abili, credo che in fondo ci basti un piccolo sorriso, per me non chiedo tanto, non pretendo tanto dalla vita, ma anch’io ho i miei desideri, anche se se non so se un giorno si avverranno. Penso spesso anche ai sorrisi che mi sono stati regalati e mi sono stati regalati dalla vera amicizia che c’è sempre e quando ai bisogno, non fugge via, ma ti aiuta a reagire; a me è capitato. Chiedo: ”è così strano fermarsi a pensare quanto una persona ti possa rendere felice la vita, i giorni, i piccoli istanti?” eppure ho scoperto che è così! Trovare una persona speciale, che ti faccia sentire importante è una delle cose più belle che possano esistere, una persona con il potere di farti sorridere quando si è tristi, capace di farti crescere e insegnarti i valori della vita; che ti asciughi le lacrime prima ancora di fartele versare. Questa è per me è la vera amicizia, un valore importantissimo nella vita, senza il quale è difficile vivere. Io tutto ciò, l’ho già trovato e ringrazio qualcuno di vero cuore, con un grandissimo grazie. Quando si fa notte mi rattristo e i miei pensieri compaiono, emergono le ombre, le mie paure più nascoste, i dubbi e mi accorgo che il tempo è padrone, come il sole che sorge e dopo tramonta, e lì mostra la notte … e subito sorge la luna, ma solo sulle mie emozioni. Così facendo, libera il mio cuore da ogni paura, da ogni ombra e da ogni dubbio: così la notte continua…. Padrona assoluta dei miei sogni più nascosti. Alle volte quando mi rattristo mi sento sfuggente, quasi come foglia dominata dal vento in un giorno di autunno. Quando piove, mi affaccio alla finestra e lì penso alle mie avventure, alle disavventure e a tutte le gioie. Piango molto spesso pensando al mio passato, già lì in quell’istante penso a tante cose, alle cose più belle che ho vissuto. Quando ho i miei momenti bui, oscuri, mi rattristo talmente tanto, che le lacrime mi scendono senza motivo e

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in quell’istante prendo carta e penna e scrivo tutto ciò che penso a quel foglio, che in quel momento sa ascoltarmi. Gli racconto tutto come un diario segreto, gli racconto le mie paure, e tutto ciò che mi fa stare male. Per me ogni giorno è come un traguardo, una gran vittoria, così, ogni giorno, mi riempio le giornate d’impegni e attività. Così non ho il tempo di pensare, pensare a miei problemi, a ciò che mi distrugge il cuore e mi fa rattristare. Mi è capitato di sognare che ero un ragazzo libero, senza problemi, che correva entusiasta, ma come un sogno mi sono svegliato e tutto è cessato, lasciando dentro di me una grandissima delusione. Ma in fondo m’è servito per capire un po’ di più, il senso della vita e al no arrendersi mai, a lottare per riuscire a sorridere, che è la cosa più bella che può ricevere chi soffre, o chi sta passando momenti crudeli, cattivi e a volte anche ingiusti. Senza un perché e niente risposte; mi chiedo spesso perché? Ma nulla, non trovo risposte. C’è qualcosa che mi fa molto male, ricordare il mio passato, ma ogni volta che ci penso, sorrido, perché almeno per ciò che mi ricordo, ho vissuto come un ragazzo senza problemi, anche se ora sono tanto cambiato e mi sento tanto cambiare. So che dovrò soffrire ancora tanto, avere altre delusioni da questa vita, ma non rinuncerò mai a lottare, combatterò finché ci riuscirò. Prenderò questa vita come una sfida, affrontandola giorno per giorno. Non rinuncerò a vivere anche se ho paura, paura del mio futuro e del mio destino crudele, prenderò tutto ciò con un sorriso,affronterò la realtà con le mie più oscure paure. Spero solo di continuare ad essere così forte d’animo e a saper reagire in ogni ostacolo quotidiano. Già scrivere per me è molto importante, mi serve da sfogo, e così facendo, mi libero dalle mie paure. Ora penso a quella foglia sfuggente, che affacciato alla finestra vedo; mi chiedo come potesse sentirsi, sapeva, che prima o poi quel momento sarebbe arrivato? E’ triste, ma in fondo sperava che venisse trascinata dal vento, verso un mondo oscuro, verso un mondo nuovo. Spera solo che sia migliore, spera solo di trovare l’albero da cui si è staccata. Mentre il vento la trascina, la foglia chiude gli occhi, saluta tutti, tenendo dentro se un gran ricordo, un ricordo chiamato vita.

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VLADIMIR POLIANTSEV BOLOGNA

ANGELO SCAVATORE 27/2/2004 Tieni le tue mani sulle mie bianche ali... strappa qualche penna... dissolviti dentro di me scorri nel mio sangue esplora la mia mente se non ti fa paura Tra poco volo via, aggrappati a me Ti porterò lontano dove il tempo è vano dove i fiori scavano la terra coma talpe dove le nuvole sono macigni e i cigni non sono eleganti Fatti trasportare sopra ogni mare che liquido non è. Un luogo dove corrono lumache e tartarughe le vecchie sono senza rughe i giovani son saggi il sole non ha raggi e calore e dolce è il dolore il predatore è sempre preda e ogni cieco veda Il mio volo è alto e infinito c'è forza nelle mie enormi ali Tu tieniti ben salda e credi a ciò che dico. Saremo una cosa sola io fendo l'aria debole e cedevole si lascia ben tagliare a pezzi con tutti i mezzi ti porterò a quel mondo perchè soltanto lì vedrai il profondo il fondo di ogni cielo le Montagne di nebbia l'acqua di ciascun respiro il limite di ogni orizzonte la fine di tutto l'infinito Vedrai a terra muoversi i pensieri il passato non avrai allora ancora incontrato nel cielo strisceranno i serpenti i tuoi capelli non faranno movimenti perchè il vento non esisterà o forse allora lui si muoverà nascosto di fianco a te il futuro sarà presente in quel luogo in ogni nostro attimo eterno

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e l'inverno bianco non sarà calore ci darà che ogni sole di rubare tenterà e quel mondo sarà immondo sporco di ogni candida verità che fuggirà da ogni nostro mondo che vivere ha tentato che hai tradito e che ha perciò fallito Io ti darò la verità che è vera senza che la pensi la leggerezza che più ti peserà ogni peso verrà sospeso e soppesato e catalogato il tempo non verrà fermato ma disintegrato e ogni suo granulo assorbito nei tuoi occhi ogni paura ti sarà amica ci parlerai ridendo all'ombra del tuo sole preferito lo prenderai lo lancerai lontano rotolerà e me ne andrò lontano anche io perchè il mio compito a quel tempo sarà esaurito il mio volo infinito terminato e tutto il possibile futuro già passato

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ELEONORA REGGI GRANAROLO DELL’EMILIA - BOLOGNA

*Io e mio padre* Finalmente mi è data l’occasione se pur brevemente del rapporto amore e ……., con mio padre, anche perché sono stanca che i normodotati parlino della disabilità senza conoscerla in pienezza. È molto difficile parlarne anche come disabile poiché, mettendo insieme le due tipologie dovrebbe essere un grande motivo di crescita reciproca, ma questa è solo opinione di chi scrive. Il motivo che mi spinge a parlare della mia esperienza con mio padre, forse perché istintivamente mi sono voluta mettere dalla parte del figlio di Giuseppe Pontiggia, è dire che le fatiche genitoriali sono pari a quelle filiali, questo lo dire poiché, oltre ad essere figlia, sono anche genitore e non c’è fatica maggiore o minore, è semplicemente vita. Ricordo perfettamente il giorno che ho deciso di scrivere a mio padre e io come sempre volevo essere per lui motivo di orgoglio, quindi gli mandai i miei lavori per farlo partecipare in modo più concreto alla mia vita, da lui sempre discussa, a motivo di una grande fatica che non hai mai reso facile i nostri rapporti. Sappiamo tutti che il mettersi in rapporto vero, in modo chiaro, risulta sempre duro e brutale,è la mia stessa presenza che lo fa, non ho mai potuto fare niente per ovviare a queste tensioni della sua esistenza, poiché se lo avessi fatto, avrei annullato la profonda ragione d’essere di una vita come la mia. (Sono una persona con la tetraparesi spastica) Devo però ammettere e ricordar, che sono consapevole, che lui non è l’unica persona che non capisce la ragione del mio agire; nonostante…….. Tutto questo lo dico a distanza di anni dal mio scritto, credo di aver detto a mio padre di non sapere la ragione del mio scrivergli. Ora mi è molto più chiara! Ero come alla ricerca di una sua ammirazione; approvazione, come dicevo poc’anzi, una cosa che non è avvenuta, ma che comunque io non mi stanco cercare e ricercare. “Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra”. La mia esperienza globale è proprio completamento l’opposto. Nella mia vita ho dovuto operare sempre una mediazione tra quello che avrei potuto fare e quello che in realtà ho fatto in ragione del rispetto per gli altri e di quello che gli altri si aspettano da me. Questo fatto della mia vita, una vita molto interessante se si vuole guardare da un punto di vista filosofico e di fede poiché a volte sono andata là dove non volevo e su questo mi dovrei dilungare, ma si può intuire che ho trovato in questo un enorme crescita interiore.

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Bibbiena; 23.11.1997 Ciao babbo Non so il motivo esatto che mi spinge a regalarti copia dei lavori fatti ne 1996 1997 forse è vanità? O probabilmente è un modo per farti partecipare maggiormente alla mia vita di tutti i giorni e, dirti quello che”mi hai insegnato con il tuo silenzio” che io ho sempre interpretato, come un grande rispetto per il genere umano, e questo ha fatto di me una persona che ha avuto sempre una grande valutazione di sé, per poter affrontare il sociale in maniera paritaria; questo lo devo a te, mi hai dato una consapevolezza di come sono in positivo, anche se non mi hai risparmiato dure critiche,severe quando non sono stata esattamente quella che ti aspettavi. Tutto questo lo capivo da uno sguardo. Credo di averli sempre capiti, fin da piccola, quando vi coglievo ribellione per te e sofferenza per me,”questo mi ha spinto molto a volere una vita nella norma” anche se per me ora è difficile cogliere cosa sia la normalità, poiché in un mondo evoluto non ci sono dei canoni precisi tra questo e quello, sono rimasti solo: l’accettazione o non. Quindi tutto questo è dovuto alla consapevolezza,che per riuscire, una persona come me, deve avere una forza di volontà e di conoscenza dei propri limiti, e tenerne conto per un maggior impegno. Tutto questo l’ho capito guardandoti! Grazie. Eleonora

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ROSA MARIA SONZINI MILANO Milano 11 luglio 2004 TEMA: commenta la seguente frase di Giuseppe Pontiggia: “Possiamo immaginare tante vite, ma non possiamo rinunciare alla nostra”. Svolgimento Questa frase, tratta dal romanzo”Nati due volte” oltre che da uno scrittore è stata scritta da un genitore di un disabile che, senz’altro, come tutti, ha sofferto per cercare di recuperare al meglio il figlio Paolo. Di questa frase tratta da questo romanzo ne condivido pienamente il contenuto. Però, al di là di questo problema strettamente personale, credo che ognuno, non sia mai totalmente felice di ciò che ha e di ciò che è; perciò molte volte prova ad immaginarsi altre vite in cui pensa di potersi sentire realmente soddisfatto. Questo lo porta, molto spesso, a rifugiarsi nel mondo della sua fantasia dove tutto e tutti sono perfetti; ma, anche, ad invidiare persone importanti e note o, semplicemente individui più vicini a noi, che a nostro parere, sono più fortunati. Poi, piano piano, avvicinandoli o leggendo i pettegolezzi sui giornali scopriamo che anche loro hanno una vita simile alla nostra fatta di gioie e dolori, di sogni e delusioni, di solitudine e di allegria, ecc. Perciò, comprendiamo che la vita non è semplice per nessuno ed è per questo, forse, che nessuno rinuncerebbe mai alla propria esistenza. In fondo, credo che ognuno alla propria vita sia affezionato perché è la cosa più importante che appartiene a lui: infatti, con lei ha condiviso molte cose: affetti, gioie, dolori, sconfitte, momenti belli, ecc… Insomma la riconosce come propria, l’ama così com’è perché la conosce. È attraverso la nostra vita che noi la riconosciamo e ci distinguiamo come esseri umani, assumiamo un’identità diversa da ogni soggetto (anche dai nostri parenti ed amici), ci costruiamo il futuro facendo le nostre scelte, ecc.. Perciò, penso che la nostra vita ci appartenga in parte, cioè fin dove riusciamo a dirigerla come vogliamo ed è per questo che io credo che ognuno non può rinunciare a questo bene prezioso che ci è stato offerto dal buon Dio. E tutto ciò dovrebbe anche darci la forza di superare i nostri momenti più oscuri, di accettarli anche loro come parte di noi: pensando che ognuno ha il suo carico di sofferenza e che non dobbiamo invidiarlo perché, all’apparenza, ci sembra più leggero; ma, anzi, dobbiamo conoscerlo per condividerlo meglio. In poche parole, le conclusioni che vorrei trarre da queste mio breve componimento, riflettendo sulla frase di Pontiggia, sono queste: la prima è quella riferita al tema, cioè che nessuno può rinunciare alla sua vita per le ragioni sopra esposte e la seconda è quella di non sentire invidia per altre vite umane che ci possono sembrare migliori della nostra ma, di capire che anche queste persone soffrono, a volte, come noi, perciò, sarebbe meglio cercare di essere solidali con loro per ascoltarle e condividere i loro problemi, come chi ci vuole bene cerca di fare con noi.

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ANGELA VACCARO FIRENZE

Serena consapevolezza Nascere due volte? Chi non è tentato! Per me ha significato aver intrapreso, fin da piccola, un discorso onesto con l’handicap. L’impedimento fisico, grazie al sostegno costante e testardo della famiglia, non è stato un tassello di protezione, di chiusura o un limbo dove vivere da innocente-immatura. L’innocenza di bambina c’è stata, ma sempre pronta a sfoderare la volontà che, nonostante le difficoltà motorie, mi hanno permesso di realizzare, le mete prefissate e quindi, alla luce delle nuove conquiste, di “nascere due volte”. Immaginare altre vite? All’età di una bambina può sognare di diventare una ballerina famosa. Io, invece, all’istituto di riabilitazione per bambini spastici”Anna Torrigiani” di Firenze, diretto dal Prof. Milani, realizzavo un sogno tutto mio. Sentivo nascere in me la passione, mai venuta meno, di trascrivere su carta bianca i miei pensieri interiori. Desideravo, con tutte le mie forze, usare una macchina da scrivere alla quale era applicata una tastiera speciale. Questo ausilio di difficile gestione, per il mio deficit motorio, rispondeva, comunque, alle mie esigenze. Ricordo un tema in cui mi trasformavo in una dama del 1800 e danzavo. Era il sogno di una adolescente che, infastidita da continue diffidenze, da continui sguardi indiscreti, pressata da innumerevoli domande” E’ intelligente? Sa leggere? Legge con interesse?”, per un attimo si staccava dalla sua realtà. La fantasia non ha regole fisse e può suggerire anche,, a chi è costretto a misurarsi con il movimento fisico scoordinato e con una verbalità non perfetta di vivere, nel breve tempo di una creazione, in una atmosfera romantica tratta da sceneggiati televisivi dell’epoca o da indimenticabili romanzi ottocenteschi. Dall’infanzia all’adolescenza la mia personalità è nata più volte sull’onda di un’innata positività? Si! Ho cominciato a captare quanto la mia diversità non fosse un ostacolo per crescere insieme agli altri e comunicare affetto, lealtà, volontà. E nel percorso del mio recente passato? I ricordi di molteplici tasselli: l’importanza di una significativa amicizia, il confronto e il fondamentale affetto degli amici, il costante supporto di persone capaci di capire le mie esigenze, mi hanno suggerito suggestivi video-clip. In questi flash ho percepito quando l’intreccio di avvenimenti-sentimenti: serenità, angoscia, gioia, malinconia, viaggi, lettura, grande passione per il teatro, apprendimento del computer, mi abbia proiettato in tante piccole realtà. Le vicende giornaliere non mi hanno costretto a “immaginare altre vite” piuttosto mi hanno dato da sempre la spinta per crescere nella soddisfacente impegnativa quotidianità. L’immaginazione,tuttavia, è illimitata e ha portato il mio pensiero a riflettere interrogativamente:” Chissà se fossi sposata, se fossi mamma”. Questa domande si sono in breve tempo volatilizzate sia per il bel rapporto affettivo realizzato con chi condivide con me la quotidianità, che per l’interesse letterario. Ho preso infatti, con volontà e fermezza, la laurea in lettere moderne. Ero lungi da pormi traguardi irraggiungibili. Esultavo gioiosamente per il 110 finale. Il presupposto per una mia maggiore maturazione? E’ strettamente collegato all’iter universitario. E’ stato fondamentale stabilire un contatto con una realtà che, al di là dello studio, ha fortificato il mio carattere. Il caos di tante esperienze nuove, l’abitudine a muoversi tra le barriere architettoniche, la incomprensione di alcuni professori, la grande disponibilità culturale e umana di altri, mi ha insegnato a superare ostacoli apparentemente insuperabili. Un grido interiore, tuttavia, simboleggiava la voglia di esplorare ancora. Per rinascere due volte? No! Sentivo, semplicemente, il bisogno di completare, almeno in senso psichico, il distacco dell’ambito domestico. L’ulteriore arricchimento interiore, molto

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positivo, si è realizzato grazie alle accompagnatrici-amiche con le quali ho potuto scegliere spazi esclusivamente miei. E attualmente? L’esperienza con la disabilità da quasi mezzo secolo mi fa essere una donna che, fra impegno, emozioni, pensieri, hobby, è conscia di avere una vita stimolante. La costruzione del proprio io è indipendente dal vivere in carrozzina. Sono convinta, perciò che l’uomo donna disabili, con difficoltà psicofisiche, debbano essere accettati come individui che lottano per la via. Sottoscrivendo, quindi, la frase di Pontiggia “Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra”, chiedo alle persone handicappate di aprirsi coraggiosamente verso un disegno di personale libertà per non chiudersi in pericolose fortezze sia morali che fisiche. Le distrazioni per le persone con handicap sono permesse? Sicuramente! Influiscono serenamente sul mio percorso esistenziale. Senza ricorrere, perciò, alla problematica simbologia del pirandelliano “Uno, Nessuno,Centomila”, mi diletto a fantasticare: “Io vorrei avere una voce impostata come le più famose attrici. Io vorrei, per un momento, abbandonare il computer per scrivere e probabilmente comporre, come i grandi scrittori, con un fine pennino”. Comprendo che nemmeno la più determinata forza di volontà mi potrà fare questa regalo. Un regalo più concreto? La mia realtà degna di essere vissuta tra complessità, consapevolezza e ricchezza di sentimenti.

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L’AIAS, Associazione Italiana Assistenza Spastici, riunisce persone disabili, i loro familiari volontari e operatori. Cura direttamente, o in convenzione con Enti Pubblici, servizi a sostegno delle persone disabili e delle loro famiglie intervenendo in avari ambiti: scuola, lavoro tempo libero, ausili tecnologici, vita quotidiana. L’AIAS di bologna è nata nel 1962. Ente morale riconosciuto, è iscritta all’anagrafe delle ONLUS – Organizzazione Non Lucrative di Utilità Sociale – e associata all’AIAS nazionale

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