I Pericoli del Fiscal Cliff

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SCENARI FINANZIARI JOHN MAULDIN'STHOUGHTS FROM THE FRONTLINE Newsletter settimanale - Versione Italiana a cura di Horo Capital I pericoli del Fiscal Cliff di John Mauldin | 22 ottobre 2012 - Anno 3 - Numero 42 In questo numero: Il problema con l'austerità Il problema del Fiscal Cliff PIL = C + I + G + Esportazioni Nette Indicatori economici per le elezioni. E' l'economia stessa. Stupido! Brasile, Uruguay, Argentina, Chicago, New York e North Dacota "La Spagna non è la Grecia" - Elena Salgado, Ministro delle finanze spagnolo, febbraio 2010 "Il Portogallo non è la Grecia" - The Economist, aprile 2010 "La Grecia non è l'Irlanda" - George Papaconstantinou, ministro delle Finanze greco, novembre 2010 "La Spagna non è né l'Irlanda né il Portogallo" - Elena Salgado, ministro delle Finanze spagnolo, novembre 2010 "L'Irlanda non si trova in 'territorio greco'" - Il ministro delle Finanze irlandese, Brian Lenihan, novembre 2010 "Né la Spagna né il Portogallo sono l'Irlanda" - Angel Gurria, segretario generale dell'OCSE, novembre 2010 "L'Italia non è la Spagna" - Ed Parker, Fitch MD, 12 Giugno 2012 "La Spagna non è l'Uganda" - Primo Ministro Spagnolo Mariano Rajoy, giugno 2012 "L'Uganda non vuole essere la Spagna" - il ministro degli esteri ugandese, 13 giugno 2012 Essendo stato in tutti i paesi sopra elencati, ad eccezione dell'Uganda (anche se sono stato in 15 paesi dell'Africa alcuni confinanti con l'Uganda), sono molto felice di confermare che sono tutti diversi tra loro. Proprio come voi mi garantite il fatto che gli Stati Uniti non sono il Regno Unito e che la Francia non è l'Argentina. Per parafrasare Tolstoj i paesi disfunzionali approdano ognuno a modo loro alle loro infelici situazioni. Come si fa a confrontare la crisi finanziaria di un paese con quella di un altro? Il Fondo Monetario Internazionale ha cercato di fare proprio questo, scatenando di conseguenza un dibattito piuttosto acceso negli ambienti economici. E mentre oggi vedremo le loro analisi, il punto chiave è che i modelli economici utilizzati per guidare la politica monetaria e fiscale non stanno funzionando come succedeva invece in passato. La settimana scorsa in questa lettera, ho ipotizzato una condizione che ho chiamato la Singolarità Economica. Proprio come la singolarità al centro di un buco nero crea una regione in cui i modelli matematici si scontrano, una grande massa di debito creerà la sua propria singolarità economica proprio dove i modelli economici non funzionano più come ci si aspettava. Dato che nel giro di poche settimane nel Congresso esploderà un dibattito molto acceso

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Come si fa a confrontare la crisi finanziaria di un paese con quella di un altro? Il Fondo Monetario Internazionale ha cercato di fare proprio questo, scatenando di conseguenza un dibattito piuttosto acceso negli ambienti economici. E mentre oggi vedremo le loro analisi, il punto chiave è che i modelli economici utilizzati per guidare la politica monetaria e fiscale non stanno funzionando come succedeva invece in passato.

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SCENARI FINANZIARI JOHN MAULDIN'STHOUGHTS FROM THE FRONTLINE Newsletter settimanale - Versione Italiana a cura d i Horo Capital I pericoli del Fiscal Cliff di John Mauldin | 22 ottobre 2012 - Anno 3 - Numero 42

In questo numero: Il problema con l'austerità Il problema del Fiscal Cliff PIL = C + I + G + Esportazioni Nette Indicatori economici per le elezioni. E' l'economia stessa. Stupido! Brasile, Uruguay, Argentina, Chicago, New York e No rth Dacota

"La Spagna non è la Grecia" - Elena Salgado, Ministro delle finanze spagnolo, febbraio 2010 "Il Portogallo non è la Grecia" - The Economist, aprile 2010 "La Grecia non è l'Irlanda" - George Papaconstantinou, ministro delle Finanze greco, novembre 2010 "La Spagna non è né l'Irlanda né il Portogallo" - Elena Salgado, ministro delle Finanze spagnolo, novembre 2010 "L'Irlanda non si trova in 'territorio greco'" - Il ministro delle Finanze irlandese, Brian Lenihan, novembre 2010 "Né la Spagna né il Portogallo sono l'Irlanda" - Angel Gurria, segretario generale dell'OCSE, novembre 2010 "L'Italia non è la Spagna" - Ed Parker, Fitch MD, 12 Giugno 2012 "La Spagna non è l'Uganda" - Primo Ministro Spagnolo Mariano Rajoy, giugno 2012 "L'Uganda non vuole essere la Spagna" - il ministro degli esteri ugandese, 13 giugno 2012

Essendo stato in tutti i paesi sopra elencati, ad eccezione dell'Uganda (anche se sono stato in 15 paesi dell'Africa alcuni confinanti con l'Uganda), sono molto felice di confermare che sono tutti diversi tra loro. Proprio come voi mi garantite il fatto che gli Stati Uniti non sono il Regno Unito e che la Francia non è l'Argentina. Per parafrasare Tolstoj i paesi disfunzionali approdano ognuno a modo loro alle loro infelici situazioni.

Come si fa a confrontare la crisi finanziaria di un paese con quella di un altro? Il Fondo Monetario Internazionale ha cercato di fare proprio questo, scatenando di conseguenza un dibattito piuttosto acceso negli ambienti economici. E mentre oggi vedremo le loro analisi, il punto chiave è che i modelli economici utilizzati per guidare la politica monetaria e fiscale non stanno funzionando come succedeva invece in passato. La settimana scorsa in questa lettera, ho ipotizzato una condizione che ho chiamato la Singolarità Economica. Proprio come la singolarità al centro di un buco nero crea una regione in cui i modelli matematici si scontrano, una grande massa di debito creerà la sua propria singolarità economica proprio dove i modelli economici non funzionano più come ci si aspettava.

Dato che nel giro di poche settimane nel Congresso esploderà un dibattito molto acceso

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su come affrontare il "Fiscal Cliff", con entrambe le parti che mostreranno dei modelli economici intenti a dimostrare la netta superiorità delle loro soluzioni e il disastro totale che comporterebbe invece l'applicazione dei piani dell'opposizione; penso che sia utile analizzare alcune delle ipotesi di base. Tenuto conto del fatto che quasi tutti compreso il vostro umile analista, sono arrivati alla conclusione che se gli aumenti fiscali e i tagli alla spesa dovessero essere attuati con l'attuale normativa ci potremmo trovare di fronte in un breve periodo di tempo ad una recessione piuttosto dura, quindi a tale proposito potrebbe esserci d'aiuto considerare alcune ipotesi di base e poi valutarle.

Nella lettera di oggi guarderemo al di la del Fiscal Cliff e vedremo quali sono i modelli economici e cosa possono raccontarci sulla spesa pubblica. E se abbiamo tempo daremo uno sguardo ad un interessante studio che usa l'economia per prevedere l'esito di queste elezioni presidenziali americane.

Il problema con l'austerità

Il capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard e il suo collega Daniel Leigh ci hanno dato una chiara chiave di lettura in tre pagine, sepolte in un insieme di 250 pagine del World Economic Outlook che è stato rilasciato la settimana scorsa (http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2012/02/pdf/text.pdf). Hanno studiato un concetto economico chiamato il moltiplicatore fiscale, che di solito è definito come la variazione del PIL reale che è prodotta da un cambiamento nella politica fiscale pari all'1% del PIL. Quindi in parole semplici, se si presume che il moltiplicatore fiscale sia pari a 1.0 a quel punto un cambiamento della spesa pubblica dell'1% (sia in aumento o in diminuzione) produce una corrispondente variazione del 1% del PIL.

La maggior parte dei principali economisti che operano nelle istituzioni prima della pubblicazione di questo lavoro assumevano che il moltiplicatore fiscale fosse di circa lo 0,5. In modo semplicistico questo significa che tagli della spesa pubblica pari all'1% del PIL, avrebbero comportato il prossimo anno una diminuzione del PIL reale di circa lo 0,5%. Una caduta del PIL naturalmente ridurrebbe le entrate fiscali, il che significherebbe un taglio effettivo di meno dell'1% del deficit. Se come in questo esempio l'aliquota fiscale fosse del 30% il deficit si ridurrebbe dello 0,85%. Questo può essere un risultato accettabile quando l'economia cresce, ma quando abbiamo un deficit e un debito totale che sono troppo elevati e il mercato obbligazionario sta costringendo il governo ad effettuare dei tagli forse lo è meno.

Mentre Blanchard e Leigh concordano sul fatto che in passato il moltiplicatore fiscale era generalmente pari a circa lo 0,5% ora ritengono che con la recente crisi fiscale il moltiplicatore fiscale sia molto più alto. Il loro studio suggerisce che esso sia almeno lo 0,9% e forse anche del 1,7%. Questo certamente sembra essere proprio il caso per la Grecia e la Spagna, dove le loro misure di austerità sembrano funzionare al contrario.

Gavyn Davies del Financial Times prende in considerazione la ricerca del FMI che guarda le prospettive dell'Inghilterra, dove il governo sta applicando un 40%. Purtroppo i risultati sono meno gradevoli:

"Se il moltiplicatore fosse del 1.7 lo stesso taglio iniziale della spesa pubblica pari al 1 per cento del PIL ridurrebbe la produzione reale del 1,7 per cento. Gli effetti del secondo turno di questa riduzione della produzione porterebbero poi una riduzione fiscale o aumenterebbero i trasferimenti dello 0,68 per cento. Il netto miglioramento complessivo

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del deficit di bilancio sarebbe quindi solo dello 0,32 per cento. L'economia entrerebbe in recessione e difficilmente migliorerebbe il deficit di bilancio. Anche se ciò fosse accettabile per i governi, non sarebbe però accettabile per un periodo prolungato dai loro elettori.

"Questa calcolo matematico così pessimistico non è così lontano dal descrivere ciò che sta realmente sta accadendo negli ultimi due anni in alcuni paesi, come ad esempio il Regno Unito. Inoltre se prendiamo questi calcoli come un dato di fatto, ci saranno delle notizie ancora peggiori. Le quattro maggiori economie avanzate sono ora tutte intente nell'aumentare la pressione fiscale, in media per valore intorno al 1 per cento del PIL annuo.

"... Con un moltiplicatore fiscale che nemmeno lontanamente si avvicina alla parte superiore dell'intervallo consigliato da Blanchard / Leigh, gli effetti di questi cambiamenti di politica elimineranno per qualche tempo qualsiasi possibilità di rimbalzo dei normali tassi di crescita nelle economie avanzate. È interessante notare che la stretta di bilancio prevista nelle economie in difficoltà della zona euro è più grande di quanto non sia per le principali economie a causa del recente allentamento di alcuni obiettivi di budget. Anche in questo modo è difficile comprendere come questi piani potranno essere sostenuti, anche se il moltiplicatore fiscale si trovasse nel limite superiore indicato dal modello."

Ma c'è un problema con questa analisi come Davies e altri sottolineano. Si presuppone che i risultati di un paese siano abbastanza vicini a quelli di qualsiasi altro paese. Tuttavia anche se ad esempio si elimina la Grecia o la Germania praticamente si elimina il moltiplicatore fiscale. Non che tutto ciò avrebbe portato Paul Krugman e i suoi compagni keynesiani a strombazzare questa analisi come motivo per astenersi da tutte le forme di austerità. In ogni caso la ricerca non richiama l'attenzione sui pericoli della creazione di modelli economici che vengono utilizzati per guidare la politica pubblica. Davies continua:

"... Il declino [nel modello del FMI del moltiplicatore fiscale] si è verificato principalmente perché gli economisti sono diventati molto più consapevoli sulla necessità di fare delle ipotisi di politica monetaria quando si effettuano delle stime. Se la banca centrale si prendesse l'impegno di contenere la crescita monetaria e l'inflazione ad un tasso predefinito quando si decide di attuare una dura politica fiscale, allora i tassi di interesse si ridurrebbero e questo compenserebbe alcuni degli effetti negativi dati dai cambiamenti fiscali. Il moltiplicatore a quel punto sarebbe più basso.

"E' anche vero il contrario. Ora che i tassi di int eresse sono bloccati al limite inferiore cioè pari a zero, le banche centrali non possono ridurre i tassi quando la politica fiscale è molto inasprita e il corrisponde nte moltiplicatore sta aumentando." (Il grassetto è mio)

Ho menzionato più volte il paper di Christina e Paul Romer (lei era il presidente del Consiglio dei consulenti economici di Obama), dove hanno dimostrato che il moltiplicatore sia con i tagli fiscali o con gli aumenti delle tasse è circa pari a 3 negli Stati Uniti. Di conseguenza un aumento delle tasse o un taglio pari al 1% del PIL dovrebbe impattare sull'economia degli Stati Uniti per un 3%.

Davies osserva che Larry Summers e Brad DeLong hanno sostenuto che nella situazione attuale il moltiplicatore deve essere considerato come minimo pari a 1.0. [Il loro lavoro] spiega molto chiaramente perché il moltiplicatore dovrebbe essere molto più alto del normale quando l'economia si trova in una fase di recessione con tassi di interesse pari a

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zero. Un altro paper degno di nota prodotto da Auerbach e Gorodnichenko dice che il moltiplicatore durante una recessione potrebbe essere di circa 1,5-2, mentre in una fase di espansione può scendere a zero." Inoltre Robert Barro di Harvard ha indicato che il moltiplicatore delle imposte è pari a 1.

In un altro articolo il professor Carlos Vegh dell'Università del Maryland ha elencato un sacco di dati che indicano invece che il moltiplicatore sarebbe molto diverso da paese a paese, e "l'intero esercizio di cercare di prevedere la crescita di molti paesi utilizzando essenzialmente un unico moltiplicatore qualunque sia il suo valore è di per se un esercizio futile". (FT)

Si può tranquillamente scegliere un moltiplicatore fiscale che funzioni per i risultati desiderati e trovare uno studio accademico che lo sosterrà. E questo è il punto. Gli economisti vogliono creare dei modelli. E' nel loro DNA (forse un po' difettoso lo ammetto). E a volte si devono fare delle ipotesi al fine di rendere i modelli avvicinabili ad un qualcosa che potrebbe essere definito utile. Il problema è che in particolare i politici non guardano alle ipotesi di base, ma utilizzano le parti degli studi che meglio riflettono i loro particolari pregiudizi. Il rapporto del FMI utilizza i dati provenienti da molti paesi che sono di fatto differenti tra di loro. Confrontare la Grecia con la Germania e utilizzare i dati per suggerire delle politiche alla Spagna e all'Irlanda è una modalità che lascia forti dubbi. Non ci sono abbastanza dati tali da concludere che possa essere statisticamente valido, ma questo non fermerà i politici dall'utilizzare lo studio del FMI qualora dovesse supportare il risultato della politica che loro preferiscono. Il FMI per quanto possa avere delle buone ragioni che sono state spiegate fino in fondo nelle note, ha escluso paesi come la Nuova Zelanda e quelli baltici che hanno raggiunto dei buoni risultati tramite delle politiche di austerità, poiché la loro inclusione avrebbe potuto alterare lo studio.

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Il problema del Fiscal Cliff

Nel terzo trimestre del 2011 il Congresso degli Stati Uniti ha accettato a partire dal gennaio 2013 degli aumenti fiscali piuttosto significativi e dei tagli alla spesa, al fine di poter effettuare un aumento del tetto del debito. Inoltre a gennaio ci si attende un forte taglio sulla Social Security e sull'indennità di disoccupazione. Tutto sommato se non cambia nulla questo brusco cambiamento nella politica fiscale si tradurrà in un duro colpo per l'economia per un importo pari a circa $650 miliardi di dollari o poco più del 4% del PIL, in un momento in cui l'economia probabilmente cresce meno del 2% all'anno.

Permettetemi quindi di elencare le principali componenti del fiscal cliff:

1. L'abolizione dei tagli fiscali di Bush che ammontano a $265 miliardi dollari, di cui $55 miliardi dollari erano per i più "ricchi" e $210 miliardi dollari per la "classe media" (tutti gli

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altri). Quasi nessuno su entrambi i lati della navata vuole davvero andare avanti nell'abolire i tagli alle tasse alla classe media. I Repubblicani vogliono mantenere il primo livello di tagli fiscali e secondo me questa è merce di scambio (vedi sotto).

2. La legge sul controllo dei bilanci o il tetto sul debito, arriva a circa $160 miliardi con $110 miliardi di dollari sequestrati per lo più alla difesa e sembra che ci sia un crescente consenso sul fatto che non tutti questi tagli dovrebbero essere fatti.

3. Anche gli stimoli del 2009 stanno arrivando al termine (ossia il 2% relativo alla Social Security e alle indennità di disoccupazione estese). Il ciò equivale a $140 miliardi o quasi l'1% del PIL. Quasi tutti sono d'accordo che questi tagli fiscali dovevano essere temporanei.

4. L' "ObamaCare" ha portato ad un aumento fiscale di $24 miliardi di dollari per le famiglie ad alto reddito.

5. Tecnicamente ci sono $105 miliardi di dollari di imposte temporanee che si suppone che ogni anno abbiano fine mentre ogni anno vengono rinnovate, il che ovviamente permette al Congresso e al presidente (che ne ha il controllo) di proiettare in futuro deficit più bassi anche senza tagli.

Se si aggiungono $105 miliardi di dollari di correzioni relative a tagli fiscali sulla classe media si arriva a $315 miliardi dollari, quasi la metà del fiscal cliff il che ridurrebbe l'impatto al 2% del PIL. Se si prendono delle giuste misure si può arrivare a meno dello 0,5%.

Ma questo crea un grande ma ... Qual è il moltiplicatore fiscale? Non è così semplice come cerca di far apparire il FMI che produce un numero e poi lo estrapola. E' tutto correlato con il debito, ma le somiglianze cominciano a non tenere quando si esaminano i dettagli.

Non tutti gli aumenti di tasse o i tagli fiscali hanno lo stesso moltiplicatore, così come non si possono fare tutti gli aumenti di spesa o i tagli alla spesa. Vi è una grande differenza come Gavyn Davies ha sottolineato tra un moltiplicatore fiscale dello 0.5 e uno pari a 1.7. Prima di entrare nel merito di ciò che potrebbe essere il nostro moltiplicatore passiamo in rassegna alcuni fatti.

Se qualcosa non può accadere ...

C'è una regola in economia: Se qualcosa non può accadere, non succederà. Questo può sembrare un po' ovvio, ma ora ci sono così tante persone che credono che tutto questo andra avanti all'infinito. Questa volta è diverso diciamo a noi stessi. Nel frattempo io e molti altri - David Walker, David Stockman, Alan Simpson, David Bowles, ecc. stanno dicendo che molto di quello che stiamo facendo è insostenibile e che ci saranno dei grandi cambiamenti nelle attuali tendenze, per quanto non ci faccia piacere pensare a tutto ciò queste saranno inevitabili. Allora cosa dobbiamo pensare e che cosa accadrà quando il cambiamento arriverà e un paese sarà costretto ad accettarlo. A volte si deve pensare l'impensabile.

Guardate alla previsione sul debito degli Stati Uniti fatta dalla Heritage Foundation e basata su alcune ipotesi realistiche. Questo è un grafico di qualcosa che non accadrà. Molto prima di arrivare tra dieci anni ad avere un debito multi-miliardario il mercato

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obbligazionario comincerà a chiedere tassi molto più alti di quelli attuali, spingendo in il costo per i nostri tassi di interesse ad un livello tale che le entrate fiscali diventeranno particolarmente dolorose, costringendoci poi a fare dei tagli di tutti i tipi che ora invece consideriamo come assolutamente necessari - come le spese militari, l'istruzione e la spesa sanitaria statale.

Un modo o nell'altro i disavanzi di bilancio previsti - sia quelli da parte della Heritage Foundation o la proiezione ufficiale del governo – stanno iniziando a scendere. Possiamo decidere di gestire in modo proattivo il problema del deficit oppure possiamo aspettare fino a quando ci sarà una crisi e a quel punto saremo costretti a reagire. Queste scelte alla fine produrranno dei risultati completamente diversi.

Qui negli Stati Uniti la vera domanda che dobbiamo porci come nazione è: "Quanta assistenza sanitaria desideriamo e quanto siamo disposti a pagare per questo servizio?" Tutto il resto può essere risolto se saremo in grado di rispondere a questa semplice domanda di base. Possiamo sostanzialmente modificare l'assistenza sanitaria insieme ad altre voci discrezionali del bilancio o possiamo aumentare le tasse o una combinazione di queste due cose. Ogni percorso ha delle conseguenze.

I sondaggi ci dicono che c'è un ampia maggioranza bipartisan tra le persone che vogliono mantenere sia il Medicare che gli altri programmi sanitari (forse riformandoli), ma allo stesso tempo c'è anche un ampia maggioranza bipartisan che non vuole un aumento delle tasse. Non si può avere entrambe le cose, quindi ciò significa che c'è un grosso lavoro da

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fare in termini di educazione. Purtroppo c'è questa situazione perché i politici sembrano sostenere entrambi questi due obiettivi - in quanto la prima cosa nel loro ordine del giorno è quello di assicurarsi di poter essere ri-eletti.

A mio avviso il punto chiave è quello di ridurre il deficit nei prossimi 5-6 anni mantenendo comunque un livello sostenibile al di sotto del tasso di crescita del PIL nominale (che include l'inflazione). Un paese può avere una costante crescita del deficit se questo è sempre inferiore al tasso del PIL e senza a quel punto mettere in pericolo la sua sopravvivenza economica. Mentre può essere più saggio avere dei surplus e utilizzarli per pagare il debito, se mantenete il deficit di bilancio ad un livello più basso rispetto alla crescita del reddito nel corso del tempo il debito diventa a poco a poco un minore problema.

PIL = C + I + G + Esportazioni Nette

In entrambi i casi ossia aumentare la spesa o tagliare le tasse ha degli effetti collaterali che non possono essere ignorati. In entrambi i casi uno o entrambi i fattori renderanno più difficile la crescita economica. Come promemoria per i lettori di lunga data e per una rapida introduzione ai nuovi lettori, diamo un sguardo ad una equazione economica di base:

PIL = C + I + G + esportazioni nette, o il PIL è pari ai Consumi (Privati e Imprese) + Investimenti + Spesa Pubblica + esportazioni nette (esportazioni - importazioni). Questo è vero in qualsiasi momento e in tutti i paesi.

Ora ciò che in genere accade in una tipica recessione legata ad un ciclo economico è che le imprese che producono troppi beni iniziano a tagliare e di conseguenza a quel punto i consumi iniziano a scendere; a quel punto la risposta keynesiana è quella di aumentare la spesa pubblica al fine di aiutare l'economia al fine di iniziare nuovamente a comprare e spendere. La teoria è che quando l'economia si riprenderà sarà possibile ridurre la spesa pubblica in termini percentuali sull'economia e quindi pagare il debito che è stato precedentemente contratto - resta solo il fatto che questa cosa non è successa per un lungo, lungo periodo di tempo. La spesa pubblica ha continuato a salire per decenni. A volte le tasse sono aumentate molto più velocemente rispetto alla spesa, come durante i fin troppo brevi anni di Clinton-Gingrich. In risposta alla Grande Recessione il governo (di entrambi gli schieramenti) ha aumentato la spesa in maniera massiccia. E tutto questo ha avuto un effetto. E questo non è stato solo lo stimolo, ma è stata l'incredibile dimensione raggiunta dal governo in relazione al PIL che è comunque cresciuto.

Ed ora degli enormi deficit sono proiettati per un lungo periodo di tempo, a meno che non decidiamo di fare dei cambiamenti importanti. Il problema è che diminuire il deficit avrà l'effetto contrario dello stimolo - uno stimolo negativo se così vogliamo chiamarlo. Perché? Perché l'economia non sta crescendo abbastanza velocemente a tal punto da assorbire la perdita data da questo stimolo. C'è ne accorgeremo. E' la componente "G" della precedente equazione (spesa pubblica) che è stata sviluppata da Irving Fisher durante il periodo della Grande Depressione. Uno stimolo negativo dovrebbe avere un effetto di breve termine, la maggior parte degli economisti sono d'accordo che questo dura 4-5 trimestri - e poi l'economia ricomincerà nuovamente a migliorare, con disavanzi più contenuti e con una struttura pubblica ridimensionata.

Al fine di poter mettere sotto controllo il deficit stiamo parlando di dover ridurre ogni anno il

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deficit nell'ordine del 1% del PIL per 5-6 anni. Si tratta di avere un vento fortemente contrario alla crescita, soprattutto in un economia con un 2% e che cerca di cavarsela. Il PIL negli Stati Uniti ha raggiunto ormai una tendenza anemica espressa da una crescita del 2% e con una domanda finale molto debole. Provate a pensare che cosa succederebbe se l'intero taglio del 2% previsto sulla spesa e gli aumenti delle tasse fossero già stati messi in atto. A quel punto sarebbe molto difficile raggiungere una crescita positiva nel 2013.

Inoltre a seconda di quale studio accademico si sceglie, ovunque un aumento delle tasse riduce il PIL da 1 a 3 volte la dimensione della crescita. Dei forti aumenti fiscali inevitabilmente provocano una diminuzione del PIL e di quello potenziale. Questo potrebbe essere il prezzo che si desidera pagare come paese, ma dobbiamo riconoscere che ci sarà un costo per la crescita e l'occupazione. Coloro che sostengono che togliendo i tagli fiscali di Bush questi non avranno alcun effetto sull'economia, semplicemente non vogliono tenere in considerazione i dati di fatto che emergono sulla base di una consolidata ricerca. Tutto questo è completamente diverso da chi invece ritiene che i tagli non debbano essere rinnovati.

Coloro che sostengono che una riduzione della spesa avrà comunque un effetto stanno dicendo una cosa giusta. Il governo ha fortemente contributo nel garantire un reddito ai consumatori e di conseguenza i consumi personali che rappresentano una parte di "C" nell'equazione di cui sopra (assieme ai consumo delle imprese). Il grafico riportato qui sotto realizzato da Bridgewater nell'aprile scorso mostra l'effetto aggiuntivo dato dalla spesa pubblica sul reddito disponibile del consumatore americano. Si noti che senza il sostegno del governo il reddito disponibile ora sarebbe notevolmente inferiore. Lasciando scadere lo stimolo "one-time" sulla social security (che è già stato prorogato di due anni) assieme all'estensione dell'indennità di disoccupazione, il tutto si tradurrà in un calo del PIL di quasi l'1% assieme alla perdita di un contributo particolarmente significativo per il reddito disponibile.

Non ci sono delle scelte facili. Se non facciamo nulla per affrontare il deficit ci troveremo molto presto vicino al buco nero del troppo debito. Tuttavia nel cercare di fare troppo e troppo in fretta questo porterà l'economia pericolosamente vicino alla recessione il che significa un aumento delle spese del governo e una diminuzione dei ricavi, il che renderà ancora più difficile riequilibrare il bilancio. Vi siete dimenticati la Grecia e la Spagna, provate a chiedere al Regno Unito come sono gli sforzi di austerità che stanno facendo. Questo è un paese che sta tentando in modo serio e credibile di ridurre il disavanzo e

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purtroppo alla fine sono caduti in recessione.

Non importa quello che gli economisti con i loro modelli e politici con i loro ordini del giorno cercheranno di dirvi, non c'è un "facile bottone" che si possa schiacciare. Mentre ci può essere un percorso corretto al fine di poter ridurre il deficit e non entrare in recessione, questo percorso non però possibile coglierlo dai modelli. Quello che si può sperare di fare è cercare la giusta direzione e lentamente cercare di affrontare con i fatti la riduzione del deficit. Il mio punto di vista è che se ci saranno degli aumenti di tasse e tagli alla spesa, questi dovrebbero essere introdotti gradualmente trimestre dopo trimestre. Potrebbe essere meglio invece di tracciare semplicemente una linea su tutti gli elementi che compongono la spesa, provare a tagliare la spesa dove è possibile e consentire la crescita della spesa in settori come la sanità. Il mercato obbligazionario continuerà a comportarsi positivamente fino a quando il Congresso definirà un percorso molto chiaro e credibile attraverso il quale vuole rendere gestibile il deficit.

Sia repubblicani che i democratici dovranno scendere a dei compromessi. Questa elezione deve indicare soprattutto la direzione del compromesso. Spero profondamente che entrambe le parti non peggiorino questa crisi. Non ci sarà momento migliore dei primi sei mesi del prossimo anno nel quale intraprendere una complessiva riforma fiscale. Una vera riforma fiscale potrebbe effettivamente essere uno stimolo molto importante per l'economia che compenserebbe parzialmente la riduzione del deficit. Una riforma fiscale assieme ad una seria ed intensa politica che incoraggi una più rapida espansione della produzione nazionale oltre ad un controllo della spesa sanitaria, ci permetterà di ridurre il "moltiplicatore fiscale" – che è particolarmente importante, dato che la politica monetaria è molto limitata con i tassi di interesse che sono vicini allo zero.

Trovare la giusta combinazione di politiche non sarà una cosa facile. Ci deve essere una riduzione del deficit anno dopo anno per poter essere credibili, ma non così tanto da spingere l'economia in recessione. Francamente saremo fortunati se riusciremo a trovare quel giusto mix data la normale natura del processo politico. Qualunque cosa accada ciascuno darà la colpa all'altro quando ci saranno dei problemi e si prenderanno il merito quando ci saranno dei successi. Questa è la natura delle bestie politiche.

Dal punto di vista degli investimenti il fatto che in questo periodo gli utili siano molto più deboli, l'attuale stagione non fa ben sperare per il futuro. A parte un effimero entusiasmo di tanto in tanto la volatilità sarà la regola del giorno – ancora di più di quanto abbiamo visto in questi ultimi anni. Il rischio di un "evento inaspettato" aumenterà, date le reali possibilità che ci possano essere degli shock esogeni in Europa e in Giappone. Questo non è un periodo per lasciare le cose alla casualità o pensare che la recente performance dei mercati azionari sia un indicazione di risultati futuri. Questo è un tema sul quale ritorneremo sempre più spesso nel corso dei prossimi mesi.

Indicatori economici per le elezioni. E' l'economia stessa. St upido!

Il mio obiettivo in Thought from the Frontline (Scenari Finanziari) è quello di commentare questioni macroeconomiche e sul tema degli investimenti. Cerco di avventurarmi nell'arena politica solo per quanto riguarda le prospettive dell'economia e degli investimenti, piuttosto che esporre in modo palese le mie idee politiche (che comunque i lettori di lunga data possono in ogni caso comprendere).

Detto questo mi sono imbattuto in una metodologia molto interessante sulle previsioni

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delle elezioni presidenziali basata sull'economia e non sui sondaggi. Ken Bickers e Michael Berry, professori di scienze politiche rispettivamente presso l'Università del Colorado a Boulder e presso l'Università del Colorado a Denver, hanno costruito un modello basato sull'economia di ogni singolo Stato e di come ognuno di questi hanno votato a partire dal 1980. Il loro modello "prevede" con una ragionevole accuratezza il vincitore di ogni elezione presidenziale sin dal 1980. Il modello include i dati economici di tutti i 50 stati e del Distretto della Columbia incorporando dati sia dello stato che nazionali in tema di disoccupazione e tra gli altri fattori anche le variazioni del reddito pro-capite. Questa cosa è in linea con la famosa campagna di James Carville nel 1992 (era il direttore della campagna di Clinton): "E' l'economia, stupido!"

Il punto di vista personale e politico è che ciò che gli autori in realtà stanno cercando di modellare, sono gli elettori indipendenti nei vari stati. Vi segnalo il loro lavoro (trovate qui sotto un link e altri 12 modelli) come un modo diverso per guardare le elezioni che ci saranno tra15 giorni.

Secondo le analisi di Bickers e di Berry, Romney dovrebbe ricevere 330 del totale dei 538 voti dei Collegi Elettorali. Il presidente Obama ci si aspetta che riceva 208 voti - in calo di cinque voti dalla loro previsione iniziale e ben al di sotto dei 270 necessari per vincere. Il focus del loro studio è il livello di stress economico dei singoli stati. Credo che l'approccio di utilizzare come modello lo stress economico per prevedere i risultati elettorali sia molto interessante. Il loro modello aveva previsto cinque voti elettorali in più per Obama nel 2008 e quello avrebbe eliminato McCain.

Oltre a tassi di disoccupazione a livello di stato e nazionale, gli autori hanno analizzato le variazioni del reddito personale sia prima che dopo le elezioni presidenziali. La ricerca mostra che questi due fattori ossia la disoccupazione e il reddito condizionano in modo diverso le due parti: gli elettori dell'ala democratica sono più attenti al tasso di disoccupazione, mentre i repubblicani sono molto più attenti alle variazioni del reddito personale. Di conseguenza - e in relazione a chi siede alla Casa Bianca in quel momento - un fattore può aiutare o danneggiare i principali partiti in modo sproporzionato.

Gli autori hanno anche fornito delle ulteriori precisazioni. Il loro modello ha avuto un tasso medio di errore di cinque stati e di 28 voti nei Collegi Elettorali. Fattori che hanno detto potrebbero influenzare la loro previsione incluso anche il periodo dei dati economici utilizzati per lo studio e il fatto che dichiarano che ci sono Stati molto vicini ad avere una ripartizione del 50-50 questo potrebbe portare ad una direzione inaspettata a causa di fattori che non sono inclusi nel modello. In questo momento il loro studio rappresenta una cosa particolarmente interessante, ma se si avvicineranno al reale risultato anche questa volta, come è avvenuto in alcune delle passate elezioni, questo potrebbe avere un forte impatto sulle future campagne. Potete leggere il rapporto completo e le analisi su http://www.colorado.edu/news/releases/2012/10/04/updated-election-forecasting-model-still-points-romney-win-university.

Vorrei sottolineare che PS: Political Science & Politics, una rivista molto importante della American Political Science Association ha pubblicato le analisi dei modelli delle elezioni presidenziali ogni quattro anni a partire dal 1996, ma quest'anno i 13 modelli presentati hanno mostrato più che mai una maggiore spaccatura nei risultati. Cinque prevedono una vittoria di Obama, cinque previsioni una vittoria di Romney e tre ipotizzano per il 2012 un risultato a pari merito. Come nel caso dei modelli economici e dei programmi di austerità, si può trovare sempre quello che fa proprio il caso del vostro candidato preferito. Qui vi

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potete divertire con tutti i 13 modelli http://journals.cambridge.org/action/displayJournal?jid=PSC.

Brasile, Uruguay, Argentina, Chicago, New York e North Dakota

Domenica prossima parto per il Brasile, Uruguay, Argentina per almeno due settimane e starò assieme al mio partner sudamericano, Enrique Fynn di Fynn Investments (che ha sede in Uruguay). Ma farò anche quasi una settimana di vacanza a le Cafayete in Argentina, dove i miei amici di Casey Research hanno sviluppato una splendida località nel nord dell'Argentina. Ci saranno un sacco di buoni amici, delle lunghe conversazioni e inoltre spero di riposarmi e rilassarmi così da poter terminare di leggere un paio di libri.

Quando tornerò indietro andrò poi a Chicago ad un evento con i miei partners in occasione della conferenza di Impact Schwab. Poi andrò a New York per la Post Election Summit Conference che ho citato prima. Il giorno dopo la festa del Ringraziamento andrò ad una conferenza nel Nord Dakota. E poi tornerò a New York per l'annuale Festivus (e di raccolta fondi), organizzata da Todd Harrison e dai miei amici a Minyanville.

E' davvero il momento di premere il pulsante di invio. Per una serie di ragioni, alcune perfettamente ragionevoli ma alcune non così tanto questa è la lettera che abbia mai inviato così in ritardo in 13 anni. Devo lavorare di più per far si che questa lettera possa essere spedita nei tempi previsti, questo è il mio nuovo programma.

Buona settimana. Questo sarà molto corta per me, in quanto devo fare così tante cose prima di partire.

Il tuo analista pronto ad ascoltare l'ultimo dibattito,

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