I-PARTE GENERALE · batteri Gram negativi. Il primo ad essere sintetizzato fu l’acido nalidissico...

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA FACOLTÁ DI FARMACIA Corso di Laurea Specialistica in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche Dipartimento di Chimica e Tecnologia del Farmaco e Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche TESI DI LAUREA SPERIMENTALE MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN METODO DI SCREENING IMMUNOENZIMATICO PER LA DETERMINAZIONE DI RESIDUI DI CHINOLONICI IN TESSUTI ANIMALI OPTIMIZATION AND VALIDATION OF AN IMMUNOENZYMATIC SCREENING METHOD FOR THE RESIDUES DETERMINATION OF QUINOLONES IN ANIMAL TISSUES Laureanda: Relatori: Valeria Di Girolamo Prof.ssa Luana Perioli Dott.ssa Roberta Galarini Anno Accademico 2007-2008

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  • UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA

    FACOLTÁ DI FARMACIA

    Corso di Laurea Specialistica in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

    Dipartimento di Chimica e Tecnologia del Farmaco e

    Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche

    TESI DI LAUREA SPERIMENTALE

    MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN METODO DI SCREENING IMMUNOENZIMATICO PER LA

    DETERMINAZIONE DI RESIDUI DI CHINOLONICI IN TESSUTI ANIMALI

    OPTIMIZATION AND VALIDATION OF AN

    IMMUNOENZYMATIC SCREENING METHOD FOR THE RESIDUES DETERMINATION OF QUINOLONES IN

    ANIMAL TISSUES

    Laureanda: Relatori: Valeria Di Girolamo Prof.ssa Luana Perioli Dott.ssa Roberta G alarini

    Anno Accademico 2007-2008

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    I-PARTE GENERALE

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    1. I CHINOLONI

    1.1. Introduzione

    I chinoloni sono una classe di farmaci antimicrobici di origine sintetica nati in

    seguito alla scoperta casuale di un prodotto secondario della sintesi della

    clorochina (antimalarico) che possedeva una modesta attività nei confronti dei

    batteri Gram negativi. Il primo ad essere sintetizzato fu l’acido nalidissico che

    nel 1963 fu introdotto in terapia come chemioterapico delle vie urinarie. Il suo

    uso, tuttavia, è andato via via declinando a causa del limitato spettro d’azione e

    dei problemi di resistenza batterica [I].

    L’acido nalidissico, oggi, non è più utilizzato in terapia ma alcune sue modifiche

    strutturali hanno determinato la sintesi di composti che presentano un notevole

    incremento dell’attività antimicrobica, un ampliamento dello spettro di azione e

    una riduzione dei fenomeni di resistenza acquisita, parallelamente ai minori

    effetti collaterali indesiderati. Si è quindi assistito alla sintesi di ben tre

    generazioni di chinoloni [II].

    Dal punto di vista chimico, la struttura base dei chinoloni è quella di un

    eterociclico aromatico con anelli condensati e un gruppo chetonico in posizione

    4. La maggior parte dei chinoloni presenta un solo atomo di azoto in posizione 1

    (chinoline), ma alcuni possiedono due atomi di azoto in posizione 1 e 8

    (naftiridine) o, ancora, tre atomi di azoto in posizione 1, 3 e 8 (piridopirimidine),

    come riportato in Figura 1. Inoltre va sottolineato che in posizione 3 è sempre

    presente il gruppo carbossilico che ha un ruolo fondamentale per le proprietà

    farmacologiche dei chinoloni [I, II].

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    Figura 1- Nomenclatura dei chinoloni

    (da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)

    Tutti i chinoloni hanno in comune un identico meccanismo d’azione,

    caratterizzato dall’inibizione della subunità A della DNA-girasi batterica, nonché

    una resistenza batterica esclusivamente di tipo cromosomico e alcuni effetti

    indesiderati simili (fototossicità, neuro tossicità e tossicità cartilaginea) [I].

    Siccome alcuni di questi farmaci sono impiegati nel settore zootecnico [I], la

    presenza di loro residui negli alimenti di origine animale è stata regolamentata a

    livello comunitario e sono stati fissati dei limiti massimi di residui (LMR) nel

    Regolamento 2377/90(1). Per questo motivo, infatti, la loro ricerca nei tessuti di

    alcune specie animali, nelle uova e nel latte è contemplata nei Piani di

    monitoraggio dei residui effettuati in conformità alle normative dell’Unione

    Europea (UE) [III].

    1 Regolamento 2377/90 del 26 giugno 1990 che definisce una procedura comunitaria per la definizione dei limiti massimi di residui di medicinali veterinari negli alimenti di origine animale (GUCE L 224/1 del 18.08.1990).

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    1.1.1. Chinoloni di prima generazione

    Nella maggior parte dei casi i chinoloni presentano una struttura biciclica, a

    eccezione della flumechina, dell’acido ossolinico e della cinossacina con

    struttura triciclica. L’acido nalidissico ha una struttura 1,8-naftiridinica, mentre gli

    altri sono derivati di naftiridine, pirido-pirimidine o cinoline (cinossacina). Oltre

    alla funzione chetonica in posizione 4, è sempre presente un gruppo

    carbossilico in 3. Sull’atomo di azoto N1 si ha molto spesso una sostituzione

    etilica. Sull’atomo di carbonio in posizione 7 le sostituzioni sono molteplici

    (metile, piperidina etc.). In Figura 2 sono riportate le strutture dei principali

    chinoloni appartenenti alla prima generazione. Dal punto di vista chimico, il

    passaggio strutturale che porta alla sintesi dei chinoloni di seconda

    generazione, si nota nella flumequina (sostituzione di un atomo di fluoro in

    posizione C6) e nell’acido pipemidico (sostituzione di un nucleo piperazinico in

    posizione 7) [II].

    Figura 2- Chinoloni di prima generazione

    (da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)

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    1.1.2. Chinoloni di seconda generazione

    L’introduzione in posizione 6 di un atomo di fluoro e in posizione 7 di un anello

    piperazinico ha comportato le modifiche più significative per i chinoloni di

    seconda generazione, aumentandone l’attività antimicrobica, nonché lo spettro

    d’azione rispetto alle caratteristiche della molecola precursore, ovvero l’acido

    nalidissico. I principali composti appartenenti a questo gruppo sono riportati in

    Figura 3. Si può affermare che la norflossacina è stato il primo fluorochinolone

    propriamente detto, in quanto presenta non solo il fluoro in posizione 6, ma

    anche l’altro elemento strutturale fondamentale che è la piperazina in posizione

    7. Le modifiche strutturali, inoltre, hanno contribuito a migliorare le

    caratteristiche farmacocinetiche, in particolare la biodisponibilità che permette,

    in molti casi, la somministrazione per via orale dei chinoloni di seconda

    generazione, nonché un aumento della capacità di diffusione tissutale

    complessiva. Il fluoro, infatti, potenzia l’attività contro i Gram positivi patogeni

    (Clostridium, Staphilococcus, Streptococcus), mentre l’anello piperazinico

    aumenta l’efficenza contro gli organismi Gram negativi (Escherichia coli,

    Pseudomonas aeruginosa, Salmonella enteritidis) [I, II].

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    Figura 3- Chinoloni di seconda generazione

    (da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)

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    1.1.3. Chinoloni di terza generazione

    I nuovi composti di terza generazione, presentati in Figura 4, sono caratterizzati

    da un’aumentata complessità strutturale, che ha introdotto interessanti

    proprietà, quali l’attività contro i cocchi Gram positivi (in particolare S.

    pneumoniae) e, per alcuni, contro anaerobi e patogeni atipici. In alcuni casi la

    maggior potenza di azione e l’ampiezza dello spettro si coniugano con proprietà

    farmacocinetiche migliorate che permettono di somministrare questi farmaci

    una sola volta al giorno. Va sottolineato che non c’è comune accordo sulla

    classificazione dei chinoloni e alcuni autori suddividono le molecole in quattro

    generazioni [II].

    Figura 4- Chinoloni di terza generazione

    (da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)

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    1.2. Proprietà acido-base

    Il gruppo carbossilico in posizione 3 conferisce ai chinoloni caratteristiche acide.

    I 7-piperazinilchinoloni possiedono gruppi amminici basici e quindi, in soluzione

    acquosa, questi mostrano tre differenti forme: cationica, zwitterionica e

    anionica. In Figura 5 è riportato lo schema di protonazione/deprotonazione della

    ciproflossacina, che si trova nella sua forma protonata in ambiente acido e in

    quella deprotonata in ambiente basico, mentre a pH neutro è in equilibrio con la

    sua forma zwitterionica dalla quale dipende la sua scarsa solubilità in acqua a

    pH fisiologico [II].

    Figura 5- Schema di protonazione/deprotonazione del la ciproflossacina

    (da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)

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    Diversamente, chinoloni come l’acido ossolinico, la flumechina e l’acido

    nalidissico possono avere solo due forme: neutra e anionica. Questi ultimi sono

    detti chinoloni acidi, mentre i chinoloni come la ciproflossacina, che possiedono

    l’anello piperazinico, sono detti anfoteri. I valori di pKa per i chinoloni acidi sono

    compresi nel range 6.0-6.9 mentre gli anfoteri hanno valori di pKa1 5.5-6.6 e di

    pKa2 7.2-8.9 [II].

    1.3. Relazione struttura-attività

    Lo studio delle relazioni tra struttura e attività farmacologica ha permesso di

    mettere in evidenza che la caratteristica indispensabile dei chinoloni, affinché si

    manifesti l’attività antibatterica, è la presenza del gruppo 1,4-diidro-4-piridon-3-

    carbossilico, comune a tutti i chinoloni e, solo eccezionalmente, può essere

    sostituito da quello isosterico 1,4-diidro-4-piridazinon-3-carbossilico

    (sostituzione del CH= con –N=) [I].

    Le proprietà antibatteriche dei chinoloni dipendono strettamente dalla funzione

    carbossilica libera in posizione 3, tanto che la sua sostituzione con un gruppo

    estereo, ammidico o con gruppi affini (CN, COCH3, SO2CH3) ne annulla

    l’attività. La presenza del gruppo chetonico in posizione 4, allo stesso modo, è

    indispensabile per l’inibizione della DNA-girasi.

    Tutti i fluorochinoloni sono caratterizzati dalla presenza di un atomo di fluoro in

    posizione 6 che ha portato ai miglioramenti di cui sopra.

    Anche i gruppi in posizione 7 influenzano significativamente l’inibizione della

    DNA-girasi e l’attività antibatterica. Piccoli radicali lineari, come -CH3, -Cl, -NH2,

    -NHCH3, hanno permesso di ottenere composti con spettro d’attività ristretto,

    benché più ampio di quello dell’acido nalidissico. Le sostituzioni con gruppi di

    maggiori dimensioni, come ad esempio gruppi piperazinici, 3-amino-pirrolidinici

    e 3-metilaminometil-pirrolidinici, hanno portato a composti caratterizzati da una

    minore potenza in vitro, ma con il vantaggio di garantire livelli plasmatici più

    elevati dopo somministrazione orale [I].

    Il radicale piperazinico migliora, tra l’altro, l’attività anti-Pseudomonas dei

    fluorochinoloni. Infine l’aggiunta di atomi di Cl o F in posizione 8 non influenza

    negativamente l’inibizione della DNA-girasi, ma migliora la capacità del farmaco

    di penetrare nella cellula ed il suo assorbimento gastrointestinale [I].

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    1.4. Meccanismo d’azione

    All’interno della cellula batterica si trova una grande quantità di DNA (circa 1

    metro) contenuta in uno spazio ridotto (circa 1-2 micron). Per permettere che

    l’intero DNA sia compreso in una cellula di pochi micron di lunghezza, è

    necessario che il doppio filamento di DNA batterico subisca una forte

    compattazione, che può avvenire grazie ad un “superavvolgimento” del DNA.

    La formazione di un DNA tridimensionale superavvolto avviene grazie a

    numerose transizioni momentanee nella sua struttura, che lo portano a

    comprimersi e a ricostituirsi nella giusta configurazione. Sia le cellule procariote

    che eucariote sono dotate di due enzimi, la topoisomerasi I e la topoisomerasi

    II, in grado di promuovere le interruzioni nei filamenti di DNA e di cooperare,

    quindi, nel processo di superavvolgimento. La topoisomerasi I altera

    transitoriamente la topologia del DNA provocando interruzioni ed unioni su di un

    singolo filamento di DNA, mentre la topoisomerasi II determina interruzioni ed

    unioni su entrambi i filamenti della struttura a doppia elica del DNA.

    I batteri sono dotati di un particolare tipo di topoisomerasi II, la DNA-girasi, che

    introduce un superavvolgimento negativo nella molecola a doppio filamento del

    DNA batterico. Questo spiega la selettiva tossicità dei chinoloni nei confronti dei

    batteri, piuttosto che nei confronti dei mammiferi, che non possiedono questo

    particolare enzima.

    La DNA-girasi è costituita da due subunità, la A e la B, che devono agire

    contemporaneamente perché si realizzi il superavvolgimento. La subunità A

    contiene il sito di legame del DNA e sovrintende alla capacità di ricongiungere

    le interruzioni della doppia catena del DNA, mentre la subunità B sovrintende

    alla trasformazione di energia necessaria ed alla idrolisi dell’ATP tanto da

    essere ritenuta la reale responsabile dell’introduzione del superavvolgimento

    negativo nel doppio filamento di DNA.

    I chinoloni, e in particolare i fluorochinoloni, esercitano, quindi, la loro azione

    tramite il meccanismo di inibizione selettiva della DNA-giarasi, soprattutto a

    livello delle sue subunità. Si ritiene infatti che l’inibizione della DNA-girasi

    batterica sia il fondamentale meccanismo con il quale questi farmaci esercitano

    i loro effetti battericidi. I meccanismi molecolari che bloccano la replicazione del

    DNA del microrganismo non sono però ancora completamente noti.

    L’interruzione della sintesi di proteine batteriche e di RNA sembra essere il

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    fenomeno intracellulare indispensabile per il definitivo espletamento dell’attività

    battericida [I].

    1.5. Spettro antimicrobico

    I fluorochinoloni sono farmaci molto attivi a concentrazioni estremamente

    basse, rispetto ai più tradizionali antibatterici come le penicilline, le

    cefalosporine, le tetracicline, i macrolidi e gli inibitori dell’acido folico. La

    suscettibilità di un certo microrganismo ai singoli composti del gruppo può

    tuttavia variare in misura considerevole, pur essendo questi strutturalmente e

    chimicamente simili. In linea generale, i fluorochinoloni sono attivi nei confronti

    di bacilli e cocchi Gram negativi intestinali (E. Coli , Kelbsiella spp., Shigella

    spp., ecc.) e di altri Gram negativi come Salmonella spp.,Yersinia spp.,

    Aeromonas spp., Proteus spp. e Pseudomonas aeruginosa. Sono attivi però

    anche nei confronti di Gram positivi come Staphilococcus aureus e

    Staphilococcus epidermidis, Haemophilus spp., Neisseria spp. e Campylobacter

    spp. e rivelano attività variabile nei confronti della maggior parte dei ceppi di

    streptococco, tra cui Streptococcus pyogenes, streptococchi emolitici dei gruppi

    B, C, F e G, Streptococcus pneumonite ed Enterococcus faecalis. Molti cocchi

    anaerobi, come Clostridia e Bacteroides, sono invece insensibili a questo tipo di

    farmaci. Nei confronti di alcuni batteri si è riscontrato anche un prolungato

    effetto post-antibiotico, come nel caso della norflossacina nei confronti dello

    Staphilococcus aureus, E. Coli, ecc [I].

    1.6. Usi terapeutici in medicina veterinaria

    In medicina umana i chinoloni sono impiegati principalmente per curare

    numerose infezioni microbiche a carico delle vie genito-urinarie e respiratorie e,

    grazie alle loro interessanti proprietà, il loro uso è stato largamente esteso

    anche alla medicina veterinaria. Trattandosi, infatti, di composti notevolmente

    meno tossici, ma con spettro antimicrobico simile, degli aminoglicosidi, i

    chinoloni stanno assumendo il ruolo di farmaci di elezione per il trattamento

    delle infezioni gravi da Gram negativi negli animali da allevamento, domestici e

    in acquacoltura. In particolare alcuni di loro come norflossacina, enroflossacina

    e ciproflossacina, vengono utilizzati per curare infezioni (complicate e non) delle

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    vie urinarie nel cane e nel gatto. Inoltre, i fluorochinoloni (in particolare

    l’enroflossacina) sembrano raggiungere anche nel tessuto prostatico

    concentrazioni sufficienti a curare le prostatiti batteriche [I].

    Le principali applicazioni dei fluorochinoloni riguardano comunque il trattamento

    delle infezioni delle vie respiratorie e del tratto gastrointestinale, principalmente

    in animali d’allevamento. Questi infatti, in particolare la norflossacina,

    raggiungono, nel tessuto polmonare di molti animali, concentrazioni superiori a

    quelle sieriche, tali da risultare superiori alle MIC (concentrazione inibente

    minima) per molti patogeni. D’altra parte, la decolonizzazione selettiva

    dell’apparato gastrointestinale, che si verifica dopo somministrazione di

    chinoloni, risulta vantaggiosa per trattare le infezioni da microrganismi sensibili

    che qui si instaurano.

    L’enroflossacina è il fluorochinolone più usato nell’UE per il trattamento delle

    infezioni, soprattutto nell’allevamento avicolo e suinicolo [IV].

    La flumechina , sembra essere il fluorochinolone principalmente utilizzato,

    sottoforma di pellets commestibili, nella produzione di alimenti medicati ad uso

    zootecnico per l’acquacoltura e per il pollame, grazie alla sua efficacia sia nella

    terapia che nella prevenzione di molte infezioni batteriche [IV]. Studi effettuati

    somministrando flumechina a galline ovaiole in una dose pari a 200 mg/L

    d’acqua per 5 giorni consecutivi, mostrano la presenza di residui nelle uova a

    partire dal secondo giorno di trattamento fino all’undicesimo giorno dopo il

    termine dello stesso. I residui si distribuiscono principalmente nell’albume [I].

    L’acido ossolinico è stato autorizzato per il trattamento delle infezioni in pesci,

    bovini, suini e pollame per via orale [IV]. Può essere somministrato tramite

    alimenti, acqua o come compressa. Esso è velocemente assorbito in seguito a

    somministrazione orale, ma tale assorbimento è variabile e può dipendere dalla

    specie animale, dalla formulazione del farmaco, dalla dieta dell’animale e dallo

    stadio della malattia. Quando ai polli viene somministrato acido ossolinico per

    un certo periodo di tempo, alla fine del trattamento è possibile evidenziare

    residui di tale farmaco nel fegato, nei reni e nel muscolo. Per questo motivo le

    uova, insieme al tessuto muscolare e ai mangimi, sono alcune delle matrici

    previste per la ricerca di residui di chinolonici nei piani di monitoraggio degli

    alimenti di origine animale [I].

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    1.7. Resistenza e tossicità

    L’unico meccanismo noto tramite il quale i batteri possono manifestare

    resistenza nei confronti dei chinoloni è quello di una modificazione

    cromosomiale, la quale può comportare alterazioni dell’enzima bersaglio (DNA-

    girasi), principalmente a carico della subunità A, o provocare ridotta capacità

    del farmaco di penetrare all’interno della cellula microbica [I]. I chinoloni

    penetrano nelle cellule microbiche per diffusione attraverso il doppio strato

    fosfolipidico e tramite le porosità dello strato più esterno dei batteri Gram

    negativi. Un aumento della lipofilia della membrana cellulare e della porosità

    può ridurre la capacità del farmaco a penetrare nella cellula e pertanto rendere

    la cellula stessa resistente ad esso [I].

    I principali effetti tossici si manifestano quando i farmaci vengono somministrati

    a dosi terapeutiche in animali ancora immaturi. Tutti gli appartenenti al gruppo

    dei chinoloni sono in grado di provocare lesioni articolari nei giovani animali con

    evidenti zoppie e forti dolori dovuti alle alterazioni a carico delle cartilagini di

    accrescimento. Pertanto questi farmaci non possono essere somministrati a

    giovani animali ancora in fase di sviluppo osseo, ossia nella maggior parte dei

    cani sotto gli otto mesi di età, nei cavalli giovani e negli animali gravidi in genere

    [I].

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    2. IL CONTROLLO DEI RESIDUI NEGLI ALIMENTI DI ORIGI NE

    ANIMALE

    2.1. Il Piano Nazionale Residui

    I prodotti di origine animale, come carne, latte, uova costituiscono la parte

    preponderante dell’alimentazione nei paesi industrializzati e la sempre

    crescente domanda di alimenti proteici ha stimolato e condizionato lo sviluppo

    della zootecnia sia attraverso la selezione genetica ed il miglioramento delle

    tecniche di produzione, trasformazione e conservazione di mangimi e foraggi,

    sia attraverso il ricorso alla somministrazione di sostanze diverse da quelle

    alimentari, quali farmaci, additivi, ormoni, ecc. Tra queste molecole, quelle

    maggiormente utilizzate per incrementare il rendimento delle produzioni

    zootecniche, sono state e sono i prodotti ad azione ormonale ed antiormonale,

    gli antibiotici, i β-agonisti, il cui impiego, purtroppo, non è esente da rischi

    igienico-sanitari, sia sugli alimenti che sulla salute del consumatore. Una vasta

    serie di molecole autorizzate (antibiotici, antielmintici, anticoccidici, etc.) sono,

    inoltre, impiegate in allevamento come medicinali veterinari nella prevenzione

    e nella cura delle malattie [V].

    Il problema del controllo dei residui nelle derrate alimentari di origine animale

    si è così intensificato con il passare del tempo, anche per l’attenzione e

    l’interesse sempre maggiori che il consumatore ha rivolto a questa tematica.

    D’altra parte, la preoccupazione è giustificata dal fatto che un numero

    crescente di farmaci viene impiegato nelle produzioni animali e ciò,

    potenzialmente, espone il consumatore all’assunzione di residui di xenobiotici,

    se pur in piccole quantità, per la durata di tutta una vita. Di conseguenza negli

    ultimi decenni il legislatore, sia in ambito comunitario che nazionale, si è

    fortemente impegnato a emanare una serie di normative atte a migliorare gli

    aspetti inerenti alla sicurezza alimentare.

    Il tema dell’igiene e della sicurezza degli alimenti di origine animale, infatti, è

    una fase complessa ed articolata che fa parte di un processo che inizia in

    allevamento con la lotta alle malattie infettive trasmissibili tra animali, e di cui

    fanno parte la lotta alle zoonosi, il controllo degli alimenti destinati agli animali,

    la vigilanza sull’inquinamento ambientale di derivazione animale, la

    sorveglianza sul benessere e sulla sanità animale.

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    Se certe sostanze possono essere assunte dagli animali in modo del tutto

    involontario o accidentale (contaminanti ambientali), esistono invece, come

    sopra accennato, molecole che vengono loro somministrate volontariamente.

    Si tratta sia di farmaci veterinari autorizzati utilizzati a scopi terapeutici, sia di

    promotori di crescita (sostanze ad azione ormonale) somministrati in modo del

    tutto illecito per aumentare le rese delle produzioni di carne. Il legislatore, da

    oltre quarant’anni, sta richiamando l’attenzione degli operatori sanitari su

    queste problematiche legate sostanzialmente alla presenza di residui, i cui

    effetti biologici sono strettamente correlati alle caratteristiche tossicologiche

    del farmaco progenitore, alla sua metabolizzazione nell’organismo animale, ai

    legami che i diversi metaboliti formano con le molecole biologiche e che ne

    condizionano la biodisponibilità, oltre che la loro degradazione.

    Nella Comunità Europea (CE) il problema dei residui delle sostanze ad azione

    anabolizzante utilizzate in zootecnica venne alla ribalta nel 1981 con la

    Direttiva 81/602/CEE (2,3).

    A causa del problema dei residui di anabolizzanti nelle carni, con questa

    Direttiva gli Stati membri decidevano di vietare la somministrazione agli

    animali in allevamento di sostanze ad azione tireostatica, estrogena,

    androgena e gestagena e l’immissione sul mercato di animali ai quali fossero

    state somministrate dette sostanze. A seguito di questo provvedimento, la CE,

    con la Direttiva 86/469/CEE(4), decise di istituire dei piani annuali di controllo

    degli animali e delle carni fresche per la presenza di residui di medicinali

    veterinari e di altri contaminanti, ritenuti un rischio per la salute del

    consumatore, oltre che un danno per la qualità delle carni.

    Fino ad allora, infatti, le modalità di controllo, la frequenza dei campionamenti e

    le concentrazioni massime consentite di residui di farmaci e contaminanti

    ambientali erano disciplinate in maniera profondamente eterogenea nei vari Stati

    2 Per dare attuazione alle politiche in materia di sicurezza e qualità degli alimenti, la Comunità ha adottato principalmente due tipi di strumenti normativi: i Regolamenti e le Direttive. I primi non necessitano di normative particolari di recepimento da parte degli Stati membri, mentre le Direttive possono contenere solo principi generali della disciplina delle materie che vanno a regolare e sono rivolte ai singoli Stati membri, che devono attuarle con proprie leggi ordinarie. 3 Direttiva 81/602/CEE del Consiglio, del 31 luglio 1981, concernente il divieto di talune sostanze ad azione ormonica e delle sostanze ad azione tireostatica. Recepita in Italia con il Decreto: Decreto Ministeriale 3 novembre 1981: " Divieto di vendita di medicinali (specialità di medicinali o galenici) per uso veterinario contenenti stilbenici o tireostatici". 4 Direttiva 86/469/CEE del 16 settembre 1986 concernente il controllo degli animali e delle carni fresche per la presenza di residui.

  • 17

    membri. Ciò comportava, fra l’altro, notevoli ostacoli agli scambi intracomunitari

    ed una distorsione delle condizioni di concorrenza tra produzioni.

    Pertanto, fu necessario trovare una soluzione globale e uniforme per

    l’effettuazione dei controlli all’interno della Comunità per la ricerca di residui negli

    animali di allevamento, nelle carni e nei prodotti a base di carne, sia che questi

    prodotti fossero destinati al mercato nazionale degli Stati membri oppure agli

    scambi intracomunitari. Venne, quindi, stabilito che gli Stati membri avrebbero

    dovuto elaborare un piano annuale di controllo tenendo conto della propria

    specifica situazione: tale piano è effettuato ancora oggi e va sotto il nome di

    Piano Nazionale Residui (PNR) [VI].

    La Direttiva 86/469/CEE sanciva che i campionamenti fossero eseguiti in modo

    ufficiale secondo criteri comuni per le diverse categorie di sostanze interessate e

    che i campioni venissero analizzati in laboratori ufficialmente autorizzati. Ed

    infine, qualora una determinazione analitica avesse rilevato la presenza di

    residui di sostanze non consentite o di sostanze consentite in concentrazione

    superiore al limite ammesso (campione non conforme), si imponeva l’adozione

    di misure comuni intese ad accertare la causa della non conformità, a eliminare

    il problema ed atte ad assicurare che i prodotti coinvolti fossero effettivamente

    esclusi dal consumo.

    Ciascun Paese Membro doveva quindi provvedere affinché la ricerca dei residui

    negli animali, nei loro escrementi e liquidi biologici, nonché nei tessuti e nelle

    carni fresche venisse eseguita conformemente alle prescrizioni dettate dalla

    Direttiva 86/469/CEE. Inoltre, i singoli paesi della CE affidavano a un servizio o

    organismo centrale il compito di coordinare l’esecuzione dei controlli previsti

    dalla Direttiva. Tale organismo doveva coordinare le attività dei servizi regionali

    effettivamente incaricati di effettuare i controlli, raccogliere i risultati e le

    informazioni da trasmettere alla Commissione e infine, di primaria importanza,

    elaborare annualmente i piani stessi. Per quanto riguarda l’esecuzione delle

    analisi, nel nostro paese furono affidate alla rete dei Laboratori degli Istituti

    Zooprofilattici Sperimentali.

    L’elenco completo e la classificazione delle sostanze da ricercare era riportato

    nell’Allegato I della stessa Direttiva e prevedeva categorie comuni a tutti gli stati

    membri (A) e categorie specifiche (B).

    L’approvazione dei singoli piani nazionali veniva decisa dalla Commissione

    Europea previa verifica della loro conformità ai requisisti della Direttiva CEE

  • 18

    86/469; in caso di mancata approvazione lo Stato Membro avrebbe dovuto

    modificare e/o completare il piano proposto.

    A partire dal 1988, quindi, l’Italia attua il proprio PNR che ha subito nel tempo

    molte modifiche derivanti dalla necessità di adeguamento alle nuove

    problematiche, nell’ambito dei residui, che via via si presentavano. Nel tempo

    l’enorme progresso delle tecniche analitiche e i vari allarmi a livello mondiale,

    nell’ambito della sicurezza alimentare, hanno portato, ad esempio,

    all’introduzione della ricerca di diossine, di metaboliti di nitrofuranici o di alcuni

    gestageni [V]. Inoltre, nuovi settori produttivi sono stati via via coinvolti nei

    campionamenti programmati tanto che i controlli che, inizialmente, riguardavano

    prevalentemente il settore bovino (1988), attualmente prevedono il

    campionamento nei settori bovino, suino, ovi-caprino, equino, avicolo, cuniculo,

    selvaggina allevata ed acquacoltura. Inoltre sono effettuati anche prelievi di

    latte, miele e uova.

    Nel 1997 l’Italia dovette tener conto di due fondamentali Direttive promulgate

    proprio dal Consiglio d’Europa durante il 1996(5). Le due Direttive furono recepite

    nell’ordinamento nazionale solo qualche anno più tardi con il Decreto Legislativo

    n. 336 del 4 agosto 1999(6) e sono alla base del PNR attuale.

    Tra le novità, la Direttiva 96/23/CE comportava una riclassificazione delle

    sostanze da ricercare come riportato in Tabella 1. Come si può osservare, nella

    Categoria A sono incluse le sostanze considerate fonte di gravi rischi per la

    salute pubblica e per le quali non è, quindi, possibile fissare un LMR, mentre

    nella Categoria B si collocano i farmaci veterinari con LMR (ad esempio i

    chinoloni che appartengono, nello specifico, alla categoria B1) ed i contaminanti

    ambientali (metalli pesanti, micotossine, pesticidi etc.).

    5 Direttiva 96/22/CE del 29 aprile 1996: "concernente il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze beta-agoniste nelle produzioni animali e che abroga le direttive 81/602/CEE, 88/146/CEE e 88/299/CEE". Direttiva 96/23/CE del 29 aprile 1996: "concernente le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti". 6 Decreto Legislativo n. 336 del 4 agosto 1999: "Attuazione delle direttive 96/22/CE e 96/23/CE concernenti il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze β-agoniste nelle produzioni di animali e le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti"

  • 19

    Tabella 1- Classificazione delle sostanze da ricerc are come indicato nell’Allegato I della Direttiva 96/23/CEE [VI]

    Categoria A - Sostanze ad effetto anabolizzante e s ostanze non autorizzate categoria A, 1

    stibeni, loro derivati e loro sali ed esteri

    categoria A, 2

    agenti antitiroidei

    categoria A, 3

    steroidi

    categoria A, 4

    lattoni dell'acido resorcilico (compreso lo zeranolo)

    categoria A, 5

    beta-agonisti

    categoria A, 6

    sostanze incluse nell'allegato VI del regolamento (CEE) n. 2377/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990

    Categoria B - Farmaci veterinari ((((7)))) e contaminanti ambientali

    categoria B, 1 sostanze antibatteriche, compresi sulfamidici e chinoloni

    altri prodotti medicinali veterinari: B, 2a antielmintici

    B, 2b coccidiostatici, compresi i nitroimidazoli

    B, 2c carbammati e piretroidi

    B, 2d tranquillanti

    B, 2e antinfiammatori non steroidei (AINS)

    categoria B, 2

    B, 2f altre sostanze esercitanti un'attività farmacologia

    altre sostanze e agenti contaminanti per l'ambiente: B, 3a composti organoclorurati, compresi i PCB

    B, 3b composti organofosforati

    B, 3c elementi chimici

    B, 3d micotossine

    B, 3e coloranti

    categoria B, 3

    B, 3f altri

    7 Comprese le sostanze non registrate utilizzabili a fini veterinari.

  • 20

    2.2. I controlli analitici

    Parallelamente all’istituzione dei Piani Nazionali, un nodo fondamentale era

    quello di avere un sistema di controlli efficace. Infatti garantire l’affidabilità dei

    dati non era un problema banale, data la numerosità e la disomogeneità dei

    laboratori coinvolti nei vari paesi membri e la difficoltà intrinseca del settore

    analitico che si occupa di determinare tracce di sostanze in matrici complesse,

    quali gli alimenti di origine animale. L’UE si apprestò quindi a un’intensa

    attività legislativa riguardante i criteri di qualità che dovevano adottare i

    laboratori incaricati dello svolgimento delle analisi dei residui a livello

    comunitario. Attraverso la Direttiva 89/397/CEE(8) si introdussero importanti

    disposizioni riguardo alla necessità di un controllo pubblico dei prodotti

    alimentari. La Direttiva prevedeva:

    • ampliamento del campo di azione dei controlli a tutte le fasi della

    produzione, della fabbricazione, del magazzinaggio, del trasporto, della

    distribuzione, dell'importazione e del commercio;

    • controllo sui prodotti alimentari anche all’esame dei sistemi di verifica

    della qualità eventualmente installati dall'impresa e dei relativi risultati;

    • pubblicazione di un elenco delle autorità competenti nel settore del

    controllo dei prodotti alimentari di ciascuno stato membro, in cui siano

    indicati i territori di rispettiva competenza ed i laboratori abilitati ad

    effetuare le analisi;

    • nomina, da parte delle suddette autorità competenti, di laboratori ufficiali

    incaricati di effettuare le analisi.

    Per garantire la qualità del dato analitico era necessario introdurre un sistema

    di norme per i laboratori ufficiali dei vari Stati membri. Tale sistema doveva

    essere basato su norme approvate e standardizzate, ed i laboratori incaricati

    dovevano lavorare secondo metodi di analisi convalidati. Perciò venne

    8 Direttiva 89/397/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Recepita con il D.Lgs. 03/03/1993 n. 123. Attuazione della Direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari.

  • 21

    successivamente emanata la Direttiva 93/99/CE(9) con la quale si

    completavano in sostanza le disposizioni già riportate nella 89/397/CEE. Nelle

    sue premesse essa ribadisce, quale preoccupazione prioritaria del Consiglio,

    la necessità di introdurre un sistema di norme di qualità per i laboratori

    incaricati dagli Stati membri di effettuare il controllo ufficiale delle derrate

    alimentari; tale sistema doveva essere basato su norme generalmente

    approvate e standardizzate. Inoltre i laboratori erano tenuti, ove possibile, a

    impiegare metodi analitici convalidati. In particolare nella Direttiva si fissavano:

    • il personale delle strutture cui compete il controllo ufficiale;

    • i requisiti necessari per il funzionamento dei laboratori(10);

    • gli organismi responsabili della verifica dei laboratori;

    • i requisiti e le modalità dei sistemi di verifica dei laboratori;

    • le procedure relative al sistema di mutua assistenza amministrativa e di

    scambio di informazioni nonché alle ispezioni congiunte con gli agenti

    dell'UE.

    Ogni Stato membro, dal 1° novembre 1998, era in sos tanza obbligato a

    prendere i provvedimenti necessari affinché:

    • i laboratori fossero conformi ai criteri generali stabiliti dalla norma

    europea UNI CEI EN 45001, ovvero fossero accreditati;

    • fossero designati gli organismi responsabili della valutazione e del

    riconoscimento dei laboratori preposti al controllo ufficiale. Tali

    organismi dovevano soddisfare i criteri generali stabiliti dalla norma

    europea UNI CEI EN 45003;

    9 Direttiva 93/99/CE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, riguardante misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Recepita con il D.Lgs.26/05/1997, n.156. Attuazione della Direttiva 93/99/CE concernente misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Sia la Direttiva 89/397/CEE che la 93/99/CE sono state abrogate con effetto dal 1° gennaio 2006 dall’articolo 61 del Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali (GU L 165 del 30.4.2004). 10 I laboratori adibiti al controllo ufficiale sono quelli precisati all’articolo 7 della 89/397/CEE.

  • 22

    • la valutazione dei laboratori di prova doveva avvenire applicando i

    requisiti stabiliti dalla norma UNI CEI EN 45002.

    In Italia, nel novembre 1998, solo alcune strutture operavano in conformità alla

    norma EN 45001 o erano in attesa di ricevere gli audit (verifiche ispettive) da

    parte dell’unico organismo operante sul territorio nazionale in conformità alla

    UNI CEI EN 45003: il SINAL (Sistema Nazionale per l’Accreditamento dei

    Laboratori di prova).

    Nel frattempo la Direttiva 96/23/CE cercò di migliorare l'efficacia dei piani di

    sorveglianza messi in opera ogni anno degli Stati membri, assicurare la

    comparabilità dei risultati ottenuti ed armonizzare le modalità di applicazione

    per il campionamento.

    A tal fine, venne emanata la Decisione 98/179/CE(11) la quale, all’articolo 1,

    stabiliva che le analisi dei campioni dovevano essere effettuate

    esclusivamente presso laboratori per il controllo ufficiale dei residui riconosciuti

    dall'autorità competente, ribadendo la necessità di assicurare la qualità e la

    comparabilità dei risultati analitici. I laboratori autorizzati erano, quindi, tenuti a

    partecipare a un programma esterno, riconosciuto sul piano internazionale, di

    valutazione qualitativa e di accreditamento. Tale obiettivo doveva essere

    conseguito attraverso l’accreditamento (da ottenersi prima del 1° gennaio

    2002) e la partecipazione degli stessi a circuiti interlaboratorio (proficiency

    testing schemes), organizzati dai Laboratori Nazionali di Riferimento (LNR) o

    dai Laboratori Comunitari di Riferimento (LCR) [VII].

    Con la Decisione 98/179/CE si richiedeva dunque che, a partire dal 2002, i

    laboratori per il controllo ufficiale dovessero essere accreditati secondo la UNI

    CEI EN ISO/IEC 17025 [VIII] che, dal 2000, ha sostituito la EN 45001.

    Parallelamente allo svilupparsi dei Sistemi di Qualità, la UE emanava

    provvedimenti più specifici atti a garantire il rispetto di alcuni requisiti minimi.

    Infatti, la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 è di tipo orizzontale e, quindi

    piuttosto generica, non essendo indirizzata ad un settore analitico in

    particolare. Da questa considerazione, si sviluppa dunque un punto

    fondamentale della strategia dell’UE, che richiede ai propri laboratori ufficiali

    11 98/179/CE: Decisione della Commissione del 23 febbraio 1998 recante modalità d'applicazione per il prelievo ufficiale di campioni al fine della sorveglianza su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei prodotti di origine animale.

  • 23

    ulteriori requisiti di qualità, considerando l’ambito analitico nei quali questi

    operano, ovvero la ricerca di sostanze in tracce (residui).

    Prima del 1993, i criteri analitici da applicare ai metodi di riferimento erano

    riportati nella Decisione 89/610/CEE(12).

    Dal 1993 entrarono poi in vigore la Decisione 93/256/CE(13) e la Decisione

    93/257/CE(13).

    Nelle previsioni, queste due Decisioni avrebbero dovuto essere riviste entro il

    1996. Quindi, nel 1995, la Commissione Europea, in collaborazione con i

    quattro laboratori di riferimento comunitari, dava inizio a un lavoro di revisione

    tecnico-legislativo delle Decisioni 93/256/CE e 93/257/CE, proprio con il

    compito di superare i limiti evidenziati dalla normativa vigente, soprattutto alla

    luce dei progressi più recenti della chimica analitica. A causa della natura

    complessa dell’opera di revisione e delle istanze di partecipazione dei

    laboratori nazionali di riferimento, nel 1998 la Commissione designava un

    gruppo di lavoro ad hoc con il compito di delineare e revisionare i criteri relativi

    alla validazione dei metodi e all’interpretazione dei risultati. Questa attività

    portò finalmente alla pubblicazione nel 2002 della Decisione 2002/657/CE(14).

    La 2002/657/CE abroga sia la Decisione 93/256/CEE che la 93/257/CEE e,

    all’articolo 5, ribadisce che: “Gli Stati membri garantiscono la qualità dei

    risultati delle analisi dei campioni prelevati a norma della Direttiva 96/23/CE, in

    particolare attraverso la sorveglianza delle analisi e/o la calibrazione dei

    risultati in ossequio al capitolo 5.9 della ISO 17025” [VIII].

    La 2002/657/CE [VI,IX] si configura come un provvedimento completo e

    complesso, che ha dato adito ad alcune critiche e a diverse interpretazioni, ma

    che, comunque, rappresenta ormai un punto di riferimento sia per i laboratori

    ufficiali che non, all’interno dell’UE e anche al di fuori dei suoi confini. Infatti,

    12 89/610/CEE: Decisione della Commissione, del 14 novembre 1989, che stabilisce i metodi di riferimento e la lista dei laboratori nazionali da impiegare per la ricerca dei residui. 13 93/256/CE: Decisione della Commissione, del 14 aprile 1993, che stabilisce i metodi da impiegare per la ricerca dei residui di sostanze ad azione ormonica e di sostanze ad azione tireostatica. 93/257/CE: Decisione della Commissione, del 15 aprile 1993, che stabilisce i metodi di riferimento e l'elenco dei laboratori di riferimento nazionali per la ricerca dei residui. 14 2002/657/CE: Decisione della Commissione, del 12 agosto 2002, che attua la Direttiva 96/23/CE del Consiglio relativa al rendimento dei metodi analitici e all'interpretazione dei risultati (GUCE L221/8 del 17.08.2002). Precedentemente, con il nome di SANCO/1085/2000, era stata diffusa una bozza di revisione della Decisione 93/256/CE.

  • 24

    oltre a indicare i parametri di prestazione che devono essere determinati e i

    loro limiti di accettabilità, essa descrive anche il piano sperimentale per

    ottenerli. Indica, inoltre, i criteri da seguire nell’interpretazione dei risultati,

    modulando le prescrizioni anche in funzione della categoria delle sostanze

    analizzate (sostanze vietate appartenenti alla categoria A o permesse della

    categoria B).

    La Decisione supera, inoltre, la precedente distinzione tra i metodi di routine e

    di riferimento, distinzione riportata nella stessa Direttiva 96/23/CE (art. 15),

    lasciando solo la differenziazione tra metodi di screening e di conferma [X].

    In particolare, i metodi di screening sono usati per determinare la presenza di

    un analita o di una classe di analiti al di sopra o al di sotto del livello di

    interesse (LMR, presenza, etc..). Sono caratterizzati dalla capacità di

    analizzare un gran numero di campioni allo scopo di individuare quelli sospetti

    da processare, successivamente, con un metodo di conferma. Sono, quindi,

    sostanzialmente concepiti per evitare campioni falsi negativi (falsi conformi).

    I metodi di conferma , invece, devono fornire informazioni definitive per

    l’identificazione, e, se necessario, per il dosaggio dell’analita al livello

    d’interesse. Proprio per garantire questo, al contrario dello screening per cui

    non esistono prescrizioni particolari, la Decisione stabilisce che, per un esame

    di conferma, possano essere utilizzate solo tecniche strumentali con requisiti

    ben precisi.

    Con il provvedimento di cui sopra, l’obiettivo della Commissione è stato quello

    di garantire l’adozione di procedure analitiche con performances prestabilite.

    La filosofia perseguita dall’UE si configura, quindi, come molto flessibile dal

    punto di vista delle scelte di ciascun laboratorio, ma estremamente rigida sui

    criteri minimi di qualità da rispettare affinché un metodo di prova sia da

    considerarsi adeguato allo scopo. Tutto ciò si è reso necessario poiché, d’altra

    parte, l’utilizzo di metodi standardizzati ufficialmente riconosciuti (di

    riferimento), che costituirebbe già di per sé una garanzia di confrontabilità del

    dato analitico, si era dimostrata una strada inadatta proprio in virtù del

    continuo progresso tecnico-scientifico di questo particolare settore della

    chimica analitica. Inoltre questa strategia permette una maggiore flessibilità

    rispetto alle varie allerte, che via via possono presentarsi anche su

    analiti/matrici inusuali. Anche se molta strada rimane ancora da percorrere,

  • 25

    anche nell’armonizzazione e semplificazione delle norme che fissano requisiti

    tecnici riguardanti gli obblighi dei laboratori, l’impegnativa strategia comunitaria

    ha comunque fatto registrare imponenti miglioramenti. A dimostrazione di ciò,

    un esempio per tutti è rappresentato dall’abbassamento dei livelli medi di

    controllo per le sostanze vietate di oltre un ordine di grandezza dall’istituzione

    dei piani nazionali dal 1988 a oggi.

    3. I METODI ANALITICI DI SCREENING

    3.1. Introduzione

    La normativa europea vigente, riguardo alle performances dei metodi analitici

    per la ricerca di residui negli animali vivi e nei loro prodotti (Decisione

    2002/657/CE), prevede espressamente l’utilizzo di metodi di screening. Tale

    eventualità non è obbligatoria, ma riguarda una scelta del laboratorio.

    Tecnicamente i metodi di conferma, generalmente più sofisticati e costosi,

    possono essere utilizzati anche come primo approccio analitico e, nel caso in

    cui non siano disponibili adeguati metodi di screening, questo avviene

    sistematicamente. Tuttavia, quando è possibile, per il laboratorio e anche per il

    cliente, è estremamente conveniente avere a disposizione screening che

    permettano di ottenere una maggiore produttività, costi più contenuti e, non

    ultimo, tempi di risposta brevi.

    Sostanzialmente il flusso dei campioni può essere riassunto come in Figura 6,

    dove per conventional analytical process si intende il metodo di conferma

    attuato prevalentemente con tecniche cromatografiche (HPLC o GC). Il ruolo

    del metodo di screening è quindi quello di selezionare, tra la massa dei

    campioni in arrivo, quelli sospetti, che poi verranno rianalizzati con una idonea

    procedura di conferma.

  • 26

    Figura 6- Flusso dei campioni in laboratorio: metod i di screening e di conferma

    Per i metodi di conferma, la Decisione 657 prevede l’utilizzo solo di certe

    tecniche analitiche strumentali elencate nella Tabella 1 della stessa Decisione:

    tali tecniche sono in grado di fornire adeguate garanzie di riconoscimento

    strutturale delle molecole da determinare. Per lo screening, invece, non è

    prevista alcuna restrizione da questo punto di vista, ma sono altresì richieste

    determinate performances metodologiche che, come è ovvio, per lo screening

    sono meno severe che per la conferma, come si evince dalla Tabella 2

    seguente (Tabella 9 della Decisione 2002/657/CE) [VI, IX].

    Tabella 2- Classificazione di metodi analitici in b ase alle caratteristiche di rendimento che devono essere determinate

    Limite di

    rilevazione CCβ

    Limite di decisione

    CCα

    Esattezza/ Recupero

    Preci- sione

    Selettività/ Specificità

    Applicabilità/ Robustezza/

    Stabilità

    S + − − − + +

    Metodi

    qualitativi C + + − − + +

    S + − − + + +

    Metodi

    quantitativi C + + + + + +

    S = metodi di screening; C = metodi di conferma; + = la determinazione è obbligatoria

  • 27

    Infatti generalmente lo screening è un test a risposta binaria (negativo/sospetto)

    che, quindi, non presenta le problematiche legate ad un esito quantitativo, quale

    quello ottenuto con i metodi di conferma.

    Riguardo ai parametri riportati in Tabella 2, essi devono essere determinati

    durante lo studio di validazione. La validazione di un metodo è la “conferma

    attraverso l’esame e l’apporto di evidenza oggettiva che i requisiti particolari per

    l’utilizzazione prevista siano soddisfatti”. Le definizioni dei parametri di

    performances importanti per un metodo di screening qualitativo sono riportati di

    seguito [VI].

    .

    • Limite di decisione (CC α = Critical Concentration α): il limite al quale

    e oltre il quale è possibile concludere con una probabilità di errore pari

    ad α che un campione è non conforme. L’errore α rappresenta la

    probabilità che il campione sottoposto ad analisi sia conforme, sebbene

    sia stata ottenuta una misura non conforme (decisione di falsa non

    conformità o falsa positiva).

    • Capacità di rilevazione (CC β = Critical Concentration β): il CCβ è il

    contenuto più piccolo della sostanza che è possibile rilevare, identificare

    e/o quantificare in un campione con la probabilità di un errore β. L’errore

    β rappresenta la probabilità che il campione sottoposto ad analisi sia

    effettivamente non conforme, sebbene sia stata ottenuta una misura

    conforme (decisione di falsa conformità o falsa negativa). Questo

    parametro è fondamentale per i metodi di screening in quanto, se una

    decisione falsa positiva comporta un’analisi “inutile” di un campione con

    metodo di conferma, diversamente una decisione falsa negativa ha come

    ripercussione la commercializzazione di prodotti contaminati. La

    massima percentuale di errore beta che viene ammessa dalla Decisione

    2002/657/CE è il 5%. Per metodi qualitativi, la verifica di tale percentuale

    può essere effettuata sulla base dei risultati ottenuti dall’analisi di almeno

    venti bianchi-campione fortificati ad un livello pari o superiore al limite di

    decisione.

    • Robustezza : è la capacità posseduta da un metodo di non essere

    influenzato significativamente, in termini di risultati finali, da variazioni

    deliberate introdotte nelle sue fasi di effettuazione. Questo parametro

  • 28

    serve a qualificare l’affidabilità di una procedura durante il suo utilizzo

    routinario o la possibilità di riprodurre il metodo analitico in differenti

    laboratori e in tempi diversi, senza una differenza significativa nei

    risultati. Sperimentalmente la valutazione della robustezza può essere

    ottimizzata mediante l’utilizzo di tecniche di disegno sperimentale, come

    suggerito dalla stessa Decisione 2002/657/CE (schema di Youden).

    • Specificità : è l’abilità di un metodo di rilevare solo quello che intende

    rilevare, ovvero la sua capacità di non risentire della presenza di

    interferenti o di altri componenti diversi dagli analiti in esame. Per lo

    screening è importante nel determinare la percentuale di campioni falsi

    positivi, che, se presenti in misura elevata, vanificano l’utilità dello

    screening stesso, costringendo a rianalizzare i campioni sospetti con il

    metodo di conferma.

    E’ importante sottolineare che, rispetto ai tradizionali parametri “limite di

    rilevazione” (LOD) e “limite di quantificazione” (LOQ), la Decisione 657

    introduce il CCα e il CCβ, limiti definiti in funzione, rispettivamente, della

    probabilità di decisione falsa positiva e negativa. Ciò comporta che, allorquando

    si trattino sostanze con un LMR fissato, tali concentrazioni sono determinate a

    partire dal LMR e non sulla presenza/assenza dell’analita e quindi non hanno

    niente a che vedere con la sensibilità del metodo.

    Tra le tecniche di screening più utilizzate, soprattutto nel settore della ricerca di

    sostanze ad azione anabolizzante (estrogeni, androgeni, beta-agonisti etc..) ci

    sono i metodi immunoenzimatici e, in particolare, l’ELISA.

    Scopo di questo lavoro di tesi è stato lo sviluppo della procedura di

    preparazione del campione e la validazione, secondo i criteri prescritti dalla

    2002/657/CE, di un metodo di screening ELISA per la determinazione di residui

    di chinolonici nel tessuto muscolare. Fino ad oggi la ricerca di questa

    importante classe di antibiotici prevista dal PNR è stata prevalentemente

    effettuata mediante l’utilizzo diretto dello stesso metodo di conferma in HPLC

    con rilevazione in fluorescenza. La disponibilità di una procedura di screening

    adatta allo scopo offre, quindi, interessanti prospettive nella riduzione dei tempi

    di risposta e dei costi analitici.

  • 29

    3.2. I test immunoenzimatici ELISA

    ELISA è l’acronimo dell’espressione Enzyme Linked Immunosorbent Assay, un

    metodo di analisi immunologica usato per rilevare l’eventuale presenza di un

    dato antigene in un campione, oppure per misurare la concentrazione di

    anticorpi nel plasma sanguigno, come ad esempio nei test per l’AIDS. Il termine

    ELISA sta a significare che il dosaggio unisce la specificità della reazione

    antigene-anticorpo (reazione immunologica) con la sensibilità di un semplice

    dosaggio spettrofotometrico di un enzima. Nell’ambito dei vari metodi

    immunoenzimatici, la denominazione ELISA si riferisce esclusivamente ai

    sistemi in fase eterogenea, sistemi in cui anticorpi o antigeni sono adsorbiti o

    legati ad un substrato solido [XI].

    L’Antigene è una molecola che può legarsi ad una specifica immunoglobulina,

    grazie ad una struttura specifica detta epitopo . Una singola molecola di

    antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti.

    L’anticorpo (o immunoglobulina ) è una glicoproteina del siero con una

    peculiare struttura quaternaria che le conferisce una forma a “Y”. Sono costituiti

    da una regione costante, comune a tutte le immunoglobuline appartenenti allo

    stesso isotipo e una regione variabile che contiene invece il sito di

    combinazione con l’antigene e che è quindi variabile a seconda della specificità

    dell’anticorpo per un dato antigene. Nell’ambito del sistema immunitario gli

    anticorpi hanno la funzione di neutralizzare corpi estranei come virus e batteri,

    riconoscendo ogni antigene legato al corpo come un estraneo [XII].

    L’ELISA ha una elevata selettività nei confronti degli analiti da determinare.

    L’anticorpo, infatti, è in grado di riconoscere specificamente l’antigene che ha

    portato alla sua formazione. La costante di affinità per la formazione dei

    complessi antigene-anticorpo è estremamente elevata e, benché la reazione sia

    di tipo reversibile, l’equilibrio è di gran lunga spostato verso la formazione dei

    complessi antigene-anticorpo. La tecnica si basa sul fatto che, con adatti

    procedimenti, è possibile coniugare gli anticorpi di un siero con alcuni enzimi

    (perossidasi, fosfatasi alcalina, beta-galattosidasi) senza alterarne la capacità di

    combinazione con gli antigeni corrispondenti. Gli enzimi utilizzati sono in grado

    di catalizzare una reazione su un idoneo substrato (ad esempio la

    tetrametilbenzidina) con la formazione di un prodotto terminale colorato che

    permette così di evidenziare la quantità di antigene presente.

  • 30

    Nei formati commerciali le reazioni vengono, di norma, eseguite all’interno di

    pozzetti di polivinile o polistirene (micropiastre da 12 strip da 8 pozzetti

    ciascuna per un totale di 96 pozzetti) su cui sono adesi, a seconda dei casi, gli

    anticorpi specifici per l’antigene di interesse o l’antigene stesso. All’interno dei

    pozzetti vengono incubati i campioni da analizzare (plasma, siero, omogenati

    tissutali, latte etc.) e gli opportuni reagenti intervallati da lavaggi atti a rimuovere

    i reagenti in eccesso. Per ultimo si aggiunge il substrato che dà origine al

    prodotto colorato. La positività è valutata analizzando la comparsa o meno del

    colore, in seguito alla reazione catalizzata dall’enzima sul substrato. La tecnica

    immunoenzimatica può essere impiegata per la ricerca sia di antigeni che

    anticorpi e si presta a numerose variazioni per altrettante applicazioni diverse. I

    test ELISA possono essere, infatti, di tipo competitivo o non competitivo

    (sandwich) (Figura 7).

  • 31

    Figura 7- Rappresentazione schematica di un saggio ELISA tipo sandwich (non competitivo) e competitivo diretto

    I saggi tipo sandwich sono generalmente utilizzati per la ricerca di molecole ad

    alto peso molecolare, come ad esempio, le proteine. Quando invece gli antigeni

    sono molecole a basso peso molecolare, come nel caso della ricerca di residui

    di farmaci o ormoni, i saggi sono sempre di tipo competitivo e possono essere a

    loro volta ulteriormente classificati in diretti e indiretti. Per i test competitivi,

    maggiore è la concentrazione di antigene, minore sarà il numero di

    immunocomplessi rilevabili per cui, contrariamente a quanto avviene

    generalmente in chimica analitica, esiste una proporzionalità inversa tra il

    segnale registrato (assorbanza) e concentrazione.

    ELISA competitivo di tipo diretto [XI]

    L’anticorpo specifico per l’analita è adsorbito sulla superficie dei pozzetti della

    micropiastra. Il campione in esame, nel quale si deve determinare la presenza

    dell’analita (antigene libero), e una quantità prefissata di coniugato (antigene

    legato all’enzima) vengono depositati nei vari pozzetti. Durante la fase di

    incubazione, l’antigene coniugato compete con l’antigene libero,

    eventualmente presente nel campione, per i siti di legame degli anticorpi adesi

    nei pozzetti. Quindi, il materiale non reagito viene rimosso grazie ad opportuni

    lavaggi e la quantità di analita coniugato, legata dagli anticorpi immobilizzati, è

    quantificata mediante l’aggiunta di un substrato che forma un prodotto

    colorato. La reazione viene arrestata mediante l’aggiunta di una soluzione

    acida (stop solution) e la lettura spettrofotometrica è effettuata a 450 nm

    (giallo).

    ELISA competitivo di tipo indiretto [XX]

    In questo caso è l’analita (antigene, X), generalmente legato ad una proteina

    carrier come l’albumina di siero bovino, ad essere adsorbito sulla superficie dei

    pozzetti. Il campione viene addizionato nei pozzetti e successivamente si

    aggiunge una quantità prefissata di anticorpo specifico per l’analita. Durante la

    fase di incubazione, gli anticorpi in soluzione si ripartiscono tra l’analita libero

    (X), eventualmente presente nel campione in analisi, e l’analita immobilizzato

    sulla superficie solida del pozzetto. Tutto ciò che non ha reagito durante

    l’incubazione viene successivamente rimosso mediante lavaggi e la quantità di

    anticorpo legato all’analita specifico nel pozzetto viene quantificata mediante

    aggiunta di un secondo anticorpo enzima-coniugato che si lega al primo. In

  • 32

    seguito ad una seconda fase di incubazione e ai lavaggi, si aggiunge il

    substrato, si arresta la reazione e si procede alla lettura. Anche in questo caso,

    la quantità di colore sviluppatosi risulterà inversamente proporzionale alla

    quantità di analita libero nel campione.

    Sempre nei saggi competitivi di tipo indiretto, in alcuni casi, nella superficie dei

    pozzetti sono adesi, invece che gli antigeni, degli anticorpi in grado di legare

    anticorpi anti-antigene (X). Durante l’esecuzione del test, si aggiunge la

    soluzione contenente gli anticorpi anti-antigene che si legano agli anticorpi

    adesi. Con l’aggiunta simultanea del coniugato e del campione (in cui può

    essere eventualmente presente l’analita libero (X) si origina la reazione di

    competizione per i siti anticorpali già vista sopra. Lo schema di questo tipo di

    saggio è riportato in Figura 8. Si procede infine ai lavaggi e all’aggiunta del

    substrato. La reazione viene arrestata mediante una soluzione acida (stop

    solution), che muta il colore da blu a giallo e la lettura spettrofotometrica è

    effettuata a 450 nm.

    Figura 9- Schema di un saggio competitivo indiretto

  • 33

    4. BIBLIOGRAFIA

    [I]. Adams H. R. Farmacologia e terapeutica veterinaria. 2a ed. E.M.S.I.,

    Beretta C., Roma (Italy), 1999.

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    and development of resistance. Survey of Ophthalmology, 49, 573-578,

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    [III]. Regolamento (CEE) 2377/90: Regolamento del Consiglio del 26 giugno

    del 1990 recante una procedura comunitaria per la determinazione dei

    limiti massimi di residui di medicinali veterinari negli alimenti di origine

    animale. G.U., L 224, 1-8, 1990.

    [IV]. Veterinaria e Zootecnia. L’informatore farmaceutico di veterinaria e

    zootecnia. Annuario italiano dei prodotti veterinari e zootecnici e dei

    produttori. 11a ed., O.E.M.F. Organizzazione Editoriale Medico

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    www.spvet.it.

    [VI]. Decisione 2002/657/CE: Decisione della Commissione del 12 agosto

    2002 che attua la direttiva 96/23/CE del Consiglio relativa al rendimento

    dei metodi analitici e all’interpretazione dei risultati. G.U.C.E. L 221/8,

    2002.

    [VII]. Caroli S. La rete dei laboratori comunitari e nazionali di riferimento per i

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    laboratori di prova e di taratura. UNI-CEI, Milano (Italy), 2000.

  • 34

    [IX]. SANCO/2004/2726 rev2. Guidelines for implementation of Decision

    2002/657/EC. European Commission – Health and Consumer Protection

    Directorate-General.

    [X]. Gowik P. Criteria and Requirements of Commission Decision

    2002/657/EC. Advancement in Analytical Techniques, 1, 383-405, 2003.

    [XI]. O’Keeffe M. Residue analysis in food. Principles and applications. 1a ed.,

    Harwood Academic Publishers, O’Keeffe M., Amsterdam (The

    Netherlands), 2000.

    [XII]. Kelner R., Mermet J.-M., Otto M., Widmer H.M. Analytical Chemistry. 1a

    ed., WILEY- VCH, Kelner R., Mermet J.-M., Otto M., Weinheim

    (Germany), 1998.

  • 35

    II - PARTE SPERIMENTALE

  • 36

    1. Introduzione

    Durante le prove di validazione del metodo si sono effettuati esperimenti

    utilizzando due differenti procedure di trattamento del campione, di seguito

    denominate con A e B. Quindi, nella prima parte dello studio di

    ottimizzazione/validazione, sono state eseguite prove ripetute in parallelo su

    bianchi-campione e fortificati appartenenti a varie specie animali per verificare

    le performances ottenute con i due diversi protocolli. Il metodo A è più semplice

    e veloce ed è, tranne per alcune piccole modifiche, sostanzialmente quello

    suggerito dal produttore dei test ELISA adottati [I, II], mentre il metodo B è più

    lungo e complesso, ma ha il vantaggio di portare a estratti più concentrati e con

    meno interferenti [III, IV]. Questo primo gruppo di esperimenti è stato pianificato

    per decidere quale fosse il trattamento più adeguato da adottare.

    Nella seconda parte dello studio di validazione, si è invece utilizzato il solo

    protocollo B ritenuto, in base all’analisi dei dati ottenuti nella prima parte, più

    efficace; quindi, si è completata l’indagine sulle caratteristiche di performances

    del metodo, utilizzando la procedura più complessa. Tale procedura prevede

    un’estrazione, una successiva purificazione in fase liquida (sgrassaggio) e una

    in fase solida. Le due parti dello studio di validazione sono schematizzate in

    Figura 1 della pagina seguente.

    Gli esperimenti sono stati effettuati presso il Laboratorio Residui dell’Istituto

    Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, ad eccezione delle

    prove eseguite con la procedura di preparazione del campione A, effettuate

    presso il Laboratorio di Chimica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale

    dell’Abruzzo e del Molise.

  • 37

    I PARTE(SPECIFICITA'/ERRORE BETA)

    FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)

    50 µL in doppio

    FLUMECHINA (EIA)

    50 µL in doppio

    TEST ELISA

    ESTRATTO PURIFICATOCON

    METODO A

    -BIANCHI-CAMPIONE-FORTIFICATI

    (acido ossolinico/flumechina)

    FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)

    50 µL in doppio

    FLUMECHINA (EIA)

    50 µL in doppio

    TEST ELISA

    ESTRATTO PURIFICATOCON

    METODO B

    -BIANCHI-CAMPIONE-FORTIFICATI

    (acido ossolinico/flumechina)

    STUDIO DI VALIDAZIONE/OTTIMIZZAZIONE

    ESTRATTO PURIFICATOCON

    METODO B

    II PARTE

    FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)

    50 µL in doppio

    FLUMECHINA (EIA)

    50 µL in doppio

    TEST ELISA

    -FORTIFICATI(farmaci non chinoloni)

    SPECIFICITA'

    FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)

    50 µL in doppio

    TEST ELISA

    -FORTIFICATI(diflossacina-saraflossacina)

    ERRORE BETA

    FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)

    50 µL in doppio

    FLUMECHINA (EIA)

    50 µL in doppio

    TEST ELISA

    FORTIFICATI(acido ossolinico/flumechina)

    ROBUSTEZZA

    STUDIO DI VALIDAZIONE

    Figura 1- Schema del piano di validazione/ottimizza zione

    Di seguito sono riportrati entrambi i metodi di trattamento del campione, nonché

    le istruzioni per l’esecuzione dei due saggi ELISA.

  • 38

    2. Metodo A: preparazione del campione secondo le indicazioni riportate dal produttore dei kit ELISA con piccole modifiche

    2.1. Reagenti :

    • Acqua ultrapura per HPLC

    • Metanolo per HPLC

    • Normal esano

    • Sample dilution buffer: Pesare 0.97 g di Na2HPO4 · H2O, 0.18 g di KH2PO4,

    8.94 g di NaCl in un matraccio da 1 L e portare a volume con H2O

    ultrapura per HPLC. Portare a pH=7.4 (7.3-7.5)

    2.2. Materiali di riferimento ( standard analitici)

    • Standard di acido ossolinico (OXO): Sigma-Aldrich, cod. 00877

    • Standard di flumechina (FLU): Sigma-Aldrich, cod. 45735

    • Standard di diflossacina (DIF): Sigma-Aldrich, cod. 33984

    • Standard di marboflossacina (MAR): Sigma-Aldrich, cod. 34039

    2.2.1. Soluzioni Madre dei Materiali di Riferimento

    Le soluzioni madre sono conservate a +4°C per tre m esi

    • Soluzione Madre di acido ossolinico 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio

    idrossido

    • Soluzione Madre di flumechina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido

    • Soluzione Madre di diflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido

    • Soluzione Madre di marboflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di acido nitrico

    Per ciascuna soluzione pesare circa 10 mg di standard in un matraccio tarato

    da 100 mL e portare a volume.

  • 39

    2.2.2. Soluzione Intermedia dei Materiali di Riferi mento

    Soluzione intermedia dei Materiali di Riferimento ( analiti) a 10 µg/mL

    La soluzione intermedia è conservata a +4°C per una settimana

    Introdurre, mediante pipetta in vetro in un matraccio tarato da 10 mL 1 mL di

    ciascuna soluzione madre a 100 µg/mL e portare a volume con Metanolo per

    HPLC.

    2.2.3. Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferim ento

    Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferimento a 1 µg/mL

    Con una pipetta da 2 mL prelevare 1 mL della soluzione intermedia a 10 µg/mL

    (2.2.2.) degli analiti (flumechina e acido ossolinico) e portare a volume con

    Metanolo per HPLC in matraccio tarato da 10 mL.

    NB: Le soluzioni di lavoro è preparata di fresco al momento dell’uso.

    2.3. Materiali

    • Cilindri in vetro

    • Imbuti di vetro

    • Matracci in vetro

    • Pipette tarate in vetro

    • Provette in plastica da centrifuga tipo Falcon da 15 e 50 mL

    • Puntali per micropipette

    • Siringhe tipo Hamilton

    • Kit immunoenzimatico: Fluoroquinolones EIA (Euro-Diagnostica cod. ED

    21) e Flumequine EIA (Euro-Diagnostica cod. ED 22)

    2.4. Apparecchiatura

    • Agitatore meccanico: (IKA, KS 501 digital)

    • Bilancia analitica 0.00001 g: (Mettler Toledo, XS 105 DU)

  • 40

    • Bilancia tecnica, sensibilità 0.01 g: (Ohaus Corporation, Ohaus Explorer)

    • Centrifuga: (Hettich Rotina, 46 R)

    • Evaporatore a flusso d’azoto: (BUCHI, 461 Buchi)

    • Frigorifero (4°C ± 2°C): (Angelantoni Industrie Spa, FCL 400/2 TS)

    • Lettore di micropiastre ELISA: (Bio-Rad, 550)

    • Ultraturrax: (Janke & Kunkel IKA-LABORTECHNIK, T 25)

    • Vortex: (Barloworld Scientific, Vortex Stuart SAS)

    2.5. Estrazione

    • Pesare circa 1 g (± 0.1 g) di tessuto muscolare precedentemente

    omogenato con ultraturrax in falcon di plastica da 50 mL

    • Aggiungere 3 mL di soluzione di estrazione (MeOH/Sample dilution buffer

    80/20 v/v)

    • Vortexare per alcuni secondi

    • Porre su agitatore meccanico per 15 minuti

    • Centrifugare per 10 minuti a 4000 rpm

    • Prelevare 2 mL di surnatante

    • Portare a secco sotto flusso d’azoto a 50°C

    • Riprendere il residuo con 1 mL di MeOH/sample dilution buffer 8/92 v/v

    • Sgrassare con 1 mL di normal esano

    • Centrifugare brevemente e scartare lo strato superiore

    • Prelevare 50 µL e diluire con 250 µL di MeOH/sample dilution buffer 8/92

    v/v e dispensare sul kit della Flumechina (par. 4. Reazione

    immunoenzimatica (analisi ELISA)

    • Prelevare altri 50 µL e diluire con 450 µL di MeOH/sample dilution buffer

    8/92 v/v e dispensare sul kit dei Fluorochinoloni (par. 4. Reazione

    immunoenzimatica (analisi ELISA)

  • 41

    3. Metodo B: preparazione del campione con estrazi one e purificazione SPE

    3.1. Reagenti

    • Acido fosforico 0.025 M a pH=3: Prelevare con pipetta di vetro da 2 mL 1.7

    mL di acido ortofosforico 85%, porlo in un matraccio tarato da 1 L, portare

    a volume con acqua per HPLC. Miscelare accuratamente e portare a pH 3

    con NaOH 10 M.

    • Acqua ultrapura per HPLC

    • Ammoniaca concentrata al 30%

    • Normal esano

    • Idrossido di sodio 0.01 M

    • Metanolo per HPLC

    • Miscela di estrazione: Pesare 1 g di di acido metafosforico e introdurlo in

    matraccio tarato da 100 mL. Solubilizzare e quindi portare a volume con

    acqua. Prelevare 60 mL della precedente soluzione di MPA 1% (p/v) e

    portare a volume con metanolo in matraccio tarato da 100 mL

    • Sample dilution buffer: Pesare 0.97 g di Na2HPO4 · H2O, 0.18 g di KH2PO4,

    8.94 g di NaCl in un matraccio da 1 L e portare a volume con H2O

    ultrapura per HPLC. Portare a pH=7.4 (7.3-7.5).

    3.2. Materiali di riferimento ( standard analitici)

    • Standard di acido ossolinico (OXO): Sigma-Aldrich, cod. 00877

    • Standard di flumechina (FLU): Sigma-Aldrich, cod. 45735

    • Standard di diflossacina (DIF): Sigma-Aldrich, cod. 33984

    • Standard di marboflossacina (MAR): Sigma-Aldrich, cod. 34039

    • Standard di saraflossacina (SAR): Sigma-Aldrich, cod. 33497

    3.2.1. Soluzioni Madre dei Materiali di Riferimento

    Le soluzioni madre sono conservate a +4°C per tre m esi

  • 42

    • Soluzione Madre di acido ossolinico 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio

    idrossido

    • Soluzione Madre di flumechina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido

    • Soluzione Madre di diflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido

    • Soluzione Madre di marboflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di acido nitrico

    • Soluzione Madre di saraflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di acido nitrico

    Per ciascuna soluzione pesare circa 10 mg di standard in un matraccio tarato

    da 100 mL e portare a volume.

    3.2.2. Soluzione Intermedia dei Materiali di Riferi mento

    Soluzione intermedia dei Materiali di Riferimento ( analiti) a 10 µg/mL

    La soluzione intermedia è conservata a +4°C per una settimana

    Introdurre, mediante pipetta in vetro in un matraccio tarato da 10mL 1 mL di

    ciascuna soluzione madre a 100 µg/mL e portare a volume con Metanolo per

    HPLC.

    3.2.3. Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferim ento

    Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferimento a 0.1 µg/mL

    Con una siringa tipo Hamilton prelevare 100 µL della soluzione intermedia a 10

    µg/mL (3.2.2.) degli analiti (flumechina e acido ossolinico) e portare a volume

    con Metanolo per HPLC in matraccio tarato da 10 mL.

    NB: Le soluzioni di lavoro è preparata di fresco al momento dell’uso.

    3.3. Materiali

    • Colonnine SPE OASIS HLB Waters (30 mg/1 mL)

    • Cilindri in vetro

    • Filtri idrofili per siringa da 17 mm 0.45 µm

    • Imbuti di vetro

  • 43

    • Matracci in vetro

    • Pipette tarate in vetro

    • Provette in plastica da centrifuga tipo Falcon da 15 e 50 mL

    • Puntali per micropipette

    • Reservoir, adattatore e rubinetti per SPE

    • Siringhe tipo Hamilton

    • Kit immunoenzimatico: Fluoroquinolones EIA (Euro-Diagnostica cod. ED

    21) e Flumequine EIA (Euro-Diagnostica cod. ED 22)

    3.4. Apparecchiatura

    • Agitatore meccanico: (IKA, KS 501 digital)

    • Bagnomaria termostatato: (Heto, HMT 200)

    • Bilancia analitica 0.00001 g: (Mettler Toledo, XS 105 DU)

    • Bilancia tecnica, sensibilità 0.01 g: (Ohaus Corporation, Ohaus Explorer)

    • Centrifuga: (Hettich Rotina, 46 R)

    • Evaporatore a flusso d’azoto: (BUCHI, 461 Buchi)

    • Frigorifero (4°C ± 2°C): (Angelantoni Industrie Spa, FCL 400/2 TS)

    • Lettore di micropiastre ELISA: (Bio-Rad, 550)

    • Ultraturrax: (Janke & Kunkel IKA-LABORTECHNIK, T 25)

    • Vortex: (Barloworld Scientific, Vortex Stuart SAS)

    3.5. Estrazione

    • Pesare circa 1 g (± 0.1 g) di tessuto muscolare precedentemente

    omogenato con ultraturrax in falcon di plastica da 50 mL

    • Aggiungere 4 mL di soluzione di estrazione (soluzione di MPA allo 0.6% in

    MeOH/acqua 40/60)

    • Vortexare per circa 30 secondi

    • Porre su agitatore meccanico per 10 minuti

    • Immergere le provette in bagnomaria per 30 minuti a 45°-50°C per favorire

    la precipitazione proteica

    • Lasciare raffreddare e centrifugare per 10 minuti a 4000 rpm

    • Filtrare il surnatante mediante filtri per siringa da 17 mm 0.45 µm

  • 44

    • Ripetere l’estrazione, come sopra, con ulteriori 4 mL di soluzione di

    estrazione (soluzione di MPA allo 0.6% in MeOH/acqua 40/60)

    • Unire gli estratti

    • Vortexare per rimescolare gli estratti

    • Prelevare la metà dell’estratto complessivo (circa 4 mL)

    • Ridurre sotto flusso d’azoto a 40-50°C il volume de ll’estratto fino a circa 2

    mL per garantire la completa eliminazione del metanolo. La fase di

    evaporazione del metanolo è critica, poiché la sua incompleta eliminazione

    porta ad una perdita degli analiti durante la purificazione SPE

    • Alla fine del processo di evaporazione diluire gli estratti con 4 mL di

    soluzione acquosa di MPA all’1%

    • E’ possibile lasciare i campioni in frigo a +4°C pe r una notte prima di

    procedere allo sgrassaggio

    • Sgrassare con 3 mL di normal esano

    • Vortexare per qualche secondo, centrifugare brevemente, prelevare e

    buttare lo strato superiore

    • E’ possibile lasciare i campioni in frigo a +4°C pe r una notte prima di

    procedere alla purificazione.

    3.6. Purificazione SPE

    • Posizionare la colonnina OASIS in stazione da vuoto

    • Attivare la colonnina con 1 mL di metanolo e seccare, con 1 mL di acqua e

    seccare

    • Caricare quantitativamente l’estratto diluito

    • Scartare l’eluato avendo cura di non far seccare la colonnina

    • Lavare la colonnina con 2 mL di acido fosforico 0.025 M (pH=3)/Metanolo

    95:5 v/v

    • Lavare con 2 mL di acqua

    • Far asciugare la colonnina sotto flusso d’aria per circa 15 minuti

    • Eluire i chinolonici con 2 mL di Metanolo/NH3 95:5 v/v in provetta di

    plastica da 15 mL

    • E’ possibile lasciare i campioni in frigo per una notte a +4°C prima di

    procedere all’analisi ELISA

  • 45

    • Portare a secco sotto flusso di azoto a 50°C

    • Riprendere il residuo con 2 mL di Sample diluition buffer diluito

    • Vortexare per alcuni minuti

    • Seminare 50 µL dei campioni in doppio su ciascuno dei due kit (par. 4.

    Reazione immunoenzimatica o analisi ELISA)

    4. Reazione immunoenzimatica (analisi ELISA)

    4.1. Operazioni preliminari

    • Estrarre i kit dal frigorifero almeno un’ora prima dell’esecuzione dei saggi

    e porli a temperatura ambiente

    All’apertura dei kit effettuare le seguenti operazioni valide per entrambe i kit:

    • Ricostituire il coniugato liofilizzato (CAP-HRPO) con 4 mL di tampone di

    ricostituzione (dilution buffer). Agitare bene e conservare al buio

    • Ricostituire l’anticorpo liofilizzato (antibody) con 4 mL di tampone di

    ricostituzione (dilution buffer). Agitare bene e conservare al buio

    • Diluire il tampone di lavaggio (rinsing buffer) con acqua secondo le

    indicazioni riportate nel libretto di istruzioni allegato al kit in uso (2 mL di

    rinsing buffer concentrato con 38 mL d’acqua). Per ogni strip sono

    necessari circa 40 mL di tampone di lavaggio diluito. Conservarlo in una

    spruzzetta

    • Prelevare il numero di pozzetti necessari alla esecuzione del saggio

    considerando una semina in doppio sia degli standard che dei campioni, e

    riporre immediatamente la piastra in frigorifero.

    4.2. Esecuzione del saggio

    • Seminare in doppio 100 µL di standard di Flumechina o Norflossacina a 0

    ng/mL (bianco)

    • Seminare in doppio 50 µL di standard di Flumechina o Norflossacina a 0

    ng/mL (segnale massimo B0)

  • 46

    • Seminare in doppio 50 µL di standard di Flumechina a 1 ng/mL o

    Norflossacina a 1.25 ng/mL forniti dai kit (standard obbligatori)

    • Qualora si voglia controllare l’intera curva di taratura, seminare in doppio

    50 µL anche degli altri standard di Flumechina o Norflossacina forniti dai

    kit, rispettivamente nel range tra 0.1 e 50 ng/mL e nel range tra 0.313 e 10

    ng/mL (standard facoltativi)

    • Seminare in doppio 50 µL di ciascun campione

    • Aggiungere 25 µL del coniugato (CAP-HPRO) a tutti i pozzetti, tranne a

    quelli del bianco

    • Aggiungere 25 µL dell’anticorpo diluito (Anti-CAP), a tutti i pozzetti, tranne

    quelli del bianco

    • Agitare leggermente la micropiastra con un movimento rotatorio per alcuni

    secondi

    • Incubare per 1 ora a temperatura di refrigerazione (4 ± 2°C), al buio

    • Scaricare il contenuto dei pozzetti e lavare per 3 volte con il tampone di

    lavaggio, eliminando ogni volta i residui capovolgendo energicamente la

    piastra su carta assorbente e avendo cura di eliminare completamente il

    tampone

    • Procedere immediatamente con l’aggiunta di 100 µL di substrato, a tutti i

    pozzetti e agitare

    • Incubare per 30 minuti a temperatura ambiente (25 ± 2°C)

    • Aggiungere 100 µL di soluzione d’arresto (stop solution), a tutte le cuvette

    • Leggere immediatamente i valori di assorbanza (OD) a 450 nm.

    5. Elaborazione dei dati

    Alla media delle assorbanze (optical density, OD) registrate o per un campione

    o per uno standard è sottratta la media delle assorbanze del bianco: si ottiene

    così una quantità indicata con “B”. Analogamente, alla media delle assorbanze

    registrate per il segnale massimo (standard zero) è sottratta la media delle

    assorbanze del bianco: si ottiene così una quantità indicata con “B0”.

    Quindi si procede ad effettuare il rapporto tra B e B0 moltiplicando per 100:

  • 47

    100

    ODOD

    ODOD%

    BB

    biancomassimosegnale

    biancocampione/dardtans

    0

    ⋅−−

    =

    6. Studio di validazione

    Il piano sperimentale dello studio di validazione è stato approntato in conformità

    ai criteri della Decisione della Commissione 2002/657/CE per metodi di

    screening qualitativi. Lo schema completo utilizzato durante lo studio è riportato

    in Tabella 1.

    Tabella 1- Livelli di fortificazione utilizzati nel lo studio di validazione del muscolo in funzione dei parametri determinati

    FLUMEQUINE

    ELISA GENERIC

    FLUOROQUINOLONES ELISA

    Parametro N° di

    esperi-menti

    Tratta-mento FLU

    (µg/kg) OXO

    (µg/kg) DIF

    (µg/kg) SARA (µg/kg)

    I PARTE

    specificitàa 20 A 0 0 0 0

    specificitàa 21 B 0 0 0 0

    CCß 20 A 200 50 0 0

    CCß 21 B 10 10 0 0

    II PARTE

    FLUMEQUINE ELISA

    GENERIC FLUOROQUINOLONES ELISA

    Parametro

    N° di esperi-menti

    Tratta-mento FLU

    (µg/kg) OXO

    (µg/kg) DIF

    (µg/kg) SARA (µg/kg)

    specificitàb 6 B 0 0 0 0

    CCß 20 B 10 0 25 0

    robustezza 8 B 10 10 0 0

    Errore βc 10 B 0 0 0 10 aProve di specificità effettuate su bianchi-campione per la verifica dell’influenza delle sostanze endogene; bProve di specificità effettuate fortificando sei bianchi-campione con sei farmaci veterinari diversi dai chinolonici (sulfadimetossina, ossitetraciclina, nicarbazina, robenidina, dimetridazolo e cloramfenicolo); cProve aggiuntive effettuate su un numero limitato di campioni inferiore a quello minimo richiesto (20).

  • 48

    6.1. Curve in tampone

    Come ogni sistema di rilevazione strumentale, anche la tecnica ELISA prevede

    l’allestimento di curve di taratura. Preliminarmente sono quindi stati seminati,

    per entrambi i kit, i sei standard forniti dal produttore, al fine di verificare le

    performances dei due prodotti. Per quanto riguarda il kit Generic

    fluoroquinolones, gli standard forniti sono di norflossacina alle concentrazioni

    progressive di 0.313, 0.625, 1.25, 2.5, 5 e 10 ng/mL, mentre per il kit

    Flumequine gli standard sono di flumechina alle concentrazioni 0.1, 0.5, 1.5, 10

    e 50 ng/mL.

    6.2. Prima parte dello studio di validazione

    La prima parte dello studio di validazione/ottimizzazione, come

    precedentemente accennato, è stata condotta in parallelo testando entrambe le

    procedure di preparazione del campione (A e B), al fine di valutare quale

    trattamento del campione sia adatto allo scopo di utilizzo del metodo.

    6.2.1. Specificità (bianchi-campione)

    Sono stati analizzati almeno venti bianchi-campione di tessuto muscolare

    rappresentativi delle specie prelevate durante il controllo ufficiale (polli, suini,

    bovini, ovi-caprini, pesci). Lo scopo è quello di valutare l’influenza di possibili

    interferenze endogene naturalmente presenti in matrice (falsi positivi).

    6.2.2. Verifica della percentuale di errore beta (a cido ossolinico e

    flumechina)

    Almeno venti bianchi-campione sono stati fortificati a livelli di concentrazione

    appropriati simultaneamente con flumechina e acido ossolinico. La fortificazione

    è avvenuta in parallelo all’esperimento di specificità (6.2.1.). Durante le prove

    preliminari, per il kit Generic fluoroquinolones, la scelta della molecola di

    chinolone da utilizzare per la verifica delle performances e il relativo livello di

    fortificazione sono stati individuati considerando la cross-reattività dell’anticorpo

    (Tabella 2), l’LMR fissato a livello comunitario e, non ultima, la procedura di

  • 49

    preparazione del campione (A o B).

    Tabella 2- Cross- reattività Kit Generic fluoroquinolones (Eurodiagnostica)

    Molecola Cross -reattività

    Acido ossolinic