I O N E IT A L AN D IR TOA I A Z LIMENTARE rivista di ... · enormi nei confronti dei Paesi...

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Sommario Editoriale Luigi Costato L’euro non è condannato 1 Ricerche Luca Petrelli I prodotti alimentari della salute 5 Matteo Benozzo Il reso del pane nei rapporti tra panificatore e rivenditori al dettaglio: alimento, mangime, rifiuto 16 Valeria Paganizza Dai cetrioli spagnoli ai semi di fieno greco egiziani: crisi risolta? 31 Commenti Giovanna Roggero Gli effetti della procedura “taglia-leggi” sulla Legge 30 aprile 1962, n. 283 42 Cronache Monica Minelli Pieve Tesino Summer Seminar on Global Food Law and Quality 46 www.rivistadirittoalimentare.it Anno V, numero 3 Luglio-Settembre 2011 rivista di diritto alimentare A S S O C I A Z I O N E IT A LIA N A D IR IT T O A L I M E N T A R E I T A L I A N F O O D L A W A S S O C I A T I O N Editoriale L’euro non è condannato Su Le Monde del 25 agosto 2011, a pag. 18, Gérard Lafay, emerito al- l’Università Pantheon – Assas - Paris – II, e Philippe Villin, consigliere strategico e finanziario (di chi?) e già direttore de Le Figaro, si abban- donano a considerazioni disfattiste sull’euro ed argomentano il loro di- re, secondo l’aureo stile francese, sulla base di tre punti ben articolati, che paiono meritevoli di qualche contestazione. In primis affermano che il federalismo “furtif” tentato non passerà; la Germania non lo vuole ed i federalisti d’accatto “l’hanno presa nei den- ti” a seguito dell’accordo Merkel – Sarkozy del 16 agosto scorso, con il quale le due potenze (io direi le due sedicenti potenze, dato che, pur rappresentando due economie di peso, sono dei moscerini a fronte non solo degli USA, ma anche di Cina e India) hanno rifiutato di paga- re i conti dell’Europa del sud e del centro. Siamo certi che le banche tedesche non abbiano nei loro bilanci crediti enormi nei confronti dei Paesi dell’est europeo e del sud, erogati per sostenere la produzione tedesca che, miracolosamente, è ripresa pri- ma degli altri? Questo miracolo è dovuto solamente alla rinomata tec- nologia teutonica oppure anche al sostegno che il credito tedesco ha loro elargito? Tali finanziamenti possono essere recuperati solo se le dette economie continuano ad essere sostenute, grazie anche alla presenza di una moneta forte, come si è dimostrata l’euro che, malgrado gli attacchi su- biti, mantiene una ragione di cambio molto elevata, e apparentemente destinata a crescere ancora, rispetto al dollaro, a meno di possibili ma- novre correttive. A dire il vero, se non ci fossero stati interventi dall’altra parte dell’Atlan- tico di dubbia serietà, il cambio sarebbe già ora ancora più pesante per il dollaro; infatti, il debito pubblico USA è arrivato a livelli astronomici, e ci sono voluti giorni e giorni di negoziato per metterci una pezza e sal- vare la Federazione da un default che, in realtà, i Paesi dell’euro nel loro complesso non hanno mai rischiato. Un nano economico come l’Italia discute – in modo a dir poco barocco e tragicomico – la sua analoga manovra, e i mercati mostrano molta preoccupazione, a dimostrazione che solo una vera Europa può com- petere con le grandi tre potenze economiche del mondo. Sotto questo profilo si deve considerare la modesta dimensione del- l’economia Greca e Portoghese e l’eccesso di allarme diffuso su Paesi che, malgrado la pochezza che spesso caratterizza i loro governanti, sono sostanzialmente solidi come l’Italia. Ma, indipendentemente dalla solidità di alcuni Paesi membri dell’Euro, la soluzione ai problemi di questa moneta non sta nell’abolirla, cosa

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Sommario

Editoriale

Luigi CostatoL’euro non è condannato 1

Ricerche

Luca PetrelliI prodotti alimentari della salute 5

Matteo BenozzoIl reso del pane nei rapporti tra panificatore e rivenditori al dettaglio: alimento, mangime, rifiuto 16

Valeria PaganizzaDai cetrioli spagnoli ai semi di fieno greco egiziani: crisi risolta? 31

Commenti

Giovanna RoggeroGli effetti della procedura“taglia-leggi” sulla Legge30 aprile 1962, n. 283 42

Cronache

Monica MinelliPieve Tesino Summer Seminaron Global Food Law and Quality 46

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Anno V, numero 3 • Luglio-Settembre 2011

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Editoriale

L’euro non è condannato

Su Le Monde del 25 agosto 2011, a pag. 18, Gérard Lafay, emerito al-l’Università Pantheon – Assas - Paris – II, e Philippe Villin, consiglierestrategico e finanziario (di chi?) e già direttore de Le Figaro, si abban-donano a considerazioni disfattiste sull’euro ed argomentano il loro di-re, secondo l’aureo stile francese, sulla base di tre punti ben articolati,che paiono meritevoli di qualche contestazione.In primis affermano che il federalismo “furtif” tentato non passerà; laGermania non lo vuole ed i federalisti d’accatto “l’hanno presa nei den-ti” a seguito dell’accordo Merkel – Sarkozy del 16 agosto scorso, con ilquale le due potenze (io direi le due sedicenti potenze, dato che, purrappresentando due economie di peso, sono dei moscerini a frontenon solo degli USA, ma anche di Cina e India) hanno rifiutato di paga-re i conti dell’Europa del sud e del centro.Siamo certi che le banche tedesche non abbiano nei loro bilanci creditienormi nei confronti dei Paesi dell’est europeo e del sud, erogati persostenere la produzione tedesca che, miracolosamente, è ripresa pri-ma degli altri? Questo miracolo è dovuto solamente alla rinomata tec-nologia teutonica oppure anche al sostegno che il credito tedesco haloro elargito? Tali finanziamenti possono essere recuperati solo se le dette economiecontinuano ad essere sostenute, grazie anche alla presenza di unamoneta forte, come si è dimostrata l’euro che, malgrado gli attacchi su-biti, mantiene una ragione di cambio molto elevata, e apparentementedestinata a crescere ancora, rispetto al dollaro, a meno di possibili ma-novre correttive. A dire il vero, se non ci fossero stati interventi dall’altra parte dell’Atlan-tico di dubbia serietà, il cambio sarebbe già ora ancora più pesante peril dollaro; infatti, il debito pubblico USA è arrivato a livelli astronomici, eci sono voluti giorni e giorni di negoziato per metterci una pezza e sal-vare la Federazione da un default che, in realtà, i Paesi dell’euro nelloro complesso non hanno mai rischiato.Un nano economico come l’Italia discute – in modo a dir poco baroccoe tragicomico – la sua analoga manovra, e i mercati mostrano moltapreoccupazione, a dimostrazione che solo una vera Europa può com-petere con le grandi tre potenze economiche del mondo.Sotto questo profilo si deve considerare la modesta dimensione del-l’economia Greca e Portoghese e l’eccesso di allarme diffuso su Paesiche, malgrado la pochezza che spesso caratterizza i loro governanti,sono sostanzialmente solidi come l’Italia. Ma, indipendentemente dalla solidità di alcuni Paesi membri dell’Euro,la soluzione ai problemi di questa moneta non sta nell’abolirla, cosa

che provocherebbe un caos inimmaginabile ed una serie di svalutazio-ni competitive che disarticolerebbero non solo il mercato dell’UE – sepur ancora esistesse – ma gli stessi scambi a livello mondiale; sembraassai più ragionevole, piuttosto, rafforzare la coesione economica degliStati membri dell’Unione. L’emissione di bond dell’Unione, sostenuta dal finanziamento dellastessa con la destinazione di una voce della fiscalità nazionale all’uopoindividuata (potrebbe essere una percentuale dell’IVA, con poteri dicontrollo anche in loco da parte della Commissione UE) consentirebbedi procedere verso un sano federalismo, il federalismo della gente, deifuturi pensionati, dei giovani che godono, essenzialmente grazie al-l’UE, di 66 anni di pace europea. D’altra parte, lo sviluppo di questa integrazione sembra essere l’unicaprospettiva di sopravvivenza del II impero d’occidente, cioè dell’UEche ha come moneta l’euro, portatore di valori, esperienze e compe-tenze non presenti altrove, esprimibili in modo efficace solo unitaria-mente e non separatamente, come le vicende ultime anche in materia“militare” quali quelle libiche hanno ampiamente dimostrato.D’altra parte destinare parte degli introiti fiscali al pagamento di inte-ressi ed al rimborso degli eurobond non avrebbe effetti sui bilanci na-zionali, poiché l’emissione di bond europei compenserebbe la mancataemissione di quelli nazionali, e sconterebbe interessi assai più bassisul mercato.Non mi pare condivisibile, sempre su questo primo argomento, il cata-strofismo dei due autori francesi che affermano “Quant’à la BCE, il fauts’attendre à ce qu’elle ne continue pas longtemps à se ruiner en ache-tant des dettes souveraines bientot sans valeur, marquant ainsi la findes illusions e du pseudo – financement dans le marché de l’Europedu Sud”.Senza provvedimenti seri da parte degli Stati fortemente indebitati, for-se questa sarebbe veramente la fine di euro e BCE; tuttavia gli inter-venti della Banca centrale sono vincolati a comportamenti drastici e ra-pidi degli Stati bisognosi di sostegno che, se mancassero, sollevereb-bero la stessa BCE dal compito di evitare il default di qualche sciagu-rata Nazione incapace di mettere sotto controllo i suoi conti. In questaipotesi l’euro e tutto il sistema minaccerebbe di crollare; tuttavia nonpare che gli Stati membri dell’UE aderenti all’euro siano intenzionati acompiere operazioni suicide di questo tipo e, comunque, non si puòdare per certo che “l’Europe du Sud” sia governata da persone così ir-responsabili da portare la loro patria e tutto il sistema UE al massacroper imbecillità o ignavia, anche se talvolta il sospetto potrebbe essereavanzato.Il secondo punto posto sotto osservazione dai due autori francesi trovachi scrive qui assai più consenziente: la volontà della Germania di ge-stire l’euro in modo ferreo e rigido, secondo le regole imposte a Maa-stricht, con conseguente sua rivalutazione – e si è già detto che essapotrà innalzarsi ancora, a causa della reale debolezza del dollaro –

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rivistadi diritto alimentare

DirettoreLuigi Costato

Vice direttoriFerdinando Albisinni - Paolo Borghi

Comitato scientificoFrancesco Adornato - Sandro Amorosino - Alessandro Artom

Corrado Barberis - Lucio Francario - Alberto GermanòGiovanni Galloni - Corrado Giacomini - Marianna Giuffrida

Marco Goldoni - Antonio Jannarelli - Emanuele MarconiPietro Masi - Lorenza Paoloni - Michele Tamponi

Coordinatrice della RedazioneEleonora Sirsi

RedazioneGiuliano Leuzzi - Nicoletta Rauseo

Segreteria di RedazioneMonica Minelli

EditoreA.I.D.A. - ASSOCIAZIONE

ITALIANA DI DIRITTO ALIMENTARE

RedazioneVia Ciro Menotti 4 – 00195 Romatel. 063210986 – fax 063217034

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Periodico iscritto il 18/9/2007 al n. 393/2007 del Registrodella Stampa presso il Tribunale di Roma (online)

ISSN 1973-3593 [online]

Periodico iscritto il 26/5/2011 al n. 172/2011 del Registrodella Stampa presso il Tribunale di Roma (su carta)

ISSN 2240-7588 [stampato]stampato in proprio

dir. resp.: Ferdinando Albisinni

HANNO COLLABORATO A QUESTO FASCICOLO

MATTEO BENOZZO, ricercatore nell’Università diMacerata

LUIGI COSTATO, emerito nell’Università di FerraraMONICA MINELLI, dottoranda nell’Università di

MacerataLUCA PETRELLI, associato nell’Università di

CamerinoGIOVANNA ROGGERO, Studio Artom-Papini, MilanoVALERIA PAGANIZZA, dottoranda nell’Università di

Ferrara

I testi pubblicati sulla Rivista di diritto alimentare, adeccezione delle rubriche informative, sono sottopostialla valutazione aggiuntiva di due “referees” anonimi.La direzione della rivista esclude dalla valutazione con-tributi redatti da autori di chiara fama. Ai revisori non ècomunicato il nome dell’autore del testo da valutare. Irevisori formulano un giudizio sul testo ai fini della pub-blicazione, ed indicano eventuali integrazioni e modifi-che che ritengono opportune.

Nel rispetto della pluralità di voci e di opinioni accoltenella Rivista, gli articoli ed i commenti pubblicati impe-gnano esclusivamente la responsabilità degli autori

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mette in difficoltà tutti gli Stati aderenti all’euro, fatta eccezione, forse per l’Olanda. Subiamo da moltianni una forte rivalutazione della nostra moneta, che rischia di mettere le produzioni europee fuorimercato, senza dare effettivi vantaggi ai consumatori nostrani, cioè ai cittadini europei.Il fatto è che l’euro viene sostanzialmente gestito come il marco tedesco, ma gli Stati che adotta-no questa moneta non sono tutti come la Germania; inoltre le regole di Maastricht sono sbaglia-te, poiché se è vero che la stabilità della moneta è un valore, è vero anche che essa è uno stru-mento e non un fine, sicché se occorre essere Keynesiani, si deve esserlo e non temere di viola-re tabù francamente ridicoli considerando, appunto, che se occorre stimolare l’economia, si devepoterlo fare.Dunque, il difetto non sta nel federalismo “furtivo” ma nella mancanza di federalismo vero, nell’assen-za di un sistema decisionale europeo duttile e capace di adattarsi alle circostanze; lo stop impostodalla cancelliera si dimostrerà insostenibile, pena una vera recessione europea che, alla fine, colpiràla stessa Germania. Insomma, se chi ha scritto i trattati a Maastricht pensava che queste regole, i fa-mosi parametri, conditio sine qua non per l’accettazione della Germania – che all’epoca, tuttavia,aveva molto chiesto e da chiedere alla CEE per la caduta del muro di Berlino – non fossero così peri-colosi si è sbagliato di molto. Gli stessi tedeschi, poi, hanno ritenuto necessario intaccarli e violare leregole della concorrenza per muovere al salvataggio delle loro banche – che controllano, con un rap-porto francamente incestuoso, molte grandi imprese industriali – a seguito della crisi importata dagliUSA nel 2008 (ma presente, nelle sue cause, anche in Europa), figlia dell’esasperata concezione fi-nanziaria dell’economia, mentre non si dovrebbe mai dimenticare che, senza attribuire alla locuzioneun significato medievale, pecunia non parit pecunia, e cioè che la ricchezza di una nazione deriva dallavoro, dalla ricerca e dall’innovazione, e non dalla speculazione finanziaria.Quanto al terzo argomento avanzato su Le Monde, e cioè che l’attacco ai titoli quotati è figlio dellacomprensione anticipata che i grandi operatori hanno avuto della ineluttabile fine dell’euro; se è veroche tali finanzieri se la sono presa in particolare con i titoli bancari, non si può non rilevare che la ca-duta dei valori non ha risparmiato le banche del custode della severità, la Germania, banche che, co-me detto, non sono senza problemi per certi crediti elargiti con qualche generosità a debitori di dub-bia solvibilità.La soluzione avanzata dai due autori, e cioè la consacrazione delle forze rimaste per ricostruire lemonete nazionali e salvare così le banche e i risparmiatori, appare più che una risposta alla crisi, unvero e proprio incitamento al suicidio, che comporterebbe, ad esempio, la permuta dei titoli in euroemessi dall’Italia con altrettanti collegati ad una rinata lira, ben presto, se non da subito, oggetto diuna svalutazione terribile, che falcidierebbe le tasche di tutti, in particolare dei piccoli risparmiatori,che si troverebbero con in mano un pugno di carta straccia; e similmente accadrebbe anche ai fran-cesi, Belgi e, alla lunga, agli stessi tedeschi.È ovvio, comunque, che il problema sia gravissimo, ma è altrettanto ovvio che non sembri possibiletornare indietro, e che occorra, invece, proseguire, quanto meno per i paesi aderenti all’euro, rapida-mente sulla strada del federalismo che preveda l’adozione di meccanismi decisionali efficienti, presi amaggioranza, per ravvicinare la politica economica, quella fiscale e, dato che si avvia il processo, an-che estera e di sicurezza, limitando drasticamente il potere degli Stati che, nella loro quasi totalità,non hanno ben meritato in questi frangenti ovvero, addirittura, da molto tempo.La cancelliera tedesca, ed il suo stato, devono capire che questa è forse una pillola amara da digeri-re, ma anche la medicina che consentirà all’Europa, e in essa alla Germania, di essere una veragrande potenza economica e di pace.

Luigi Costato

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Questa rivista ha sempre sottolineato, sin dal primo numero pubblicato ormai cinque anni fa, la dimensione “politica”delle soluzioni proposte alle domande di sicurezza, non solo alimentare, rilevando che partendo “dal diritto alimen-tare si può, tra l’altro, prendere coscienza del fatto che, come in materia ambientale e del governo delle risorse ener-getiche, gli Stati e le stesse entità regionali sopranazionali come la Comunità europea, non possono prescindere daldecidere, per quanto più possibile, in sedi ben più grandi, che hanno l’ambizione ma anche la necessità di rappre-sentare gli interessi e i diritti dei cittadini dell’intero pianeta” (così l’editoriale del n. 1-2007, Perché una rivista di dirit-to alimentare).Oggi la dimensione mondiale della persistente crisi dei mercati finanziari, con l’aggravarsi delle difficoltà economichee sociali anche in Stati che sembravano affrancati da preoccupazioni in ordine al soddisfacimento dei bisogni prima-ri, ha riportato l’attenzione verso i temi della food security.Non per caso, dunque, l’editoriale che apre questo fascicolo della Rivista di diritto alimentare muove dall’ attenzioneverso la persistente crisi dei mercati finanziari, e sottolinea la dimensione necessariamente politica ed istituzionaledi ogni ricerca di soluzioni, che valgano ad garantire anche per il futuro gli straordinari risultati che la ComunitàEuropea ha assicurato ai propri cittadini per oltre 60 anni.In questa prospettiva, i tre lavori pubblicati nella sezione dedicata alle Ricerche, esaminano, secondo differenziatipunti di osservazione, temi che tutti investono le domande di tutela della salute, nei processi legati alla produzione,al mercato ed al consumo di cibo.Lo studio di Luca Petrelli indaga sulle linee evolutive della disciplina europea in tema di relazione fra dieta alimenta-re e salute, alla luce anche delle linee emergenti in sede internazionale, della giurisprudenza della Corte di giustiziasui prodotti medicinali e sui criteri distintivi rispetto ai prodotti alimentari, e dei processi indiretti di armonizzazionecomunitaria, concludendo per la possibile individuazione, per via interpretativa, di una categoria denominata “prodot-ti alimentari della salute”, idonea a meglio individuare oggetti, funzioni e specifiche discipline.Matteo Benozzo svolge un’ampia indagine su un tema sin qui trascurato dalle analisi giuridiche, e che pure si poneal crocevia fra security e safety, vale a dire quello della destinazione del pane (prodotto alimentare per eccellenza,simbolo stesso del nutrimento) in esito alla sua mancata commercializzazione entro termini molto brevi, fissati dallavigente disciplina entro le “24 ore successive alla fabbricazione”.Valeria Paganizza torna sul sistema europeo di allarme rapido, analizzandone efficacia e criticità alla luce dellarecente allerta alimentare che ha investito Germania e Francia, “dai cetrioli spagnoli ai semi di fieno greco egiziani”,sottolineando come anche in questo caso profili di conoscenza e di gestione della crisi sanitaria e profili di generalecomunicazione al grande pubblico abbiano manifestato significative aree di incertezza; sicché non può dirsi ad oggipienamente realizzata né l’auspicata rintracciabilità, né una sicura capacità delle istituzioni designate nel conosceree gestire le possibili emergenze sanitarie.Il commento di Giovanna Roggero dà conto di un’altra allerta (tutta mediatica) sulla pretesa abrogazione della legge30 aprile 1962, n. 283 per l’effetto degli interventi di semplificazione legislativa; abrogazione in realtà non verificata-si, come confermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità.Completa il fascicolo la nota di Monica Minelli sul primo Pieve Tesino Summer Seminar, svoltosi a Pieve Tesino(Trento) Viterbo dal 4 al 7 luglio 2011, ed organizzato dall’Università della Tuscia (Viterbo), nel cui ambito sono statecondivise conoscenze e competenze giuridiche e scientifiche, utilizzando la lingua inglese come quale strumento diconoscenza diretta della terminologia europea ed internazionale del settore e di comunicazione in mercati che perloro natura superano la dimensione nazionale.

la redazione

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(*) Il presente lavoro costituisce una parziale rivisitazione della relazione su I prodotti alimentari della salute tenuta al Convegno “Dallariforma del 2003 alla PAC dopo Lisbona. I riflessi sul diritto agrario alimentare e ambientale” organizzato dall’Università di Ferrara incollaborazione con Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Università di Camerino e Università del Piemonte orientale, Ferrara,6-7 maggio 2011, i cui atti sono ora pubblicati, a cura di L. Costato, P. Borghi, L. Russo, S. Manservisi da Jovene Ed., 2001.(1) In ogni religione è possibile rintracciare un complesso di regole alimentari: se le religioni protestanti e cattolica non prevedono seve-re regole alimentari, i Mormoni seguono alcune prescrizioni dietetiche, i Musulmani sono tenuti all’osservanza di precise indicazioni im-poste dall’Islam, gli induisti sono vegetariani e gli Ebrei sono sottoposti a severe regole dietetiche.

Ricerche

I prodotti alimentari della salute*

Luca Petrelli

1.- Introduzione

Il rapporto tra dieta alimentare e salute è noto da tempo im-memorabile all’essere umano, prima ancora di ogni dimo-strazione scientifica, essendo legato a quei comportamentiessenziali alla sopravvivenza della specie. Sane e corretteabitudini alimentari sono alla base di uno sviluppo armonicodi ogni soggetto che, metabolizzando le razioni giornalieredi cibo, riesce a svolgere al meglio le sue mansioni vitalinon sviluppando malattie che potrebbero ridurre le sueaspettative di vita. L’evidenza di tale rapporto e la compren-sione, anche intuitiva, della sua importanza costituisce contutta probabilità la spiegazione più plausibile dell’intrecciooriginario tra regole religiose ed alimentari. Il comando reli-gioso legittimava al più alto livello ciò che l’esperienza, pri-ma ancora delle risposte scientifiche, suggeriva empirica-mente come la scelta più appropriata per la continuazionedella specie1. Il digiuno, inteso come momento di sofferen-za e di rinuncia, era sempre accompagnato a dei significatireligiosi: fra gli Israeliti, ad esempio, la festa annuale delleespiazioni era occasione per un digiuno pubblico; l’anticoTestamento accompagnava il digiuno alla preghiera peresprimere il cordoglio, come segno di ravvedimento e ri-morso, o per dimostrare la serietà degli impegni presi versoDio, laddove l’approccio cattolico moderno associa tale pra-tica alla vocazione d’amare il prossimo.Il corretto bilanciamento degli apporti nutrizionali per il rag-giungimento di un ottimale stato di salute è influenzato dacondizioni ambientali quali il clima, da eventuali patologiegenetiche o acquisite, da fattori contingenti di tipo relazio-nale/sociale quali, ad esempio, lo stile di vita, uno stato digravidanza o lo svolgimento di particolari mansioni ecc. Ilregime alimentare è inoltre storicamente condizionato dallapronta disponibilità in natura dell’alimento o delle materieprime necessarie alla sua realizzazione nella zona di riferi-

mento, circostanza che è alla base della varietà di ricettenazionali e regionali di preparazione dei cibi. Tale condizio-namento, che ha avuto un’importanza fondamentale nel ra-dicamento di tradizionali modelli alimentari su scala locale,va sempre più perdendo peso nell’era della globalizzazio-ne dei mercati che rende possibile scegliere tra i più diversialimenti da consumare freschi o trasformati provenienti daogni parte del mondo.Il particolare rapporto che si instaura tra cibo ed essereumano espresso dalla metabolizzazione favorisce collega-menti tra dieta alimentare, da un lato, ed etica e filosofia,dall’altro, efficacemente espressi dalla massima di Feur-bach “noi siamo ciò che mangiamo” constatazione che, sulpresupposto dell’esistenza di una unità inscindibile tra cor-po e psiche, “apre le porte” all’etica dell’alimentazione edal rapporto tra quest’ultima e la psicologia. Tali relazioni so-no destinate a perfezionarsi ed a svilupparsi in maniera di-rettamente proporzionale al grado di opulenza e di autoco-scienza delle società di riferimento. A partire dal 17° secolosi diffusero modelli alimentari di consumo complessi cheambivano a rappresentare stili di vita: nacquero in quel pe-riodo movimenti come la macrobiotica, il vegetarismo, il ve-ganismo ancora oggi molto attivi che fondano la scelta ali-mentare sull’impegno a sostegno della causa dei diritti ani-mali e su motivazioni etiche correlate come l’antispecismo,senza trascurare altre ragioni di ordine ambientalista, salu-tista, spiritualista e religioso.Le accresciute conoscenze delle dinamiche alimentariunite alle recenti scoperte nel campo della chimica, dellafisica e della biologia ed alle possibilità offerte dalle bio-tecnologie e, più in generale, dall’applicazione delle inno-vazioni tecnologiche al settore alimentare hanno contri-buito a meglio precisare vecchie e nuove finalità da attri-buire alla dieta che deve sempre essere variata ed equili-brata: eliminazione della malnutrizione, mantenimento/mi-glioramento dello stato di salute e del benessere psico-fi-sico dell’individuo, riduzione del rischio di sviluppare unamalattia. Sia pure con un certo margine di approssimazio-ne si può affermare che fino agli ultimi decenni del secoloscorso le raccomandazioni nutrizionali elaborate dai diffe-renti organismi attivi a livello nazionale ed internazionalesi sono concentrate prevalentemente su “cosa non man-

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Ngiare” fatto salvo un adeguato apporto di nutrienti fonda-mentali quali aminoacidi e acidi grassi essenziali, vitami-ne, minerali ed acqua calcolato astrattamente rispetto alleesigenze nutrizionali di un consumatore sano. La moder-na scienza dell’alimentazione amplia il proprio oggetto distudio dalla “nutrizione adeguata” alla “nutrizione ottimale”riconoscendo che determinati alimenti sono idonei nonsoltanto a soddisfare necessità nutritive, ma anche a rea-lizzare precipue funzioni salutistiche: da un lato, potendoessere utilizzati con efficacia nell’ambito di un regime ali-mentare particolare destinato ad individui affetti da speci-fiche patologie o, comunque, in condizioni fisiologicheparticolari; dall’altro, potendo svolgere un importante ruo-lo nel mantenimento/miglioramento di un buono stato disalute psico-fisica e nella gestione di alcuni fattori di ri-schio di una malattia in soggetti sani che desiderano ri-manere tali.Tale evoluzione della scienza dell’alimentazione è specula-re ad un ampliamento della stessa nozione di salute dastato di semplice assenza di malattie a stato di completobenessere psico-fisico2. La promozione di corrette regolealimentari unite ad uno stile di vita sano rientra nella strate-gie che gli Stati e le Organizzazioni sovrannazionali ed in-ternazionali debbono porre in essere per un perseguimen-to attivo della salute, diritto fondamentale di ogni individuo3. In Europa, tra l’altro, si deve tenere in particolare conside-razione il trend di modificazione della sua composizionedemografica causato dall’invecchiamento della popolazio-ne e dal calo delle nascite. Sottoposto a rapido cambia-mento è lo stesso stile di vita del cittadino europeo conse-guenza, in parte, della moderna vita lavorativa e del feno-meno dell’urbanizzazione; l’aumento dei casi di obesità hareso i settori della nutrizione e dell’alimentazione partico-larmente importanti per i responsabili delle politiche a livel-lo europeo4. E’ inoltre da evidenziare che, negli ultimi tempi, è aumenta-ta l’attenzione dei consumatori nei confronti della salubritàdei cibi e di un corretto rapporto tra dieta e salute. La spa-smodica, quanto vana, ricerca dell’alimento perfetto ha ad-dirittura condotto, in epoca moderna, parte della popolazio-ne di società opulente e tecnologiche verso forme di orto-ressia5 che possono raggiungere i livelli di un’attenzioneabnorme e patologica alle regole alimentari, alla scelta delcibo ed alle sue caratteristiche; ciò rende sempre più evi-dente la necessità del superamento di ogni asimmetria in-formativa tra consumatore e produttore di alimenti che van-tano proprietà salutistiche.

2.- Evoluzione della normativa comunitaria che ha portatoalla definizione di alcune tipologie di prodotti alimentari confinalità salutistiche

Nonostante sin dall’antichità fossero note le caratteristichesalutari di alcuni alimenti dovute alle sostanze in essi pre-senti per la loro natura, soltanto le innovazioni tecnologi-che degli ultimi decenni hanno reso possibile la produzionesu larga scala di derrate alimentari che si caratterizzanoper una funzione specifica di tipo salutistico assunta a se-guito di un processo di lavorazione artigianale o industria-le. Tale processo, altamente tecnologico, è in grado di ren-dere disponibili nella giusta quantità le sostanze che rap-presentano la causa efficiente della funzione salutistica; ciòsia in alimenti tradizionali che originariamente non le pos-siedono in assoluto o le possiedono in una percentualenon congrua rispetto alla produzione dell’effetto positivosulla salute se consumati secondo quantità raccomandabiliin una buona pratica dietetica ed assunti come parte inte-grante di un normale regime alimentare, sia in prodotti ali-mentari ideati e formulati per corrispondere a specificheesigenze nutrizionali di determinati soggetti e comunquenon di uso corrente, sia in prodotti alimentari destinati adintegrare una dieta da commercializzare in forme predosa-te (capsule, pastiglie, compresse, pillole ecc.). Il legislatorecomunitario con normativa parzialmente armonizzata hadisciplinato in tipologie legali ad hoc la produzione e lacommercializzazione di alcuni alimenti che producono de-terminati effetti positivi sulla salute dovuti a componentipresenti in essi in modo naturale, o aggiunti: inizialmentesono stati regolamentati gli alimenti destinati ad una ali-mentazione particolare (ovverosia i prodotti dietetici e glialimenti per la prima infanzia) identificati in quei prodotti“che per la loro particolare composizione o per il particola-re processo di produzione si distinguono nettamente daiprodotti alimentari di uso corrente, sono adatti all’obiettivonutritivo indicato e sono commercializzati in modo tale daindicare che sono conformi all’obiettivo”; per tali alimenti ilprocesso di ravvicinamento delle legislazioni degli Statimembri è iniziato con la direttiva 77/94/CEE, abrogata dal-la direttiva 89/398/CEE, a sua volta rifusa dalla direttiva2009/39/CE. Successivamente, con direttiva 80/777/CEErifusa dalla direttiva 2009/54/CE, è stata comunitarizzata lanormativa delle acque minerali naturali, qualificate qualiacque microbiologicamente pure, che hanno per origineuna falda o un giacimento sotterranei, provengono da unasorgente con una o più emergenze naturali o perforate e

(2) Cfr. la definizione di salute elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1948 all’atto della sua costituzione che ladefinisce quale “Stato di completo benessere psico-fisico, mentale e sociale, e non soltanto assenza di malattia”.(3) Per l’Unione Europea cfr. il Libro Bianco della Commissione “Una strategia europea sugli aspetti sanitari connessi all’alimentazione,al sovrappeso e all’obesità” Bruxelles, 30.5.2007, COM (2007) 279 definitivo.(4) Cfr. le notazioni introduttive del sondaggio sui “Rischi associati agli alimenti” condotto da TNS Opinion & Social su richiesta dell’Au-torità europea per la sicurezza alimentare (EFSA, European Food Safety Autority), in Eurobarometro speciale, 354, p. 5.(5) S. Bratman, D. Knight, Health food junkies, Broadway Books, New York, 2000.

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(per quanto qui più interessa), tra le altre proprietà e carat-teristiche, possono stimolare o favorire determinati effettibenefici sulla salute (ad esempio, stimolare la digestione,favorire funzioni epatobiliari). Più recentemente, oggetto diarmonizzazione comunitaria (anche in questo caso soltan-to parziale) realizzata con direttiva n. 2002/46/CE, è statala disciplina degli integratori alimentari definiti quali “pro-dotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e checostituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive,quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi uneffetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in viaesclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre edestratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluri-composti, in forme predosate destinate ad essere assuntiin piccoli quantitativi unitari”. Da ultimo, oggetto di discipli-na con regolamento (CE) n. 1925/2006 è stata l’aggiunta aiprodotti alimentari di vitamine e minerali e di talune altresostanze che hanno un effetto nutrizionale o fisiologico incondizioni tali da comportare un’ingestione di quantità am-piamente superiori a quelle che ci si può ragionevolmenteaspettare di ingerire in condizioni normali di consumo nel-l’ambito di una dieta equilibrata e variata e/o tali da rappre-sentare per altri motivi un rischio potenziale per i consuma-tori (c.d. “alimenti addizionati”)6. Negli ultimi tre decenni è dato rilevare un crescente inte-resse degli scienziati e dell’industria alimentare nei con-fronti di una tipologia di alimenti naturali che hanno finalitàsalutistiche destinati a soggetti sani che desiderano restaretali, denominati con termine inglese functional food; essi sicaratterizzano per l’essere funzionali al miglioramento o almantenimento di un buono stato di benessere e di salutesvolgendo un ruolo fisiologico che va oltre (ed è comunqueindipendente rispetto a) quello assicurato dall’assunzionedei nutrienti. La ricerca relativa alla dimostrazione scientifi-ca delle relazioni tra cibi/sostanze in essi contenute e salu-te è iniziata in Giappone nei primi anni ‘80 del secolo scor-so su stimolo del Ministero dell’Educazione, delle Scienzee della Cultura nel quadro dell’analisi delle problematicheconnesse all’invecchiamento della popolazione. Risale a

quel periodo il primo utilizzo da parte del Ministero giappo-nese del termine functional food. Osservazioni scientifichesul rapporto tra dieta e salute in alcune popolazioni hannoeffettivamente confermato che il consumo in determinatequantità di alcune tipologie di cibi quali frutta, verdura, no-ci, pesci, ecc. comporta un impatto positivo sulla salute seabbinato ad un sano e corretto stile di vita riducendo, in al-cuni casi, anche il rischio di sviluppo di specifiche patolo-gie. L’incredibile successo commerciale registrato, sia purecon diversi andamenti, nei mercati di tutto il mondo ha sti-molato una circolazione globale degli alimenti funzionali:tuttavia sulle caratteristiche delle sostanze utilizzate nellaloro composizione, sugli effetti specifici sulla salute provo-cati dal loro consumo e, persino, su alcuni aspetti della lorodefinizione scientifica non è dato riscontrare a livello inter-nazionale il raggiungimento di una soddisfacente armoniz-zazione sul piano delle norme tecniche. Ciò determina unacomplessa interazione tra i diversi sistemi normativi che alivello statale o sovranazionale tentano di regolamentare laproduzione ed il commercio dei functional food. La Commissione europea non ha sottovalutato, sin dall’ini-zio, l’importanza di tali prodotti e la rilevanza delle proble-matiche connesse alla loro produzione, circolazione e con-sumo: a partire dal 1996, ha avviato un’azione concertatasugli alimenti funzionali denominata FUFOSE (FunctionalFood Science in Europe)7 - coordinata dall’International Li-fe Sciences Institute (ILSI) - il cui obiettivo era quello diadottare un approccio scientifico nei confronti dei cibi conbenefici effetti sulla salute delle persone o in grado di con-tenere il rischio di malattie; nel 2001, ha sviluppato il pro-getto PASSCLAIM (Process for the Assessment of Scienti-fic Support for Claims on Foods)8, sempre coordinato dal-l’ILSI, che si prefiggeva l’obiettivo di risolvere alcuni degliattuali problemi relativi alla validazione, alla confermascientifica dei claims e alla comunicazione al consumatore.L’azione FUFOSE, in particolare, si è conclusa nel 1998con l’approvazione unanime di un documento finale che faregistrare un “consenso europeo” sulle caratteristiche esulla definizione scientifica degli alimenti funzionali9. Il do-

(6) A livello nazionale la terminologia utilizzata per definire gli alimenti disciplinati dal regolamento (CE) 1925/2006 è quella di alimentiaddizionati o (arricchiti) di vitamine, minerali e di sostanze diverse (v. Circolare del Ministero della salute n. 4075 del 6 marzo 2008, eCircolare del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 5 novembre 2009). La scienza ha elaborato alcune categoriedi alimenti (non formalizzate, però, in norme giuridiche e, tantomeno, nel regolamento CE n. 1925/2006) tenendo in considerazione ilparticolare processo di aggiunta di sostanze, la loro eventuale presenza negli alimenti da sottoporre a trattamento ed, eventualmente,alcune finalità di politica sociale: gli “alimenti arricchiti” sono cibi in cui viene incrementata la concentrazione di un nutriente già presen-te nell’alimento naturale (ad esempio, l’aggiunta di vitamine e/o minerali ai cereali per la prima colazione). Una loro sottocategoria èrappresentata dagli “alimenti supplementati”: in questo caso, però, il nutriente non è presente in origine all’interno dell’alimento (adesempio, l’aggiunta di fitosteroli al latte). Gli “alimenti fortificati”, invece, sono cibi tradizionali di ampio e diffuso consumo resi più nu-trienti senza alterare il valore energetico; essi sono destinati, normalmente, a compensare una carenza alimentare diffusa nella popola-zione: un esempio è il sale da cucina che può essere fortificato con lo iodio dato che questo minerale svolge un ruolo essenziale per lefunzioni della tiroide. Ad entrambe tali categorie di alimenti sembra potersi riferire il regolamento (CE) n. 1925/2005.(7) Cfr. F. Bellisle et al., Functional Food Science in Europe, in British journal of nutrition, 1998, vol. 80, suppl. 1, p. 1 ss.(8) Cfr. P. J. Aggett et al., Passclaim. Process for the Assessment of Scientific Support for Claims on Food. Consensus on Criteria, inEuropean Journal of nutrition, 2005, vol. 44, supplement 1, p. 1 ss.(9) A.T. Diplock, P.J. Aggett, M. Ashwell, F. Bornet, E.B. Fern, M. B. Roberfroid, Scientific Concepts of functional food in Europe: con-sensus document, in British Journal of Nutrition, volume 81, supplemento n. 1, 1999.

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Ncumento evidenza che gli alimenti funzionali non sono pil-lole o capsule ma alimenti nel senso tradizionale del termi-ne che producono dimostrabili e specifici effetti beneficiesercitati su una o più funzioni dell’organismo umano (ef-fetto fisiologico), che vanno al di là di quelli che possonoderivare da un’alimentazione adeguata, agendo in manieratale da migliorare lo stato di benessere e di salute e/o daridurre il rischio di insorgenza di una malattia. In particolare“funzionale” può essere un alimento integrale naturale, unalimento cui è stato aggiunto un componente o un alimentoda cui è stato eliminato un elemento con mezzi tecnologicio biotecnologici. Può anche trattarsi di un alimento in cui èstata modificata la natura di uno o più componenti e/o labiodisponibilità di uno o più elementi. L’alimento può esse-re destinato a tutta la popolazione o a gruppi specifici dipersone; la commercializzazione deve essere affiancata dauna informazione chiara nei messaggi rivolti ai consumato-ri; la sicurezza deve essere garantita da certificazioni uffi-ciali di controllo; il consumo deve essere valutato nel con-testo della abituale alimentazione giornaliera.Soltanto alcuni Stati o Organizzazioni internazionali forni-scono una definizione giuridica dei functional food. Il Giap-pone, paese cha fa registrare per motivi storici la massimasensibilità nei confronti di questa nuova tipologia alimenta-re, ha messo in campo, sin dagli inizi degli anni 90, unapolitica volta a consentire alle imprese di utilizzare la deno-minazione riservata FOSHU (acronimo di foods for speci-fics health use che sostituisce quella originariamente usatadi functional food) per contraddistinguere alimenti utilizzatiin una dieta normale che hanno specifici effetti sulla salutedovuti alla loro composizione semplicemente dimostrandoche l’alimento o la sostanza in esso contenuta rientra inuna lista positiva che il Dipartimento della salute ha appro-vato ritenendo sussistere le necessarie evidenze scientifi-che che giustificano l’health claims correlativo. Ne conse-gue che l’impresa alimentare giapponese non deve dimo-strare che l’alimento FOSHU produce effettivamente il be-neficio sulla salute, ma semplicemente che contiene l’ali-mento o la sostanza approvata dal Dipartimento compe-tente10. L’ordinamento giuridico comunitario non ha al momentoancora recepito in una tipologia legale ad hoc i functionalfood: utilizzando la definizione scientifica assunta nel docu-

mento finale dell’azione FUFOSE si notano aree di sovrap-posizione di tali cibi con alcune tipologie legali di alimenticaratterizzati da una funzione specifica di tipo salutisticostatuite a livello comunitario, cui si è fatto sopra riferimen-to. Si pensi ai cc.dd. alimenti addizionati disciplinati dal re-golamento (CE) n. 1925/2006: l’aggiunta ai prodotti alimen-tari di vitamine, di minerali, e di altre sostanze che hannoun effetto nutrizionale o fisiologico, infatti, potrebbe esseregiustificata da finalità funzionali11. Va tuttavia puntualizzatoche l’aggiunta potrebbe essere richiesta per soddisfare al-tre esigenze quali, ad esempio, reintegrare il tenore di vita-mine e di minerali ridotto durante il processo di produzione.Si deve, inoltre, osservare che gli alimenti addizionati conchiare finalità funzionali non rappresentano la totalità deiprodotti idonei a rientrare nella definizione scientifica difunzional food; funzionale, infatti, può essere anche un ali-mento che provoca un effetto benefico sulla salute dovutoa sostanze che esso già contiene (in quantità sufficiente)per la sua natura, o alla eliminazione di un componentecon mezzi tecnologici o biotecnologici. Netta è, al contra-rio, la linea di demarcazione tra gli alimenti funzionali e gliintegratori alimentari: questi ultimi, infatti, non possono es-sere confusi con gli alimenti funzionali sia per la forma del-la presentazione, sia per il loro scopo: quanto alla presen-tazione, gli integratori alimentari sono venduti in forme pre-dosate, quali pillole, capsule, mentre gli alimenti funzionalisono e restano alimenti nel senso tradizionale del termine;quanto allo scopo, gli integratori alimentari integrano la co-mune dieta laddove gli alimenti funzionali debbono dimo-strare la loro azione nelle quantità in cui vengono normal-mente assunti nella dieta. Tendenzialmente chiara è, altre-sì, la differenziazione tra gli alimenti funzionali e gli alimentidestinati ad una alimentazione particolare: innanzitutto, glialimenti destinati ad una alimentazione particolare si distin-guono nettamente dai prodotti alimentari di uso corrente;infine, spesso tali prodotti sono destinati ad individui affettida specifiche patologie ed utilizzabili soltanto su indicazio-ne medica specialistica. In questo ultimo caso la distanzarispetto agli alimenti funzionali - che sono, come noto, diuso corrente e destinati ad individui sani che desideranorestare tali – non potrebbe essere maggiore12. La mancataregolamentazione dei functional food in una tipologia lega-le ad hoc ha indubbiamente spinto il legislatore comunita-

(10) Cfr. F. Farnworth, Foshu food in Japan, in www.medicinalfoodnews.com/vol01/issue3/foshu.htm, June 1997, n. 11, p. 1. (11) L’art. 3, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1925/2006 statuisce che:” Vitamine e minerali nella forma biodisponibile per il corpoumano possono essere aggiunti agli alimenti, a prescindere dal fatto che siano o meno normalmente presenti in detti alimenti, per tenerconto in particolare di quanto segue: a) carenza di una o più vitamine e/o minerali nella popolazione o in gruppi specifici di popolazioneche possa essere dimostrata mediante prove cliniche o subcliniche della carenza stessa o indicata da stime di bassi livelli di assunzio-ne di sostanze nutritive, o b) possibilità di migliorare lo stato nutrizionale della popolazione o di gruppi specifici di popolazione e/o com-pensare le eventuali carenze negli apporti dietetici di vitamine e minerali dovute a cambiamenti delle abitudini alimentari, o c) evoluzio-ne di conoscenze scientifiche generalmente accettabili riguardo al ruolo nutrizionale delle vitamine e dei minerali e ai conseguenti effet-ti sulla salute”.(12) Ciò non ostante, indubbie aree di contiguità possono essere ravvisate tra alimenti funzionali e alcuni gruppi di prodotti alimentari de-stinati ad una alimentazione particolare quali, ad esempio, gli alimenti adatti a un intenso sforzo muscolare, soprattutto per gli sportivi,cui fa riferimento l’allegato I della direttiva 2009/39/CE.

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rio a determinare con il regolamento (CE) n. 1924/2006 lecondizioni generali di utilizzo di volontarie indicazioni nutri-zionali e sulla salute fornite dagli operatori del settore suiprodotti alimentari; il regolamento, infatti, facendo salve ledisposizioni comunitarie stabilite dalle direttive in materia diprodotti alimentari destinati ad una alimentazione particola-re, di utilizzazione e commercializzazione di acque minera-li, di qualità delle acque destinate al consumo umano, di in-tegratori alimentari, pur senza dichiararlo espressamente,si presta a disciplinare le modalità di presentazione pressoi consumatori delle caratteristiche salutistiche degli alimentifunzionali.

3.- L’elaborazione della categoria dei prodotti alimentaridella salute

Tutti gli alimenti appartenenti alle tipologie sopra menzio-nate, cioè i prodotti destinati ad una alimentazione partico-lare, le acque minerali naturali, gli integratori alimentari, glialimenti addizionati, i functional food, hanno in comune laproduzione di un effetto fisiologico positivo dovuto ad unset di caratteristiche che i prodotti possiedono per loro na-tura o riproducibili a piacere dall’impresa e soddisfano unaspecifica domanda di salute del consumatore. La finalitàcomune di produrre un effetto positivo sulla salute è ele-mento necessario e sufficiente a configurare una specificacategoria di prodotti alimentari che, per le loro proprietà, sipossono definire prodotti alimentari della salute. La funzio-ne salutistica, intesa quale idoneità dell’alimento a realiz-zare in condizioni normali d’uso effetti positivi sull’organi-smo umano dovuti al vantaggio nutrizionale e/o fisiologico,si configura come un vero e proprio requisito di qualità cheidentifica non più lo specifico alimento, bensì determinatecaratteristiche comuni alla categoria, veicolate tramite eti-chettatura e pubblicità al consumatore finale, e determi-nanti dell’acquisto. Non essendo la categoria dei prodotti alimentari della salu-te configurata dall’ordinamento giuridico comunitario la suaelaborazione è possibile soltanto in via interpretativa; il ri-conoscimento di tale categoria è assai utile in quanto favo-risce la risoluzione di alcuni aspetti problematici di non fa-cile soluzione collegati alla produzione e alla commercializ-zazione di alimenti con effetti benefici sulla salute nellospazio europeo nel rispetto e nel contemperamento più op-portuno di valori, principi ed interessi generali e fondamen-tali quali, ad esempio, l’elevata tutela della salute umana el’efficace funzionamento del mercato interno. Infatti, sebbe-ne l’Unione Europea abbia normalmente introdotto discipli-ne specifiche per regolamentare aspetti legati alla denomi-nazione, alla composizione, alla produzione, ai controlli, al-le autorizzazioni ed al regime di etichettatura/pubblicità re-

lativamente alle diverse tipologie di prodotti alimentari adeffetti salutistici, ogni qual volta tali prodotti utilizzino so-stanze responsabili dell’effetto fisiologico in assenza di unadisciplina comunitaria armonizzata concernente il loro uso,il riconoscimento della qualità salutistica può ingenerareostacoli alla loro libera circolazione nel mercato comunesotto forma ad esempio di autorizzazioni richieste da unoStato membro prima della loro immissione in commerciogiustificabili sulla base della tutela della salute e, finanche,il rischio di divergenti qualificazioni negli Stati membri chepotrebbero ritenere appartenere il prodotto con effetti sullasalute alternativamente alla categoria degli alimenti o deimedicinali.La riconduzione a sistema della normativa prevista per sin-goli prodotti alimentari con effetti benefici sulla salute sottol’egida di una categoria (prodotti alimentari della salute)consente di ricostruire sinergie e significati nel collegamen-to tra norme in grado di risolvere più di un’incertezza difondo nella linea di demarcazione tra medicinali e alimenti;permette, inoltre, di individuare meccanismi di superamen-to di situazioni di impasse nella circolazione intracomunita-ria di merci attraverso indirette forme di armonizzazionecomunitaria che stimolano inediti processi di normalizza-zione di sostanze utilizzabili negli alimenti, attivabili su ri-chiesta di privati operatori (ad es. tramite il regime delle in-dicazioni facoltative nutrizionali e sulla salute previsto dalregolamento CE n. 1924/2006) o su iniziativa della Com-missione e degli Stati membri (ad es. tramite l’attivazionedella procedura di cui all’art. 8 del regolamento CE n.1925/2006).

4.- Linea di demarcazione tra medicinali ed alimenti

Per ciò che concerne la linea di demarcazione tra medici-nali ed alimenti13, occorre premettere che l’art. 2 del regola-mento (CE) n. 178/2002 definisce alimento “qualsiasi so-stanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato,destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevol-mente che possa essere ingerito da esseri umani”; tale ar-ticolo esclude espressamente dalla categoria dei prodottialimentari i medicinali. La direttiva 2001/83/CE, recante uncodice comunitario relativo ai medicinali per uso umano,fornisce una definizione di medicinale che può essere rica-vata dalla sua presentazione o dalla sua funzione. Ai termi-ni dell’art. 1, punto 2, della direttiva 2081/83/CE, così comemodificata dalla direttiva 2004/27/CE, deve intendersi permedicinale: “a) ogni sostanza o associazione di sostanzepresentata come avente proprietà curative o profilattichedelle malattie umane (cd. medicinale per presentazione); ob) ogni sostanza o associazione di sostanze che possa es-sere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo sco-

(13) Cfr. L. Petrelli, I probiotici: criteri per la qualificazione dei prodotti quali alimenti o medicinali nel diritto comunitario, in Riv. dir. agr.,2008, I, p. 539, cui si rinvia per più complete citazioni bibliografiche.

po di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologi-che, esercitando un’azione farmacologica, immunologica ometabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica” (cd.medicinale per funzione). Come prima immediata notazio-ne si può osservare che, se interpretata estensivamente, ladefinizione di medicinale per funzione potrebbe essere rite-nuta come potenzialmente applicabile ai prodotti alimentaridella salute che hanno in comune la produzione di effetti fi-siologici positivi. Occorre inoltre considerare la statuizionedi cui all’art. 2, paragrafo 2, della direttiva 2081/83, intro-dotta dalla direttiva 2004/27/CE, ai sensi della quale, in ca-so di dubbio, se un prodotto, tenuto contro dell’insieme del-le sue caratteristiche, può rientrare nella definizione di“medicinale” e nella definizione di un prodotto disciplinatoda un’altra normativa comunitaria, si applicano le disposi-zioni previste dalla normativa sui medicinali (cd. regola deldubbio). Anche siffatta regola, se interpretata estensiva-mente, potrebbe potenzialmente legittimare un allargamen-to eccessivo della categoria dei medicinali laddove fosseritenuto sufficiente già solo un certo grado di probabilitàche il prodotto abbia le caratteristiche per rientrare nelladefinizione di medicinale per attribuirgli tale qualificazio-ne14. Ne deriva che, in assenza di una completa armoniz-zazione a livello comunitario della disciplina della produzio-ne e della commercializzazione dei prodotti alimentari dellasalute ed alla luce di interpretazioni estensive della defini-zione di medicinale per funzione o della cd. regola del dub-bio, alcuni prodotti alimentari appartenenti a tale categoria,proprio per le loro caratteristiche peculiari, potrebbero inqualche caso rappresentare una border line tra alimenti emedicinali rischiando di essere assorbiti nella categoria deimedicinali. Il rischio segnalato è tutt’altro che ipotetico; in-fatti, se le diverse tipologie di prodotti alimentari con effettisulla salute vanno completando elenchi di vitamine e di mi-

nerali utilizzabili con sicurezza nel mercato unico15, nonsussistono al momento, tranne alcuni casi particolari16, di-sposizioni specifiche a livello europeo circa l’impiego di al-tre sostanze (ad es. altri nutrienti, piante e derivati) cui è ri-conducibile la produzione di effetti fisiologici; tali sostanze,in mancanza di regole comunitarie armonizzate, alcunevolte sono utilizzabili liberamente, o autorizzate sotto con-dizione, o vietate secondo liste positive adottate a livellonazionale17. Stante questa oggettiva situazione normativala Corte di Giustizia ha più volte evidenziato che sarà diffi-cile evitare che sussistano differenze tra gli Stati membrinella qualifica, ora come medicinali ora come alimenti, deiprodotti che impiegano sostanze di uso non armonizzato;ciò darà luogo ad ostacoli intracomunitari agli scambi con-siderate le particolari cautele ricollegabili alla circolazionedei medicinali. Va evidenziato che interpretazioni eccessivamente estensi-ve della definizione di medicinale causerebbero notevolisvantaggi: innanzitutto, la nozione di medicinale perdereb-be la sua funzione distintiva a scapito della salute dell’uo-mo; in secondo luogo, i regimi comunitari vigenti per talunecategorie di prodotti alimentari (quali i prodotti della salute),risulterebbero di fatto abrogati, perdendo il loro oggetto; interzo luogo, si determinerebbe un vulnus al principio di li-bera circolazione delle merci: basterebbe soltanto conside-rare che l’immissione in commercio di medicinali è subordi-nata, come è noto, ad autorizzazione comunitaria o nazio-nale per motivi di tutela della salute18. Fondamentale, aquesto punto, è verificare l’interpretazione della Corte diGiustizia in merito alla definizione di medicinale ed all’ap-plicazione della “regola del dubbio”.Per quanto concerne la definizione di medicinale cd. perfunzione è costante giurisprudenza della Corte ritenere chele Autorità nazionali che agiscono sotto il controllo del giu-

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(14) Tale lettura della norma è sostenuta da parte autorevole della letteratura specifica tedesca. Per una interpretazione della regola deldubbio come regola presuntiva o probatoria, cfr. v. H. U. Dettling, Physiologische, pharmakologische und toxikologische Wirkung – EinBeitrag zur Abgrenzung von Lebensmitteln, Arzneimitteln und gefährlichen Stoffen (Teil 1), in Lebensmittel & Recht, 2007, fascicolo 1,pag. 8; in altra prospettiva, sempre favorevole ad una interpretazione estensiva della norma oggetto di commento, v. ad es. F. Kraft/T.Röcke, Auswirkungen der neuen Zweifelsregelung in Artikel 2 Absatz 2 der Arzneimittelrichtlinie 2001/83/EG auf die Einstufung vonGrenzprodukten als Lebens- oder Arzneimittel, in Zeitschrift für das gesamte Lebensmittelrecht, 2006, fascicolo 1, pag. 34.(15) Cfr. ad es. gli elenchi di vitamine e di minerali che possono essere aggiunti agli alimenti cui fanno rinvio, in appositi allegati: le diret-tive 2006/141/CE e 2006/125/CE; il regolamento (CE) n. 953/2009; il regolamento (CE) n. 1925/2006; la direttiva 2002/46/CE; il regola-mento (CE) n. 1170/2009, che modifica la direttiva 2002//46/CE e il regolamento (CE) n. 1170/2009 per quanto riguarda gli elenchi divitamine e minerali e le loro forme che possono essere aggiunti agli alimenti, compresi gli integratori alimentari. (16) V. ad es.: gli elenchi di sostanze che possono essere aggiunte a scopi nutrizionali specifici a cui rinviano: il regolamento (CE) n.953/2009; le liste di sostanze nutritive riguardanti gli alimenti per lattanti e gli alimenti di proseguimento, da un lato, e gli alimenti a basedi cereali e di altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini, dall’altro, allegate alle direttive 2006/141/CE e 2006/125/CE.(17) La Corte di Giustizia riconosce agli Stati membri, in mancanza di regole armonizzate a livello europeo, la competenza ad adottareregole nazionali sulla restrizione, o sulla proibizione dell’uso delle sostanze in oggetto, eventualmente stabilendo limiti di assunzionegiornaliera, così come disposizioni aggiuntive, supplementari, in materia di etichettatura, presentazione e relativa pubblicità dei prodottialimentari (ad es. health warning). Se uno Stato intende introdurre una nuova disposizione legislativa negli ambiti sopra specificati do-vrà applicare rispettivamente la procedura di notifica di cui all’art. 12 del regolamento (CE) n. 1925/2006, o la procedura di cui all’art.19 della direttiva 2000/13/CE. (18) Per tali considerazioni cfr. le conclusioni dell’avvocato generale Verica Trstenjak presentate il 19 giugno 2008, in Causa C-140/07,Hecht-Pharma GmbH c. Staatliches Gewerbeaufsichtsamt Lüneburg [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwal-tungsgericht (Germania)], punto 68.

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dice devono decidere caso per caso attribuendole una in-terpretazione restrittiva. In particolare secondo la Corte“esclusi i casi di sostanze o composizioni destinate a stabi-lire una diagnosi medica, un prodotto non può essere con-siderato come medicinale (omissis) quando tenuto contodella sua composizione – compreso il dosaggio di sostan-ze attive – e in condizioni normali d’uso, non è idoneo a ri-pristinare, correggere o modificare in modo significativofunzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica,immunologica o metabolica”19. Per la Corte di giustizia “nonè sufficiente ai fini della qualificazione di medicinale che unprodotto abbia proprietà benefiche per la salute in generalebensì esso deve avere, propriamente parlando, una funzio-ne di profilassi e cura”20. Secondo la Corte, infatti, la produ-zione di un effetto fisiologico non è elemento marcatoresufficiente della categoria dei medicinali facendo, ad esem-pio, altresì parte dei criteri utilizzati per la definizione di in-tegratore alimentare21. La nozione restrittiva di medicinale per funzione viene con-fermata dalla Corte anche quando la stessa precisa il cor-retto criterio di interpretazione della c.d. regola del dubbiostatuita dall’art. 2, paragrafo 2 della direttiva 2081/83. Se-condo la Corte tale disposizione non si applica ad un pro-dotto la cui qualità di medicinale per funzione non siascientificamente dimostrata, pur non potendo essere esclu-sa22. Altra è la posizione della Corte di Giustizia in relazione alladefinizione di medicinale per presentazione: la nozione di«presentazione» di un prodotto, infatti, è interpretataestensivamente. La Corte ritiene che, basandosi sul crite-rio della presentazione del prodotto, la direttiva 2001/83tende ad includere non solo i medicinali che hanno veri epropri effetti terapeutici e medicinali, ma anche i prodottinon abbastanza efficaci o che non sortirebbero gli effettiche i consumatori hanno il diritto di aspettarsi data la loropresentazione; ciò in quanto la normativa comunitaria è fi-nalizzata a preservare i consumatori non solo dai medici-nali dannosi o tossici come tali, ma anche dai vari prodottiusati in luogo dei rimedi adeguati23. Ne discende che unprodotto è presentato come avente proprietà curative oprofilattiche ai sensi della direttiva 2001 quando è espres-samente descritto o raccomandato come tale, eventual-

mente tramite etichette, foglietti illustrativi o presentazioniorali24, oppure ogniqualvolta appaia, anche implicitamente,ma con certezza, agli occhi di un consumatore mediamen-te accorto, che tale prodotto, stando alla sua presentazio-ne (forma propria del prodotto o confezione), dovrebbeavere le proprietà di cui trattasi25. La Corte, tuttavia, riducela forza espansiva della nozione di medicinale in relazionealla modalità della sua presentazione allorquando statuisceche, per quanto riguarda la forma esterna data ad un pro-dotto (ad esempio l’essere commercializzato sotto forma dicapsule), “pur rappresentando un indizio attendibile dell’in-tenzione del venditore o del fabbricante di metterlo in com-mercio come medicinale, non può costituire un indizioesclusivo e determinante, se non si vogliono comprenderetaluni prodotti alimentari tradizionalmente presentati in for-ma analoghe a quelle dei medicinali26 (si pensi alla presen-tazione in forma di capsule consentita per l’integratore ali-mentare dalla direttiva 2002/CE). Risulta evidente da quanto sopra affermato che, considera-te le interpretazioni della Corte, un problema di divergenzaqualificatoria tra Stati membri rispetto a sostanze o prodottiil cui consumo comporta effetti positivi sulla salute tenderàa porsi con notevole complessità di soluzione in relazionealle concrete di modalità di presentazione di tali effetti tra-mite etichetta, foglietti illustrativi o presentazioni orali, lad-dove lo stabilire l’idoneità della sostanza o del prodotto aripristinare, correggere o modificare in modo significativofunzioni fisiologiche (necessaria ai fini della sua qualifica-zione quale medicinale per funzione) sarà il risultato di unavalutazione che l’Autorità nazionale dovrà adottare casoper caso alla luce delle risultanze scientifiche, eventual-mente validate a livello internazionale. Il rischio di una di-vergente qualificazione di un prodotto quale alimento omedicinale per le modalità della sua presentazione è peròsostanzialmente scongiurato dal regolamento (CE) n.1924/2006 che disciplina l’uso di indicazioni nutrizionali esulla salute fornite volontariamente sui prodotti alimentaridagli operatori del settore subordinando il loro utilizzo aduna previa autorizzazione comunitaria fondata sia su diuna rigorosa dimostrazione scientifica del vantaggio nutri-zionale e/o fisiologico o per la salute in generale apportatoall’organismo umano dall’alimento, sia sulla verifica del ri-

(19) Sentenza della Corte di Giustizia, del 15 gennaio 2009, in causa C-140/07, massima n. 3.(20) Sentenza della Corte di Giustizia, del 15 novembre 2007, in causa C-319/05, punto n. 64.(21) Sentenza della Corte di Giustizia, del 15 gennaio 2009, in causa C-140/07, punto n. 34.(22) Sentenza della Corte di Giustizia 15 gennaio 2009 in causa C-140/07, massima n. 1.(23) Sentenza della Corte di Giustizia del 15 novembre 2007, in causa C-319/05, punto 43.(24) Sentenza della Corte di Giustizia del 15 novembre 2007, in causa C-319/05, punto 44.(25) Sentenza della Corte di Giustizia del 15 novembre 2007, in causa C-319/05, punto 46. La Corte, al punto 47 precisa che: “occorretener conto dell’atteggiamento del consumatore mediamente avveduto, al quale la forma data ad un prodotto potrebbe ispirare unaparticolare fiducia, del tipo di quella che ispirano normalmente i medicinali alla luce delle garanzie che circondano la loro fabbricazionecosì come la loro commercializzazione. Anche se la forma esterna data al detto prodotto può costituire un indizio serio in favore dellasua qualificazione come medicinale per presentazione, tale forma deve intendersi non soltanto come propria del prodotto stesso, maanche della sua confezione, che può mirare, per ragioni di politica commerciale, a farlo somigliare ad un medicinale”.(26) Sentenza della Corte di Giustizia del 15 novembre 2007, in causa C-319/05, punto 52.

spetto di precise regole comunicative che devono renderechiara e comprensibile l’indicazione al consumatore me-dio27. Le indicazioni autorizzate nel rispetto delle procedurestabilite dal regolamento (CE) 1924/2006 costituiscono unaimportante presunzione che il prodotto cui le stesse si rife-riscono entri nella categoria degli alimenti, presunzione dif-ficilmente superabile alla luce dei criteri classificatori dellanozione di medicinale utilizzati dalla Corte di Giustizia. L’eventualità della possibile divergente qualificazione di so-stanze o prodotti con effetti benefici sulla salute umanaquali medicinali o alimenti (prodotti alimentari della salute) èaltresì difficilmente verificabile nell’ipotesi in cui con legisla-zione comunitaria sia statuito: a) l’espressa classificazionedel prodotto come alimento; b) la spiegazione dell’effettopositivo sull’organismo umano, affidata ad indicazioni obbli-gatorie o non da utilizzare nell’etichettatura e nella pubblici-tà dell’alimento; c) l’utilizzo di sostanze responsabili dell’ef-fetto fisiologico del prodotto alle condizioni indicate in listepositive validate a livello europeo. Anche in tale caso laqualificazione del prodotto quale alimento sarà difficilmentecontestabile. Si pensi, ad esempio, agli alimenti dietetici de-stinati a fini medici speciali, che rientrano nella tipologia dialimenti destinati ad una alimentazione particolare.Più problematica, invece, è la diversa ipotesi in cui l’opera-tore del settore alimentare voglia produrre e commercializ-zare determinati prodotti come alimenti (prodotti alimentaridella salute) senza ricorrere alla disciplina del regolamento(CE) n. 1924/2006 allorquando le sostanze in essi conte-nuti, responsabili dell’effetto fisiologico, non siano armoniz-zate a livello comunitario ma autorizzate dal singolo Statomembro in liste positive con eventuale previsione di una in-dicazione obbligatoria degli effetti plausibili statuita dallanormativa nazionale. Ciò accade normalmente per i pro-dotti alimentari della salute che utilizzano sostanze diversedalle vitamine e dai minerali; l’aggiunta agli alimenti di talisostanze, infatti, in assenza di regolamentazione europeaè tale da suscitare rilevanti problematiche di sicurezza che,indipendentemente dalla complessa qualificazione o menodel prodotto “finito” quale medicinale o quale alimento, po-trebbero esimere altri Stati membri dal rispettare il principiodel mutuo riconoscimento28 e giustificare ostacoli alla circo-lazione intracomunitaria del prodotto che incorpora tali so-

stanze sulla base dell’art. 36 TFUE. Il rischio di un ricorsoindiscriminato a tale articolo da parte degli Stati membri, èstato contenuto dalla Corte di Giustizia entro precise condi-zioni: in particolare la Corte, in sentenze che si riferisconoalla circolazione di prodotti alimentari, riconosce che, inmancanza di armonizzazione e laddove sussistano incer-tezze allo stato attuale della ricerca scientifica, spetta agliStati membri decidere in merito al livello al quale essi in-tendono garantire la tutela della salute e della vita dellepersone ed al requisito di una previa autorizzazione all’im-missione in commercio di prodotti alimentari, tenendo con-to anche delle esigenze della libera circolazione delle mer-ci nell’ambito della Comunità. I mezzi che essi scelgonodebbono rispettare il principio di proporzionalità (limitati aquanto effettivamente necessario per garantire la tuteladella salute e proporzionati all’obiettivo così perseguito).Tuttavia, secondo la Corte di Giustizia, poiché l’attuale art36 TFUE contiene una deroga, che va interpretata restritti-vamente, al principio di libera circolazione delle merci nel-l’ambito della Comunità, spetta alle autorità nazionali chead essa si richiamano dimostrare, alla luce delle risultanzescientifiche internazionali e delle abitudini alimentari nazio-nali, che la commercializzazione del prodotto in questionerappresenta un rischio reale per la salute pubblica29: il cheappare tutt’altro che agevole. Lo Stato può appellarsi alprincipio di precauzione allorquando sussiste un certo gra-do di incertezza scientifica e pratica sulla valutazione delrischio; in tal caso può adottare misure protettive, purchéesse siano non discriminatorie ed oggettive, senza dovereattendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà ela gravità di tali rischi. La valutazione del rischio non puòfondarsi su considerazioni meramente ipotetiche30. Indub-biamente minori complessità di qualificazione di un prodot-to quale alimento o medicinale alla luce del diritto comuni-tario si porranno allorquando l’effetto benefico per la saluteè da ricollegare all’aggiunta di vitamine o minerali essendotale aggiunta, in relazione agli alimenti, oramai pressochéinteramente regolamentata con disciplina armonizzata a li-vello europeo (v. supra). Tuttavia è opportuno evidenziareche, pur in presenza di alcuni approfonditi studi della Com-missione31, non risultano al momento ancora stabiliti a livel-lo comunitario i livelli quantitativi minimi e massimi di vita-

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(27) Sul regime comunitario delle indicazioni nutrizionali e sulla salute introdotte dal regolamento (CE) n. 1924/2006 cfr. L. Petrelli, Lenuove regole comunitarie per l’utilizzo di indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari, in Riv. dir. agr., 2009, I, p. 50, cui si rinviaper più complete citazioni bibliografiche.(28) L’art. 14, paragrafo 9 del regolamento (CE) n. 178/2002 dispone che:” In assenza di specifiche disposizioni comunitarie, un alimen-to è considerato sicuro se è conforme alle specifiche disposizioni della legislazione alimentare nazionale dello Stato membro sul cuiterritorio è immesso sul mercato, purché tali disposizioni siano formulate e applicate nel rispetto del trattato, in particolare degli articoli28 e 30 del medesimo”. Va ricordato che, con decorrenza dal 13 maggio 2009, ad eventuali rifiuti di riconoscimento reciproco si appli-cheranno le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 764/2008 che stabilisce le procedure relative all’applicazione di alcune regoletecniche nazionali a prodotti commercializzati legalmente in altro Stato membro.(29) Sentenza della Corte di Giustizia del 15 novembre 2007, C-319/05, punti 86-88.(30) Sentenza della Corte di Giustizia del 13 febbraio 2002, C-41/02, punti 51-52.(31) Cfr. European Commission, Health & Consumer protection Directorate General, Orientation paper on the setting of maximum andminimum amounts for vitamins and minerals in foodstuffs, July 2007.

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mine e di minerali da aggiungere agli alimenti di uso cor-rente, agli integratori alimentari, nonché a scopi nutrizionalispecifici ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazioneparticolare32; ciò nonostante che (almeno nel caso degli ali-menti di uso corrente e degli integratori alimentari) sianoben specificati i criteri sulla base dei quali tali quantitatividovranno essere individuat i (art . 5 del la dirett iva2002/46/CE; art. 6 del regolamento CE n. 1925/2006). Talesituazione ha già creato non pochi problemi in relazione al-la circolazione intracomunitaria di alimenti cui sono stateaggiunte vitamine e minerali secondo quantità massime ominime non armonizzate a livello comunitario. La Corte diGiustizia in una recente sentenza del 201033 ha avuto mo-do di chiarire alcune importanti questioni in merito; la do-manda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dalConseil d’Etat francese concerneva l’interpretazione di al-cune disposizioni della direttiva 2002/46/CE. In particolare,per ciò che qui più interessa, la Corte ha dichiarato che “gliStati membri restano competenti ad adottare una disciplinarelativa ai quantitativi massimi di vitamine e di minerali uti-lizzabili nella fabbricazione degli integratori alimentari neilimiti in cui la Commissione non abbia stabilito tali quantita-tivi”; all’atto di fissare tali quantitativi gli Stati membri sonotenuti ad ottemperare ai criteri ed alle condizioni indicatedalle norme di riferimento (nel caso di specie, dall’art. 5,nn. 1 e 2 della direttiva 2002/46/CE). Inoltre la Corte ha ri-tenuto che non si può escludere che la considerazione de-gli elementi di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46/CE possacondurre lo Stato (in assenza di limiti stabiliti dalla Com-missione) alla fissazione di un valore molto basso, o anchenullo, per quanto riguarda il quantitativo massimo di una vi-tamina o di un minerale utilizzabile nella fabbricazione diprodotti alimentari, sebbene tale vitamina o tale mineralerientri tra quelle sostanze che possono essere utilizzati perla fabbricazione degli integratori alimentari; ciò nel caso incui, ad esempio, sia impossibile calcolare con precisionegli apporti della sostanza provenienti da altre fonti alimen-tari e se esiste il rischio probabile che tali apporti raggiun-

gano i limiti massimi tollerabili. In tale ipotesi lo Stato nondeve fare ricorso alla procedura prevista dall’art. 12 delladirettiva 2002/46/CE34.

5.- Indiretti processi di armonizzazione comunitaria concer-nenti l’uso di sostanze diverse dalle vitamine e dai minerali

In attesa di un alquanto improbabile intervento armonizza-tore dirigisticamente imposto dal legislatore comunitariotramite compilazione di liste positive che autorizzano l’uti-lizzo negli alimenti di ogni sostanza diversa dalle vitaminee dai minerali a cui attribuire l’effetto positivo sull’organi-smo umano35, il sistema delle regole di produzione e dicommercializzazione dei prodotti alimentari della salutesviluppa una serie di interazioni tra norme che giustificaprocessi di armonizzazione comunitaria, più o meno indi-retti, concernenti l’utilizzo di tali sostanze, normalmente ge-stiti dalla Commissione. Si pensi, ad esempio: a) alla pro-cedura di cui all’art. 8 del regolamento (CE) n. 1925/2006che, su iniziativa della Commissione o sulla base di infor-mazioni fornite dagli Stati membri, favorisce, al verificarsidi determinate criticità, la normalizzazione a livello europeodel trattamento di una sostanza diversa da vitamine e mi-nerali, o di un ingrediente contenente una sostanza diversadalle vitamine o dai minerali, aggiunti ad alimenti di usocorrente (inclusi gli integratori alimentari), sottoponendol’uso di tale sostanza od ingrediente a divieti, a restrizioni oa sorveglianza36; b) alla complessa procedura autorizzato-ria richiesta dal regolamento (CE) n. 258/1997 nel caso incui le innovazioni tecnologiche attributive della funzionebenefica del prodotto alimentare comportino la creazionedi nuovi alimenti o di nuovi ingredienti alimentari per i qualinon è dimostrabile un consumo significativo al 15 maggio199737; alle conseguenze derivanti dall’implementazionedel sistema di regole di cui al regolamento (CE) n.1924/2006 che costituisce un indiretto elemento di armo-nizzazione delle sostanze i cui effetti sulla salute sono giu-

(32) Le sostanze da aggiungere gli alimenti per lattanti e gli alimenti di proseguimento, nonché agli alimenti a base di cereali e di altri ali-menti destinati ai lattanti e ai bambini, ai sensi (rispettivamente) delle direttive 2006/141/CE e 2006/125/CE, sono normalmente indica-te con riferimenti specifici alle quantità minime e massime utilizzabili.(33) Sentenza della Corte di Giustizia del 29 aprile 2010, C-446/08, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale propostaalla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’Etat francese.(34) Sentenza della Corte di Giustizia del 29 aprile 2010, C-446/08, massime nn. 1, 2, 3.(35) Cfr. la Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo riguardante l’impiego di sostanze diverse dalle vitaminee dai sali minerali negli integratori alimentari, COM /2008/0824 def.(36) Per quanto si possa condividere in assoluto l’affermazione dello Standing Committee on the Food Chain and Animal Health Sectionon General Food Law, in Summary Record of Meeting of 2 May 2011, punto 1, Exchange of views of the Committee on a request byGermany to apply the procedure under Article 8 of Regulation (CE) No 1925/2006 to a listo f botanical substances, secondo cui “ Article8 of Regulation (EC) No 1925/2006 is not intended to be used as legal basis so as to harmonise the area of plant preparations”, si de-ve, però, considerare che la procedura di cui all’art. 8 del regolamento citato comporta, nei fatti, come conseguenza dell’inserimentodelle sostanze nell’allegato III, un trattamento normalizzato a livello comunitario dell’aggiunta di tali sostanze agli alimenti; in questosenso nel testo si parla di indiretto processo di armonizzazione.(37) Secondo quanto concordato a livello comunitario il 14 febbraio 2005 dal Comitato di cui all’art. 58 del regolamento (CE) 178/2002,alimenti addizionati di sostanze che abbiano fatto registrare un consumo solo negli integratori alimentari vanno considerati come novelfood ai sensi del regolamento (CE) 258/97.

stificati scientificamente ed espressi con indicazioni auto-rizzate e registrate in appositi elenchi comunitari. A tale ri-guardo è da segnalare la tendenza in atto nel nostro pae-se, per ora sostanziatasi in recenti circolari38, a ritenere ap-plicabili ai prodotti destinati ad una alimentazione particola-re, agli alimenti addizionati di vitamine e minerali, agli inte-gratori alimentari, le disposizioni del regolamento (CE) n.1924/2006; ciò ha comportato l’inizio di un processo di rivi-sitazione e di adeguamento limitato, per ora, ai claims for-niti sui prodotti sopra specificati che, ai sensi della legisla-zione nazionale, debbono essere necessariamente pre-senti in etichetta. L’interpretazione del quadro normativoresa dal Ministero della salute italiano tramite circolari ap-pare compatibile con uno scenario più ampio, da validarecon provvedimenti normativi successivi. Tali provvedimentidovrebbero espressamente dichiarare applicabili le stesseregole di valutazione della fondatezza scientifica delle indi-cazioni previste dal regolamento (CE) n. 1924/2006, e me-glio precisate dall’EFSA39, alle future verifiche, condotte alivello nazionale, delle proprietà benefiche per la salute at-tribuite a sostanze non armonizzate diverse dalle vitaminee dai minerali contenute nei prodotti alimentari della salute.Tali orientamenti, non “scontati”40, se confermati a livellonazionale e se adottati anche da altri paesi membri, favori-ranno, di fatto, la riduzione degli ostacoli alla circolazionedei prodotti alimentari della salute nel mercato unico anchein assenza di una completa armonizzazione a livello comu-nitario delle sostanze cui è attribuibile la produzione dell’ef-fetto benefico.

6.- Garanzie del sistema di sicurezza alimentare comunita-rio applicabili ai prodotti alimentari della salute

Ai prodotti alimentari della salute si applicano, ovviamente,tutte le garanzie del sistema di sicurezza alimentare previ-ste dalla normativa comunitaria e nazionale in vigore conalcune particolarità che giustificano deroghe ed aggiunte ri-spetto alla disciplina normalmente applicabile ai prodottialimentari tout cour derivanti da particolari contempera-menti degli interessi e dei principi fondamentali d’ordinariotenuti presenti nella legislazione alimentare; ciò comportaun utilizzo originale sia degli strumenti di food safety siadei meccanismi di interazione tra i soggetti responsabili

della sicurezza che ricordano in qualche caso precauzionie procedure tipiche del settore dei medicinali. La necessitàdi garantire un livello elevato di tutela della salute e degliinteressi dei consumatori assicurando, in questo secondocaso, la piena trasparenza e la completezza dell’azione in-formativa, influenzano in maniera rilevante il coordinamen-to con altri principi ed interessi fondamentali tenuti in contodal legislatore comunitario nella regolamentazione dei pro-dotti alimentari della salute quali: la libera circolazione del-le merci da attuare anche nel rispetto del mutuo riconosci-mento dei prodotti legalmente fabbricati e/o commercializ-zati in un altro Stato membro, la lealtà delle transazionicommerciali, l’incentivazione della ricerca e dello sviluppoin seno all’industria alimentare attraverso una protezionedegli investimenti effettuati da soggetti innovatori senza perciò deprimere l’accesso al mercato delle piccole e medieimprese che raramente dispongono delle capacità finanzia-rie per svolgere attività di ricerca ecc. I prodotti alimentaridella salute proprio per la loro caratterizzazione necessita-no di maggiori garanzie e precauzioni rispetto agli altri ali-menti nel momento dell’analisi del rischio, di particolari ve-rifiche dell’effetto positivo sulla salute imputabile alla naturadel prodotto e/o alle sue componenti caratterizzanti, pro-messo al consumatore e riportato in etichetta tramite indi-cazioni obbligatorie o facoltative, di maggiore attenzionenella fase del controllo e di particolari clausole di salva-guardia a favore degli Stati. Se l’esigenza di garantire la fo-od safety nei prodotti alimentari della salute si spinge oltrela garanzia del rispetto delle pur elevate prescrizioni ali-mentari comunitarie in materia igienica e sanitaria fino agarantire l’effetto benefico ed in alcuni casi la correttezzadel profilo nutrizionale di una dato prodotto alimentareesprimendo in tal modo particolarità quanto all’oggetto,sotto il profilo dei soggetti della sicurezza, le Istituzioni co-munitarie (Corte di Giustizia, Parlamento, Commissione,Consiglio) danno prova di un virtuoso dinamismo.In particolare la Commissione “gioca” un delicato ruolo cen-trale di regolamentazione e di governo che a volte si espri-me attraverso l’attivazione di inedite procedure di analisi delrischio e di eventuale gestione dello stesso anche oltre il li-vello di precauzione garantito dall’art. 7 del regolamento(CE) n. 178/2002. E’ questo il caso della procedura di cuiall’art. 8 del regolamento (CE) n. 1925/2006 che si attiva,tra le altre ipotesi, per il semplice fatto oggettivo dell’ag-

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(38) Circolare 5 novembre 2009 del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Linea di demarcazione tra integratori ali-mentari, prodotti destinati ad una alimentazione particolare e alimenti addizionati di vitamine e minerali. Criteri di composizione e di eti-chettatura di alcune categorie di prodotti destinati ad una alimentazione particolare, in G.U., serie generale, n. 277 del 27 novembre2009); v. inoltre, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Linee guida sugli integratori alimentari proposti come coadiu-vanti di diete per il controllo e la riduzione del peso. (39) V. da ultimo, EFSA, Scientific opinion, General guidance for stakeholders on the evaluation of article 13.1, 13.5 and 14 healthclaims, EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA), in EFSA Journal, 2011;9 (4):2135; EFSA, Technical Report,Outcome of a public consultation on the Draft Opinion of the EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition, and Allergies (NDA) on gene-ral guidance for stakeholders on the evaluation of article 13.1, 13.5 and 14 health claims, in Supporting Publications, 2011:141.(40) V., infatti, l’art. 2, paragrafo 2, n. 1 del regolamento (CE) n. 1924/2006 che attribuisce alla nozione di indicazione la definizione di“qualunque messaggio o rappresentazione non obbligatorio in base alla legislazione comunitaria o nazionale (omissis)”.

giunta agli alimenti di una sostanza diversa dalle vitamine odai minerali, il cui uso non è armonizzato a livello comunita-rio, allorquando tale aggiunta è tale da comportare l’inge-stione di quantità della sostanza ampiamente superiori aquelle che ci si può ragionevolmente aspettare di assumerein condizioni normali di consumo nell’ambito di una dietaequilibrata e varia. La Commissione nella gestione delle di-namiche di food safety relative ai prodotti alimentari dellasalute è assistita dall’EFSA la cui consultazione è obbliga-toria prima dell’adozione di ogni disposizione che può avereripercussioni sulla salute pubblica; la centralità del ruolosvolto dalla Commissione risulta confermata anche dopo Li-sbona vista l’ampia previsione degli atti delegati e degli attidi esecuzione di cui agli artt. 290 e 291 TFUE41.

7.- Conclusioni

La regolamentazione comunitaria in tipologie legali ad hocdi alcuni alimenti per la loro riconosciuta capacità di pro-durre effetti positivi per la salute rende possibile ed utile laelaborazione in via interpretativa di una categoria, che si èdenominata “prodotti alimentari della salute”. La creazionedella categoria consente in primo luogo di meglio indivi-duare gli elementi che sono costitutivi della distinzione tra iprodotti in essa sussumibili ed i medicinali rapportandoli,più che a qualche particolarità regolamentare propria diquesta o quella tipologia specifica di alimento (che potreb-be più facilmente essere considerata “cedibile” rispetto alrapporto generale alimento-medicinale), alla funzione salu-tistica comune alla categoria (sia pure da ricondurre entrosicuri argini); in secondo luogo, facilita la evidenziazione di

particolarità che giustificano una regolamentazione diffe-renziale di tali prodotti nell’ambito degli stessi alimenti. Ciòconsente all’interprete di “padroneggiare” in maniera piùtrasversale, più elastica, l’applicazione di alcuni utili stru-menti che favoriscono il superamento di ostacoli alla circo-lazione intracomunitaria del prodotto spingendosi, in qual-che caso, anche oltre i confini segnati espressamente dallanorma di riferimento quando ciò sia ritenuto giustificabilesulla base della funzione di garanzia dell’effetto utile legatoad un consumo responsabile e consapevole dell’alimento.

ABSTRACT

We may therefore assume that a commonly accepted defi-nition of health food is that it produces positive effects onhuman health if used as intended, but it is not able to ap-preciably restore, correct or modify physiological functionsby exerting a pharmacological, immunological or metabolicaction, nor does it have the function of treating or preven-ting disease.Health food can be marketed through the use of claims,established by national or Community legislation, or defi-ned by food business operators and authorized by theCommission in compliance with the provisions set forth inRegulation EC No 1924/2006.In the absence of total harmonization of the legislation re-gulating health food claims at the Community level, a vo-luntary alignment of State Members legislation to the gua-rantees, required by Regulation No 1924/2006 for the useof nutrition and health claims for foodstuffs, would foster areduction in trade barriers in the European internal market.

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(41) Cfr. L. Costato, Poteri delegati e poteri di esecuzione della Commissione U.E.: dalla PAC al TFUE, in q. Rivista, www.rivistadiritto-alimentare.it, 4-2010 p. 3; F. Albisinni, Soggetti e oggetti della sicurezza, non solo alimentare, in Europa, prima e dopo Lisbona, in Riv.dir. agr., 2010, I, p. 630.

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Il reso del pane nei rapporti tra

panificatore e rivenditore al det-

taglio: alimento, mangime, rifiuto·

Matteo Benozzo

1.- Introduzione

Il «prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di unapasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati digrano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comu-ne (cloruro sodico)» è denominato dalla legge “pane”1, cheacquista l’aggettivo di “fresco” ove realizzato «secondo unprocesso di produzione continuo, privo di interruzioni fina-lizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conserva-zione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedidella panificazione e degli impasti» («fatto salvo l’impiego ditecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento delprocesso di lievitazione») e posto «in vendita entro un ter-mine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti alivello territoriale»2.Quotidianamente, tale pane è possibile trovarlo offerto neicorner e sui banchi della grande distribuzione organizzata(Gdo) e dei piccoli alimentari senza indicazioni dei termini

minimi di conservazione o data ultima di scadenza3 e, oveinvenduto nella giornata, è normalmente restituito al panifi-catore-fornitore il giorno seguente, al momento del ritiro delnuovo prodotto, sul presupposto normativo della non “com-merciabilità” ulteriore del prodotto “tal quale” non consuma-to «entro le 24 ore successive alla fabbricazione»4. La riconsegna al panificatore-fornitore solleva il dubbiosulla natura giuridica del reso e sulla possibilità che essopossa assumere la qualifica di rifiuto fin dall’allontanamen-to dal punto vendita al dettaglio, ove la restituzione e l’im-possibilità di commercializzazione ulteriore “tal quale” pos-sano identificare nell’atto del restituire quel disfarsi del benecentrale nella nozione di rifiuto di cui alla Parte Quarta delCodice dell’ambiente5, quale unico elemento di qualificazio-ne effettiva6, sennonché, il pane “fresco” in sé non è un pro-dotto suscettibile di essere destinato esclusivamente allavendita diretta al pubblico come alimento, ben potendoessere utilizzato, secondo la tipologia e in alternativa o suc-cessivamente alla fase di offerta diretta, anche come ingre-diente di alimenti composti, elemento base per quelli monoingrediente ovvero come materia prima per i mangimi. L’ulteriore utilizzabilità di tale prodotto, quindi, porta a con-siderare il problema di qualificazione del bene riconsegna-to in funzione, non già della sua semplice condizione almomento del ritiro da parte del panificatore, bensì dellarelazione giuridica che lega il panificatore medesimo (pro-duttore del pane fresco) e il rivenditore (il punto venditadella Gdo o il singolo alimentare), in quanto se la restituzio-

(1) Così il comma 1 dell’art. 14 della legge 4 luglio 1967, n. 580.(2) Definizione contenuta nella lettera b dell’art. 4, comma 2-ter della legge Bersani del 2006 (d.lg. 4 luglio 2006, n. 223, come converti-to, con modifiche, nella legge 4 agosto 2006, n. 248) e volta ad indirizzare il Ministero dello sviluppo economico ad emanare, in concer-to con altri Dicasteri ed enti locali ed entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore, un decreto ministeriale che in conformità al dirittocomunitario, avrebbe dovuto disciplinare «a) la denominazione di “panificio”…; b) la denominazione di “pane fresco”…; [e] c) l’adozionedella dicitura “pane conservato”». Ad oggi però, nonostante le rimostranze e il pressing politico delle associazioni di categoria, tale prov-vedimento non è stato ancora emanato, anche se risulta definito uno schema, ritenuto definitivo dai più, su cui organizzazioni di cate-goria e ministeri interessati hanno dato il proprio benestare e che ora attenderebbe solo la firma definitiva per l’emanazione (lo schemadi decreto, aggiornato al 30 giugno 2011, è disponibile in http//:www.fornaioamico.it, in calce all’articolo Pane fresco: riparte l’iter).(3) La ragione riposa nella disposizione di cui all’art. 10, comma 5, lett. e del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 [con cui sono state attuate«le direttive 89/395/CEE e 89/396 CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari», su cui, daultimo, v. A. Tommasini e R. Saija, La disciplina giuridica dell’etichettature degli alimenti, in L. Costato, E. Rook Basile e A. Germanò(diretto da), Trattato di diritto agrario. Volume terzo: il diritto agroalimentare, Torino, 2011, p. 493] che esclude la necessità di indicare iltermine minimo di conservazione dei «prodotti della panetteria e della pasticceria che, per loro natura, sono normalmente consumatientro le 24 ore successive alla fabbricazione», altrimenti tale esclusione non può operare e si richiede l’indicazione di tale termine.(4) Su cui v. nota precedente e infra paragrafo 4.(5) Ossia del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, contenente “norme in materia ambientale”, riconosciuto “Codice” in quanto corpo normativo chenon si esaurisce in una semplice raccolta di leggi, ma in una riconduzione di regole già frammentate in diversi contenitori, a un comples-so internamente coerente, dominato da principi a partire dai quali si può ottenere la visione di tutto il corpo del diritto considerato, checosì risulta frutto di “riassetto”, ispirato in primis dal principio ideologico della autoresponsabilità dell’uomo verso l’ambiente, inteso comevalore, nei confronti del quale «il soggetto del codice del settore ambientale», destinatario delle sue disposizioni, «è… l’uomo comemembro di una collettività a-temporale e a-spaziale… [in cui il] diritto dell’intera collettività umana a perpetuarsi nel tempo secondo rego-le di vita e di sviluppo sostenibile, evidenzia la condivisione di valori non-economici ed etici come permeanti la società civile e costituen-ti un modello di civiltà suscettibile di espansione al pari di quei modelli che, incentrati sull’uguaglianza e sulla libertà, hanno consentitoprocessi di civilizzazione di tutti gli abitanti della nostra Terra» A. Germanò e E. Rook Basile, Premessa sulla natura del corpus norma-tivo ambientale, in A. Germanò, E. Rook Basile, F. Bruno e M. Benozzo, Commento al Codice dell’Ambiente, Torino, 2008, p. 1.(6) Sulla nozione di rifiuto la bibliografica è oramai vastissima. Anche per ulteriori riferimenti bibliografici, sia consentito un unico rinvio a M.Benozzo, L’interpretazione autentica della nozione di rifiuto tra diritto comunitario e nazionale, in Contratto e impresa / Europa, 2004, p. 1118.

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ne del giorno dopo risponde ad una prestazione contrattua-le o addirittura rappresenta un elemento essenziale delnegozio prescelto, essa, per quanto indispensabile e desi-derata dallo stesso detentore per liberarsi di un prodottonon più necessario e anzi d’intralcio, non potrà mai identifi-carsi nell’atto del disfarsi previsto dalla legge quale presup-posto di qualificazione di un materiale o di una sostanzacome rifiuto, configurandosi l’atto, invece, come un trasferi-mento reale che prescinde e travalica la questione del com-portamento e del volere del detentore nella nascita di esso(del rifiuto). In caso contrario, la combinazione della ricon-segna del pane invenduto e della presa in carico di quello“nuovo”, importa per il reso l’acquisto di siffatta qualifica eper il punto vendita lo status di suo produttore, quindi, l’ob-bligo di farsi carico della relativa gestione nei termini esecondo le previsioni del Codice dell’ambiente.

2.- La scelta contrattuale nelle relazioni tra panificatore erivenditori al dettaglio: l’atto di restituzione

Da quanto risulta dagli usi commerciali normalmente prati-cati nella produzione e vendita di pane fresco, sembrereb-be che la consegna quotidiana ai rivenditori locali avvengain forza di due possibili tipologie contrattuali, diverse aseconda della controparte del panificatore e delle sue carat-teristiche economico-contrattuali (piccoli alimentari o Gdo),ove l’inferiore o superiore dimensione rispetto al produttoreincide sulla restituzione dell’invenduto del giorno prima,atteggiandosi in modo differente secondo i casi7. Con i piccoli alimentari, in particolare, il panificatore è solitoconcludere semplici negozi di compravendita, che si perfe-zionano contestualmente all’ordine e sono adempiuti per ilpanificatore con la consegna del pane fresco che, indivi-duato concretamente, porta al trasferimento del diritto diproprietà in capo al rivenditore e, così, alla traslazione sul-l’acquirente dei rischi dell’invenduto e del perimento o dete-rioramento del pane, senza previsioni riguardo la possibili-tà per il rivenditore di riconsegnare il giorno seguente quel-lo invenduto rimasto nei suoi locali.

In questa tipologia contrattuale, il reso del giorno prima nonè normalmente considerato nei testi contrattuali conclusi trale parti e rappresenta una eventualità eccezionale a cui ilpanificatore acconsente il giorno seguente, con la conse-gna del nuovo prodotto, per mera “cortesia commerciale” enon già per obbligazione contrattuale. Con la Gdo, invece, la consegna quotidiana di pane frescoavviene in forza di un contratto più complesso, nominatodagli operatori come “estimatorio”, in quanto volto non a tra-sferire il diritto di proprietà sul pane fornito, ma esclusiva-mente la sua disponibilità giuridica per la vendita in proprio,con obbligo per il rivenditore di corrisponderne il relativoprezzo (da versare a consuntivo settimanale o mensile),ove non riconsegnato il prodotto il giorno seguente8. Tale contratto, però, non è sussumibile - come ritenuto inve-ce dagli operatori - nella fattispecie di cui all’art. 1556cod.civ., in quanto non utilizzabile per prodotti deperibili e tali- come il pane fresco - da non poter, per definizione, essererestituiti nella stessa condizione fisica, chimica e organolet-tica in cui sono stati consegnati9. Il pane fresco, invero, subi-sce con il tempo una trasformazione che si basa sul feno-meno della retrogradazione dell’amido, ossia la tendenza diesso (dell’amido) a riassumere la struttura originaria (diprima della cottura) con la perdita di umidità, divenendo ilpane “raffermo”, con cambiamento di sapore, consistenza efattori di digeribilità (che aumenta con il tempo), nonchécomposizione chimica (come ad esempio l’abbassamentodell’indice glicemico). Tale trasformazione impedisce la sus-sunzione del contratto concluso con quello estimatorio, manonostante ciò, con l’accordo la Gdo ottiene comunque lapiena disponibilità a commercializzare in proprio un prodot-to non suo, azzerando di fatto il rischio economico connes-so all’invenduto ed evitando immobilizzi finanziari ed investi-menti di capitale, trovandosi esclusivamente obbligata alpagamento del prezzo del prodotto non restituito. Il contratto viene a configurarsi come una sorta di appalto divendita per conto proprio di prodotto altrui o incarico a ven-dere senza rappresentanza, in cui la restituzione dell’inven-duto si connota per essere, al pari di quanto accade nel con-tratto estimatorio10, un elemento essenziale ed imprescindibi-

(7) In questi termini quanto riportato dall’Assipan, l’Associazione Italiana Panificatori e Affini aderente alla Confcommercio Imprese perl’Italia, ed in particolare dal suo Presidente nazionale, Claudio Conti, e dal Presidente della sezione provinciale di Pisa, Maurizio Figuccia.(8) In questo senso: C. Conti, 2011, confronto con la Grande Distribuzione, in Assipan Notizie, 2011, n. 1, p. 1.(9) Cfr. ad esempio, pur senza spiegazioni, G. Balbi, Il contratto estimatorio, Torino, 1960, p. 60, U. Carnevali, voce: Contratto estimatorio (Dirittocivile), in Enc. giur., vol. IX, Roma, 1988, p. 2, M. Sarale, Il contratto estimatorio, in G. Cottino (a cura di), Contratti commerciali, Padova, 1991,p. 205 e G. Cottino, Del contratto estimatorio. Della somministrazione (artt. 1556-1570), Bologna-Roma, 1970, p. 35, in cui da ultimo si leggeche «il contratto estimatorio ha per oggetto una o più cose mobili… che, ovviamente, non siano deteriorabili». L’effetto della non sussumibilità atale tipo contrattuale per il negozio tra Gdo e panificatori è l’impossibilità di desumere dal contratto estimatorio, le regole di funzionamento delnegozio in concreto concluso, se non nei limiti della volontà espressa delle parti compatibile con la vicenda da essi costruita e, quindi, l’impos-sibilità di applicare ad esso il particolare regime delle garanzie e delle preclusioni dei creditori dei rispettivi contraenti, ovvero la disciplina fisca-le propria del contratto estimatorio (su cui v. F. Picciaredda, voce: Contratto estimatorio (Diritto tributario), in Enc. giur., vol. IX, Roma, 1988). (10) Su cui, oltre agli autori citati nella nota 9, tra i molti v. C. Giannattasio, voce: Contratto estimatorio, in Enc. dir., vol. X, Milano, 1962, p. 87;N. Visalli, Il contratto estimatorio, Milano, 1964; Id., Il contratto estimatorio nella problematica del negozio fiduciario, Milano, 1974; M. Graziadei,voce: Contratto estimatorio, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1989, p. 103; M. Sarale, Il contratto estimatorio tra vendita e atipicità, Milano,1991; G. Biscontini e L. Ruggeri, Il contratto estimatorio, Milano, 1998; A. Luminoso, Vendita. Contratto estimatorio, Torino, 2004, p. 390; Id., Ilcontratto estimatorio, in N. Lipari e P. Rescigno (diretto da), Diritto civile. Volume III Obbligazioni. I Contratti, Milano, 2009, p. 505.

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le della volontà di contrarre espressa dalle parti, conseguen-za della funzione con il negozio perseguita che vuole ricono-scere al rivenditore la facoltà di liberarsi dal vincolo del paga-mento del prezzo mediante la restituzione del pane al legitti-mo proprietario in ipotesi di non avvenuta vendita a terzi11.Due tipologie contrattuali (vendita e “affidamento” per lavendita) in cui la restituzione si atteggia in modo diverso: nelprimo caso rappresenta un’eventualità assolutamente estra-nea e non caratterizzante la vicenda e tale da configurarsi,quando avviene, come una duplicazione negoziale che sot-topone a senso inverso lo “stesso” bene (inteso come ogget-to, pur se “diverso” per condizione fisica, chimica ed organo-lettica) ad un nuovo negozio giuridico tra i medesimi contra-enti; nel secondo caso, invece, la restituzione rappresentanull’altro che un’obbligazione o meglio, una facoltà connatu-rale, conclusiva ed interna alla vicenda medesima che, nongiunta a buon fine con la vendita a terzi, vede ricongiunger-si il giorno seguente bene e proprietà, con la riconsegna delpane nelle condizioni in cui si trova.

3.- La restituzione e la nascita del rifiuto

Le due tipologie contrattuali utilizzate con i rivenditori nellaconsegna giornaliera del pane fresco incidono in mododiverso e con differenti effetti sulla qualificabilità del resocome rifiuto. Se per entrambe l’impossibilità di restituire il bene per dete-rioramento “definitivo” (inteso come totale impossibilità diulteriore utilizzo) consolida in capo al rivenditore - senzaalternative - il problema di gestione del relativo rifiuto, larestituzione che avvenga prima di tale momento divienequalificante ai fini dell’applicazione della disciplina sui rifiutia seconda del tipo contrattuale scelto.Nelle ipotesi di semplice compravendita, conclusa di solitotra panificatori e piccoli alimentari in cui l’individuazione con-creta del bene e la sua consegna portano al trasferimentodel diritto di proprietà in capo al rivenditore e, così, - come siè detto - alla traslazione sull’acquirente dei rischi dell’inven-duto, ogni atto di allontanamento del pane fresco con ilmedesimo canale del ricevimento (ossia: la restituzione alproduttore), configura verosimilmente quell’atto del disfarsiche è centrale nella nozione in esame, concretizzandosi, nongià in una scelta di gestione attiva che conclude il processodi commercializzazione connaturale all’impresa, bensì in una

modalità di “liberazione” di un “intralcio” che si è venuto adammassare allo spirare del termine utile per la vendita.Ogni atto di gestione a valle della scelta di allontanare sem-plicemente il pane fresco dal punto vendita, senza destina-zione precisa e funzionale alla relativa attività, quindi, devee non può che avvenire nell’ambito della disciplina sui rifiu-ti, per aver acquistato l’invenduto tale qualifica prima o con-testualmente alla restituzione al panificatore.Diverse sono le conseguenze di tale restituzione nei rap-porti con la Gdo, ove il contratto di “affidamento” per la ven-dita non trasferisce alcun diritto reale sul bene, prevedendoanzi la facoltà di restituire il pane fresco invenduto per libe-rarsi dall’obbligo di pagamento del relativo prezzo e riporta-re il bene nella piena disponibilità del panificatore. Sostanziandosi il reso null’altro che in una modalità di sciogli-mento del rapporto giuridico concluso, in un’obbligazione o,meglio, in una facoltà propria e conclusiva della vicenda mede-sima che, non giunta a buon fine con la vendita a terzi, vedericongiungersi bene e proprietà, l’atto del restituire in sé nonintegra gli estremi della nozione di rifiuto, difettando essa dellacondizione stessa della qualificazione. Nel restituire il pane fre-sco, invero, il rivenditore non imprime e non può imprimere albene alcuna volontà qualificante, limitandosi la sua riconsegnaa configurarsi come esecuzione di un’obbligazione connatura-le al contratto in essere, che consente proprio di restituire ilbene al legittimo proprietario e non già di disfarsi di esso comerifiuto, dove è il proprietario che può far assumere tale qualifi-ca al reso di cui torna in possesso, qualora e solo ove espres-sa o desunta una simile intenzione (di disfarsi) al momento delritorno del pane fresco nella sua disponibilità.Una conferma di tale conclusione appare desumibile dalladisciplina, sul punto, dei beni in comodato come specificatadal d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (il IV correttivo al Codicedell’ambiente) che nel comma 12 del suo ultimo articolosulle «disposizioni transitorie e finali», l’art. 39, recita: «laraccolta degli elenchi telefonici e dei beni e prodotti che,dati in comodato d’uso e presentando rischi inferiori perl’ambiente, siano restituiti dal consumatore o utente, dopol’utilizzo, al comodante, non rientra tra le operazioni di rac-colta di rifiuti come definita dall’art. 183, comma 1°, lett. o)».In tale disposizione, il parallelismo raccolta dei beni incomodato - raccolta dei rifiuti e il significato del termine incomune, “raccolta”12, consentono di escludere tale fase dal-l’ambito di gestione dei rifiuti e, quindi, la relativa qualifica(di rifiuto) per i beni riconsegnati13.

(11) Come nel contratto estimatorio, tale possibilità può far assumere all’obbligazione del rivenditore i caratteri di una sorta di obbligazio-ne con facoltà alternativa (in questo senso per quel contratto: N. Visalli, Il contratto estimatorio nella problematica del negozio fiducia-rio, cit., p. 115) ovvero di risoluzione unilaterale (A. Luminoso, Il contratto estimatorio, cit.) oppure ancora, di recesso (G. Balbi, Il con-tratto estimatorio, cit., p. 87).(12) Termine originato dalla contrazione di re[ad]collècta da recollèctus, participio passato di recolligere che identifica l’atto o l’effetto delraccogliere, del radunare, del mettere insieme anche organizzando materiali o sostanze diverse e, quindi, sintetizza il duplice momen-to passivo del “ricevere” e attivo del “prendere” i beni in comodato oggetto della restituzione (cfr. Vocabolario Etimologico della LinguaItaliana di Ottorino Pianigiani, disponibile nella versione web all’indirizzo in www.etimo.it/).(13) M. Benozzo, La restituzione a “fine vita” dei beni in comodato tra gestione dei rifiuti e materie prime seconde, in Contratto e impre-sa, 2011, p. 1182. In generale sul d.lgs. n. 205/2010, v. per tutti Ramacci, Rifiuti: la gestione e le sanzioni, Piacenza, 2011.

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Ne consegue verosimilmente che anche la restituzione delpane invenduto - per identità e caratteristiche della vicendacon i beni in comodato - non è e non può configurarsi comeun’attività di gestione di rifiuti e il panificatore (o chi per lui)che lo ritira presso i singoli rivenditori della Gdo, non neces-sita di alcuna formalità prevista dalla relativa disciplina(iscrizione all’albo gestori ambientali, compilazione del for-mulario di identificazione e trasporto, annotazione sui regi-stri di carico e scarico, etc.), spostandosi temporalmente laquestione stessa della nascita o meno del rifiuto, a recupe-ro (ritiro) ultimato e, quindi, solo dopo il trasferimento dallasfera giuridica del rivenditore a quella del panificatore. E’ aquesto punto, quindi, che si ripresenta il problema dell’ob-bligatorietà o meno della destinazione del reso al recuperoo allo smaltimento o della possibilità di destinarlo legittima-mente ad utilizzi successivi che consentano di evitare ulte-riormente l’acquisto della qualificazione di rifiuto.

4.- La vita successiva del pane fresco invenduto

La messa in vendita di pane “fresco” può avvenire senza indi-cazioni sui termini minimi di conservazione o data ultima discadenza, purché tale alimento sia consumato «entro le 24 oresuccessive alla fabbricazione»14. Trascorso il termine, il prodot-to non può più essere offerto al pubblico, divenendo giuridica-mente non più “commerciabile” agli stessi fini, “tal quale”. Ed invero, la mancanza di etichettatura e l’impossibilità diaggiungerne una in un momento successivo alla primamessa in commercio, configura una condizione di “noncommerciabilità” oltre i termini consentiti che espone il sin-golo produttore o il rivenditore al dettaglio alla responsabili-tà per l’eventuale successiva circolazione. In particolare, il regolamento 28 gennaio 2002, n. 178/2002sulla sicurezza alimentare, prevede che, per essere immes-si sul mercato, gli alimenti non debbono essere, né “rischio-si”, né potenzialmente tali15, e al consumatore debbanoessere trasferite con l’offerta informazioni assolutamenteveritiere e non ingannevoli («l’etichettatura, la pubblicità e la

presentazione degli alimenti o mangimi… non devono trar-re in inganno i consumatori»: art. 16 del regolamento).Ebbene, rispetto al pane fresco, la commerciabilità in assen-za di specifica indicazione dei termini minimi di conservazio-ne o di scadenza è consentita solo se consumato «entro le24 ore successive alla fabbricazione»; ciò equivale a direche la messa in vendita oltre tale termine nelle medesimecondizioni, trasferisce al consumatore un’informazione nonveritiera od ingannevole che viola le regole sulla presenta-zione degli alimenti, configurando anche l’illecito di cuiall’art. 18 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 su «l’etichetta-tura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimenta-ri»16, che sanziona il comportamento in via «amministrativapecuniaria da euro seicento a euro tremilacinquecento».Oltretutto, la medesima vendita ha rilevanza anche sulpiano privatistico nei rapporti diretti con il consumatore econseguenze sulla relativa compravendita ove il pane, nonpiù fresco ma in circolazione di fatto come tale (per man-canza di specifiche comunicazioni), si presenta verosimil-mente come una ipotesi di vizio del bene, essendo il prodot-to, nonostante la modificazione chimico-biologica in corso,comunque commercializzato come di giornata17.La non ulteriore (dopo le ventiquattr’ore) commerciabilitàdel pane invenduto come fresco, però, non fa sorgereimmediatamente e solo per lo “spirare” del termine, l’obbli-go di disfarsene e, quindi, la nascita del rifiuto, in quanto lostesso prodotto invenduto è suscettibile, a seconda del tipo,di ulteriore vita in altri e differenti utilizzi che ne possonofare una risorsa aziendale.L’ulteriore possibile utilizzo, invero, consente di escludere indeterminati casi la sussunzione di un residuo o di una rima-nenza nella nozione di rifiuto, ma occorre valutare attenta-mente le fattispecie concrete, in quanto compresi in talenozione non sono solo i rifiuti come tali sin dall’origine pervolontà del loro proprietario o per legge18, bensì anche quel-le sostanze, materiali ed oggetti che, pur non ancora privi divalore economico e quindi potenzialmente destinabili ad unuso ulteriore, non si presentano più idonei a soddisfare ibisogni cui erano originariamente destinati19. Ossia occorre

(14) Su cui v. supra nota 3 e testo relativo.(15) Sul regolamento n. 178/2002 e in generale sulla disciplina da esso derivata, la bibliografia è ormai imponente, sia per articoli pubbli-cati sulle riviste giuridiche di settore (prime tra tutte Questa Rivista, la “Rivista di diritto agrario”, “Agricoltura, Istituzioni, Mercati” e “Dirittoe giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente”), sia per lavori monografici od opere collettanee. Per tutti, da ultimo, si rinvia, ancheper ulteriori riferimenti bibliografici, al Volume terzo, interamente dedicato al diritto agroalimentare, dell’opera L. Costato, E. Rook Basilee A. Germanò (diretto da), Trattato di diritto agrario, cit.(16) Su cui v. supra nota 3.(17) In argomento, da ultimo, v. Cass. civ., sez. II, 18 maggio 2011, n. 10917, in Diritto & Giustizia, 2011, 24 maggio, in cui si aggiungeche quando un prodotto manca di alcune caratteristiche sue proprie (nel caso di specie vi era stata una fornitura di mosto di gradazio-ne inferiore a quella pattuita) e viene comunque commercializzato, «non si è in presenza di vendita di cosa diversa, bensì di mancan-za di qualità essenziali del bene venduto, con le relative decadenze dei termini di garanzia».(18) In questo senso, cfr. ad esempio Cass. pen., Sez. III, 11 luglio 2007, n. 32207, in CED Cass. pen., 2007, secondo cui in tema digestione dei rifiuti, ove un materiale o una sostanza sia “ab origine” classificata da chi la produce come rifiuto, essa deve ritenersi sot-tratta alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti o per le materie prime «in quanto la classificazione operata dal produttoreesprime quella volontà di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come “rifiuti” in base all’art. 183, comma 1, lett. a».(19) Così da ultimo, Corte giust. 22 dicembre 2008, causa C-283/07, Commissione c. Repubblica italiana, in http://www.europa.eu, a cuisi rinvia, in particolare dai punti 40 e seguenti, anche per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, e nello stesso senso in Italia anche Cass.pen., Sez. III, 26 febbraio 1991, Lunardi, in Foro it., 1991, II, c. 711.

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valutare compiutamente e nel caso concreto se i residui ole rimanenze di cui si tratta, siano dismessi o destinati adessere dismessi (di cui il detentore si disfa o ha intenzionedi disfarsi), non essendo più adatti all’uso programmato oprogrammabile all’origine20, dovendosi considerare rifiuto,quindi, anche quel pane fresco invenduto «di cui il produt-tore o il detentore si disfi, restando irrilevante se ciò avven-ga attraverso lo smaltimento del prodotto, ovvero tramite ilsuo recupero e inoltre, prescindendosi da ogni indaginesulla [loro] intenzione»21. Come fatto notare in altre sedi22, però, una simile afferma-zione necessita di un correttivo desumibile dai principi nor-mativi e dallo “strumentario interpretativo” offerto dalla giu-risprudenza per l’individuazione dei confini della nozione dirifiuto, dove i residui di produzione e consumo o le rimanen-ze commerciali non sono sempre rifiuto. Ciò avviene quan-do, potendo tali beni essere suscettibili di ulteriori, differen-ti o specifici usi, il loro detentore, a fronte di un vantaggioeconomico, abbia effettivamente previsto il loro riutilizzonon meramente eventuale, ma certo e concreto e senzapreliminari operazioni di trasformazione (preliminari all’usocome materia prima), dove il disfarsi di una sostanza lasciaposto all’utilizzo di una risorsa, di un prodotto dell’impresa.Affinché un residuo o una rimanenza possa essere conside-rato tale e non già rifiuto, occorre che esso sia realizzato otenuto ed utilizzato intenzionalmente, nel senso che purconseguenza indesiderata di un diverso ciclo produttivo o diconsumo o conseguenza di un’oscillazione negativa di mer-cato che non assorbe l’intera produzione, esso diventi ocontinui ad essere un prodotto intorno al quale è organizza-

ta una vera e propria attività, anche se collaterale a quellaprincipale, che consente di incidere sulla visione dell’inuti-lizzabilità ab origine dei residui, per lasciar posto ad una let-tura utilitaristica necessaria al soddisfacimento di un ulterio-re bisogno di mercato23. In questi casi, invero, il residuo o larimanenza diverrebbero o continuerebbero ad essere unarisorsa dell’impresa il cui «assetto organizzativo che l’im-prenditore [le] ha dato»24 dovrebbe risultare sufficiente adinvertire quel dato di comune esperienza - che si rifà ad unconcetto economico-giuridico25 - secondo cui il residuo el’invenduto sono “normalmente rifiuto ed occasionalmenteprodotto”26. In una frase: occorre che l’impresa sia organiz-zata in modo tale da far o continuare a far uso di siffatti benicome una risorsa e non già una sostanza da dismettere27.Ciò in quanto, «l’elemento decisivo perché una sostanzapossa essere qualificata come sottoprodotto consiste, inultima analisi, nella prova che tale sostanza rappresenta unvalore economico per il detentore - piuttosto che un peso dicui voglia disfarsi - o nella prospettiva di un suo sfruttamen-to ulteriore o utilizzo nell’ambito dell’attività principale, operché il detentore la commercializza a condizioni a luifavorevoli»28. Quindi, ove per le circostanze sottostanti unasingola fattispecie, vi è prova che «per il detentore, il mate-riale considerato rappresenta più un vantaggio o un valoreeconomico che non un peso del quale vuole disfarsi, in ter-mini di fabbisogno o, perlomeno, di utilità del prodotto nel-l’ambito dell’attività principale… una sostanza può nonessere considerata un rifiuto ai sensi della direttiva… [nellamisura in cui] esistano indizi del fatto che il detentore inten-de sfruttare o commercializzare la sostanza considerata in

(20) La sussunzione, quindi, trova luogo quando il residuo è dal detentore disfatto o a tale fine destinato. Ossia, la qualifica, accertatacaso per caso, deve essere attribuita esclusivamente sulla base del solo comportamento del detentore oggettivamente valutato alla lucedelle indicazioni della Corte di giustizia (v. Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2002, Ferretti, in Foro it., 2003, II, c. 126), con conseguen-te impossibilità di individuare criteri predefiniti astratti dalla realtà concreta.(21) Così da ultimo Cass. pen., Sez. III, 25 maggio 2011, n. 25040 (inedita); nello stesso senso fin dalla prima formulazione della posi-zione giurisprudenziale Cass. pen., Sez. III, 5 marzo 2002, n. 14762 e Cass. pen., Sez. III, 18 giugno 2002, n. 31011, in Foro it., 2002,II, c. 673, Cass. civ., Sez. I, 18 aprile 2005, n. 7962, in Ragiusan, 2005, n. 259-260, p. 188, Cass. civ., Sez. II, 18 febbraio 2011, n. 3995(inedita). In dottrina, sul punto, v. V. Paone nella nota introduttiva a due sentenze della Cassazione pubblicate in Foro it., 2003, II, c. 117.(22) M. Benozzo, L’interpretazione autentica della nozione di rifiuto tra diritto comunitario e nazionale, cit., pp. 1141 e 1165; Id., Commentoai Titoli I-IV della Parte Quarta, in A. Germanò, E. Rook Basile, F. Bruno e M. Benozzo, Commento al Codice dell’ambiente, cit., p. 465.(23) E’ il caso, ad esempio, del coke da petrolio, per il quale la Corte di giustizia ha riconosciuto che esso «prodotto volontariamente, orisultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezzacome combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie, non costituisce un rifiuto» (punto 47 dell’ordinanza 15gennaio 2004, Saetti e Frediani).(24) M. Pernice e M.A. Prosperoni, Definizione giuridica di rifiuto e sua applicazione pratica, tra esigenze economiche e ambientali, in Dir.giur. agr. amb., 2003, p. 139.(25) Ossia a quell’idea che un’impresa svolga la propria attività al fine di produrre solo un determinato bene (o servizio), per cui tutto ciòche deriva inevitabilmente dal processo produttivo oltre il bene desiderato, si configura come sostanze o materiali non voluti, estraneiall’oggetto sociale, e pertanto destinati ad essere eliminati dall’imprenditore.(26) L’inversione porterebbe a ritenere “normalmente prodotto” un residuo di produzione, limitandone la qualifica di rifiuto solo nei casi incui il mercato o l’attività in cui è normalmente utilizzato non siano più in grado di assorbirne l’offerta.(27) In questo senso può essere compreso il contenuto della decisione della Corte di giustizia 8 settembre 2005, causa C-121/03,Commissione c. Regno di Spagna, in http://www.europa.eu, con cui non si è ravvisata la configurazione di un rifiuto per effluenti d’alle-vamento raccolti e stoccati in fusti e ceduti a terzi per la fertirrigazione dei loro terreni, in quanto il cedente si era organizzato per la lorocessione ancor prima della loro produzione, preparandosi per l’uso dei residui come risorsa.(28) In questo senso l’Avvocato generale J. Mazák al punto 36 delle conclusioni 22 marzo 2007, causa C-194/05, Commissione c.Repubblica italiana, in http://www.europa.eu.

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condizioni per lui vantaggiose in un processo successivoalla produzione della sostanza stessa, cosicché quest’ulti-ma rappresenta un valore economico per il detentore piut-tosto che un onere di cui si voglia liberare»29.Ebbene, riguardo al pane fresco, esso in sé non è un pro-dotto suscettibile di essere destinato esclusivamente allavendita diretta come alimento, ben potendo, a secondadella tipologia (ossia del tipo di pane), essere utilizzato inalternativa o successivamente alla fase di offerta al pubbli-co, anche per la produzione di pangrattato o crostini perministre, oppure essere destinato come materia prima nel-l’industria mangimistica o ancora come ingrediente per lapreparazione di alimenti composti quali le polpette di pane,i crostoni di pane-pizza, il pane dolce, la torta di pane, glignocchi di pane, il budino di pane, di cioccolato e pane, dipane caramellato, di pane con albicocche (e altro) o di piat-ti tipici locali quali i canederli30, i casunziei31, i morzi32, lapappa col pomodoro33, la minestra di pane34, la ribollita35, lapanzanella36 (ed altri), ossia tutti alimenti e preparati vendi-bili nelle gastronomie degli alimentari, dei supermercati oanche, per alcuni, nei forni degli stessi panificatori, chehanno nel pane raffermo, quello almeno del giorno prima,un elemento base e insostituibile37. La suscettibilità di utilizzi successivi alla vendita diretta nelle24 ore, pertanto, offre la possibilità per il detentore di deci-dere se destinare il pane fresco invenduto ad un uso speci-fico alternativo che possa, nel rispetto delle regole anche atutela dell’igiene, evitare ed escludere l’acquisto per essodella qualifica di rifiuto, facendogli assumere invece quella

di materia prima sempre a fini alimentari ovvero per l’indu-stria mangimistica.

5.- Utilizzazione dell’invenduto o gestione di rifiuti: le regoleante 2007

Fino a dicembre 2007, la possibilità di destinare legittima-mente il pane fresco invenduto ad un uso specifico comemateria prima a fini alimentari o mangimistici era garantitaai detentori in automatico, ricorrendo al contenuto interpre-tativo, rispettivamente, da un lato, della circolare delMinistero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n.3402/V/Min., recante chiarimenti interpretativi in materia didefinizione di rifiuto38, e, dall’altro, dal combinato disposto diquesta e della circolare del Ministero della salute 22 luglio2002, sulle linee guida per l’utilizzazione nell’alimentazioneanimale dei materiali e dei sottoprodotti derivanti da cicliproduttivi o commerciali delle industrie agro-alimentari39,linee guida spiegate per i «resi dell’industria di panificazio-ne» dallo stesso Ministero della salute con la nota del 20marzo 2003, n. 609/SEGR/47.Ai sensi di tali provvedimenti, in particolare - e per quanto diinteresse in questa sede -, il pane e gli altri prodotti da fornoche per motivi anche commerciali non erano più destinabilialla vendita diretta al consumatore come alimenti, ma eranocomunque «utilizza[bili] direttamente in altri cicli di produ-zione o di consumo senza dover essere sottoposti ad alcuntrattamento» e il detentore non se ne fosse disfatto e non

(29) Lo stesso Avvocato generale ai punti 52-55 delle ulteriori conclusioni 22 marzo 2007, causa C-195/05, Commissione c. Repubblicaitaliana, ivi.(30) Piatto tipico della gastronomia tirolese, in particolare delle città di Trento e Bolzano, ma anche di quelle del Friuli e del bellunese. Icanederli hanno una tradizione che risale almeno al Mille, trovandosi affreschi del primo decennio del XIII secolo nella cappella delCastel d’Appiano, in Alto Adige, in provincia di Bolzano (castello costruito tra il 1125 e 1130), che «mostrano immagini della tradizionelocale come per esempio le “mangiatrici di canederli”» (http://www.suedtirolerland.it/).(31) Tipici di tutta la zona dolomitica e dell’alto Cadore e, in particolare, dell’Ampezzo, ove la ricetta sia dei cusunziei rossi, sia di quelliverdi o con la zucca o il radicchio, prevede tra gli ingredienti base del ripieno il pane raffermo grattato. In passato i csanzöi hanno sem-pre rappresentato il cibo più sostanzioso e la variabile festiva e delle occasioni importati dei cibi a base di latte e farina di frumento o digranoturco, o di polenta e formaggio.(32) O morsi o muersi, tipici del salentino che, in dialetto, stanno ad indicare i piccoli pezzi di pane raffermo tagliati a tocchetti che, frittinell’olio e amalgamati con legumi avanzati e verdure e peperoncino, erano consumati dai contadini per le proprietà energizzanti.(33) Piatto della più antica tradizione culinaria toscana, a base di pane raffermo e pomodori, aglio, carote, basilico, sedano ed altre ver-dure, il tutto condito con olio extravergine d’oliva.(34) Ricetta del pistoiese che risale almeno all’Alto Medioevo, utilizzata dai pellegrini penitenti nei loro viaggi verso la meta giubilare.(35) Piatto di origine contadina che, al pari della minestra di pane, risale anch’esso al periodo medioevale, differenziandosene per esse-re, per l’appunto, “ribollito” e fatto insaporire fino ad avere una consistenza di crema morbida ed omogenea.(36) Ricetta tipica dell’Italia centrale tutta (Toscana, Umbria, Marche, Lazio) che sembrerebbe aver avuto diffusione con gli spostamentidei liguri lungo la costa toscana.(37) G. Pontoni, Pane raffermo. 50 ricette per riscoprire una tradizione, Pasian di Prato (UD), 2009.(38) La circolare, in particolare, affronta in concreto, sul piano operativo, l’accertamento del fatto, dell’obbligo o dell’intenzione di “disfar-si” quale presupposto di configurazione di un rifiuto, concludendo che ove di «materiali, sostanze od oggetti originati da cicli produttivio di preconsumo» vi siano elementi probatori in grado di sostenere che «il detentore non si disfi, non abbia l’obbligo o l’intenzione didisfarsi» e che quindi non vi sia un loro conferimento «a sistemi di raccolta o trasporto dei rifiuti, di gestione di rifiuti ai fini del recuperoo dello smaltimento», essi, «purché abbiano le caratteristiche delle materie prime secondarie indicate dal Dm 5 febbraio 1998 e sianodirettamente destinate in modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo, sono sottoposti al regime delle materie prime enon a quello dei rifiuti».(39) Circolare pubblicata sulla GURI n. 180 del 2 agosto 2002.

ne avesse avuto l’obbligo o l’intenzione (circolare delMinistero dell’ambiente), «esist[endo, anzi] la volontà delproduttore di volerli utilizzare nel ciclo alimentare» anchezootecnico (circolare del Ministero della salute), da forma-lizzare in atti scritti («contratto o documentazione fiscale»),avrebbero potuto essere utilizzati purché ne fossero sussi-stite le garanzie igienico-sanitarie, quindi il rispetto delleregole igieniche sia per la salute degli uomini sia per gli ani-mali, e quelle di trasporto a garanzia della loro salubrità. «Intal caso i suddetti materiali non… [sarebbero stati] assog-gettati alla normativa sui rifiuti, bensì alle disposizioni relati-ve alla produzione e commercializzazione degli alimenti» eciò «sin dal momento in cui [avessero] lasciato lo stabili-mento di produzione (industria o semplice esercizio com-merciale nel quale è stato prodotto lo “scarto o reso com-merciale”)» (in combinato, la circolare e la nota delMinistero della salute).Alle due circolari, il Codice dell’ambiente aveva aggiunto unrichiamo di interesse per il pane invenduto, riferendosi alle«eccedenze derivanti dalle preparazioni di cibi solidi, cotti ocrudi… destinate… alle strutture di ricovero di animali diaffezione» tra le ipotesi di esclusione ex lege dalla discipli-na sui rifiuti (art. 185 del Codice prima o seconda formula-zione40); il riferimento era interpretato da alcuni come unrichiamo, non già ai residui di produzione (suscettibili nelcaso di acquisire la qualifica di sottoprodotti), ossia materia-li e sostanze “secondarie” ottenute in automatico e conte-stualmente al prodotto principale dal medesimo «processodi fabbricazione o di produzione, ma [materiali e sostanze]derivan[ti] dal fatto che il prodotto originario - quello princi-pale [ndr] - non è stato consumato interamente»41, includen-do quindi nella disposizione anche l’invenduto, il reso e ognimateriale derivante dal ciclo commerciale.Tali provvedimenti (le circolari e l’art. 185 del Codice dell’am-biente) hanno mantenuto la loro piena validità ed applicazio-ne legittima fino al 18 dicembre 2007, ossia fino al deposito

della sentenza di condanna della Corte di giustizia conclusi-va della causa C-195/05 (Commissione c. Repubblica italia-na)42, introdotta dalla Commissione per violazione delladisciplina comunitaria sul presupposto che gli indirizzi ope-rativi propri dei provvedimenti indicati escludevano in auto-matico e, quindi, illegittimamente dall’ambito di applicazionedella normativa sui rifiuti di origine comunitaria, determinatiresidui di produzione e consumo ed eccedenze alimentariche ben avrebbero potuto in taluni casi divenire rifiuti.In particolare, la Corte ha motivato la sua decisione argo-mentando che a suo giudizio anche se le presunzioni indi-cate dalla normativa italiana in esame «in determinati casip[ossono] corrispondere alla realtà, non può esistere alcu-na presunzione generale in base alla quale un detentore deimateriali in questione tragga dal loro riutilizzo un vantaggiomaggiore rispetto a quello derivante dal mero fatto di poter-sene disfare». Ed invero, «la destinazione futura di unoggetto o di una sostanza non è di per sé decisiva perquanto riguarda la sua eventuale natura di rifiuto… Di con-seguenza, è giocoforza constatare che la citata normativafinisce per sottrarre alla qualifica di rifiuto, ai sensi dell’ordi-namento italiano, taluni residui che corrispondono tuttaviaalla [relativa] definizione… [che] determina… la sfera diapplicazione [della disciplina sui rifiuti]… Orbene, ogninorma nazionale che limita in modo generale la portatadegli obblighi derivanti dalla direttiva [sui rifiuti] oltre quantoconsentito dal suo art. 2, n. 1, travisa necessariamentel’ambito di applicazione della direttiva, pregiudicando inquesto modo l’efficacia dell’art. 174 CE»43.

6.- (segue): le conferme per la destinazione all’alimentazio-ne animale

Il vuoto venutosi a creare con la sentenza della Corte di giu-stizia nei rapporti con il diritto comunitario44, è stato in parte

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(40) Ossia ante o post il secondo decreto correttivo al Codice dell’ambiente, il d.lgs. 14 gennaio 2008, n. 4, le cui modifiche hanno peròsottoposto le eccedenze derivanti dalla preparazione di qualsiasi cibo, ad un regime di esclusione dalle regole sui rifiuti solo ove assol-ti i presupposti di configurazione dei sottoprodotti (in argomento, ci permettiamo di rinviare a M. Benozzo, Commento ai Titoli I-IV dellaParte Quarta, cit., p. 473). (41) In questo senso l’avvocato generale Jan Mazak, nelle sue conclusioni 22 marzo 2007, presentate nella causa C-195/05,Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana, disponibili in http://curia.europa.eu, punto 56.(42) Sentenza disponibile ivi.(43) Così dal punto 49 della sentenza, la quale prosegue rispondendo alle argomentazioni svolte dalla Repubblica italiana per sostene-re, essenzialmente, che l’applicazione della disciplina relativa alle condizioni di sicurezza in materia di derrate alimentari e di mangimirenderebbe impossibile qualificare i materiali in questione come rifiuti, la Corte di giustizia precisa che «tali materiali non si identificano,in linea di principio, con le sostanze e gli oggetti elencati all’art. 2, n. 1, della direttiva [ossia la norma relativa alle esclusioni dalla disci-plina - ndr], sicché la deroga all’applicazione di quest’ultima… non può riguardare i materiali in parola… Inoltre, contrariamente a quan-to sostiene la Repubblica italiana, la direttiva non può essere considerata come di applicazione residuale rispetto alla legislazione comu-nitaria e nazionale in materia di sicurezza alimentare. Sebbene, infatti, gli scopi perseguiti da alcune disposizioni della citata legislazio-ne possano parzialmente sovrapporsi a quelli della direttiva, essi rimangono tuttavia notevolmente diversi. Al di là delle ipotesi espres-samente previste all’art. 2, n. 1, della direttiva, nulla poi in quest’ultima è tale da indicare che essa non si applicherebbe cumulativamen-te ad altre legislazioni». In argomento v. R. Bianchi, Scarti alimentari e rifiuti: la condanna inevitabile ma «tardiva» dell’Italia (prima let-tura), in Ambiente&Sviluppo, 2008, p. 145.(44) Ossia con la dichiarazione di non conformità delle due circolari in esame e del richiamo alle eccedenze nella produzione di alimen-ti di cui all’art. 185 del Codice dell’ambiente.

colmato, per la destinazione a fini mangimistici, dalla stes-sa Commissione con la sua comunicazione interpretativadella nozione di rifiuto e sottoprodotto, dove, all’allegato I,dedicato agli «esempi di rifiuti e non rifiuti», ha affrontato laquestione dei «sottoprodotti dell’industria agroalimenta-re»45. In particolare, la Commissione ha sostenuto che«sebbene non si possa automaticamente considerare tutti iresidui… destinati all’alimentazione animale come non rifiu-ti… le suddette sostanze [non lo diventano, ove] sono pro-dotte deliberatamente… oppure, qualora non… prodottedeliberatamente, soddisfano [comunque] i criteri cumulativiper i sottoprodotti definiti dalla Corte, dato che il loro riutiliz-zo nei mangimi è certo e non necessitano di previa trasfor-mazione al di fuori del processo di produzione»46. In tali ipo-tesi, ai materiali in questione troverebbero applicazione «ilregolamento (CE) n. 178/2002, sulla legislazione alimenta-re, e la direttiva 96/25/CE, sulla circolazione di materieprime per mangimi», ma non «la definizione di rifiuto» che -a detta della Commissione - «non si applica»47.Sennonché, con il termine sottoprodotto non si identificano- come, invece, di interesse in questa sede - i resi, l’inven-duto e i materiali derivanti dal ciclo commerciale di un deter-minato prodotto, bensì esclusivamente le materie e lesostanze “secondarie”, solitamente non volute, ottenute inautomatico e contestualmente alla produzione di un prodot-to “principale”, che il Codice dell’ambiente da sempre defi-nisce come materiali e sostanze originate da un processonon direttamente destinato alla loro realizzazione e che sot-trae alla gestione vincolata dei rifiuti solo ove il produttore

non intende disfarsene e siano soddisfatti specifici «criteri,requisiti e condizioni»48.Quindi, la stessa comunicazione interpretativa dellaCommissione non può che interessare tali tipologie di materia-li e sostanze e non anche i residui commerciali, come il panefresco invenduto. Non a caso, ad un anno dalla pubblicazionedella comunicazione, il Parlamento europeo e il Consigliohanno emanato la nuova direttiva sui rifiuti n. 2008/98/CE delParlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 200849,che muovendo dalle medesime considerazioni dellaCommissione, per cui occorre «precisare la distinzione tra ciòche è rifiuto e ciò che non lo è»50 per evitare «confusione tra ivari aspetti della definizione di rifiuti e… applica[re] procedureappropriate» ai beni «che non sono rifiuti»51, si è occupataesclusivamente dei sottoprodotti, specificandone l’originecome quel residuo «derivante da un processo di produzione,il cui obiettivo primario non è la produzione di tale articolo»52.Nonostante ciò e sulla scorta proprio di tali provvedimenti ein particolare della comunicazione della Commissione del2007, il 31 marzo 2009 il Ministero del lavoro, della salute edelle politiche sociali53 ha ritenuto di dover superare e sosti-tuire la circolare del 2002 sulla destinazione dei materiali edei sottoprodotti alimentari all’alimentazione animale, conuna nuova nota esplicativa sul «utilizzo dei sottoprodotti ori-ginati dal ciclo produttivo delle industrie agroalimentaridestinati alla produzione di mangimi»54. La novità di taleprovvedimento, in particolare, non è tanto quella dell’ado-zione nazionale dei nuovi indirizzi comunitari in merito aisottoprodotti, quanto la scelta di intervenire anche e soprat-

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(45) Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo 21 febbraio 2007, dal titolo «Comunicazione interpretativasui rifiuti e sui sottoprodotti» (COM/2007/0059 def.), disponibile in http://europa.eu.(46) Pagina 12 della comunicazione.(47) Pagina 13.(48) Così l’art. 183 dopo la riforma d.lgs. n. 4/2008 che alla lett. p del comma 1 elenca i seguenti requisiti: la certezza e non eventualitàdell’utilizzazione «sin dalla fase della produzione»; l’impiego diretto «nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventiva-mente individuato e definito»; il rispetto di alcuni standard merceologici ed ambientali per non rappresentare fonte di maggior pericolocon «impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto» cui sono destinati; l’utilizzo “talquale”; il valore economico di mercato [in argomento ci permettiamo di rinviare a M. Benozzo, La gestione dei rifiuti, in G. Alpa, G. Conte,A. Fusaro e U. Perfetti (a cura di), Diritto dell’ambiente, Napoli, in corso di pubblicazione]. Già prima del decreto correttivo, però, lo stes-so art. 183 prevedeva una disposizione equivalente (la lett. n del comma 1), definendo sempre sottoprodotti quei materiali e sostanzeoriginate da un processo di produzione non destinato alla loro produzione, che per essere gestite in deroga alla disciplina sui rifiuti avreb-bero dovuto assolvere ad una serie di criteri e presupposti.(49) Direttiva che ha originato il IV correttivo al Codice dell’ambiente, il d.lgs. n. 205/2010, su cui v. supra nota 13 e testo relativo. Sulladirettiva v. F. Giampietro (a cura di), Commento alla direttiva 2008/98/Ce, Milanofiori Assago (Milano), 2009.(50) Considerando 4 e 5 della direttiva.(51) Considerando 22.(52) Prosegue l’art. 5 che ad un siffatto materiale o sostanza non trovano applicazione le regole sui rifiuti quando «soddisfatte le seguen-ti condizioni: a) è certo che la sostanza od oggetto sarà ulteriormente utilizzata/o; b) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o diret-tamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parteintegrante di un processo di produzione; e d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico,tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sul-l’ambiente o la salute umana».(53) In particolare, il suo Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti, Direzione generaledella sanità animale e del farmaco veterinario, Ufficio VII, ossia: l’ex Ministero della salute.(54) Provvedimento redatto d’intesa con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e la partecipazione delle associazioni dicategoria (l’Assalzoo e la Federalimentare) e del coordinamento interregionale in materia, pubblicato come comunicato con il numero diprotocollo 509-12/01/2009/DGSA-P, sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2009.

tutto sull’invenduto, sul reso e su ogni materiale derivantedal ciclo commerciale che sia comunque destinabile all’ali-mentazione animale, includendo quindi anche i prodotti diinteresse in questa sede. Con la nuova nota, invero, il Dicastero riconosce (nuova-mente) l’automatica esclusione dalle regole sui rifiuti per tuttiquegli scarti ottenuti presso un’impresa del settore alimenta-re, ove destinati all’alimentazione animale e purché (nuova-mente) rispettate le specifiche regole igienico sanitarie deiregolamenti del c.d. “pacchetto igiene” e delle relative normenazionali in vigore55, nonché le norme sulle «materie primeper mangimi» di cui al d.lgs. 17 agosto 1999, n. 36056. Ed è proprio il richiamo di tale ultimo provvedimento e il suocontenuto che fa pensare che con la nota si sia inteso com-piere un passo ulteriore rispetto a quando specificato neitesti comunitari che ne rappresentano il presupposto, affian-cando agli scarti di produzione, quelli commerciali e di con-sumo. Richiamando l’«Allegato II, parte A, capo II, del pre-detto decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 360», per indica-re le materie prime per mangimi incluse nell’oggetto interpre-tativo della nota, il Ministero menziona espressamente, oltreai residui o scarti di produzione, anche i prodotti veri e propririchiamando «i prodotti della panetteria e delle paste alimen-tari; i prodotti di confetteria, i prodotti di gelateria e pasticce-ria; gli sciroppi; gli acidi grassi; i prodotti ortofrutticoli ed i pre-parati alimentari»; e qualora si pensasse che la menzione ditali prodotti fosse in realtà limitata ai soli residui di produzio-ne di tali materiali e sostanze (ai sottoprodotti, per l’appunto),lo stesso Dicastero specifica che «tali prodotti ovviamentedovranno essere liberati dagli imballaggi secondo quantoprevisto dalla decisione della Commissione 2004/217/CE“relativa all’adozione di un elenco di materie prime di cuivieta la circolazione o l’impiego nei mangimi”, che al punto 7)dell’Allegato prevede il divieto dell’impiego degli “imballaggie parti d’imballaggio provenienti dall’utilizzazione di prodottidell’industria agro-alimentare” nei mangimi». Quindi, mate-

riali e sostanze già destinati al (o addirittura circolati sul) mer-cato come alimenti che vengono dirottati all’alimentazioneanimale, ossia veri e propri “prodotti principali” e non “secon-dari” di un processo produttivo che la circolare del Ministeroinclude nella sua nozione di sottoprodotto, estendendo inmodo atecnico il significato del termine definito dal legislato-re, per ricomprendervi, accanto ai residui di produzione,anche i residui di commercializzazione (l’invenduto e il reso).Pertanto, nei presupposti di destinazione dei prodotti deipanifici all’industria mangimistica la nuova nota sembrereb-be rappresentare una sostanziale conferma della preceden-te circolare con l’operatività di una loro esclusione dallenorme sui rifiuti, con una unica fondamentale specificazio-ne: che «le condizioni igienico sanitarie… non permettonoagli operatori del settore dei mangimi, l’acquisizione di sot-toprodotti dalle industrie agroalimentari con lo status di“rifiuti” per la successiva produzione di mangimi», trovandoquindi esclusione all’origine la possibilità di ricorrere all’in-dustria mangimistica e ai suoi processi, per recuperare rifiu-ti alimentari, compresi gli alimenti e, quindi, il pane fresco.Sul punto si è già espressa la giurisprudenza, chiamata pro-prio a pronunciarsi sulla nota esplicativa del 2009, che aconclusione del giudizio ha confermato la legittimità delprovvedimento sul presupposto che solo i sottoprodotti, enon già i rifiuti, possono essere destinati alla utilizzazionediretta nella produzione di mangimi: «è infatti l’impresa ali-mentare che, decidendo in via preventiva di destinare i pro-pri sottoprodotti alla filiera di produzione dei mangimi, negarantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso atrattamenti o trasformazioni con finalità di risanamento diuna materia originariamente non conforme… [ove] sola-mente a destinazione del sottoprodotto all’impresa produt-trice di mangimi animali (che rientrano nella catena alimen-tare umana) consente il rigoroso rispetto degli obblighi pre-visti dalla normativa igienico-sanitaria esistente in materia,fornendo anche le garanzie di tracciabilità»57.

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(55) In particolare, specifica la nota del Ministero, «le imprese del settore alimentare Regolamento (CE) 882/2004, art. 2, lettera c) cheintendono destinare i propri sottoprodotti ad uso zootecnico notificano la propria attività di produzione di sottoprodotti alle autorità sani-tarie competenti utilizzando il modello 3 ed il modello 4 delle linee guida di applicazione del Regolamento (CE) 183/2005, del Ministerodella salute, del 28 dicembre 2005. Inoltre, le industrie agro-alimentari si impegnano ad estendere il rispetto dei requisiti igienico sani-tari e le procedure basate sui principi dell’HACCP anche alla gestione dei sottoprodotti». In argomento v. infra par. 8.(56) Oltreché, ovviamente, il regolamento n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare (applicabile sia agli alimenti, sia ai mangimi, con obbli-go per il relativo “operatore” di garantire il soddisfacimento dei requisiti in materia di igiene in tutte le fasi di produzione, di trasformazio-ne e di distribuzione ed impiego del relativo prodotto), ma anche la legge 15 febbraio 1963, n. 281 sulla preparazione e il commerciodei mangimi e il d.lgs. 10 maggio 2004, n. 149 (ai sensi dei quali le materie prime utilizzate nella produzione di mangimi debbono esse-re di qualità sana, leale e mercantile e non presentare pericoli per la salute degli animali e delle persone). In argomento, v. per tutti I.Trapè, La disciplina comunitaria dei mangimi, in AIM, 2004, n. 3, p. 13; Id., Alimentazione animale e tutela del consumatore nella disci-plina comunitaria, ivi, 2005, p. 353.(57) TAR Umbria, Sezione I, 4 maggio 2010, n. 274, disponibile in http://lexambiente.it, su cui v. C. Cicero e G. Girolamo, Sottoprodottidell’industria agroalimentare destinati alla produzione dei mangimi, in Professione Veterinaria, 2010, n. 29, p. 18, secondo cui, nell’ar-gomentare la sentenza, «l’operatore che abbia deciso di disfarsi di una sostanza può farlo attraverso lo smaltimento del prodotto, ovve-ro tramite il suo recupero nel rispetto della normativa di tutela ambientalistica, ma gli stessi non possono essere in alcun modo destina-ti all’industria zootecnica, non potendosi nel processo di lavorazione, applicare la normativa igienico sanitaria del settore mangimisticoproprio perché considerati, ab initio, come rifiuti dal produttore, avendo quest’ultimo manifestato la volontà di disfarsene… [ove] non èammissibile… far rientrare nel ciclo di produzione dei mangimi sostanze non rispondenti, all’origine, alle prescrizioni igienico sanitariedel settore alimentare e/o mangimistico».

7.- (segue): il IV correttivo al Codice dell’ambiente e lavolontà del detentore

Tale contesto normativo non ha visto modifiche sostanzialiper i resi commerciali in esame dopo l’entrata in vigore delIV correttivo al Codice dell’ambiente di cui al d.lgs. n.205/2010, se non per una complicazione delle operazioni digestione dell’invenduto di pane fresco dovuta sia all’introdu-zione della specifica definizione di “rifiuto organico”, cheinclude i «rifiuti alimentari… [dai] punti vendita al dettaglio e[i] rifiuti simili prodotti dall’industria alimentare» (nuova lett.d dell’art. 183, comma 1 del Codice dell’ambiente), sia allaprevisione di una nuova disciplina per le materie primesecondarie (mps), ossia per il prodotto finale di un’operazio-ne di riutilizzo, riciclo o, comunque, recupero di rifiuti, quan-do, il risultato è conforme a determinate caratteristiche tec-niche, conseguenza di operazioni di riprocessamento indu-striale a completamento delle quali il rifiuto stesso perde laqualifica divenendo, appunto, mps58. La prima novità (la definizione di “rifiuto organico”), in parti-colare, conferma l’intenzione e le scelte del legislatore disottoporre i materiali alimentari «di cui il detentore si disfi oabbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi» (lett. a dell’art.183, comma 1) alle regole sui rifiuti in generale e per quelliorganici, nello specifico, che un nuovo art. 182-ter definiscechiedendo alle regioni, alle province autonome, ai comuni eagli ATO di adottare misure volte ad incoraggiarne la raccol-ta separata e il trattamento, nonché l’utilizzo dei materiali

ottenuti da tali rifiuti (come il compost di qualità59), per pro-teggere maggiormente la salute umana e l’ambiente.Riguardo la seconda novità, invece, con il provvedimento difine anno si è intervenuto direttamente sul meccanismonazionale dell’End-of-Waste per adattarlo a quello comuni-tario60, abrogando l’art. 181-bis sulle “materie, sostanze eprodotti secondari” (e la relativa definizione di «materiaprima secondaria»)61 e sostituendolo con una norma dinuova introduzione, l’art. 184-ter sulla “cessazione dellaqualifica di rifiuto”. Del cambiamento, ciò che rileva in que-sta sede, non è tanto la differenza tra il meccanismo comu-nitario e quello nazionale sostituito62 che non è stato maireso operativo per mancata emanazione del relativo decre-to, quanto piuttosto le modifiche nel regime transitorio primain vigore. La norma ante decreto correttivo, infatti, prevede-va che la disciplina dei casi concreti fosse lasciata in viatransitoria ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno2002, n. 161 e 17 novembre 2005, n. 269 (così il comma 3dell’abrogato art. 181-bis), nonché alla circolare sopra citatadel Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999 (comma 4), a cuisi era aggiunto poi l’art. 9-bis, lett. a e b, del decreto-legge 6novembre 2008, n. 17263. Con il nuovo art. 184-ter il regimetransitorio viene reiterato, in attesa dell’emanazione deiprovvedimenti attuativi (comma 3), ma facendo sparire lacircolare del Ministero dell’ambiente64 ed ampliando lanozione di recupero anche alle attività di «preparazione peril riutilizzo»65 (comma 1 dell’art. 184-ter), nonché a quelleconsistenti nel semplice controllo dei beni «per verificare se

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(58) Sulla disciplina delle mps prima dell’emanazione del decreto correttivo n. 205/2010, ci permettiamo di rinviare nuovamente, ancheper dottrina e giurisprudenza citata, a M. Benozzo, Commento ai Titoli I-IV della Parte Quarta, cit., p. 468, nonché a Id., La gestione deirifiuti, cit.(59) Ossia: il «prodotto, ottenuto dal compostaggio di rifiuti organici raccolti separatamente, che rispetti i requisiti e le caratteristiche sta-bilite dall’allegato 2 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75 e successive modifiche e integrazioni» (lett. ee dell’art. 183, comma 1del Codice dell’ambiente).(60) Su cui v. Delgado, Catarino, Eder, Litten, Luo e Villanueva, End-of-Waste Criteria, rapporto finale del Joint Research Centre Institutefor Prospective Technological Studies della Commissione Europea, Lussemburgo, 2009.(61) Definizione contenuta alla lett. q della precedente versione dell’art. 183, in cui si leggeva: «materia prima secondaria: sostanza omateria avente le caratteristiche stabilite ai sensi dell’articolo 181-bis». (62) Su cui, con doviziosa analisi delle differenze, v. P. Giampietro, Dal rifiuto alla “materia prima secondaria” nell’art. 6 della direttiva2008/98/CE (End of waste status e problemi di trasposizione nell’ordinamento italiano), in http://www.lexambiente.it, 2010.(63) Decreto legge convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210 il cui art. 9-bis citato, in particolare, prevede dueulteriori ipotesi di cessazione della qualifica di rifiuto e produzione di una mps anche non rispondente alle specifiche previste daidecreti ministeriali citati, ove il recupero avvenga in forza di una autorizzazione rilasciata ai sensi degli artt. 208, 209 o 210 del Codiceche ne prevede la produzione (lett. a) ovvero ove tale possibilità sia stata prevista da «accordi e… contratti di programma in materiadi rifiuti stipulati tra le amministrazioni pubbliche e i soggetti economici interessati o le associazioni di categoria rappresentative deisettori interessati prima della soppressione del comma 4 dell’articolo 181 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, operatadal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, continuando ad avere efficacia, con le semplificazioni ivi previste, anche in deroga alledisposizioni della parte IV del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni purché nel rispetto delle normecomunitarie». In argomento v. D. Röttgen, La nozione di materia prima secondaria (End-of-Waste), in F. Giampietro (a cura di),Commento alla direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, cit., p. 106 e 107. Sugli accordi e i contratti di programma in campo ambientale, pertutti, v. F. Bruno, Le gestione “negoziata” dell’ambiente: i contratti territoriali e la politica di sviluppo rurale dell’Unione Europea, inContratto e impresa/Europa, 2003, p. 612.(64) Così l’ultimo periodo del comma 3 del nuovo art. 184-ter, come introdotto dal d.lgs. n. 205/2010, in cui si legge che «la circolare delMinistero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizio-ne», ossia: il 25 giugno 2011.(65) Ossia: «le operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiutisono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento» (nuova lett. q dell’art. 183 del Codice dell’ambiente).

soddisfano i criteri» specifici di qualifica di mps (comma 2). La concorrenza della nuova definizione di rifiuto organicocon gli effetti della disciplina nazionale dell’End-of-Waste(estensione della nozione di recupero e scomparsa definiti-va della circolare) complica la gestione dei resi, in quanto favenir meno, da un lato la possibilità di ricorrere alla naturadi mps “fin dall’origine” - effetto interpretativo della circolarecomunque spendibile, ancorché non totalmente compatibi-le con il diritto comunitario66 - e, dall’altro, di sottoporre ilmateriale a semplice verifica per accertarne il rispetto aglistandard necessari all’utilizzo successivo. Ed infatti, se è pur vero che un materiale non diviene rifiutoe non deve essere sottoposto alla relativa disciplina fino aquando di esso il suo detentore non si disfi, è anche veroche quando uno stesso materiale giunge a fine “vita”, peressere utilizzato in un altro e diverso ciclo produttivo o diconsumo deve garantire il rispetto di alcune caratteristiche,la mancanza delle quali lo rende inutilizzabile e quindi rifiu-to di per sé. Per cui, l’eliminazione dell’effettività della circo-lare ministeriale e la constatazione legislativa che una qual-siasi attività svolta su di un bene di cui non si è certi dell’uti-lizzabilità “tal quale” debba rientrare tra le operazioni di recu-pero, non può che far ritenere tale bene rifiuto al momentoin cui se ne decide la destinazione ad un uso diverso dallasua funzione originaria. E tale qualifica che il pane frescoacquista prima dell’invio come materia prima al mercatomangimistico, lo rende non più suscettibile di tale utilizzo inforza della nota interpretativa del 2009, rimanendo eventual-mente la possibilità di riuso solo in altri cicli produttivi.Come visto, però, l’invio all’industria mangimistica non èl’unica possibile destinazione del pane fresco del giornoprima67; inoltre, le sue stesse caratteristiche (del pane fresco)e l’utilizzabilità diretta senza necessità di verifiche prelimina-ri ove mantenuto in buone condizioni secondo le regoleanche igieniche, pone il panificatore (o l’alimentari, ove dive-nutone proprietario) nella possibilità di decidere della suafine in una condizione di pre-qualifica che elimina a prioriogni possibilità di sussunzione nella nozione di rifiuto. Ossia,potendo il pane fresco del giorno prima essere suscettibile diulteriori, differenti e specifici usi, il loro detentore può, a fron-te di un vantaggio economico e a seconda del tipo di pane,destinarlo effettivamente ad un utilizzo che, ove non mera-

mente eventuale, ma certo e concreto e senza preliminarioperazioni di trasformazione (preliminari all’uso come mate-ria prima) che facciano giudicare l’operato come una sceltaimprenditoriale di organizzazione intorno al pane invendutodi una vera e propria attività alternativa, anche se collateralea quella principale, esclude a priori la sussumibilità del panenella “categoria” dei rifiuti essendo a tutti gli effetti una risor-sa, un prodotto dell’impresa che continua a sfruttarlo anchesuccessivamente alla vendita diretta come alimento. Unico limite a tale ragionamento è che l’ulteriore od esclu-sivo utilizzo “alternativo” del pane fresco sia lecito, quinditale da non violare alcun divieto previsto in norme comuni-tarie o nazionali68.

8.- (segue): l’incidenza del “pacchetto igiene”

Tralasciando l’uso del pane del giorno prima a fini mangimi-stici in quanto espressamente riconosciuto legittimodall’Autorità di controllo nazionale nelle sue comunicazionie note esplicative fin qui esaminate, eventuali impedimentipotrebbero sussistere per l’ulteriore uso come materiaprima per fini alimentari, ove divieti di ulteriori o alternativiutilizzi in tale ambito potrebbero ritrovarsi nella disciplina atutela della sicurezza degli alimenti, quindi nell’odiernastruttura piramidale a garanzia della salubrità dei prodottiche vede nel c.d. pacchetto igiene le regole di riferimentocon il regolamento n. 178/2002 al vertice e alla base i quat-tro regolamenti del 2004 (due relativi alla produzione ecommercializzazione degli alimenti, ossia i regolamenti852/2004 e 853/2004 del 29 aprile 2004, e due sulle moda-lità di controllo delle autorità competenti, ossia i regolamen-ti 854/2004 e 882/2004 sempre del 29 aprile 2004) e i cin-que del 2005 (ossia: il regolamento 183/2005 sui requisitiper l’igiene dei mangimi e i regolamenti 2073/2005,2074/2005, 2075/2005 e 2076/2005 del 5 dicembre 2005 inmateria di criteri microbiologici, organizzazione dei controllie misure transitorie), con il ricorso al sistema d’autocontrol-lo aziendale HACCP (Hazard Analysis and Critical ControlPoints - Analisi dei rischi e controllo dei punti critici) peridentificare e rivedere i punti critici del procedimento di pre-parazione ed utilizzo dei prodotti69.

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(66) In particolare, la circolare riconosceva l’acquisto dello status di mps per «i materiali, le sostanze o gli oggetti originati da cicli produt-tivi o di preconsumo» di cui «il detentore non si disfi, non abbia l’obbligo o l’intenzione di disfarsi» per non averli conferiti «a sistemi diraccolta o trasporto dei rifiuti» o gestiti «ai fini del recupero o dello smaltimento», ma solo ove tali beni «abbiano le caratteristiche dellematerie prime secondarie indicate dal Dm 5 febbraio 1998 e siano direttamente destinate in modo oggettivo ed effettivo all’impiego inun ciclo produttivo». Quindi, nel caso di beni come il reso dei panificatori, menzionati nel punto 2.6 dell’allegato 1, suballegato 1 deldecreto ministeriale del 1998 («rifiuti dell’industria dolciaria e della panificazione»), l’effetto che ne derivava era che per essi, giunti a“fine vita”, l’acquisto della qualifica di rifiuto coincidesse istantaneamente con il passaggio alla condizione di mps, per essere gestiti cometali e non più come rifiuti.(67) Cfr. supra paragrafo 4. (68) In questo senso, dapprima la Corte di giustizia 18 aprile 2002, causa n. C-9/00, Palin Granit Oy, in http://curia.europa.eu, in seguito,sia la Commissione nella sua Comunicazione sui rifiuti e i sottoprodotti (cit., pag. 7 e 14), sia il Consiglio e il Parlamento europeo nelladirettiva n. 2008/98/CE (artt. 5 e 6), sia, infine, il legislatore nazionale del IV correttivo al Codice dell’ambiente (artt. 184-bis e 184-ter).(69) La metodologia HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points - Analisi dei rischi e controllo dei punti critici), inizialmente adot-tata nei primi anni sessanta nell’ambito dei programmi spaziali americani e poi presentata alle aziende alimentari dal National Research

Ai sensi di tale complessa struttura, come visto70, un alimen-to per poter essere legittimamente messo sul mercato nondeve essere, né “rischioso”, né potenzialmente tale, e lacondizione di salubrità deve sussistere per tutta la filieraproduttiva e di circolazione, così come per tutte le materieprime e gli ingredienti utilizzati nella sua preparazione (ovecomposto). Ed invero, in attuazione del regolamento n.178/2002, il regolamento n. 852/2004 obbliga in generaleche «gli operatori del settore alimentare garantiscono chetutte le fasi della produzione, della trasformazione e delladistribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo sod-disfino i pertinenti requisiti di igiene fissati» (art. 3). Per lematerie prime, il medesimo regolamento prevede poi chel’«impresa alimentare non deve accettare materie prime oingredienti, diversi dagli animali vivi, o qualsiasi materialeutilizzato nella trasformazione dei prodotti, se risultano con-taminati, o si può ragionevolmente presumere che sianocontaminati, da parassiti, microrganismi patogeni o tossici,sostanze decomposte o estranee in misura tale che, anchedopo che l’impresa alimentare ha eseguito in maniera igie-nica le normali operazioni di cernita e/o le procedure preli-minari o di trattamento, il prodotto finale risulti inadatto alconsumo umano»71. Inoltre il trasporto di tali materie prime,degli ingredienti e degli alimenti realizzati deve avvenire uti-lizzando esclusivamente «vani di carico dei veicoli e/o con-tenitori… puliti nonché sottoposti a regolare manutenzioneal fine di proteggere i prodotti… da fonti di contaminazione»e che tali «vani di carico… e/o i contenitori non debbonoessere utilizzati per trasportare qualsiasi materiale diversodai prodotti alimentari se questi ultimi possono risultarnecontaminati»; quindi ove «i veicoli e/o i contenitori sono adi-biti al trasporto di altra merce in aggiunta ai prodotti alimen-

tari o di differenti tipi di prodotti alimentari contemporanea-mente, si deve provvedere, ove necessario, a separare inmaniera efficace i vari prodotti»72.In sostanza, quindi, agli operatori del settore alimentare èrimessa la responsabilità di assicurare e garantire la salu-brità delle materie prime, degli ingredienti e degli alimentiprodotti e commercializzati, ricorrendo, attuando e mante-nendo «una o più procedure permanenti, basate sui princi-pi del sistema HACCP», con l’obbligo di dimostrare all’auto-rità competente che simili procedure siano state effettiva-mente predisposte e seguite e che siano state adottate«tenendo conto del tipo e della dimensione dell’impresa ali-mentare», per soddisfarne ogni esigenza e prevenire ognirischio per l’igiene73.E’ in tali procedure, quindi, che sono da ritrovarsi - se pre-senti - gli eventuali ostacoli specifici per un riutilizzo a finialimentari del pane fresco del giorno prima.Essendo le procedure HACCP, manuali “relativi” delle sin-gole aziende (ossia redatti per escludere i rischi proprio diognuna di esse) e quindi, potenzialmente differenti tra loroper fronteggiare le specifiche esigenze, oggetto dell’indagi-ne devono essere le procedure generali di riferimento delsettore cui le singole imprese ricorrono per adeguarne ilcontenuto alle proprie specificità concrete, ossia: i c.d.manuali di corretta prassi operativa in materia di igiene.Essi rappresentano i testi cui si può fare riferimento comegiuda per l’elaborazione del sistema HACCP e delle buonepratiche di lavorazione e dei sistemi di autocontrollo e for-mazione del personale interno, in particolare riguardo lesezioni sui diagrammi di flusso, l’individuazione dei c.d.Punti Critici di Controllo - Critical Control Points (CCP)74, deilimiti critici e delle procedure di verifica75.

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Research Council statunitense che ne raccomandava un utilizzo generalizzato, è stata adottata a livello mondiale in una norma interna-zionale della Commissione del Codex Alimentarius (le “Guidelines for the Application of the HACCP System”) e ha trovato riconoscimen-to nella direttiva n. 93/43/CEE del 14 giugno 1993 sull’igiene dei prodotti alimentari, come attuata con il d.lgs. 26 maggio 1997, n. 155(l’art. 3, comma 2, in particolare, dispone che «il responsabile dell’industria alimentare deve individuare ogni fase che potrebbe rivelar-si critica per la sicurezza degli alimenti e deve garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed aggiornate le adeguate proce-dure di sicurezza avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP (HazardAnalysis and Critical Control Points)»). In argomento, da ultimo, per tutti v. C. Losavio, Le regole comunitarie e nazionali relative all’igie-ne dei prodotti, in L. Costato, E. Rook Basile e A. Germanò (diretto da), ult.op.cit., p. 185, nonché quanto argomentato infra al paragra-fo successivo.(70) Cfr. supra paragrafo 4.(71) Punto 1 dell’Allegato II, Capitolo IX dal titolo “Requisiti applicabili ai prodotti alimentari”.(72) Così il Capitolo IV, “Trasporto”, dell’Allegato II.(73) Art. 5 del regolamento n. 852/2004.(74) Se per «Punto critico» si deve intendere «punto o fase del processo produttivo in cui è possibile che si manifestino uno o più peri-coli ovvero che per un pericolo/i già presente/i vi sia un aumento del rischio connesso ad un livello inaccettabile»; il «Punto critico dicontrollo (CCP)» rappresenta la «fase nella quale il controllo può essere messo in atto ed è essenziale per prevenire, eliminare o ridur-re ad un livello accettabile un pericolo per la sicurezza dell’alimento… In sostanza si tratta di un punto o segmento di processo in cui èpossibile e necessario esercitare un’azione di controllo al fine di prevenire, eliminare o ridurre ad un livello accettabile un rischio relati-vo alla sicurezza igienica dei prodotti alimentari» e ciascuna azienda, sotto la propria responsabilità deve definire i propri CCP del pro-cesso produttivo o distributivo (così l’allegato 1 della determina del Ministero della salute 28 gennaio 2011 contenente le “linee guidaper l’elaborazione e lo sviluppo dei manuali di corretta prassi operativa”).(75) Cfr. il Progetto della Commissione delle comunità europee di Guida all’applicazione delle procedure basate sui principi del sistemaHACCP e alla semplificazione dell’attuazione dei principi del sistema HACCP in talune imprese alimentari, disponibile inhttp://europa.eu, ove, in particolare, si legge che «i manuali di corretta prassi operativa costituiscono uno strumento semplice ma effica-ce per superare le difficoltà che talune imprese alimentari possono incontrare nell’applicazione di una dettagliata procedura basata sui

Ai sensi del solito regolamento n. 852/2004, si prevede chel’elaborazione dei Manuali e la loro adozione a livello azien-dale è vivamente consigliata (art. 7), soprattutto nelle piccoleimprese, poiché permettono di definire in modo più preciso epuntuale quei criteri di flessibilità previsti dal regolamento. Laloro predisposizione può essere effettuata dalle associazioni,dai privati o da organizzazioni di formazione, ma sempre perambito generale di singolo settore alimentare, per essere poicalati da ciascun operatore di tale settore nella propria realtàe nelle proprie dimensioni, al fine di predisporre un sistemaproporzionato alle specifiche esigenze (art. 8). Raccomandata la loro predisposizione ed adozione soprat-tutto nelle aziende in cui la manipolazione di alimenti segueprocedure consolidate - proprio come nei forni e nellepanetterie ove le procedure costituiscono spesso partedella formazione professionale degli stessi operatori -, imanuali redatti a livello nazionale sono sottoposti alla valu-tazione e validazione dell’Autorità competente, per esserepoi trasmessi alla Commissione per creare e mantenere unsistema di registrazione di essi da mettere a disposizioneanche degli altri Stati membri (sempre l’art. 8)76.Ebbene, i forni, le panetterie e, in generale, i panificatori pro-fessionali, hanno al momento due manuali applicabili al lorosettore: il “Manuale di corretta prassi igienica per il settoredella panificazione industriale”, predisposto dall’AssociazioneItaliana Industrie Prodotti Alimentari (AIIPA) e validato dalMinistero della salute nel 200877, e il “Manuale di corretta pras-si igienica per il settore della panificazione e prodotti da forno”,predisposto dall’Ente Bilaterale Nazionale Artigianato (EBNA)e validato dal medesimo dicastero nel corso del 199978.

Entrambi i manuali, che trovano applicazione in tale settore«allo scopo di assicurare il raggiungimento ed il manteni-mento di adeguate condizioni igieniche durante lo svolgi-mento di tutte le attività di produzione, deposito, trasporto edistribuzione», a parte l’espressa previsione di un divieto di«manipolazione e/o… somministrazione del pane al di fuoridei locali non idonei a questo scopo», nulla prevedonodirettamente sull’utilizzabilità o meno a fini alimentari delpane del giorno prima, limitandosi solo a sancire dei princi-pi ed articolare delle raccomandazioni operative volte adassicurare e garantire la salubrità dei prodotti così ottenuti,trasformando o manipolando le materie prime e gli ingre-dienti acquistati79.Ma se tutti i suggerimenti e le indicazioni in tali manualisono volti sostanzialmente all’analisi del rischio (nelle suecomponenti della valutazione e della gestione)80 e, quindi, afornire lo sviluppo a livello aziendale di una metodologiasistematica per definire misure efficaci, proporzionate emirate a prevenire, escludere od evitare esposizioni inutilied inadeguate per la salute dell’uomo, ove le materie primee gli ingredienti utilizzati non mettono in pericolo tale risul-tato per qualità certificata e garantita, essi possono essereutilizzati senza limiti e restrizioni, ancorché originati da filie-re produttive differenti. Ossia, nei limiti in cui la filiera d’ori-gine della “materia prima - pane fresco invenduto” (dallaconsegna al rivenditore e fino alla sua restituzione al pani-ficatore) è soggetta a procedure igieniche adeguate erispettose delle regole sulla sicurezza alimentare e tali daassicurare al detentore finale di certificare la qualità igieni-ca dell’invenduto81 (segregandolo ed allontanandolo come

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principi del sistema HACCP. I rappresentanti dei diversi settori alimentari, in particolare di quei settori in cui molte imprese incontranodifficoltà nello sviluppare procedure basate sui principi del sistema HACCP, dovrebbero valutare l’opportunità di redigere tali manuali ele autorità competenti dovrebbero incoraggiare i rappresentanti dei settori a svilupparli» (pp. 20 e 21).(76) Il regolamento richiede la valutazione dei manuali da parte delle Autorità nazionali «al fine di verificarne la conformità alle disposizio-ni» applicabili. Al riguardo, cfr. l’Accordo 29 aprile 2010 (Rep. Atti n. 59/CSR), concluso tra Governo, regioni e province autonome sulle“Linee guida applicative del regolamento CE n. 852/2004/CE” del Ministero della salute e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 121 del26 maggio 2010, in cui sono disciplinate le procedure di approvazione.(77) Manuale validato il 13 marzo 2008 e segnalato per la trasmissione alla Commissione con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.73 del 27 marzo 2008.(78) Con pubblicazione avvenuta sulla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbraio 2000. Al riguardo, pur se redatto qualche tempo prima del-l’entrata in vigore del regolamento n. 852/2004, tale provvedimento ne ha riconosciuto la validità e la possibilità di continuarne l’applica-zione, insieme a tutti gli altri manuali di corretta prassi già elaborati alla sua entrata in vigore, «purché siano compatibili con i suoi [delregolamento] obiettivi» (così l’art. 8, par. 5).(79) In particolare, ai destinatari si suggerisce di selezionare i propri fornitori, di verificarne le procedure di garanzia e i piani di controllo,di ispezionarne periodicamente i locali e pretendere una certificazione di qualità (come salubrità igienica) delle forniture ricevute, converifiche delle materie prime all’arrivo nella propria sede di trasformazione, secondo un piano di controllo prestabilito.(80) La valutazione del rischio, in particolare, è un procedimento costituito da quattro fasi (la “individuazione del pericolo”, la “caratteriz-zazione del pericolo”, la “valutazione dell’esposizione al pericolo” e la “caratterizzazione del rischio”) basate sui dati scientifici disponi-bili, per caratterizzare - come indicato dallo stesso legislatore comunitario - la «funzione della probabilità e della gravità di un effetto noci-vo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo», ove il “pericolo” (od elemento di pericolo) è definito, come un «agente bio-logico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, o[vvero una] condizione in cui un alimento o un mangime si trova, in gradodi provocare un effetto nocivo sulla salute» (così, per entrambi, l’art. 3 del regolamento n. 178/2002 e in particolare, rispettivamente, ipunti 9 e 14 di esso).(81) A tale riguardo, lasciando i locali del panificatore, il pane deve partire ed essere trasportato in recipienti lavabili e muniti di copertu-ra a chiusura, in modo da essere al riparo da ogni causa di “insudiciamento”. Nei luoghi di vendita, non deve essere contaminato o con-taminabile e deve tornare nei locali del panificatore nel rispetto delle stesse regole, per poi essere immagazzinato nello stabilimento inmodo opportuno a garanzia della conservazione e per evitarne il deterioramento nocivo e la contaminazione. In più è raccomandato di

materia prima per l’industria mangimistica ovvero comerifiuto, ove non conforme agli standards necessari per esse-re destinato a fini alimentari), ben può il pane fresco delgiorno prima essere utilizzato legittimamente per la produ-zione di pangrattato o crostini per le ministre, o ancora perla preparazione di alimenti composti e, pertanto, ad offrirela possibilità per il detentore di decidere e destinarlo ad unuso specifico alternativo, in grado, nel rispetto delle regoleigieniche, di evitare ed escludere l’acquisto per l’invendutodella qualifica di rifiuto.

9.- Conclusioni

A conclusione delle pagine che precedono, si ritiene possi-bile provare ora a svolgere alcune considerazioni e tentaredi dissipare, almeno in parte, i dubbi formulati in principio. Nell’introduzione a questo articolo, ci si è domandati se ilpane fresco invenduto, restituito al panificatore-fornitore ilgiorno seguente, possa acquisire la qualifica di rifiuto nelmomento dell’allontanamento dal punto vendita al dettaglio,rappresentando tale restituzione, in concorrenza con l’im-possibilità di ulteriore commercializzare del reso come fre-sco, nell’atto di disfarsi dell’invenduto, quale presupposto diqualificazione di un bene come rifiuto.Ebbene, accertata la suscettibilità del pane fresco di nonessere destinato esclusivamente alla vendita diretta al pub-blico come alimento, ben potendo essere legittimamenteutilizzato, secondo il tipo e in alternativa o successivamen-te alla fase di offerta diretta al pubblico, anche come ingre-diente di alimenti composti, come elemento base per quellimono ingrediente ovvero come materia prima per i mangi-mi82, la risposta a tale quesito, come visto, passa necessa-riamente attraverso l’esame della relazione giuridica tra ilpanificatore e il singolo rivenditore e della conseguentenatura dell’atto di restituzione. Considerando che nelle pra-tiche commerciali, tale rapporto si può presentare, secondola dimensione economica del contraente, sottoforma disemplice compravendita83 ovvero di un più complessonegozio giuridico identificabile in una sorta di appalto divendita per conto proprio di prodotto altrui o incarico a ven-dere senza rappresentanza84, è nelle specificità di tali con-tratti che risiede la risposta. Se il primo modello utilizzato (il contratto di compravendita)si caratterizza per il trasferimento tout court del diritto di pro-prietà in capo al rivenditore del pane fornito e, così, alla tra-slazione sull’acquirente dei rischi dell’invenduto, il secondosi distingue per l’assenza di trasferimenti del diritto di pro-

prietà del pane e la facoltà del rivenditore di liberarsi dal vin-colo del pagamento del prezzo mediante, il giorno seguen-te, la restituzione al fornitore del prodotto invenduto85. Se perentrambi gli schemi contrattuali utilizzabili l’impossibilità direstituire il bene per deterioramento “definitivo” consolida incapo al rivenditore - senza alternative - il problema di gestio-ne del relativo rifiuto, la restituzione che avvenga prima ditale momento si atteggia in modo diverso a seconda del tipocontrattuale prescelto, ove nella compravendita rappresentaun’eventualità assolutamente estranea e non caratterizzan-te la vicenda e tale da configurarsi, quando avviene, comeuna duplicazione negoziale che sottopone a senso inversolo “stesso” bene ad un nuovo negozio giuridico tra medesi-mi contraenti e nel secondo caso, invece, la restituzione nonè altro che una facoltà connaturale e conclusiva della vicen-da medesima che, non giunta a buon fine con la vendita aterzi, vede ricongiungersi il giorno seguente bene e proprie-tà, con la riconsegna del pane nelle condizioni in cui si trova.Così ragionando, quindi, in quest’ultima ipotesi la restituzio-ne, per quanto indispensabile e desiderata dallo stessorivenditore per liberarsi di un prodotto non più necessario eanzi d’intralcio, non potrà mai identificarsi nell’atto deldisfarsi previsto dalla legge quale presupposto di qualifica-zione di un materiale o di una sostanza come rifiuto, confi-gurandosi l’atto, invece, come un trasferimento reale cheprescinde e travalica la questione del comportamento e delvolere del detentore nella nascita di esso (del rifiuto). Incaso contrario, ossia nella prima ipotesi della compravendi-ta, la riconsegna del pane invenduto (o anche la sempliceintenzione), importa per il reso l’acquisto di siffatta qualificae per il punto vendita lo status di suo produttore, quindi,l’obbligo di farsi carico della relativa gestione nei termini esecondo le previsioni del Codice dell’ambiente, in quantoogni atto (anche solo voluto) di allontanamento del panefresco dal punto vendita con il medesimo canale di arrivo,configura verosimilmente quell’atto del disfarsi centralenella nozione di rifiuto, concretizzandosi, non già in unascelta di gestione attiva che conclude il processo di com-mercializzazione connaturale all’impresa, bensì in unamodalità di “liberazione” di un “intralcio” che si è venuto adammassare allo spirare del termine utile per la vendita.Nei rapporti con i piccoli rivenditori, quindi, la gestione delpane invenduto pesa esclusivamente su questi ultimi chese ne devono fare carico in prima persona decidendone ilcanale se come rifiuto o meno, mentre con la Gdo la sceltadi gestione di tale pane come rifiuto o meno è una decisio-ne che viene assunta in un momento temporalmente suc-cessivo, a recupero (ritiro) ultimato e, quindi, a seguito del

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«evitare qualsiasi contatto tra materie prime, semilavorati e prodotti finiti; eseguire un monitoraggio della temperatura delle celle e deilocali sottoposti a temperatura controllata; eseguire periodicamente un monitoraggio del grado di sanificazione delle superfici di lavoro;evitare che le materie prime ed i relativi contenitori entrino a diretto contatto con il suolo».(82) Cfr. paragrafi 4-8.(83) Modello solitamente utilizzato con soggetti economici di pari od inferiore dimensione del produttore (cfr. supra paragrafo 2).(84) Schema a cui si ricorre normalmente nei rapporti con i grandi distributori e che gli operatori identificano nel contratto estimatorio dicui 1556 cod.civ., pur se inutilizzabile per beni deperibili (cfr. Idem).(85) Idem.

trasferimento dalla sfera giuridica del rivenditore a quelladel solo panificatore.

ABSTRACT

Quotidianamente, nei corner e sui banchi della grandedistribuzione organizzata (Gdo) e dei piccoli alimentari èpossibile trovare pane fresco di giornata che, se invenduto,è normalmente restituito al fornitore il giorno seguente. Talericonsegna solleva il dubbio sulla natura giuridica del reso esulla possibilità che esso possa assumere la qualifica dirifiuto fin dall’allontanamento dal punto vendita al dettaglio.Nel tentativo di offrire una risposta che possa risolvere taledubbio, la questione è affrontata in questo articolo sotto unduplice aspetto. In primo luogo si indagano i rapporti giuri-dici tra fornitore e rivenditore nel contesto della disciplinacomunitaria e del Codice dell’ambiente italiano (il decretolegislativo 3 aprile 2006, n. 152), costatando l’esistenzanella pratica di due differenti modelli contrattuali nella forni-tura di pane fresco di giornata (il semplice contratto di com-pravendita e un più complesso negozio giuridico identifica-bile in una sorta di appalto di vendita per conto proprio diprodotto altrui o incarico a vendere senza rappresentanza)che incidono in modo diverso sulla qualificazione del panecome rifiuto. Il secondo aspetto esaminato riguarda l’utiliz-zabilità successiva, a restituzione avvenuta, del pane fre-

sco invenduto per alimenti o mangimi, ove il decorso del ter-mine legale di commercializzazione del pane come “fresco”è oramai spirato.

Every day mass retailers and small groceries sell freshlybaked bread, which, if unsold, is normally returned to thesupplier the following day. Such return raises doubts aboutthe legal nature of the returned goods and about whetherthey may be regarded as waste from the very time whenthey leave the retailer’s shop. In an attempt to provide ananswer that can solve these doubts, this article will addressthe aforesaid issue from a double point of view. Firstly, thelegal relationships between supplier and retailer will beinvestigated within the context of the relevant EU legislationand of the Italian Code of Environment (i.e. LegislativeDecree no. 152 dated 3 April 2006) in order to ascertain theexistence of two different types of contracts regarding thesupply of freshly baked bread (i.e. the standard sale andpurchase agreement and a more complex legal transactionidentifiable as a sort of contract for the sale, on one’s ownaccount, of another’s product or a sort of private agency -so-called “incarico a vendere senza rappresentanza”),which affect differently the qualification of bread as waste.The second issue addressed hereunder regards the possi-bility of using the unsold returned bread to make other food-stuff or feedstuff, if the statutory time limit for the bread tobe marketed as “fresh food” has expired.

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Dai cetrioli spagnoli ai semi di

fieno greco egiziani: crisi risolta?

Valeria Paganizza

Non cetrioli spagnoli, dunque, ma semi di fieno greco (trigo-nella), importati nell’Unione europea dall’Egitto, sarebberoall’origine della recente allerta alimentare che ha interessa-to dapprima la Germania, poi la Francia, con riflessi sulmercato globale dei prodotti ortofrutticoli. Questo l’approdocui è giunta l’Autorità europea per la sicurezza alimentare,grazie al gruppo di esperti che con essa ha collaborato1 etale è il punto di partenza dell’adozione, da parte dellaCommissione europea, delle misure di emergenza applica-bili a semi e legumi importati dall’Egitto2. Un’interessanteapplicazione, questa, dello strumento di comunicazioneofferto dal sistema di allarme rapido per gli alimenti e i man-gimi e un’occasione per comprenderne tanto i tratti signifi-cativi che lo rendono elemento imprescindibile per la sicu-rezza alimentare all’interno dell’Unione europea, quanto ilimiti che si traducono, inevitabilmente, in scosse deleterieall’equilibrio dei mercati. Scopo del presente lavoro è pro-porre una visione riassuntiva del quadro della vicenda edelle problematiche giuridico-economiche che dalla mede-sima sono scaturite. Incolmabile lacuna dello stesso sarà,tuttavia, la mancanza di specifiche conoscenze microbiolo-giche di chi scrive e l’impossibilità di reperire dati esaustividi fonte attendibile sull’emergenza sanitaria.

1.- Il caso

Maggio 2011. In Germania, il moltiplicarsi di episodi di SEU(Sindrome emolitico uremica) e diarrea emorragica(EHEC), conducono, previa attivazione delle competentiAutorità nazionali, all’informazione del Centro europeo per

la prevenzione e il controllo delle malattie (22 maggio 2011)e alla trasmissione delle notifica di allerta RASFF2011.0702 e 2011.0703 del 27 maggio 2011. Attraverso leinformazioni in esse contenute, gli Stati membri della retesono portati a conoscenza della possibilità che, all’originedell’epidemia, vi sia la contaminazione, da micro organismipatogeni, di partite di cetrioli provenienti dalla Spagna. Inparticolare, responsabile delle problematiche sanitariesarebbe il batterio Escherichia coli, comunemente presenteanche nell’organismo umano, ma capace, in peculiari con-tingenze, di produrre la nociva tossina Shiga3, e l’insorgeredella più grave sindrome anzitempo menzionata. Due i sie-rotipi isolati: nell’un caso, l’O104:H4, nell’altro l’O8:H19.Solo il primo, tuttavia, si rivelerà, oltre che fattore comuneall’allerta successivamente lanciata in Francia, elementotale da rendere unica nella sua specie l’emergenza attuale.Se già in passate occasioni, infatti, l’Escherichia coli avevaprovocato turbamenti nel settore sanitario e della sicurezzaalimentare, il sierotipo in evidenza (e comunque già notoagli esperti) appare dotato di una struttura molecolare par-ticolare, da un’inusitata resistenza agli antibiotici e dallacapacità di provocare effetti particolarmente gravi sullasalute umana4.Le drammatiche conseguenze recate dal morbo e l’impos-sibilità di razionalizzarne l’origine e l’operatività hannocome riflesso il crollo delle vendite dei prodotti ortofrutticolifreschi, specie di origine spagnola.Giugno 2011. Ad un mese di distanza dall’emergere dei casinella repubblica tedesca, quindici nuovi episodi di SEU siverificano nel dipartimento francese della Gironda5, cinquedei quali causati dal sierotipo O104:H4, appaiono genetica-mente legati alle vicende d’oltre Reno. Nel caso di specie,tuttavia, la contaminazione non risulta in alcun modo legataa prodotti ortofrutticoli di origine spagnola: responsabilisembrano ora essere germogli prodotti da un’azienda agri-cola francese, serviti in occasione di un evento organizzatopresso una struttura scolastica. L’uso del copulativo è dove-roso: la partecipazione al momento conviviale è elementoche accomuna in buona parte, ma non tutti, i soggetti colpi-ti dalla patologia.

(1) Si veda il report tecnico, pubblicato il 5 luglio 2011, dall’EFSA, Tracing seeds, in particular fenugreek (Trigonella foenum-graecum)seeds, in relation to the Shiga toxin-producing E. coli (STEC) O104:H4 2011 Outbreaks in Germany and France, consultabile al linkhttp://www.efsa.europa.eu/en/supporting/doc/176e.pdf. (2) Decisione di esecuzione della Commissione del 6 luglio 2011, relativa a misure d’emergenza applicabili ai semi di fieno greco e adeterminati semi e legumi importati dall’Egitto, in GU L 179 del 7 luglio 2011, pp. 10 – 12.(3) Da qui l’acronimo STEC (Shiga Toxin [producing] Escherichia Coli).(4) Autorità europea per la sicurezza alimentare, Urgent advice on the public health risk of Shiga-toxin producing Escherichia coli in fresh vegeta-bles, EFSA Journal 2011; 9(6):2274. [50 pp.] doi:10.2903/j.efsa.2011.2274. Disponibile online: www.efsa.europa.eu/efsajournal. Si veda anche l’in-tervento di M. Sprenger, direttore dell’ECDC, tenuto in occasione della 51^ Conferenza interscientifica sugli agenti antimicrobici e la chemiotera-pia di Chicago, consultabile all’indirizzo http://ecdc.europa.eu/en/aboutus/organisation/Director%20Speeches/201109_MarcSprenger_STEC_ICAAC .pdf .(5) G. Gault, FX. Weill, Mariani-Kurkdjian, N. Jourdan-da Silva, L. King, B. Aldabe, M. Charron, N. Ong, C. Castor, M. Macé, E. Bingen,H. Noël, V. Vaillant, A. Bone, B. Vendrely, Y. Delmas, C. Combe, R. Bercion, E. d’Andigné, M. Desjardin, H. de Valk, P. Rolland, Outbreakof haemolytic uraemic syndrome and bloody diarrhoea due to Escherichia coli O104:H4, south-west France, June 2011, Euro Surveill.2011;16(26):pii=19905, consultabile online all’indirizzo: http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle.aspx?ArticleId=19905.

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Questi, schematicamente, i fatti, nei quali, volutamente, nonsono stati annoverati gli ulteriori episodi verificatisi inFrancia (hamburger contaminati), in quanto la riconducibilitàal medesimo ceppo batterico è stata esclusa dalle indagini.Si dovrà però attendere luglio, per l’adozione, da parte dellaCommissione europea, delle misure di emergenza per farfronte alla crisi6.

2.- La decisione 2011/402/UE

Le misure di emergenza adottate sulla base dell’articolo 53del regolamento 178/2002 fanno capolino sulla scena euro-pea quando ormai l’allarme mediatico, raggiunto il suopicco massimo, ha iniziato la discesa verso l’oblio, lascian-do dietro di sé la crisi del mercato dei prodotti ortofrutticolifreschi. Se la portata della decisione è dotata di incidenzanotevole, quantomeno sull’ingresso, nell’Unione, di peculia-ri categorie di prodotti provenienti dall’Egitto, è pur vero chela sua concretizzazione è sintomatica di una persistenteincertezza sulla “dimensione” della problematica sanitaria:come di seguito si dirà, infatti, il suo ambito applicativo risul-ta di una vastità tale da suggerire – come peraltro confer-mato dal quarto considerando della decisione – che lemisure in questione, più che espressione di una veragestione del rischio, siano tentativi di arginamento ad ampiospettro di qualcosa che è ancora – in larga parte – ignoto.Proprio l’incertezza scientifica sull’effettiva portata del pro-blema, la carenza di informazioni, la disomogeneità deglieventi e delle circostanze in cui essi si sono verificati risul-tano dunque essere la causa del consistente lasso tempo-rale intercorso tra le prime notifiche e la decisione di esecu-zione 2011/402/UE, oltre che la ragione del suo estesoambito applicativo.Prima di procedere ad ulteriori considerazioni sugli effettiesplicati, dalla ricordata decisione, sul mercato, è opportu-no individuarne i tratti salienti.Il primo considerando dell’atto in esame è espressione diuna precisa determinazione: nel riportare il contenuto del-l’articolo 53 del regolamento 178/2002, che, come noto,attribuisce alla Commissione il potere di adozione di misu-re urgenti per alimenti o mangimi provenienti dall’Unioneeuropea o da Paesi terzi, esso conduce un riferimento soloai prodotti provenienti da questi ultimi7. Il preludio, dunque,suggerisce quale sarà il seguito della decisione: l’attenzio-ne è rivolta a merci importate da Paesi extra – UE. Come,infatti, si evince dal prosieguo dell’atto, l’origine dei focolaiesplosi in Germania e Francia sembrerebbe individuabilenei semi secchi utilizzati per la germogliazione: questa,quantomeno, è la conclusione cui è giunto il team di esper-ti che, in collaborazione con l’Autorità europea per la sicu-

rezza alimentare, ha indagato, sotto il profilo tecnico-scien-tifico, la vicenda. Se la scintilla pare essere scoccata da unapartita di trigonella proveniente dall’Egitto (e di questo, èd’uopo precisarlo, non v’è certezza ma solo probabilità),l’atto europeo si affretta a precisare che non vi è la possibi-lità di escludere ulteriori diverse partite. La conseguenza di una simile eventualità si riflette, comeanticipato, sulla portata delle misure adottate dallaCommissione, la quale – precisa la decisione - considererà“sospette” tutte le partite dell’esportatore identificato. Vi èda chiedersi se per “esportatore” debba intendersi il Paeseterzo (Egitto) o il soggetto economico che ha effettuatol’operazione commerciale. In via ipotetica, la soluzione alquesito potrebbe essere raggiunta solo con la precisadeterminazione sia della merce interessata dalla problema-tica sanitaria che del momento in cui la stessa sia stata con-taminata: se un preciso operatore alimentare sia stato iden-tificato, attraverso il meccanismo della rintracciabilità, in talcaso, il sospetto sulle partite di prodotti importatenell’Unione europea ricadrà semplicemente su questi, conrilevanza marginale del Paese terzo. E’ questa, tuttavia,un’argomentazione assolutamente teorica che non trovaconferma in quanto, in realtà, previsto dalla decisione dellaCommissione: ad essere interessate dalle misure saranno,infatti, a norma dell’articolo 1, tutte le partite di merce pro-venienti dall’Egitto. Esportatore, dunque, sarà termine daintendersi riferito non all’operatore economico ma al Paeseterzo. D’altro canto, la ratio sottesa a siffatta scelta è chiari-ta dal quinto considerando della decisione in esame. Se,per un verso, appare ormai assodato – attraverso il mecca-nismo della tracciabilità - che i focolai patogeni siano colle-gati alla contaminazione di semi di fieno greco, non è stato,dall’altro, chiarito in quale fase della catena alimentare lacorruzione dei prodotti sia stata cagionata, né se alle emer-genze sia stato posto rimedio. Alla luce di tale considerazio-ne, inevitabile si rivela il rinvio al principio di precauzione,effettuato dal sesto considerando dell’atto in esame ed anti-cipazione delle misure espressamente adottate all’articolo1. In particolare, in virtù del fatto che, da un lato, anche unesiguo quantitativo di materiale contaminato è in grado diprocurare notevoli ripercussioni sulla salute umana e che,dall’altro, non sono state ottenute informazioni sufficienti adeterminare la genesi della contaminazione, le misure adot-tate dalla Commissione si sono dovute necessariamenterivolgere ad una scelta inconfutabilmente ampia: vietare,cioè, l’importazione di tutti i semi e i legumi, indicati nell’al-legato alla decisione (anch’esso di largo respiro), il cuiPaese di origine sia l’Egitto. In concreto, tuttavia, gli accor-gimenti richiesti dall’Istituzione vanno oltre: se è vero chel’importazione di tutti i semi e i legumi elencati dall’attocomunitario dovrà essere sospesa, si aggiunge a ciò la

(6) V. supra nota 2. (7) F. Albisinni, Commento all’articolo 53, in La sicurezza alimentare nell’Unione europea, in Le nuove leggi civili commentate, 2003, pp.439 ss.

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distruzione, previo campionamento, di tutte le partite disemi di fieno greco importate dall’Egitto tra il 2009-2011. E’d’uopo condurre alcune considerazioni in relazione a taleprevisione.In primo luogo, potrebbe sorgere l’interrogativo se ad esse-re sottoposte alle misure d’urgenza debbano essere le par-tite originarie dell’Egitto o da esso solo direttamente impor-tate. Anche se la distinzione pare essere una mera que-stione terminologica, in realtà il riflesso sul mercato sareb-be diverso. Se, ad esempio, il riferimento fosse da inten-dersi condotto semplicemente all’importazione effettuatadall’Egitto verso l’Unione europea, potrebbe supporsi chedall’obbligo di ritiro debbano essere esonerate tutte quellemerci che, originarie dal Paese delle Due Terre, siano inconcreto state importate da un Paese terzo. Nella diversaipotesi in cui le misure dovessero applicarsi a tutti i prodottiper il solo fatto dell’esser transitati in Egitto, sarebbe richie-sta la massima efficienza dello strumento della rintracciabi-lità. D’altro lato, questa appare l’unica possibilità per ga-rantire la massima tutela al consumatore, affermazione cherisulta tanto più vera se si considera che ancora non si ècompreso in quale fase della commercializzazione sia av-venuta la contaminazione. Sarà da leggersi, dunque, inquesto senso la previsione dell’articolo 1 della decisione inesame, norma che costituisce l’effettiva esplicazione delleargomentazioni sinora condotte: “Gli Stati membri adottanotutte le misure necessarie a ritirare dal mercato e distrug-gere tutte le partite di semi di fieno greco, importate dal-l’Egitto durante il periodo 2009-2011, figuranti nelle notifi-che del sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangi-mi relative al procedimento di tracciabilità”. Se limitassimo l’osservazione a tale disposizione, l’ambitoapplicativo della decisione potrebbe apparire estremamen-te limitato. In primo luogo, infatti, dovrebbero essere presein considerazione solo le partite di merce individuate nellenotifiche RASFF. Tra queste, poi, secondo logica, dovreb-bero essere isolate solo le partite di semi di fieno greco,nelle quali sia stato identificato lo specifico sierotipoO104:H4 o comunque un ceppo di E. coli. Previo campio-namento, sarà poi disposta la distruzione dell’intero stock(la natura del prodotto rende, evidentemente, impossibileselezionare gli elementi effettivamente contaminati). Il riferi-mento al procedimento di tracciabilità, poi, conduce a rite-nere verificata l’argomentazione secondo cui lo spettro diindagine dovrebbe abbracciare tanto i prodotti originariquanto quelli solo transitati dall’Egitto.Come inferibile dall’articolo 2 della decisione in commento,le misure di emergenza adottate dalla Commissione risulta-no però ben più ampie, prevedendo il divieto di immissionein libera pratica di tutti i semi e legumi indicati nell’allegatoal medesimo atto europeo e provenienti dal’Egitto, sino al31 ottobre 2011.

Una sorta di mitigazione viene infine offerta attraverso ladecisione di esecuzione 2011/662/UE, del 6 ottobre 20118,di modifica della precedente decisione 2011/402/UE. L’attoin esame riduce i prodotti soggetti al divieto di importazionedall’Egitto, vigente sino al 31 ottobre 2011, eliminando, dal-l’elenco dell’allegato i “legumi da granella, anche sgranati,freschi o refrigerati” e sostituendo la voce con i soli germo-gli della stessa tipologia. Se rapportato all’estensione del-l’elenco, l’intervento non pare potersi ritenere particolar-mente significativo, tanto più se si considera che lo stessosi manifesta ad emergenza già cessata.

3.- I report dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare

Su richiesta della Commissione europea, a seguito delleemergenze sanitarie verificatesi in Germania, l’Autoritàeuropea per la sicurezza alimentare ha redatto e pubblica-to un primo report, avente essenzialmente due obiettivi. Daun lato, offrire il supporto tecnico per comprendere l’esten-sione dell’esposizione umana alla contaminazione superfi-ciale ed interna dei vegetali e ai passaggi della catena ali-mentare interessati dalla stessa. Dall’altro, delineare glistrumenti e i processi necessari ad attenuare il rischio. Nel momento in cui l’Autorità si accinge ad affrontare lo stu-dio del caso, essa dispone dei dati raccolti dalle Autoritàsanitarie tedesche nell’immediatezza degli eventi, evidente-mente non sufficienti a tracciare un quadro dettagliato del-l’origine della problematica e delle sue soluzioni.Individuate le caratteristiche del batterio responsabile delladiffusa patologia, il report offre una visione d’insieme sullepossibilità, in generale, di trasmissione dello stesso, riba-dendo, in conclusione, che comuni regole di igiene sonosufficienti ad evitare il dilagare della contaminazione.Più puntuale, invece, risulta il report tecnico dell’EFSA, del5 luglio 2011, relativo alla tracciabilità dei semi, con partico-lar riferimento a quelli di fieno greco. Pubblicato a distanzadi un mese dal precedente intervento, lo studio in esamedimostra una maggiore completezza dei dati analizzati, gra-zie agli elementi di indagine forniti dagli Stati membri e allacollaborazione tra esperti del settore. I sistemi predispostiper garantire la rintracciabilità dei prodotti sono stati indub-biamente messi alla prova, con buoni risultati, quantomenosull’individuazione del percorso effettuato dalle partite, dallaspedizione alla distribuzione in Europa. In particolare, perquanto concerne i casi verificatisi in Germania, il produttoredi germogli identificato aveva ricevuto 75 Kg di semi fienogreco, riconducibili a un più ampio lotto costituito da 15.000Kg di prodotto (contrassegnato dal numero 48088). Lamerce, proveniente dall’Egitto (caricata nel porto diDamietta), risulta aver lasciato il Paese il 24 novembre del2009 (ecco la ragione dell’estensione temporale delle misu-

(8) Decisione di esecuzione della Commissione n. 2011/662/UE, del 6 ottobre 2011, che modifica la decisione di esecuzione 2011/402/UErelative a misure d’emergenza applicabili ai semi di fieno greco e a determinati semi e legumi importati dall’Egitto.

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re di emergenza adottate dalla Commissione), aver rag-giunto la cittadina di Antwerp ed esser transitata via chiattasino a Rotterdam. Tra il 14 e il 15 dicembre 2009, ha cosìraggiunto l’importatore tedesco che ne ha curato la distribu-zione per 14.925 Kg, immagazzinandone 75 Kg. Dal reportdell’Autorità europea per la sicurezza alimentare si legge,d’altra parte, che, da un lato, già il suddetto operatore avevaimportato, in precedenza, altre partite di fieno greco, acqui-state sia dal medesimo esportatore che da una secondasocietà. Il dato assume rilevanza se si considera il fatto cheil produttore di germogli aveva acquistato dall’importatoretedesco una seconda partita di semi di fieno greco (semprepari a 75 Kg), consegnati lo stesso giorno in cui era stataricevuta la merce appartenente al lotto 48088: sussistendo,tuttavia, la possibilità che le due partite siano state mesco-late e non essendovi chiarezza sul tempo della rispettivautilizzazione, entrambe sono state sottoposte ad indaginein quanto potenzialmente responsabili dell’emergenza veri-ficatasi in Germania. Sempre al lotto 48088 distribuito dal-l’importatore tedesco, e commercializzati da un rivenditorebritannico in piccole confezioni da 50 g, appartenevanopure i semi ricollegati ai casi emersi in Francia. Attraversole indagini effettuate è, infatti, emerso che gli stessi eranostati coltivati privatamente dall’organizzatore dell’evento,che aveva poi servito i germogli ai propri ospiti.Infine, dichiarata ufficialmente la cessazione dell’allerta,l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha pubblica-to, il 3 ottobre 2011, il report conclusivo dell’attività svolta9.Con maggior dettaglio rispetto ai precedenti resoconti, laconclusione già raggiunta sulla possibilità che all’originedell’epidemia vi fosse la trigonella è stata qui ribadita.Al di là degli aspetti tecnico-scientifici, sui quali non è pos-sibile pronunciarsi, numerosi sono i dubbi che rimangonosulla vicenda, all’indomani della chiusura dell’emergenza.

4.- Lacune ed incertezze

Una sommaria lettura dei risultati e delle informazioni otte-nute attraverso il sistema di rintracciabilità potrebbe far sup-porre una piena efficienza dello stesso ed un ottenimentodello scopo con esso perseguito, ossia risalire alla fonte delpericolo, eliminando i prodotti contaminati, pericolosi per lasalute umana. I dati raccolti consentono di disegnare unquadro apparentemente completo del percorso che i semi ogermogli hanno compiuto. Pur essendo questo passo indi-spensabile al conseguimento dell’obiettivo appena menzio-nato, non è tuttavia sufficiente a ritenere risolta la problema-tica sanitaria in questione. Come ricordato dall’EFSA nelproprio report, sebbene sia stata individuata un’originecomune legata al lotto specifico in precedenza citato, nullaassicura l’assenza di contaminazione su prodotti nonappartenenti allo stesso: l’unica certezza sembra essere la

corruzione della merce in un gradino della filiera anteceden-te o corrispondente all’importatore tedesco distributore deisemi, in Europa. Se è noto che il batterio “incriminato” trovail proprio veicolo di trasmissione nel materiale fecale umanoo animale, non è dato sapere in quale stadio della catenaalimentare i semi di fieno greco (posto che siano effettiva-mente essi l’alimento responsabile dell’emergenza sanita-ria) abbiano subito la contaminazione, né le modalità concui essa sia avvenuta.Vi è di più: sui campionamenti effettuati sul fieno greco, nonè stata riscontrata alcuna traccia che denotasse la presen-za del batterio responsabile dell’epidemia. L’Autorità pun-tualizza, nell’ultimo report, che la circostanza non è idoneaa negare la fondatezza dell’ipotesi formulata, da un lato,perché sussistente la possibilità che al momento dei cam-pionamenti i semi contaminati non fossero più presenti, dal-l’altro perché, anche se ancora reperibili, la concentrazionedel batterio potrebbe essere stata tale da non consentirnel’individuazione. E la circostanza non fa altro che cagionareulteriori perplessità sulla fondatezza delle misure adottatedalla Commissione. L’incertezza che circonda la vicenda e la concreta impossi-bilità di colmare le lacune cognitive del caso hanno, pertan-to, condotto l’Autorità europea per la sicurezza alimentare asuggerire - e la Commissione europea ad adottare - misuredi emergenza su tutte le partite di trigonella importatedall’Egitto nell’arco dell’ultimo triennio. Anche ora che l’emergenza è ufficialmente cessata, la man-canza di una compiuta conoscenza di tutti gli elementi dellavicenda, in grado di consentire di stabilire con precisione ilmomento in cui sarebbe avvenuta la contaminazione e lemodalità di propagazione, ha lasciato aperta la stradaall’eventualità che nuovi casi possano presentarsi.

5.- Oltre le problematiche sanitarie

Se gli aspetti incidenti sulla salute umana appaiono partico-larmente rilevanti e hanno dominato la scena mediatica nellesettimane in cui lo STEC ha fatto parlare di sè, essi non rap-presentano la sola nota dolente della vicenda in esame. È sufficiente pensare all’azione minacciata dalla Spagna,volta ad ottenere il ristoro dei danni subiti dai propri merca-ti, al sorgere dei primi casi verificatisi in Germania, quando,ad essere additati come “responsabili” dell’E. Coli eranocetrioli provenienti dal primo Paese. La notizia - come ènoto - è risultata infondata ma, dal momento della sua tra-smissione al suo ritiro, le vendite di prodotti vegetali di ori-gine spagnola hanno subito una drastica riduzione. E secome accade in ogni emergenza alimentare, il panico sca-turente dalla rete mediatica tende a “far di tutta l’erba unfascio”, non poteva non subire la medesima sorte l’interosettore dei prodotti ortofrutticoli freschi, indipendentemente

(9) Autorità europea per la sicurezza alimentare, Shiga toxin-producing E. coli (STEC) O104:H4 2011 outbreaks in Europe: Taking Stock,EFSA Journal 2011;9(10):2390. [22 pp.] doi:10.2903/j.efsa.2011.2390. Available online: www.efsa.europa.eu/ efsajournal.

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dall’origine degli stessi, con conseguente abbattimento deiprezzi sul mercato. Se da un lato, dunque, pesava la possi-bilità di un’azione nei confronti della Commissione per idanni cagionati da un’allerta forse non adeguatamente pon-derata, dall’altro, l’Istituzione europea si è repentinamenteadoperata per individuare soluzioni volte a tamponare eregolarizzare gli effetti economici della crisi sanitaria sulmercato degli ortofrutticoli.Su questi presupposti, il regolamento di esecuzione (UE) n.585/2011, del 17 giugno 201110, ha istituito misure di soste-gno eccezionali a carattere temporaneo per il settore degliortofrutticoli, limitatamente ad alcuni prodotti, particolar-mente colpiti dalla crisi: nello specifico, l’intervento si con-centra su cetrioli, pomodori, peperoni, zucchine e alcunespecie di lattughe ed indivie, vegetali interessati da unarepentina deflazione delle vendite e, di conseguenza, deiprezzi. Attesa l’assenza, nella legislazione settoriale, distrumenti specifici volti alla risoluzione dei problemi praticiemersi, la Commissione ha percorso la via offerta dal rego-lamento (CE) 1234/2007, del Consiglio, del 22 ottobre2007, il quale le conferisce la possibilità di “stabilire misurenecessarie e giustificabili per risolvere, in caso di emergen-za”, tali complicazioni11: da un lato, l’articolo 103 quater delcitato regolamento, prevede la possibilità di affrontare eprevenire le crisi, attraverso il ritiro dei prodotti dal mercato,la raccolta prima della maturazione, la mancata raccoltadegli ortofrutticoli, la promozione e la comunicazione, le ini-ziative di formazione, l’assicurazione dei raccolti, il soste-gno a fronte delle spese amministrative per la costituzionedi fondi comuni di investimento; dall’altro, consentendo ilfinanziamento delle medesime misure o direttamente o, inalternativa, attraverso il rimborso di capitale e interessi ver-sati, in ottemperanza ai contratti di mutuo stipulati per pre-venire o gestire la crisi, dalle organizzazioni di produttori12.La Commissione europea ha attinto ad alcune delle possi-bili misure, ampliandone l’ambito di applicabilità. Per quan-to concerne il primo aspetto, ossia la tipologia di interventopredisposto, il regolamento 585/2011 prevede lo stanzia-mento, come si è anticipato, di un massimo di spesa voltaal sostegno dei produttori ortofrutticoli13, finanziato dalFEAGA. In particolare, tale supporto aggiuntivo si appliche-rà nel caso di mancata raccolta, ritiro e raccolta prima dellamaturazione. L’eccezionalità degli strumenti così stabilitioffre la possibilità di deroga ad alcune delle disposizioni fis-

sate per il settore in esame. Se, ad esempio, l’articolo 80del regolamento 1580/2007, così come l’articolo 79, para-grafo 2 del regolamento di esecuzione (UE) 543/2011 pre-vedono che i ritiri dal mercato non debbano superare il limi-te del 5% del volume della produzione commercializzata diun dato prodotto e di una data organizzazione di produttori,le misure di sostegno eccezionali non saranno sottoposte atale restrizione, in relazione agli ortofrutticoli ritirati tra il 26maggio e il 30 giugno 2011. Il superamento dell’indicatoparametro è chiaro indice del carattere di emergenza dellemisure adottate (come d’altra parte dimostra l’immediatavigenza dal momento della pubblicazione) e della necessi-tà di ripristinare, nel minor tempo possibile, l’equilibrio tradomanda ed offerta nel settore degli ortofrutticoli freschi.Nella medesima direzione è posta anche la disposizionedell’articolo 4 paragrafo 4 del regolamento in esame, ilquale dispone una deroga al rispetto ai limiti previsti dallenorme di settore. In particolare, il riferimento è condotto, pri-mariamente, all’articolo 103 quater paragrafo 2 del regola-mento (UE) 1234/2007, il quale fissa un importo massimo diun terzo della spesa prevista a titolo di programma operati-vo, per far fronte alle misure di gestione e prevenzione dellacrisi. In secondo luogo, è richiamato l’articolo 67 del regola-mento 1580/2007, con un evidente errore meramente for-male sul paragrafo di riferimento: il rinvio dovrà esser con-dotto al secondo paragrafo e alla sua previsione della pos-sibilità di incremento dell’importo del fondo di esercizio nellamisura massima del 25% dell’importo inizialmente approva-to. Il terzo richiamo è effettuato vero l’analoga misura previ-sta dall’articolo 66, paragrafi 3, lettera c) del regolamento(UE) 543/2011.Passando invece al secondo aspetto, se l’articolo 103 qua-ter del regolamento (CE) 1234/2007 si rivolge alle sole orga-nizzazioni di produttori escludendo, dunque, implicitamente,tutti i soggetti non appartenenti ad alcuna O.P., ma comun-que occupati nella produzione di ortofrutticoli, il regolamen-to (UE) 585/11, in ragione della disomogenea strutturazionedell’offerta nei diversi Stati membri, estende anche ai pro-duttori non appartenenti alle organizzazioni suddette gli stru-menti di sostegno eccezionali in esso previsti14. Così, perraggiungere anche questi ultimi, in modo capillare, l’atto inesame affida proprio alle O.P., con riguardo al ritiro dei pro-dotti dal mercato, il compito di distribuzione degli aiuti stan-ziati, attraverso una procedura di contrattazione. Ove, inve-

(10) Regolamento di esecuzione (UE) n. 585/2011 della Commissione, del 17 giugno 2011, che istituisce misure di sostegno ecceziona-li a carattere temporaneo per il settore degli ortofrutticoli.(11) Art. 191 del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricolie disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli.(12) Tali misure dovranno essere ora lette alla luce del recentissimo regolamento di esecuzione (UE) n. 534/2011 della Commissione, del7 giugno 2011, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 nei settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrut-ticoli trasformati.(13) L’importo originario, fissato in duecentodieci milioni di Euro è stato elevato ad Euro duecentodiciassette milioni, in conseguenza dellegravi ripercussioni generate dalla crisi sanitaria sul mercato degli ortofrutticoli freschi, dal regolamento di esecuzione (UE) n. 768/2011della Commissione, del 2 agosto 2011, modificativo del regolamento di esecuzione (UE) della Commissione 585/2011.(14) L’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (UE) 585/2011 equipara gli aderenti ad OP sospese, ai soggetti non appartenenti ad alcu-na organizzazione.

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ce, il livello di organizzazione dell’offerta all’interno degliStati membri non sia sufficientemente presente per il conse-guimento dello scopo sopra indicato, il versamento dei con-tributi europei sarà affidato alle Autorità nazionali competen-ti15. Egualmente, per quanto concerne le operazioni di man-cata raccolta e raccolta prima della maturazione, i produtto-ri non aderenti ad alcuna OP avrebbero dovuto effettuareuna notifica alla competente autorità nazionale, secondo lemodalità adottate in conformità dei regolamento (CE) n.1580/2007 e del regolamento (UE) n. 543/2011. In questo modello piramidale, il compito di raccolta di tuttele notifiche pervenute è stato affidato, dall’atto europeo inesame, agli Stati membri i quali, settimanalmente, avrebbe-ro dovuto trasmettere le informazioni relative alle notifichericevute dalle OP e dai produttori non aderenti e riguardan-ti l’estensione delle operazioni da effettuare (ma non anco-ra effettuate), sui quantitativi di prodotti da ritirare e sullasuperficie soggetta a mancata raccolta o a raccolta primadella maturazione. Lo stesso regolamento, si noti, provvedea fornire la modulistica necessaria alla comunicazione.Egualmente, entro il 22 giugno 2011, gli Stati membri avreb-bero dovuto trasmettere all’Istituzione europea le informa-zioni relative alle operazioni di ritiro, mancata raccolta e rac-colta “verde” effettivamente poste in essere, tra il 26 mag-gio e il 19 giugno 2011 (giorno di entrata in vigore del rego-lamento). Infine, entro il 18 luglio 2011, essi avrebbero dovuto comu-nicare alla Commissione i dati riassuntivi, concernenti iquantitativi totali ritirati, la superficie complessiva interessa-ta dalle operazioni di raccolta mancata o avvenuta primadella maturazione e le domande di sostegno totaledell’Unione per le operazioni di ritiro e mancata raccolta.Siffatte notifiche costituiscono il presupposto imprescindibi-le per l’ammissibilità ai benefici previsti dal regolamento585/2011, conformemente a quanto disposto dall’articolo 7,paragrafo 2, comma 3 del medesimo. Sui dati in esse con-tenute, infatti, l’Istituzione europea ha fissato il coefficientedi assegnazione per la concessione del sostegno totale,applicabile a tutte le domande presentate dalle organizza-zione dei produttori e dai produttori non aderenti.Se l’intento della procedura appena descritta è volta a risto-rare, almeno parzialmente, gli orticoltori europei dai dannicagionati dall’infondato allarmismo di cui si è detto, non vasottaciuto che ingenti sono i riflessi negativi della crisi sani-taria ancora irrisolti e destinati a rimanere tali. L’Unione europea è intervenuta, nei limiti delle proprie com-petenze, sostenendo, attraverso le misure eccezionali, iproduttori di ortofrutticoli, per quelle conseguenze diretta-mente legate alla vicenda di cui si è sin qui trattato. Comesempre accade quando si verifica uno squilibrio del merca-to, però, accanto alle ripercussioni più facilmente intuibili, si

sono determinate conseguenze meno dirette e riconducibi-li al dilagare delle preoccupazioni sulla potenziale nocivitàdegli ortofrutticoli europei, al di fuori dei confini “comunitari”.E’ il caso, ad esempio, del blocco delle importazioni attuatodalla Russia sui prodotti di provenienza “comunitaria” edegiziana, embargo che ha provocato il riversarsi delle merciprovenienti dai maggiori esportatori, e ivi destinate, sui mer-cati degli altri Paesi europei. Ciò è quanto lamentano, amero titolo dimostrativo, le organizzazioni dei produttori diortofrutticoli italiani, in relazione ai pomodori provenientidall’Olanda e entrati nel mercato nazionale a costi più checompetitivi.Le conseguenze del procurato allarme non si limitano, tut-tavia, ai soli orticoltori. La filiera che conduce gli alimenti dalcoltivatore al consumatore è composta di soggetti interme-di su cui comunque si sono riversate le conseguenze del-l’improvvisa deflazione della domanda di vegetali sul mer-cato e per i quali il danno subito non troverà alcun ristoro.Accanto alle problematiche appena richiamate e discen-denti, lo si ricorda, dall’allerta che riconduceva la trasmis-sione dello STEC responsabile dei gravi episodi verificatisiin Germania al consumo di vegetali crudi (in particolarecetrioli), vi sono le conseguenze connesse alla successivarettifica, che spostava l’attenzione sui semi di fieno greco ealtri vegetali di provenienza egiziana. Le misure dallaCommissione adottate, per far fronte all’emergenza, preve-dono, come sopra anticipato, il ritiro dal mercato e la distru-zione dei semi di fieno greco egiziani, importati tra il 2009 eil 2011 e il blocco dei prodotti provenienti dallo stessoPaese, indicati nell’allegato alla decisione 2011/402/UE. Gli oneri di tali operazioni saranno, all’evidenza, sopportatidagli operatori professionali, i quali subiranno, oltre allespese e al danno connesso alla perdita dei prodotti ritiratidal mercato, il nocumento derivante dal mancato guadagnorelativo a tutte quelle merci originariamente destinateall’Europa.

6.- Applicazione oculata del principio di precauzione?

L’interrogativo che sorge, a questo punto, concerne la con-formità delle misure adottate rispetto ai canoni imposti dal-l’applicazione del principio di precauzione. Se è vero cheuna puntuale definizione del concetto di precauzione non èrinvenibile nella legislazione europea, è altrettanto vero chelo stesso regolamento (CE) 178/2002 offre alle Istituzioni iparametri entro cui operare, nell’applicazione del medesi-mo. E che dire della situazione egiziana? Si è già osserva-to come, ad oggi, non sia ancora stato possibile determina-re con esattezza la causa della contaminazione dei prodot-ti né il momento in cui essa sia avvenuta16. Ciò considerato,

(15) Si veda l’articolo 5, paragrafi 4 del regolamento in esame. (16) A tal riguardo, si rinvia a P. Borghi, Le declinazioni del principio di precauzione, in Riv. Dir. Agr., 2005, I, p. 711 e alla Comunicazionedella Commissione sul principio di precauzione, COM (2000)1, punto 6.3.4.

la decisione di bloccare tutte le importazioni, dall’Egitto, deisemi indicati nell’allegato all’atto europeo sopra esaminatoappare, forse, eccessiva. In primo luogo, si ricorda, i semi“incriminati” sarebbero partiti nel 2009, circostanza che facertamente cadere la necessità di bloccare tutte le importa-zioni delle merci indicate da giugno sino ad ottobre: nono-stante la nocività del batterio, sarebbe stato forse sufficien-te prevedere semplicemente un’intensificazione dei control-li sui prodotti in ingresso, con auspicabile collaborazione delPaese di provenienza degli stessi17. Attesa poi la circostanza che non è dimostrato che le mercisiano partite dall’Egitto già contaminate, la misura adottatadalla Commissione sembra ulteriormente sproporzionata,rispetto ai dati considerabili come “certi”. Nulla esclude, egualmente, che la corruzione dei semi siaavvenuta durante il trasporto: da un lato, sarebbero cosìscagionati integralmente i prodotti egiziani dall’accusa diinsalubrità “all’origine”, con la conseguenza che la decisio-ne dell’Istituzione europea troverebbe un motivo di censuraaggiuntivo; dall’altro, vi sarebbe la possibilità che ad esse-re contaminati siano anche altri prodotti che abbiano viag-giato con il carico di semi individuato o che siano stati suc-cessivamente stivati negli stessi spazi.Capire se, ed in quale tratta, tale ipotesi possa essersi veri-ficata non sarà esito raggiungibile attraverso le misure adot-tate dalla Commissione: solo l’emergere di nuovi casi sani-tari legati allo stesso sierotipo di E. Coli e aventi almeno unelemento in comune nel trasporto con l’emergenza inesame, potrebbero offrire qualche certezza in più.Per quanto concerne la distruzione di tutte le partite di trigo-nella figuranti nelle notifiche del sistema di allarme rapido,tale provvedimento appare forse più condivisibile, anche senon integralmente. Dal testo della decisione 2011/402/UEpare evincersi che l’eliminazione dei semi di fieno grecoappartenenti a partite legate alle notifiche deve effettuarsi aprescindere dall’effettiva nocività delle medesime. Il fattoche nella misura siano coinvolte semenze importate nell’ar-co di un triennio è forse circostanza legata ad una possibi-le commistione di stock contaminati con altri privi di corru-zione ed entrati in Europa prima, o dopo, il famoso lotto48088: non avrebbe altrimenti molto significato prevederela distruzione di tutta la merce importata dal 2009, sino al2011, se si considera che la partita presunta come contami-nata, entrata solo alla fine del primo anno, è stata commer-cializzata ad inizio 2010. Se, dunque, può convenirsi, in una

certa misura sulla scelta inerente al lasso temporale entrocui individuare la merce interessata dalla decisione euro-pea, non è pienamente condivisibile la scelta di distruggereintegralmente i prodotti ritirati18. A prescindere da valutazio-ni di carattere economico (costi delle operazioni), la sotto-posizione della trigonella ad idonei trattamenti dopo il ritiroavrebbe consentito la re-immissione, sul mercato, di un pro-dotto microbiologicamente sicuro anche se “riconvertito”. In considerazione delle argomentazioni sopra condotte,appare comprensibile lo sdegno manifestato dal Governoegiziano, in relazione alle misure adottate dalla Commis-sione, quando, in considerazione delle conoscenze sinoramaturate, il prodotto partito da questo Paese potrebbe,con buona probabilità, non aver avuto alcun vizio. Ancorpiù condivisibile, poi, se si pensa che ad oggi il blocco deiprodotti egiziani, sulla scorta delle misure adottate dall’Eu-ropa, è stato disposto anche da Stati extra UE, con le con-seguenze del caso sull’economia egiziana. Ed ulteriormen-te comprensibile appare, infine, se si evidenzia la recentis-sima decisione di esecuzione 2011/718/UE, che modifical’atto recante le misure sopra descritte19, prorogandonel’applicazione sino al 31 marzo del 201220. Presupposto fat-tuale della stessa è l’ispezione effettuata in Egitto, dal 21 al25 agosto 2011, dall’Ufficio alimentare e veterinario dellaCommissione. Come si evince dal quarto considerandodell’atto, i compiti affidati agli esperti consistevano sia nel“rintracciare la possibile fonte di infezione dei recenti foco-lai di E. coli (sierotipo O104:H4)”, sia nel “valutare le condi-zioni di produzione e trattamento dei semi in questione intale paese terzo”. Le conclusioni dell’ispezione qualificanocome insufficienti le misure adottate dalle autorità egizianeper affrontare i rischi individuati: sembra, infatti, che nelprocesso produttivo non trovino pienamente rispondenza irequisiti indicati nell’allegato I del regolamento (CE) n.852/200421. A tal proposito, dunque, la Commissione, senti-to il parere del comitato permanente per la catena alimen-tare e la salute degli animali, assumendo quale base giuri-dica l’articolo 53 del regolamento (CE) 178/2002, lettera b,punti i) e iii), ha effettuato la proroga del divieto di immis-sione in libera pratica dei prodotti dell’allegato alla decisio-ne e dell’obbligo di distruzione delle partite importate tra il2009 e il 2011.Quel che pare di capire è che la fonte di infezione, in real-tà, non sia stata trovata e che, a fronte di norme igienicheritenute inadeguate, l’istituzione europea abbia scelto di

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(17) Come già è accaduto per i prodotti potenzialmente contaminati da radiazioni, provenienti dal Giappone, a seguito della catastrofenucleare di Fukushima.(18) In Italia, le “linee guida per la gestione operativa del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano”, adottate con inte-sa del 15 dicembre 2005 e modificate nel novembre del 2008, considerano la distruzione dei prodotti ritirati solo quale ultima ipotesi,dopo l’ulteriore trasformazione e l’utilizzazione per scopi diversi da quelli originariamente previsti. Il testo del provvedimento è consulta-bile all’indirizzo internet http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree _1147_listaFile_itemName_0_file.pdf .(19) Decisione di esecuzione della Commissione del 28 ottobre 2011 che modifica la decisione dei esecuzione 2011/402/UE relativa amisure di emergenza applicabili ai semi di fieno greco e a determinati semi e legumi importati dall’Egitto.(20) Si vedano il settimo considerando e l’articolo 1 della decisione in esame.(21) Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull’igiene dei prodotti alimentari.

adottare misure per eventuali potenziali rischi futuri. Comegià ricordato, però, la decisione si trova al limite dell’illegit-timità, proprio in virtù del fatto della mancata individuazionedell’origine della contaminazione e della cessazione dell’al-lerta. In primo luogo, l’articolo 53 concerne situazioni diemergenza: nel caso di specie, ad oggi, secondo quantoriportato dall’ECDC, la crisi sembra conclusa pertanto sem-brerebbe venir meno il presupposto di applicazione dellanorma richiamata. Dimentichiamo, però, per un momento,tale ultima osservazione e leggiamo l’articolo 53 alla lucedel caso concreto: esso avrebbe come ulteriore condizionela sussistenza di un grave rischio manifesto per la salute,derivante dall’alimento importato dal Paese terzo. Il rischio,si ricorda, è la funzione della probabilità e della gravità di uneffetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza diun pericolo. Posto anche che, in alcune ipotesi, si sianoverificate patologie di estrema gravità, par di capire che laprobabilità che l’effetto nocivo si verifichi ingerendo, oggi,semi di fieno greco (o altro alimento di provenienza egizia-na), non sia più elevata di quanto non lo sia quella legataall’ingestione, ad esempio, di qualunque ortaggio a fogliaverde coltivato in Italia, comunemente irrigato con acque discolo. Volendo, però, ancora una volta, far affidamento sulbeneficio del dubbio, considerando così effettivamente sus-sistente un livello di gravità tale da giustificare l’interventoex art. 53, rimane sempre l’incognita del momento dellacontaminazione. Se, infatti, i semi fossero partiti dall’Egittoesenti da vizi, ogni indagine – e relativa misura conseguen-te – avrebbe dovuto incentrarsi su altri prodotti, trasportaticon i semi stessi, con essi conservati o transitati comunquenegli stabilimenti dell’importatore tedesco.Alla luce di simili considerazioni e della formulazione dell’ar-ticolo 7 del regolamento 178/2002, possono ritenersi confi-gurate quelle circostanze specifiche entro cui si muove ilprincipio di precauzione? Può effettivamente dirsi “gestito” ilrischio, di cui, in realtà, non si conoscono ancora i caratte-ri? Può ritenersi verificata la proporzione tra lo stesso e lemisure adottate? Sussiste la necessità richiesta dallanorma in esame per giustificare la restrizione al commerciodecisa dalla Commissione?

7.- Singolarità del caso

Ciò che lascia realmente disorientati nella vicenda del cd.batterio killer è però la straordinarietà della coincidenzatemporale dei casi verificatisi in Germania e quelli, invece,emersi in Francia, posto che effettivamente l’E. Coli abbiatrovato il proprio veicolo di proliferazione nella partita di tri-gonella additata come responsabile. Si ricorda, infatti, chelo stock salpato dall’Egitto era composto di 15.000 Kg disemi, da una piccola parte dei quali, separatamente, conmodalità di germinazione diversa e in differenti Paesi,sarebbero stati ottenuti germogli, a loro volta contaminati eserviti, nell’un caso in una mensa-ristorante, in altro duran-te un evento privato. E se, in Germania, l’emergenza è par-

tita da semi fatti germogliare da operatore professionale diAmburgo, su ampia scala, in Francia, i casi sono riconduci-bili ad una sola confezione di 50 g di prodotto, coltivato pri-vatamente. Eppure, nonostante evidenti differenze nel trat-tamento dei vegetali, in un breve lasso temporale si sonoparallelamente scatenate due emergenze, aventi – pare –tale causa comune. Si potrebbe pensare che la circostanzasia legata al ciclo di semina e maturazione della pianta:mentre la semina avviene in aprile, la germinazione è rapi-da, tanto che la trigonella giunge a maturazione già tramaggio e giugno. Di contro, la germogliazione industrialenon segue di certo il ciclo produttivo “naturale” ma è effet-tuata attraverso tecnologie che consentono l’ottenimentodel prodotto in un lasso temporale estremamente ridotto edin assenza di semina (processo, questo, facilmente ripetibi-le anche su piccola scala). Evidentemente, dunque, l’ipote-si sopra vagheggiata non trova alcun fondamento.L’interrogativo sul perché, dunque, parallelamente, in duearee circoscritte (e in nessun altro Paese, nonostante la dif-fusa commercializzazione che i semi incriminati hannoavuto) si siano verificati, pressoché nel medesimo periodo,le distinte emergenze sanitarie, rimarrà tale e non potrà chealimentare i già manifestati dubbi sull’efficacia e fondatezzadelle misure adottate dalla Commissione, per far fronteall’emergenza.

8.- Conclusioni

Come si è cercato di evidenziare, il sillogismo che lega levicende tedesche e francesi ai semi di fieno greco prove-nienti dall’Egitto risulta più complesso di quanto appaia. Leimplicazioni che esso ha generato conducono ad una seriedi interrogativi sul funzionamento del sistema di allarmerapido per gli alimenti e i mangimi e sui procedimenti che adesso risultano connessi.Una prima questione pone l’accento sull’effettività dellostrumento di allerta, “codificato”, come noto, dal regolamen-to 178/2002. Può dirsi concretamente raggiunto l’obiettivovoluto dall’atto comunitario, volto alla costituzione di unarete nella quale far transitare con immediatezza le informa-zioni legate alla sicurezza di alimenti e mangimi?L’emergenza che l’Europa si è trovata a fronteggiare tramaggio e luglio 2011 ha rappresentato certamente unmomento di verifica della funzionalità della struttura. Inprimo luogo, va considerato che l’allerta lanciata sulla reteRASFF è intervenuta con un ritardo di cinque giorni sullacomunicazione inviata nel parallelo sistema EWRS (Earlywarning and response system), strumento che consente,da un lato, lo scambio repentino di informazioni sulle malat-tie trasmissibili, dall’altro, la formulazione di idonee misurevolte a proteggere la salute pubblica. La dilazione tempora-le è da considerarsi elemento connaturato alla diversa ope-ratività dei sistemi. All’emergere di una patologia trasmissi-bile, l’allerta relativa viene immediatamente inviata all’inter-no dell’EWRS. Le cause che possono ad essa essere ricon-

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ducibili saranno, ovviamente, identificate in un momentosuccessivo. Così, solo qualora all’origine della malattiafosse rinvenibile un alimento, ecco che l’allerta sarà paral-lelamente inviata sulla rete RASFF22.Sotto questo punto di vista, la vicenda dell’E. coli si appale-sa emblematica. Se, infatti, l’individuazione dell’agentepatogeno nell’essere umano è stata immediata, compren-dere quale sia stata la causa posta all’origine dell’epidemiasi è rivelato procedimento di elevata complessità e consi-stente impegno temporale: essenziale, in questa secondafase, si è dimostrato non solo e non tanto il campionamen-to degli alimenti (dal quale, si ricorda, nessuna traccia dicontaminazione è stata evidenziata sui semi di trigonella),quanto più la tracciabilità degli stessi, attraverso le descri-zioni effettuate dai soggetti colpiti. Nella vicenda, l’opzionecui si è trovata di fronte l’Autorità sanitaria tedesca è dupli-ce: da un lato, la possibilità di attendere esiti certi in relazio-ne all’alimento legato all’epidemia, prima di lanciare la noti-fica sulla rete RASFF; dall’altro, la scelta di inoltrare l’aller-ta all’individuazione del prodotto sospetto. Come noto, laseconda alternativa ha rappresentato la via effettivamenteseguita dalla Germania nella prima “gestione” dell’emer-genza, scelta da più parti opinata, pur essendo non solo lastrada maggiormente indicata per affrontare tempestiva-mente la crisi, ma soprattutto quella imposta dal regolamen-to (UE) 16/201123, recante norme di attuazione del RASFF.Al di là delle considerazioni sugli effetti economici legati allavicenda, la trasmissione dell’allerta ha permesso la forma-zione immediata di una “task force” che, in collaborazionecon l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha trattole conclusioni che sopra sono state esposte. Se nonostan-te la tempestività della notizia, lo STEC ha avuto tempo dicolpire, nel complesso, circa quattromila persone (tra casiconfermati e probabili)24, un ritardo maggiore, da partedell’Autorità tedesca, nella trasmissione della notificaavrebbe probabilmente determinato conseguenze ben piùgravi (questo se si parte dal presupposto che proprio i ger-mogli fossero il veicolo di trasmissione dell’epidemia). Nongiova a tal riguardo il richiamo all’articolo 3 del regolamen-to 16/2011, il quale impone allo Stato membro cui giunga lanotizia del rischio per la sicurezza, legato ad un alimento oad un mangime, la trasmissione dell’allarme entro 48 oredal momento in cui ne è a conoscenza, salva la possibilitàdi fornire dettagli o informazioni ulteriori, tramite una notifi-ca di follow up. Se, da un lato, alla luce di tale norma, l’al-lerta lanciata dalla Germania, pur se inviata in un momento

in cui vi era solo il sospetto che determinati vegetali potes-sero essere all’origine della tossinfezione, potrebbe risulta-re addirittura tardiva, in realtà, si deve evidenziare che l’ar-ticolo sopra richiamato è relativo alle sole notifiche di allar-me, limitate, secondo quanto inferibile dallo stesso regola-mento 16/2011, a quella comunicazione di “un rischio cherichiede o potrebbe richiedere un’azione rapida in un altropaese membro”. Sintanto, dunque, che l’epidemia nonfosse stata riconducibile ad un altro Paese, lo Stato notifi-cante non sarebbe stato sottoposto agli stringenti limiti tem-porali previsti per le notifiche di allarme, ma alla sola condi-zione di assenza di ritardi ingiustificati, previsti dall’articolo4 per le notifiche di informazione. La necessità di indaginiscientifiche di approfondimento è certamente inquadrabilenelle cause che spiegano una dilazione nella comunicazio-ne attraverso la rete RASFF. Non può tuttavia non solleva-re qualche dubbio la distinzione appena vista operata dalregolamento (UE) 16/2011 nel disciplinare le diverse cate-gorie di notifiche. In particolare, proprio in considerazionedel caso analizzato, sembrerebbe potersi affermare lanecessità di un’ immediata notificazione nella rete delrischio che richieda un’azione immediata, indipendente-mente dal limite territoriale della stessa. La capacità, infatti,di circoscrivere l’evento dannoso e le sue cause all’internodi una specifica area sarà un elemento strettamente corre-lato alla comprensione del pericolo prima e del rischio dopo:i tempi connaturati a tale indagine non permettono, però, diprocrastinare il momento della notifica, da effettuarsi neces-sariamente con immediatezza.Ciò considerato, intendendo il RASFF quale strumento discambio immediato di informazioni concernenti un rischioper la salute umana, animale o dell’ambiente legato ad ali-menti o mangimi, potrebbe concludersi che esso abbiaeffettivamente dimostrato una concreta capacità di funzio-namento, in relazione al modo in cui esso è attualmenteregolamentato. Potrebbe però prospettarsi la possibilità diuna modifica, nel senso sopra descritto, volta ad equipara-re i tempi di notifica sia nel caso che l’azione immediatariguardi anche Paesi terzi, sia che essa sia apparentemen-te limitata al solo territorio nazionale. L’intera vicenda, però, suscita altre perplessità prive di unarisposta certa. In primo luogo, se è vero che la notifica dellaGermania attraverso il RASFF era tanto indispensabilequanto dovuta, lo stesso non può dirsi con certezza per ledichiarazioni rilasciate dalla senatrice di Amburgo nella con-ferenza stampa del 26 maggio. Da un lato, infatti, può rile-

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(22) Per una trattazione approfondita sul sistema di allerta per gli alimenti e i mangimi, si rinvia a L. Petrelli, Commento agli artt. 50, 51,52 del regolamento (CE) 178/2002, in La sicurezza alimentare nell’Unione europea, in Le nuove leggi civili commentate, 2003, p. 428 –439 e, del medesimo autore, Il sistema di allarme rapido per gli alimenti ed i mangimi, in q. Rivista, 4-2010, 4, www.rivistadirittoalimen-tare.it.(23) Regolamento (UE) 16/2011 del 10 gennaio 2011, recante disposizioni di applicazione relative al sistema di allarme rapido per gli ali-menti ed i mangimi.(24) Si veda l’aggiornamento dell’ECDC del 27 luglio 2011, consultabile all’indirizzo http:// www.ecdc.europa.eu/en/act ivi t ies/sciadvice/Lists/ECDC%20Reviews/ECDC_DispForm.aspx?List=512ff74f-77d4-4ad8-b6d6-bf0f23083f30&ID=1166&RootFolder=%2Fen%2Factivities%2Fsciadvice%2FLists%2FECDC%20 Reviews.

varsi il dovere, per l’autorità nazionale, di informare i propricittadini dell’esposizione degli stessi a potenziali rischi (e icampioni di cetrioli, pur se scagionati dall’accusa di essereresponsabili dell’epidemia, comunque erano risultati positi-vi a ceppi di E. Coli), dall’altro risiede la necessità di ponde-rare ogni dichiarazione in guisa tale da non generare infon-dati allarmismi e di non sovrapporsi alle competenze dicomunicazione del rischio riservate alla Commissione eall’ESFA. In questa prospettiva, può dirsi realmente censu-rabile il comportamento delle Autorità tedesche che rende-vano noti i primi risultati di laboratorio, esprimendo, con ciò,meri dati di fatto o è, piuttosto, da esecrare l’eco distorsivache delle dichiarazioni è stata fatta dai canali mediatici?Confutando le prime argomentazioni provenienti dallaSpagna, da un punto di vista giuridico, pare potersi esclu-dere la responsabilità del governo tedesco per i danni con-seguenti all’identificazione dei cetrioli come causa dell’epi-demia. Si ricordano, in proposito, le tre condizioni il cui veri-ficarsi avrebbe consentito di individuare profili di responsa-bilità in capo alla Germania. In primo luogo, sarebbe statonecessario che la condotta di quest’ultima avesse costituitoun fatto illecito. Secondariamente, sarebbe stata indispen-sabile la verificazione di un evento lesivo. Infine, sarebbestato d’obbligo l’ individuarsi di un nesso di causalità tra laprima e la seconda. La comunicazione effettuata dalla senatrice di Amburgoper aggiornare sullo stato dell’epidemia e dell’indaginescientifica sino ad allora compiuta non sembra rivestire al-cun carattere di illiceità, se strettamente intesa. Si ricorda,infatti, che i dati resi pubblici indicavano la positività all’E.coli di campioni di cetrioli di origine spagnola (senza peral-tro alcuna indicazione sul sierotipo isolato): da tale ele-mento sarebbero poi dovute partire ulteriori indagini chenon avrebbero escluso il coinvolgimento di altri prodotti. Eanche di quest’ultimo aspetto l’Autorità tedesca ha datoconto. A questo punto, considerando che simile informazio-ne non sembra in alcun modo illecita, già verrebbe meno ilpresupposto del riconoscimento di una responsabilità dellaGermania per la crisi economica che ha colpito gli agricol-tori. D’altra parte, l’affermazione in sé non aveva di certocarattere di allarme tanto che non si può identificare nep-pure un nesso di causalità diretto tra la stessa e il calo del-le vendite di ortofrutticoli freschi. Quest’ultimo è stato de-terminato, come sopra anticipato, dall’immediata diffusionedi notizie allarmistiche da parte degli organi mediatici che,deformando la portata della comunicazione, hanno addita-to i cetrioli come responsabili certi dell’epidemia. E’ pur ve-ro, d’altro lato, che l’effetto sui consumi sarebbe stato facil-mente prevedibile, visto quanto accaduto regolarmente alripresentarsi di ogni emergenza sanitaria (es. crollo di ven-dite della carne bovina nel caso della BSE, crisi del merca-to delle carni di pollame durante la cd. epidemia aviaria) econsiderato che, per evitare simili conseguenze, il ruolo dicomunicazione del rischio è assegnato all’EFSA. Sarebbeforse stato auspicabile un silenzio assoluto delle Autoritàtedesche sino a che non fosse intervenuta una comunica-

zione ufficiale dell’Autorità europea per la sicurezza ali-mentare? La seconda perplessità che sorge a seguito delle vicendedell’ E. coli attiene al sistema di tracciabilità del prodotto. Ilcaso dei semi di fieno greco è emblematico: non solo sisono avute commistioni di prodotti tali da render pressochéimpossibile isolare gli alimenti appartenenti al lotto ritenutoresponsabile (i germogli di trigonella erano infatti contenutiin mix di vegetali in proporzioni variabili), ma, al momentodelle analisi, non sono stati rinvenuti campioni positivi al bat-terio incriminato. La natura del prodotto coinvolto nellavicenda di certo non ha agevolato il funzionamento del mec-canismo tanto che l’unica strada ritenuta sicura dallaCommissione, come noto, è stata la scelta di procedere alritiro e alla distruzione di tutte le partite di semi di fieno grecoimportate dal 2009 al 2011. Alla luce di ciò, è possibilegarantire la rintracciabilità dei prodotti lungo tutta la filieraagroalimentare, nonostante i limiti connaturati al sistema?Se della fase di valutazione del rischio poco si può, infine,dire, attesa la tecnicità della stessa, una terza perplessità siaffaccia in relazione alla gestione dello stesso. Come si èevidenziato nel corso dello scritto, le misure di emergenzaadottate dalla Commissione (intervenute quando la crisipoteva dirsi quasi conclusa) appaiono alquanto discutibili:discutibili per tempistica, fondatezza, estensione, modalitàdi attuazione e confutabile utilizzo del principio di precau-zione. In conclusione, dunque, la percezione – forse sbagliata, macertamente prevalente – che si ottiene dalla vicenda fa sup-porre che la scelta seguita dalla Commissione sia statadeterminata più da una pressione politica e mediatica suun’emergenza certamente grave, ma di difficile gestione,che dall’effettiva capacità di comprendere il pericolo, comegià accadde, seppur con estensione notevolmente differen-te, nella crisi della BSE degli anni Novanta.

ABSTRACT

La recente crisi alimentare legata al batterio E. Coli costitui-sce l’occasione per condurre alcune riflessioni sul funziona-mento del sistema di allarme rapido per gli alimenti e i man-gimi, sul ruolo dei soggetti in esso operanti e sulle conse-guenze, dirette ed indirette, che la trasmissione di un’aller-ta sulla rete RASFF può determinare.Dopo un breve riepilogo del succedersi degli eventi, il pre-sente articolo tratteggerà i caratteri essenziali delle misuredi emergenza adottate dalla Commissione europea con ladecisione di esecuzione 2011/402/UE e dei reportdell’Autorità europea per la sicurezza alimentare che nehanno costituito il presupposto.Si trarrà spunto da detta analisi per individuare alcuni inter-rogativi (la cui risposta rimarrà volutamente aperta) correla-ti allo sviluppo della vicenda, con particolare riferimento allafondatezza delle suddette misure, all’effettivo rispetto deilimiti imposti dall’applicazione del principio di precauzione,

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alla completezza delle previsioni che disciplinano lo stru-mento delle notifiche nel sistema di allarme rapido, alla pos-sibilità di colmare eventuali lacune dello stesso.

The recent E. Coli outbreaks in Germany and France givethe opportunity to comment on the events, by makingremarks on the efficiency of the rapid alert system for foodand feed, on the role of institutions and authorities operat-ing it and on the consequences, both direct and indirect,that can be caused by alert notifications on the RASFF.After a brief summary of the happenings, the paper will out-

line the main features of EFSA reports and of the subse-quent Commission Decision 2011/402/UE, adopting emer-gency measures “applicable to fenugreek seeds and certainseeds and beans imported from Egypt”.The analysis will provide a starting point for some questions(deliberately unanswered) related to the development of theemergency, with regard to the legitimacy of such measures,the observance of the limits set on the application of theprecautionary principle, the completeness of provisions onRASFF notifications, the chance to fill any gap in the sys-tem.

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Commenti

Gli effetti della procedura “taglia-

leggi” sulla Legge 30 aprile 1962,

n. 283

Giovanna Roggero

1.- Premessa

La legislazione alimentare nazionale è stata di recente coin-volta dall’importante questione relativa alla presunta abro-gazione della Legge 30 aprile 1962, n. 2831, concernente ladisciplina igienica della produzione e della vendita dellesostanze alimentari, per l’effetto degli interventi di semplifi-cazione legislativa di cui alla Legge delega 28 novembre2005, n. 2462. Con tale normativa, il legislatore deleganteincaricava il Governo di adottare decreti legislativi abrogati-vi delle disposizioni legislative statali pubblicate anterior-mente al 1° gennaio 1970 e di individuare allo stessotempo, sempre a mezzo dei medesimi decreti, quali di que-ste fosse necessario mantenere in vigore. Di conseguenza,la stampa, la giurisprudenza e la dottrina si sono posti laquestione relativa alla permanenza in vigore della L.283/1962.In particolare, il 22 dicembre 2010 “Il Sannio Quotidiano”3

riferiva dell’assoluzione di un gestore di un esercizio com-merciale dal reato di detenzione di sostanze alimentari in cat-tivo stato di conservazione, di cui all’art. 5 lett. b) Legge283/1962, avendo il giudice ritenuto che il fatto non fosse piùprevisto dalla legge come reato. Nella fattispecie, il Tribunaleaveva accolto la tesi del difensore dell’imputato, secondo cuila Legge 283/1962 non sarebbe stata più in vigore a far datadal 16 dicembre 2010, e le contravvenzioni e gli illeciti ammi-nistrativi in essa previsti non più applicabili.La reazione mediatica a quanto riportato dal quotidianolocale è stata notevoe: la notizia sulla presunta cancellazio-ne della principale disciplina a tutela degli alimenti si è dif-

fusa rapidamente, non senza toni allarmistici, sui siti inter-net dei maggiori quotidiani nazionali, come il “Corriere dellaSera”, “la Repubblica” e “La Stampa”, così come in decinedi altre testate giornalistiche. Si è posto quindi il problemadi verificare se la legge in questione fosse o meno da con-siderarsi come abrogata per effetto delle disposizioni disemplificazione legislativa attuative della Legge 28 novem-bre 2005, n. 246. A tale riguardo, si è prospettata in dottrinauna tesi a sostegno dell’abrogazione della Legge 283/1962e si è pronunciata la III Sezione della Corte di Cassazione,con due sentenze distinte e contrapposte sul tema.Per meglio comprendere la questione, risulta utile analizza-re innanzitutto il contenuto delle norme c.d. “salva-leggi” e“taglia-leggi”, predisposte dal Dipartimento per laSemplificazione Normativa.

2.- La disciplina in tema di semplificazione legislativa e rias-setto normativo

Lo sviluppo della normativa in tema di semplificazione legi-slativa e riassetto normativo prende le mosse dalla Leggedelega 28 novembre 2005, n. 246, recante“Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”,entrata in vigore il 16 dicembre 2005. In tale legge, venivaprevisto all’art. 14, comma 124, un termine massimo di 24mesi (scadente il 16 dicembre 2007) entro il quale ilGoverno avrebbe dovuto individuare le disposizioni legisla-tive statali vigenti, evidenziando le eventuali incongruenzee antinomie normative afferenti ai vari settori legislativioggetto dell’intervento di semplificazione e compendiandoi risultati in una relazione finale da trasmettere alParlamento entro il medesimo termine. Spirato tale termi-ne, nei 24 mesi successivi (quindi entro il 16 dicembre2009), il Governo era delegato ad adottare i vari decretilegislativi aventi lo scopo di individuare quali, tra le variedisposizioni legislative dello Stato oggetto di quella ricogni-zione, pubblicate anteriormente all’1 gennaio 1970, doves-sero permanere in vigore, provvedendo poi al riordino com-plessivo della materia oggetto dei detti decreti ed alla rela-tiva semplificazione normativa (commi 14 e 15).

(1) Legge 30 aprile 1962, n. 283 - Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio1934, n. 1265, Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.(2) Legge 28 novembre 2005, n. 246 – Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.(3) L’articolo è consultabile su http://www.orsacampania.it/wp-content/uploads/2010/12/Igiene-degli-alimenti_sentenza.pdf .(4) Art. 14, comma 12: “Al fine di procedere all’attività di riordino normativo prevista dalla legislazione vigente, il Governo, avvalendosidei risultati dell’attività di cui all’articolo 107 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigo-re della presente legge, individua le disposizioni legislative statali vigenti, evidenziando le incongruenze e le antinomie normative rela-tive ai diversi settori legislativi, e trasmette al Parlamento una relazione finale”.

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In deroga a quanto sopra richiamato, la stessa Legge dele-ga prevedeva all’art. 14, comma 17: “Rimangono in vigore:a) le disposizioni contenute nel codice civile, nel codicepenale, nel codice di procedura civile, nel codice di proce-dura penale, nel codice della navigazione, comprese ledisposizioni preliminari e di attuazione, e in ogni altro testonormativo che rechi nell’epigrafe l’ indicazione codice ovve-ro testo unico; … c) le disposizioni contenute nei decretiricognitivi, emanati ai sensi dell’articolo 1, comma 4, dellalegge 5 giugno 2003, n. 131, aventi per oggetto i principifondamentali della legislazione dello Stato nelle materiepreviste dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione;d) le disposizioni che costituiscono adempimento di obblighiimposti dalla normativa comunitaria e le leggi di autorizza-zione a ratificare trattati internazionali;…”.Alla Legge delega 246/2005 hanno pertanto fatto seguito, inordine cronologico, i seguenti Decreti Legislativi: D.Lgs. 1dicembre 2009, n. 179, entrato in vigore il 15 dicembre20095; D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 2126, e D.Lgs. 13dicembre 2010, n. 213, entrambi entrati in vigore il 16dicembre 20107.Il primo di tali decreti, il D.Lgs. 179/2009, individua i criteriguida da seguire in vista del riordino della materia e degliinterventi di semplificazione. Nello specifico, nell’Allegato 1vengono indicate le disposizioni legislative statali, pubblica-te anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificatecon provvedimenti successivi, la cui permanenza in vigoresi reputa “indispensabile”, mentre nell’Allegato 2, si indica-no altre disposizioni da non abrogare anche ai sensi e pergli effetti dell’articolo 14, commi 14, 14-bis e 14-ter, dellaLegge n. 246 del 2005 e successive modificazioni8. Taledecreto legislativo indica inoltre il significato da attribuire atalune espressioni contenute nel testo del medesimo decre-to9. In particolare, per “disposizioni legislative statali” siintendono tutte quelle comprese in ogni singolo atto norma-tivo dello Stato avente valore di legge e riportate negliAllegati 1 e 2, con effetto limitato a singole disposizioni sol-tanto nei casi espressamente menzionati. L’espressione“pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970” si riferisce a

tutte quelle contenute in atti legislativi statali pubblicati tra il17 marzo 1861 e il 31 dicembre 1969, mentre l’espressione“anche se modificate con provvedimenti successivi” fa rife-rimento ad atti legislativi statali modificativi delle leggi ante-cedenti al 1° gennaio 1970, intervenuti successivamente atale data. Infine, per “permanenza in vigore” si intende cherestano in vigore le disposizioni legislative statali, indicatenegli Allegati 1 e 2, nel testo vigente al momento della suaentrata in vigore. Il successivo D.Lgs. 212/2010 ha abrogato espressamentele disposizioni legislative di cui all’elenco allegato in confor-mità a quanto previsto dall’art. 14, comma 14-quater dellaLegge 28 novembre 2005, n. 246.Infine, il D.Lgs. 213/2010 ha escluso espressamente dall’ef-fetto abrogativo alcune disposizioni legislative statali, indi-cate nei tre allegati (A, B e C) al decreto medesimo, pubbli-cate anteriormente al 1° gennaio 1970, che devono consi-derarsi escluse dall’abrogazione operata con il D.Lgs.179/200910.La Legge 283/1962 non risulta menzionata: né negli elenchicomprensivi delle leggi da salvare anteriori al 1° gennaio1970, né tra le disposizioni legislative statali espressamen-te abrogate. Di qui, il problema di verificare se la stessafosse o meno da considerarsi abrogata per l’effetto delladisciplina di semplificazione normativa. Sulla questione, laCorte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in duedistinte occasioni: una prima sentenza11 ha concluso perl’abrogazione della Legge 283 a far data dal 16 dicembre2010, con tesi favorevolmente considerata da alcuni primicommenti12; la seconda sentenza13 ha invece raggiunto con-clusioni opposte a quelle sostenute nella precedente deci-sione, riconoscendo la “sopravvivenza” della Legge283/1962 agli effetti abrogativi della procedura di semplifi-cazione normativa.Qui di seguito, si analizzeranno pertanto i procedimenti logi-co-giuridici, seguiti dalla Suprema Corte nelle sentenzesopra citate, la cui diversità testimonia la complessità dellaprocedura normativa di “semplificazione” delegata alGoverno.

(5) Decreto Legislativo 1 dicembre 2009, n. 179 – Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensa-bile la permanenza in vigore, a norma dell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246.(6) Decreto Legislativo 13 dicembre 2010, n. 212 – Abrogazione di disposizioni legislative statali, a norma dell’articolo 14, comma 14-quater, della legge 28 novembre 2995, n. 246.(7) Decreto Legislativo 13 dicembre 2010, n. 213 – Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, recantedisposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore.(8) Cfr. Art. 1, commi 1 e 2, D.Lgs. 179/2009.(9) Cfr. Art. 1, comma 3 D.Lgs. 179/2009.(10) Per completezza giova infine ricordare che per effetto di un avviso di rettifica pubblicato nella G.U. del 7 gennaio 2011 (Comunicatorelativo al decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, recante: “Abrogazione di disposizioni legislative statali, a norma dell’articolo 14,comma 14-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”), sono state escluse dall’effetto abrogativo: il R.D. n. 1769 del 1925 e la L. 15ottobre 1925, n. 1796 (Obbligo dell’uso della lingua italiana in tutti gli uffici giudiziari del Regno, salve le eccezioni stabilite nei trattatiinternazionali per la città di Fiume); il R.D. n. 1404 del 20 luglio 1934 e la L. 20 luglio 1934, n. 1404 (Istituzione e funzionamento del tri-bunale per i minorenni). (11) Cass. Pen., Sez. III, 31 marzo 2010, n. 12572.(12) Si veda G. Tartaglia Polcini, in http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina_2010/diritto_salute_tartaglia_polcini.htm .(13) Cass. Pen., Sez. III, 9 marzo 2011, n. 9276.

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3.- La sentenza 31 marzo 2010, n. 12572

La fattispecie sottoposta all’esame della Corte riguardava ildirettore responsabile in materia di igiene di un supermer-cato, condannato, a seguito di opposizione a decreto pena-le di condanna, alla pena dell’ammenda per la contravven-zione di cui all’art. 5, lett. d) Legge 283/1962, per aver postoin vendita fettine di tacchino impanate con la presenza disalmonella gruppo B. Avverso la decisione del tribunale,l’imputato proponeva ricorso in Cassazione, deducendo, tragli altri motivi, l’abrogazione della Legge 283/1962 conte-nente il reato in esame.I giudici di legittimità hanno esaminato la questione, muo-vendo in primo luogo dall’art. 14 della Legge n. 246 del2005 e richiamando i commi 12 e 14, nella loro stesura ori-ginaria, riguardanti rispettivamente il termine di 24 mesi(dalla data dell’entrata in vigore della legge delega) per l’in-dividuazione da parte del Governo delle disposizioni legi-slative statali oggetto del riordino, ed il termine di ulteriori 24mesi (dalla scadenza del precedente) per l’adozione didecreti legislativi contenenti le leggi da salvare. Si osserva,in un secondo momento, come, medio tempore, siano statiemanati: il D.L. 27 giugno 2008, n. 11214 (convertito conmodificazioni dalla Legge 6 agosto 2008, n. 13315) ed il D.L.22 dicembre 2008, n. 20016 (convertito con modificazionidalla Legge 18 febbraio 2009, n. 917), abrogativi di disposi-zioni vigenti. In analogia a quanto previsto per tali decreti, la Corte rilevache la Legge 18 giugno 2009, n. 69, come si legge nellarelazione di accompagnamento, nel novellare l’art. 14 dellaLegge n. 246 del 2005, “ha spostato l’effetto dell’abrogazio-ne in avanti rispetto all’emanazione del decreto legislativodi “salvezza” degli atti normativi primari ante 1970…, con-sentendo un opportuno lasso di tempo idoneo a correggereeventuali errori ed omissioni, prima che si produca l’effettoabrogativo”. In particolare, la Corte sottolinea che l’art. 4della Legge n. 69 del 2009 ha inciso, modificandolo, sull’art.14 della Legge 246/2005 ed ha introdotto, tra l’altro, ilcomma 14-ter che recita: “Fatto salvo quanto stabilito dalcomma 17 (disposizioni dei codici civile, penale, di procedu-ra e della navigazione), decorso un anno dalla scadenzadel termine di cui al comma 14, ovvero del maggior termineprevisto dall’ultimo periodo del comma 22, tutte le disposi-zioni legislative statali non comprese nei decreti legislativi dicui al comma 14, anche se modificate con provvedimentisuccessivi, sono abrogate”. Secondo i giudici di legittimità, è in tale contesto normativo

che si innesta il D.Lgs. n. 179 del 2009, primo in ordine cro-nologico dei decreti attuativi della L. 246/2005, con il qualesi prevede che nell’Allegato 1 al decreto stesso, sono indi-viduate le disposizioni legislative statali anteriori al 1° gen-naio 1970 delle quali si ritiene indispensabile la permanen-za in vigore e che sono sottratte all’effetto abrogativo di cuiall’art. 2 del D.L. 22 dicembre 2008, n. 200, le disposizioniindicate nell’Allegato 2 al decreto.La Corte concludeva, pertanto, che per effetto di quantodisposto l’art.14 della L. n. 246 del 2005, al comma 14-ter,introdotto dalla Legge n. 69 del 2009, e tenuto conto delladata di entrata in vigore della Legge n. 246 del 2005, il ter-mine di un anno ivi indicato scadesse il 16 dicembre 2010. Nella fattispecie, detto termine non era ancora maturato (lapronuncia è del marzo 2010) e la Legge 283/1962 nonaveva ancora subito nessun effetto abrogativo. Tuttavia, laCorte ha annullato la decisione impugnata senza rinvio per-ché il reato era ormai estinto per prescrizione.

4.- La sentenza 9 marzo 2011, n. 9276

Successivamente, la stessa Sezione III della CassazionePenale è tornata sulla questione dell’abrogazione dellaLegge 283/1962, ed ha concluso per la sua attuale vigenza,rivedendo le posizioni espresse nella precedente pronunciasopra richiamata. Anche in questo caso, la difesa dell’impu-tato condannato per il reato di cui all’art. 5 lett. b) Legge283/1962 (oltre che per i reati di cui agli artt. 56 e 515 c.p.)rilevava come, per effetto del D.Lgs. 212/2010, l’ipotesi direato contestata fosse venuta meno a seguito dell’abroga-zione della Legge 283/1962 e chiedeva l’annullamento inparte, senza rinvio, della decisione impugnata.Nell’analizzare la fattispecie, la Corte osservava anzituttocome un’eventuale soluzione della questione concernentela Legge 283/1962 nel senso auspicato dal ricorrente,avrebbe determinato il venir meno del reato ed il conse-guente annullamento della sentenza impugnata senza rin-vio sul punto. Diversamente da quanto accaduto nel casodeciso dalla sopra richiamata sentenza risolto nella senten-za n. 12572 del 2010, in questo secondo caso il reato nonrisultava estinto per effetto della prescrizione e l’analisi nor-mativa attorno alla vigenza della Legge 283/1962 si pone-va, pertanto, quale questione di primaria rilevanza.La Corte ha analizzato dapprima il dettato normativo: il con-tenuto della legge delega (L. 246/2005) e quanto predispo-sto dai decreti legislativi “salva-leggi” e “taglia-leggi” (D.Lgs.

(14) D.L. 25-6-2008 n. 112 - Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione dellafinanza pubblica e la perequazione tributaria.(15) L. 6-8-2008 n. 133 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgen-ti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.(16) D.L. 22 dicembre 2008 n. 200 - Misure urgenti in materia di semplificazione normativa.(17) L. 18 febbraio 2009 n. 9 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, recante misureurgenti in materia di semplificazione normativa.

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179/2009, D.Lgs. 212/2010 e D.Lgs. 213/2010)18, osservan-do come, ad una prima lettura, sembrerebbe che la Leggen. 283 del 1962, in quanto emanata prima del 1° gennaio1970 e non espressamente compresa nell’elenco delleleggi da salvare, debba ritenersi abrogata per effetto deivari decreti legislativi succedutisi alla Legge delega n. 246del 2005. In questo senso, ricorda la Corte, militerebbealtresì la decisione, sopra richiamata, precedentementeemessa dalla medesima III Sezione Penale, dal cui orienta-mento peraltro la Corte ritiene di discostarsi.Nello specifico, i giudici di legittimità osservano: “A benvedere, la decisione testé ricordata, nel disporre l’annulla-mento senza rinvio della sentenza impugnata in ordine alreato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. d) ha espres-so in via incidentale tale convincimento preannunciandouna abrogazione della legge a far data dal 16 dicembre2010, facendo leva sulle disposizioni contenute nel comma14-ter contenuto nella L. n. 69 del 2009 modificativa della L.n. 246 del 2005 che individuavano nel termine di un annodalla data del 16 dicembre 2009, quello di definitiva abroga-zione della legge. Convincimento – come cennato – espres-so in forma anticipatoria ed incidentale, sulla base di unaprima lettura del dato normativo testuale, senza uno speci-fico approfondimento del tema in quanto ritenuto non indi-spensabile vista comunque la intervenuta maturazione deltermine prescrizionale che consentiva di superare, allostato degli atti, la questione in termini diversi”. Per tali ragio-ni, la Corte ha ritenuto, melius re perpensa, di giungere aconclusioni diametralmente opposte a quelle ipotizzatenella precedente sentenza.Le ragioni a sostegno dell’ipotesi non-abrogativa risultanosuffragate, ad avviso dei supremi giudici, da un dato norma-tivo testuale e da una lettura sistematica delle norme vigen-ti. Per quanto concerne il primo punto, si fa riferimentoall’art. 14, comma 17, lett. a) della Legge delega n. 246 del2005 che esclude dall’effetto abrogativo le disposizioni con-tenute, oltre che nei vari codici, anche in ogni altro testonormativo recante nell’epigrafe la denominazione “codice” o“testo unico”. La Legge 283/1962 va, pertanto, esclusa dal-l’effetto abrogativo in quanto il relativo testo normativo reci-ta in epigrafe “Modifica del testo unico delle leggi sanitarie

approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, artt. 242, 243,247, 250 e 262: Disciplina igienica della produzione e dellavendita delle sostanze alimentari e delle bevande”.In merito al secondo punto, la Corte ricorda che tale legge èstata modificata ed integrata dalla Legge 26 febbraio 1963,n. 441 entrata in vigore il 12 aprile 196319, la quale figura trale disposizioni legislative statali espressamente escluse dal-l’intervento abrogativo e, precisamente, al n. 1891 dell’elen-co di cui all’Allegato1 del D.Lgs. 179/2009, contenente leleggi anteriori al 1° gennaio 1970 la cui permanenza in vigo-re si ritiene indispensabile. Conseguentemente, secondo laCorte, “se la legge di modifica di quella che a prima vistapotrebbe apparire inclusa nel novero delle leggi da elimina-re è stata espressamente lasciata in vigore, segno è che illegislatore non aveva alcuna intenzione di abrogare lalegge-madre verosimilmente attesa la sua importanza gene-rale e le conseguenze che ne sarebbero derivate sul pianidella tutela generale della salute”. In altri termini, proseguela Corte, “non avrebbe avuto alcun senso su un piano squi-sitamente logico, da un lato, escludere espressamente dal-l’abrogazione la L. n. 441 del 1963 modificativa della L. n.283 del 1962 e, dall’altro, non includere quest’ultima tra leleggi sopravvissute: il che giustifica la mancata espressaindicazione di questa nell’elenco delle leggi da salvare incoerenza, del resto, con quanto previsto in via generaledalla L. n. 246 del 2005, art. 14, comma 17 disciplinante lasorte generale delle leggi da mantenere in vigore”.Per questi motivi, i giudici di legittimità hanno concluso chel’abrogazione della Legge n. 283 del 1962 per effetto dellanormativa di semplificazione debba ritenersi del tutto esclusa.La resipiscenza della Corte è senza dubbio apprezzabile edha contribuito alla risoluzione definitiva della questionedella permanenza in vigore della Legge 283/1962 e delrelativo regolamento di esecuzione DPR 26.3.1980, n.32720. Appare auspicabile, in futuro, una maggiore attenzio-ne e chiarezza da parte del legislatore delegato nella predi-sposizione di interventi volti a “semplificare” il panoramalegislativo italiano, onde evitare incertezze ed allarmismi suun tema sensibile, quale la salute pubblica, che la Legge283/1962, seppur datata, contribuisce a tutelare.

(18) Vedi supra paragrafo 2.(19) L. 26 febbraio 1963 n. 441 - Modifiche ed integrazioni alla legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla disciplina igienica della produzione edella vendita delle sostanze alimentari e delle bevande ed al decreto del presidente della Repubblica 11 agosto 1959, n. 750.(20) D.P.R. 26 marzo 1980 n. 327 - Regolamento di esecuzione della L. 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni, in materia didisciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.

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Cronache

Pieve Tesino Summer Seminar on

Global Food Law and Quality

Monica Minelli

1.- The Tuscia University of Viterbo has organised in PieveTesino (Trento), on July 4-7, 2011, its first Summer Seminaron Global Food Law and Quality.The Seminar is part of the programme of comparative studieson European and Global Food Law activated by DISTUDepartment, European Food Law Center, under the respon-sibility of prof. Ferdinando Albisinni, and was held by profes-sors of the Tuscia University with the participation of col-leagues from the Universities of Jaen (Spain) and Warsaw(Poland), of practising lawyers from Milano and Rome, and ofexperts of certification bodies and of public administrations.The goal is to offer a full time Seminar on food law and qual-ity, sharing knowledge and competences both in the lawand science perspectives, and using English language as atool to practice direct knowledge of International legal andscientific terminology.

2.- Topics discussed range from European Institutions afterLisbon Treaty, to national implementation of European andInternational rules, contractual and non contractual reme-dies, food safety systems and controls, trademarks, healthyclaims, self-regulation codes, origin of food, and have beenorganised according to the following programme:Edoardo Chiti, European Institutions after the Lisbon TreatyFerdinando Albisinni, The impact of Global Food Law onNational implementation of food law: rules, procedures andcompetencesNicola Corbo, Contractual and non contractual remedies inEuropean Consumers’ LawMarina Miraglia, The quality of the analytical data in foodcontrol in Europe: criteria and toolsAngel Martínez Gutíerrez, International and Europeantrademarks and food productsAgnieszka Szymecka, The regulation of functional foodAlessandro Artom, Self-regulation code on beer advertisingin Italy

Riccardo Massantini, Food Quality: beyond legislativeissues - Case study on processing foodMonica Minelli, The mystery of food originScientific topics discussed considered cases on peculiarquality issues. A visit to a local farm gave the participantsthe opportunity to observe effective practice of food pro-cessing.The teaching method adopted was based on an activeapproach, using materials delivered to participants prior tothe start of the Seminar, and encouraging discussion underdifferent perspectives.Slides and other materials have been also published onlineon the web site of DISTU Department, European Food LawCenter at http://www.unitusdistu.net/.Written final tests concluded the Seminar.

3.- The Seminar took place in the inspiring atmosphere ofthe Centro Studi Alpino Acide De Gasperi in Pieve Tesinonear Trento, Italy.The Centro Studi Alpino Alcide De Gasperi was opened in1991 with the contribution of the Provincial administration ofTrento and of the Tuscia University.Since the opening the Centro Studi Alpino has been usedfor seminars and conference.The audience consisted of 11 post-graduate students, PhDstudents, young researchers from universities, lawyers andMinistry of Agriculture’s officials. Half a day was devoted to an excursion, which featured ahike in a wine-growing district, a visit to one of the mostimportant wine cellar of the Region, and a visit to a smallfarm specialized in the cultivation of strawberries, cherries,and several types of berries. Apart from this excursion, theschedule included some leisure time.

4.- Overall, this first experience of Pieve Tesino SummerSeminar can be considered successful. It attracted expertlecturers from other Universities of Europe, and received agood number of applications.Individual feedback from the participants showed interesttoward the integrated discussion of food law and qualityboth in the legal and in the scientific perspectives.On the basis of such results, the Tuscia University is cur-rently planning a second edition of the Seminar in July2012.

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