GiustiziaSportiva · permesso partecipare e competere, verbo questo da intendersi nel senso latino...

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Anno VII Pubblicazione numero 3 2011 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Antonino de Silvestri Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostini Marco Mazzucato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa - Periodico quadrimestrale – - ISSN 1974-5230 - 1

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Anno VII Pubblicazione numero 3 2011

GiustiziaSportiva.itRivista Giuridica

Direzione e Fondatori

Antonino de SilvestriPaolo Moro

Jacopo Tognon

Comitato di Redazione

Giuseppe AgostiniMarco Mazzucato

Jacopo Tognon

Direttore Responsabile

Mario Liccardo

_____________________________________________________________Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004

al numero 1902 del Registro Stampa- Periodico quadrimestrale –

- ISSN 1974-5230 -

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INDICE DEL FASCICOLO 3°

PARTE PRIMA

DOTTRINAANTONELLA STELITANO, Tregua olimpica: un antico concetto per il nuovo millennio .

pag.4

SARA LANDINI, Risarcimento del danno e provvedimento sportivo. Prime riflessioni.

pag.18

VINCENZO MASSIMO COSTA, Premessa ad uno studio sulla responsabilità oggettiva delle società sportive .

pag.22

ANTONINO DE SILVESTRI, Note a margine di un convegno sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo.

pag.41

PARTE SECONDA

NOTE A SENTENZA ANDREA PETRETTO, Un diritto costituzionalmente garantito: la libertà di gestione delle prestazioni sportive secondo le proprie abilità ed inclinazioni - Nota a sentenza n. 12465/2010 del Tribunale di Perugia (Sezione di Foligno))

pag.52

MARIA CIMMINO, L’attività sportiva dei minori tra protezione e promozione - Nota a sentenza Cass. n. 3353/2010

pag.59

DOMENICO ZINNARI, Tutela cautelare e clausola compromissoria - Nota a margine di due recenti decisioni della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C (pubblicata su www.figc.it))

pag.68

LINA MUSUMARRA, Organizzazione e servizio degli Steward negli stadi: profili di responsabilità amministrativa – Nota alle sentenze del tribunale di Verona del 4 marzo 2011 n. 586 e 590.

pag.87

MARIO VIGNA, La caduta dell’Osaka Rule: il fine non giustifica i mezzi o “Summum ius, summa iniuria”? Nota al Lodo TAS CAS 2011/O/2422 USOC v IOC (pubblicata su www.tas-cas.org))

pag.103

ERNESTO MESTO, Calcio sommesse ed illeciti sportivi: i doveri del calciatore professionista - Nota a C.U. n. 13/CDN FIGC del 09.08.2011

pag.112

PARTE TERZA

SAGGI

MARIO ALESSI, La rescissione del contratto del calciatore professionista. pag.206

2

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PARTE PRIMADOTTRINA

SOMMARIO:

ANTONELLA STELITANO, Tregua olimpica: un antico concetto per il nuovo millennio .

pag.4

SARA LANDINI, Risarcimento del danno e provvedimento sportivo. Prime riflessioni.

pag.18

VINCENZO MASSIMO COSTA, Premessa ad uno studio sulla responsabilità oggettiva delle società sportive .

pag.22

ANTONINO DE SILVESTRI, Note a margine di un convegno sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo.

pag.41

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Tregua Olimpica:...

TREGUA OLIMPICA: UN ANTICO CONCETTO

PER IL NUOVO MILLENNIO

di Antonella Stelitano (*)

Nell’ottobre 2011, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per la prima volta nella sua

storia, ha approvato una risoluzione raggiungendo l’unanimità non solo in fase di voto, ma anche

con riferimento ai Paesi promotori (co-sponsored).

Questo risultato straordinario ha come oggetto la Tregua Olimpica, ovvero la proclamazione

di un periodo di sospensione di tutti i conflitti in corso nel mondo da osservarsi nel periodo che va

dalla settimana che precede la celebrazione del prossimo evento olimpico (Londra 2012) alla

settimana che segue la sua chiusura.

Questo atto arriva diciotto anni dopo il primo sull’argomento, votato con la Risoluzione

48/11 del 1993, che da l’avvio ad una prassi biennale in sede di Assemblea Generale dell’ONU in

corrispondenza della celebrazione di ogni evento olimpico, ovvero sia dei Giochi Olimpici estivi,

sia di quelli invernali1.

Lo sport ha così permesso di ottenere un consenso unanime per sostenere un’iniziativa di

pace a livello mondiale come mai era accaduto prima di allora. Un risultato sorprendente e di certo

inimmaginabile fino a pochi decenni fa. Eppure, a ben guardare, non c’è da stupirsi giacché il

concetto di Tregua Olimpica, che oggi appare così moderno ed efficace, di fatto si è dimostrato il

più lungo progetto di pace durevole nella storia.

Le sue origini vanno infatti ricercate a partire dal 776 a.C. quando, nell’antica Grecia, si

impose la regola di sospendere tutti i conflitti in corso in occasione della celebrazione dei Giochi.

La tradizione dell’ekecheiria all’epoca indicava semplicemente un periodo di sospensione dei

1Prassi vuole che il Paese che si accinge ad ospitare l’evento olimpico presenti formalmente la Risoluzione all’Assemblea, questo dal 1995.

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Tregua Olimpica:...

conflitti per consentire, ogni quattro anni, la partecipazione di tutti gli atleti delle polis ai Giochi di

Olimpia, come era stato raccomandato dall’Oracolo di Delfi al re degli Elleni.2

Si trattava di una “speciale protezione nei confronti dei partecipanti alla festa che venivano

da fuori, e comportava altresì l’inviolabilità dello spazio sacro (hieròs) di pertinenza della

divinità”3. Essa, dunque, rappresentava per i greci una sorta di armistizio, tregua d’armi,

inviolabilità pubblica, concordata, riconosciuta e rispettata; un lasso di tempo durante il quale si

fermavano tutti i conflitti e, in un certo senso, venivano a cadere tutti i confini permettendo la libera

circolazione di atleti e spettatori4.

La tradizione greca della tregua comprendeva, dunque, non solo il concetto di pace

strumentale ai fini della partecipazione sicura degli atleti, ma anche quello di una dimensione di

universalità della norma, che era per l’appunto riconosciuta e rispettata da tutte le polis, e della

finalità unica da perseguire, ovvero celebrare l'evento. Per rendere più forte questo concetto i greci

avevano caricato di significato religioso il luogo della celebrazione dei Giochi Olimpici

introducendo, oltre al principio di sacralità e inviolabilità dello spazio, quello di protezione degli

atleti partecipanti e dell’unione di tutte le polis nell’applicazione e nel rispetto delle norme che

disciplinavano questo evento.

Vi è, pertanto, anche l’individuazione di una dimensione già “extrasportiva”, la stessa che

ritroviamo anche oggi, insieme a un sistema di valori collegato all’evento, all’ideale di unione di

tutti i Paesi che accettano la legge olimpica, al principio di protezione dell’atleta, non solo come

diritto ad arrivare sano e salvo alla sede olimpica, ma anche in termini di sicurezza, di diritto di

partecipazione, di tutela della salute, e così via.

Il concetto di Tregua Olimpica introduce, dunque, non solo l’utopia di una pace universale -

tanto caro a De Coubertin, che ne fa una delle caratteristiche fondamentali anche delle Olimpiadi

Moderne - ma anche un progetto di inclusione e condivisione universale giacché a tutti deve essere

permesso partecipare e competere, verbo questo da intendersi nel senso latino di cum-petere cioè

tendere insieme verso lo stesso obiettivo.

La Tregua Olimpica è, pertanto, la conditio sine qua non per realizzare un progetto di pace

universale, che deve essere internazionale e democratico, come voleva De Coubertin.

2 La tregua olimpica veniva proclamata in Grecia dieci mesi prima dell’Olimpiade per dare il tempo di informare tutti. Le sue caratteristiche erano: la durata (da 1 a 3 mesi), la cessazione delle ostilità e la proclamazione della neutralità del territorio di Elide; il divieto di portare armi; il divieto di eseguire condanne a morte.3FRASCA R., saggi sulla carta olimpica, Società Stampa Sportiva, Roma 2009, pag. 48.4Durante la tregua olimpica era consentita la libera circolazione di merci e persone, che avevano il diritto di spostarsi per giungere ad Olimpia, dove venivano allestiti anche dei mercati durante i Giochi.

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Tregua Olimpica:...

Non bisogna mai dimenticare, infatti, che lo scopo dichiarato dei Giochi Olimpici moderni5

è da sempre quello di riunire i giovani di tutto il mondo in un grande festival quadriennale dello

sport, che consenta agli atleti di incontrarsi, conoscersi, fare amicizia, gettare i semi di quella mutua

comprensione e di quel sentimento di fratellanza che, secondo il fondatore dei Giochi Olimpici

moderni, serviva a migliorare il mondo e renderlo più pacifico.

Lo sport dunque non fine a se stesso, ma con una funzione strumentale, che è principalmente

educativa perché educando il singolo al sistema di valori olimpici si punta a educare il mondo

intero.

La filosofia decoubertiana (l’Olimpismo cos’altro è se non una filosofia di vita, come recita

la stessa Carta Olimpica), è piena di utopie, ma mai un’utopia è stata più vicina alla sua

realizzazione del desiderio di pace universale da realizzare a partire proprio dalla pace olimpica.

Non a caso il motto della Fondazione per la Tregua Olimpica, creata nel 2000 per dare forza vigore

e struttura a questo progetto di pace universale, recita: se possiamo avere la pace per 16 giorni,

allora forse la possiamo avere per sempre, sottintendendo la capacità dello sport di fungere da

modello per altre dimensioni delle relazioni internazionali.

Il concetto di pace olimpica, tuttavia, anche se trae le sue origini, e indubbiamente il suo

fascino, dall’antica Grecia, ha fatto un grande passo avanti grazie ad alcuni fondamentali e nuovi

elementi che si sono aggiunti in tempi recenti: la strutturalità, l’universalità del progetto, i

cambiamenti riferiti ai soggetti internazionali, l’incontro tra il mondo olimpico e le Nazioni Unite.

In poche parole, mentre l’echeckeria richiama un concetto di pace negativa, ovvero di tregua

intesa come sospensione temporanea, come fermo bellico, oggi dobbiamo pensare alla pace

olimpica come pace positiva, che si caratterizza per essere legata ad un progetto di pace strutturato,

senza interruzioni e a lungo termine.

La tregua olimpica moderna, così come accolta e sostenuta dal Comitato Olimpico

Internazionale (CIO) prima e dal sistema Nazioni Unite poi, anche se si ricollega storicamente

all’Ekecheirìa,, in realtà va ben oltre l’idea di semplice tregua per abbracciare un progetto di

educazione alla pace come valore universale.

Il concetto di pace a cui lo sport internazionale si ispira oggi ci conduce alla prospettiva di

ricerca di uno stato permanente di pace, e quindi più propriamente ad un concetto di Eirène,

un’utopia di pace universale, un progetto di inclusione e condivisione che “pensata come dono

5 Vedasi in proposito i principi fondamentali della Carta Olimpica in www.olympic.org.

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Tregua Olimpica:...

divino comprendeva le categorie di valore morale, di aspirazione umana”6, diverso dal concetto

greco di tregua olimpica, che difettava del requisito della strutturalità.

Se il concetto di tregua olimpica moderna mantiene il carattere di universalità che aveva in

passato, vi aggiunge infatti oggi caratteristiche di progettualità e strutturalità che prima mancavano.

Questo perchè l'ideale di pace olimpica ricade in un più ampio progetto di educazione che parte

dall’uomo, dall’atleta, per governare i rapporti tra atleti, tra squadre, tra rappresentative diverse, tra

nazioni: un modello educativo che vuole sostenere un progetto di pace positiva, da seminare e da

coltivare, senza interruzioni.

Esiste, dunque, un diritto alla pace (o un utopia di pace) da sempre legato alla celebrazione

dei Giochi, che è stato, tuttavia, solo nel secolo passato, ripreso e sostenuto con forza dal CIO

collegandolo al sistema Nazioni Unite.

Questo è stato storicamente possibile solo al verificarsi di due condizioni fondamentali.

La prima è legata al nome di Juan Antonio Samaranch, che assume la presidenza del CIO nel

1980, nel periodo di maggior debolezza e crisi del soggetto olimpico, e apre a nuove possibilità e

disponibilità di interazione. Il CIO, in questa fase storica, comprende il valore della collaborazione

a livello internazionale, aperta non più solo ai soggetti sportivi, ma anche ai soggetti politici e, in

generale, a coloro che ne condividono il messaggio e i valori, e possono per questo “fare sistema”

nel supportare il progetto olimpico complessivo.

D'altro canto è questa anche la fase in cui il soggetto internazionale statuale recepisce e

accoglie le istanze che provenivano dal sistema sportivo internazionale come soggetto influente,

riconosciuto e rispettato, con il quale ha appurato di condividere una serie di principi e valori.

CIO e ONU, negli anni '90, si sono incontrate prendendo atto di condividere un sistema forte

di valori. Lo stesso Kofi Annan, allora Segretario Generale dell'ONU, ebbe modo di ricordare che

gli ideali olimpici sono anche gli ideali dell'ONU: tolleranza, uguaglianza, fair play e soprattutto

pace7. Obiettivi verso i quali il CIO, proprio in questo periodo (dopo i due grandi boicottaggi di

massa del 1980 e 1984), è pronto a raccogliere la sfida, a presentarsi al mondo come soggetto

competente, rispettato, impegnato e soprattutto con grande popolarità e straordinaria adesione in

termini di “Paesi” membri8.6 FRASCA R., op. cit., pag. 467 BRIGGS R. - McCARTHY H. - ZORBAS A., 16 Days. The role of the Olympic Truce in the toolkit for peace, Demos, Athens 2004. 8 Il termine Paesi membri è improprio giacché aderiscono al CIO non gli Stati bensì i Comitati Olimpici Nazionali, i quali de facto, corrispondono ad altrettanti Paesi in termini di giurisdizione, riconoscimento internazionale, confini, cittadinanza degli atleti, ecc. La Carta Olimpica, diversamente da passato, nell’ultima edizione (2007) chiarisce senza equivoci la corrispondenza tra i due insiemi di soggetti.

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Ciò che facilita, inoltre, la realizzazione del progetto del CIO sulla Tregua Olimpica sono i

cambiamenti intercorsi nel panorama complessivo delle relazioni internazionali.

Non possiamo più pensare agli Stati e alle organizzazioni internazioni governative come

unici attori in grado di influenzare la diplomazia ufficiale.

Dobbiamo invece accogliere una tipologia più ampia di soggetti in grado di influenzare

decisioni e comportamenti: organizzazioni internazionali non governative, gruppi di cittadini,

comunità, singoli individui. L’epoca della globalizzazione ha portato ad abbattere molti confini,

facendo sì che le divisioni geografiche, in qualche modo, pesino meno, non siano più un limite e

possano essere superate facilmente. Si sono aperti nuovi contesti e spazi di mediazione al di fuori di

una logica statale e lo sport ha avuto il merito di essere pronto ad inserirsi in questo spazio offrendo

un'opportunità di dialogo su basi paritarie, condivise, indipendentemente da fattori di razza,

religione, idee politiche, ecc.

Ecco allora il successo dell’uso dello sport in ambito diplomatico.

Esso consente di veder applicata la logica del cosiddetto incuneamento interstiziale9,

concentrandosi su una dimensione delle relazioni internazionali che, da periferica e poco

rappresentativa, era destinata a diventare strumento efficace in ambiti sempre più vasti.

L’Olimpismo, in poche parole, introduce e sostiene l’internazionalismo attraverso una

politica che propone lo sport come strumento di pace in contrapposizione alla violenza.

Lo sport approfitta di uno spazio d’azione lasciato vuoto. Con la caduta del muro di Berlino

e il venir meno della Guerra Fredda, che aveva condizionato le relazioni politiche tra Est e Ovest,

Nord e Sud del mondo, nasce una nuova dimensione della politica internazionale, una dimensione

globale: le guerre sono guerre globali, le battaglie per i diritti umani sono battaglie globali, i

problemi di un Paese hanno ricadute sul mondo, indipendentemente da dove esplodano. Per questo

gli strumenti che servono alla nuova diplomazia devono essere strumenti globali.

Questa nuova dimensione obbliga a reinventare le istituzioni che operano nel nuovo scenario

e che passano da una dimensione statale (governi e OIG) ad una dimensione sub statale (OING e

cittadini) allargando il ventaglio degli attori. Ma si tratta anche di una dimensione che cerca nuove

armi, non convenzionali, per colpire l’avversario, sport compreso.

Lo sport ha tutte le caratteristiche per essere promotore di pace, secondo la definizione che

l'UNESCO, nel 1995, dà di Cultura di Pace, indicando tre caratteristiche: una cultura basata sulla

libertà, la giustizia, la democrazia, la tolleranza e la solidarietà; una cultura che metta al bando la

9 Sull’argomento si veda PAPISCA A. Democrazia Internazionale, via di pace, Franco Angeli, Torino 1986.

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Tregua Olimpica:...

violenza e cerchi di prevenire i conflitti e di risolvere i problemi attraverso il dialogo e la

negoziazione; una cultura che garantisca a ciascuno il pieno esercizio di tutti i diritti e che permetta

a tutti di partecipare attivamente alla vita della società. Lo sport, per sua natura ha queste

caratteristiche ma non solo: lo sport è pronto, disponibile, universale e popolare.

Per questo il CIO non si è limitato a riproporre l’idea della tregua olimpica, immaginandola

per brevi periodi di tempo, in coincidenza con l’evento olimpico, ma ha pensato ad una struttura

permanente al servizio della pace creando l’International Olympic Truce Foundation e

l’International Olympic Truce Centre. Così facendo, ha voluto servirsi della seduzione e

dell’impatto emotivo legato al vecchio ideale di tregua olimpica per chiamare l’umanità a raccolta,

per ribadire e sottolineare un impegno che deve andare nella direzione della pace, del rispetto

reciproco, della mutua comprensione.

Le due strutture10 rappresentano i nuovi strumenti al servizio di un progetto di costruzione di

pace durevole, adatto ai nostri tempi, che vuole tradurre in azioni concrete i principi alla base del

Movimento Olimpico. Nelle intenzioni del CIO, osservare la tregua olimpica significa risvegliare le

coscienze, le motivazioni dei leaders di tutto il mondo per mobilitarsi intorno agli ideali olimpici.

Significa portare avanti un progetto educativo mondiale rivolto ai giovani per sostenere e diffondere

i principi base dell’Olimpismo.

Per promuovere questo messaggio il Centro si è reso disponibile da subito alla cooperazione

con altri partners che ne condividono la missione: in primis tutti i soggetti afferenti alla famiglia

olimpica, quindi le organizzazioni nazionali e internazionali, le organizzazioni internazionali non-

governative, ma anche istituzioni e privati cittadini.11

Il lavoro del Centro punta a sviluppare l’osservanza e il supporto globale e sempre più

allargato ai valori dell’Olimpismo e al sostegno della tregua movendosi in tre direzioni: favorendo

momenti di incontro per la diffusione della cultura olimpica, promovendo programmi di ricerca e di

educazione attraverso partners internazionali, scuole e università e, soprattutto, agendo anche in

modo concreto attraverso attività in cooperazione con importanti soggetti e organizzazioni nazionali

e internazionali direttamente nelle aree di conflitto.

In questo caso l’impegno è rivolto ad azioni concrete, umanitarie, in Paesi che vivono la

condizione della guerra.

10Simbolicamente il Centro ha sede a Olimpia, ma ha sede legale a Losanna, presso il CIO, e sede amministrativa ad Atene.11 L'elenco delle adesioni è quanto mai vario: Capi di Stato, di Governo, ministri, Premi Nobel per la Pace, personaggi famisi, ma anche privati cittadini. A tutti è consentito sottoscrivere l’adesione al progetto di tregua olimpica attraverso un modulo reperibile nel sito ufficiale del Centro (www.olympictruce.org www.olympictruce.org ) .

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Tregua Olimpica:...

Queste nuove realtà volute dal CIO testimoniano il definitivo decollo del progetto di Tregua

Olimpica, che dal 1993, con l’incontro con l'ONU, vive un periodo di grande slancio che si

accompagna ad una sempre maggior definizione dell’impegno, degli attori coinvolti e delle

responsabilità di ciascuno nel perseguimento degli obiettivi di pace. Ciò emerge dalla lettura dei

testi delle risoluzioni che si sono susseguite dal 1993 ad oggi.

La Risoluzione 48/11 del 2 novembre 199312, adottata all’unanimità, era stata la risposta

all’appello lanciato dal CIO, su richiesta di 184 comitati olimpici nazionali, e presentato

direttamente al Segretario generale con il sostegno di 121 Stati.

Da un punto di vista formale, anche se non vi è l’obbligo per gli Stati di rispettare la

Tregua13, tuttavia è indubbio il valore morale di questa dichiarazione che semplifica un unico

importante concetto, ponendo un quesito che non lascia spazio a risposte a metà: sei a favore della

pace oppure no?

Ecco allora che colui che non partecipa al progetto complessivo di tregua è sanzionato con la

condanna morale da parte non solo della comunità sportiva mondiale, ma anche della comunità

politica internazionale che sostiene e promuove il progetto.

Il testo della prima risoluzione sulla tregua olimpica, frutto di attento e accurato lavoro

diplomatico, si apre con una premessa che contiene il riconoscimento dello scopo extra-sportivo del

Movimento Olimpico, che viene indicato come quello di costruire un mondo migliore e più pacifico

attraverso l’educazione della gioventù di tutto il mondo tramite lo sport, praticato senza

discriminazioni di alcun genere e secondo lo spirito olimpico, che impone e richiede il rispetto di

valori come la mutua comprensione, la fratellanza, la solidarietà, il fair play. E’ importante il

riconoscimento del CIO come soggetto impegnato a sostenere iniziative di pace, di cui le Nazioni

Unite riconoscono non solo l’autorevolezza internazionale nel settore sportivo, ma anche gli sforzi

compiuti per riportare in vita la tradizione della tregua olimpica.

Questo progetto è riconosciuto è condiviso da parte dell'ONU, unitamente ad una

condivisione generale di valori e principi del Movimento Olimpico. La risoluzione lancia un appello

agli Stati membri affinché venga osservata una tregua nel periodo compreso tra il settimo giorno

che precede l’inaugurazione dei Giochi Olimpici e il settimo giorno che segue la loro chiusura.

12Il CIO aveva cercato, anche negli anni ’80, un pronunciamento in tal senso da parte delle NU, ma nel 1983 fermò il progetto temendo che ciò costituisse una minaccia per la propria autonomia. 13 “There is nothing forcing a State, or States to respect the Truce” in K. FEKROU, Olympic Truce. The Search for Peace, in WWW.La84 WWW.La84 Foundation.org/OlympicInformationCentre/OlimpicReview/2002/OREXXVII43/OREXXVII43zh.pdf

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Tregua Olimpica:...

Non si tratta solo di fermare i conflitti in corso, ma anche di prendere iniziative concrete,

approfittando della tregua per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali.

Esorta, infine, gli Stati membri a collaborare con il CIO, riconoscendo la sua suprema

autorità in quest’ambito, e ad attirare l’attenzione sull’iniziativa e sul suo valore per perseguire i fini

di pace.

Possiamo senza dubbio affermare che da questo momento lo sport fornisce tempi e modi per

chiedere al mondo di osservare, se pur saltuariamente, un periodo di pace. Si tratta di un atto

assolutamente straordinario per la sua portata giacché, così facendo, l’Olimpismo ha suggerito un

modello di comportamento applicabile a tutta la comunità internazionale, dove può indurre

comportamenti che altrimenti sarebbero difficilmente realizzabili. Lo sport, dunque, accomuna,

fraternizza e porta un messaggio reale di pace nel mondo.14

Le percentuali altissime di voti a favore delle risoluzioni sulla tregua olimpica danno prova

dell’ampia condivisione dei valori olimpici su scala mondiale15.

Già due anni dopo, la successiva risoluzione contiene l’impegno ad adottare questo tipo di

atti con cadenza biennale16 alla vigilia di ogni edizione invernale ed estiva.

Contiene altresì un altro impegno di valore simbolico: la decisione di esporre la bandiera

delle NU nei siti ove si svolgono i Giochi Olimpici, in aggiunta ai vessilli dei Paesi17 partecipanti.

Per il Segretario generale dell’ONU questa decisione rende visibile la comunanza di obbiettivi tra

Nazioni Unite e CIO, soggetti che condividono la volontà di ricercare la pace e la comprensione tra

i popoli.18

14 Sono molte le iniziative realizzate approfittando del periodo di tregua olimpica. Sull’argomento si rinvia al sito www.olympictruce.org www.olympictruce.org . 15 In generale, le risoluzioni aventi ad oggetto la tregua olimpica hanno sempre registrato elevati quorum a favore, come ricorda anche il Ministro degli Esteri italiano, Gianfranco Fini, in un’intervista alla vigilia della votazione per la tregua olimpica per i Giochi invernali di Torino (www.esteri.it/mae/it/Sala_Stampa/Archivio /mae/it/Sala_Stampa/Archivio Notizie/Interventi/2005, intervista del 18 ottobre 2005). La Risoluzione 50/13 del 7 novembre 1995 è votata da 190 Paesi membri, con un quorum che non ha precedenti, la Risoluzione 52/21 (25 novembre 1997), co-sponsored da 178 Stati, registra il voto unanime dell’Assemblea generale.16Il sostegno delle Nazioni Unite al progetto di tregua olimpica e di promozione della pace attraverso lo sport ha conosciuto altri

momenti significativi con l'adozione sistematica di Risoluzioni sull'argomento: 48/10 del 25.10.1993, 49/29 del 7.12.1994, 50/13 del 7.11.1995, 52/21 del 25.11.1997, 54/34 del 24.11.1999, 56/75 dell’11.12.2001, 58/6 del 3.11.2003, 60/8 del 3.11.2005, 62/4 del 31.10.2007 e 64/4 del 19.10.2009. 17 Più correttamente si tratta delle bandiere che rappresentano i CNO presenti, che coincidono, di fatto con le bandiere dei rispettivi Stati di appartenenza. 18 UN, Communiqué de Presse SG/SM/6452 del 4 febbraio 1998. “Les idéaux olympiques se rapprochent beaucoup de ces des Nations Unies qui sont la recherche de la paix et de la compréhension entre les nations et les peuples. Le fait que le drapeau des Nations Unies flotte à toutes les manifestations olympiques représent un rappel visible des objectifs communs des Nations Unies et de le Comité International olympique”.

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Tregua Olimpica:...

Un momento storico importante di questa collaborazione è rappresentato dall’inclusione del

progetto di tregua olimpica, e in generale dei valori dell’Olimpismo, all’interno della Dichiarazione

del Millennio delle Nazioni Unite.

Adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU l’8 settembre 2000, essa riassume ed esalta

principi e valori ispiratori, nonché le linee guida che dovrebbero essere alla base del nuovo secolo

che va ad aprirsi.

Le Nazioni Unite fanno riferimento al Movimento Olimpico nella sezione dedicata a “Pace,

sicurezza e disarmo”. L’appello è chiaro: “Noi chiediamo a tutti gli Stati membri di osservare la

tregua olimpica, individualmente e collettivamente, oggi e in futuro e di sostenere gli sforzi del CIO

nel promuovere la pace e la comprensione tra gli uomini attraverso lo sport e l’ideale olimpico”19.

La Dichiarazione del Millennio apre una nuova era nell’approccio con il fenomeno sportivo

in generale: lo sport è una molla che motiva, ispira e guida.

Testimone di questa nuova “vicinanza” al mondo dello sport, è la creazione di una struttura

ad hoc, all’interno delle Nazioni Unite, incaricata di occuparsi di questo settore: l’United Nazion

Office for Sport, Peace and Development, che trae la sua origine dal primo ufficio, creato nel 2001,

con la nomina di uno Special Adviser to the UN Secretary-General on Sport for Development and

Peace20 che dà il via ad una serie di studi e valutazioni sulle potenzialità dello sport come strumento

al servizio della pace e dello sviluppo.

Questa nuova task force ha permesso di fare il punto sulle attività che possono avere

attinenza con lo sport nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, indicando l’impiego dello sport

come strumento per la promozione di attività rivolte a favorire sviluppo e pace, in particolare a

livello di comunità di individui e, a partire da qui, a livello di governi e organizzazioni sportive.

Con cadenza biennale e con contenuti sempre più specifici e concreti, l’Assemblea generale

dell’ONU ha supportato, ininterrottamente dal 1993 ad oggi, il progetto di tregua olimpica.

Se la prima risoluzione del 1993 misurava accuratamente i termini e si limitava a “lanciare”

(verbo meno coinvolgente di “proclamare”) la tregua, la più recente risoluzione dell’ONU

sull'argomento traccia confini importanti e marca i passaggi fondamentali di questo percorso.

La Risoluzione dell’Assemblea Generale A/66/L3 votata l’11 ottobre 2011, riafferma il

valore dello sport nel promuovere non solo la pace ma anche l’educazione, la salute e lo sviluppo.

Si tratta di riaffermare un concetto di strumentalità dello sport che a che fare con settori che lo

19 ONU, Risoluzione dell’Assemblea generale 55/2 dell’8.9.200020 Adolf Ogi (ex Presidente della Svizzera).

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tagliano trasversalmente e, in modo semplice, immediato e condiviso, lo proiettano in contesti e

dimensioni di operatività inimmaginabili fino a pochi decenni fa.

Il concetto di tregua olimpica è il tema centrale del documento, che richiama il valore della

Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite per significare l’alto valore dato a questo

strumento di pace “ora e in futuro”, riconoscendo gli sforzi compiuti dal Comitato Olimpico

Internazionale in questa direzione come soggetto attivo per promuovere la pace e la mutua

comprensione tra i popoli attraverso lo sport e l’ideale olimpico, ideale che si sposa ai principi e

valori promossi dalle Nazioni Unite.

Non si tratta, tuttavia, solo di dichiarazioni di principio perché la risoluzione stimola ed

esorta a iniziative concrete di pace durante il periodo di osservanza della tregua, che devono venire

sia dagli Stati membri sia dai soggetti sportivi internazionali (CIO, federazioni sportive, comitato

olimpici nazionali, ecc.).

L’osservanza della tregua deve inoltre essere “individuale e collettiva” perché sia il singolo

soggetto, sia organismi rappresentativi di pluralità di soggetti devono farsi parte diligente per

avviare “azioni concrete a livello locale, nazionale regionale o internazionale per promuovere e

rafforzare una cultura di pace basata sullo spirito della tregua olimpica”.

Questo concetto dell’azioni individuale è importante perché è alla base della diffusione di

una cultura di pace che vuole far transitare dalla dimensione individuale a quella collettiva le

iniziative di peace-building21. Soggetti sportivi e soggetti appartenenti al mondo dell’organizzazione

internazionale governativa e non, sono chiamati a condividere questo progetto, che va verso la

realizzazione degli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite.

Una volta preso atto dell’avvio positivo, potremmo dire anche del successo, del progetto per

la Tregua Olimpica, non dobbiamo trascurare tutto ciò che, per definizione, resta escluso dal

progetto medesimo. Il concetto di tregua olimpica introduce infatti anche il concetto opposto

dell’esclusione, della messa al bando, della condanna per tutti i soggetti che non la rispettano.

In questo emerge il collegamento con la tregua olimpica degli antichi greci e con un

concetto di indegnità riferito all’atleta (oggi soprattutto al Paese).

Chi violava la tregua veniva, infatti, sanzionato da meccanismi di inclusione/esclusione

applicati in ottemperanza alle violazioni della legge olimpica.

Chi violava la tregua aveva violato la legge degli dei e, finché non veniva riscattato, non era

degno di partecipare ai Giochi Olimpici: “Chi ha violato la legge sia sacer. La sua condizione di

21 BRIGGS R. op. cit. pag 74 e seguenti.

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sacer lo rende un ostaggio del dio, lo fa divenire di proprietà di quello, ed inoltre ne fa un essere

impuro, pericoloso per la comunità…che attraverso la sua presenza può contagiare con la propria

impurità; pertanto egli è escluso dal consesso degli uomini”22. La tregua olimpica era dunque

“un’arma potente di esclusione o inclusione per fini politici e militari all’interno della comunità

ellenica”.23

Il concetto di indegnità si collegava ad un meccanismo di esclusione, che oggi si traduce in

strumenti più moderni, ma pur sempre strumenti di condanna e messa al bando. Pensiamo, ad

esempio, all’embargo sportivo (famoso il caso del Sud Africa durante gli anni dell’apartheid),

all’espulsione dal CIO e dalle strutture sportive internazionali, al più famoso ricorso al boicottaggio.

Essi non sono altro che gli strumenti di condanna e non inclusione nel progetto olimpico

complessivo messi in atto come sanzione verso i Paesi giudicati non degni di prendervi parte per

aver violato le norme olimpiche.

Al pari delle sanzioni che venivano comminate nell’antica Grecia, anche il boicottaggio e le

altre sanzioni dell’epoca moderna hanno un forte connotato di condanna morale, con ricadute

economiche e politiche proprio come allora. Lo stesso meccanismo inverso della re-inclusione24 ha

uguale e forte connotato di riabilitazione e riacquisto della dignità perduta.

Oggi il verbo boicottare25 è entrato nell'uso comune e significa ostacolare, escludere. In

ambito sportivo, soprattutto riferito ai Giochi Olimpici, il boicottaggio proprio per i valori che

l’Olimpismo promuove, è un gesto di severa condanna, eticamente molto forte e di grande impatto

mediatico. Esso consente di vedere concretamente gli effetti del rapporto tra geografia sportiva e

geografia politica, ovvero della coincidenza che di fatto esiste tra il sistema dei comitati olimpici

nazionali e il sistema degli Stati.

Anche se, teoricamente, l'adesione al CIO è riservata ai soli comitati olimpici nazionali

riconosciuti (degni di farvi parte), in realtà essi di fatto coincidono con il Paese sul quale esercitano

la loro giurisdizione sportiva, di cui esibiscono inno e bandiera durante le cerimonie ufficiali, dal

22FRASCA R., op. cit., pagg. 48-9. Sul concetto di homo sacer , vd. GAROFALO L., Homo liber e homo sacer: due archetipi dell’appartenenza”, in “Studi in onore di Antonino Metro”, volume III, Giuffrè 2010. 23FRASCA R., op. cit., pag. 59. 24La re-inclusione può esprimersi attraverso il riconoscimento del CNO, l’assegnazione dei Giochi Olimpici o, nella forma più “leggera” l'organizzazione di una Sessione del CIO in quel Paese, per sancirne il ritorno a pieno titolo nella famiglia olimpica. Basti pensare, ad esempio, alla riammissione del Sud Africa nella famiglia olimpica, negli anni ’90, dopo il periodo di apartheid che aveva causato l’allontanamento forzato da ogni attività sportiva internazionale. Uno dei primi successi di Nelson Mandela è proprio legato allo sport (rugby) che fu impiegato come strumento di dialogo e coesione sociale dopo gli anni bui della segregazione razziale. . J., Invictus. Nelson Mandela at the Game that made a Nation. The Penguin Press (USA), 2008. 25 Il termine boicottaggio come lo intendiamo noi oggi è piuttosto recente. Viene usato con riferimento al nobile inglese Charles Boycott, amministratore terriero vissuto nel XIX secolo XIX secolo in Irlanda Irlanda che, a causa delle vessazio ni verso i suoi dipendenti, fu oggetto di un'azione non violenta: una campagna di isolamento e non collaborazione che lo mandò in rovina.

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quale ottengono gli appoggi necessari in fase di candidatura all'evento olimpico, del quale hanno

cittadinanza tutti gli atleti tesserati per una federazione riconosciuta a livello nazionale.

Ovviamente questa coincidenza (che non è da condannare, beninteso, giacchè è necessaria al

corretto funzionamento del sistema sportivo), facilita la trasposizione in sede sportiva delle tensioni

esistenti in sede politica.

Giova in questa sede ricordare infatti che il boicottaggio sportivo può esprimersi a vari

livelli. Può, infatti, voler colpire l’’host country, ovvero il Paese che ospita una manifestazione

sportiva internazionale, come è stato il caso dei boicottaggi di massa di Mosca 1980 e Los Angeles

1984.

Può anche essere rivolto a colpire uno dei Paesi partecipanti con riferimento alla condotta

giudicata riprovevole di quest’ultimo, che può avere commesso direttamente delle violazioni al

codice etico del CIO o aver supportato Paesi terzi direttamente colpevoli.

Il boicottaggio può anche esprimere tipi diversi di condanna: di coscienza, come è avvenuto

ai tempi dell’isolamento del Sud Africa a causa delle politiche di apartheid nello sport; oppure

strategico, come è stato il caso dei boicottaggi Usa-Urss. Naturalmente possono anche convivere le

due motivazioni. Chi intendeva boicottare i Giochi di Pechino che intenzioni aveva?

Era più preoccupato del rispetto dei diritti umani in Cina o voleva colpire una potenza

economica senza pericolo di ritorsioni?

L’arma del boicottaggio ha infatti la caratteristica di essere un free risk method: danneggiare

o interrompere le relazioni sportive internazionali non comporta necessariamente il deterioramento

delle relazioni diplomatiche, economiche, politiche o commerciali tra due Paesi.

Tuttavia, non possiamo negare che il boicottaggio è un termometro del deterioramento delle

relazioni tra due Paesi.

Mentre di Tregua Olimpica si parla espressamente nella Carta Olimpica, questa non prevede

riferimenti al boicottaggio, nemmeno in termini di sanzione. Il CIO, infatti, giudica già punizione

massima per un atleta il fatto di non poter partecipare a causa del boicottaggio deciso dal comitato

olimpico nazionale di appartenenza. Tale atto, infatti, spesso colpisce per assurdo prima di tutto i

propri atleti e le proprie squadre alle quali non è permesso partecipare ad un evento sportivo.

Sarebbe assurdo immaginare una ulteriore sanzione per l'atleta in aggiunta alla privazione del diritto

di partecipazione che in sede olimpica trova riscontro nel motto del CIO: all games all nations.

Va detto che di boicottaggio non si parla solo in epoca recente. De Coubertin stesso spiega le

difficoltà incontrate inizialmente dal CIO, addirittura in fase di convocazione del Congresso di

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Parigi del 1894, quando si riversano su quella prima riunione (nel corso della quale nacque il CIO)

le tensioni franco-tedesche

Nel 1908 registriamo le proteste di Finlandia e Irlanda a cui non era permesso partecipare ai

Giochi Olimpici con i propri simboli di unità nazionale.

Nel 1912 sono assenti Boemia, Ungheria, Finlandia, Polonia e Irlanda. Nel 1920 sono

esclusi i i Paesi sconfitti nella prima guerra mondiale. Nel 1924, a Parigi, resta esclusa ancora la

Germania. Nel 1936 a Berlino si registra la minaccia di boicottaggio nel caso vengano esclusi gli

altleti ebrei (2 gareggiano e ne vengono convocati 21 in squadra).

Nel 1948 a Londra mancano Germania e Giappone, Paesi sconfitti in guerra. Nel 1956, a

Melbourne, Egitto, Irak e Libano protestano contro l’intervento a Suez, mentre Spagna, Svizzera e

Olanda si schierano contro l'invasione sovietica a Budapest. Nel 1964 a Tokyo viene ritirato l’invito

al Sudafrica e non sono invitati i Paesi coinvolti nei Giochi GANEFO a seguito del divieto

dell’Indonesia di rilasciare i visti di ingresso agli atleti di Israele e Taipei. Nel 1968 viene chiesto il

boicottaggio per i Giochi in Messico da parte della gioventù nera americana, che si fa promotrice

della nascita dell’Olympic Project for Human Rights. Nel 1972 a Monaco scoppia il caso Rhodesia,

la cui esclusione è invocata anche dalle Nazioni Unite ed è una sanzione per il supporto dato al Sud

Africa nonostante fosse stato imposto al Paese l’embargo sportivo.

Nel 1976, a Montreal, 34 Paesi boicottano i Giochi per protesta contro la Nuova Zelanda che

non aveva rispettato l’embargo sportivo verso il Sud Africa e per la presenza della squadra cinese di

Taiwan. Mosca 1980 e Los Angeles 1984 restano i casi più clamorosi di boicottaggio di massa.

Il primo esprimeva la condanna per l’invasione dell'Afganisthan da parte dell’URSS; il

secondo, adducendo ragioni di sicurezza, non era che la ritorsione all’atto di quattro anni prima.

Nel 1988 Cuba, Etiopia, Albania e Nicaragua protestano per l’assegnazione dei Giochi alla

Corea del Sud.

Questo per citare i casi di protesta più noti ed espliciti nei quali lo sport è stato strumento di

condanna e protesta, mezzo per portare all'attenzione dei media e della comunità internazionale il

proprio disappunto e la propria condanna per la condotta di uno Stato.

Di boicottaggio, del resto, l'ONU si occupa ben prima che di tregua olimpica, recependo un

concetto di strumentalità dello sport inteso inizialmente come sanzione.

Se, infatti, il primo pronunciamento dell'ONU sullo sport data 1965 (con riferimento a

progetti per l’educazione della gioventù), la prima risoluzione che fa riferimento al Movimento

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Olimpico reca la data del 1971 (2796 del 10.12.71) e si riferisce alla partecipazione della Rhodesia

ai Giochi di Monaco 1972.

L'ONU, in quell'occasione, esortò tutti i comitati olimpici nazionali e i rispettivi Paesi di

appartenenza a fare il possibile per condannare ed escludere la Rhodesia dai Giochi Olimpici perché

rea di applicare l’apartheid nello sport.

Successivamente, proprio il tema dell’apartheid viene sviluppato dal'ONU con riferimento

all’Olimpismo, che diventa il metro di valutazione e misurazione del potenziale dello sport come

strumento. La Dichiarazione Internazionale contro l’Apartheid nello Sport (1977) e la Convenzione

Internazionale contro l’Apartheid nello Sport (1985) introducono non solo il tema dello sport nel

sistema ONU, ma anche quello del diritto allo sport e dell’impiego dello sport come mezzo per

perseguire gli obiettivi delle Nazioni Unite.

Così facendo viene introdotta e “sdoganata” una nuova forma di embargo: l’embargo

sportivo26.

Così come la Tregua Olimpica si configua come nuovo strumento, safe and prestigious

space for mediations e an alternative tool of diplomacy27, allo stesso modo si apre un ventaglio di

nuove possibilità di pressione per potenziare gli effetti e l'efficacia della tregua.

L'elemento che entrambi hanno in comune è la caratteristica di non-violenza, di non-

conflittualità perchè anche i mezzi attraverso i quali esprimere condanna sono mezzi non violenti,

che fanno leva sul biasimo e sulla condanna morale innanzitutto.

Anche per questa ragione la Tregua Olimpica deve essere considerata a tutti gli effetti uno

strumento peace-inspiring dei nostri tempi, un modello comportamentale che bandisce la violenza a

tutti i livelli proponendo uno strumento nuovo al servizio della pace.

(*) Esperta in sport e diritti umani e relazioni internazionali.

26 Secondo il Dizionario di Diritto Internazionale dell'ONU, si intende per embargo: "l'atto di potere di uno stato che restringe, interrompe o dà per terminate le sue relazioni economiche e finanziarie con un altro paese. L'embargo totale o parziale sulle importazioni e/o esportazioni di tutte o alcune merci, armi o valute, il trasferimento di informazione tecnico-scientifiche, diritti d'autore o di altra indole, determinati tipi di attività commerciali ed economiche; si applica nelle relazioni internazionali contemporanee come strumento di pressione economica o finanziaria, di coercizione e rappresaglia".27 BRIGGS R. op. cit.

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Risarcimento del danno...

RISARCIMENTO DEL DANNO E

PROVVEDIMENTO SPORTIVO.

PRIME RIFLESSIONI

di Sara Landini (*)

La sentenza della Corte Costituzionale 49/2011, nell’ammettere che il giudice

amministrativo possa conoscere incidentalmente un provvedimento sportivo al fine di pronunciarsi

sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione, muove ad alcune riflessioni.

La sentenza si presta a scaldare i cuori sia dei pluralisti (fautori dell’autonomia

dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento statuale), i quali non possono che soffermarsi

entusiasti sui richiami dei giudici costituzionali al valore dell’ordinamento sportivo come sistema

autonomo entro cui si svolge la personalità degli individui, sia dei monisti (fautori di una

statalizzazione dell’ordinamento sportivo) che non possono che plaudere all’ammissione di un

controllo della giustizia statuale sul provvedimento sportivo (1).

Le due posizioni resistono anche per alcuni interrogativi che la sentenza lascia aperti perché

non costituenti oggetto della questione sottoposta alla Corte.

In particolare, al fine di valutare l’illiceità su cui si fonderebbe l’azione risarcitoria (2),

occorre stabilire quale è l’ordine di valori di un simile giudizio.

1 L’idea del pluralismo giuridico in ambito sportivo è risalente nel tempo. Cfr. W. CESARINI SFORZA, La teoria degli ordinamenti giuridici e ordinamento sportivo, Nota a Cass. del Regno 27.7.1933, in Foro it., 1933, c. 1381 ss. ora in ID., Il corporativismo come esperienza giuridica, Milano, 1942, p. 88 ss. Da tempo tali teorie hanno incontrato ripensamenti in chiave monista sia da parte dei privatisti L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1999, p. 65 ss., sia da parte dei pubblicisti L. FERRARA, L’ordinamento sportivo: meno e più della libertà privata, in Dir. Pubbl., 2007, p. 6 ss. Non prenderemo in questa sede posizione all’interno del dibattito tuttora vivace. Sul punto ci limitiamo a rinviare al nostro Pluralismo giuridico e ordinamento sportivo: un binomio in crisi?, in Rass. dir. econ. sport, 2006, p. 415 ss.2 Trattandosi di una responsabilità da provvedimento ovvero da atto emesso a seguito dell’esercizio di un potere ed incidente su situazioni soggettive, si potrebbero richiamare le posizioni sulla natura (contrattuale o extracontrattuale) della responsabilità della P.A. con quel che ne segue soprattutto in punto di prova della colpevolezza e di prescrizione. Cfr. C.CASTRONOVO, Osservazioni a margine della giurisprudenza nuova in materia di responsabilità civile della pubblica amministrazione, in Jus, 2004, p. 69.

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Risarcimento del danno...

Resta, quindi, da capire se il giudice conoscerà il provvedimento sulla base delle regole e

dei valori dell’ordinamento statuale oppure sulla base delle regole e dei valori dell’ordinamento

sportivo.

I monisti saranno favorevoli a quest’ultima soluzione; il che vuol dire fare del giudice

statale una sorta di giudice di grande istanza sui provvedimenti sportivi. I fautori dell’orientamento

pluralista, non ammettendo contaminazioni tra i due ordinamenti, non possono che dissentire

arrivando però forse ad una soluzione ancora più monista di quella dei monisti (se il bisticcio di

parole ci è consentito). Il provvedimento sportivo verrebbe, infatti, valutato sulla base di un ordine

di valori (appunto quelli statuali) che non è proprio del sistema in cui esso nasce.

Va detto che le due posizioni sono meno distanti se si considera che l’interprete quando

conosce un oggetto non può che guardarlo sulla base della propria precomprensione.

Quindi il giudice italiano non potrà che conoscere il provvedimento dal punto di vista

dell’ordinamento statuale anche ove si ammetta che il giudice decida movendo dalle regole tecniche

dell’ordinamento sportivo.

Torna quindi il problema, sopra posto, in ordine al fatto che il provvedimento sportivo sia

valutato non tenendo conto dei valori e degli interessi che magari quel provvedimento andava a

tutelare.

A nostro avviso la questione è da considerare avendo presenti tutte le situazioni giuridiche

che entrano in gioco.

A ben vedere, infatti, le posizioni in conflitto non sono solo quella dell’autorità che ha

emesso il provvedimento e quella del destinatario dello stesso.

Il provvedimento sportivo non è solo emesso nei confronti di qualcuno, ma, in astratto, a

tutela degli interessi di partecipanti all’ordinamento dello sport e in particolare a tutela

dell’interesse degli altri atleti ad una competizione agonistica leale, un interesse che non può dirsi

rilevante solo per l’ordinamento sportivo, ma che è “ridondante” anche nell’ordinamento statuale in

quanto viene a tradursi in uno momento di sviluppo della personalità dell’individuo rilevante ex art.

2 Cost.

Anche valutando il provvedimento alla luce dell’ordinamento generale, il giudice statuale

non potrà fuggire dal considerare i valori dell’ordinamento sportivo che si riflettono anche

nell’ordinamento generale traducendosi in interessi per questo meritevoli di tutela, che potrebbero

giustificare il provvedimento sportivo anche agli occhi del giudice statuale escludendo la presenza

di un’illiceità fondativa di obbligazioni risarcitorie.

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Risarcimento del danno...

Poniamo un caso pratico.

Nel 2004 la Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A., versante in uno stato di grave dissesto

finanziario, chiedeva l’iscrizione al campionato di serie B, in sua vece, della Società Napoli

Sportiva S.p.A. La F.I.G.C. si rifiutava di iscrivere alla serie B la nuova società Napoli Sportiva

S.p.A. invocando il c.d. lodo Petrucci (art. 52, comma 6 delle N.O.I.F.), nel quale sono sanciti limiti

alla commerciabilità del titolo sportivo (3).

Nonostante ciò, tra le suddette società sportive veniva stipulato un contratto di affitto di

azienda con cui la Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A. concedeva l’affitto del proprio complesso

aziendale alla Società Napoli Sportiva S.p.A.

Le due società impugnavano quindi il provvedimento della F.I.G.C. innanzi alla competente

Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo sport.

Nel frattempo il tribunale di Napoli con sentenza 2.8.2004 (4), nel dichiarare il fallimento

della Società Sportiva Calcio Napoli S.p.a., osservava, in contrasto con quanto sancito dal lodo

Petrucci, che “non v’è dubbio che meriterà di essere verificata per la via giudiziaria più idonea,

anche cautelare, la legittimità della norma federale che dichiara sostanzialmente incommerciabile il

titolo sportivo (art. 52 comma 2 N.O.I.F.) sul presupposto nobile quanto mistificatorio e

anacronistico, che esso si conquista sul campo. Si intende dire che il titolo sportivo costituisce

ormai per una società professionistica, organizzata come di capitale se non l’unico almeno il

principale bene patrimoniale. E però, riesce difficile immaginare , anche con riferimento ai principi

costituzionali di cui agli articoli 41, 42 e 47 Cost., così come questo bene possa senza neppure la

previsione di un indennizzo essere sottratto ai creditori dell’impresa fallita, in favore di

un’organizzazione che, sorta al servizio dello sport e dei valori sportivi, si è andata da tempo

trasformando in una mastodontica impresa dello spettacolo ”.

In seguito il tribunale di Napoli con decreto depositato il 10.8.2004 (5), su richiesta della

curatela fallimentare, inibiva ex art. 700 a CONI e F.I.G.C. “di disporre del diritto al

riconoscimento delle condizioni tecniche e sportive che consentano, ricorrendo gli altri requisiti

3Art. 52, 6 N.O.I.F. “ In caso di non ammissione al campionato di serie A o B di una società costituente espressione della tradizione sportiva italiana e con un radicamento nel territorio di appartenenza comprovato da una continuativa partecipazione, anche in serie diverse, ai campionati professionistici di Serie A, B, negli ultimi dieci anni, ovvero, da una partecipazione per almeno venticinque anni nell’ambito del calcio professionistico, la FIGC, sentito il Sindaco della città interessata, può attribuire, a fronte di un contributo straordinario in favore del Fondo di Garanzia per Calciatori ed Allenatori di calcio, il titolo sportivo inferiore di due categorie rispetto a quello di pertinenza della società non ammessa ad altra società, avente sede nella stessa città della società non ammessa, che sia in grado di fornire garanzie di solidità finanziaria e continuità aziendale. 4 Pubblicata in Il caso Napoli- Fallimento delle società e trasferimento del titolo sportivo, in D&G- Diritto e Giustizia, 2004, supplemento al n. 35, p. XII.5 Pubblicato in Il caso Napoli- Fallimento delle società e trasferimento del titolo sportivo, cit., p. XVI

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Risarcimento del danno...

previsti dalle norme federali, la partecipazione al campionato di serie B stagione 2004/2005” e ciò

in quanto il titolo sportivo rappresentava “il principale bene patrimoniale della società” e attraverso

il ricavato dell’affitto di azienda vi era la possibilità di pagare la maggior parte dei crediti.

La F.I.G.C., da parte sua, provvedeva invece all’iscrizione al campionato di serie B del Bari

e del Pescara al posto delle società non ammesse Napoli e Ancona.

Sono così seguiti nuovi ricorsi della curatela sempre ex art. 700. La procedura si concluse

poi in via conciliativa. Al di là dell’interessante episodio di conflitto tra ordinamento sportivo e

ordinamento statuale, potremmo chiederci se provvedimenti, come quello assunto dalla F.I.G.C.,

potrebbero dar vita ad azione risarcitoria.

In questo caso si potrebbe ritenere che il provvedimento, pur rispettoso delle regole tecniche,

possa essere valutato alla luce dei valori dell’ordinamento statale e possa essere ritenuto violativo di

situazioni giuridiche soggettive: l’immagine della società, lo svolgimento della personalità degli

atleti e dei tifosi (6), diritti economici.

Queste situazioni devono però essere bilanciate con le altre posizioni di interesse idonee a

tradursi in situazioni soggettive: appunto l’interesse degli altri atleti e relative tifoserie a

competizioni leali, intese come momenti agonistici in cui gli atleti conseguono risultati sul campo

dimostrando le proprie capacità ed abilità nel confronto con altri atleti.

Del resto è su questo bilanciamento che si fondano regole tecniche come il lodo Petrucci

sopra ricordato.

(*) Avvocato del foro di Firenze, Professore associato di diritto privato.

6 Ricordiamo proprio una sentenza del Giudice di pace Napoli, 27-03-2006:ll mancato ripescaggio in serie B di una squadra calcistica dà luogo ad un danno di natura esistenziale per il tifoso appassionato dal gioco del calcio e conoscitore della tattica applicata in campo, il quale, costretto a seguire la squadra del cuore in una categoria inferiore caratterizzata da basso profilo tecnico e da inesperienza arbitrale, sia stato privato del piacere di godere di uno spettacolo più adeguato.”

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Premessa ad uno studio sulla...

PREMESSA AD UNO STUDIO SULLA

RESPONSABILITA' OGGETTIVA

DELLE SOCIETA' SPORTIVE

di Vincenzo Massimo Costa (*)

1. Le funzioni tradizionali della responsabilità oggettiva nell’ordinamento sportivo e le

recenti riforme

In base al principio della pluralità degli ordinamenti giuridici, l’ordinamento sportivo

italiano è stato configurato, ad opera del legge 19 agosto 2003, n. 220 (contenente «disposizioni

urgenti in materia di giustizia sportiva», convertito, con modifiche, in legge 17 ottobre 2003, n.

280), come un ordinamento autonomo, la cui giuridicità deriva dal fatto di porsi come

«articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico

Internazionale» (art. 1, primo comma)1.

L’articolazione territoriale di questo ampio ordinamento autonomo avente una dimensione

internazionale è rappresentata dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (d’ora innanzi Coni). Il

Coni è «la Confederazione delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline Associate»,

ciascuna delle quali ha personalità giuridica di diritto privato (artt. 1 e 14 d. lgs. n. 242/1999 e succ.

modd.)2.

1 Per una valutazione globale di questo importante intervento normativo, da ultimo, L. FERRARA, Giustizia sportiva, in Enc. dir., Annali III, Milano, 2010, pp. 491 ss. e passim.2 Su questi mutamenti legislativi v., ex multis, il volume curato da S. CHERUBINI – C. FRANCHINI, La riforma del Coni. Aspetti giuridici e gestionali, Milano, 2004, ed ivi in particolare il saggio di G. NAPOLITANO, Il “riassetto” del Coni, p. 15 ss.

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Premessa ad uno studio sulla...

L’ordinamento sportivo viene, quindi, riconosciuto direttamente dall’ordinamento della

Repubblica, il quale considera giuridicamente vincolanti i regolamenti e gli atti organizzativi

adottati dalle autorità delle organizzazioni sportive. Da tale premessa derivano le seguenti

conseguenze:

a) la facoltà delle organizzazioni sportive di emanare regolamenti vincolanti sia per le

associazioni e le società sportive sia per gli atleti3;

b) la potestà disciplinare delle stesse organizzazioni sportive relativamente alle violazioni

dei propri regolamenti4;

c) la presenza del c.d. “vincolo di giustizia” e cioè il divieto per gli sportivi di adire le

giurisdizioni statali, prima che gli organi giurisdizionali della organizzazione sportiva si siano

pronunciati5.

La comunità sportiva, riconoscendosi in determinati valori (quali ad esempio la supremazia

del principio di lealtà sportiva6), ne impone il rispetto ai propri appartenenti e ne garantisce

stabilmente l’intangibilità anche di fronte ad istanze di giustizia che siano espressione della stessa

organizzazione sportiva, effettuando “ex ante” un bilanciamento fra i vari interessi in campo.

Al fine di blindare la salvaguardia di beni e valori ritenuti essenziali alla sopravvivenza del

fenomeno sportivo, le federazioni sportive, nelle loro fonti normative, hanno previsto ipotesi di

responsabilità oggettiva in capo alle società che operano nel loro settore di competenza a seguito di

atti illeciti commessi da terzi che possano compromettere il buon andamento delle competizioni.

3 Sulla potestà regolamentare delle federazioni sportive, G. VIDIRI, Natura giuridica e potere regolamentare delle federazioni sportive nazionali, in Foro it., 1994, I, p. 136 ss.4 Per un approfondimento sui fondamenti del diritto disciplinare nell’ambito dello sport: V. F ORTI, Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, in Rivista di diritto ed economia dello sport, 2007, vol. III, n. 2, p. 13 ss.; E. RASPONI, Il potere disciplinare. Natura giuridica e soggetti attivi, vol. I, Cedam, Padova, 1942, p. 3 ss.; G. LANDI, Disciplina (diritto pubblico), in Enc. dir., XIII, Giuffrè, Milano, 1964, p. 17 s. La dottrina è divisa in ordine alla pretesa disciplinare dell’ordinamento sportivo. Alcuni hanno manifestato la tendenza a sovrapporla con la pretesa punitiva penale, operando un’analogia con la potestà punitiva che esercita lo Stato nell’esercizio della giurisdizione. Altri hanno tentato di ricondurre la sanzione disciplinare alla sanzione civile: il comando e la coazione disciplinare sarebbero omologhi della domanda e dell’azione giudiziale. Entrambe le posizioni colgono qualche aspetto fondamentale del potere disciplinare. La prima individua il carattere autoritativo del potere disciplinare, dal momento che la sanzione disciplinare, essendo peculiarmente intimidativa ed espiatoria, ha rilevanti punti di contatto con le sanzioni penali. La seconda ha il pregio di mettere in rilievo il fondamento principale del potere disciplinare, che non è mai autonomo, sussistendo una relazione necessaria di accessorietà rispetto ad un determinato rapporto giuridico, contrattuale o unilaterale. Spunti interessanti sulla sanzione sportiva si ritrovano in V. PESCATORE, Sanzione sportiva, responsabilità civile e arbitrato, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 9, 2010, p. 467 ss. L’Autore afferma che “la sanzione sportiva non mira, né principalmente né necessariamente, a risarcire il danno sofferto da chi ha subito le conseguenze del comportamento contrario alle regole. La sanzione sportiva svolge, piuttosto, una funzione deterrente, in senso lato punitiva”.5 Sulla legittimità di tale istituto v. . civ., sez. I, 28 settembre 2005, n. 18919, in Dir. e form., 2005, p. 1583 e ss., con nota di L. GIACOMARDO, Legittimo il vincolo di giustizia delle federazioni sportive. Secondo la Suprema Corte garantisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo.6 Sul principio di lealtà sportiva come regola fondamentale dell’ordinamento sportivo si rinvia a G. LIOTTA, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, , 2005, p. 54 ss.; ID.,La responsabilità civile dell’organizzatore sportivo: ordinamento statale e regole tecniche internazionali, Europa e diritto privato, 1999, p. 1166 ss.

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Premessa ad uno studio sulla...

La responsabilità oggettiva prevista dall’ordinamento sportivo, infatti, può inquadrarsi come

un complesso di regole destinate all’amministrazione dell’attività sportiva, funzionale al buon

andamento delle competizioni agonistiche, con funzione soprattutto sanzionatoria di comportamenti

non desiderabili7.

La dottrina si è a lungo domandata se un sistema di responsabilità oggettiva, che comporti

una responsabilità disciplinare anche al di fuori della colpa, possa svolgere ancora un ruolo

nell’ambito dell’ordinamento sportivo moderno, sempre più integrato nello stato democratico. Si

può dare in via approssimativa la seguente risposta: la responsabilità oggettiva ha svolto e svolge

compiti importanti nell’ambito della comunità sportiva, riducendo i comportamenti non desiderabili

e difendendo i valori della lealtà, dell’uguaglianza e della tolleranza sui quali si fonda l’idea dello

sport moderno8. Si tenterà di giustificare l’esistenza di questo importante istituto giuridico sportivo

di fronte agli attacchi della giurisprudenza e di parte della dottrina.

Tale responsabilità “speciale”, che troverebbe, dunque, la sua giustificazione nell’esigenza

di assicurare il pacifico svolgimento dell’attività sportiva nonché il rispetto di principi irrinunciabili

per l’ordinamento sportivo, ha sempre alimentato un acceso confronto in merito alla legittimità oltre

che all’opportunità della sua sopravvivenza nel campo dello sport9.

Taluni, al fine di giustificarne la compatibilità con il sistema giuridico vigente e

complessivamente considerato, propongono una comparazione con quanto avviene nel diritto

privato10. Secondo costoro anche il diritto privato conosce forme di responsabilità oggettiva che

rispondono a precise scelte di politica legislativa11, il cui fondamento risiede nella volontà di

garantire una maggiore protezione ai terzi.

7 In tal senso, v. la nota decisione della C.A.F., 27 gennaio 1972, in Riv. dir. sport., 1972, p. 151, che nel confermare una sanzione inflitta ad una squadra calcistica per l’uso di fuochi d’artificio da parte del pubblico, ha statuito che la responsabilità oggettiva non è intesa a «reprimere nessuna culpa in vigilando ma a punire indirettamente, attraverso la punizione della squadra del cuore, i sostenitori intemperanti». 8 Cfr. in tal senso C.A.F., 6 aprile 1984, in Riv. dir. sport., 1985, p. 124, la quale avverte che l’ordinamento federale è rivolto a tutelare e salvaguardare il raggiungimento della regolarità della gara ed il mantenimento dell’originario rapporto di forze in campo.9 Sulla configurazione della responsabilità sportiva come categoria autonoma rispetto alla fattispecie della responsabilità civile in generale cfr.: A. SCIALOJA, Responsabilità sportiva, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., XVII, Torino, 1998, pp. 411, 415; L. SANTORO, Sport estremi e responsabilità, in AA.VV., Temi di diritto sportivo, a cura di L. SANTORO, Palermo, 2006, pp. 156, 157.10 Sull’argomento: A. MANFREDI, Considerazioni in tema di responsabilità oggettiva e sua compatibilità con l’ordinamento giuridico generale, in Rivista di diritto sportivo, 1987, p. 55 ss.11 Diversi sono gli esempi che si possono proporre. L’art. 2049 cod. civ. sancisce la responsabilità del cosiddetto preponente per i danni cagionati a terzi da suoi preposti affermando che: “I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti”. Altre ipotesi si ravvisano negli artt. 2053 e 2054 cod. civ.. Sull’argomento, tra la manualistica, v. almeno: A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2007, p. 810.

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Premessa ad uno studio sulla...

L’ordinamento sportivo si muove ampliamente proprio nell’ambito dell’autonomia dei

privati ed è pertanto legittimato a prevedere simili forme di responsabilità al fine di tutelare, nel

miglior modo possibile, il corretto svolgimento delle competizioni sportive, che rappresentano la

parte più essenziale delle attività della comunità sportiva.

Si tratterebbe, in sostanza, di un’autoregolamentazione della propria vita associativa operata

attraverso una preventiva scelta dei beni e degli interessi da privilegiare12.

Parte della dottrina ha, poi, dissertato sulla correttezza del richiamo al principio del “cuius

commoda eius et incommoda” per spiegare la scelta di fondo operata dal legislatore sportivo, il

quale, secondo alcuni, avrebbe ritenuto corretto accollare il rischio delle condotte dei tifosi a quei

soggetti che dai tifosi traggono i maggiori benefici economici, ossia le società calcistiche13.

Altri, invece, hanno negato qualunque giustificazione logico-giuridica nei confronti di

questo titolo d’imputazione della responsabilità, auspicando una revisione della disciplina che

degradi la della responsabilità oggettiva verso una più “dolce” forma di “responsabilità presunta”14.

La discussione sulla responsabilità oggettiva è alimentata, ancora oggi, da alcune tesi

presenti nella dottrina e nella giurisprudenza in materia di responsabilità sportiva15.

Il dibattito sembra modificare notevolmente non solo i risultati cui era pervenuta la dottrina

negli ultimi anni16, ma soprattutto la prospettiva nella quale collocare la problematica giuridica di

questo settore, noto per essere uno dei più criticati del diritto sportivo17.

Per un esame approfondito di queste posizioni appare necessario fare riferimento

all’organizzazione sportiva italiana più significativa: la Federazione Italiana Gioco Calcio (d’ora

innanzi Figc)18. L’istituto della responsabilità oggettiva previsto dall’ordinamento della Figc offre

notevoli spunti di riflessione, sotto il profilo scientifico, sui quali è opportuno soffermarsi, anche in 12 “La logica ispiratrice si basa sul contemperamento di opposti interessi, gli uni individuali e gli altri superindividuali, e sulla opportunità di accordare priorità a questi ultimi” in: V. FORTI, op. cit., p. 17. 13 In senso conforme, rispetto a tale ricostruzione, vedasi: B. MANZELLA, La responsabilità oggettiva, in Riv. dir. sport., 1980, p. 153 ss. In senso contrario: F. PAGLIARA, Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità oggettiva, ivi, 1989, p. 159 ss. 14 M. TORTORA, Responsabilità oggettiva nell’ordinamento sportivo, relazione al convegno Giustizia e sport, Roma, 13 dicembre 1993; M. TORTORA, Diritto sportivo, Utet, Torino, 1998, p. 106. Interessanti osservazioni sul concetto di “responsabilità presunta” si rinvengono in C. CASTRONOVO, La responsabilità da attività pericolose e lo sport, in AA.VV., Temi di diritto sportivo, a cura di L. SANTORO, cit., p. 144 ss.15 Per un approccio chiaro e sintetico al problema della responsabilità sportiva, ed in particolare ai profili di responsabilità che concernono le società sportive, v. per tutti, P. SANDULLI, La responsabilità delle società sportive, in www.giustiziasportiva.it, fasc. 3, 2010. 16 F. PAGLIARA, op. cit., p. 159 ss. 17 Particolarmente interessanti i rilievi di: A. MANFREDI, Responsabilità del Presidente della società sportiva e dei dipendenti della società stessa per danni subiti da alcuni spettatori a causa della condotta illecita di altri tifosi (nota a Trib. Ascoli Piceno, 13 maggio 1988), in Riv. dir. sport., 1989, p. 469 ss; M. BUONCRISTIANO, La responsabilità oggettiva delle società sportive: problemi, miti, prospettiva, in Giur. it., 1989, IV, p. 159 ss., ad avviso del quale le previsioni di forme di responsabilità oggettiva delle società sportive devono essere stigmatizzate in quanto inidonee al conseguimento delle enunciate finalità preventive e, quel che è più grave, atte ad incidere negativamente sulla regolarità delle competizioni agonistiche.

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considerazione del fatto che, a partire dal 2007, sono state approvate diverse modifiche alle

normative federali, fra le quali meritano particolare attenzione quelle apportate al Codice di

giustizia19 che è stato oggetto, peraltro, di molteplici pronunce di giudici dello stato.

Di seguito, se ne evidenzieranno, seppure in modo sintetico, i principali caratteri.

2. La responsabilità oggettiva nell’ordinamento della Federazione Italiana Giuoco

Calcio e le posizioni della dottrina

È opportuno, in questa sede, ricostruire brevemente il quadro normativo federale cui fare

riferimento.

Il nuovo Codice di giustizia sportiva è suddiviso in sette titoli (rispetto ai dieci di quello

precedente), ai quali si aggiungono alcune norme finali.

Il titolo primo, dedicato alle “norme di comportamento”, è stato ampiamente rimaneggiato e

contiene una norma specifica sulla responsabilità delle società calcistiche che prevede, fra le altre,

anche forme di responsabilità oggettiva.

L’art. 4 del Codice stabilisce, infatti, che, ai fini disciplinari, le società rispondono

«oggettivamente» dell’operato dei dirigenti, dei tesserati, dei soci e non soci cui è riconducibile il

controllo delle società, e di chi svolga attività “all’interno o nell’interesse di una società o

comunque rilevanti per l’ordinamento federale” (art. 4, comma secondo), nonché ’operato delle

persone comunque addette ai servizi della società e di quello dei loro sostenitori (art. 4, comma

terzo).

Le condotte rispetto alle quali le società possono rispondere “oggettivamente” sono

molteplici, ma quelle che hanno maggiormente stimolato il dibattito, in dottrina ed in

18 Il movimento calcistico, in Italia, ha assunto dimensioni sociali ed economiche di grandissimo rilievo. Il calcio è, certamente, lo sport più popolare per numero di praticanti e di appassionati, ed è ormai diventato un’imponente industria che, dominata da sponsors multinazionali e da società per azioni quotate in borsa, produce anche parte importante del PIL dello stato italiano. Nel nostro paese il calcio non è soltanto un fenomeno sportivo, ma rappresenta qualcosa di più complesso che permea fortemente la nostra comunità statale sotto il profilo economico, sociale e culturale. Il calcio di oggi elabora modelli di vita e valori, modifica costumi e consumi, esercita forti pressioni sulla politica e sull’economia, domina gran parte della comunicazione mediatica, influenza fortemente gli stili di vita della popolazione italiana. Date le premesse, risulta estremamente chiara la motivazione che induce a guardare principalmente al calcio per verificare l’operatività di taluni istituti giuridici all’interno dell’ordinamento sportivo. L’universo della Federazione Italiana Gioco Calcio offre innumerevoli spunti di riflessione, stante anche il gran numero di decisioni dei propri organi disciplinari. È di tutta evidenza che chi voglia condurre un’indagine giuridica in ambito sportivo non possa che principiare da un’analisi in ambito calcistico.19 La riforma è del 31 marzo 2007, v. Delibera del Commissario straordinario in data 31.3.2007, in Comunicato ufficiale della Figc n. 93. Per un’analisi dettagliata e puntuale v. F. BAGATTINI ed al., Commento al nuovo codice di giustizia sportiva. Aspetti giuridici e casi pratici, Milano, 2009, p. 3 ss.

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giurisprudenza, riguardano i comportamenti discriminatori20 e i fatti di violenza commessi dai

propri sostenitori durante le competizioni sportive.

I comportamenti discriminatori ricomprendono sia “l’introduzione o l’esibizione negli

impianti sportivi, da parte dei propri sostenitori, di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili,

recanti espressioni di discriminazione”, sia i cori, sia le grida nonché “ogni altra manifestazione

espressiva di discriminazione” 21.

I fatti di violenza si distinguono, invece, in atti finalizzati alla violenza (come ad esempio

l’introduzione o l’utilizzazione all’interno degli impianti sportivi di materiali idonei a provocare

lesioni, o di disegni, scritte, simboli, cori, grida che contengono espressioni “minacciose o incitanti

alla violenza”) e in atti materiali di violenza nello svolgimento delle gare compiuti “da uno o più

dei propri sostenitori, se dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica o un danno grave

all’incolumità fisica di una o più persone” (art. 12, comma 3; art. 14, comma 1).

A salvaguardia di beni fondamentali della persona, quali la dignità umana e l’incolumità

fisica, il legislatore sportivo ha previsto numerose sanzioni a carico della società, i cui sostenitori

abbiano commesso atti discriminatori o di violenza, che vanno dall’ammenda alla squalifica del

20 Cfr. Alta Corte di Giustizia Sportiva, 26 maggio 2009, con nota di G. COLANGELO, in Foro it., 2009, III, p. 656 ss. La prima decisione assunta dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva presso il CONI, introdotta con le modifiche apportate allo Statuto del CONI nel febbraio del 2008, verte proprio sulle sanzioni applicate alle società sportive a seguito di comportamenti discriminatori dei propri sostenitori. L’occasione di questa importante pronuncia è stata fornita dal ricorso proposto dalla società della Juventus, avverso la sanzione di disputare un incontro a porte chiuse, disposta dal Giudice Sportivo e confermata dalla Corte di Giustizia Federale, in considerazione dei cori razzisti intonati dai sostenitori bianconeri in occasione della partita contro l’Inter, del 18 aprile 2009. A proposito della rilevanza della problematica discriminatoria e del conseguente regime sanzionatorio (elementi necessari a giustificare l’esercizio delle proprie funzioni), è utile evidenziare il ragionamento formulato dall’Alta Corte in ordine alla gravità sia della sanzione inflitta alla Juventus sia dei comportamenti dei tifosi. L’organo giudicante, infatti, ha messo in evidenza il fatto che, dalla sanzione di giocare una partita a porte chiuse, scaturiscono “pesanti incidenze economiche” relative anche alla vendita di biglietti e che tale sanzione, a causa della sua “particolare ostensibilità”, dovuta alle modalità d’esecuzione, provoca danni all’immagine della società, della squadra e della tifoseria, e “privando la squadra dei suoi tifosi”, possiede “un carattere incisivamente afflittivo”. Entrando, poi, nel merito delle condotte dei tifosi juventini, l’Alta Corte ne ha sottolineato la “particolare gravità”, facendo un espresso riferimento alle fonti dell’ordinamento statale e comunitario. Vengono, opportunamente, richiamate numerose norme, fra le quali: l’art. 3, primo comma, Cost.; l’art. 14 della “Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” del 1950; gli artt. 2 e 29 del Trattato di Maastricht; la direttiva 2000/43/CE relativa alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. Non è la prima volta che organi di giustizia sportiva fondano le loro decisioni su atti normativi di produzione “esosportiva”. Nel 2001, ad esempio, proprio la Corte Federale della FIGC, a proposito dei limiti imposti alle squadre nell’utilizzazione degli atleti, aveva ritenuto illegittimo l’art.40, 7° comma, delle NOIF, per contrarietà al d. lgs. 25 luglio 1998, n.286 ed al relativo regolamento di cui al d.p.r. 31 agosto 1999, n.394, nella parte in cui prevedeva che soltanto tre dei calciatori tesserati e provenienti da paesi diversi dall’Unione europea potessero essere utilizzati nelle gare ufficiali in ambito nazionale. Si confronti: Corte federale Figc, decisione 4 maggio 2001, con nota di G. NAPOLITANO, La condizione giuridica degli stranieri extracomunitari nell’ordinamento sportivo: divieto di discriminazione e funzione di programmazione del Coni, in Foro it., 2001, III, p. 529 ss.; con nota di E. CALÒ, Giurisdizione sportiva: l’equiparazione tra cittadini e stranieri approda anche nel mondo del calcio, in Corr. Giur., 2001, p. 820 ss.; il commento di C. ALVISI, Frontiere aperte (in campo) ai calciatori. Vietato discriminare gli extracomunitari, in Dir. e giustizia, 2001, p. 50 ss. Questo richiamo dimostra che l’autonomia dell’ordinamento sportivo radica, in ogni caso, un sistema di profonde relazioni e di intensi scambi con l’ordinamento statale che determina importanti conseguenze sul piano giuridico. 21 L’a. 11 del Codice di giustizia sportiva, al primo comma, stabilisce che: “Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”.

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campo giungendo, nei casi più gravi, fino alla retrocessione o alla non ammissione a determinate

competizioni (art. 11, comma 3; art. 12, comma 6; art. 14, comma 2; art. 18).

Nello stesso tempo, invero, l’art. 13 del Codice prevede un regime di esimenti e di attenuanti

che consente di giungere alla attenuazione o, perfino, alla non applicazione delle sanzioni nei

confronti della società nel caso in cui si provi la sussistenza di alcune circostanze consistenti in

comportamenti propri della società (ad esempio, aver adottato ed efficacemente attuato, prima del

fatto dannoso commesso dai propri sostenitori, modelli di organizzazione e di gestione idonei a

impedire comportamenti violenti o discriminatori, avendo impiegato risorse umane e finanziarie

adeguate allo scopo, ovvero aver realmente collaborato con le forze di polizia per l’adozione di

misure atte alla prevenzione o alla identificazione dei responsabili)22 o dei propri sostenitori (nel

caso in cui una parte di questi abbiano chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con

condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti).

L’idea soggiacente a queste ipotesi di “responsabilità oggettiva” è stata autorevolmente

individuata «nell’esigenza di indurre le società a prendere le precauzioni idonee a prevenire

condotte pericolose o dannose dei propri tifosi»23, che possano ledere profondamente beni

fondamentali della persona (dignità ed incolumità fisica) anche in violazione di principi propri

dell’ordinamento sportivo (su tutti la lealtà sportiva).

22 Sull’importanza del coinvolgimento attivo delle società nelle procedure di prevenzione e repressione delle manifestazioni violente v. il saggio di C. BASSU , Risposte emergenziali alla violenza negli stadi. Il rapporto tra «libertà di tifo» e pubblica sicurezza in prospettiva comparata, in Rass. parl., 2008, pp. 151 ss.23 M. BASILE, «Immedesimazione organica» e dintorni (la responsabilità disciplinare delle società sportive per atti illeciti di terzi), in M. TRIMARCHI (a cura di), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, Milano, 2007, p. 169 ss., spec. p. 181. Nello stesso senso è orientato anche C. FRANCHINI, Profili di attualità nella disciplina della federazione italiana giuoco calcio: le nuove regole , in I. DEMURO e T.E. FROSINI (a cura di), Calcio professionistico e diritto, Milano, 2009, p. 237 ss., spec. p. 246. L’emorragia economica a cui sono state sottoposte diverse società calcistiche a causa della sanzioni ha spinto, più volte, alcuni dirigenti ed in particolar modo, il Presidente della Lazio, a manifestare insofferenza verso il regime della responsabilità oggettiva che, a suo dire, lo renderebbe ostaggio dei tifosi violenti, chiedendone a gran voce una sostanziale modifica (per avere un’idea delle critiche formulate dal presidente della Lazio, Claudio Lotito, è possibile fare riferimento all’intervista presente sul sito: www.lazionews.blogspot.com/2008/09ecco-il-verbo-di-lotito.html www.lazionews.blogspot.com/2008/09ecco-il-verbo-di- lotito.html ). In particolare, viene sostenuto che i tifosi potrebbero servirsi del regime della responsabilità oggettiva per fare pressioni indebite sulle stesse società, minacciandole di assumere proprio quegli atteggiamenti che le norme dovrebbero prevenire. Il ricorso al regime di responsabilità oggettiva delle società per comportamenti della propria tifoseria, secondo le critiche da più parti sollevate, avrebbe avuto una funzione importante, nella storia del calcio italiano, e cioè quella di obbligare le società calcistiche ad interrompere i rapporti di grande contiguità con le frange più violente del tifo, ma tale funzione si sarebbe, oggi, esaurita e lo strumento, allora pensato, rischierebbe di non essere più utile al fine per il quale era stato realizzato. Tali critiche, però, risultano pretestuose e sono piuttosto da addebitare a scomposte reazioni di fronte al corretto ed opportunamente intransigente atteggiamento assunto dagli organi federali. È scontato che i Presidenti delle società di calcio, considerati i costi, possano trovare particolarmente odioso tale regime, ma non può non riconoscersi, però, che il sistema delle esimenti e delle attenuanti, previsto nello stesso Codice di giustizia sportiva, consenta di modulare ragionevolmente le conseguenze scaturenti dalla rigida applicazione del principio della responsabilità oggettiva, fornendo risposte calibrate alle violazioni di precetti che rappresentano le fondamenta dell’ordinamento sportivo e che ledono beni difesi e riconosciuti anche dall’ordinamento statale e comunitario. Sulla configurazione di circostanze attenuanti, sul sito www.figc.it www.figc.it , cfr. alla voce: “ Corte di Giustizia Federale – Comunicato Ufficiale n. 9/CGF (2010/2011) - Testi delle decisioni relative al Comunicato Ufficiale n. 144/CGF - Riunione del 29 gennaio 2010 -Ricorso del Calcio Como avverso la sanzione dell’ammenda di € 12.000,00 inflitta alla reclamante seguito gara Como/Monza del 13.1.2010 (Delibera del Giudice Sportivo presso la Lega Italiana Calcio Professionistico – Com. Uff. n. 84/DIV del 14.1.2010)”.

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Altra dottrina, nondimeno, ritiene che il meccanismo in esame risponda all’esigenza di

sollevare gli organi di giustizia federali dalla prova dell’imputabilità alle società di situazioni di

pericolo o di danno che altrimenti richiederebbero, per una definizione delle varie posizioni in esse

giuridicamente rilevanti, «lunghe procedure e complessi (nonché costosi) accertamenti»24.

Proprio per questa via, valorizzando l’art 13 del novellato Codice di giustizia sportiva che

introduce un articolato sistema di esimenti ed attenuanti, si potrebbe aprire la strada per una

sistemazione dogmatica della responsabilità oggettiva prevista dagli artt. 11, 12 e 14 del Codice che

superi il dato letterale delle norme a tal punto da condurci oltre il concetto di responsabilità

oggettiva per fatto altrui.

Tale impostazione logica consentirebbe un recupero del modello di colpa anche all’interno

di previsioni normative che richiamano testualmente un regime di responsabilità oggettiva per fatto

altrui. Autorevole dottrina, analizzando l’art. 2050 del codice civile ha, infatti, evidenziato che,

nonostante giurisprudenza e dottrina abbiano tradizionalmente avuto opinioni differenti, la norma

“presenta una difficoltà intrinseca, anzitutto di tipo testuale, ad essere ricondotta a un modello di

pura e semplice responsabilità oggettiva”25.

Secondo tale dottrina stando alla “lettera dell’art. 2050 c.c., non possono sussistere dubbi

che la prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno ha il significato di trasporre

dalle mani dell’attore in quelle del convenuto la questione del (non) sussistere della colpa nel fatto

che ha cagionato il danno”.

Si tratterebbe in sostanza di una semplice inversione dell’onere della prova a vantaggio

dell’attore.

Tornando a ragionare sulla responsabilità oggettiva prevista dal Codice di giustizia sportiva

e facendo riferimento al combinato disposto di cui agli artt. 11, 12, 13 e 14 del Codice, si potrebbe

concludere che, in realtà, le norme (artt. 11, 12 e 14), contrariamente al dato letterale26, non

24 Così M. SANINO, F. VERDE, Diritto sportivo, Padova, 2008, p. 424.25 V. ampiamente . CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p. 295 ss.; ID., La responsabilità da attività pericolose e lo sport, cit., p. 137 ss. L’Autore, a proposito dell’art. 2050 cod. civ., sostiene che “il modello adottato dal legislatore, nel fare riferimento all’adozione di tutte le misure idonee evitare il danno, aveva risolto la responsabilità nella colpa, assortendolo con un’inversione dell’onere della prova. Non è dubbio infatti che il criterio in questione sia espressione di una condotta specificamente prudente e accorta richiesta in relazione al tipo di attività; e l’imprudenza è una delle tre forme di reprensibilità della condotta che a tenore dell’art. 43 c.p. integrano la colpa”.26 L’irrilevanza del dato letterale non deve stupire nell’ambito dei testi normativi prodotti dagli organi sportivi. Capita sovente che il legislatore sportivo utilizzi termini giuridici imprecisi o addirittura inappropriati quando prende a prestito concetti elaborati in altri settori e da altri ordinamenti. Tali, apparentemente inspiegabili, discrasie, trovano giustificazione anche nel succedersi di riforme, il più delle volte, occasionali e dettate da esigenze contingenti. A ciò si aggiunga che i testi normativi prodotti dagli organismi sportivi, anche a causa dell’estrazione culturale dei loro componenti (spesso tecnici o atleti, raramente giuristi) e della specificità della materia (sempre in continua evoluzione), non hanno mai mostrato un alto livello di tecnicismo e di organicità.

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contemplino una tipica ipotesi di responsabilità oggettiva per fatto altrui, quanto piuttosto di una

speciale forma di responsabilità legata a comportamenti omissivi propri della società calcistica, e

che tali norme non abbiamo fatto altro che trasferire l’onere della prova, circa la (non) sussistenza

della colpa, dalla procura federale alle società di calcio (art. 13).

In sostanza, la lettura unitaria di queste norme ci consentirebbe di concludere che il

legislatore sportivo, così come quello statale a proposito dell’art. 2050 c.c., abbia utilizzato una

formula che tende “al massimo il modello della colpa, ma di esso pur sempre si tratta”.

E’ un dato di fatto, comunque, che gli strumenti preventivi e sanzionatori previsti nel codice

di giustizia, per quanto pregnanti e a tratti necessitati per arginare fenomeni degenerativi e, in ogni

caso, garanzia di effettività dell’ordinamento particolare, non hanno riscontrato i favori di gran

parte della dottrina per il dirimente motivo che sono stati considerati incompatibili con il principio

fondamentale della responsabilità personale della pena che, come unanimemente riconosciuto,

costituisce principio cardine di ogni sistema democratico (art. 27, comma 1 Cost.; artt. 40 e 42 cod.

pen.).

Si tratta, per questa dottrina, di un valore assolutamente irrinunciabile del sistema,

costituendo uno dei cardini della moderna civiltà giuridica, strumento essenziale per l’affermazione

del principio di colpevolezza27.

Di fronte ad esso, l’autonomia degli ordinamenti particolari non può quindi che arretrare. La

surriferita impostazione, invero, deve essere però rivisitata di fronte ad una norma come l’art. 1,

primo comma, della legge n. 280/2003 che garantisce espressamente l’autonomia dell’ordinamento

sportivo, ad una recente sentenza della Corte costituzionale che riconduce tale autonomia al

combinato disposto degli artt. 2 e 18 Cost28, ed alle modifiche apportate al Codice di giustizia

sportiva.

3. Autonomia dell’ordinamento sportivo, diritto privato e profili giurisdizionali

Quella di autonomia è una nozione complessa: il che, d’altra parte, pare giustificabile

allorché si consideri che l’autonomia di un organismo o di un ordinamento particolare non può

essere determinata prescindendo dall’individuazione dei rapporti che regolano la sua attività nei

27 In questo senso è orientato il recente scritto di M. BASILE, «Immedesimazione organica» e dintorni (la responsabilità disciplinare delle società sportive per atti illeciti di terzi), cit., p. 183, vedi anche gli autori citati alla nota 26. Da ultimo, GUARDAMAGNA ed al., Diritto dello sport (Profili penali), Torino, 2009, p. 1 ss. Per il periodo anteriore alla riforma del Codice di giustizia sportiva cfr. TRAVERSI, Diritto penale dello sport, Milano, 2001, p. 28 ss.28 Una simile interpretazione viene affermata di recente da Corte Cost., sent. 11 febbraio 2011, n. 49, in Danno e resp., 2011, p. 919 ss., con commento di F. BLANDO, Sanzioni sportive, sindacato giurisdizionale, responsabilità risarcitoria.

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confronti dell’ordinamento generale; si è in presenza, com’è noto, di un concetto di relazione e dai

contenuti non assoluti, mutabili alla luce delle limitazioni poste dalla fonte che riconosce un

ordinamento come giuridico29.

E’ chiaro, poi, che l’estensione dell’autonomia può variare secondo la funzione presa in

considerazione: normativa, organizzativa, finanziaria, sanzionatoria.

Così come varia secondo le limitazioni introdotte dalla fonte che riconosce la natura dei

diversi ordinamenti giuridici.

In particolare, l’autonomia normativa presuppone la capacità di produrre norme obbligatorie

e vincolanti per tutti i consociati, e il potere di far rispettare la loro coattività infliggendo sanzioni.

Applicando queste regole generali allo specifico ordinamento sportivo si può ritenere che:

a) esso rappresenti un ordinamento autonomo sulla base e nei limiti riconosciuti dalla l. n.

280/2003;

b) lo status autonomia si manifesti tanto sul piano normativo, quanto su quello

“giurisdizionale” (art. 3, l. n. 280/2003);

c) che tale autonomia consenta la previsione di regole derogatorie rispetto alla normativa

generale, purché queste siano in armonia con i principi dell’ordinamento generale e risultino

necessarie per salvaguardare principi propri dell’ordinamento particolare (come, ad esempio, la

regolarità delle competizioni, la lealtà sportiva, la specificità delle singolo discipline).

Nel valutare l’autonomia dell’ordinamento sportivo, in materia di responsabilità oggettiva,

occorre innanzitutto considerare che i codici sportivi devono inquadrarsi nell’ambito degli atti di

diritto privato, inquadramento che esclude senz’altro l’applicazione del regime dell’illecito penale o

dell’illecito amministrativo all’illecito sportivo.

La qualificazione dei codici di giustizia come atti di autonomia privata discende da una serie

di indici normativi.

L’art. 15, comma 2, del d.lgs. 242/1999 riconosce che le federazioni “hanno natura di

associazione con personalità giuridica di diritto privato”.

La stessa norma, invero, impone alle federazioni di svolgere la loro attività in armonia con le

deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle Federazioni internazionali e del Coni, “anche in

29 Su queste problematiche cfr., per tutti, R. CAPRIOLI, Il significato dell’autonomia nel sistema delle fonti del diritto sportivo nazionale, in Nuov. giur. civ. comm., 2007, p. 283 ss.

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considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate dallo

statuto del CONI”30.

La scelta di fondo è chiara: le federazioni non possono più qualificarsi come ‘organi’ del

Coni, e non è più possibile guardare ad esse come enti di natura pubblica o amministrativa31.

Scopo primario di questa norma è la privatizzazione delle strutture e degli atti delle

federazioni; se ciò è vero, occorre riconoscere, innanzitutto, che gli atti a rilevanza pubblicistica non

possono che rappresentare eccezioni ad un principio generale, quello secondo cui le federazioni

sono associazioni di diritto privato, come tali soggette alle regole sostanziali di queste

organizzazioni.

D’altra parte, la disposizione appena menzionata fa esplicito rinvio allo Statuto del Coni,

fonte esclusiva, a cui gli interpreti devono riferirsi per individuare quali atti posseggano, ancora

oggi, una valenza pubblicistica.

L’art. 23, comma 1, dello Statuto, a sua volta, statuisce che hanno valenza pubblicistica:

“esclusivamente le attività delle Federazioni sportive nazionali relative all’ammissione e

all’affiliazione di società, associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e

alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al

regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione

dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping; nonché le attività relative alla

preparazione olimpica e all’alto livello alla formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione

degli impianti pubblici sportivi”.

Orbene, l’interpretazione letterale della norma statutaria sopra riportata - sintomatico è

l’utilizzo dell’avverbio “esclusivamente” - conduce a ritenere che gli atti a valenza pubblicistica non

possono che rappresentare eccezioni alla regola generale secondo la quale gli atti delle Federazioni

sono riconducili al diritto privato (in coerenza, a tacer d’altro, con la natura privatistica di queste).

La norma in esame, ed è questo il punto che occorre sottolineare, non ha incluso l’adozione

dei codici di giustizia sportiva fra gli atti federali a valenza pubblicistica.

Può allora ritenersi che il “Codice di giustizia sportiva” presso la Figc (ma la stessa

conclusione vale anche per i “Codici” vigenti presso le altre federazioni) – benché denominato nella

30 Secondo autorevole dottrina la norma in oggetto, nel demandare allo Statuto del Coni la individuazione delle attività di natura pubblicistica, utilizzerebbe un “rigoroso principio di tassativà”: G. LIOTTA, I soggetti, in G. LIOTTA– L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Milano, 2009, p. 38.31 Su questa evoluzione v., per tutti, G. LIOTTA, I soggetti, cit., p. 35 ss.

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prassi e nel linguaggio della giurisprudenza ‘regolamento’– non ha qualsivoglia natura di

provvedimento amministrativo.

Dall’altra parte, e ad ulteriore conferma della carenza di indici di rilievo pubblicistico in

capo al “Codice di giustizia sportiva” presso la Figc, anche la rilevanza pubblicistica attribuita agli

atti di cui all’art. 23, comma 1, dello Statuto non incide sull’«ordinario regime di diritto privato dei

singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse» (comma 1-bisdel cit. art. 23 dello

Statuto del Coni).

Su questo punto, quindi, non sembra potersi accogliere la tesi che, nel nostro sistema

positivo, i codici di giustizia e la responsabilità disciplinare, relativamente alla quale il primo

prevede la responsabilità oggettiva, siano inquadrabili nell’ambito del diritto pubblico.

Com’è indiscutibile, le conseguenze sono di non secondario rilievo.

Innanzitutto, si può richiamare, in funzione riduttiva della responsabilità sportiva

disciplinare, l’art. 24, comma 3 c.c., ove si contempla la qualificazione del fatto, dal quale dipende

l’esclusione dell’associato deliberata dall’assemblea, nella misura dei “gravi motivi”.

L’applicazione della norma appena citata alle federazioni sportive sembra trovare la sua

giustificazione nel rilievo che qualsiasi ipotesi di sanzione disciplinare «debba essere giustificata e

stabilita in un rapporto di proporzionalità con le cause che la giustificano»32.

La tesi appena esposta è coerente con la natura del rapporto associativo federale quale

rapporto contrattuale; è applicazione, al caso specifico delle federazioni, del generale principio dei

contratti associativi di cui all’art. 24, comma 3 c.c.33.

32 Questa è la ratio individuata da M. BASILE, «Immedesimazione organica»» e dintorni (la responsabilità disciplinare delle società sportive per atti illeciti di terzi), cit., p. 196. 33 Cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Sez. giur., 8 novembre 2007, n. 1048, in Foro amm. Cons. St., 2007, p. 3537 ss., con nota di N. PAOLANTONIO, Ancora su sport e giustizia; anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia, riformando la sentenza del T.A.R. sul caso Catania fa espresso riferimento al Codice Civile: “la tutela degli associati nei confronti delle associazioni esiste in quanto è positivamente prevista dagli artt. 23 e 24 cod. civ. che, riconoscendo come diritti gli interessi che essi hanno internamente all’associazione, aprono la via della tutela giurisdizionale. In proposito, va altresì ricordato che tale tutela è riconosciuta direttamente dall’ordinamento giuridico solo per le situazioni giuridiche soggettive disciplinate espressamente da una norma di legge (“Le deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge […] possono essere annullate”: art. 23 c.c.); mentre nella mancanza di una norma diretta che elevi un interesse di fatto a interesse giuridicamente protetto, il parametro della tutela giurisdizionale è espresso solo dal negozio associativo e dal suo contenuto (“[…] contrarie […] all’atto costitutivo o allo statuto […]”: art. 23 c.c.), come applicazione di specie del generalissimo principio di cui all’art. 1372, I comma, c.c.”. Il ragionamento si conclude citando una sentenza della Corte di Cassazione (n.4399 del 1989) che a proposito del potere sanzionatorio delle federazioni afferma: “Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell'autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell'ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un'area di non rilevanza (o d'indifferenza) per l'ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l'ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all'assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato, come questa Corte ha avuto già modo di rilevare”.

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Esso garantisce – ai membri delle federazioni sportive – il diritto ad opporsi a previsioni di

responsabilità oggettiva disciplinare arbitrarie ed insindacabili34.

Da ciò si può argomentare che il comma 3 dell’art. 4 del codice di giustizia sportiva, che

contiene le previsioni di responsabilità oggettiva delle società per gli atti illeciti dei propri

sostenitori, è valido nella misura in cui si basi su una loro colposa omissione rispetto ad essi, o

perlomeno per la carenza della loro azione di contrasto o prevenzione verso i comportamenti

violenti o discriminatori.

Viceversa, potranno ritenersi invalide, e perciò impugnabili dinnanzi al giudice statale, le

ipotesi normative che contemplano fattispecie in cui una società risponde disciplinarmente a causa

di comportamenti violenti, o atti di discriminazione, dei suoi sostenitori anche se ad essa non è

ricollegabile una qualsivoglia ipotesi di colpa omissiva35.

Ne consegue che gli artt. 11, 12 e 14 del Codice di giustizia sportiva, che contemplano

ipotesi di “presunta responsabilità oggettiva”, siano da considerarsi pienamente validi e legittimi,

dal momento che la presenza dell’art. 13 del Codice di giustizia sportiva (che prevede un sistema

flessibile di esimenti e attenuanti), come già evidenziato, servirebbe a creare quel necessario

collegamento tra i comportamenti incriminati dei propri sostenitori e le sanzioni inflitte alle società

calcistiche, aprendo la porta ad un’indiretta, ma obbligata, configurazione di colpa omissiva a carico

di quest’ultime.

La connessione tra il comportamento dei tifosi e quello delle società calcistiche avverrebbe

mediante un implicito richiamo al concetto di colpa per condotta omissiva e sarebbe il risultato

dell’applicazione di una tecnica di inversione dell’onere della prova a carico delle società di calcio,

prevista dal legislatore sportivo proprio attraverso una corretta interpretazione del valore da

attribuire all’art. 13 del Codice di giustizia sportiva.

Se si segue questa strada, anche il rapporto tra la legge n. 280/2003 e la disciplina della

responsabilità oggettiva risulta meritevole di particolare attenzione.

34 In altre parole, secondo Massimo Basile anche la responsabilità disciplinare che consegue all’atto di un terzo deve essere colposa; ciò accade perché: «le relative sanzioni possiedono un connotato di riprovevolezza che per motivi etici esige il coinvolgimento, almeno colposo, nell’illecito di chi viene ritenuto responsabile». Vedi M. BASILE, «Immedesimazione organica» e dintorni (la responsabilità disciplinare delle società sportive per atti illeciti di terzi), cit., pp. 196-197. Per una serrata critica agli argomenti di quest’ultimo scrittore v. C. CASTRONOVO, Pluralità degli ordinamenti: autonomia sportiva e responsabilità civile, in Europa dir. priv., 2008, p. 545 ss., spec. p. 552.35 V., per esempio, l’art. 11, comma 3, e l’art. 14, comma 1. Qui si accoglie la tesi (fatta propria da M. BASILE, «Immedesimazione organica» e dintorni (la responsabilità disciplinare delle società sportive per atti illeciti di terzi), cit., pp. 198) volta a sostenere che la colpa nella responsabilità disciplinare non si manifesta quale componente psichica di tale atto, bensì, come « inosservanza delle condotte necessarie ad impedire o prevenire l’atto antigiuridico, cioè come omissione; e quindi integra un “fatto proprio”».

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La nullità di regolamenti di giustizia che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva nei

confronti di soggetti incolpevoli contrastanti con la norma imperativa espressa dall’art. 24, terzo

comma, del codice civile36, dovrebbe essere dichiarata dal giudice ordinario.

Infatti, alla luce del quadro attuale della legislazione in materia di rapporti tra ordinamento

sportivo e ordinamento statale si può affermare che la giurisdizione in materia di annullamento delle

norme contenute nei codici sportivi, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva, spetti agli

organi giurisdizionali ordinari.

E ciò in quanto, per un verso, la competenza del giudice amministrativo è per le sanzioni,

purché rilevanti per l’ordinamento della Repubblica37, e non per le regole che le prevedono (v. art.

3, comma 1, l. n. 280/2003 «[…] ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato

olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia

dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo»).

Per altro verso, come già si è cercato di dimostrare, l’appartenenza dei codici sportivi agli

atti di autonomia privata dovrebbe escludere, almeno secondo l’indirizzo espresso dalla Suprema

Corte di Cassazione, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo38.

Insomma, anche se la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ha assunto inediti e

larghi confini, è difficile sostenere, che non sia il giudice ordinario l’autorità giudiziaria competente

a dichiarare la nullità di regolamenti sportivi di diritto privato contrastanti con norme di legge39.

36 In questo senso si esprime F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, v. I, Le categorie generali. Le persone. La proprietà, III ed., Cedam, Padova, 1999, p. 245, che qualifica tale norma “manifestamente imperativa”.37 Sul modo di intendere tale ‘rilevanza’ v. adesso Corte cost., sent. 11 febbraio 2011, n. 49, cit.38 Cass. Civ., Sez. Un., 23 marzo 2004, n. 5775, in Giust. civ., 2005, I, p. 1625 ss., con nota di G. VIDIRI, Le controversie sportive e il riparto di giurisdizione, nonché in Guida al dir., 2004, v. XVIII, p. 59 ss.: «[…] nella giurisdizione amministrativa esclusiva rientrano le controversie che hanno per oggetto l’impugnativa di atti del CONI o delle federazioni sportive nazionali, che si configurano come decisioni amministrative, aventi rilevanza per l’ordinamento dello Stato» 39 In senso diverso sembra orientato il giudice amministrativo. Una recente pronuncia del T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III ter, 20 dicembre 2010, n. 37668, ined., ha infatti annullato un ‘Regolamento dei tecnici’ emanato dal Federazione italiana tennis perché, ad avviso del tribunale, contrario ai principi dettati dal legislatore comunitario e da quello nazionale. La propensione a salvaguardare l’autonomia dell’ordinamento sportivo è, invece, presente in T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III ter, 31 maggio 2005, n. 4284, in Foro amm. – T.A.R., 2005, p. 1603 ss., con nota di DE PAOLIS, p. 2874 ss., il cui convincimento muove dal fatto che le regole sportive fanno parte di un «ordinamento separato da quello statale», cosicché, «se fosse consentita l’impugnazione diretta delle norme associative ed il loro annullamento da parte del giudice statale, vi sarebbe una sostanziale sovrapposizione dell’ordinamento nazionale su quello settoriale. Non a caso il Legislatore ha previsto che il giudice amministrativo possa conoscere soltanto gli atti delle federazioni (che incidano su situazioni giuridiche soggettive dei soggetti destinatari rilevanti per l’ordinamento), escludendo quindi il diretto sindacato sulle norme».

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Ma al di là degli indicati spazi di operatività della giurisdizione ordinaria, occorre

sottolineare che la Federazione calcio con la riforma del 2007 ha in gran parte revisionato le norme

della cui congruità si dubitava e che tale soluzione ha trovato sostanziale e pieno riscontro nella

dottrina40.

Nel valutare l’autonomia dell’ordinamento sportivo in materia di responsabilità oggettiva

occorre, oggi, considerare positivamente la strada dell’autoriforma, in funzione di garanzia rispetto

a valori e beni di primaria importanza, intrapresa dalla federazione di maggiore importanza nel

sistema Coni.

4. La responsabilità oggettiva a confronto con i principi del diritto statuale

L’espresso riconoscimento legislativo dell’ordinamento sportivo non ha risolto

definitivamente le tensioni fra l’ordinamento sportivo e quello statale, la concreta attuazione del

principio dell’autonomia costituisce una conquista tutt’altro che assodata come confermato, ancora

una volta, dagli sviluppi del c.d. terzo “caso Catania”.

In particolare, sul versante della responsabilità oggettiva, la Figc e gli organi di giustizia

sportiva hanno dovuto difendersi da attacchi diretti, dal Tribunale amministrativo regionale di

Catania, ad imporre loro l’applicazione di principi estranei all’ordinamento sportivo41.

Come noto, dopo gli eventi scaturiti al termine del derby calcistico Catania-Palermo,

culminati con l’omicidio di un agente di polizia, la Figc aveva sanzionato la squadra del Catania a

titolo di responsabilità oggettiva, imponendole anche di giocare a porte chiuse le partite da disputare

in casa.

Alcuni abbonati avevano deciso di impugnare i provvedimenti sanzionatori emessi dalla

Figc, e la questione si concludeva dinnanzi al Consiglio di giustizia amministrativa della regione

Sicilia42, che tra l’altro negava la legittimazione a ricorrere degli abbonati, argomentando che questi

non sarebbero altro che “creditori ex contractu del destinatario del provvedimento”, che

40 V., tra i tanti, C. FRANCHINI, Profili di attualità nella disciplina della federazione italiana giuoco calcio: le nuove regole, cit., p. 244 ss.. Per i riflessi positivi al sistema della responsabilità oggettiva delle società introdotti per via dello Statuto del 2007, in particolare dall’art. 7, comma 5, v. i rilievi di M. GRASSANI, Il nuovo Statuto FIGC tra passato e futuro, in Riv. dir. econ. sport, 2007, p. 11 ss., spec. pp. 14-15. 41 T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 679, in www.federalismi.it, 2007, nonché in Foro amm. T.A.R., 2007, p. 1137 ss., con nota di N. PAOLANTONIO, Ordinamento statale e ordinamento sportivo: spunti problematici.42 CGA, 8 novembre 2007, n.1048, in Guida al diritto, dicembre 2008, n.48, p. 95 ss. con contributi dottrinali di: S. MEZZACAPO, Le Conseguenze patrimoniali delle sanzioni non travolgono il sistema delle competenze, ivi, p. 103 ss. e M. SANINO, Il difficile approdo delle problematiche in tema di giustizia sportiva, in Rivista di diritto dello sport, 2007, p. 95 ss. Fortemente critico nei confronti del provvedimento: E. LUBRANO, La sentenza-abbonati-Catania: il Consiglio Siciliano e il rischio del ritorno della tutela giurisdizionale nello sport al paleozoico?!, Rivista di diritto dello sport, 2007, p. 6.

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ricadrebbero pertanto in una situazione uguale a quella “del locatario di un ombrellone che volesse

impugnare la revoca della concessione demaniale marittima del titolare dello stabilimento

balneare”43.

Il T.A.R., chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto da alcuni abbonati44, aveva

ripetutamente rimproverato, agli organi di giustizia sportiva, una troppo “rigida applicazione” del

principio della responsabilità oggettiva45, arrivando a dichiarare illegittime le norme del Codice di

giustizia sportiva che prevedevano tale responsabilità, perché contrarie “ai principi

dell’ordinamento giuridico vigente”.

Complice la pressione dell’opinione pubblica, la vicenda ha assunto i colori di un “giallo” o

meglio di un “thriller”, stante anche la pluralità dei soggetti coinvolti e il susseguirsi di spettacolari

colpi di scena46.

Il nucleo fondante della sentenza del tribunale catanese, annullata in appello, riguardava

proprio la questione di legittimità delle norme del codice di giustizia sportiva per la parte in cui

prevedevano la responsabilità oggettiva delle società ai fini disciplinari.

Il Tar ha statuito la illegittimità con un’argomentazione tranchant, facendo tra l’altro

richiamo ad una analoga decisione del Tribunale amministrativo di Parigi47. 43 Il tema della legittimazione dei tifosi ad impugnare atti assunti dagli organismi sportivi è affrontato da G. MANFREDI, Associazioni di tifosi sportivi e interessi legittimi, in www.giustamm.it, 29.11.2010. Per più ampi riferimenti v. L. STANGHELLINI, Gli interessi delle associazioni di tifosi di calcio tutelati dal diritto sportivo, Napoli, 2010, in part. p. 51 e ss.44 La sentenza interviene a seguito della proposizione del ricorso, da parte di 82 titolari di abbonamenti per seguire le partite di calcio giocate nello stadio della società del Catania, al fine di ottenere l’annullamento della sanzione inflitta al Catania ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.45 Secondo il Tribunale, nel caso di specie, mancherebbe uno dei requisiti necessari ad integrare un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ossia il nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento dannoso. La responsabilità per la società deriverebbe, non tanto dall’aver fatto o non fatto alcunché, ma unicamente dall’appartenenza ad una categoria generale ed astratta. Si tratterebbe, ad avviso del Tribunale, non di un caso di responsabilità oggettiva, bensì di una forma di “responsabilità per fatto altrui”. Premessa questa ricostruzione del regime di responsabilità oggettiva, il Giudice amministrativo giunge alla conclusione che gli stessi articoli del Codice di giustizia sportiva della FIGC, che introducono il sistema della responsabilità oggettiva nel calcio, siano illegittimi per contrasto con l’art.27 della Costituzione.46 La vicenda è estremamente complessa. Difatti, la sentenza del 19 aprile 2007 conferma il decreto del TAR Sicilia, che, il 4 aprile 2007, aveva sospeso temporaneamente le decisioni della giustizia sportiva. Il giorno dopo, l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno interviene sulla vicenda affermando che sarebbe preferibile che il Catania Calcio giocasse a porte chiuse, «considerate le gravi responsabilità attribuite alla tifoseria etnea dal giudice sportivo». Successivamente, il 12 aprile, il TAR del Lazio, riassumendo il giudizio tramite ordinanza, il decreto del TAR Sicilia su istanza della Federazione Italiana Giuoco Calcio, affermando la propria competenza territoriale funzionale esclusiva stabilita dalla legge n. 280 del 2003. Il TAR del Lazio si pronuncia sul merito e respinge le argomentazioni del TAR Sicilia in ordine alla sospensione della sanzione disciplinare. A seguito della sentenza del 19 aprile, il TAR Sicilia nomina addirittura 4 “ commissari ad acta” per dare esecuzione alla sentenza. Il 24 aprile, il Consiglio di Giustizia Amministrativa, secondo grado della giurisdizione amministrativa nella Regione siciliana, sospende provvisoriamente la sentenza del TAR Sicilia nella sua integralità, al fine di evitare il prodursi di effetti irreversibili, e rinvia il verdetto sul merito, che giunge con la successiva sentenza n. 1048 dell’8 novembre 2007. Nel frattempo, l’8 maggio 2007, il Catania Calcio e la Federazione Italiana Giuoco Calcio pervengono ad una conciliazione presso la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del CONI, nella quale: la società si dichiara estranea al ricorso presentato dal gruppo di abbonati presso il TAR Sicilia ed accetta la sanzione, ottenendo come contropartita l’apertura dello stadio al pubblico per le ultime due giornate del campionato.47 Tribunal administratif di Parigi, VI sect., III ch., 16 marzo 2007. Tale pronuncia è commentata, insieme alla sentenza del Tar Catania cit., da V. FORTI, op. cit., p. 13 ss.

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Questo il punto centrale della sentenza n. 679/2007 del Tar Catania: «Qualunque sia la

teoria preferita in ordine alla pluralità degli ordinamenti giuridici, resto fermo che l’ordinamento

sportivo, per funzionare normalmente, deve godere di un notevole grado di autonomia.

Tuttavia quest’ultima, per quanto ampia e tutelata, non può mai superare determinati

confini, che sono i confini stessi dettati dall’ordinamento giuridico dello Stato[…]

Pertanto, si appalesano illegittimi non soltanto gli impugnati provvedimenti sanzionatori

per i “vizi” evidenziati, ma anche le stesse norme del regolamento “Codice di giustizia sportiva”

della F.I.G.C., nella misura in cui, introducendo una tale forma di “responsabilità oggettiva” si

pongono, fra l’altro, in contrasto con l’art. 27 della Costituzione.

Conseguentemente, vanno annullati sia l’art. 9, commi 1 e 2 (che sostanzialmente pongono

a carico delle società sportive un onere di vigilanza non consentito dal T.U.L.P.S.) sia l’art. 11 di

tale regolamento».

La motivazione del Tribunale in ordine ad alcuni aspetti dell’istituto della responsabilità

oggettiva nell’ordinamento sportivo, con particolare riferimento ai profili di razionalità logica

giuridica e di compatibilità dello stesso con i principi generali della Costituzione in materia penale,

oltre che provare troppo, è anche fuorviante48.

Sotto questo profilo, occorre fare i conti con la circostanza che l’art. 27 della Costituzione

nel porre il principio fondamentale sulla responsabilità penale è stato elaborato con riferimento alla

persona umana, ed è interpretato dalla dottrina tradizionale come costituzionalizzazione del

principio di colpevolezza49.

La responsabilità penale delle persone giuridiche è fuori di quell’orizzonte storico, per dirla

con Angelo Falzea, in quanto l’enunciazione in Costituzione del principio della personalità della

responsabilità penale significa “personalità dell’uomo e soltanto dell’uomo”50.48 Il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia, infatti, segue un’altra strada rispetto al TAR ed interpreta il dato normativo offerto dalla legge n.280/2003 facendo ampio ricorso, piuttosto che all’art. 27, ai principi liberali che ispirano la Costituzione,. E così, con riferimento alle sanzioni irrogate dagli organi di giustizia sportiva, si può leggere nella sentenza: “Non ignora certo il Collegio, né poteva ignorarlo il legislatore allorché emanò il decreto legge n. 220 del 2003, …che l’applicazione del regolamento…e l’irrogazione delle più gravi sanzioni disciplinari…quasi sempre producono conseguenze patrimoniali indirette di rilevantissima entità. Se una tale opzione normativa si fosse svolta a livello secondario, sarebbe stata passibile di censure per indiretto contrasto col principio della generale tutela statuale sui diritti soggettivi patrimoniali. Viceversa, essendo stata operata a livello primario, non è soggetta ad altro vaglio che a quello costituzionale; che, da un lato, non sembra in alcun modo interferire con le scelte sopra ricordate del legislatore (almeno per quali riduttivamente risultanti dalla conversione in legge del decreto) e che, dall’altro, nel disciplinare l’iniziativa economica privata ne afferma, all’art. 41 Cost., la mera libertà. In tale contesto risulta legittima la scelta del legislatore ordinario di stabilire che, quando un imprenditore decida di operare nel settore dello sport, resti interamente ed esclusivamente assoggettato alla disciplina interna dell’ordinamento sportivo (cui la legge ha voluto riconoscere la più ampia autonomia)”.49 Su questo profilo cruciale v., da ultimo, D. PULITANÒ, La responsabilità da reato degli enti. Problemi di inquadramento e di applicazione, in Rappresentanza e responsabilità degli enti collettivi, vol. cit., p. 257, spec. p. 265, ove richiama il classico saggio di F. BRICOLA, Il costo del principio societas delinquere non potest, in Riv. it. dir. pen., 1970, p. 951 ss. 50 A. FALZEA, Responsabilità penale delle persone giuridiche, in Rappresentanza e responsabilità degli enti collettivi, vol. cit., p. 294.

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Premessa ad uno studio sulla...

Sintomatica è, a tal proposito, la circostanza che quando la dottrina penalistica imposta il

problema delle responsabilità delle persone giuridiche in chiave di colpevolezza - portata dal d.lgs.

8 giugno 2001 n. 231 – evoca il rimprovero all’ente della mancata adozione ovvero del mancato

rispetto di certi modelli organizzativi non riducibili agli adempimenti richiesti ai singoli individui51.

Detto altrimenti: il problema dell’armonizzabilità del principio di responsabilità personale

della pena con la responsabilità oggettiva prevista per le società sportive deve essere risolto nel

senso del carattere autonomo di questa e per tale ragione irriducibile al sistema penale.

Del pari, ad avviso di attenta dottrina, la relazione tra diritto penale e diritto disciplinare non

implica che il secondo debba rispettare comunque tutti i principi propri del primo52.

E’ più corretto semmai, al di fuori dell’inadeguata trama penalistica, richiedere che la

responsabilità oggettiva prevista per gli enti, quali le società calcistiche, «presenti un criterio di

collegamento adeguato, alla stregua del principio di ragionevolezza, con il fatto al quale la norma

fa capo per radicare la responsabilità»53.

Insomma: sia pure in veste diversa da quella degli autori dei singoli fatti illeciti penali, le

società calcistiche erano e sono esposte al procedimento disciplinare per responsabilità oggettiva e

agli effetti dell’applicazione delle regole sportive.

Il coinvolgimento delle società sportive (come responsabili in prima persona, come

destinatari di misure disciplinari) è da sempre iscritto nei principi e nella realtà dell’ordinamento

sportivo.

Sotto questo profilo, il dato più negativo della sentenza esaminata, in ordine all’assetto e alla

disciplina della responsabilità oggettiva sportiva, ci sembra sia rappresentato dall’affermazione che

essa deve necessariamente rispondere agli schemi della responsabilità penale, affermazione

tecnicamente giustificata con riferimento ai singoli autori dei fatti lesivi, ma che non tiene conto del

fatto che attraverso il coinvolgimento disciplinare delle società per fattispecie alle stesse

indirettamente attribuibili, l’ordinamento sportivo mira ad assicurare, ad un tempo, l’osservanza, da

parte dei dirigenti, tecnici, sostenitori, delle regole sportive, e l’attivazione delle società medesime

al sostegno delle forze di pubblica sicurezza e della giurisdizione statale al fine di evitare lesioni

riguardanti beni essenziali della persona, quali la dignità umana e l’incolumità fisica, rilevanti per

entrambi gli ordinamenti coinvolti (statale e sportivo). 51 D. PULITANÒ, La responsabilità da reato degli enti. Problemi di inquadramento e di applicazione, cit., p. 264.52 C. CASTRONOVO, Pluralità degli ordinamenti: autonomia sportiva e responsabilità civile, cit., p. 553, che sul punto riprende una considerazione già presente in F.P. LUISO Le «pene private» nel diritto sportivo, in F.D. BUSNELLI e G. SCALFI (a cura di), Le pene private, Milano, 1985, p. 169 ss., in part. p. 171. 53 Così . CASTRONOVO, Pluralità degli ordinamenti: autonomia sportiva e responsabilità civile, cit., p. 551.

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Premessa ad uno studio sulla...

Nonostante le innumerevoli critiche nei confronti delle norme che prevedono ipotesi di c.d.

responsabilità oggettiva va, infine, evidenziato che molte società calcistiche, negli ultimi anni, pur

avendo preannunciato ricorso avverso le sanzioni disciplinari inflitte, vi hanno, poi, di fatto

rinunziato.

Di fronte al costante ed uniforme giudizio degli organi di giustizia sportiva, ed in particolar

modo della Corte di Giustizia Federale, gli avvocati delle società non hanno avuto molto spazio di

manovra, ritenendo a volte opportuno desistere dal proporre giudizi pretestuosi ed inutili, anche in

considerazione del fatto che, nei procedimenti sportivi le difese non possono nemmeno servirsi di

espedienti dilatori, perché i procedimenti e le irrogazioni delle sanzioni sono caratterizzati da

estrema celerità ed efficacia54.

La scure della responsabilità oggettiva si è abbattuta inesorabilmente sulle società,

imponendo alle stesse un crescente impegno a difesa di quel nucleo di valori che, sia lo Stato sia la

comunità sportiva, ritengono essenziali.

«Il controllo delle gare, delle società, dei tesserati è qui usato come deterrente sociale per

impedire violenze anche lontano dagli stadi– scrive icasticamente Andrea Manzella – L’autonomia

sportiva si dilata sino a rendersi “corresponsabile” dell’ordine pubblico nella città della gara»55.

E’ su questo sfondo di necessaria coordinazione e collaborazione reciproca fra ordinamenti,

che la responsabilità oggettiva delle società sportive va concretamente inquadrata e valutata.

(*) Dottore di ricerca in Integrazione Europea, Diritto sportivo e Globalizzazione Giuridica

presso l’Università degli studi di Palermo.

54 Sull’argomento si confrontino i seguenti procedimenti reperibili sul sito www.figc.it www.figc.it alle voci: “ Corte di Giustizia Federale – Comunicato Ufficiale n. 246/CGF (2008/2009) – Testi delle decisioni relative al Comunicato Ufficiale n.108/CGF – Riunione del 12 febbraio 2009 – Ricorso dell’U.S. Alessandria 1912 avverso la sanzione dell’ammenda di euro 7.000,00 inflitta alla reclamante seguito della gara Alessandria/Carpendolo dell’11.01.2009 - (Delibera del Giudice Sportivo presso la Lega Italiana Calcio Professionistico – Com. Uff. n. 77/DIV del 13.01.2009)”; e “Corte di Giustizia Federale – Comunicato Ufficiale n. 296/CGF (2008/2009) - Testi delle decisioni relative al Comunicato Ufficiale n. 13/CGF – Riunione dell’1 agosto 2008 - Ricorso della S.S. Lazio avverso la sanzione dell’ammenda di euro 20.000,00 seguito gara Genoa/Lazio del 11.5.2008 - (Delibera del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 264 del 12.5.2008)”.55 A. MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie, in Riv. dir. sport., 1993, p. 1 ss., spec. p. 10.

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Note a margine di un convegno...

NOTE A MARGINE DI UN CONVEGNO

SUI RAPPORTI TRA ORDINAMENTO STATALE E

ORDINAMENTO SPORTIVO

di Antonino De Silvestri (*)

Sommario:

1. Le esigenze di storicizzazione e la cessata funzione euristica della teoria

ordinamentale;

2. Il c.d. ordinamento sportivo nazionale, la “ centralità” delle F.S.N. e la natura non

provvedimentale delle determinazioni giustiziali / endoassociative;

3. La sentenza della Consulta salva la legge vanificandone i contenuti, falcidiando il

diritto d’azione e rendendone incerti gli esiti.

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Note a margine di un convegno...

1. Le esigenze di storicizzazione e la cessata funzione euristica della teoria

ordinamentale.

L’individuazione dei rapporti che intercorrono tra ordinamento statale e l’ordinamento

sportivo, lungi dal costituire mero esercizio accademico, impatta invece in modo diretto con il

problema centrale del diritto dello sport, quello della tutela delle pretese che originano in ambito

federale.

La particolarità di tali pretese è che esse godono di una tutela bi - level: quella

endoassociativa, che non può mancare, affidata ad organi giustiziali interni e quella, eventuale,

devoluta invece ai giudici dello Stato.

Il punto di criticità tra le due forme di tutela è costituito dalla circostanza che esse si

muovono in modo indipendente e su presupposti diversi.

La prima è tendenzialmente esclusiva e autoreferenziale, soprattutto in funzione del

collegamento con il cosiddetto ordinamento sportivo mondiale, che postula uniformità di disciplina,

mentre la seconda, necessariamente ancorata ai valori costituzionali di cui lo sport è inevitabilmente

portatore, si manifesta invece come assorbente, non potendo in alcun modo tollerare l’esistenza di

zone franche dalla giurisdizione.

In siffatto contesto appare quindi di tutta evidenza come il trattamento dei vari contenziosi

specifici risulti una diretta conseguenza della scelta metodologica di fondo, finendo la prospettiva

separatista con il privilegiare i precetti autodisciplinari a tutto danno del sistema statuale della

legalità costituzionale, assunto invece come parametro inderogabile di valutazione se si muove

dall’opposto angolo di visuale.

Occorre però tenere presente come la questione separazione - integrazione non possa essere

affrontata misurandosi in astratto con le arcinote teorie del pluralismo giuridico, come si è soliti

fare, ma debba essere invece storicizzata, calata cioè nello specifico e concreto contesto di

riferimento, perché è solo confrontandosi con questo che è possibile riscontrare se la teoria classica,

che postula l’esistenza di una giuridicità astatuale, possa aspirare o meno a svolgere una proficua

funzione euristica.

Nell’immediato dopoguerra i giuristi dello sport, quasi tutti di estrazione CONI o comunque

vicini alle Federazioni, e quindi assai sensibili ai valori della c.d. autonomia dello sport, hanno fatto

largo e appagante ricorso alla teoria degli ordinamenti giuridici per schermare la giustizia

endoassociativa dagli interventi, ritenuti invasivi, o comunque sgraditi, dei giudici dello Stato.

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Note a margine di un convegno...

Utilizzando gli studi di Santi Romano, di Cesarini Sforza e quelli, più recenti, di Giannini, di Luiso

e dei Marani – Toro, incentrati tutti sulla negazione del monopolio statuale sulle fonti di diritto e

quindi sull’esistenza di altri ordinamenti, autoreferenziali e superiorem non recognoscentes , capaci

cioè di produrre norme differenti per forza, ma non per natura da quelle dello Stato, quegli studiosi

sono in tal modo riusciti ad accreditare il convincimento del “primato” del diritto sportivo con le

relative conseguenze a livello operativo.

Ed è parimenti un dato di fatto che tale applicazione specifica della teoria ordinamentale

allo sport ufficializzato, inserito cioè nei circuiti olimpici e federali, si sia radicata sempre più sul

piano dell’ “effettività” perpetuandosi pressoché incontrastata, salvo isolate voci di dissenso, sino

all’emanazione del decreto Melandri.

Ciò è potuto avvenire, però, per la concorrenza di due indefettibili presupposti di plausibilità

metodologica.

Innanzitutto l’anomia, quanto a natura e funzioni delle FSN, indiscutibilmente sedi di

svolgimento dei relativi contenziosi, solo nominate nell’abrogata legge n. 426/1942, ma

nient’affatto disciplinate.

In secondo luogo, l’effettiva rivendicazione di incondizionata autodichia da parte delle

stesse Federazioni. Lo testimoniano le motivazioni dell’epoca dei provvedimenti giustiziali dei loro

organi apicali, tutte concordi nel respingere ogni forma di eterointegrazione con norme e principi “

non propri” quali quelli statuali, sino a rivendicare talvolta apertamente la stessa sovranità

dell’ordinamento sportivo.

Con l’emanazione del decreto Melandri il contesto legislativo – ordinamentale è però mutato

in senso opposto.

Lo sport istituzionalizzato è stato infatti completamente disciplinato a livello statuale anche

relativamente ai contenziosi endofederali, nel dichiarato intento di voler perseguire il

contemperamento tra l’irrinunciabile sovranità e le esigenze di autodichia dello sport anche in

ragione della sua dimensione sopranazionale, ed il regolatore CONI si è fatto carico di disciplinare

in modo dettagliato il nuovo contesto.

Le FSN hanno di conseguenza dovuto modificare i loro statuti, sacralizzando solennemente

la loro fedeltà all’ordinamento repubblicano, e le stesse sono state ulteriormente “conformate”, per

il tramite della cennata attività regolamentare del CONI, al rispetto di principi cardine dello Stato,

come il giusto procedimento e quelli processuali del diritto civile, penale e amministrativo i quali, al

contrario della separazione, costituiscono invece un autentico manifesto dell’integrazione, ed i

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Note a margine di un convegno...

giudici sportivi, aprendo continuamente critiche finestre di confronto e di integrazione tra le

prescrizioni federali e la legislazione statuale si sono totalmente allineati, abbandonando

definitivamente ogni velleitaria pretesa di autoreferenzialità.

Se poi si pensa, volendo attualizzare il discorso, che la FIGC, nel denegare la scorsa estate la

revoca dello scudetto all’Inter, ha ritenuto di potersi considerare una Pubblica Amministrazione

legittimata, come tale, ad emanare provvedimenti amministrativi e che il TNAS, nel decisum del 15

novembre successivo, ha mostrato parimenti di considerare il Consiglio Federale un organo della

FIGC - PA, impostazioni queste che per definizione presuppongono integrazione, non può che

prendersi atto come sia avvenuta, da tempo, una sorta di omicidio del consenziente ad opera

dell’ordinamento generale, quello dell’ordinamento sportivo superiorem non recognoscens.

È però accaduto che gli specialisti, omettendo in larga parte di cogliere il radicale

mutamento di contesto che ha privato di ogni plausibilità metodologica il ricorso alla teoria

ordinamentale classica, abbiano invece continuato a riproporla, con tralaticia e acritica pervicacia,

per estrapolare il contenzioso sportivo dall’ordinamento generale, mostrando altresì di ignorare che

il processo in atto di globalizzazione giuridica in atto non offre più spazi per anacronistiche pretese

di separazione.

Se, allora, non può più essere seriamente discussa l’integrazione del c.d. ordinamento

sportivo in quello statuale, se ne deve necessariamente derivare che, nella soluzione dei problemi di

trattamento, non esistono affatto due giuridicità da raccordare o da contemperare e che, di

conseguenza, solo descrittivamente può discorrersi di “ due giustizie”, dovendocisi invece

rapportare unicamente con quella sportiva come integrata da quella statuale (e comunitaria).

Il che equivale a dire che le pretese maturate in ambito sportivo o sono prive di rilevanza

statuale, ovvero integrano situazioni giuridiche soggettive direttamente e pienamente protette:

tertium non datur.

2. Il c.d. ordinamento sportivo nazionale, la “ centralità” delle F.S.N. e la natura non

provvedimentale delle determinazioni giustiziali / endoassociative.

La monografia di Casini, presentata in occasione del convegno, descrive in modo

assolutamente condivisibile, al di là di ogni interpretazione frutto di schematismi e di simmetrie

concettuali che appartengono ormai alla storia del diritto, come lo sport ufficializzato, lungi dal

presentarsi come un granitico monoblocco, costituisca invece un plesso organizzativo assai

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Note a margine di un convegno...

articolato e complesso in continua evoluzione, espressione di un intreccio variegato di nazionale e

di sovranazionale, di pubblico e di privato.

Tralasciando, ai fini che interessano, la dimensione superstatuale dello sport, è certo che

quella nazionale, una volta cessata la funzione euristica della teoria classica, non può più essere

esaustivamente rappresentata con la semplicistica formula riassuntiva di “ordinamento sportivo” né,

più nello specifico, possono continuare ad essere omologate tra loro entità diverse per natura e

finalità, quali il CONI e le FSN, ancorchè funzionalmente collegate.

E’ indubbio che alla base dello sport ufficializzato ci sono gli individui e che, salendo in

verticale, tutte le strutture ulteriori costituiscono loro proiezioni, anche quella apicale, essendo il

CONI ente pubblico associativo e Confederazione di Federazioni al tempo stesso.

E’ però un dato incontestabile che le pretese sportive dei tesserati e delle affiliate maturano

tutte, indistintamente, in ambito federale e che i relativi contenziosi si svolgono esclusivamente tra

“intranei” associati, non potendo argomentarsi il contrario dall’esistenza delle ulteriori istanze

giustiziali presso il CONI, non a caso definite “esofederali”, che completano il sistema della

giustizia sportiva.

Al di là dunque della locuzione meramente descrittiva, di “ ordinamento sportivo” e dei

nessi realmente intercorrenti tra il CONI e le FSN, sono dunque quest’ultime le “formazioni sociali”

nel cui interno deve essere riscontrata l’eventuale violazione del sistema della legalità costituzionale

quanto alle posizioni dei cittadini – tesserati e delle società affiliate che costituiscono anch’esse loro

proiezioni.

Posizioni, peraltro, non sempre di facile individuazione, considerata la “trasversalità” dello

sport ufficializzato da ricondurre comunque, in estrema sintesi, alla tutela dei diritti inviolabili

dell’uomo funzionali allo sviluppo della sua personalità quanto allo sport dilettantistico, ed a quella

del lavoro e dell’impresa relativamente invece a quello professionistico: è però certo, in ogni caso,

che gli sportivi non potranno in alcun modo essere privati del diritto di far valere giudiziariamente

le loro pretese.

Senza poter entrare, in questa sede, nella diatriba pubblico – privato che da sempre divide i

giuristi dello sport, non posso non rilevare comunque come la recente sentenza della Consulta, di

cui dirò dopo, abbia ritenuto non pertinente, quanto al diritto di azione ex lege n. 280/2003, il

richiamo agli artt. 103 e 113 della Costituzione, invocati dal TAR remittente quale “ giudice

naturale” delle pretese sportive, evidentemente ritenuti non pertinenti attesa la natura non

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Note a margine di un convegno...

provvedimentale delle determinazioni giustiziali rese dalle federazioni quali organismi di diritto

privato.

Il che equivale, più nello specifico, a negare l’esistenza di posizioni di interesse legittimo in

capo ai tesserati e alle affiliate (lasciando aperta una parentesi per i casi, peraltro largamente

spiegabili, in cui le stesse operano su delega del CONI, ente pubblico ma confederale al tempo

stesso) con tutte le relative implicazioni in tema di giudice naturale delle e nelle formazioni sociali,

che non può essere quello ordinario, e ad aprire le porte all’accoglimento di una eventuale questione

quindi, di illegittimità costituzionale della attuale giurisdizione esclusiva sui contenziosi sportivi –

endoassociativi che in realtà difettano, prima ancora che di provvedimenti autoritativi, di una stessa

P.A.

3. La sentenza della Consulta salva la legge vanificandone i contenuti, falcidiando il

diritto d’azione e rendendone incerti gli esiti.

Al di là della notazione di politica legislativa, non certo priva di significato, che la materia

della giurisdizione avrebbe richiesto approfondimenti sistematici incompatibili con la logica

dell’emergenza, il decreto n. 220/2003 presenta nel suo impianto in ogni caso, innumerevoli vizi di

fondo ai quali il legislatore di conversione, impossibilitato in quel momento storico a farlo

decadere, non ha potuto in alcun modo porre rimedio.

Ed è proprio la relazione d’accompagnamento alla sua presentazione, laddove si specifica

che quello sportivo “è tradizionalmente riconosciuto quale ordinamento autonomo secondo la nota

teoria del pluralismo degli ordinamenti giuridici” e che, “la questione della relazione tra giustizia

sportiva e giustizia ordinaria si inquadra, ovviamente, nell’ambito del rapporto tra i due

ordinamenti” a render conto, expressis verbis , dell’equivocità del contesto che ne ha determinato i

contenuti.

Il decretatore d’urgenza, infatti, non si è reso conto di avere puntato sulla impossibile

coesistenza tra integrazione (che rinvia imprescindibilmente alla giurisdizione) e

separazione (che presuppone invece un’altra giuridicità) utilizzando i concetti di “ordinamento” e di

“ autonomia” quali sinonimi di ordinamento derivato e di autonomia endostatuale e, al tempo

stesso, di superiorem non recongnoscens e di incondizionata referenzialità.

E’ questo il contraddittorio background ideologico che ha portato decretatore e legislatore

all’assegnazione di blocchi di contenzioso a istanze non giurisdizionali, quali quelle sportive,

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prescindendo dal sistema della legalità costituzionale; a ritenere erroneamente che tale assegnazione

fosse una naturale conseguenza applicativa del “ principio di autonomia”; nonché, ancora, a sancire

che le pretese sportive possano rilevare statualmente solo indirettamente, in virtù dell’ulteriore “

principio di connessione”, come se allo Stato fosse consentito di rinunciare in prima battuta a

sovranità e giurisdizione per recuperarle poi per via interpretativa, in modo mediato.

E’ certo, in ogni caso, che l’inidoneità della legge a regolare in termini di diritto vivente la

materia delle sanzioni secondo la prevista riserva in favore del giudice sportivo era già emersa ictu

oculi nell’immediatezza della sua emanazione, aprendo la strada all’espediente salvifico

dell’interpretazione “correttiva”, che aveva finito però, in clamoroso contrasto con l’inequivoca

volontà legislativa, con il rendere possibile impugnative demolitorie di tutte le sanzioni disciplinari,

anche quelle di minore entità che, in precedenza, non si ritenevano tali in applicazione del

pragmatico criterio della alterazione di status.

Una volta emersi i contrasti giurisprudenziali che avevano portato il Consiglio di Stato a

ritenere l’uso del “grimaldello esegetico” per affermare la giurisdizione statale finiva per travalicare

il mero limite dell’interpretazione estensiva per rappresentare, invece, una aperta violazione del

dettato legislativo, il ricorso risolutivo alla Consulta doveva perciò considerarsi inevitabile.

La sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale, che com’è noto ha aperto la

strada al risarcimento del danno per equivalente in caso di sanzioni disciplinari ingiustamente

inflitte, troppo semplicisticamente è stata da taluni accolta come una vittoria della riaffermata

giurisdizione negata, invece, dalla lettera della legge.

Essa rappresenta, in realtà, un’occasione perduta per far finalmente giustizia, sentenziandone

l’incostituzionalità, della legge n. 280/2003, che altrove ho definito “un brutto cappello per la testa

sbagliata”.

“Un brutto cappello” perché, come del resto avevo ampiamente previsto nell’immediatezza

della sua emanazione, e come in ogni caso dimostrano le incertezze giurisprudenziali sfociate

nell’eccezione, essa ha completamente fallito il suo obbiettivo primario quello, preannunciato nella

relazione di accompagnamento al decreto, di razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e

quello generale in termini di giustizia sportiva per definire, finalmente in modo preciso, gli ambiti

di rilevanza statuale da quelli che dovevano invece restare confinati nel giuridicamente irrilevante.

“Per la testa sbagliata” perché il legislatore, dopo l’opzione per il privato nella disciplina

sostanziale delle Federazioni, si è invece incoerentemente orientato per il pubblico in quello

processuale, offrendo così la stura per inferire l’esistenza di interessi legittimi in ambito

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endoassociativo proprio dalla presenza del giudice amministrativo e addirittura, come ho già

rilevato, per sovvertire la loro natura privata trasformandole in enti pubblici in grado di emanare

provvedimenti amministrativi.

Sotto il profilo strettamente operativo, la sentenza ha dunque cristallizzato in negativo

l’impossibilità, per tesserati ed affiliate, di avvalersi di quella tutela demolitoria indispensabile per il

ripristino del bene della vita leso, l’unico effetto realmente voluto in caso di ricorso, che la pur

forzata interpretazione “correttiva” aveva comunque in precedenza garantito.

Ha perpetuato, inoltre, gli equivoci indotti dal dettato legislativo, ancorandosi pur sempre

sugli inaccettabili presupposti della doppia giuridicità, della distinzione tra effetti diretti e indiretti

delle sanzioni sportive nonchè della possibilità di avvalersi del principio di connessione.

Se poi si considera che evidenti esigenze di sistema non consentono di ipotizzare un

trattamento diverso per la riserva di contenzioso al giudice sportivo nelle materie di cui alla lett. a)

della legge 280/2003, materie peraltro di difficile individuazione perchè riferite all’incerta categoria

della giustizia tecnica, deve necessariamente concludersi che la Consulta ha finito, in buona

sostanza, con lo svuotare di contenuto ogni riserva, quindi, l’impianto dell’intera legge.

Il prezzo da pagare per il salvataggio della legge è per un altro verso ingiustificato e non

bilanciato, in quanto la tutela sostitutiva al bene della vita pregiudicato (si pensi alla squalifica a

vita o per un lungo periodo di un atleta professionista lautamente pagato ovvero alla radiazione di

una società quotata in borsa) sembra più una chimera che una prospettiva concreta.

Nel rinviare per ogni ulteriore dettaglio ad un mio saggio sull’argomento, sarà sufficiente

citare proprio il caso del contenzioso disciplinare del team manager della società cestistica nel corso

del quale è stata sollevata l’eccezione.

Sanzionato in primo grado dalla Commissione Giudicante Nazionale con l’inibizione a

svolgere qualsiasi attività federale e sociale per due anni lo stesso, che si è visto aumentare la pena

ad anni tre e mesi quattro dalla Corte federale, ha adito senza successo l’allora Camera di

Conciliazione e Arbitrato presso il CONI, che ha confermato l’anzidetta misura.

Posto che all’epoca era pacifico che l’attività della Camera non poteva in alcun modo essere

ricondotta alla Federazione interessata né tanto meno al CONI, ma solo agli arbitri, e che le

pronunce degli organi giustiziali della FIP erano invece sicuramente imputabili a questa, ove

accertata l’illegittimità della sanzione a chi dovrebbe dunque rivolgere il tesserato le proprie

richieste risarcitorie?

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Note a margine di un convegno...

E quali i criteri su cui fondarsi per ravvisare la natura della responsabilità e le colpe dei

giudicanti le quali ultime, contrariamente a quanto si è da taluni ipotizzato, non possono in alcun

modo ravvisarsi in re ipsa, sulla scorta cioè della mera illegittimità del provvedimento impugnato?

Vi sarebbe spazio per eventuali azioni di regresso?

E, da ultimo, siamo davvero certi che la soluzione della Corte, che falcidia il diritto di

azione dei tesserati e delle affiliate sia davvero gradita alle F.S.N. le quali, in sostituzione del meno

gravoso rischio di annullamento del provvedimento impugnato, si trovano ora esposte a ben più

pesanti conseguenze risarcitorie, oltre che a inevitabili aggravi di costi assicurativi connessi anche

alla tutela degli organi giudicanti?

(*) Avvocato del Foro di Vicenza, responsabile dell’area giuridica del Master SBS .

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Il testo riproduce i contenuti di un intervento svolto al Convegno “I rapporti tra ordinamento

statale e ordinamento sportivo”, a cura della Società Toscana degli Avvocati Amministrativisti,

tenutosi a Firenze il 2 Dicembre 2011, e ciò rende conto del tono discorsivo, privo di richiami

bibliografici, rimasto sostanzialmente inalterato.

Sui temi trattati vedi, comunque:

A. DE SILVESTRI, La Corte Costituzionale “azzoppa” il diritto d’azione dei tesserati e

delle affiliate, in questa stessa rivista, I, 2011, nonché La sentenza della Consulta tra contraddizioni

di sistema e spunti riscostruttivi , in Saggi di diritto dello sport, a cura di M. PESCANTE E P.

MATERA, 2012, in corso di pubblicazione.

E. LUBRANO, La Corte Costituzionale 49/11: nascita della giurisdizione meramente

risarcitoria o fine della giurisdizione amministrativa in materia disciplinare sportiva?, in Riv. dir. ed

econ. sport, 211, fasc. 1, 64;

F. BLANDO, La Corte Costituzionale individua lo soprt come una “formazione sociale” di

dimensione internazionale (tutela giurisdizionale e tutela associativa alla ricerca di nuovi equilibri

costituzionali del d.l. 220/2003 convertito nella l. 280/2003 – nota a Corte Costituzionale 11

Febbraio 2011, n. 49), in questa rivista, II;

A. PALMIERI, Tutela giurisdizionale dimidiata per le sanzioni disciplinari in ambito

sportivo, in Foro it., n. 10, ottobre 2011, pp. 2602 ss.;

G. MANFREDI, Tutele endoassociative e gruppi sportivi, in Giur. Cost., 2011, n. 1, pp 668

ss, nonché gli ulteriori saggi di F. BLANDO, S. FANTINI, T.E. FROSINI, nel numero monografico

della nuova Rivista di diritto sportivo, Sentenza 49/2011 Corte Costituzionale in www.coni.it, 2012.

DOTTRINA50

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PARTE SECONDANOTE A SENTENZA

SOMMARIO:

ANDREA PETRETTO, Un diritto costituzionalmente garantito: la libertà di gestione delle prestazioni sportive secondo le proprie abilità ed inclinazioni - Nota a sentenza n. 12465/2010 del Tribunale di Perugia (Sezione di Foligno))

pag.52

MARIA CIMMINO, L’attività sportiva dei minori tra protezione e promozione - Nota a sentenza Cass. n. 3353/2010

pag.59

DOMENICO ZINNARI, Tutela cautelare e clausola compromissoria - Nota a margine di due recenti decisioni della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C (pubblicata su www.figc.it))

pag.68

LINA MUSUMARRA, Organizzazione e servizio degli Steward negli stadi: profili di responsabilità amministrativa – Nota alle sentenze del tribunale di Verona del 4 marzo 2011 n. 586 e 590.

pag.87

MARIO VIGNA, La caduta dell’Osaka Rule: il fine non giustifica i mezzi o “Summum ius, summa iniuria”? Nota al Lodo TAS CAS 2011/O/2422 USOC v IOC (pubblicata su www.tas-cas.org))

pag.103

ERNESTO MESTO, Calcio sommesse ed illeciti sportivi: i doveri del calciatore professionista - Nota a C.U. n. 13/CDN FIGC del 09.08.2011

pag.112

51

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Un diritto costituzionalmente garantito...

TRIBUNALE di PERUGIA

Sezione di Foligno

Il Giudice

letto il ricorso ed esaminati gli atti osserva quanto segue.

Il ricorrente P. D. ha richiesto in via d’urgenza la dichiarazione di nullità del contratto che lo

vincola all’associazione sportiva dilettantistica Pr., con conseguente scioglimento di tale vincolo, al

fine di poter contrattare un nuovo tesseramento e/o trasferimento ad altra associazione sportiva:

scioglimento che gli è stato più volte negato dalla società Pr.

Il P. ha dedotto anzitutto la falsità sia della propria firma sia di quella apposta dai suoi

genitori sul modulo di tesseramento trasmesso dalla società Pr., in data 20.2.09, al Comitato umbro

della Federazione Italia Giuoco Calcio (F.I.G.C.). In relazione a tale doglianza è stata espletata una

C.T.U. calligrafica avente ad oggetto sia la sottoscrizione del P. D. sia quella dei suoi genitori,

necessaria in quanto il ricorrente nel 2009 era ancora minorenne.

Ebbene il perito ha concluso (cfr. pag. 14 dell’elaborato peritale, in atti), pur evidenziando di

aver avuto a disposizione poche firme comparative, che (quanto al padre) “La firma P. S. sul

tesseramento è sicuramente falsa”, che (quanto alla madre) “La firma R.M. sul tesseramento è

riferibile all’autografia” e che (quanto al ragazzo) “La firma P.D. sul tesseramento è molto

probabilmente falsa”.

In base a tali risultanze deve ritenersi sussistente il fumus boni juris della domanda del

ricorrente: se infatti sia la firma di quest’ultimo (si ribadisce, all’epoca minorenne) sia la firma del

padre sono false, certamente il tesseramento in questione è nullo, non potendo lo stesso avere

validità solo in virtù del consenso espresso della madre (l’unico che risulta valido) posto che un

contratto che vincoli un minorenne ad effettuare prestazioni sportive solo nei confronti di una

singola società e per molti anni, fino al compimento del 25° anno di età, è atto che non può che

qualificarsi di straordinaria amministrazione, con la conseguenza che esso può essere stipulato, per

il ragazzo, solo con il consenso validamente espresso di entrambi i genitori (riconoscendo l’art. 320,

comma 1, c.c. a ciascun genitore, disgiuntamente, la possibilità di agire da solo in rappresentanza

del figlio solo in relazione agli atti di ordinaria amministrazione).

Che poi il giudizio relativo alla sottoscrizione del ragazzo sia stato espresso solo in termini

di elevata probabilità è circostanza che non compromette in alcun modo la sussistenza del fumus

NOTE A SENTENZA52

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Un diritto costituzionalmente garantito...

richiesto nella sede cautelare dove, per l’appunto, tale requisito, per definizione, non presuppone la

prova piena dei fatti allegati.

Si noti, peraltro, sotto altro profilo, che nella specie appare dubbia anche la genuinità del

consenso espresso dalla madre posto che la Commissione disciplinare territoriale del Comitato

regionale della F.I.G.C. (cfr. decisione in data 7.5.2010, agli atti) ha sanzionato uno dei dirigenti

della società Pr., B.E., per aver tenuto nei confronti della madre (analfabeta) del P. (così come nei

confronti delle famiglie di altri ragazzi, secondo quanto emerso dalle testimonianze raccolte in

quella sede) condotte minacciose al fine di farle firmare il modulo di tesseramento del figlio, o

addirittura richieste di dubbia liceità dicendole che se D. “voleva veramente andarsene era lui la

persona da interpellare e che chiunque lo volesse doveva sborsare 15.000,00 Euro”.

Sussiste poi certamente, nella specie, anche il requisito del periculum in mora, posto che il

perdurante rifiuto, da parte dei dirigenti della Pr., di liberare il P. dal vincolo nascente dal (con ogni

probabilità, falso) tesseramento pregiudica in modo permanente – e quindi ogni giorno in misura

crescente ed anche a tutt’oggi, essendo ancora il ragazzo “bloccato” nelle sue scelte sportive – la

sua libertà (costituzionalmente garantita quantomeno dall’art. 18 della Costituzione) di gestire le

proprie prestazioni sportive nel modo, e con la società, ritenuti maggiormente adatti alle proprie

abilità ed inclinazioni.

Il ricorso dovrà pertanto essere accolto. Non potrà invece prendersi in considerazione

l’istanza ex art. 614 bis c.p.c. in quanto disposizione afferente il processo esecutivo né la richiesta di

risarcimento del danno trattandosi in questo caso di domanda di merito.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo di cui appresso.

p.q.m.

- in accoglimento del ricorso proposto da R. M., quale genitore esercente la potestà sul figlio

P. D., ordina all’associazione sportiva dilettantistica Pr., in persona del legale rappresentante pro-

tempore, il rilascio del nulla-osta di tesseramento e/o di trasferimento del calciatore D. P. ad altra

associazione sportiva di gradimento di quest’ultimo;

- condanna l’associazione sportiva dilettantistica Pr. alla rifusione delle spese processuali

sostenute dal P. che si liquidano in complessivi Euro 1.250,00 di cui Euro 550 per diritti ed Euro

700 per onorari oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge e borsuali forfettari pari al 12,5%;

- cedono infine a carico dell’associazione Pr. le spese di CTU già liquidate in separata sede.

Foligno, lì 31.10.2011

NOTE A SENTENZA53

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Un diritto costituzionalmente garantito...

UN DIRITTO COSTITUZIONALMENTE GARANTITO: LA LIBERTÀ DI GESTIONE DELLE PRESTAZIONI SPORTIVE SECONDO LE

PROPRIE ABILITÀ ED INCLINAZIONI

NOTA A SENTENZA N. 12465/2010 DEL TRIBUNALE DI PERUGIA (SEZIONE DI FOLIGNO)

di Andrea Petretto (*)

1. Il caso

L’ordinanza in commento riguarda la conclusione di un procedimento d’urgenza instaurato

conseguentemente al reiterato diniego da parte della società sportiva di voler concedere lo

scioglimento del vincolo sportivo che legava la medesima al giocatore minorenne ricorrente.

La principale contestazione che viene rivolta è la nullità del sotteso contratto e, dunque, del

conseguente vincolo, stante la falsità della firma apposta dai genitori del ricorrente minorenne

nonché quella posta dallo stesso.

A seguito di una C.T.U. calligrafica richiesta a tal scopo, si è potuto appurare, in maniera

alquanto certa e sicura, che quanto contestato, ossia la falsità delle firme apposte dal padre e dal

figlio minorenne, fosse motivato e veritiero.

Dovendo, quindi, ritenere fondato il fumus boni juris del ricorso presentato, il contratto ed il

conseguente tesseramento dovevano essere considerati sicuramente nulli.

L’ordinanza in oggetto, infatti, chiaramente statuisce come il contratto che vincoli un

minorenne ad effettuare prestazioni sportive nei confronti di una sola società fino al compimento

del 25° anno di età debba necessariamente considerarsi un atto di straordinaria amministrazione per

il quale, dunque, è necessario il consenso di entrambi i genitori.

NOTE A SENTENZA54

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Un diritto costituzionalmente garantito...

Interessante, a questo punto, si rivela la seconda parte inerente il periculum in mora

derivante dal “perdurante rifiuto da parte dei dirigenti della [società] di liberare il [minore] dal

vincolo nascente dal tesseramento [pregiudicando così in modo permanente – stante l’attuale blocco

nelle scelte sportive del minore –] la libertà costituzionalmente garantita quantomeno dall’art. 18

della Costituzione di gestire le proprie prestazioni sportive in modo e con le società ritenuti

maggiormente adattati alle proprie abilità ed inclinazioni”.

Pertanto, in considerazione di dette attente valutazioni veniva accolto il ricorso condannando

l’associazione sportiva dilettantistica a rilasciare il nulla-osta di tesseramento e/o di trasferimento

del calciatore minorenne ad altra associazione sportiva di proprio gradimento.

Ebbene, anche in questa decisione si possono dedurre alcuni aspetti che in parte, purtroppo,

risultano consolidati nel “costume societario calcistico”.

Si ritiene doveroso, infatti, evidenziare il comportamento minaccioso e coercitivo adottato, e

giustamente censurato dal Tribunale di Perugia, dai dirigenti dell’associazione sportiva da cui si

evince la normale consuetudine nell’attuare tal sorta di condotta.

È, purtroppo, inevitabile nuovamente rilevare come atteggiamenti superficiali e, come visto

anche nel presente caso, illegittimi, siano, oltre che all’ordine del giorno, ricercati, consolidati e

voluti.

Nel concordare con la posizione adottata dal Tribunale di Perugia si rende altresì necessaria

un ulteriore censura di quanto nuovamente, purtroppo, emerso.

Fin troppo spesso, infatti, accade di contratti, tesseramenti o altri atti ufficiali a cui non viene

data la dovuta ufficialità ed importanza venendo addirittura falsificati con una tale semplicità e

noncuranza da generare sospetto e sgomento da addetti ai lavori e non.

Troppo spesso si legge o si viene a sapere di casi molto simili a quello oggi in esame, ossia

di contratti e conseguenti tesseramenti sottoscritti da soggetti non in possesso di poteri a tal fine

richiesti, di ricevute di pagamento eseguite non regolarmente, di sottoscrizioni di atti non adatti allo

scopo per cui vengono utilizzati e per esigenze diverse da quelle effettive e reali, oltre a condotte al

limite della minaccia o costrizione personale.

Invero, fin troppo spesso, come rilevato anche in altre occasioni, ci si “nasconde” dietro il

dilettantismo al fine di legittimare detti comportamenti trovandone in esso la ragione giustificativa.

Ebbene, ciò non poteva e non doveva essere ammesso e tollerato in precedenza quando tali

attività e interessi erano piuttosto esigui, ma, adesso, che il settore dilettantistico ha ormai assunto

NOTE A SENTENZA55

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Un diritto costituzionalmente garantito...

una rilevanza ed una importanza dai connotati simili e in parte equiparabili al settore

professionistico, è ancor meno accettabile.

Non si ritiene, infatti, sia più possibile affidare la gestione di una società o associazione

calcistica ad una conduzione improvvisata e superficiale che darebbe adito e spazio ad altri,

differenti scopi troppo lontani da quello che dovrebbe esserne l’unico e il principale: lo sport.

A parere dello scrivente, infatti, sembra possibile poter delineare una precedente reale e

giustificata distinzione tra settore professionistico e settore dilettantistico da ricercarsi sia

nell’impegno fisico richiesto sia nell’aspetto gestionale-economico.

Dal punto di vista gestionale tale differenza poteva denotarsi dalla semplicità e quasi

ingenuità che caratterizzavano il settore dilettantistico stante l’amatorialità – nel vero senso della

parola – di quanto effettuato nei diversi ruoli.

Tale condotta poteva essere ammessa e trovare una giustificazione nella concezione primaria

e quasi poetico-romantica che si aveva e si voleva dare al calcio come ad ogni altro sport, portando

in secondo piano altri aspetti che dovevano ritenersi meno importanti e marginali rispetto all’attività

sportivo-agonisitca. Ciò portava alla giustificazione di alcune lacune presenti dal punto di vista

gestionale che, per quanto appena accennato unitamente all’esigua partecipazione, venivano

ammesse e tollerate.

Col tempo, però, tale equilibrio è andato perdendosi sia per il massiccio aumento del numero

di partecipanti a tale attività sportiva quale è il calcio – stante la cultura che via via si è creata e

consolidata nel nostro Paese per tale sport – sia per i conseguenti interessi che si sono immessi ed

evoluti nello stesso a scapito di quello che, comunque, sarebbe dovuto rimanere il vero ed unico

protagonista, ossia lo sport del calcio.

Tale inversione di tendenza, se così la si vuole denominare, ha dunque rimosso le basi per le

suddette giustificazioni che, nel momento in cui vengono ancora ammesse e ricercate vanno a

creare ed alimentare l’humus che ha condotto alla distorsione di ciò che, probabilmente e forse solo

in alcuni casi, poteva essere realmente riconducibile alla buona fede e in parte ignoranza dei

soggetti addetti.

Ad oggi, dunque, non è più possibile tollerare tali mancanze e lacune che a volte sono

addirittura volute e ricercate per secondi fini.

Invero, a fronte dell’evoluzione degli interessi in gioco, oltre che per la maggior tutela degli

stessi e, dunque, per la corretta attuazione dello sport stesso, certi atteggiamenti non sono più

ammissibili.

NOTE A SENTENZA56

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Un diritto costituzionalmente garantito...

Si ritiene, infatti, che detti comportamenti troppo spesso – è doveroso il ripetuto utilizzo di

detta locuzione – riempiono le pagine di giornali, aule di tribunali sportivi, togliendo spazio a quello

che dovrebbe essere l’unico vero attore da considerare e su cui eventualmente discutere: lo sport.

Si osserva, dunque, come sia, invece, necessario restituire spazio proprio al calcio così come

ad ogni altro sport in sé, tralasciando ciò che tale non è considerandolo necessariamente come altro,

diverso seppur allo stesso correlato.

Si ritiene, insomma, auspicabile una netta separazione ed ulteriore differenziazione tra i vari

aspetti che ruotano intorno allo sport e che conducono a comporre ciò che viene definito come

“mondo sportivo”.

Se, però, da un lato si auspica ad una maggiore e netta distinzione tra l’attività sportiva

propriamente detta e gli interessi ad essa connessi, dall’altro si delinea superflua e anacronistica la

distinzione tra settore professionistico e quello dilettantistico.

Invero, in considerazione proprio degli interessi di tutte le parti coinvolte e dei conseguenti

effetti, anacronistica appare la necessità di avere diverse tipologie di contratti, di assicurazioni, una

diversità di considerazione e trattamento dei vincoli in tal modo sorti, o anche semplicemente la

diversa considerazione e rilevanza tra i due settori e della relativa gestione.

Insomma, un contratto e conseguenti vincoli e obblighi, oltre a doversi considerare alla

stessa stregua tanto tra i professionisti quanto tra i dilettanti – seppur con le dovute differenze di

contenuto che saranno comunque le parti ad inserire – rimane sempre un accordo delle parti che

troverebbe comunque attuazione nella disciplina codicistica ordinaria o nella contrattualistica

collettiva nazionale senza alcuna necessità di “scomodare” altri genus normativi.

Quanto emerge dalla lettura del provvedimento in commento, sembrerebbe, dunque,

aspirare, o quantomeno richiamare, ad una sorta di ridimensionamento e rivisitazione degli interessi

in gioco.

Rivisitazione, quindi, che si renderebbe necessaria, da una parte, del “costume sportivo”,

della cultura sportiva e, dall’altro, dei contenuti normativi che tuttora permettono l’avverarsi di

alcune circostanze, quale, ad esempio il caso qui in esame, il vincolo incondizionato di un soggetto

per un così lungo periodo di tempo e a condizioni tali da richiamare una sorta di sudditanza e di

quasi schiavitù.

È in quest’ottica che sembra lungimirante l’ordinanza in analisi lì dove ridà la dovuta

importanza a certi aspetti anche e soprattutto di diritto che a volte non sembrano tutelati né

considerati o, addirittura, calpestati.

NOTE A SENTENZA57

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Un diritto costituzionalmente garantito...

Da un lato, dunque, ci vorrebbe una netta ed ulteriore differenziazione tra gli interessi e

sottesi scopi in campo in modo da distinguere chiaramente ciò che è lo sport, l’attività sportivo-

agonistica in sé e quanto a questo correlato caratterizzante il cosiddetto “mondo sportivo”, la

“industria sportiva” e, dall’altro lato, invece, per la normazione e garanzia di detti aspetti si

dovrebbe aspirare ad una riunione con i regimi ordinari di tutela non sussistendo la necessità di una

ulteriore separazione per ciò che, anzi, ha dato la possibilità di creare quegli effetti distorsivi che

sminuiscono il reale motore di tutto (lo sport) a favore di altri interessi da considerare marginali e

non degni di menzione.

Il richiamo di alcuni principi, tra cui quello costituzionale, effettuato all’interno della

decisione in esame sembrerebbe suggerire proprio questo: un ritorno ed una riconsiderazione delle

condotte adottate e in qualche modo sinora ammesse, unitamente alla necessaria tutela da offrire a

certi aspetti e interessi che, come nel caso sotteso, non sembra esserci più o non sembra essere

sufficiente nei modi di attuazione della normativa, e in parte anche della giustizia, sportiva.

(*) Avvocato del foro di Roma, Assistente Università degli Studi del Foro Italico, Roma.

NOTE A SENTENZA58

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L'attività sportiva dei minori...

Cassazione 12 febbraio 2010 n. 3353

In tema di svolgimento dell'attività medica, incorre in responsabilità professionale - per

violazione dell'obbligo di diligenza di cui all'art. 1176, secondo comma, cod. civ., e del dovere di

"protezione" che grava sul medico - il sanitario che, non tenendo in adeguata considerazione una

pregressa documentazione attestante l'esistenza di una grave patologia, rilasci ugualmente un

certificato di buona salute del paziente, potenzialmente utilizzabile per un numero indeterminato di

attività, in tal modo fornendo un contributo causale al verificarsi di un danno alla salute del paziente

medesimo. (Fattispecie in tema di arresto cardiocircolatorio, con gravi postumi invalidanti, occorso

ad un minorenne nello svolgimento di attività sportiva).

L’ATTIVITÀ SPORTIVA DEI MINORI TRA PROTEZIONE E PROMOZIONE.

NOTA A SENTENZA CASS. N. 3353/2010

di Maria Cimmino (*)

SOMMARIO:

1. Il fatto.

2. Il problema.

3. Attività sportiva dei minori: responsabilità medica e responsabilità dei genitori: due

posizioni di garanzia a confronto.

4. Conclusioni.

NOTE A SENTENZA59

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L'attività sportiva dei minori...

1. Il fatto

Durante un allenamento di calcio presso una parrocchia, un minore rimane colpito da un

arresto cardiocircolatorio, riportando gravi e permanenti postuli invalidanti sia cerebrali che motori.

Il giudizio costituisce occasione per accertare che nonostante il ragazzo fosse stato

sottoposto a visita cardiologica con esito negativo circa la pratica dello sport agonistico, il medico

aveva rilasciato successivamente un generico certificato di idoneità alla attività sportiva non

agonistica, in quanto richiedente un minimo sforzo cardiocircolatorio.

Quindi, il minore, per volontà dei genitori e con il consenso dell’allenatore responsabile

della parrocchia, veniva ammesso alla partecipazione al gioco del calcio, con suo grave pregiudizio.

2. Il problema

Di fronte all’evento dannoso che colpisce il minore durante una partita di calcio,alla quale

egli non avrebbe potuto e dovuto partecipare, stante il citato atto medico, i genitori dello sportivo

sono indotti a chiedere il risarcimento del danno al professionista, colpevole di non aver soppesato

la gravità delle condizioni di salute del piccolo e di aver rilasciato una generica certificazione di

idoneità alla pratica non agonistica, senza indicare specificamente a quali attività sportive il minore

avrebbe potuto dedicarsi.

Sebbene dall’esposizione dei fatti risulta che il medico fosse stato condannato come

corresponsabile al 60% dell’evento dannoso, appare opportuno riflettere sul rapporto tra

responsabilità medica e responsabilità genitoriale, visto che il fatto illecito coinvolge un minore

d’età.

Ad una prima lettura pare non ci sia da obiettare in merito alla decisione del Giudice che ha

riconosciuto la colpa medica, dal momento che il professionista in buona sostanza aveva omesso di

dare la giusta importanza alla pregressa certificazione specialistica dalla quale si evinceva l’idoneità

alla pratica sportiva agonistica.

Tuttavia la lettura del caso portato all’attenzione della Suprema Corte induce a chiedersi fin

dove si estenda la responsabilità del medico e dove invece sia da ravvisare quella genitoriale.

La questione appare quanto mai delicata, poichè, come si avrà modo di precisare in

prosieguo, essa involge non la responsabilità del genitore verso i terzi cui il minore possa aver

arrecato danno, ma riguarda piuttosto il rapporto interno genitori figli e i doveri di protezione dei

primi verso i secondi.

NOTE A SENTENZA60

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L'attività sportiva dei minori...

Ed infatti è facile osservare che il controllo della salute e dell’integrità del minore spettava

in tal caso ai genitori i quali, consapevoli delle condizioni di salute del figlio, di cui conoscevano

sicuramente la particolare patologia che lo rendeva inidoneo alla pratica sportiva, lo ammettevano

comunque a partecipare all’allenamento.

3. Attività sportiva dei minori: responsabilità medica e responsabilità dei genitori

nell’attività sportiva.

La dottrina1 rileva come la figura della responsabilità medica sia venuta negli ultimi decenni

prepotentemente alla ribalta della cronaca giudiziaria sia per una rinnovata presa di coscienza dei

cittadini in ordine alla titolarità di un diritto fondamentale ed indisponibile come quello alla salute,

sia perché, in una società fortemente massificata, si è passati da una funzione squisitamente

sanzionatoria della responsabilità civile ad una funzione di allocazione dei rischi e dei costi sociali

di attività lecite dannose.

In questo quadro si è addirittura sostenuto che la responsabilità medica rispondesse a dei

principi e delle regole, formatesi in via giurisprudenziale, avulsi da quelli del sistema della

responsabilità civile.

Non è possibile nell’economia del presente lavoro dar conto della vastissima e copiosissima

congerie di lavori in materia né dell’altrettanto vasta giurisprudenza sul punto.

Numerose le questioni controverse a partire da quella relativa al titolo della responsabilità e

dell’obbligazione medica. Infatti, fuori dei casi in cui sia individuabile un contratto tra medico e

paziente, viene revocato in dubbio se la responsabilità tragga fonte dalla violazione di

un’obbligazione, integrando illecito contrattuale, ovvero, risolvendosi nella lesione di un diritto

inviolabile, essa sia riconducibile all’illecito aquiliano2.

Il caso portato all’attenzione della Suprema Corte, né può esser una prova.

Esiste un rapporto contrattuale tra medico e sportivo, chi ne ha richiesto la prestazione

medica? A quale titolo va ricondotta la responsabilità verso il minore?

1 GLIATTA, Responsabilità medica e condotta del professionsita, l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, in Resp. civ., 2009, ivi, MALAGOLI, Recenti tendenze in tema di responsabilità civile del medico, 67; ZENO ZENCOVICH, Una commedia degli errori, la responsabilità medica tra illecito e inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008, 3, 297; AMODIO, La responsabilità medica, in Dig. disc. priv. Sez. civ. agg., 2003, 1174.2 Da ultimo Cass. SS.UU. 11 gennaio 2008 n. 577, in Giur. It., 2008, 7, 1653, con nota di CIATTI, Crepuscolo della distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato, e in Danno e resp., 10, 2002, con nota di GAZZARA, Le S.U. fanno il punto in tema di onere della prova in tema di responsabilità sanitaria. Secondo la Corte la responsabilità del medico non trova titolo nell’inadempimento dell’obbligazione, con la conseguenza che grava sul danneggiato l’onere della prova della difformità della prestazione eseguita dal modello della prestazione diligente, mentre il professionista dovrà provare il fatto impeditivo e cioè che l’inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile.

NOTE A SENTENZA61

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L'attività sportiva dei minori...

Nel caso de quo la gravità del fatto sembra derivare anche dalla circostanza della pregressa

sussistenza di una documentazione medica specialistica dalla quale era dato evincere la cardiopatia

da cui il minore era affetto, e che lo rendeva inidoneo all’agonismo

Brevemente si ricorda che la responsabilità medica viene inquadrata nell’ambito

dell’inadempimento delle obbligazioni di mezzo3, laddove non può imporsi al medico l’obbligo

della guarigione del paziente, ma solo quello di cura.

Sicchè, in caso di evento pregiudizievole, il mancato risultato non può di per sé esser prova

della responsabilità, dovendosi piuttosto valutare la condotta del professionista alla luce del canone

della diligenza professionale4.

In particolare si tratta di un adeguato sforzo tecnico da realizzare impiegando energie

normalmente ed obiettivamente utili in relazione alla natura dell’attività esercitata.

Il concetto di normalità è variabile poiché dipende dal grado di specializzazione

professionale del medico e dalla pericolosità della prestazione; essa si risolve nella richiesta di una

scrupolosa attenzione e di un’adeguata preparazione professionale5.

Gli elementi costitutivi di tale fattispecie di responsabilità sono quindi, sul piano oggettivo

la condotta non diligente del professionista, l’evento dannoso e il nesso di causalità; mentre sul

piano soggettivo si richiede la colpevolezza dell’autore.

Nell’accertamento della responsabilità medica esistono due ordini di difficoltà il primo è la

ricostruzione del nesso di causalità tra evento dannoso e condotta negligente, il secondo è quello

relativo alla colpa intesa come difetto di diligenza.

E’ facile osservare come si affaccino all’orizzonte del giudizio sulla responsabilità due

valutazioni di tipo probabilistico, l’una riguarda l’accertamento della colpa, che sostanzialmente si

può risolvere in una mancata previsione dell’evento, l’altra invece concerne l’accertamento del

nesso di causalità materiale in base ad una valutazione prognostica attraverso la quale si tende ad

accertare che con una probabilità prossima alla certezza6, valutata in base alle cosiddette leggi

3 Va rilevato che la classica distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato è stata da ultimo sottoposta a revisione critica. In argomento si rinvia a NICOLUSSI, Sezioni sempre più unite contro la distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzo. La responsabilità del medico, in Danno e resp., 2008, 8-9, 929 ss.4 In argomento si rinvia ex multis a C.M. BIANCA, Diritto civile, L’obbligazione, Milano, 1993, 90 ss.5 Cass. 1 febbraio 2011 n 2334, in Danno e resp. 2011, 8-9, 835 ss., con nota di BUGATTI, Responsabilità medica: norme di diligenza e riparto dell’onere probatorio. (Responsabilità per danni al neonato); Cass. 13 aprile 2007 n. 8826, in Riv. it. med. leg. , 2008, 849.6 In realtà l’accertamento del nesso di causalità è come quello della colpevolezza molto delicato. Sussistono, infatti, in dottrina diverse teorie in argomento, tra cui quella della conditio, quella della causalità adeguata e quella della causalità ricostruita in base a leggi scientifiche. (Sul punto, BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI, Diritto civile, Obbligazioni e contratti, 721 ss.). La giurisprudenza rileva come sussista una certa differenza tra l’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità civile (dove si applica il giudizio del più probabile che non) e nella responsabilità penale dove il giudizio probabilistico deve essere prossimo ad escludere ogni ragionevole dubbio. Si distingue inoltre la causalità materiale in riferimento all’evento prodotto dalla condotta e la

NOTE A SENTENZA62

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L'attività sportiva dei minori...

scientifiche di copertura l’evento in concreto prodottosi si sarebbe verificato come conseguenza

della condotta posta in essere.

La valutazione della colpa e l’accertamento del nesso di causalità sono rimessi a due ordini

di valutazioni che però operano su piani distinti.

Con riferimento alla colpa si dovrà valutare la negligenza, l’imperizia ed imprudenza del

professionista usando come modello di paragone quello del professionista medio, mentre la

causalità verrà accertata in base al riferimento alla legge statistica che dimostra l’idoneità di una

condotta a produrre un certo tipo di evento con un’elevata probabilità.

Come noto7 in materia di tutela della salute degli sportivi esiste una legislazione speciale, tra

cui il D.M. 18 febbraio 1978 per gli agonisti e il D.M. 28 febbraio 1983 per i non agonisti. A tali

normative si aggiungono altri provvedimenti tra cui la normativa della legge 23 marzo 1981 n. 918

per gli sportivi professionisti.

E’ prescritto a carico delle società e degli organizzatori l’obbligo di sottoporre a visita

medica gli atleti e di munirsi della connessa certificazione relativa allo stato di salute dello sportivo.

Nel caso concreto si è dovuta dimostrare la colpa del medico che per imperizia non aveva

valutato la gravità della patologia e per imprudenza aveva rilasciato comunque un generico

certificato di idoneità, non prevedendo la probabilità di un evento dannoso per la salute del

paziente.

La Corte ha altresì attribuito l’evento verificatosi in concreto alla condotta medica,

affermando che la stessa ne era stata la causa, dal momento che se non fosse stato rilasciato il

certificato il minore non sarebbe stato ammesso alla pratica sportiva. Si legge infatti nella sentenza

che il medico avrebbe dovuto valutare i rischi di natura medica e ben valutare che il certificato

rilasciato avrebbe potuto esser usato per un numero indeterminato di attività sportive.

Tuttavia, in questa sede si vuole dar conto di un altro aspetto. Si accenna, infatti, nella

decisione che accanto a tale negligenza ed imprudenza andava valutata in termini percentuali la

concorrente responsabilità dei genitori che insistevano per far partecipare il minore all’attività

sportiva.

causalità giuridica in relazione alle ulteriori conseguenze dannose correlate all’evento dannoso. Sul punto, Cass. 21 luglio 2011, n. 15991, in www.italgiure.giustizia.it.7 In argomento si rinvia a COLANTUONI, Diritto sportivo, Torino, 2009, 474 ss; BRIGUGLIO, La tutela sanitaria delle attività sportive, in AA. VV., Attività motorie e attività sportive: problematiche giuridiche, Padova, 2002, 159 ss.8 Per gli sportivi professionisti la legge è stata specificata dal D.M. 13 marzo 1995, limitatamente ad alcuni sport (tra cui il calcio). Va segnalata anche la circolare ministeriale del 20 maggio 2008 sull’età minima per l’accesso alle attività sportive.

NOTE A SENTENZA63

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L'attività sportiva dei minori...

Ed infatti, a ben guardare, se è vero che il rilascio del certificato non può esser considerato

come mera occasione dell’evento rispetto ad alter cause sopravvenute idonee a produrlo, va da sé

che la decisione dei genitori di ammettere il minore alla pratica di quel tipo di sport, nella selezione

degli antecedenti logici dell’evento dannoso sembra la causa più idonea o vicina al medesimo.

In merito va richiamata pertanto qualche brevissima considerazione sulla posizione dei

genitori.

Come anticipato, non si tratta di analizzare la responsabilità disciplinata dagli artt. 2047 c.c.

e 2048 c.c., i quali9 facendo capo alla culpa in vigilando e alla culpa in educando per pacifica

giurisprudenza10 non trovano applicazione all’ipotesi di danni autoprocuratisi dal minore.

Il fatto è che nella circostanza portata all’attenzione della Suprema Corte, in oggetto, non si

tratta di un danno che il minore si era cagionato con la propria condotta, salvo la decisione che egli

stesso aveva preso di partecipare all’allenamento, ma piuttosto di un evento dannoso ascrivibile

piuttosto alla decisione dei genitori di ammetterlo all’allenamento.

In tali casi quindi sembra che nella selezione degli antecedenti logici che possono esser

individuati come causa dell’evento vada posta non tanto la condotta, (il gioco in sé), tenuta dal

minore che si allenava, quanto la decisione di allenarsi presa in uno con i genitori, nonostante la

conoscenza di un rischio.

Sembra quindi che trattandosi di minore d’età l’analisi della responsabilità vada incentrata

sul comportamento dei genitori, che più di tutti avevano il potere e il dovere di controllo della

situazione e che quindi avrebbero dovuto scongiurare la partecipazione del minore al gioco.

Non è peraltro nemmeno da escludere una responsabilità dell’associazione, diversamente da

quanto pare abbia ritenuto il Supremo Collegio, che munendosi del certificato medico si era

avvantaggiata ai sensi dell’art. 2049 c.c. dell’operato del professionista11.

Occorre a questo punto dar conto brevemente dei doveri che la legge pone a carico dei

genitori nell’interesse dei figli minori.9 CAMPIONE, Il fatto dannoso del minore incapace, in SESTA, La responsabilità nelle relazioni familiari, in Nuova giur. civ. commerciale, collana diretta da Bigiavi, Torino, 2008, 598; ANTONICA, Atti compiuti dall’incapace, in Responsabilità civile a cura di Cuffaro, Milano, 2007, 237 ss. e 403 ss.; COSSU, La responsabilità e il danno cagionato dall’incapace, in Tratt. resp. civ., diretto da Bessone, X, Illecito e responsabilità civile, Torino, 2005, 199 ss.; DE CRISTOFARO, La responsabilità dei genitori per i danni cagionati a terzi dal minore, in Tratt. dir. fam. a cura di Zatti, Milano, 2002, 1214; MONATERI, La responsabilità per l’illecito dei minori e degli allievi, in Illecito e responsabilità civile, Tratt. dir. priv. diretto da Bessone, 2002, X, II, 1 ss.; PINTO BOREA, I doveri dei genitori verso i figli minori e la responsabilità ex rt. 2948 c.c., in Dir. fam., 1992, 372; ROSSI CARLEO, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., in Riv. dir. civ., 1979, II, 12510Cass. 27 giugno 2002 n. 9346 in Danno e resp. 2003, 46, con nota di LANOTTE, Condotta autolesiva dell’allievo: non risponde l’insegnante; Cass. 29 aprile 2006 n. 10030, in Nuova giur. civ. commentata, 2007, 1, 361, con nota di MENINI, I confusi limiti della responsabilità dell’amministrazione scolastica e dell’insegnante nel caso di danni provocati da un alunno a se stesso o ad altro alunno.11 In argomento COLANTUONI, Diritto sportivo, op. cit., 342 ss.

NOTE A SENTENZA64

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L'attività sportiva dei minori...

Come noto12 la Carta Costituzionale e il diritto di famiglia pongono a carico dei genitori il

dovere di mantenere educare ed istruire i figli e a tal fine riconosce loro la potestà genitoriale che si

estrinseca in un potere dovere innanzitutto di carattere decisionale il quale, si ritiene13, vada

progressivamente riducendosi in considerazione della maturazione del minore.

L’oggetto del potere dovere che integra il contenuto della potestà genitoriale non può non

essere anche quello di proteggere il minore14. Sicchè gli obblighi di protezione fanno capo ai

genitori in virtù di legge15. Si tratta di particolari doveri di carattere personale, a contenuto non

patrimoniale ed insuscettibili di esecuzione forzata.

Ne discende che se il genitore contravviene a questi obblighi deve ritenersi responsabile

verso il minore. Si deve valutare se a titolo contrattuale od extracontrattuale16.

Orbene è vero che i rapporti tra genitori e figli mettono capo ad una serie di obblighi, di

mantenere educare ed istruire il minore, cui non può disconoscersi una certa rilevanza economica.

Tuttavia la dottrina17 è dell’avviso che, stanti le loro forti implicazioni di carattere etico, essi

abbiano una natura di meri obblighi, la cui violazione in presenza di un danno ingiusto alla

personalità del minore è fonte di illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c18.

12 AA. VV. Codice commentato dei minori e dei soggetti deboli, a cura di Basini, Bonilini, Cendon e Confortini, Torino, 2011, in particolare sub art. 30, 3 ss; RUSCELLO, La potestà dei genitori, in AA. VV., Persone, famiglia e successioni a cura di Sesta e Cuffaro, Milano, 2006, 438.13 ROSSI CARLEO, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., in Riv. dir. civ., 1979, II, 125.14 In argomento, RUSCELLO, Lineamenti di diritto di famiglia, Milano, 2005, 256.15 In particolare, a livello internazionale va richiamata la Convenzione sui diritti dell’infanzia adottata dall’Onu il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176. Essa ha riveduto ed ampliato la Dichiarazione sui diritti del fanciullo adottata dall’ONU nel 1959, sancendo tra gli altri i diritti del minore al godimento di più alti livelli di salute fisica e mentale, prevedendo i correlati obblighi innanzitutto in capo ai genitori. A livello europeo, la Carta di Nizza, adottata il 7-8 dicembre prevede all’art. 24 il diritto del fanciullo ad esser protetto ed alle cure necessarie al proprio benessere. A completamento va detto che sebbene il dovere di protezione nei confronti del minore non è espressamente sancito dal codice civile in capo alla famiglia esso è desumibile dalle norme costituzionali, in primis dall’art. 2 Cost. e dalle norme penali che puniscono i reati familiari. 16 Secondo la dottrina il tema degli obblighi di protezione è stato il terreno su cui si è dibattuta la revisione critica della tradizionale distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, laddove ormai si ritiene superata la tesi secondo cui l’illecito ex art. 1218 c.c. sorge solo tra soggetti determinati già legati da un vincolo contrattuale; piuttosto ai fini della responsabilità contrattuale è sufficiente che detti soggetti siano venuti in contatto e che tra essi si sia instaurato un rapporto governato appunto dai doveri di protezione. Sotto altro profilo, tuttavia, si rileva che ai fini della sussistenza di una responsabilità contrattuale, deve essere inadempiuta un’obbligazione, che in quanto tale deve aver ad oggetto una prestazione a carattere patrimoniale. Ex multis, CASTRONOVO, (voce) Obblighi di protezione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XXI.17Come noto il dibattito sull’illecito endofamiliare ha ricevuto notevole impulso con la disciplina dell’affidamento condiviso. In tale occasione la dottrina è stata sollecitata a riflettere sulla natura giuridica dei doveri dei genitori verso i figli e sulla relativa responsabilità. In argomento, si rinvia a FERRANDO, Responsabilità civile e rapporti familiari dopo la legge 54/2006, in Fam. pers. successioni, 2007, 593.18 Sul punto, DOGLIOTTI, La responsabilità civile entra nel diritto di famiglia, in Dir. fam. pers., 2002, 67.

NOTE A SENTENZA65

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L'attività sportiva dei minori...

L’inadempimento di questi particolari doveri di carattere personale, a contenuto non

patrimoniale ed insuscettibili di esecuzione forzata richiama il più ampio tema della responsabilità

da illecito endofamiliare19.

In argomento è noto che la dottrina ha fatto enormi passi in avanti, abbandonando l’indirizzo

che voleva il sistema del diritto di famiglia improntato a principi peculiari e a rimedi peculiari che

escludevano il ricorso alla sistematica della responsabilità e del risarcimento del danno20; per di più

si affermava anche che i doveri familiari erano semplici obblighi a carattere morale21.

Successivamente si è fatta strada l’esigenza di riconoscere la personalità dei membri della famiglia

e rafforzarne la tutela anche con rimedi risarcitori ove fosse necessario22.

Ragionando in questi termini appare abbastanza discutibile la decisione dei genitori di far

partecipare il figlio all’attività sportiva del calcio, poiché essi più di ogni altro soggetto, più del

medico, più dell’allenatore, più del minore stesso avevano il dovere di impedire il verificarsi

dell’evento.

Avrebbe forse dovuto soffermarsi il giudice sulla concreta idoneità del rilascio del certificato

medico a porsi come causa dell’evento dannoso del minore, poiché nel novero della pluralità di fatti

che si inseriscono nella serie degli antecedenti logici causali dell’evento dannoso vi è da valutare

innanzitutto la pregressa cardiopatia del minore, quindi la conoscenza dei genitori e dunque la

consapevole ammissione alla pratica sportiva dell’allenamento di calcio.

Quanto questa consapevolezza può esser stata affievolita dal rilascio del certificato medico

che genericamente autorizzava il minore allo sport non agonistico? Tanto più che invece egli veniva

ammesso ad un’attività tra quelle sconsigliate.

La posizione di tutela e garanzia che i genitori rivestono nei confronti del minore e dei suoi

diritti fondamentali avrebbero richiesto agli stessi un contegno di assoluto diniego in ordine alla

decisione del minore di giocare a calcio.

19E’ doveroso puntualizzare che la problematica della responsabilità civile nelle relazioni familiari si è sviluppata soprattutto intorno alle conseguenze derivanti dalla separazione e dal divorzio e dai connessi casi di inadempimento dei doveri gravanti sui coniugi in tali occasioni; inoltre l’illecito endofamiliare è stato analizzato anche riguardo a fatti di violenza all’interno della famiglia. Il caso in esame è ben distante da queste ipotesi, tuttavia si inserisce nel difficile argomento della sanzionabilità di quelle condotte che un membro della famiglia possa adottare nei confronti di un altro familiare arrecandogli un danno. Tali considerazione spingono naturalmente a riflettere quando sia un genitori con una decisione impulsiva a mettere il minore in condizioni di subire un pregiudizio. 20 Sul punto, TRIMARCHI, (voce) Illecito (diritto privato), in Enc. giur., Milano, XX, 102.21 In argomento, NICOLUSSI, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, op.cit., 929 ss.; SESTA, Diritto di famiglia, Padova, 2003, 4 ss.; ; ZANETTI VITALI, Il principio della giuridicità d egli obblighi familiari, in Scritti in memoria di G. Cattaneo, Milano 2002, 2069; DOGLIOTTI, La famiglia e l’altro diritto: responsabilità civile, danno biologico, danno esistenziale, in Fam. dir., 2001, 164; FERRANDO, Rapporti familiari e responsabilità civile, in Persona e danno, Milano, 2003,2778.22 Cass. 7 giugno 2000 n. 7713, in Fam. dir., 2000, 159.

NOTE A SENTENZA66

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L'attività sportiva dei minori...

Conclusioni: Minori e attività sportiva

La pronuncia in commento, inoltre, conferma ancora una volta il rapporto dialettico che

sussiste oggi tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo.

Infatti, la rilevanza di talune situazioni giuridiche di cui i soggetti, specie se minorenni, sono

titolari, per l’ordinamento dello Stato, anzi per la Carta Costituzionale, difficilmente potrà porre fine

al dibattito intorno alla responsabilità sportiva, una responsabilità civile dai mobili e mutevoli

confini, che spetta al giudice accertare di volta in volta alla luce dei principi e del diritto positivo.

Il riconoscimento di una dimensione inutilitaristica allo sport quale occupazione del tempo

libero, la crescente attenzione verso il fenomeno sportivo nelle sue manifestazioni extra-agonistiche

e più in generale il ruolo sociale dello sport a livello comunitario23 lasciano comprendere l’esigenza

di una rinnovata riflessione sui limiti di liceità dell’attività sportiva.

Dal momento che si assiste ad una progressiva evoluzione del fenomeno sportivo dal punto

di vista della sua collocazione nell’ordinamento giuridico, il quale presta maggior attenzione alla

dimensione sociale ed al ruolo educativo dello Sport, sembra opportuno ripensare a quei confini in

vista della superiore esigenza di protezione dei minori24.

In conclusione si può affermare che al giudice è demandato un compito arduo quanto

delicato, cioè quello di realizzare un difficile bilanciamento tra esigenze contrapposte.

Occorre bilanciare infatti il superiore interesse alla promozione delle attività sportive,

ovvero di tutte le attività lecite che siano forma di manifestazione della personalità umana,

segnatamente del diritto del minore ad un pieno ed armonico sviluppo della propria personalità

anche attraverso l’esercizio dell’attività sportiva, con l’interesse a prevenire quanto più possibile

fatti dannosi ai danni di adolescenti e bambini in tenera età.

(*) Ricercatrice di diritto privato nell’università partenopea di Napoli

23 TOGNON, Sport Unione europea e diritti umani, Padova, 2011; TOGNON, Unione Europea e sport: evoluzione e sviluppi di un rapporto particolare, La centralità dell’Unione europea in ambito sportivo, in Diritto comunitario dello sport, Torino, 2009, 3 ss.24 Dello stesso avviso, in dottrina, BALDASSARRE, La responsabilità degli insegnanti di una disciplina sportiva, op. cit., 607, che rileva la concreta difficoltà di riferire a soggetti particolari il rilascio di un tacito consenso alle future possibili lesioni. Sul punto v. anche PAPISCA, Diritti umani e sport nell’anno europeo del dialogo interculturale, in AA.VV., Diritto comunitario dello sport, op. cit., 63 ss

NOTE A SENTENZA67

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Tutela cautelare e clausola...

TUTELA CAUTELARE E CLAUSOLA COMPROMISSORIA.

NOTA A MARGINE DI DUE RECENTI DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE DELLA F.I.G.C (PUBBLICATA SU WWW.FIGC.IT)

di Domenico Zinnari (*)

Sommario:

1. Le fattispecie e le contrastanti pronunce della Commissione Disciplinare Nazionale.

2. Le soluzioni offerte dalla Corte di Giustizia Federale.

3. Vincolo di giustizia e clausola compromissoria.

4. Arbitrato e tutela cautelare.

1. Le fattispecie e le contrastanti pronunce della Commissione Disciplinare Nazionale.

Le pronunce di cui in questa sede si intende offrire un succinto commento attengono a

fattispecie indubbiamente connotate da taluni aspetti di analogia, in considerazione dei quali, le

difformi soluzioni adottate nell’ambito dei giudizi disciplinari di primo grado, salva la reductio ad

unitatem in sede d’impugnazione, testimoniano la disomogeneità degli indirizzi interpretativi in

ordine al disposto di cui all’art. 30 dello Statuto FIGC ed il correlato apparato sanzionatorio.

Il primo dei procedimenti (C.G.F. in C.U. n. 65 del 14 ottobre 2011, motivazioni in C.U.

n.118 del 3 gennaio 2012 Ric.Ceravolo) prendeva le mosse da una segnalazione posta in essere

dalla Presidenza della Lega Italiana Calcio Professionistico relativa all’avvenuta notifica, ad

istanza di un soggetto Iscritto negli Elenchi Speciali dei Direttori Sportivi, di un atto giudiziale di

esecuzione di sequestro conservativo.

NOTE A SENTENZA68

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Tutela cautelare e clausola...

Nella fattispecie il direttore sportivo aveva richiesto ed ottenuto dalla competente autorità

giudiziaria ordinaria, all’esito di un procedimento ex art. 671 c.p.c., un decreto con il quale si

autorizzava il ricorrente ad eseguire il sequestro conservativo, fino alla concorrenza di un ingente

importo, dei crediti vantati dalla società datrice di lavoro nei confronti della predetta Lega.

In sintesi il direttore sportivo non avendo percepito il compenso pattuito con la

sottoscrizione del contratto di lavoro sportivo, validamente redatto con l’utilizzo del prescritto

modello tipo e depositato presso la competente Lega, pur considerato il persistente status di

affiliata della società datrice di lavoro in difetto di un provvedimento di revoca e/o decadenza ex art.

16 NOIF ed atteso lo stato di avanzata decozione in cui versava la debitrice, ha ritenuto prima

ancora di sottoporre eventualmente la controversia alla cognizione del Collegio Arbitrale, di

ricorrere in via cautelare alla Magistratura Ordinaria.

Nel secondo dei procedimenti (C.G.F. in C.U. n.90 del 18 novembre 2011, motivazioni in

C.U. n.105 del 6 dicembre 2011 Ric. Abbate), di contro, un direttore sportivo, dopo aver esperito il

procedimento arbitrale conseguendo un lodo favorevole alla proprie ragioni creditorie nei confronti

della società datrice, promuoveva ricorso per sequestro conservativo e, ottenuto favorevole

provvedimento, successivamente, notificava atto di esecuzione del sequestro presso terzi.

La Procura Federale in entrambi i casi contestava la violazione dell’art. 30.1 e 30.4 dello

Statuto Federale per avere i deferiti eluso il vincolo di giustizia ed omesso di richiedere

l’autorizzazione al Consiglio Federale al fine di ricorrere alla giurisdizione statuale, nonché, solo

nel secondo dei procedimenti sopra richiamati, anche la violazione dell’art.1 comma 1 del Codice

di Giustizia in relazione all’art.94 N.O.I.F. per l’omessa comunicazione alla Lega di competenza

dell’azione proposta innanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.

A fronte di sostanziali analogie tra le fattispecie, l’elemento differenziale sarebbe costituito,

il condizionale è d’obbligo atteso il non totale nitore delle pronunce nella descrizione del “fatto”,

dalla circostanza in virtù della quale nel primo caso il deferito non avrebbe incardinato il giudizio

innanzi al Collegio Arbitrale ricorrendo “direttamente” in via cautelare alla Magistratura Ordinaria

mentre, di contro, nel secondo caso il ricorso alla giurisdizione statuale sarebbe avvenuto solo dopo

avere “esaurito i gradi interni“ (l’espressione è utilizzata dalla Commissione Disciplinare Nazionale

nella pronuncia di proscioglimento del deferito sig. Abbate).

Venendo alle pronunce rese dalla Commissione Disciplinare Nazionale nel primo caso

(C.N.D. in C.U. n.22 del 3 ottobre 2010 Def. Ceravolo) si comminava al deferito la sanzione

dell’inibizione per anni uno.

NOTE A SENTENZA69

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Tutela cautelare e clausola...

Secondo la Commissione Disciplinare “la circostanza dedotta dal resistente che

l’Ordinamento Federale non conterrebbe norme idonee a tutelare le ragioni di credito del resistente

medesimo e che la mancanza sarebbe stata provocata anche dalla disdetta dell’Accordo Collettivo

tra Lega Professionisti Serie C ed Associazione di categoria rappresentativa dei direttori sportivi

che, risalente al 2007, aveva posto fine alla competenza dei Collegi Arbitrali ai quali demandare la

soluzione di tutte le controversie concernenti l’attuazione dell’Accordo, è inesatta e, comunque, non

giustifica il mancato rispetto del vincolo di giustizia, che il ricorrente avrebbe dovuto osservare

come condizione necessaria per intraprendere il contenzioso civilistico”.

A detta dell’organo giudicante sussisterebbe la competenza del Collegio Arbitrale alla luce

di quanto previsto dall’art. 10 del Regolamento dell’Elenco Speciale dei Direttori Sportivi secondo

cui “le controversie aventi ad oggetto il rapporto fra le Società sportive ed i direttori sportivi iscritti

nell’elenco speciale, sono devolute alla esclusiva competenza del Collegio Arbitrale previsto

dall’Ordinamento federale”.

Pur riconoscendo “che il credito del Ceravolo fosse del tutto legittimo perché contemplato

nel contratto tipo sottoscritto l’8 luglio 2009 tra il Ceravolo e la Società A.C. Arezzo Spa, depositato

in Lega in pari data“ il deferito non avrebbe potuto, ai fini della tutela del credito, eludere il vincolo

di giustizia, anche in considerazione dell’ulteriore circostanza che la debitrice all’epoca del fatto

risultava affiliata alla FIGC, dovendosi considerare del tutto ininfluenti le deduzioni difensive

circa l’applicabilità dell’art. 94 bis NOIF.

Tale disposto opererebbe solo in favore di calciatori e tecnici di società escluse dal Settore

Professionistico e partecipanti ad attività in seno alla Lega Nazionale Dilettanti.

Secondo la Corte la norma richiamata, alla luce di una interpretazione strettamente letterale,

autorizzerebbe solo i soggetti ivi contemplati ad adire le vie legali ai fini del soddisfacimento di

eventuali richieste economiche senza richiedere l’autorizzazione in deroga al vincolo di giustizia, ed

essa non troverebbe applicazione al caso di specie “atteso che la Società debitrice, alla data di

proposizione del ricorso del Ceravolo, era inattiva ed in liquidazione”.

Nell’ulteriore pronuncia la Commissione Disciplinare Nazionale (C.N.D. in C.U. n.27 del

18 ottobre 2011 Def. Abbate) disponeva il pieno proscioglimento del deferito.

A detta della Commissione Disciplinare Nazionale “l’art. 30, comma 3, Statuto F.I.G.C.

chiarisce che il vincolo di giustizia resta operativo sinché non siano esauriti i gradi interni di

giustizia federale, devoluti, in via ultimativa, all’Alta Corte di Giustizia del CONI ed al TNAS.

Prosegue la norma chiarendo che non sono soggette alla cognizione delle due Corti le controversie

NOTE A SENTENZA70

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Tutela cautelare e clausola...

decise con lodo arbitrale in applicazione delle clausole compromissorie previste dagli accordi

collettivi o di categoria o da regolamenti federali (…) di conseguenza, dovendo ritenersi esauriti i

gradi interni, il sig. Abbate aveva diritto di rivolgersi all’AGO senza il preventivo esperimento della

richiesta di deroga, tanto più alla luce del recente orientamento della Corte Costituzionale (sent. n.

49/2011). Anche la richiesta di incolpazione ai sensi dell’art. 94 NOIF va disattesa, in quanto

l’obbligo di comunicazione postula il ricorso all’AGO in forza di scritture private o accordi vietati

dalle norme federali”.

2. Le soluzioni offerte dalla Corte di Giustizia Federale.

La Corte di Giustizia Federale (C.G.F. in C.U. n.90 del 18 novembre 2011, motivazioni in

C.U. n. 105 del 6 dicembre 2011 Ric. Abbate) a fronte dell’appello proposto dalla Procura Federale,

con motivazione seppur stringata, confermava la pronuncia assolutoria resa in primo grado.

A detta della Corte “la decisione impugnata si basa, essenzialmente, sulla affermazione

secondo cui, nel caso di specie, risultano esauriti tutti i gradi interni della giustizia sportiva e,

pertanto, all’atto della proposizione della domanda dinanzi al Tribunale civile non sussisteva più il

vincolo di giustizia, anche considerando che non sono soggette al vincolo le controversie decise con

lodo arbitrale”.

Dalla lettura del provvedimento pare evincersi che l’appello proposto dalla Procura sarebbe

stato incentrato, più che sulla contestazione della “qualificazione giuridica” della condotta nella sua

globalità, sulla circostanza che la domanda giudiziaria proposta avesse per oggetto non solo

l’esecuzione del lodo pronunciato ma anche il pagamento di un ulteriore rateo non oggetto del

decisum arbitrale.

Nella prospettazione fatta propria dalla Corte “non è configurabile alcuna violazione della

clausola compromissoria, in relazione alla proposizione, dinanzi alla giurisdizione ordinaria, di

domande cautelari (quali il sequestro conservativo) e alla loro esecuzione, posto che nessun organo

della giustizia sportiva, e tanto meno i collegi arbitrali, sono titolari di poteri corrispondenti a quelli

spettanti al giudice ordinario della cautela (…) la necessità di un rapido ricorso alla giustizia

ordinaria, allo scopo di ottenere provvedimenti cautelari di contenuto patrimoniale, del resto, risulta

particolarmente evidente nel caso di specie, considerando che sono state azionate pretese retributive

(come tali da presumere indifferibili) nei confronti di una società in conclamato stato di difficoltà

economica, poi sfociato in stato di vera e propria insolvenza”.

NOTE A SENTENZA71

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Tutela cautelare e clausola...

A fronte dell’assorbente principio di diritto enunciato le, a dire il vero capziose,

argomentazioni della parte appellante non trovavano accoglimento in considerazione del fatto che

“la porzione della domanda riferita alla mensilità del giugno 2011 si trova in un rapporto di evidente

collegamento con la pretesa fatta valere vittoriosamente dinanzi al collegio arbitrale, che aveva

accertato, in termini ampi, il pregresso inadempimento della società Legnano”.

Più articolato e ricco di spunti l’apparato motivazionale adottato dalla Corte di Giustizia

Federale al fine di giungere, annullando la decisione di primo grado, al proscioglimento nell’altra

questione in esame (C.G.F. in C.U. n.65 del 14 ottobre 2011, motivazioni in C.U. n. 118 del 3

gennaio 2012 Ric. Ceravolo).

E’ dato, infatti, leggersi: “come più volte chiarito da decisioni di questo Collegio (cfr., da

ultimo, reclamo Krassimir Chomakov in C.U. n. 21 del 20.7.2011) ogniqualvolta, nei casi di

vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico comunque riconducibili a rapporti interni

all’attività federale, l’apparato giudiziario della F.I.G.C. non sia in grado, per carenza di adeguate

normative o per mancanza di organi competenti, di spiegare un intervento diretto, nessun contrasto

è configurabile fra ordinamento federale ed ordinamento statale che, nelle ipotesi suindicate, svolge

unicamente una funzione non concorrente, ma complementare e suppletiva.

Ciò posto ed una volta acclarato attraverso la incontestata documentazione prodotta, che al

momento dell’iniziativa giudiziaria del Ceravolo non era operante in ambito endofederale alcun

organo delegato a dirimere le controversie fra società e direttori sportivi e che comunque, in ipotesi

diversa, un siffatto organo, anche se esistente e funzionante, non sarebbe stato legittimato a

conoscere delle azioni cautelari giusta la già citata previsione portata dall’art. 699 quinquies c.p.c.,

non si vede quale addebito possa essere ragionevolmente mosso a carico del deferito costretto, da

un incombente periculum in mora derivante dallo stato di avanzata decozione in cui versava la

società debitrice, ad attivarsi tempestivamente nel tentativo di ottenere il soddisfacimento delle sue

pretese creditorie”.

3. Vincolo di giustizia e clausola compromissoria.

Le due decisioni, ad avviso di chi scrive, si pongono in una posizione di sostanziale

“ambiguità” tra il richiamo ai tralatizi orientamenti interpretativi e l’apertura verso letture

innovative sul tema, assai delicato, dei limiti del c.d. vincolo di giustizia.

L’aspetto legato al tradizionale pensiero è forse quello connesso all’idea in virtù della quale

il modello di composizione all’interno del sistema delle controversie che vedono contrapposti i

NOTE A SENTENZA72

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Tutela cautelare e clausola...

soggetti appartenenti all’ordinamento di settore, intese a garantire il regolare svolgimento

dell’attività federale e l’uniforme interpretazione delle regole che ne governano l’organizzazione e

il funzionamento nonché i rapporti tra gli associati, costituisca un unicum inscindibile.

In particolare, pare perpetuarsi la convinzione che in tema di contenzioso per la risoluzione

delle controversie economiche e, precipuamente, per quanto rileva ai fini di questo scritto, quelle

in ambito professionistico, i Collegi Arbitrali previsti dalla contrattazione collettiva e dall’art.4 L.n.

91/1981 partecipino in qualche misura alla giustizia domestica (cfr. gli incisi “…non era operante

in ambito endofederale alcun organo delegato a dirimere le controversie fra società e direttori

sportivi…” della decisione della Corte di Giustizia Federale sul caso Ceravolo e quello della

pronuncia della Commissione Disciplinare Nazionale sul caso Abbate “…dovendo ritenersi esauriti

i gradi interni …”).

Non appare ultroneo, per quanto ripetutamente affermato dalla migliore dottrina sul punto,

rimarcare come non sia ancora caduto in desuetudine l’utilizzo della dizione “vincolo di giustizia”

al fine di identificare realtà fenomeniche ad esso, strictu sensu, non riconducibili.

L’analisi, difatti, dei modelli di risoluzione delle controversie “economiche” tra soggetti

affiliati e/o tesserati costituisce emblematico banco di prova della sostanziale improprietà della

commistione, a monte, tra il piano più squisitamente “associativo”, da cui trae linfa il vincolo di

giustizia, e quello “lavoristico”, nel cui alveo, in fattispecie come quelle in analisi, trovano

fondamento le clausole compromissorie.

Il richiamo alla categoria di cui sopra, sia detto per inciso, non si configura quale formale

ossequio alla classica quadripartizione della giustizia sportiva (tecnica, disciplinare, amministrativa,

economica) pur autorevolmente elaborata e copiosamente recepita, essendosi di tale classificazione

ampiamente e motivatamente sottolineata la necessità di superamento, se non la natura fuorviante

laddove, troppo schematicamente, pretende di individuare quattro tipologie rigidamente eguali a sé

stesse ed impermeabili tra loro.

Fondata come è in ultima analisi su parametri attinenti i “tipi sostanziali” di controversie

ipotizzabili, infatti, in un quadro di disomogeneità delle situazioni sottese e di non uniformità dei

modelli di risoluzione concretamente rinvenibili, essa manifesta una spiccata incapacità

classificatoria e descrittiva.

Paradossalmente, malgrado la richiamata usuale commistione, una più rigorosa lettura

interpretativa circa i necessari limiti di operatività del vincolo di giustizia e la sua distinzione dalle

clausole compromissorie propriamente dette, con la conseguente sul piano logico affermazione

NOTE A SENTENZA73

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Tutela cautelare e clausola...

della natura eteronoma delle procedure arbitrali in ambito lavoristico rispetto ai disposti statutari e

regolamentari associativi, appare, ad oggi, agevolata parzialmente da alcune emende correttive

poste in essere dallo stesso Legislatore Federale.

Basti richiamare emblematicamente con riferimento alla previgente normativa, la pronuncia

della Corte Federale del 31 marzo 2004 (motivazioni pubblicate in C.U. n.16 del 16 aprile 2004)

circa l’interpretazione autentica dell’allora vigente art.27 dello Statuto FIGC.

La decisione veniva resa in tema di configurabilità della violazione del vincolo di giustizia

in ipotesi di impugnazione del lodo emesso da un Collegio Arbitrale previsto dal contratto

collettivo dei Direttori Sportivi Professionisti.

Nell’occasione la Corte esprimeva l’avviso che configurasse illecito disciplinare

l’impugnazione del lodo presso il Giudice Ordinario senza la preventiva autorizzazione federale.

L’aspetto di rilievo della decisione sopra richiamata era da individuarsi nell’affermazione

inerente l’espressa qualificazione dei Collegi Arbitrali quali organi di giustizia endoassociativi cui

faceva da corollario il richiamo al disposto dell’art. 27 Statuto Federale in ordine alla necessità, in

caso di impugnazione, di rivolgere l’istanza all’allora Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello

Sport. Secondo la Corte in ipotesi di impugnazione all’esito dell’esaurimento dei gradi di giustizia

federale (nella specie il ricorso al Collegio Arbitrale) ed esperita la procedura innanzi la C.C.A.S.

sarebbe stata assolutamente necessaria la previa autorizzazione federale.

In effetti il previgente art. 27 dello Statuto prevedeva, in forma generica e senza distinguo di

sorta, che “in riferimento alle controversie tra uno dei soggetti di cui al comma 1 e le Federazioni,

per le quali siano esauriti i gradi della giustizia federale (…) è obbligatorio sottoporsi al tentativo di

Conciliazione davanti alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport”.

Tale formula fu oggetto di modifica già nel novembre 2004 con l’esplicita esclusione dalla

procedura conciliativa ed arbitrale presso la C.C.A.S per le “controversie decise con lodo arbitrale

in applicazione delle clausole compromissorie previste dai contratti collettivi “.

Il profilo maggiormente significativo della pronuncia era da ravvisarsi nell’affermazione

secondo cui “nel caso di specie la clausola compromissoria è prevista sia dal regolamento

dell’elenco speciale dei direttori sportivi (articolo 10) che dall’accordo collettivo (articolo 9).

Inoltre, il citato articolo 27, comma 2, dello Statuto federale espressamente impone ai tesserati di

sottostare ai provvedimenti generali e particolari emessi nell’ambito dell’ordinamento sportivo”,

affermazione che, debitamente contestualizzata, implicitamente presupponeva la riconduzione dei

Collegi Arbitrali agli organi giustiziali associativi.

NOTE A SENTENZA74

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Tutela cautelare e clausola...

La posizione assunta dalla Corte Federale era ampiamente smentita dalla Camera di

Conciliazione ed Arbitrato dello Sport che, con decisione cronologicamente di poco successiva,

dichiarava il proprio difetto assoluto di giurisdizione in ordine all’impugnativa di un lodo emanato

dal Collegio Arbitrale istituito presso la Lega Nazionale Professionisti Serie A e B, affermando

espressamente come “i rimedi esperibili avverso la deliberazione arbitrale impugnata sono quelli

previsti dal codice civile secondo le regole del codice di rito” (C.C.A.S CONI, Lodo del 28 agosto

2004, Salernitana Sport/Ricardo Matias Veron).

Di certo la lettura interpretativa dalla Corte Federale era manifestazione chiara di una certa

“vischiosità” concettuale tra le nozioni di vincolo di giustizia e clausola compromissoria

relativamente al contenzioso afferente i rapporti di lavoro tra sportivi professionisti e società ex art.

4 L.n.91/1981.

In realtà i Collegi Arbitrali per la risoluzione delle controversie, anche prima delle novità

introdotte in sede di stesura dei “nuovi” Statuto e Codice di Giustizia FIGC di cui si dirà oltre,

erano da considerarsi organi “esterni” alla giustizia sportiva, fondandosi la loro legittimazione non

sul vincolo associativo quanto sui disposti dell’autonomia collettiva come recepiti in sede di

contrattazione individuale.

I Collegi previsti dalla contrattazione collettiva, difatti, si ponevano e si pongono, malgrado

il contrario avviso manifestato della Corte Federale, su un piano eteronomo rispetto all’apparato

giustiziale domestico, pur essendo i lodi emessi riconosciuti dall’Ordinamento Federale (art.47.5

Statuto Figc allora vigente).

Il riconoscimento, inteso quale predisposizione di strumenti tesi a favorire in ambito

endoassociativo l’esecuzione dei lodi a mezzo comminazione di sanzioni disciplinari in caso di

mancata spontaneo adempimento, non poteva, infatti, incidere sulla “qualificazione” degli stessi.

Né ad avviso di chi scrive scalfiscono la superiore considerazione taluni elementi di

“anomalia” persistenti ancora oggi nell’ambito dei più recenti accordi collettivi, rectius, nei

Regolamenti dei Collegi Arbitrali ad essi allegati espressione di un’ insufficiente valutazione

sistematica della natura degli arbitrati e della tendenza, poco condivisibile, a connotarli di

“sfumature ordinamentali”.

Ci si riferisce esemplificativamente a quanto previsto dagli art.6.10 e 6.11 del Regolamento

del Collegio Arbitrale allegato all’Accordo Collettivo AIC/Lega Serie B in vigore dall’8 Dicembre

2011.

NOTE A SENTENZA75

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Tutela cautelare e clausola...

Il primo degli articoli citati nel disciplinare l’attività istruttoria dispone che “il Collegio

conduce liberamente l’istruttoria, ammettendo i mezzi di prova, ivi incluse valutazioni di esperti o

consulenze tecniche, secondo opportunità e/o necessità.

Ha facoltà di indicare alle parti la deduzione dei mezzi di prova che ritenga utili ai fini della

risoluzione della controversia.

Privilegia, nell’ambito della valutazione dei mezzi istruttori, i documenti che risultano

regolari secondo le norme federali, e quelle dell’Accordo Collettivo”, mentre l’art. 6.11 che

“qualora il Collegio rilevi ipotesi di violazioni di disposizioni federali, ne riferisce alla Procura

Federale” (in termini più perentori l’art. 7 del Regolamento del Collegio Arbitrale allegato

all’Accordo Collettivo AIC/ Lega Pro secondo cui “il Collegio decide, in unica istanza, sulla base

degli atti conformi alle disposizioni regolamentari; documenti non regolamentari hanno valore

meramente indicativo.

Possono essere ammesse eccezionalmente prove testimoniali. Qualora dall’esame degli atti

il Collegio rilevi violazione di disposizioni federali, deve deferire alla competente Commissione

Disciplinari, per le sanzioni del caso, le Società ed i tesserati che ne appaiono responsabili”).

Pertanto non doveva sorprendere sulla base dei principi di diritto comune non solo la facoltà

delle parti di disattendere l’impegno previsto in sede di contrattazione collettiva, posto che il ricorso

allo strumento arbitrale in materia di lavoro non può mai costituire un’alternativa preordinata e

vincolante rispetto alla tutela giurisdizionale, ma anche l’impugnabilità del lodo presso la

competente autorità giudiziaria statuale senza che l’assenza di autorizzazione federale potesse

comportare violazione del vincolo di giustizia, non potendosi equiparare i Collegi neppure agli

“organi delegati” di cui all’art.27.2 Statuto.

Ciò non escludeva che il Legislatore Federale, poco avezzo a porsi problematiche d’ordine

sistematico, attribuisse ulteriori competenze ai medesimi Collegi, ad esempio in ordine al

contenzioso risarcitorio, come nell’ipotesi prevista dall’art.47.6 del C.G.S., sia in ordine ai rapporti

tra atleti non professionisti (giovani di serie) e società professionistiche relativamente alla

corresponsione delle indennità previste dall’art.33.2 N.O.I.F.

In tali casi il fondamento della devoluzione ad arbitri non poteva evidentemente essere

ricondotto ad una inesistente clausola compromissoria a livello collettivo, ma era da individuarsi

piuttosto nel generale vincolo di giustizia, in parte qua “recuperato” quale clausola compromissoria,

che portava gli stessi Collegi ad atteggiarsi ratione materia quali Organi di Giustizia e ad emettere

lodi formali aventi sostanza di decisioni particolari ai sensi dell’art.27.2 dello Statuto.

NOTE A SENTENZA76

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Tutela cautelare e clausola...

Parte delle problematiche appena accennate parrebbero trovare congrua soluzione nel nuovo

impianto statutario e regolamentare della Federazione Italiana Giuoco Calcio.

Sotto un profilo meramente formale è da segnalarsi come sia stata superata la dizione “altre

istanze di giustizia” del previgente art.47 C.G.S., contenente la disciplina afferente i Collegi

Arbitrali, essendo stato predisposto uno specifico articolo (art.52 Nuovo C.G.S. “Competenze

Collegi Arbitrali”) che nei contenuti riproduce i disposti di cui all’art.47.4, 47.5,47.6 del precedente

C.G.S.

Tale novità, pur se meramente nominalistica, appare indicativa di una maggior attenzione

sistematica alla distinzione tra organi endossociativi di giustizia pur non menzionati in sede

statutaria (es. Commissione Disciplinare presso il Settore Tecnico di cui all’attuale art.51 C.G.S.) e

quelli “estranei” all’apparato giustiziale le cui decisioni sono meramente riconosciute in ambito

associativo.

Sotto il profilo sostanziale da segnalare la nuova formulazione dell’art. 30 dello Statuto.

A fronte del risalente obbligo di accettare, “la piena e definitiva efficacia di qualsiasi

provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque

riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere

tecnico, disciplinare ed economico”, derivante espressamente dal contratto associativo, se mai si

possa equivocare sulla natura fondamentalmente privatistica della giustizia sportiva, il Legislatore

Federale ha inteso, infatti, ridisegnare la fase esofederale dell’eventuale contenzioso tra i soggetti di

cui al comma 1 o tra gli stessi e la F.I.G.C.

Le controversie di cui sopra “per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di

giustizia federale, sono devolute, su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione

dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva o del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il

C.O.N.I. secondo quanto disposto dai relativi regolamenti e dalle norme federali”.

L’aspetto che qui rileva è quello relativo alla nuova elencazione delle controversie escluse

dalla cognizione degli organi istituiti presso il C.O.N.I. ricomprendente quelle decise con lodo

arbitrale in applicazione delle clausole compromissorie previste dagli accordi collettivi o di

categoria o da regolamenti federali, nonché la specifica indicazione circa la non necessità di previa

autorizzazione del Consiglio Federale in relazione al “diritto ad agire innanzi ai competenti organi

giurisdizionali dello Stato per la nullità dei lodi arbitrali di cui al comma precedente”.

L’emenda normativa per quanto, prima facie, chiarificatoria, appare comunque caratterizzata

da una certa ambiguità.

NOTE A SENTENZA77

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Tutela cautelare e clausola...

L’ampia dizione dell’art. 30.4 dello Statuto dovrebbe ricomprendere tutti i modelli

compositivi delle controversie di natura economica ed anche quelli non propriamente riconducibili

immediatamente all’istituto arbitrale.

Se dubbio non vi è infatti circa il richiamo alla nozione di “clausole compromissorie previste

dagli accordi collettivi o di categoria” più problematica la definizione delle clausole

compromissorie previste dai regolamenti federali, avendo a differenza di altri Ordinamenti Federali

la F.I.G.C. abbandonato ormai da tempo la previsione di clausole compromissorie residuali a

chiusura del sistema di giustizia.

Vi è in sostanza da chiedersi se l’espressione “clausole compromissorie previste (…) da

regolamenti federali” richiami propriamente solo le “autentiche” convenzioni di arbitrato

contemplate (es. art.52.2 e 52.3 del CGS), oppure abbia inteso recepire implicitamente l’opinione

circa il “recupero” in ambito statuale dei provvedimenti in materia economica quali arbitrati,ossia,

l’idea che la norma vincolo di giustizia intervenendo su materia, quella dei rapporti economici tra

associati ed affiliati, per definizione disponibile, e considerando la terzietà degli organi federali

giudicanti, realizzi una legittima rinuncia alla tutela giurisdizionale (es. Commissione Premi

Preparazione, Commissione Vertenze Economiche, Corte di Giustizia in veste di giudice di secondo

grado sulle questioni di competenza della C.V.E. ai sensi dell’art.49 C.G.S.).

Trattasi di fattispecie in cui non si è in presenza di arbitrati ad hoc od organizzati, quanto

piuttosto di organi interni incaricati della decisione delle controversie in cui il momento

consensuale si consuma nell’adesione volontaria al gruppo sociale.

A ulteriore conferma della complessità e non unitarietà dei modelli di risoluzione delle

controversie, con conseguente inutilità di classificazioni d’ordine generale, assai significativo è, a

riguardo, l’istituto previsto dall’art.21 bis del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti, in tema

di controversie tra atleti non professionisti e società.

Il predetto articolo prevede che la Commissione Accordi Economici ӏ competente a

giudicare, in prima istanza, su tutte le controversie insorte tra calciatori e calciatrici tesserati con

società partecipanti ai campionati Nazionali Dilettanti organizzati dalla L.N.D. e le relative società

concernenti (…) gli accordi relativi all’erogazione di una somma lorda annuale di cui all’art.94 ter,

delle N.O.I.F.”.

Le decisioni del citato organo, in vero difficilmente possono esser “recuperate” sul piano

statuale quali veri e propri lodi ostando a ciò in via pregiudiziale la determinazione di un elemento

essenziale dell’arbitrato, quale quello della nomina degli arbitri, rimesso né consensualmente alle

NOTE A SENTENZA78

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Tutela cautelare e clausola...

parti, né ad un soggetto che può definirsi tecnicamente terzo (nel caso di specie il Presidente della

L.N.D. cui compete la nomina dei membri della C.A.E.).

Dall’analisi della struttura dell’art.30 Statuto F.I.G.C., inoltre, sembrerebbe emergere che la

facoltà di “accedere” alla Giustizia Statale senza necessaria previa autorizzazione federale sia da

considerarsi norma derogatoria rispetto ad un generale principio di senso contrario.

Tale impressione è confermata dalla circostanza che, stante la formulazione dell’art.30.4

Statuto, solo in ipotesi d’impugnazione del lodo per “nullità” (almeno che il Legislatore federale

non abbia fatto un uso atecnico del termine) sia da escludersi la possibilità di incorrere nelle

sanzioni disciplinari di cui all’art.15 C.G.S.

In via interpretativa è evidente come, al fine di non ingenerare superflue “dispute teoriche“

circa la natura delle singole e notevolmente diversificate procedure arbitrali, sia da ritenersi in ogni

ipotesi di impugnazione dei lodi indicati dall’art.30.3 dello Statuto (e non solo in caso di

impugnazione e strettamente per nullità ex art.829 C.p.c. ed ex art.1418 c.c. per i lodi irrituali)

superflua l’autorizzazione in deroga.

Ciò considerando che, attesa la pacifica natura irrituale dei lodi resi nelle controversie tra

sportivi professionisti e società, e la non sussistenza tecnicamente, alla luce dell’art.808 ter c.p.c.,

strutturato nella forma dell’annullamento per motivi tipici, di un’impugnazione per nullità (salvo il

recupero dei rimedi contrattuali sostenuto in dottrina), una diversa interpretazione renderebbe del

tutto inutile la norma sotto il profilo per lo meno applicativo.

Altresì appare invero singolare come se, da un lato l’art.30.4 dello Statuto F.I.G.C. sottrae

all’autorizzazione federale l’impugnativa dei lodi innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello

Stato, dall’altro, si prevedano, sotto la discutibile rubrica “violazione della clausola

compromissoria” nell’ambito dell’art.15 Codice di Giustizia Sportiva, sanzioni disciplinari

estremamente afflittive “(…) nel caso di ricorso all’autorità giudiziaria da parte di società e tesserati

avverso provvedimenti federali in materie riservate agli Organi della giustizia sportiva o devolute

all’arbitrato (…)”.

Il Legislatore Federale pur riconoscendo che l’arbitrato trae fondamento da “clausole

compromissorie previste dagli accordi collettivi o di categoria o da regolamenti federali”, e, dunque

che i due fenomeni siano ontologicamente difformi, indiscriminatamente sanziona ogni genere di

violazione.

In breve a fronte di talune aperture il Legislatore Federale persevera nell’erronea

omologazione tra clausole compromissorie propriamente dette e vincolo di giustizia (“recuperabile”

NOTE A SENTENZA79

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Tutela cautelare e clausola...

in talune ipotesi quale clausola compromissoria in ambiti diversi da quelli disciplinati dalla

contrattazione collettiva).

Gli istituti, di contro, muovono su piani assolutamente distinti mirando le prime

fondamentalmente ad offrire un’alternativa alla giurisdizione statale, ed il secondo a precludere

rectius, disincentivare, nell’ottica dell’autodichia endoassociativa l’accesso alla stessa.

Il vincolo di giustizia, nella sua essenza dovrebbe ritenersi operante solo nelle materie

riservate all’Ordinamento Sportivo (art.1 e 2 L.n.280/2003) e non anche nell’ambito dei rapporti

patrimoniali tra società, associazioni e atleti.

La dizione dell’art.3 L.n.280/2003, secondo cui la giurisdizione è da attribuirsi al Giudice

Ordinario “fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli

statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui

all'articolo 2, comma 2, nonche' quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo

1981, n.91”, avrebbe potuto condurre ad un più oculato intervento emendativo dei disposti statutari

e regolamentari teso a ridurre l’area di incidenza delle sanzioni disciplinari per violazione del

vincolo di giustizia alle sole materie oggetto di “riserva” e non anche in ipotesi di violazione della

clausola compromissoria prevista dai contratti collettivi.

Di estrema chiarezza sul punto appare un non recentissimo pronunciamento dell’allora

Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (C.C.A.S. Lodo del 15 settembre 2008 Ternana

Calcio/F.I.G.C.) reso all’esito di una controversia afferente il diniego opposto dal Consiglio

Federale in ordine all’autorizzazione in deroga richiesta al fine di esperire innanzi all’Autorità

Giurisdizionale Statuale un’azione risarcitoria in danno dei componenti di un Collegio Arbitrale

costituito giuste le previsioni della contrattazione collettiva.

Secondo la Camera di Conciliazione ed Arbitrato il provvedimento del Consiglio Federale

sarebbe viziato per difetto assoluto di attribuzione considerato come “gli arbitri in questione

originano dalla previsione che - nelle controversie arbitrabili di cui all’art. 409 c.p.c.- non può che

essere necessariamente eteronoma rispetto all’ autonomia federale (artt. 806, 2° comma, e già 808,

2° comma, c.p.c.), recante la Disciplina del lavoro subordinato sportivo, segnatamente contenuta

nell’art. 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91 (….) I Collegi Arbitrali (incluso quello de quo)

vengono, quindi, costituiti giusta le ulteriori previsioni dell’Accordo collettivo tra le associazioni

rappresentative delle parti (ai sensi degli artt. 806, 2° comma, e già 808, 2° comma, c.p.c.), senza

che la precaria investitura di singoli arbitri per l’una o l’altra controversia tra Società e Calciatore

possa di volta in volta determinare in capo agli stessi arbitri una stabile appartenenza

NOTE A SENTENZA80

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Tutela cautelare e clausola...

all’ordinamento settoriale ovvero la costituzione di [alc]un rapporto associativo, elementi altrimenti

necessari per l’ immedesimazione organica o l’esercizio (foss’anche soltanto) delegato di funzioni

“rilevanti per l’ordinamento federale” in via immediata. In definitiva, difettano nelle circostanze per

le quali l’azione giudiziaria è stata prospettata dalla Ternana calcio s.p.a. contro gli autori del lodo

dichiarato nullo gli elementi essenziali alla riconoscibilità del c.d. vincolo di giustizia, talchè, ove

concretamente esperita, l’azione medesima non potrebbe comunque sostanziare alcun

comportamento volto a eludere il vincolo di giustizia”.

4. Elemento di indubbia novità delle pronunce è rappresentato, in particolare nella decisione

“Ceravolo”, dall’”apertura”, si direbbe dovuta ma per nulla scontata, all’accesso alla tutela cautelare

in ipotesi di devoluzione ad arbitri delle controversie di natura patrimoniali derivanti da contratti

di lavoro sportivo.

Sul piano generale il tema inerente all’ammissibilità di provvedimenti cautelari in presenza

di clausola compromissoria per arbitrato libero (irrituale) appartiene, ad oggi, all’archeologia dei

dibattiti dottrinali e giurisprudenziali.

In estrema sintesi ampio consenso, seppure con numerose voci critiche in ambito dottrinario

e, sporadicamente, nella giurisprudenza di merito, trovava il consolidato orientamento della

Suprema Corte di Cassazione giusto il quale la sussistenza di un patto compromissorio irrituale,

comportando la rinuncia delle parti all’azione e la giurisdizione, precludeva la tutela cautelare dei

diritti affidati alla cognizione degli arbitri (ex plurimis Cass. Civ.,25 Novembre 1995, n.12225 ove:

“la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., per tutte, sentenze nn. 1909 del 1987 e 5601 del

1984) ravvisa nel compromesso per arbitrato libero o irrituale una rinuncia dei contraenti alla tutela

giurisdizionale dei diritti relativi al rapporto controverso.

Ciò in quanto detto arbitrato si concreta in un atto negoziale compiuto, in sostituzione della

volontà delle parti, dagli arbitri che, come mandatari di queste, non svolgono attività di giudici.

Tale rinuncia alla tutela giurisdizionale, come ha pure già ritenuto questa Corte, con la

sentenza n. 6757 del 1993, non può non riferirsi anche alle misure cautelari.

Invero, i provvedimenti emessi in via cautelare sono preordinati e sono strumentali, nel

nostro sistema processuale, ad un giudizio di merito; essi, quindi, presuppongono la possibilità di

proposizione o la pendenza di un processo di merito relativo al diritto da tutelare.

Se detto giudizio non sia proponibile per una libera scelta delle parti, non vi è neppure

spazio per l'emissione di un provvedimento che sia diretto ad assicurare gli effetti di un giudizio di

merito non instaurabile”).

NOTE A SENTENZA81

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Tutela cautelare e clausola...

Alla posizione granitica della Corte di Cassazione faceva da contraltare la Sentenza della

Corte Costituzionale (5 luglio 2002, n.320) che, nel dichiarare manifestamente inammissibile la

questione di costituzionalità degli art.669 quinquies (vecchio testo) e 669 octies c.p.c. (se

interpretati nel senso di escludere l’accesso alla tutela cautelare in presenza di clausola arbitrale

irrituale piuttosto che rituale) ed osservando come l’opzione ermeneutica dominante sopra riferita

fosse carente di base positiva, sanciva la sostanziale adesione del Giudice delle Leggi alle tesi

dottrinarie circa la piena compatibilità tra tutela cautelare e arbitrato irrituale.

A tacitare il dibattito interveniva il D.L.14 Marzo 2003 n.35 convertito con modificazioni in

L.14 maggio 2005 n.80.

Con tale intervento legislativo,si è addivenuti alla modifica dell’art. 669 quinquies c.p.c.

con l’espressa previsione, sulla scia di quanto già avvenuto in virtù dell’art. 35 D.Lgs. 17 gennaio

2003 n.5 nel settore delle controversie societarie, che l’autorità competente ad emettere la misura

cautelare in una controversia deferita o deferibile ad arbitri, anche irrituali, sia il giudice ordinario

civile che “competente a conoscere del merito”.

A completamento del quadro delineato, una recente Sentenza della Corte di Costituzionale

(28 gennaio 2010 n.26), muovendo dall’ incontestata natura cautelare dei provvedimenti di cui

all’art.692 e seg. c.p.c., ha sancito l’illegittimità dell'art.669 quaterdecies c.p.c., nella parte in cui,

escludendo l'applicazione dell'art.669 quinquies dello stesso codice ai provvedimenti di cui

all'art.696 c.p.c., impedisce, in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza di

giudizio arbitrale, la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice che

sarebbe competente a conoscere del merito.

Se può dirsi, atteso il chiarissimo disposto dell’art.818 c.p.c. e dell’art.669 quinquies c.p.c.,

che la compromissione in arbitrato libero di una controversia non possa precludere ante causam od

in corso di giudizio la richiesta di misure cautelari, residuano taluni profili problematici in ordine

alla difficoltà di coordinare il procedimento cautelare apud judicem con la successiva fase arbitrale

irrituale.

In carenza di indicazioni normative, la soluzione più agevole, senza necessariamente

ipotizzare la concedibilità della sola tutela cautelare a carattere “anticipatorio” (cfr. il novellato

art.669 octies, commi 6 e 7), per la quale è oggi esclusa in radice la necessità di un collegamento

con il successivo giudizio di merito, consisterebbe nell'adattare all'arbitrato libero la previsione del

comma 5 dell'art.669 octies c.p.c., e dunque nel ritenere che l'attivazione del procedimento arbitrale

irrituale possa avvenire con qualunque atto scritto a ciò idoneo, pur se carente di taluno dei requisiti

NOTE A SENTENZA82

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Tutela cautelare e clausola...

propri della domanda d'arbitrato, malgrado il n.1 del comma 4 dell'art.669 novies (relativo alle

cause di inefficacia del provvedimento cautelare) discorra di “esecutorietà” del lodo, lasciando così

trapelare l'intento legislativo di definire i rapporti del procedimento cautelare col solo arbitrato

rituale (il quale soltanto pone capo a una pronuncia suscettibile di acquisire vis executiva, salvo

quanto previsto dagli artt.412 e 412 quater c.p.c. come introdotti dalla L. 4 novembre 2010 n.183).

In tale contesto generale, le decisioni della Corte di Giustizia Federale, in realtà, paiono

almeno parzialmente persistere nella sopra richiamata ambigua commistione tra vincolo di giustizia

e clausole compromissorie e, dunque, tra organi di giustizia endoassociativa e Collegi Arbitrali ad

essa estranei (cfr. ”…acclarato attraverso la incontestata documentazione prodotta, che al momento

dell’iniziativa giudiziaria del Ceravolo non era operante in ambito endofederale alcun organo

delegato a dirimere le controversie fra società e direttori sportivi…”) e con ciò, nell’erronea

convinzione che l’accesso alla tutela cautelare statuale non configuri illecito disciplinare nella

misura in cui l’Ordinamento Federale non offra validi strumenti di tutela in via di “cognizione”.

L’erroneità del ragionamento sotteso, ad avviso di chi scrive, risiede nell’ipotizzare, nei casi

di arbitrato previsto dalla contrattazione collettiva, un potenziale conflitto tra i decisa resi da organi

endoassociativi o comunque integranti l’apparato della giustizia domestica ed autorità

giurisdizionale statale, laddove la risoluzione arbitrale delle controversie lavoristiche costituisce, di

contro, alternativa alla giurisdizione statuale che trova fondamento nella Legge e nella

contrattazione collettiva e non anche, come già detto, nella normativa autonoma di settore.

Anche sulla scorta della giurisprudenza del Giudice delle Leggi (Corte Costituzionale, 16

Febbraio 2011, n.49), pronunciamento pur non condivisibile in toto circa la risoluzione della

questione di costituzionalità posta, può affermarsi che l’art.3 del D.L. n.220/2003 convertito con

modificazione dalla L.17 ottobre 2003 n.280 “individua, in sostanza, una triplice forma di tutela

giustiziale (…) una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra società sportive,

associazioni sportive, atleti (e tesserati), è demandata alla cognizione del giudice ordinario (…) una

seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 2, nella quale,

in linea di principio, la tutela, stante la irrilevanza per l’ordinamento generale delle situazioni in

ipotesi violate e dei rapporti che da esse possano sorgere, non è apprestata da organi dello Stato ma

da organismi interni all’ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste (e nel cui

solo ambito esse, infatti, godono di pacifica rilevanza), secondo uno schema proprio della cosiddetta

giustizia associativa (…). una terza forma di tutela, di carattere residuale e rimessa al giudice

amministrativo”.

NOTE A SENTENZA83

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Tutela cautelare e clausola...

Solo evidentemente nel secondo ambito delineato dalla Corte Costituzionale, quello

definibile con approssimazione delle questioni “tecniche e disciplinari”, ragionevolmente può

dissertarsi di autonomia (associativa) dell’ordinamento sportivo, conseguente autodichia e dunque

di potenziale conflittualità.

Di estremo interesse rilievo, invece, l’inciso adottato dalla Corte di Giustizia Federale

secondo cui “comunque, in ipotesi diversa, un siffatto organo, anche se esistente e funzionante, non

sarebbe stato legittimato a conoscere delle azioni cautelari giusta la già citata previsione portata

dall’art. 699 quinquies c.p.c. (rectius art.818 c.p.c. N.D.R.), non si vede quale addebito possa essere

ragionevolmente mosso a carico del deferito costretto, da un incombente periculum in mora

derivante dallo stato di avanzata decozione in cui versava la società debitrice, ad attivarsi

tempestivamente nel tentativo di ottenere il soddisfacimento delle sue pretese creditorie”.

La Corte, in sede motivazionale, richiama all’uopo un recente precedente (C.G.F .in C.U.

n.21 del 20 luglio 2011 Ric. Chomakov) che, in qualche misura, perpetra l’equivoco giusto il quale

i modelli di risoluzione delle controversie lavoristico- patrimoniali sia da ricondursi all’alveo della

giurisdizione domestica.

In tale pronuncia si affermava il principio secondo cui il divieto di adire la magistratura

ordinaria “non può che essere rinvenuto nella predisposizione, da parte dell’ordinamento sportivo,

di strumenti alternativi alla giurisdizione statuale – e funzionalmente omogenei - per la decisione di

controversie tra i soggetti di cui al comma 1: ciò che è preveduto nei precedenti commi 2 e 3

dell’art. 30 dello Statuto, che attribuisce appunto il potere decisorio vincolante per tali soggetti agli

organi interni di giustizia federale ed ad arbitri”.

Non costituirebbe violazione, pertanto, del divieto agire per l’esecuzione forzata

considerando come nessuno degli organi di giustizia domestica “ha poteri di esecuzione coattiva

per attuare le decisioni, di carattere patrimoniale, dai medesimi pronunciate: con ciò confermandosi

che la concorrenza della propria potestà decisoria con quella degli organi giudiziari statuali si

potrebbe in astratto configurare esclusivamente per la pronuncia di provvedimenti decisori, di

accertamento o costitutivi, ma non già per la esecuzione dei provvedimenti medesimi, allorché a

contenuto di condanna patrimoniale”.

In realtà, in un’ottica di corretta interpretazione dei rapporti interordinamentali o, più

correttamente, in un’ottica tesa a garantire l’autonomia degli Ordinamenti sportivi, esemplificando

il “modello” dei rapporti che scaturisce dal combinato disposto di quanto previsto dalla L.

n.280/2003 e dalla Sentenza della Corte Cost. n.49/2011, in sostanza, potrebbe così sintetizzarsi:

NOTE A SENTENZA84

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Tutela cautelare e clausola...

1) irrilevanza delle c.d. regole tecniche, nel senso della insussistenza di alcuna situazione

giuridica soggettiva tutelabile davanti ad un organo giurisdizionale;

2) ammissibilità di una tutela esclusivamente risarcitoria nei confronti dei provvedimenti

disciplinari resi nell’ambito dell’ordinamento sportivo, ove tali provvedimenti incidano su diritti

soggettivi, ferma restando la necessità di esperire preventivamente i rimedi previsti

dall’ordinamento sportivo ;

3) impugnabilità davanti al giudice amministrativo di alcuni provvedimenti degli organi

sportivi, in particolare di tutti quegli atti del Comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.) o delle

federazioni sportive non riservate al sindacato esclusivo degli organi di giustizia dell’ordinamento

sportivo;

4) proponibilità di una domanda rivolta al giudice ordinario, nel caso di controversie relative

ai rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti (salva la devoluzione in virtù di valida

clausola compromissoria della controversia a Collegi Arbitrali).

Ricondotto il contenzioso scaturente da contratti di lavoro al punto 4) che precede, il

fondamento dell’arbitrato oltre che nell’art. 4 della L. n.91/1981 è da rinvenirsi nel solco tracciato

dall’art.412 ter c.p.c. introdotto dalla L. 4 Novembre 2010 n.183.

L’articolo richiamato prevede che i contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali

maggiormente rappresentative possono contemplare sedi e modalità di svolgimento di giudizi

arbitrali nelle materie dell’art.409 c.p.c.

Si tratta di una sorta di delega in bianco, nel senso che la norma rimette alle parti sociali

non solo la scelta di schiudere l’accesso all’arbitrato, ma anche la possibilità di modellare a

gradimento forme e tecniche del giudizio arbitrale, senza più neppure le prescrizioni d’indirizzo

recate dal previgente art.412 ter.

Nella corretta interpretazione dei rapporti cui si è fatto cenno sopra “la possibilità di

accesso” alla tutela cautelare ante ed in corso di causa nell’ambito delle controversie patrimoniali di

cui all’art.3 della L. n.280/2003, lungi dal costituire “graziosa concessione” in funzione

“complementare e suppletiva” nei casi di lacune dell’ordinamento giustiziale endoassociativo, è

manifestazione della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, considerato quanto previsto

dall’art.818 c.p.c. in tema di monopolio statuale nella concessione dei provvedimenti cautelari salva

diversa disposizione di Legge (cfr. art.35 D.Lgs. n.5 del 2003 in tema di sospensione provvisoria

dell’ efficacia delle delibere assembleari societarie).

NOTE A SENTENZA85

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Tutela cautelare e clausola...

Il riconoscimento in termini ormai definitivi e non più controvertibili che la tutela cautelare

costituisca parte integrante ed essenziale della garanzia della tutela giurisdizionale di cui all’art.24

Cost., comporta l’impossibilità ad ammettere che per un periodo indeterminato, né astrattamente

determinabile diritti soggettivi lesi o sottoposti a pericolo di lesione, anche irreparabile, possano

essere, per definizione e in linea di principio, sottratti ad ogni forma di tutela cautelare e

potenzialmente indeboliti o addirittura sacrificati, al punto di far venire meno, a danno di una parte

ed a favore dell’altra, la stessa garanzia di effettività della tutela.

Il valore costituzionale della tutela cautelare esige che la copertura della stessa, nelle forme

tipiche ed atipiche, sia integrale, sia con riferimento alle diverse tipologie di diritti soggettivi da

sottoporre a cautela, sia in relazione all’inesistenza di ostacoli che possano, direttamente od

indirettamente, impedirne l’accesso (anche solo nelle forme, ad avviso di chi scrive, della richiesta

di autorizzazione in deroga nell’ambito del contenzioso patrimoniale e lavoristico).

(*) Avvocato del foro di Lecce.

NOTE A SENTENZA86

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Organizzazione e servizio degli steward...

Tribunale di Verona, sentenza n.586 del 4 marzo 2011Il Giudice, all’esito della Camera di Consiglio, pronuncia la seguente

SENTENZAnella causa promossa da:

……………, nato …………… a Verona e residente a ……………….. in via

…………………………, con l’Avv. L. M. di Roma, domiciliata presso lo studio dell’Avv. S. F. di

Verona; ricorrente;

contro

MINISTRO dell’INTERNO, pro tempore, domiciliato presso l’Avvocatura dello Stato di Venezia in

Piazza San Marco, n. 63; resistente;

PREFETTO di VERONA, pro tempore, domiciliata in Verona in via Santa Maria Antica n. 1;

resistente

iscritta al n. 2880/10 R.G.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME del POPOLO ITALIANO

osservato, in via preliminare, che non si procede all’esposizione della parte narrativa della

lite, atteso che l’art. 281 sexies cod. proc. civ. dispone espressamente che il giudice pronunci

sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e solo “della concisa esposizione

delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”;

richiamato, in fatto, il contenuto narrativo del ricorso per l’annullamento dell’ordinanza

ingiunzione n. 8940/2008 – Area III del 21.1.2010, notificato il 1° aprile 2010;

richiamato il contenuto della comparsa di costituzione e risposta;

rilevato che la Prefettura di Verona, visto il processo verbale n. 11 del 30.10.2008, nel quale

la Questura di Verona contestava al ricorrente la violazione degli artt. 5 e 6 del D.M. 8.8.2007 del

Ministero dell’Interno, e rimetteva alla Prefettura la scelta della sanzione da irrogare, “non essendo

previste sanzioni specifiche per le violazioni di cui sopra”.

La Prefettura sanzionava le infrazioni commesse con l’emissione di una ingiunzione di

pagamento per complessivi € 8.650,00;

osservato che la sanzione individuata dalla Prefettura è quella prevista dal D.L. n. 28 del

24.2.2003 dall’art. 1 quinquies che al comma 2 recita: “la violazione delle disposizioni di cui all’art.

NOTE A SENTENZA87

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Organizzazione e servizio degli steward...

1 quater, comma 2, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.164,00 a €

25.822,00”.

L’art. 1 quater comma 2 recita “l’ingresso agli impianti di cui al comma 1 deve avvenire

attraverso varchi dotati di metal detector, finalizzati all’individuazione di strumenti di offesa e

presidiati da personale appositamente incaricato, ed è subordinato alla verifica elettronica della

regolarità del titolo di accesso mediante l’utilizzo di apposite apparecchiature”.

Appare evidente che il precetto di cui all’art. 1 quater comma 2 individua infrazioni di

natura diversa rispetto a quelle sanzionate dall’ordinanza ingiunzione oggetto del ricorso, in quanto

non vi è alcun riferimento al piano approvato dal G.O.S. tre giorni prima della gara e neppure vi

sono riferimenti alle modalità di svolgimento del servizio da parte degli steward.

L’art. 1 della L. n. 689/81 consacra il principio di legalità, ponendo per le sanzioni

amministrative una riserva di legge analoga a quelle di cui all’art. 25 comma 2 della Costituzione,

se impedisce che le sanzioni possano essere comminate direttamente da disposizioni contenute in

fonti normative, non esclude che i precetti, dalla legge sufficientemente individuati, siano

eterointegrati da norme regolamentari delegate, in virtù della peculiare tecnicità della dimensione in

cui le fonti secondarie sono chiamate ad operare (cfr.: Cass. 2937/98). Questi principi non possono

essere applicati al caso di specie, in quanto si è visto che nessuna relazione intercorre tra il precetto

di cui agli artt. 5 e 6 del D.M. 8.8.2007 e la sanzione applicata, erroneamente, in via analogica di cui

all’art. 1 quater comma 2 del D.L. 28/03, in palese violazione del principio di legalità.

Alla luce di quanto su esposto, l’opposizione va accolta, in quanto non sono emerse prove

sufficienti idonee a dimostrare la responsabilità del ricorrente, da cui deriva l’infondatezza della

pretesa sanzionatoria delle Amministrazioni resistenti con il conseguente annullamento

dell’ordinanza ingiunzione e della relativa sanzione irrogata;

tenuto conto delle difficoltà interpretative delle norme che regolano la materia della

sicurezza in occasione di competizioni sportive e dei profili di novità della controversia, si ritiene

equo compensare integralmente tra le parti le spese di lite;

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa respinta, accoglie

il ricorso, per l’effetto, annulla l’ordinanza ingiunzione n. 8940/2008 – Area III del 21.1.2010

emessa dalla Prefettura di Verona;

spese compensate per i motivi su esposti.

Così deciso, in Verona, il 4 marzo 2011

NOTE A SENTENZA88

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Organizzazione e servizio degli steward...

Tribunale di Verona, sentenza n.590 del 4 marzo 2011

SENT. CONT. 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale civile e penale di Verona

Sezione 2° civile

Il G.O.T. Carlo Favaro

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

OGGETTO: 180001 opposizione all’ordinanza ingiunzione

nella causa civile promossa con ricorso 16.3.2010

DA

……………………………………….., elettivamente domiciliato in Verona, Stradone San

Fermo, n. 14 presso lo studio dell’Avv. F. L. che lo rappresenta e difende con l’Avv. L.M. come da

mandato a margine dell’atto introduttivo;

RICORRENTE

CONTRO

Prefettura di Verona (…………….) in persona del Prefetto pro tempore e

Ministero Interno (………………...) in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliati in Venezia, San Marco 63 presso l’Avvocatura Distrettuale di Stato che li rappresenta ex

lege;

RESISTENTI

FATTO E DIRITTO

Trattasi di opposizione all’ordinanza 8942.2008 del 26.1.2010 con la quale la Prefettura

ingiunge al ricorrente il pagamento della somma di € 6.700,00 in relazione al verbale 10.2008 per la

violazione dell’art. 1 quater D.L. 28/2003 (L. 88/2003) nonché dell’art. 6 D.M. 8.8.2007.

Nel caso di specie viene contestata la corretta verifica del titolo e del documento

identificativo idonei all’accesso.

NOTE A SENTENZA89

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Organizzazione e servizio degli steward...

È di tutta evidenza che l’attività richiesta allo steward si limita alla verifica della

corrispondenza tra i dati anagrafici riportati nel titolo di accesso e sul frontespizio del documento

identificativo, restando in capo agli agenti di pubblica sicurezza l’esercizio delle altre potestà

pubbliche (identificazione, perquisizione).

Anche lo sblocco del tornello appare inquadrabile nella medesima prospettiva laddove

l’attività richiesta non è identificativa, ma di mero riscontro tra titolo e documento.

La particolare complessità della materia autorizza la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Giudice

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa respinta, accoglie

il ricorso; annulla l’ordinanza ingiunzione 8942/2008 del 21.1.2010 emessa dalla Prefettura di

Verona;

compensa le spese di lite tra le parti.

Verona, 4 marzo 2011

NOTE A SENTENZA90

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ORGANIZZAZIONE E SERVIZIO DEGLI STEWARD NEGLI STADI: PROFILI DI RESPONSABILITA’

AMMINISTRATIVA

NOTA ALLE SENTENZE DEL TRIBUNALE DI VERONA DEL 4 MARZO 2011 N. 586 E 590

di Lina Musumarra (*)

Sommario:

1. Premessa

2. Il fatto

3. Violazione del principio di legalità delle fattispecie sanzionabili

4. Modalità di esercizio del controllo nella fase di prefiltraggio e filtraggio

5. Conclusioni

1. Premessa

Come è noto, la legge n. 217 del 17 dicembre 2010 (di conversione del D.L. n. 187/2010)

ha apportato alcune rilevanti modifiche alla L. n. 41/2007, prevedendo che, “ferme restando le

attribuzioni e i compiti delle autorità di pubblica sicurezza, al predetto personale” (ovvero gli

steward) “possono essere affidati, in aggiunta ai compiti previsti in attuazione del medesimo

comma, altri servizi, ausiliari dell’attività di polizia, relativi ai controlli nell’ambito dell’impianto

sportivo, per il cui espletamento non è richiesto l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego

operativo di appartenenti alle Forze di polizia”.

NOTE A SENTENZA91

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Organizzazione e servizio degli steward...

I nuovi servizi ausiliari sono contenuti nel decreto del Ministro dell’Interno del 28 luglio

2011, in vigore dal 25 settembre.1 In particolare nel predetto decreto – che integra e modifica il

precedente DM 8 agosto 2007 (in vigore dal 1 marzo 2008),2 si prevede che gli steward possono

procedere al controllo manuale, anche a campione, dell’abbigliamento e degli oggetti portati da chi

accede all’impianto sportivo.

Tali controlli possono essere effettuati mediante la tecnica del pat-down, quando tale

modalità di controllo si rende necessaria al fine di evitare l’introduzione all’interno dell’impianto

sportivo di oggetti, strumenti e materiali illeciti, proibiti, atti ad offendere o comunque pericolosi

per la pubblica incolumità.

Gli steward potranno inoltre svolgere attività di prefiltraggio e filtraggio agli accessi negli

impianti, anche attraverso il concorso nelle procedure di primo intervento che non comporti

l’esposizione a profili di rischio, quando ciò si rende necessaria per evitare indebiti accessi

nell’impianto sportivo attraverso lo scavalcamento dei varchi di ingresso, ovvero a prevenire o

interrompere condotte o situazioni potenzialmente pericolose per l’incolumità o la salute delle

persone, fermo restando l’obbligo di immediata segnalazione alle forze di polizia cui, a richiesta,

deve essere prestata la massima collaborazione.

Questi nuovi compiti, per la stagione calcistica 2011-2012, possono essere affidati solo agli

steward che hanno superato un apposito aggiornamento professionale organizzato dalle società

sportive d’intesa con la questura, secondo modalità e tempi definiti dall’Osservatorio Nazionale

sulle Manifestazioni Sportive.

Si deve precisare che gli steward sono stati equiparati ai pubblici ufficiali limitatamente alle

tutele penali introdotte dalla legge in parola, ovvero in caso di lesioni personali gravi o gravissime

subite dai medesimi nell’espletamento delle mansioni svolte in occasione delle manifestazioni

sportive.

In questo contesto - prescindendo dalle implicazioni derivanti dall’introduzione della tessera

del tifoso3 - appaiono di particolare interesse le sentenze pronunciate dal Tribunale di Verona in una

fattispecie che coinvolge direttamente il tema in esame: le criticità emerse dalla necessità di attuare

una stretta collaborazione tra gli steward e le Forze dell’Ordine, in una logica complessiva di

1 Gazz. Uff. n. 197 del 25 agosto 2011.2 In tema di “Organizzazione e servizio degli <<steward>> negli impianti sportivi” (Gazz. Uff. n. 195 del 23 agosto 2007). Per approfondimenti bibliografici, si rinvia a P. Garraffa, Recenti sviluppi sulla normativa contro la violenza negli stadi, in Riv. Dir. Ec. Sport, vol. VI, n. 3, 2010, pp. 13-33; AA.VV., La gestione della sicurezza negli impianti sportivi (a cura di L. Musumarra), Experta edizioni, 2009. 3 Si rinvia a P. Garraffa, Una tormentata vicenda: la tessera del tifoso, in Riv. Dir. Ec. Sport, vol. VII, n. 3, 2011, pp. 103-114.

NOTE A SENTENZA92

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Organizzazione e servizio degli steward...

sistema, sono infatti ancora oggi persistenti in molti stadi, come dimostrano i reiterati episodi di

intolleranza posti in essere da alcune frange ultras, per i quali l’Osservatorio Nazionale sulle

Manifestazioni Sportive ha disposto, da una parte, il “rafforzamento del servizio di stewarding nelle

attività di pre-filtraggio e filtraggio, anche presso i varchi dedicati”4, dall’altra, la contestuale

“implementazione dell’impiego di operatori di Polizia in uniforme ordinaria, in appoggio agli

steward, per le esigenze di filtraggio e controllo documentale”.5

2. Il fatto

Il caso portato all’attenzione dei giudici scaligeri - nell’ambito dei rispettivi procedimenti di

impugnazione, ex L. n. 689/1981, dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto di Verona notificata al

capo unità steward e al delegato per la sicurezza – riguarda l’incontro di calcio – Sambenedettese,

valevole per il campionato Lega Pro prima divisione, risalente al settembre 2008.

In particolare, secondo il verbale di contestazione di illecito amministrativo redatto dalla

Questura, veniva accertato, nei confronti del capo unità steward, il mancato ottemperamento di

quanto previsto dal DM 6 giugno 2005 “in materia di titoli d’accesso allo stadio, in relazione alla

legge 24.4.2003 nr. 88 (che ha modificato il decreto legge 24.2.2003 nr. 28) ed in particolare

dall’art. 1 quater, stessa legge, comma 1 e 2, nonché dall’art. 6 del D.M. dell’8 agosto 2007,

concernente le modalità di svolgimento del servizio degli steward che prevede, da parte degli stessi,

la verifica del possesso di regolare titolo di accesso allo stadio, per ogni persona, e l’accertamento

della conformità dell’intestazione del titolo di accesso all’impianto alla persona fisica che lo

possiede, richiedendo l’esibizione di un valido documento di identità.

Nella fattispecie concreta, la mancata corretta verifica del titolo di accesso e dei documenti

personali, da parte degli steward del cancello d’ingresso alla zona prefiltraggio curva sud e al

tornello, consentiva a (…), appartenente alla locale tifoseria dell’Hellas Verona, di oltrepassare

prima il varco d’accesso alla zona di sicurezza e poi il tornello di accesso al settore curva sud,

senza regolare titolo di accesso allo stadio, raggiungendo l’interno del settore curva sud. Una volta

entrato nel settore l’ultrà aggrediva violentemente con calci e pugni un altro tifoso veronese, per

uscire subito dopo dallo stadio dallo stesso varco da cui era irregolarmente entrato” (…).

4 Cfr. Determinazione n. 32 del 15 settembre 2011.5 Cfr. Determinazione n. 3 del 20 gennaio 2010.

NOTE A SENTENZA93

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Organizzazione e servizio degli steward...

“I fatti e le circostanze, così come si sono verificati e riscontrati, (…) costituiscono l’illecito

amministrativo di cui all’art. 3 quater legge 4 aprile 2007 nr 41”, cui violazione “è punita con la

sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000,00 a € 20.000,00”.

Con riferimento, invece, alla posizione del delegato per la sicurezza incaricato dalla società

di calcio, nel verbale di contestazione veniva accertato, da una parte, il mancato ottemperamento di

quanto previsto dal DM 6 giugno 2005 in relazione alle statuizioni contenute nella predetta legge n.

88/2003 (in particolare, art. 1 quater, comma 1 e 2), nonché degli artt. 5 e 6 del 8 agosto 2007 “che

prevedono la verifica del possesso di regolare titolo di accesso allo stadio, per ogni persona, e

l’accertamento della conformità dell’intestazione del titolo di accesso alle generalità della persona

fisica che lo possiede, richiedendo l’esibizione di un valido documento di identità, nonché,

l’obbligo, per il responsabile per la sicurezza, di trasmettere al Questore l’elenco completo, con i

relativi aggiornamenti e/o variazioni, degli steward impiegati con l’indicazione del nominativo

associato ad un numero progressivo, specificando l’area o il settore di impiego e le mansioni

assegnate per ciascuna unità operativa” (…). questo caso, secondo il verbale, “i fatti e le

circostanze, così come si sono verificati e riscontrati (…), configurano un illecito amministrativo,

conseguente ad una indiscutibile violazione delle disposizioni generali sul servizio degli steward,

ex art. 5 DM dell’8.8.2007, nonché delle modalità di servizio degli steward, ex art. 6 stesso decreto.

Si avverte il contravventore chenon essendo previste sanzioni specifiche per le violazioni di cui

sopra e non ricorrendo quindi l’ipotesi di cui all’art. 16 della l. 689/81, ovvero l’ammissione al

pagamento in forma ridotta, si provvederà entro i termini di legge ad inviare il presente verbale al

Prefetto di Verona, quale autorità competente a ricevere l’atto, che stabilirà la sanzione da

infliggere”.

In entrambi i procedimenti i giudici provvedevano alla sospensione dei provvedimenti

impugnati e, all’udienza del 4 marzo 2011, dopo ampia discussione orale, venivano pronunciate le

sentenze in epigrafe riportate, le quali hanno accolto integralmente le deduzioni difensive contenute

nei rispettivi ricorsi in opposizione ex art. 22 L. n. 689/1981, annullando l’ordinanza-ingiunzione

emessa dalla Prefettura di Verona, rispettivamente, nei confronti del capo unità steward e del

delegato per la sicurezza.6

6 Si richiama, in materia, la sentenza del Giudice di Pace di Palermo del 25 marzo 2011 n. 573 (inedita), la quale, accogliendo anche in questo caso il ricorso in opposizione a sanzione amministrativa ex lege n. 689/1981 inflitta ad uno steward in occasione della partita di calcio Palermo-Roma del 23 settembre 2009, ha così statuito: “La fattispecie normativa di cui agli artt. 3 ter e 3 quater del D.L. 08/02/2007 ha avuto concreta regolamentazione con il Decreto del Ministero dell’Interno 8 agosto 2007, il quale ha fissato in maniera dettagliata i compiti ricadenti sugli Steward addetti ai vari servizi per l’accesso degli spettatori presso lo Stadio. Considerato che il controllo sulla identificazione dello spettatore e la corrispondenza con l’intestazione del titolo di accesso, come prescritto dall’art. 6, comma 1, lett.b3, del richiamato decreto ministeriale, compete allo steward addetto al prefiltraggio (al quale si

NOTE A SENTENZA94

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3. Violazione del principio di legalità delle fattispecie sanzionabili

Prima di procedere nell’analisi delle modalità di organizzazione e svolgimento del servizio

degli steward, con particolare riferimento al profilo della verifica del possesso di regolare titolo di

accesso da parte degli spettatori, e a quello dell’accertamento della conformità della relativa

intestazione, occorre soffermarsi sulle motivazioni contenute nella sentenza n. 586, con riguardo ai

profili di illegittimità dell’ordinanza-ingiunzione contestati dalla difesa del ricorrente per manifesta

violazione dell’art. 1 (“Principio di legalità”) della L. n. 689/1981, nonché degli artt. 1 cod. pen. e

25 Cost.. Sulla base, infatti, di quanto disposto dall’art. 1 della legge in parola, “nessuno può essere

assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima

della commissione della violazione”, in applicazione, quindi, dei principi di legalità e di

irretroattività della legge sanzionatoria.

Nel caso di specie – secondo l’assunto difensivo - è pacifico che nessuna sanzione possa

essere applicata al delegato per la sicurezza in quanto non prevista dalle disposizioni di cui si

attribuisce la violazione, ovvero gli artt. 5 e 6 del DM 8 agosto 2007.

Nonostante tale fatto sia riconosciuto dalla stessa Questura di Verona nel verbale di

accertamento, si dà in ogni caso impulso al procedimento sanzionatorio, delegando il Prefetto nella

‘creazione’ della norma sanzionatoria (“si provvederà entro i termini di legge ad inviare il presente

verbale al Prefetto di Verona, quale autorità competente a ricevere l’atto, che stabilirà la sanzione

da infliggere”), violando manifestamente e con modalità del tutto abnormi il principio di legalità e

di tassatività delle fattispecie sanzionabili, nonché il diritto di difesa, costituzionalmente garantito,

avendo privato il ricorrente della conoscenza dell’ipotetica norma che istituisce la sanzione e quindi

del suo potere di intervento sin dalla prima fase del procedimento davanti agli organi

amministrativi.7 Sul punto il Tribunale di Verona, così motiva: “Osservato che la sanzione

individuata dalla Prefettura è quella prevista dal D.L. n. 28 del 24.02.2003 dall’art. 1 quinquies

che al comma 2 recita: ‘la violazione delle disposizioni di cui all’art. 1-quater, comma 2, è punita

con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.164,00 a € 25.822,00’. L’art. 1-quater comma 2

fa obbligo di negare l’accesso allo spettatore sprovvisto del biglietto o che non dimostri di essere il titolare del biglietto esibito) e accertato che il ricorrente risultava addetto al preselettore di incanalamento dei tornelli (costituente la fase di filtraggio), le attività che era chiamato a svolgere erano solo quelle fissate dall’art. 6, comma 1, lett. c1 e c2 del citato decreto (…)”. 7 Cfr. Cass. sent. 12 novembre 2007 n. 23506, che stabilisce la nullità del verbale di accertamento se non riporta l’importo della sanzione in misura ridotta; parimenti, Cass. 23 gennaio 2007 n. 1412 e Cass. 15 settembre 2009 n. 19906, nelle quali, pur riferite a casi diversi, si conferma che il principio della tassatività delle fattispecie sanzionabili e della riserva di legge sulla pena, costituzionalmente sanciti, rispondono al criterio secondo il quale ad ogni norma sanzionatoria deve essere anticipata una norma prescrittiva.

NOTE A SENTENZA95

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recita: ‘l’ingresso agli impianti di cui al comma 1 deve avvenire attraverso varchi dotati di metal

detector, finalizzati all’individuazione di strumenti di offesa e presidiati da personale

appositamente incaricato, ed è subordinato alla verifica elettronica della regolarità del titolo di

accesso mediante l’utilizzo di apposite apparecchiature’.

Appare evidente che il precetto di cui all’art. 1 quater comma 2 individua infrazioni di

natura diversa rispetto a quelle sanzionate dall’ordinanza ingiunzione oggetto del ricorso, in

quanto non vi è alcun riferimento al piano approvato dal G.O.S. tre giorni prima della gara e

neppure vi sono riferimenti alle modalità di svolgimento del servizio da parte degli steward. L’art.

1 della L. n. 689/81 consacra il principio di legalità, ponendo per le sanzioni amministrative una

riserva di legge analoga a quelle di cui all’art. 25 comma 2 della Costituzione, se impedisce che le

sanzioni possano essere comminate direttamente da disposizioni contenute in fonti normative, non

esclude che i precetti, dalla legge sufficientemente individuati, siano eterointegrati da norme

regolamentari delegate, in virtù della peculiare tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie

sono chiamate ad operare (cfr Cass. 2937/98).

Questi principi non possono essere applicati al caso di specie, in quanto si è visto che

nessuna relazione intercorre tra il precetto di cui agli artt 5 e 6 del D.M. 8.08.07 e la sanzione

applicata, erroneamente, in via analogica di cui all’art. 1 quater comma 2 del D.L. 28/03, in palese

violazione del principio di legalità”.

Occorre evidenziare, peraltro, come la fonte secondaria regolamentare, costituita dal DM 8

agosto 2007 (ora modificato dal DM 28 luglio 2011), non prevede alcun regime sanzionatorio;

specifica, soltanto, gli elementi costitutivi del fatto, i quali sono delineati non dalla legge richiamata

nel verbale di accertamento della Questura (ovvero la n. 88/2003), ma da una legge diversa (la n.

41/2007).

Quest’ultima, peraltro, non prevede alcuna sanzione in relazione al mancato adempimento,

da parte del delegato per la sicurezza, degli obblighi contenuti negli artt. 5 e 6 del decreto in esame

(solo l’art. 5, comma 1 descrive le mansioni riferibili a tale figura professionale).

4. Modalità di esercizio del controllo nella fase di prefiltraggio e filtraggio

L’altro profilo di interesse delle sentenze in esame è quello concernente le modalità di

svolgimento del servizio degli steward, , nel caso di specie, come già richiamato, la corretta verifica

del titolo e del documento identificativo idonei all’accesso nello stadio.

NOTE A SENTENZA96

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Sul punto la sentenza n. 590, annullando l’ordinanza ingiunzione notificata al capo unità

steward, così motiva: “E’ di tutta evidenza che l’attività richiesta allo steward si limita alla verifica

della corrispondenza tra i dati anagrafici riportati nel titolo di accesso e sul frontespizio del

documento identificativo, restando in capo agli agenti di pubblica sicurezza l’esercizio delle altre

potestà pubbliche (identificazione, perquisizione).

Anche lo sblocco del tornello appare inquadrabile nella medesima prospettiva laddove

l’attività richiesta non è identificativa, ma di mero riscontro tra titolo e documento”.

L’interpretazione giurisprudenziale delle norme in esame contribuisce a dare maggiore chiarezza ad

uno degli aspetti più critici del rapporto tra Forze di Polizia e i cosiddetti assistenti di stadio,

secondo la terminologia utilizzata in ambito europeo8.

Si ricorda, infatti, che il Ministero dell’Interno, con una circolare del 18 ottobre 2010,9 ha

ritenuto necessario sensibilizzare i funzionari ed il personale preposto alla direzione ed attuazione

dei servizi di ordine pubblico negli stadi, disponendo che:

a) “gli steward effettuino, come prescritto dall’art. 1, comma 3-ter della legge 41/07, il

controllo della rispondenza tra il biglietto e l’identità del possessore. Tale attività dovrà essere

svolta con cadenza proporzionata al livello di rischio del settore di riferimento, almeno ‘a

campione’.10 Ricorrendone i presupposti, dovrà essere applicato il sistema sanzionatorio di cui

all’art. 1, comma 3-quater della predetta legge”;

b) “in prossimità degli accessi allo stadio, nelle aree individuate per il filtraggio, dovranno

essere effettuati accurati servizi di controllo sulla persona ad opera degli steward e, nei settori più

a rischio, anche da parte delle forze di polizia, disponendo, ove ritenuto necessario, perquisizioni a

campione, anche con l’utilizzo di mezzi delle forze di polizia che testimonino in maniera visibile le

attività svolte (es.: camper)”;

c) “nelle aree prospicienti allo stadio, inoltre, dovranno essere pianificati mirati servizi

‘antibagarinaggio’ anche attraverso l’impiego di pattuglie in abiti civili degli uffici investigativi”.

La circolare in parola ha sollevato alcune fondate critiche circa le condizioni e i termini per i

controlli sulla persona. Secondo quanto prescritto dall’art. 6, comma 1, lett. c), punto 1) del DM 8

agosto 2007, si prevede, infatti, “un sommario controllo visivo delle persone e delle borse od

oggetti portati” ed un controllo con “metal detector”, mentre soltanto con le modifiche introdotte 8 Cfr., altresì, risoluzione Consiglio UE, 4 dicembre 2006 (2006/C322/01).9 N. 555/OP/0002678/2010/2/CNIMS.10 Ovvero “almeno per il 50% degli ingressi”, come previsto dalla circolare n. 555/OP/457/2008/CNIMS del 16 gennaio 2009, la quale ribadisce quanto già indicato nella precedente circolare n. 555/OP/2063/2006/CNIMS del 5 agosto 2006, ove si richiede che la verifica in parola sia effettuata su un “congruo numero di spettatori”.

NOTE A SENTENZA97

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dal DM 28 luglio 2011, per la stagione calcistica 2011-2012, è stato inserito il controllo a campione

manuale dell’abbigliamento e degli oggetti mediante la tecnica del “pat-down”.11

Nel caso di specie, in seguito alla valutazione del materiale probatorio documentale, è

emersa la correttezza delle modalità organizzative del servizio di stewarding, come attuate dal

delegato per la sicurezza ed applicate, per il profilo che interessa, dal capo unità stewardin

occasione della partita di calcio svoltasi il 14 settembre 2008 tra la società Hellas Verona e la

società Sambenedettese.

In particolare, in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 5, comma 1, prima parte, del DM

8 agosto 2007 (“Nell’espletamento dei compiti di direzione e controllo, il delegato per la sicurezza

pianifica l’impiego degli steward sulla base dell’organigramma di cui all’allegato C al presente

decreto, secondo un piano approvato dal G.O.S. almeno 3 giorni prima della gara”) il delegato per

la sicurezza ha provveduto alla pianificazione dell’impiego degli steward sulla base dello specifico

organigramma consegnato al Gruppo Operativo Sicurezza – GOS, nonché, secondo le modalità

concordate con quest’ultimo e la Questura di Verona, a trasmettere alla medesima, tramite lo

steward a ciò incaricato, il documento con il quale viene comunicato l’elenco del personale

impiegato, con l’indicazione dei rispettivi nominativi e dei numeri progressivi di identificazione del

11 Si riporta, sul punto, l’intervista rilasciata all’AGI.com dal Presidente A.N.DE.S., Ferruccio Taroni, il 1 settembre 2011: “Vogliamo continuare a collaborare con i poliziotti, non 'sostituirci' a loro. Certi compiti non ci spettano". “A una settimana dal via al campionato di serie A di calcio, gli steward - gli uomini e donne in pettorina gialla sempre più' numerosi nei nostri stadi - danno voce al loro malcontento. E puntano l'indice contro il decreto firmato dal ministro dell'Interno il 28 luglio (e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 25 agosto) che delega loro funzioni fino ad oggi ad esclusivo appannaggio delle forze dell'ordine. A cominciare dai controlli manuali, ‘anche a campione’, dell'abbigliamento e degli oggetti portati da chi entra nell'impianto sportivo. Si scrive ‘pat-down’, si legge, nella sostanza, perquisizione personale”. “Che sarà superficiale quanto si vuole – lamenta Ferruccio Taroni, presidente dell'A.N.DE.S., l'Associazione Nazionale dei Delegati alla Sicurezza che coordinano il 75% circa degli steward di tutta Italia, dalla serie A alla Lega Pro - ma sempre perquisizione è. Avevamo chiesto almeno che fosse limitata agli indumenti non indossati, per evitare di mettere letteralmente le 'mani addosso' ai tifosi ma di questo distinguo nel decreto non c’è traccia. Io mi chiedo: che cosa c’entra tutto questo con quelle funzioni di accoglienza e instradamento che anche l'Uefa ci assegna? Con che faccia potremo accompagnare i tifosi in trasferta, come dovremmo fare da questa stagione, fare gli amici sui pullman e poi, una volta scesi, fare la faccia più o meno feroce del 'controllore' con le stesse persone?” “Il fantasma evocato da Taroni è quello di disperdere nel giro di pochi mesi il patrimonio di credibilità e fiducia conquistato con un lavoro di anni e lodato in più occasioni dallo stesso Maroni. “E' un percorso perdente quello che si e' voluto imboccare a tutti i costi. E che porterà i tifosi, almeno una certa parte, a individuare in noi i 'nuovi' nemici e a vedere la nostra pettorina come una divisa. E poi chi lo spiega al sostenitore tranquillo, quello con in tasca la sua brava tessera che avrebbe dovuto garantirgli una sorta di 'telepass' ai cancelli, che potrà incappare nei controlli 'a campione' come qualsiasi ultras?” “C’è un altro elemento del decreto a lasciare perplessi gli steward: in fase di filtraggio, potranno intervenire anche per evitare ‘scavalcamenti’ o prevenire ‘condotte e situazioni potenzialmente pericolose’.” “E' vero - ammette Taroni - che questi compiti, come del resto le perquisizioni, potranno essere affidati solo agli steward che avranno seguito appositi corsi di formazione organizzati dalle questure. Ma che senso ha precisare che l'intervento deve avvenire solo quando non comporti 'l'esposizione a profili di rischio'?. Ci vogliamo prendere in giro?”. “Ultimo punto, non per importanza, il fatto che il decreto della discordia non sia arrivato come un fulmine a ciel sereno, ma sia stato preceduto da un serrato confronto parlamentare.” “E' un altro degli aspetti che ci lascia perplessi”, “rincara la dose il presidente dell'Associazione. In effetti, basta leggere i verbali della seduta delle commissioni riunite Affari costituzionali e Cultura del 28 giugno per rendersi conto di come tutte le forze politiche, di maggioranza e opposizione, fossero d'accordo sull'opportunità di 'ritoccare' il decreto, proprio nel senso suggerito dall'A.N.DE.S., per 'non snaturare' il ruolo degli steward. L'indomani, sui giornali si lesse di uno ‘stop’ della Camera al Viminale. Ma un mese esatto più tardi il decreto è stato varato. E dal 24 settembre diventerà operativo.” "Proveremo a chiedere un passo indietro", conclude Ferruccio Taroni, "ma sappiamo che sarà dura. Vogliamo verificare anche che certe norme siano 'corrette' sotto il profilo giuridico. Speriamo solo di non dover dire prima o poi, 'noi l'avevamo detto..".

NOTE A SENTENZA98

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pettorale (art. 5, comma 1, seconda parte, del DM 8 agosto 2007, a tenore del quale:

“Nell’espletamento dei compiti di direzione e controllo, il delegato per la sicurezza (…)

predispone, altresì, l’elenco del personale impiegato, avendo cura di associare ciascun nominativo

ad un numero progressivo, specificando l’area o settore di impiego e le mansioni assegnate a

ciascuna unità operativa (…). L’elenco (…) è trasmesso al questore”).

E’ opportuno altresì evidenziare che anche in quell’occasione una parte della tifoseria

dell’Hellas Verona (circa un centinaio di tifosi che fanno riferimento ad un gruppo di ultras ben

conosciuto dalle Forze dell’Ordine) – si trovava all’esterno della Curva sud, utilizzando notevoli

quantità di bevande alcoliche, striscioni, inneggiando cori con musica assordante, lanciando

fumogeni, rendendo, quindi, particolarmente difficile il lavoro svolto dagli steward, nella

corrispondente e limitrofa area di prefiltraggio e filtraggio.

Tale situazione era stata più volte segnalata dal delegato per la sicurezza, sia verbalmente

che per iscritto, a tutte le istituzioni competenti. Sotto tale profilo, occorre evidenziare ancora una

volta il complesso ruolo che il legislatore ha inteso attribuire agli steward: nel privilegiare la

definizione di una figura con una forte caratterizzazione di accoglienza, le ha nel contempo affidato

importanti compiti per la messa in sicurezza dell’impianto sportivo, i quali – si ribadisce - devono

essere svolti in stretta collaborazione con gli operatori di polizia.

Per tale motivo, l’attività formativa degli steward, in particolare la fase pratica, ha avuto un

iter piuttosto complesso, per il quale si è reso necessario, da parte del Ministero dell’Interno, tramite

l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, prorogare per ben due volte il termine entro

il quale si sarebbe dovuto concludere da parte delle società di calcio professionistiche

l’espletamento dell’addestramento mediante esercitazioni pratiche (dapprima al 31 gennaio 2009 e

successivamente al termine della stagione calcistica 2008/2009), come prescritto dalla

Determinazione n. 6 del 3 febbraio 2009.

Tale documento, emanato successivamente alla fattispecie in esame, è stato adottato in

funzione dell’esigenza di “predisporre apposite linee guida per lo svolgimento delle esercitazioni in

parola, al fine di uniformare lo svolgimento”; vengono pertanto per la prima volta espressamente

individuate le principali finalità e i contenuti dell’esercitazione, ovvero:

1) “verificare la funzionalità della catena di comando e delle modalità di comunicazione di

servizio”;

2) “accertare il corretto allestimento e funzionamento del piano di mantenimento delle

condizioni di sicurezza – da intendersi sia sotto i profili di safety che sotto quelli di security –

NOTE A SENTENZA99

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dell’impianto sportivo relativamente alle procedure di: accesso/uscita da esso da parte del

pubblico; uso dei percorsi e dei varchi di afflusso/deflusso; controllo degli spettatori e del rispetto

del regolamento d’uso, evacuazione in emergenza ed alla corretta disponibilità degli spazi di calma

o altro” (…).

“Gli interventi degli steward per i singoli scenari dell’esercitazione sono coordinati dal

Delegato per la sicurezza, in base alle indicazioni fornite, per ciascuno degli aspetti di competenza,

dal Funzionario di P.S. nominato dal Questore Responsabile del Gruppo Operativo Sicurezza -

G.O.S. -, dal Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco o suo delegato e dal Delegato alla

sicurezza della Società Sportiva”; “tutte le attività ordinarie ed esercitative degli steward

avvengono sotto la diretta vigilanza degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza preposti agli

specifici servizi e sono documentate, secondo le modalità di cui all’art. 6 lettera h del D.M. 8

agosto 2007, su apposita modulistica recate la scritta, in filigrana, ‘Esercitazione’; nei 3 giorni

successivi l’esercitazione, il Funzionario responsabile del G.O.S. convoca un apposito de-briefing,

al termine del quale attesta il regolare svolgimento dell’attività”.

Occorre, inoltre, evidenziare - con riferimento all’addebito contestato al capo unità steward,

consistente nella ritenuta violazione dell’art. 6 del DM 8 agosto 2007, e, più specificatamente,

dell’art. 3, lett. b) e dell’art. 1, comma 3-quater della L. n. 41/2007 - che nell’area di filtraggio dello

Stadio Bentegodi la presenza delle Forze dell’Ordine era limitata alla fase di accesso iniziale degli

spettatori, come è emerso dalle stesse dichiarazioni rese dalla Questura di Verona (“presidiano tutti

gli accessi nella fase di ingresso del pubblico, garantendo altresì la loro presenza anche durante lo

svolgimento della competizione calcistica, con una vigilanza dinamica”).

Peraltro, l’eventuale identificazione (e/o perquisizione) di un individuo ritenuto pericoloso

spetta esclusivamente alle Forze dell’Ordine, come prescritto dall’art. 6, lett. h), punto 2 del DM 8

agosto 2007, a tenore del quale “le attività di prefiltraggio e di filtraggio sono svolte sotto la diretta

vigilanza degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza preposti agli specifici servizi, i quali

assicurano gli interventi che richiedono l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego di appartenenti

alle Forze di polizia”. In questa logica è quindi necessario evidenziare i limiti della condotta degli

steward, soprattutto quando l’attività dei medesimi e, in particolare, quella riferita al capo unità

steward, è svolta - al momento del fatto contestato – senza poter avere la presenza – obbligatoria -

degli operatori di polizia.

NOTE A SENTENZA100

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Organizzazione e servizio degli steward...

Non può certo sostenersi, sotto questo profilo, che la “vigilanza dinamica” - così qualificata

dalla Questura di Verona - possa concretizzare il requisito della “diretta vigilanza” previsto dall’art.

6, lett. h), comma 2 del DM 8 agosto 2007.

In circostanze come quelle oggetto della controversia in esame non può essere assicurata

alcuna tempestività di intervento da parte delle Forze dell’Ordine se non tramite la loro presenza

fisica, accanto agli steward, sia nella fase di prefiltraggio che in quella di filtraggio, soprattutto se

l’individuo pericoloso è già conosciuto dagli operatori di polizia, come nel caso di specie, per

pregressi episodi di violenza che lo hanno reso destinatario di provvedimenti di divieti di accesso

allo stadio.

5. Conclusioni

Per quanto sia nota l’esigenza di limitare ai casi di assoluta necessità la presenza delle Forze

di Polizia negli stadi italiani, è altrettanto noto e pacifico che l’art. 6, comma 2 del DM 8 agosto

2007, come modificato dal successivo DM 28 luglio 2011, statuisce in modo chiaro e univoco –

come già richiamato - che “le attività di prefiltraggio e di filtraggio, di cui, rispettivamente, alle

lett. b) e c) del comma 1, sono svolte sotto la diretta vigilanza degli ufficiali e agenti di pubblica

sicurezza preposti agli specifici servizi(…)”.

Come correttamente osservato dalla dottrina in materia (e confermato dalle richiamate

determinazioni dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive), la predetta previsione

normativa è giustificata dal fatto che “il prefiltraggio ed il filtraggio (…) implicano un diretto

contatto con lo spettatore (compresi i controlli con il metal detector)”12 e che, in questo senso,

“nessuno potrà mai revocare in dubbio la necessità di un impegno fattivo e costante delle forze di

polizia all’interno e all’esterno degli impianti sportivi, per l’esercizio doveroso delle funzioni di

pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria” 13, garantendo, in ogni caso, la società sportiva, il

necessario raccordo operativo e/o informativo con i responsabili delle Forze dell’Ordine. Non vi è

dubbio che in tale contesto normativo la figura dello steward, quale incaricato di un pubblico

servizio (e pubblico ufficiale limitatamente alle tutele penali introdotte dalla L. n. 217/2010) –

svolge un ruolo di primaria importanza sia per le mansioni che si collegano al mantenimento della

sicurezza dell’impianto (incolumità pubblica/safety), sia per quelle connesse alla gestione

12CfrR.Massucci,Steward–Profiligiuridici,compiti e responsabilità, www.osservatoriosport.interno.it www.osservatoriosport.interno.it , 2007, p. 69.13 Cfr. R. Massucci, Steward – Profili giuridici, compiti e responsabilità, cit., p. 49.

NOTE A SENTENZA101

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dell’impianto sportivo ed all’organizzazione dell’evento (ovvero rispetto del regolamento

d’uso/security).

Ma occorre, altresì, sottolineare che gli steward, “nello svolgimento del servizio cui sono

preposti, pur inserito in un contesto funzionale alla sicurezza pubblica, non esercitano una funzione

pubblica, né sono investiti di pubbliche potestà”, mancando, quindi, dei relativi poteri autoritativi e

certificativi, avvalendosi, esclusivamente, “delle facoltà di diritto comune inerente lo ‘ius

excludendi’ dell’utilizzatore dell’impianto”. 14

In altre parole, nell’attività dello steward “non si ravvisa alcuna potestà identificativa o di

perquisizione”, propria del pubblico ufficiale 15, ma, casomai, il legittimo diritto, quale parte

contraente – atteso che il titolo d’accesso all’impianto perfeziona il negozio giuridico tra le parti

(pubblico-tifoso/società sportiva) e riporta esplicitamente quali sono le clausole contrattuali e le

condizioni di efficacia del medesimo – di verificare il rispetto delle predette clausole attraverso lo

svolgimento di operazioni che certamente interferiscono nella sfera dei diritti di libertà dell’altra

parte contraente (il tifoso). Una diversa interpretazione delle prescrizioni contenute nell’art. 6 del

DM 8 agosto 2007, come modificato dal DM 28 luglio 2011, si porrebbe in contrasto con i criteri

ermeneutici previsti dalle Disposizioni sulla legge in generale del codice civile, e, in particolare,

con l’art. 12 a mente del quale “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che

quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla

intenzione del legislatore”.

(*) Avvocato. Docente di Diritto dello Sport, Università Luiss Guido Carli – Roma,

Facoltà di Giurisprudenza.

14 Cfr. Circolare Ministero dell’Interno n. 555/O.P./2063/2006/II/C.N.I.M.S. del 5 agosto 2006.15 Cfr. R. Massucci, Steward – Profili giuridici, compiti e responsabilità, cit., p. 47.

NOTE A SENTENZA102

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La caduta dell'Osaka Rule...

LA CADUTA DELL’OSAKA RULE: IL FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI O “SUMMUM IUS, SUMMA INIURIA”?

NOTA AL LODO TAS CAS 2011/O/2422 USOC V IOC (PUBBLICATA SU WWW.TAS-CAS.ORG)

di Mario Vigna (*)

Nel giugno 2008, il Comitato Olimpico Internazionale (“CIO”) aveva introdotto nella Carta

Olimpica la Regola 45, la cosiddetta “Osaka Rule” o “6 Months Rule”, secondo la quale un atleta

colpevole di violazioni della normativa antidoping, sanzionato per un periodo pari o superiore ai sei

mesi nel corso di un quadriennio olimpico, sarebbe stato automaticamente impossibilitato a

partecipare alle susseguenti edizioni delle Olimpiadi.

La regola ha avuto da subito una serie di applicazioni in ambito nazionale, specie in casi di

atleti statunitensi. In un paio di procedimenti1, il tribunale arbitrale statunitense statuiva come la

Osaka Rule non potesse essere utilizzata per impedire ad atleti precedentemente sanzionati per

doping di partecipare ai Giochi di Londra, evidenziando come essa avrebbe rappresentato, qualora

applicata, una sanzione iniqua e gravemente sproporzionata. Ciò poneva il Comitato Olimpico

Statunitense (“USOC”) tra due fuochi. Infatti, mentre un tribunale arbitrale nazionale decideva che

gli atleti potessero gareggiare ai trials olimpici 2012, la posizione del CIO era quella di rifiutare la

loro eventuale partecipazione.

Onde chiarire la questione, nell’aprile 2011, il CIO e l’USOC hanno concordato di devolvere

la questione al TAS che con in lodo in esame ha dichiarato la norma CIO invalida ed inefficace.

1 AAA/North American Court of Arbitration for Sport USADA v. Hardy No. 771900028808 e AAA/North American Court of Arbitration for Sport Usada v. Merritt No. 7719000293.

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La caduta dell'Osaka Rule...

Sommario:

1. L’Osaka Rule e le posizioni delle parti.

2. La portata sanzionatoria e il “ne bis in idem”.

3. La giurisprudenza TAS e le due posizioni.

4. La potestà regolamentare dei firmatari e le “selezioni” olimpiche: il caso UK.

5. Conclusioni.

1. L’Osaka Rule e le posizioni delle parti.

Nel procedimento innanzi al TAS, la posizione dell’USOC è stata quella di considerare

l’Osaka Rule come una “nuova” sanzione disciplinare, tale da porsi in violazione di quanto disposto

dall’art. 23.2.2 del Codice WADA (“WADC”), il quale prevede come “nessun provvedimento che

modifichi l’effetto”2 degli articoli del Codice WADA elencati – tra cui l’art. 2 sulle violazioni e l’art.

10 sulle sanzioni – possa essere aggiunto nelle proprie norme antidoping da un firmatario del

WADC stesso.

Essendo peraltro il WADC incorporato dalla Carta Olimpica3, pareva all’USOC evidente il

conflitto tra l’Osaka Rule e la Carta Olimpica stessa. A supporto della propria posizione, l’USOC ha

avuto l’avallo di numerosi soggetti facenti parte del movimento olimpico. Infatti, memorie nelle

vesti di Amicus Curiae sono state inviate da numerose organizzazioni antidoping quali l’Antidoping

danese, britannica, norvegese, giapponese, svizzera, l’Agence francaise de lutte contre le dopage, la

Drug Free Sport NZ, il South African Institute for Drug-free Sport, la United States Anti-Doping

Agency, i Comitati Olimpici olandese e ungherese, l’Associazione di Ciclisti Spagnoli

Professionisti e la Unione Russa Biathlon4.

Ad ogni modo, è facile comprendere come il maggior appoggio alla posizione statunitense

sia stato rappresentato dalla memoria inviata dalla WADA, piuttosto critica sulla norma CIO.

In particolare, la WADA poneva in discussione l’unilaterale adozione da parte del CIO di

una norma del genere e sollevava preoccupazione sul fatto che gli effetti della stessa fossero

incompatibili con il principio di proporzionalità e il rispetto dei diritti fondamentali degli atleti5.

2 In originale “No additional provision may be added to a Signatory’s rules which changes the effect of the articles enumerated in this Article” WADC 23.2.2. 3 La regola 43 della Carta Olimpica dispone “The World Anti-Doping Code is mandatory for the whole Olympic Movement”. 4 Si veda paragrafo 3.9 del lodo.5 Si veda paragrafo 3.11 del lodo.

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Da par suo, il CIO ha argomentato come l’adozione dell’Osaka Rule non avesse comportato

né violazioni dei suoi obblighi quale firmatario del WADC né alcuna lesione delle regole e dei

principi della Carta Olimpica. Infatti, la norma in esame avrebbe avuto attinenza al mero concetto di

“eligibility” (i.e. ammissibilità della partecipazione) piuttosto che ai profili sanzionatori tipici del

WADC. In tale ottica, il CIO aveva infatti inserito la norma nel capitolo della Carta Olimpica

inerente la partecipazione ai Giochi e non in quello relativo alle misure e sanzioni disciplinari. Il

CIO argomentava altresì come la norma non fosse lesiva di alcun diritto soggettivo degli atleti in

quanto non si prevede in alcuna norma sportiva un “diritto di partecipare” a singoli eventi sportivi

come i Giochi Olimpici.

Da ultimo le parti hanno evidenziato posizioni diverse circa la violazione da parte della

norma di alcune disposizioni di diritto svizzero, cui il CIO – stante la propria soggettività giuridica

– avrebbe dovuto attenersi.

2. La portata sanzionatoria e il “ne bis in idem”

Nel lodo in esame, il Collegio TAS ha inteso sposare la linea dell’USOC qualificando la

regola come una sanzione disciplinare aggiuntiva rispetto a quelle previste dall’art. 10 del WADC.

Da un punto di vista sostanziale essa finirebbe infatti per penalizzare l’atleta una seconda volta a

fronte di una sola condotta illecita.

Nell’analisi complessiva delle norme WADC e della Carta Olimpica, nonché di parte della

propria precedente giurisprudenza, il Collegio TAS ha evidenziato come la sanzione definita

“ineligibility” (i.e. squalifica) comporti l’impossibilità per l’atleta di partecipare per un determinato

periodo di tempo ad alcuna competizione o ad altra attività6. Seguendo il proprio filo logico, il

Collegio ha altresì rimarcato come il concetto di ineligibility sia posto inequivocabilmente

nell’ambito delle “competition”. Posto che il WADC definisce un evento sportivo come una serie di

“individual competition” sotto l’egida di un solo organizzatore7, è di tutta evidenza come i Giochi

Olimpici ricadano sotto tale definizione, con contestuale applicazione dell’ineligibility a tale

evento.

6 La definizione del Codice WADA recita: “the Athlete (...) is barred for a specific period of time from participating in any Competition (...)”.7 Un “Event” è definito come “a series of individual Competitions conducted together under one ruling body”.

NOTE A SENTENZA105

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Nella propria analisi, il Collegio ha poi precisato che l’utilizzo di una regola CIO atta ad

impedire ad un atleta di partecipare ad un evento non può considerarsi altro che un utilizzo di

matrice disciplinare8.

In altri termini, il Collegio TAS ha ritenuto come il CIO non potesse alterare l’effetto

sanzionatorio previsto dal WADC aggiungendo una regola che in sostanza aggiungeva una misura

ulteriore – di asserita matrice amministrativa ed olimpica9 – su fatti già devoluti alla portata

sanzionatoria del WADC. Il Collegio ha quindi definito la sanzione ulteriore stabilita dall’Osaka

Rule come una modifica sostanziale del Codice WADA.

Tale ragionamento è poi esitato in un sillogismo di facile intuizione con il quale il TAS ha

dichiarato la norma CIO in violazione della Carta Olimpica stessa, stante l’adesione al WADC ivi

disposta.

Il TAS si è da ultimo spinto addirittura su alcune considerazioni prettamente sportive,

considerando che per la maggior parte degli atleti i Giochi Olimpici rappresentano l’apice di un

percorso sportivo e non potervi partecipare, avendo già scontato una squalifica, avrebbe certo

l’effetto di penalizzare l’atleta ed incrementare di fatto il termine di sospensione.

Una volta affermato quanto precede, il TAS ha ritenuto esaurita la definizione della

questione e non è sceso nel merito delle altre argomentazioni avanzate dalle parti e dall’USOC in

particolare. Ciononostante, il Collegio ha tenuto ad evidenziare come anche qualora l’Osaka Rule

sia oggi adottata dalla WADA con effetto retroattivo, questa rischierebbe di violare il principio del

“ne bis in idem” anche in questo caso.

Volendo contrastare questa ultima affermazione del TAS sulla cosiddetta “double jeopardy”

potrebbe argomentarsi come secondo un proprio precedente orientamento – a dir vero piuttosto

risalente – il TAS stesso avesse sostenuto come non vi fosse violazione del ne bis in idem quando le

sanzioni non siano basate su le stesse regole e attengano ad ambiti diversi, anche se improntate sulla

medesima vicenda fattuale10.

8 Si veda paragrafo 8.15 del lodo.9 Si vedano paragrafi 8.23 e ss. del lodo. 10 Si veda paragrafo 11.2 del lodo CAS 96/156 Jessika Foschi v. FINA

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3. La giurisprudenza TAS e le due posizioni

Vista la significativa portata della decisione, con la quale si è giornalisticamente affermato

che il TAS abbia completato il proprio percorso di affrancamento dal CIO, si ritiene opportuno fare

una disamina a ritroso della giurisprudenza del TAS in relazione a quanto deciso, così da vedere

quali pronunce possano ritenersi “imparentate” al lodo in esame.

In primo luogo, può evidenziarsi come l’Osaka Rule non fosse diversa lato sensu da quella

norma dell’Union Cycliste Internationale secondo la quale un “indagato per doping” non avrebbe

potuto partecipare ai mondiali di ciclismo11.

Anche in quel caso il TAS optò per qualificare la norma come sanzione disciplinare. Sempre

in scia a tale orientamento si era posta un’altra pronuncia relativa alle regole di partecipazione alla

UEFA Champions League, le quali proibivano la partecipazione ad atleti coinvolti in attività di

“alterazione” illecita delle partite12.

D’altra parte, deve darsi atto cove vi fosse stata anche una pronuncia del TAS che sembrava

suffragare la posizione CIO. Infatti, nel caso CAS ad hoc Division OG 02/001 Prusis & Latvian

Olympic Committee (LOC)/IOC, il Collegio TAS aveva statuito come la decisione attinente

all’ammissione ai Giochi Olimpici fosse un provvedimento di pura matrice amministrativa. A ben

vedere, a suffragare la posizione del CIO avrebbe potuto invocarsi lo stesso art. 23.5 del WADC

laddove prevede che violazioni del WADC possano risultare in “ulteriori conseguenze” ai sensi

della Carta Olimpica. Nell’ottica CIO questa norma avrebbe potuto leggersi come la scelta del

Legislatore WADA di non disciplinare esso stesso delle sanzioni accessorie ma rinviare la questione

ad un altro testo regolamentare quale la Carta Olimpica.

4. La potestà regolamentare dei firmatari e le “selezioni” olimpiche: il caso UK

La grande questione che il lodo qui esaminato apre è quale sia veramente la portata della

potestà normativa dei singoli firmatari del WADC. La decisione illustra infatti come non sia

possibile per il singolo firmatario adottare ex se qualunque misura che comporti un sostanziale

cambiamento a quanto stabilito dal codice mondiale. In altre parole, il Collegio afferma

chiaramente che un firmatario non può crearsi un assetto di regole che punisca un illecito

antidoping quando lo stesso firmatario ha accettato che tale compito spetti alle norme del WADC.

11 Si veda paragrafo 53 del lodo TAS 2007/O/1381 Real Federación Española de Ciclismo (RFEC) & Alejandro Valverde c. Union Cycliste Internationale (UCI)12 Si veda CAS 2008/A/1583 Sport Lisboa e Benfica Futebol SAD v. UEFA & FC Porto Futebol SAD & CAS 2008/A/1584 Vitória Sport Clube de Guimarães v. UEFA & FC Porto Futebol SAD.

NOTE A SENTENZA107

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Come noto, la vicenda è ancora di attualità in relazione alla Section 7.4 delle norme adottate

dalla British Olympic Association (“BOA”).

Infatti, analogamente al CIO anche l’organismo britannico ha adottato una norma relativa

alla partecipazione ai Giochi nelle fila della propria rappresentativa nazionale13.

La questione sarebbe in questo caso però basata sul diritto spettante ad ogni comitato

olimpico nazionale di “selezionare” gli atleti da portare nella squadra olimpica. In pratica, con tale

norma si impedirebbe in perpetuo (anziché solo per un’edizione come prevedeva il CIO) ad un

atleta sanzionato per doping di partecipare ai Giochi semplicemente evitando di “selezionare” lo

stesso nel team olimpico britannico.

Da un punto di vista giuridico, la questione può apparire cavillosa ed è quindi plausibile che

altri organi giudicanti possano vedere la posizione del BOA come sostanzialmente speculare a

quella del CIO. In realtà tutto verte sulla sottile linea che distinguerebbe la giurisdizione

disciplinare dal concetto di “eligibility”.

Secondo la posizione dell’organismo britannico sembrerebbe che il “bene tutelato” dalle

norme disciplinari sia diverso da quello tutelato dalla norma sulla partecipazione. Infatti, mentre il

primo sarebbe rappresentato dalla salute degli atleti e dalla tutela della correttezza della

competizione sportiva, la norma che impedisce la partecipazione mirerebbe piuttosto a tutelare

l’immagine dell’evento sportivo nel suo complesso.

A ben vedere quest’ultima esigenza è stata affermata anche dalla citata giurisprudenza

TAS14 e da un parere reso dal tribunale sportivo in materie attinenti15.

Ad oggi, nonostante la decisione qui esaminata, il BOA si è rifiutato di abrogare la propria

norma ed ha insistito per difendere un precetto basato su ragioni essenzialmente di etica sportiva.

La partita finale si giocherà probabilmente anche questa volta innanzi al TAS in quanto

l’organismo britannico ha acconsentito a portare la questione in arbitrato con la WADA nella veste

di controparte.

13 La Section 7.4 delle norme sportive antidoping del Comitato Olimpico britannico recita “any person who is found to have committed an anti-doping rule violation will be ineligible for membership or selection to the Great Britain Olympic team” (trad. “Qualsiasi individuo colpevole di violazioni antidoping non potrà far parte o essere selezionato per la squadra olimpica”).14 Si veda nota 12 paragrafo 43 del lodo (i.e. l’objectif est de’...protéger l’intégrité, la sérénité et la réputation des championnats du monde) e nota 13 paragrafo 37 del lodo. 15 CAS 2005/C/481 CONI, paragrafo 61 (i.e. prosecution against doping is a condition to belong and to participate in the internationally recognized Sporting system and…failure to abide by and enforce anti-doping rules puts an entity outside the Olympic Movement).

NOTE A SENTENZA108

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Da un lato, può ipotizzarsi che il BOA si senta forte di una approvazione delle proprie norme

antidoping, ivi inclusa la regola inerente la “non selezione”, da parte della WADA oltremodo

consolidata (i.e. sin dal 2008).

D’altro canto, non può trascurarsi come il BOA britannico sia al contempo un firmatario del

WADC e un componente del CIO, dacché ne deriverebbe il suo obbligo di rispettare sia il WADC

che la Carta Olimpica. Sul punto le argomentazioni della WADA potrebbero essere decisive in

quanto essa è solita valutare la conformità delle norme nazionali al WADC non entrando nel merito

delle singole policy di selezione.

In ogni caso, sarà dura per il BOA superare lo stesso scoglio fatale al CIO. Infatti, essendo

indubbio che per una prima violazione legata all’uso di doping la squalifica massima per un atleta

debba essere di due anni, andare di fatto oltre tale periodo mediante un impedimento permanente a

partecipare ai Giochi non parrebbe essere in linea con il WADC.

5. ConclusioniQuando viene emessa una decisione come quella in esame, vi sono indubbiamente effetti e

messaggi. Sui primi abbiamo visto che l’Osaka Rule è stata dichiarata illegittima e inefficace.

Sui secondi può dirsi come il TAS abbia detto forte e chiaro che la incessante lotta contro il

doping sia sì di primaria importanza, ma che vada combattuta nel rispetto di regole certe, tali da

governare e garantire i rapporti tra le istituzioni sportive e gli atleti.

Se il TAS avesse permesso al CIO di operare in modo solipsistico nella galassia antidoping,

lo scopo stesso del WADC sarebbe stato posto a rischio.

Esso è infatti l’universale armonizzazione delle norme antidoping16.

Il TAS evidenzia come il sistema antidoping non possa che essere ispirato da equità e parità

di trattamento e tutti i firmatari del WADC, siano essi il CIO, le federazioni internazionali, i

Comitati Olimpici nazionali, le Agenzie Antidoping, gli Organizzatori dei grandi eventi, gli atleti e

tutti gli addetti ai lavori, devono aderire alle medesime regole. Diversamente ci troveremmo innanzi

ad un ordinamento antidoping stile “patchwork”, il che sarebbe contrario al proposito fondamentale

di garantire l’applicazione di programmi antidoping armonizzati, coordinati ed efficaci sia a livello

mondiale che nazionale17.

16 Nella propria parte introduttiva il WADC recita “The purpose of the Code is to advance the anti-doping effort through universal harmonization of core anti-doping elements (trad. “La finalità del Codice è quella di favorire l’impegno nel campo delle politiche antidoping attraverso l’armonizzazione universale degli elementi fondamentali della lotta al doping”).17 Il Codice WADA recita tra i propri scopi “to ensure harmonized, coordinated and effective anti-doping programs at the international and national level”.

NOTE A SENTENZA109

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Nel caso in esame, il TAS non ha intravisto certezze e garanzie tali da accettare “eccezioni”

a la regola.

Ad ogni buon conto, non potendosi ritenere in linea di principio l’Osaka Rule uno strumento

inidoneo per scoraggiare l’uso di doping, il Collegio ha consigliato al CIO di proporre un

emendamento al WADC tale da evitare – se approvato dagli altri firmatari – il sorgere di nuovi

conflitti in futuro18 e raggiungere gli effetti sperati.

Maliziosamente, con tale appunto il TAS sembra richiamare tutti i firmatari del WADC a

parlarsi di più in futuro, essendovi state nel passato occasioni dove la Osaka Rule avrebbe potuto

essere ufficialmente adottata (e.g. World Conference on Doping in Sport a Madrid nel 2007), così

da entrare nel WADC edizione 2009. Non essendo stato fatto, non è passata innanzi al TAS l’idea

che possa introdursi da una finestra “amministrativa” ciò che deve cerimoniosamente entrare dalla

porta “disciplinare”.

Da un punto di vista strettamente giuridico, può notarsi come nel caso in esame ciò che ha

spostato l’ago della bilancia sia stato il principio di legalità per il quale nessuno, nemmeno il

massimo organismo sportivo a livello mondiale, è al di sopra della legge.

Non si è trattato infatti di ciò che è moralmente giusto, quanto piuttosto di quello che è

legalmente consentito.

In altre parole, la protezione dell’immagine, del prestigio e della reputazione dei Giochi non

può passare sopra the quel principio fondamentale definito internazionalmente come “rule of law”.

Da ultimo, per quanto attiene la norma posta in essere dall’organo olimpico britannico, può

notarsi come seppur apparentemente basata su presupposti giuridici diversi da quelli rappresentati

nel caso qui esaminato, il suo perdurare comporterebbe una chiara penalizzazione per gli atleti

anglosassoni, quantomeno finché tutti gli altri comitati olimpici nazionali non adottino una norma

simile per le proprie selezioni olimpiche.

18 Al paragrafo 8.27 del lodo il Collegio esprime in modo emblematico il suo pensiero sul punto: “[T]he Panel wishes to make it clear that it is not stating that the IOC Regulation could not be incorporated into the WADA Code or that the spirit or the rationale of the IOC Regulation is per se right or wrong. If the IOC wants to exclude athletes who have been sanctioned for doping from the Olympic Games, it may propose an amendment to the WADA Code, which would allow other Signatories the time and opportunity to consider these issues and whether it should be adopted in the Code”.

NOTE A SENTENZA110

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In mancanza di ciò, appare prevedibile che il TAS farà cadere la regola del BOA su basi

analoghe a quelle statuite per l’Osaka Rule.

Non pare infatti plausibile ammettersi un’esclusione a vita dai Giochi Olimpici dei

“condannati” per doping se non tramite un emendamento al WADC che dia a tutti i firmatari il

tempo e la facoltà di considerare una simile previsione come opportuna.

Ad ogni buon conto, si auspica che prossima pronuncia del TAS – con udienza prevista il 12

marzo 2012 e decisione entro aprile – dirima una questione che si protrae da troppo tempo e che ha

già creato un’atmosfera surreale per tutti i sostenitori della “certezza del diritto”.

Sul punto, basti notare come un ipotetico imprimatur del TAS alla norma britannica (allo

stato altamente improbabile) rischierebbe di creare una situazione con evidenti chiaroscuri rispetto

al lodo qui esaminato.

Non potrebbe infatti ignorarsi come la “perenne” impossibilità di gareggiare alle Olimpiadi

abbia la stessa matrice disciplinare della norma CIO. Considerando peraltro che le prossime

edizioni dei Giochi si disputeranno proprio a Londra, non parrebbe equo che Albione sia così

perfida proprio con i suoi figli.

(*) Avvocato, Associato dello Studio Coccia – De Angelis & Associati.

Dal 2009 riveste il ruolo di Procuratore Antidoping del CONI.

NOTE A SENTENZA111

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FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO00198 ROMA – VIA GREGORIO ALLEGRI, 14

CASELLA POSTALE 2450

COMUNICATO UFFICIALE N. 13/CDN (2011/2012)

La Commissione disciplinare nazionale, costituita dall’Avv. Sergio Artico, Presidente, dal

Prof. Claudio Franchini, Vice Presidente Vicario, dall’Avv. Gianfranco Tobia, dall’Avv. Amedeo

Citarella, dall’Avv. Luca Giraldi, Componenti; con l’assistenza del Dott. Paolo Fabricatore e

dell’Avv. Gianfranco Menegali, Rappresentanti AIA; del Sig. Claudio Cresta, Segretario, e dei

componenti della Segreteria Paola Anzellotti, Stefano Bordoni, Salvatore Floriddia e Nicola Terra,

si è riunita nei giorni 3, 4, 5, 6 e 7 agosto 2011 e ha assunto le seguenti decisioni:

“”(71) – DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DI:

BELLAVISTA Antonio, BETTARINI Stefano, BRESSAN Mauro, BUFFONE Giorgio, CIRIELLO

Antonio, DEOMA Daniele, DONI Cristiano, ERODIANI Massimo, FABBRI Gianni, FURLAN

Claudio, GERVASONI Carlo, GIBELLINI Mauro, MANFREDINI Thomas, MICOLUCCI Vittorio,

PAOLONI Marco, PARLATO Gianfranco, QUADRINI Daniele, ROSSI Leonardo, SANTONI

Nicola, SAVERINO Davide, SIGNORI Giuseppe, SOMMESE Vincenzo, TISCI Ivan, TUCCELLA

Gianluca, VELTRONI Giorgio, ZACCANTI Federico, AC CHIEVO VERONA Srl, US

SASSUOLO CALCIO Srl, BENEVENTO CALCIO Spa, RAVENNA CALCIO Srl, ATALANTA

BERGAMASCA CALCIO SPA, ASD PINO DI MATTEO C5, CALCIO PORTOGRUARO

SUMMAGA Srl, US CREMONESE Spa, PIACENZA FC Spa, HELLAS VERONA FC Spa,

ASCOLI CALCIO 1898 Spa, FC ESPERIA VIAREGGIO Srl, ASS. REGGIANA 1919 Spa,

SPEZIA CALCIO Srl, AS TARANTO CALCIO Srl, ASD CUS CHIETI, US ALESSANDRIA

CALCIO 1912 Srl, VIRTUS ENTELLA Srl ▪

(nota n. 603/1615pf10-11/SP/blp del 25.7.2011).

NOTE A SENTENZA112

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1) Il deferimento

Con provvedimento del 25 luglio 2011, il Procuratore Federale ha deferito a questa

Commissione:

1. BELLAVISTA Antonio, che risulta, all’epoca dei fatti, iscritto nell’albo del Settore

Tecnico quale allenatore di base;

2. BETTARINI Stefano, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società A.C. Chievo Verona S.r.l.;

3. BRESSAN Mauro, che risulta, all’epoca dei fatti, allenatore di base iscritto all’albo

dei tecnici;

4. BUFFONE Giorgio, che risulta, all’epoca dei fatti, direttore sportivo della Società

Ravenna Calcio S.r.l.;

5. CIRIELLO Antonio, che risulta, all’epoca dei fatti, Vice Presidente della Società

Ravenna Calcio S.r.l.;

6. DEOMA Daniele, che risulta, all’epoca dei fatti, allenatore di base iscritto all’albo

dei tecnici;

7. DONI Cristiano, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la Società

Atalanta Bergamasca Calcio S.p.a.;

8. ERODIANI Massimo, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società A.S.D. Pino Di Matteo C5;

9. FABBRI Gianni, che risulta Presidente della Società Ravenna Calcio S.r.l. in carica

fino al 18/12/2010;

10. FURLAN Claudio, che risulta calciatore tesserato dal 13/08/2010 per la Società POL.

Nuovo Campobasso S.r.l. e dal 31/01/2011 per la Società Calcio Portogruaro Summaga S.r.l.;

11. GERVASONI Carlo, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società U.S. Cremonese S.p.a. trasferito in prestito il 20/01/2011 alla Società Piacenza F.C. S.p.a.

nonché allenatore di base iscritto all’albo dei tecnici;

12. GIBELLINI Mauro, che risulta iscritto all’elenco dei direttori sportivi e, all’epoca

dei fatti, D.S. della Società Hellas Verona F.C. S.p.a.;

13. MANFREDINI Thomas, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società Atalanta Bergamasca Calcio S.p.a.;

14. MICOLUCCI Vittorio, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

NOTE A SENTENZA113

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Società Ascoli Calcio 1898 S.p.a.;

15. PAOLONI Marco, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la Società

U.S. Cremonese S.p.a. trasferito in prestito il 31/01/2011 alla Società Benevento Calcio S.p.a.;

16. PARLATO Gianfranco, che risulta, all’epoca dei fatti, allenatore di base iscritto

all’albo dei tecnici;

17. QUADRINI Daniele, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società U.S. Sassuolo Calcio S.r.l.;

18. ROSSI Leonardo, che risulta Allenatore Professionisti di 2a Categoria iscritto

all’albo dei tecnici e tesserato, all’epoca dei fatti, per la Società Ravenna Calcio S.r.l.;

19. SANTONI Nicola, che risulta Allenatore di base iscritto all’albo dei tecnici e

tesserato, all’epoca dei fatti, per la Società Ravenna Calcio S.r.l.;

20. SAVERINO Davide, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società Reggiana Calcio S.p.a.;

21. SIGNORI Giuseppe, che risulta, all’epoca dei fatti, Allenatore Professionisti di 1a

Categoria iscritto all’albo dei tecnici;

22. SOMMESE Vincenzo, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società Ascoli Calcio 1898 S.p.a.;

23. TISCI Ivan, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore svincolato dalla Società A.C.

Sambonifacese S.r.l in data 30/06/2010 e per la quale ha disputato gare nella stagione sportiva

2009/2010 e, quindi, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento FIFA sullo status e sul trasferimento dei

calciatori, sottoposto alla giurisdizione disciplinare;

24. TUCCELLA Gianluca, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società C.U.S. Chieti A.S.D.;

25. VELTRONI Giorgio, che risulta, all’epoca dei fatti, Presidente e Amministratore

Unico della Società U.S. Alessandria Calcio 12 S.r.l.;

26. ZACCANTI Federico, che risulta, all’epoca dei fatti, calciatore tesserato per la

Società Virtus Entella S.r.l.;

27. Società U.S. ALESSANDRIA CALCIO 1912 S.r.l.

28. Società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a.

29. Società ATALANTA BERGAMASCA CALCIO S.p.a.

30. Società BENEVENTO CALCIO S.p.a.

31. Società A.C. CHIEVO VERONA S.r.l.

NOTE A SENTENZA114

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32. Società U.S. CREMONESE S.p.a.

33. Società A.S.D. CUS CHIETI

34. Società F.C. ESPERIA VIAREGGIO S.r.l.

35. Società HELLAS VERONA F.C. S.p.a.

36. Società PIACENZA F.C. S.p.a.

37. Società A.S.D. PINO DI MATTEO C5

38. Società CALCIO PORTOGRUARO SUMMAGA S.r.l.

39. Società RAVENNA CALCIO S.r.l.

40. Società ASS. REGGIANA 1919 S.p.a.

41. Società U.S. SASSUOLO CALCIO S.r.l.

42. Società SPEZIA CALCIO S.r.l.

43. Società A.S. TARANTO CALCIO S.r.l.

44. Società VIRTUS ENTELLA S.r.l. per rispondere:

A) Associazione prevista dall’art. 9 CGS

1. ERODIANI Massimo, calciatore tesserato per la Società A.S.D. PINO DI MATTEO

C5;

PAOLONI Marco, calciatore tesserato fino al 31/1/2011 per la Società U.S. CREMONESE

S.p.a. e successivamente trasferito in prestito alla Società BENEVENTO CALCIO S.p.a.;

PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti, allenatore di base iscritto all’albo dei tecnici;

BELLAVISTA Antonio, all’epoca dei fatti, iscritto nell’albo del Settore Tecnico quale

allenatore di base;

BUFFONE Giorgio, all’epoca dei fatti, direttore sportivo della Società RAVENNA CALCIO

S.r.l.;

BRESSAN Mauro, all’epoca dei fatti, allenatore di base iscritto all’albo dei tecnici;

GERVASONI Carlo, calciatore tesserato in prestito, all’epoca dei fatti, per la Società

PIACENZA F.C. S.p.a. nonché allenatore di base iscritto all’albo dei tecnici.

MICOLUCCI Vittorio, calciatore tesserato, all’epoca dei fatti, per la Società ASCOLI

CALCIO 1898 S.p.a.;

SIGNORI Giuseppe, all’epoca dei fatti, Allenatore Professionisti di 1a Categoria iscritto

all’albo dei tecnici,

SOMMESE Vincenzo, calciatore tesserato, all’epoca dei fatti, per la Società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a.;

NOTE A SENTENZA115

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

TUCCELLA Gianluca, calciatore tesserato, all’epoca dei fatti, per la Società C.U.S. CHIETI

A.S.D.;

della violazione di cui all’art. 9 CGS perché si associavano fra loro, in numero di tre o

superiore a tre, al fine di commettere una serie indeterminata di illeciti disciplinari, fra i quali illeciti

sportivi ex art. 7 CGS e effettuazione scommesse illecite ex artt. 1 e 6 CGS, come dimostrato dalle

specifiche contestazioni mosse ai suddetti associati che vengono integralmente richiamate,

operando con condotte finalizzate ad alterare il regolare svolgimento e il risultato di gare dei

campionati nazionali con lo scopo di illecite locupletazioni o mediante dazioni di denaro costituenti

il compenso per l’illecita attività posta in essere ovvero mediante scommesse dall’esito sicuro

perché realizzate su gare combinate. Programma perseguito con un assetto stabile e con una

distribuzione di ruoli come descritto nella parte motiva che deve intendersi integralmente

richiamata.

In epoca anteriore e contestuale ai fatti evidenziati nel presente procedimento e,

comunque, per tutta la durata corrispondente ai singoli fatti in odierna contestazione.

Su tutto il territorio nazionale e con contatti di natura internazionale.

2. la Società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’

art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato ERODIANI.

3. la Società U.S. CREMONESE S.p.a., di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 4,

comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato PAOLONI per l’epoca di corrispondente

tesseramento quale calciatore, ovvero fino al 31/1/2011.

4. la Società BENEVENTO CALCIO S.p.a., di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’

art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato PAOLONI per l’epoca di

corrispondente tesseramento quale calciatore, ovvero dal 31/1/2011 in poi.

5. la Società RAVENNA CALCIO S.r.l., di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 4,

comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo dirigente BUFFONE.

6. la Società PIACENZA F.C. S.p.a. di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 4,

comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato GERVASONI Carlo.

7. la Società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a., di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’

art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi ai suoi tesserati MICOLUCCI e SOMMESE.

8. la Società C.U.S. CHIETI A.S.D., di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 4,

comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato TUCCELLA Gianluca.

NOTE A SENTENZA116

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B) Gara MONZA - CREMONESE del 21.11.2010

9. PAOLONI Marco, all’epoca dei fatti calciatore della società CREMONESE, della

violazione dell’art. 7, commi 1, 5 e 6, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima

della gara MONZA CREMONESE del 21/11/2010, in concorso con altri soggetti non

appartenenti all’ordinamento federale e altri allo stato non identificati, posto in essere atti

diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta, prendendo contatti ed accordi

diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella parte motiva del presente provvedimento e

nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra l’altro, rendendosi volontariamente

protagonista di un comportamento che consentiva agli avversari di segnare un goal e di pareggiare

una gara che essi avrebbero altrimenti perduta.

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

10. la società U.S. CREMONESE S.p.a. per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato.

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

11. ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di

Matteo C5, per violazione dell’art. 7, comma 7, del Codice di Giustizia Sportiva per aver violato il

dovere di informare senza indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la

gara MONZA - CREMONESE del 21/11/2010, di cui era a conoscenza come descritto nella parte

motiva;

12. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato.

C) Gara CREMONESE - PAGANESE del 14.11.2010

13. PAOLONI Marco, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società U.S.

CREMONESE S.p.a., della violazione dell’art. 1, comma 1, CGS e dell’art. 7, commi 1 e 5, del

Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara CREMONESE - PAGANESE del

14/11/2010, in concorso con altri soggetti allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad

alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta con le condotte specificate nella parte

motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra

NOTE A SENTENZA117

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l’altro: prima garantendo, dietro il versamento di un corrispettivo, un impegno minore suo e di

altri allo stato non identificati compagni di squadra nel corso della gara in oggetto, al fine di

garantire il pareggio o la vittoria della

società avversaria e, successivamente, alterando le bevande destinate ai compagni di squadra

con un farmaco tranquillante, così determinando anche malori a carico di alcuni compagni, come

descritto nella parte motiva;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

14. la società U.S. CREMONESE S.p.a. di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 7,

commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

PAOLONI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

15. ERODIANI MASSIMO, tesserato all’epoca dei fatti per la società A.S.D. Pino Di

Matteo C5, per violazione dell’art. 7, comma 7, del Codice di Giustizia Sportiva per aver violato il

dovere di informare senza indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la

gara.

16. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.

4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato ERODIANI.

D) Gara SPAL - CREMONESE del 16.1.2011

17. PAOLONI Marco, all’epoca dei fatti calciatore della società U.S. CREMONESE

S.p.a., ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino

Di Matteo C5, PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti iscritto all’albo dei tecnici, della

violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara

SPAL - CREMONESE del 16.1.2011, in concorso fra loro e con altri soggetti non tesserati ed altri

allo stato non compiutamente identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il

risultato della gara suddetta, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come

specificato nella parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del

procedimento e, fra l’altro: il PAOLONI richiedendo una somma di denaro per garantire un

minore impegno dei suoi compagni di squadra per favorire la sconfitta della squadra di

appartenenza; l’ERODIANI promettendo tale somma di denaro destinata al fine indicato; il

NOTE A SENTENZA118

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PARLATO adoperandosi per l’individuazione dei soggetti che avrebbero messo a disposizione il

denaro necessario per il raggiungimento dello scopo.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

18. la società U.S. CREMONESE S.p.a., di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art. 7,

commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma e 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

PAOLONI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

19. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma e 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato ERODIANI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

20. ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di

Matteo C5, PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti iscritto all’albo dei tecnici, della violazione

dell’ art. 1, comma 1, (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6 (divieto di

effettuare scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, avendo gli stessi posto in essere le condotte

descritte nella parte motiva ovvero, fra l’altro, un’illecita attività alterativa (di cui ai capi che

precedono) e conoscitiva finalizzata a scommettere su gare dall’esito sicuro e avendo gli stessi

effettuato o concorso ad effettuare scommesse sulla gara SPAL-CREMONESE del 16.1.2011, fra

l’altro anche presso soggetti non autorizzati a riceverle;

21. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.

4, comma e 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato ERODIANI.

E) Gara BENEVENTO - VIAREGGIO del 13.2.2011

22. ERODIANI Massimo, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, PAOLONI Marco, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società

BENEVENTO CALCIO SPA, PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti allenatore di base iscritto

all’albo dei tecnici, della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per

avere, prima della gara BENEVENTO-VIAREGGIO del 13/2/2011, in concorso fra loro e con altri

soggetti allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato

della gara suddetta, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato

nella parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento

e, fra l’altro: ERODIANI Massimo organizzatore della combine e delle scommesse da effettuare

NOTE A SENTENZA119

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curando, da un lato i rapporti con il PAOLONI e quindi assicurandosi la disponibilità degli atleti

all’alterazione del risultato della gara e, dall’altro quelli con i finanziatori della somma necessaria a

pagare la prestazione illecita, nonché curando il pagamento di quanto concordato ai calciatori

mediante versamenti fatti sulla posta-pay del PAOLONI; il PARLATO tenendo contatti con tesserati

della società di cui era stato collaboratore per lo scopo sopra indicato; PAOLONI Marco, quale

intermediario con altri calciatori non

identificati con certezza e collettore delle cifre da versare ai predetti.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

23. la società BENEVENTO CALCIO SPA di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi a PAOLONI;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

24. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al tesserato

ERODIANI;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

25. la società F.C. ESPERIA VIAREGGIO S.r.l. di responsabilità presunta, ai sensi dell’

art. 4, comma 5, CGS, per l’illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da persone ad essa

estranee, come sopra specificato, in occasione della gara BENEVENTO - VIAREGGIO del

13/2/2011;

26. FURLAN Claudio, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società CALCIO

PORTOGRUARO SUMMAGA S.r.l., per violazione dell’art. 7, comma 7, del Codice di Giustizia

Sportiva per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale,

omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara BENEVENTO-VIAREGGIO del 13/2/2011;

27. la società CALCIO PORTOGRUARO SUMMAGA S.r.l. per responsabilità oggettiva

ai sensi dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al

proprio tesserato.

F) Gara LIVORNO - ASCOLI del 27.2.2011

NOTE A SENTENZA120

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

28. ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/2009 per la società A.S.D. Pino

Di Matteo C5, SOMMESE Vincenzo, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società ASCOLI,

MICOLUCCI Vittorio, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società ASCOLI, TUCCELLA

Gianluca, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la U.S. CHIETI, della violazione dell’art. 7,

commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara LIVORNO-ASCOLI del

27.2.2011, in concorso fra loro e con altri soggetti non tesserati ed altri di cui non si è accertata in

modo univoco l’identità, posto in essere atti

diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta prendendo contatti ed

accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella parte motiva del presente

provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra l’altro: Il SOMMESE

offrendo la somma di euro 20.000 al MICOLUCCI per ottener dallo stesso un impegno a perdere la

gara in oggetto; il MICOLUCCI accettando tale somma di denaro al fine indicato; l’ERODIANI

organizzando tale attività finalizzata ad alterare la gara in oggetto: il TUCCELLA rafforzando i

propositi dei soggetti predetti e facilitando i contatti necessari al raggiungimento dello scopo.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

29. ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di

Matteo C5, SOMMESE Vincenzo, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società ASCOLI,

MICOLUCCI Vittorio, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società ASCOLI, della

violazione dell’ art. 1, comma 1, (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6

(divieto di effettuare scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, avendo gli stessi effettuato o

concorso ad effettuare scommesse, peraltro presso soggetti non autorizzati a riceverle;

30. la società ASCOLI CALCIO 1898 S.r.l., di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati ai propri

tesserati SOMMESE e MICOLUCCI

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

31. la società C.U.S. CHIETI A.S.D., di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art. 7,

comma 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

TUCCELLA;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

32. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato ERODIANI;

NOTE A SENTENZA121

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

G) Gara HELLAS VERONA - RAVENNA del 27.2.2011

33. - ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino

Di Matteo C5, BUFFONE Giorgio, Direttore Sportivo del RAVENNA, FABBRI Gianni, Presidente

del RAVENNA fino al 18/12/2010 e quindi socio di riferimento di detta società, della violazione

dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara VERONA -

RAVENNA del 27 FEBBRAIO 2011, in concorso fra loro e con altri soggetti non tesserati posto in

essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta prendendo contatti ed

accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella parte motiva del presente

provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra l’altro: ERODIANI

tentando di organizzare in concorso con altri l’alterazione della gara al fine di effettuare scommesse

dall’esito sicuro; il BUFFONE tentando di organizzare in concorso con altri l’alterazione della gara,

in particolare offrendo alla società VERONA per il tramite del D.S. GIBELLINI di vincere con

modalità particolari al fine di effettuare scommesse dall’esito sicuro; il FABBRI concordando con il

BUFFONE tali modalità di alterazione

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

34. la società RAVENNA CALCIO S.r.l., di responsabilità diretta ed oggettiva ai sensi

dell’ art. 7, commi 3, 4 e 6, e dell’art. 4, commi 1 e 2, CGS in ordine agli addebiti contestati ai

propri tesserati BUFFONE e FABBRI;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

35. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato ERODIANI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

36. GIBELLINI Mauro, Direttore Sportivo dell’HELLAS VERONA, per violazione

dell’art.

7, comma 7, del Codice di Giustizia Sportiva per aver violato il dovere di informare senza

indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara VERONA -

RAVENNA ed il tentativo posto in essere dal BUFFONE, come descritto nella parte motiva.

37. la società HELLAS VERONA F.C. S.p.a. per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato GIBELLINI.

NOTE A SENTENZA122

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H) Gara BENEVENTO - COSENZA del 28.2.2011

38. PAOLONI Marco, all’epoca dei fatti calciatore della società BENEVENTO,

ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di Matteo C5

della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della

gara BENEVENTO – COSENZA del 28/2/2011, in concorso fra loro e

con altri soggetti o non appartenenti all’ordinamento federale o allo stato non identificati,

posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta

prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella parte motiva

del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra l’altro:

ERODIANI quale organizzatore e finanziatore delle somme da destinarsi ai calciatori, PAOLONI,

quale intermediario con i calciatori e destinatario di una parte del denaro messo a disposizione dai

finanziatori dell’attività illecita.

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara nonché per la pluralità di illeciti posti in essere.

39. SOMMESE Vincenzo, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società ASC,

ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di Matteo

C5, TUCCELLA Gianluca, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la U.S. CHIETI,

PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti iscritto all’albo dei tecnici, della violazione dell’

art.1, comma 1, (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6 (divieto di

effettuare scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, per avere effettuato, direttamente o per

interposta persona, scommesse sulla gara BENEVENTO – COSENZA del 28/2/2011, come

specificato nella parte motiva.

40. la società BENEVENTO CALCIO S.p.a., di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

PAOLONI;

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara nonché per la pluralità di illeciti posti in essere.

41. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

ERODIANI;

NOTE A SENTENZA123

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara nonché per la pluralità di illeciti posti in essere.

42. la società ASCOLI CALCIO 1898 S.r.l., di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.

4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato SOMMESE

43. la società CUS CHIETI A.S.D. di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato TUCCELLA;

I) Gara ASCOLI - ATALANTA del 12.3.2011

44. ERODIANI Massimo, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti allenatore di base iscritto all’albo

dei tecnici, BUFFONE Giorgio, Direttore Sportivo del RAVENNA CALCIO SRL, MICOLUCCI

Vittorio, calciatore all’epoca del fatto tesserato per la società ASCOLI CALCIO 1898 SPA,

SOMMESE Vincenzo, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società ASCOLI CALCIO 1898

S.p.a., SANTONI Nicola, Allenatore di base iscritto all’albo dei tecnici e tesserato all’epoca dei

fatti per la società RAVENNA CALCIO SRL, della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice

di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara ASCOLI-ATALANTA del 12/3/2011, in concorso

fra loro e con altri soggetti non appartenenti all’Ordinamento federale o allo stato non identificati,

posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta, prendendo

contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella parte motiva del presente

provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra l’altro:PARLATO

Gianfranco ed ERODIANI Massimo attivandosi per verificare la possibilità di una combine tra le

due squadre; PARLATO contattando propri referenti a Bergamo per avvicinare calciatori

dell’ATALANTA eventualmente disposti a realizzare il progetto illecito; ERODIANI

svolgendo un’attività conoscitiva realizzata attraverso il sodale P.M. che coltiva i suoi rapporti con i

calciatori dell’ASCOLI SOMMESE e MICOLUCCI; MICOLUCCI dimostrandosi pronto a

condizionare il risultato nel senso prefissato; BUFFONE svolgendo attività dirette ad avvicinare

calciatori dell’ATALANTA approfittando dei rapporti amichevoli intercorrenti tra il preparatore dei

portieri del RAVENNA, SANTONI, con il calciatore dell’ATALANTA, Cristiano DONI;

SOMMESE Vincenzo, rivolgendosi al MICOLUCCI e prodigandosi al fine di combinare la gara;

BUFFONE svolgendo il ruolo di intermediario per conto del P.M. nella ricerca di un interlocutore

che potesse trovare un contatto con la squadra dell’Atalanta; SANTONI mostrandosi disposto a

NOTE A SENTENZA124

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fungere da intermediario con i calciatori dell’ATALANTA grazie al suo rapporto di amicizia con

Cristiano DONI;

Per tutti con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in

essere.

45. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato sopra indicato.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

46. la società RAVENNA CALCIO SRL di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 7,

commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi ai suoi tesserati e dirigenti sopra

indicati.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

47. la società ASCOLI CALCIO 1898 SPA di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi ai suoi tesserati sopra

indicati.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

48. MANFREDINI Thomas, calciatore, all’epoca dei fatti tesserato per la società

ATALANTA BERGAMASCA CALCIO SPA, - della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del

Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara ASCOLI-ATALANTA del

12/3/2011, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara

suddetta, e, in particolare rivolgendosi al calciatore della squadra avversaria MICOLUCCI e

chiedendogli se lui ed i suoi compagni fossero disposti ad accordarsi per un pareggio;

49. le società ATALANTA BERGAMASCA CALCIO SPA, di responsabilità oggettiva, ai

sensi dell’ art. 7, comma 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

MANFREDINI.

L) Gara TARANTO - BENEVENTO del 13.3.2011

50. PAOLONI Marco, all’epoca dei fatti calciatore della società BENEVENTO,

ERODIANI Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di Matteo

C5, PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti iscritto all’albo dei tecnici, BELLAVISTA Antonio,

all’epoca dei fatti iscritto all’albo dei tecnici, BRESSAN Mauro, all’epoca dei fatti iscritto all’albo

dei tecnici, della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere,

prima della gara TARANTO-BENEVENTO del

NOTE A SENTENZA125

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13/3/2011, tutti i tesserati sopra indicati posto in essere atti diretti ad alterare lo

svolgimento ed il risultato della gara suddetta prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra

indicato, come specificato nella parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata

agli atti del procedimento e, fra l’altro: PARLATO Gianfranco quale intermediario per la raccolta

del denaro proveniente dai finanziatori dell’illecito accordo ed il versamento della somma

all’ERODIANI, BRESSAN Mauro, BELLAVISTA Antonio ed ERODIANI Massimo, quali

organizzatori dell’evento in questione ed intermediari con il gruppo degli c.d. “zingari” finanziatori

dell’operazione, fungendo PAOLONI quale intermediario con persone non identificate agenti

nell’interesse della società del TARANTO ed altri suoi compagni di squadra del BENEVENTO,

nonché quale artefice della proposta di alterare il risultato della gara a favore del TARANTO e di

realizzare il risultato concordato;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

51. la società del BENEVENTO CALCIO S.p.a. di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’

art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato PAOLONI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

52. la società del A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’

art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato ERODIANI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

53. la società del TARANTO CALCIO di responsabilità presunta, ai sensi dell’ art. 4,

comma 5, CGS, per l’illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da persone ad essa estranee,

ovvero non individuate in modo certo, in occasione della gara di cui sopra;

54. BUFFONE Giorgio, Direttore Sportivo del RAVENNA all’epoca dei fatti e TISCI

Ivan, all’epoca dei fatti calciatore svincolato dalla Società A.C. SAMBONIFACESE S.R.L in data

30/06/2010 e per la quale ha disputato gare nella stagione sportiva 2009/2010, della

violazione dell’ art.1, comma 1, (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6

(divieto di effettuare scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, come descritto nella parte

motiva;

NOTE A SENTENZA126

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

55. la società RAVENNA CALCIO S.R.L. per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

BUFFONE.

M) Gara ATALANTA - PIACENZA del 19.3.2011

56. ERODIANI Massimo, BELLAVISTA Antonio, PAOLONI Marco, PARLATO

Gianfranco, SIGNORI Giuseppe, SANTONI Nicola, DONI Cristiano, GERVASONI Carlo della

violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara

ATALANTA-PIACENZA del 19/3/2011, in concorso fra loro e con altri soggetti o non appartenenti

all’ordinamento federale o allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo

svolgimento ed il risultato della gara suddetta, prendendo contatti ed accordi diretti ad alterare lo

svolgimento ed il risultato della gara predetta, come

specificato nella parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti

del procedimento e, fra l’altro: BELLAVISTA Antonio, ERODIANI Massimo e SIGNORI Giuseppe

incontrandosi per organizzare la combine in BOLOGNA presso lo studio dei commercialisti di

SIGNORI, definendo gli accordi necessari alla alterazione del risultato, le somme da investire e da

garantire ai calciatori per la realizzazione del fine illecito prefissato; PARLATO Gianfranco

partecipando all’organizzazione della combine mediante accordi con il SANTONI per concordare il

prezzo dell’illecito, con la successiva dazione da parte del SANTONI di euro 40.000 al PARLATO;

il PAOLONI contattando il calciatore ex- compagno di squadra GERVASONI; SANTONI

scommettendo una cifra ingente su tale gara; il GERVASONI ed il DONI aderendo al programma di

alterazione del risultato e dello svolgimento della gara, il GERVASONI scommettendo sulla gara in

oggetto.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara; e, per tutti, ad eccezione del DONI, con l’aggravante della

pluralità di illeciti posti in essere.

57. la società ATALANTA BERGAMASCA CALCIO SPA di responsabilità oggettiva, ai

sensi dell’ art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

DONI e di responsabilità presunta, ai sensi dell’ art. 4, comma 5, CGS, per l’illecito sportivo

commesso a proprio vantaggio da persone ad essa estranee, ovvero dai soggetti sopra indicati, in

occasione della gara ATALANTA - PIACENZA;

NOTE A SENTENZA127

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara.

58. la società PIACENZA FC SPA di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 7, commi

4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato GERVASONI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

59. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

ERODIANI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

60. la società RAVENNA di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 7, commi 4 e 6, e

dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato SANTONI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione dello

svolgimento e del risultato della gara e della pluralità di illeciti posti in essere.

61. BETTARINI Stefano, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società CHIEVO

VERONA, DEOMA Daniele, all’epoca dei fatti allenatore di base, ZACCANTI Federico, calciatore

tesserato all’epoca dei fatti per la società VIRTUS ENTELLA SRL, della violazione dell’ art.1,

comma 1, (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6 (divieto di effettuare

scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, avendo gli stessi posto in essere le condotte descritte

nella parte motiva ovvero, fra l’altro, un’illecita attività conoscitiva finalizzata a scommettere su

gare dall’esito sicuro e avendo gli stessi effettuato o concorso ad effettuare scommesse sulla gara

ATALANTA – PIACENZA del

19/3/2011, fra l’altro anche presso soggetti non autorizzati a riceverle;

62. la società A.C. CHIEVO VERONA SRL per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.

4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato BETTARINI.

63. la società VIRTUS ENTELLA SRL per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

ZACCANTI.

N) Gara INTER - LECCE del 20.3.2011

NOTE A SENTENZA128

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64. ERODIANI Massimo, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, BELLAVISTA Antonio, iscritto all’epoca del fatto nell’albo del

Settore Tecnico quale allenatore di base, SIGNORI Giuseppe, all’epoca dei fatti Allenatore

Professionista di 1° Categoria, iscritto nell’albo dei tecnici, PAOLONI Marco, all’epoca dei fatti

calciatore della società BENEVENTO CALCIO SPA, della violazione dell’art. 7, commi

1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara INTER-LECCE del

20/3/2011, in concorso fra loro e con altri soggetti non appartenenti all’ordinamento federale

ed allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della

gara suddetta, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella

parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra

l’altro: ERODIANI e BELLAVISTA prodigandosi per organizzare la combine, procacciando il

denaro occorrente per ricompensare i calciatori coinvolti, contattando a tal fine i gruppi potenziali

di finanziatori, gestendo ed effettuando le scommesse; PAOLONI dimostrandosi disposto a fungere

da intermediario con i calciatori disposti a combinare l’incontro; SIGNORI Giuseppe,

dimostrandosi interessato a partecipare all’organizzazione della combine nonchè scommettendo

sulla gara.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

65. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

ERODIANI;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

66. la società BENEVENTO CALCIO SPA, di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

PAOLONI;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

67. ERODIANI Massimo, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, BELLAVISTA Antonio, iscritto all’epoca del fatto nell’albo del

Settore Tecnico quale allenatore di base, SIGNORI Giuseppe, all’epoca dei fatti Allenatore

Professionista di 1° Categoria, iscritto nell’albo dei tecnici, BETTARINI Stefano, calciatore

tesserato, all’epoca dei fatti per la società CHIEVO VERONA SRL, della violazione dell’ art. 1,

comma 1, (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6 (divieto di effettuare

scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, avendo gli stessi posto in essere le condotte descritte

NOTE A SENTENZA129

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

nella parte motiva ovvero, tra l’altro, un’illecita attività conoscitiva finalizzata a scommettere su

gare dall’esito sicuro e avendo gli stessi effettuato o concorso ad effettuare scommesse sulla

gara INTER-LECCE del 20/3/2011, anche presso soggetti non autorizzati a riceverle.

68. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al suo

tesserato ERODIANI.

69. la società A.C. CHIEVO VERONA SRL, per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al suo

tesserato BETTARINI.

O) Gara ALESSANDRIA - RAVENNA del 20.3.2011

70. BUFFONE Giorgio, Direttore Sportivo Ravenna, VELTRONI Giorgio, Presidente

Alessandria, ROSSI Leonardo, Allenatore Ravenna, FABBRI Gianni, Presidente Ravenna fino al

18.12.2010 e quindi socio di riferimento di detta società, CIRIELLO Antonio, Vice Presidente

Ravenna, della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere,

prima della gara ALESSANDRIA - RAVENNA del 20.3.2011, in

concorso fra loro, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della

gara suddetta prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella

parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e,

fra l’altro: il BUFFONE ed il VELTRONI incontrandosi per negoziare un accordo sul risultato

della gara, il FABBRI, il CIRIELLO ed il ROSSI, quali dirigenti (i primi due) ed allenatore (il

terzo), per avere concorso nel tentativo di cui vennero posti a conoscenza a causa dei rispettivi ruoli

ricoperti

Per BUFFONE e FABBRI, con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità

di illeciti posti in essere.

71. la società RAVENNA CALCIO Srl di responsabilità diretta ed oggettiva, ai sensi dell’

art. 7, commi 3, 4 e 6, e dell’art. 4, commi 1 e 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo legale

rappresentante ed ai suoi dirigenti e tesserati sopra indicati.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere dal

BUFFONE e dal FABBRI.

NOTE A SENTENZA130

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

72. la società U.S. ALESSANDRIA CALCIO 1912 S.r.l. di responsabilità diretta, ai sensi

dell’ art. 7, comma 3, e dell’art. 4, comma 1, CGS, per gli addebiti mossi al suo legale

rappresentante VELTRONI.

73. DEOMA Daniele, allenatore di base iscritto all’albo dei tecnici, per violazione

dell’art. 7, comma 7, del Codice di Giustizia Sportiva per aver violato il dovere di informare senza

indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara di cui venne posto a

conoscenza.

P) Gara BENEVENTO - PISA del 21.3.2011

74. ERODIANI Massimo, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, PAOLONI Marco, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società

BENEVENTO CALCIO SPA, BELLAVISTA Antonio, all’epoca dei fatti iscritto all’albo del

Settore tecnico quale allenatore di base, della violazione dell’art. 7, commi 1 e

5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara BENEVENTO-PISA del

21/3/2011, in concorso fra loro e con altri soggetti non appartenenti all’ordinamento

federale, ed allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il

risultato della gara suddetta prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come

specificato nella parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del

procedimento e, fra l’altro: ERODIANI e BELLAVISTA ponendosi immediatamente all’opera per

procacciare finanziatori disposti ad investire la somma necessaria per corrompere i calciatori

disposti a condizionare il risultato (vale al riguardo evidenziare quanto sopra riportato con

riferimento ai contatti intrattenuti sia con il gruppo dei “bolognesi” che con gli “zingari”);

PAOLONI ponendosi quale intermediario con i calciatori disposti ad alterare il risultato della gara.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS per la pluralità di illeciti posti in essere.

75. la società BENEVENTO CALCIO SPA di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

PAOLONI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS per la pluralità di illeciti posti in essere.

76. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

ERODIANI;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS per la pluralità di illeciti posti in essere.

NOTE A SENTENZA131

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

77. ERODIANI Massimo, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, SIGNORI Giuseppe, all’epoca del fatto Allenatore professionista di

1° Categoria iscritto all’albo dei tecnici, PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti allenatore

di base iscritto all’albo dei tecnici, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società,

della violazione dell’ art.1, comma 1, (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità)

e dell’art. 6 (divieto di effettuare scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, avendo gli stessi

posto in essere le condotte descritte nella parte motiva ovvero, fra l’altro, un’illecita attività

conoscitiva finalizzata a scommettere su gare dall’esito sicuro e avendo gli stessi effettuato o

concorso ad effettuare scommesse sulla gara BENEVENTO – PISA del

21.3.2011, fra l’altro anche presso soggetti non autorizzati a riceverle;

78. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.

4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato.

Q) Gara PADOVA - ATALANTA del 26.3.2011

79. ERODIANI Massimo, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, PARLATO Gianfranco, all’epoca dei fatti allenatore di base iscritto all’albo

dei tecnici, BUFFONE Giorgio, Direttore Sportivo del RAVENNA CALCIO SRL, BELLAVISTA

Antonio, iscritto all’epoca del fatto nell’albo del Settore Tecnico quale allenatore di base,

SOMMESE Vincenzo, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società ASCOLI CALCIO 1898

S.p.a., TUCCELLA Gianluca, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società CUS CHIETI

A.S.D., della violazione dell’ art. 1, comma 1,

(violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6 (divieto di effettuare

scommesse) del Codice di Giustizia Sportiva, avendo gli stessi posto in essere le condotte

descritte nella parte motiva ovvero, tra l’altro, un’illecita attività conoscitiva finalizzata a

scommettere su gare dall’esito sicuro e avendo gli stessi effettuato o concorso ad effettuare

scommesse sulla gara PADOVA-ATALANTA del 26/3/2011, fra l’altro anche presso soggetti non

autorizzati a riceverle.

80. la società RAVENNA CALCIO S.R.L. per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

BUFFONE;

81. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art.

NOTE A SENTENZA132

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato ERODIANI;

82. la società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a. per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato SOMMESE;

83. la società CUS CHIETI A.S.D. per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

TUCCELLA;

R) Gara SIENA - SASSUOLO del 27.3.2011

84. BELLAVISTA Antonio, all’epoca dei fatti iscritto nel Settore Tecnico, ERODIANI

Massimo, all’epoca dei fatti calciatore per la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, PAOLONI

Marco, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società BENEVENTO, della violazione dell’art.

7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara SIENA – SASSUOLO

del 27/3/2011, in concorso fra loro e con altri soggetti allo stato non identificati, posto in essere atti

diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta prendendo contatti ed accordi

diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella parte motiva del presente provvedimento e

nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra l’altro: BELLAVISTA, ERODIANI

organizzando la combine della gara tramite contatti con i calciatori PAOLONI e, per il suo tramite

con QUADRINI, e ricercando eventuali finanziatori dell’operazione illecita; il PAOLONI

fungendo da intermediario con il QUADRINI ed altri calciatori non identificati con certezza e

chiedendo al QUADRINI di rendersi diretto artefice dell’alterazione della gara;

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

85. la società BENEVENTO CALCIO S.R.L., di responsabilità oggettiva ai sensi dell’

art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato PAOLONI;

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

86. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5, di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato ERODIANI;

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della effettiva alterazione della pluralità di

illeciti posti in essere.

NOTE A SENTENZA133

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

87. QUADRINI Daniele, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società U.S.

SASSUOLO SRL, per violazione dell’art. 7, comma 7, del Codice di Giustizia Sportiva per aver

violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti

riguardanti la gara SIENA – SASSUOLO del 27/3/2011.

88. la società U.S. SASSUOLO SRL di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 7,

commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato QUADRINI

89. BUFFONE Giorgio, all’epoca dei fatti Direttore Sportivo della società RAVENNA

CALCIO S.R.L., SOMMESE Vincenzo, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società

ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a., TUCCELLA Gianluca, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la

società CUS CHIETI A.S.D., BETTARINI Stefano, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la

società A.C. CHIEVO VERONA S.R.L., della violazione dell’ art.1, comma 1, (violazione dei

principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6 (divieto di effettuare scommesse) del Codice di

Giustizia Sportiva, avendo gli stessi posto in essere le condotte descritte nella parte motiva ovvero,

fra l’altro, un’illecita attività conoscitiva finalizzata a scommettere su gare dall’esito sicuro e

avendo gli stessi effettuato o concorso ad effettuare scommesse sulla gara SIENA –

SASSUOLO del 27/3/2011;

90. la società RAVENNA CALCIO S.R.L. per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

BUFFONE;

91. la società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a. per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato SOMMESE;

92. la società CUS CHIETI A.S.D. per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4,

comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

TUCCELLA;

93. la società A.C. CHIEVO VERONA S.R.L., per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato BETTARINI;

S) Gara RAVENNA - SPEZIA del 27.3.2011

94. BUFFONE Giorgio, Direttore Sportivo del RAVENNA, ERODIANI

Massimo, calciatore tesserato dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di Matteo C5, PARLATO

NOTE A SENTENZA134

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Gianfranco, all’epoca dei fatti iscritto all’albo dei tecnici, SANTONI Nicola, allenatore di base

tesserato per il RAVENNA, BELLAVISTA Antonio, iscritto nell’albo del Settore Tecnico quale

allenatore di base, della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per

avere, prima della gara RAVENNA - SPEZIA del 27/3/2011, in concorso fra loro e con altri soggetti

allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della

gara suddetta prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato, come specificato nella

parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti del procedimento e, fra

l’altro: SANTONI

e PARLATO raccogliendo, quali intermediari con persone non identificate, agenti

nell’interesse della società dello SPEZIA, la proposta proveniente dai predetti di alterare il risultato

della gara a favore dello SPEZIA contro il pagamento di una somma di denaro di euro 100.000;

BUFFONE Giorgio formulando una contro-proposta di euro 150.000 al medesimo fine; ERODIANI

e BELLAVISTA fornendo la propria disponibilità a procurare e fornire la somma necessaria a

colmare la differenza tra le due proposte.

Per tutti con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in

essere.

95. la società del RAVENNA CALCIO SRL di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi ai suoi dirigenti e

tesserati sopra indicati BUFFONE e SANTONI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

96. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

ERODIANI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

97. la società dello SPEZIA CALCIO S.R.L. di responsabilità presunta, ai sensi dell’ art.

4, comma 5, CGS, per l’illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da persone ad essa

estranee ovvero allo stato non identificate, in occasione della gara Ravenna-Spezia del 27.3.11,

attraverso la condotta sopra specificata.

T) Gara REGGIANA - RAVENNA del 10.4.2011

NOTE A SENTENZA135

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

98. SAVERINO Davide, all’epoca dei fatti calciatore della società REGGIANA,

BUFFONE Giorgio, Direttore Sportivo del RAVENNA, ERODIANI Massimo, calciatore tesserato

dall’11/12/09 per la società A.S.D. Pino Di Matteo C5 - della violazione dell’art.

7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere, prima della gara REGGIANA –

RAVENNA del 10.04.2011, in concorso fra loro e con altri soggetti non appartenenti

all’ordinamento federale o allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo

svolgimento ed il risultato della gara suddetta, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento

ed il risultato della gara suddetta prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato,

come specificato nella parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata agli atti

del procedimento e, fra l’altro: l’ ERODIANI facendo da intermediario fra il calciatore e il Direttore

Sportivo del RAVENNA; gli altri due prendendo contatti per raggiungere lo scopo suddetto e

incontrandosi in un albergo per concordare il risultato della gara Reggiana - Ravenna.

Con l’aggravante per il BUFFONE e l’ERODIANI di cui all’art. 7, comma 6, CGS della

pluralità di illeciti posti in essere.

99. la società RAVENNA CALCIO S.R.L., di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art. 7,

commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato

BUFFONE.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

100. la società A.S.D. PINO DI MATTEO C5 di responsabilità oggettiva ai sensi dell’ art.

7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato ERODIANI.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

101. la società A.C. REGGIANA 1919 S.p.a. di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art.

7, comma 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato

SAVERINO.

U) Gara NOVARA - ASCOLI del 2.4.2011

102. GERVASONI Carlo, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società

PIACENZA, della violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva per avere,

prima della gara NOVARA - ASCOLI del 2 aprile 2011, in concorso con altri soggetti non

appartenenti all’ordinamento federale o allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad

alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta prendendo contatti con il MICOLUCCI e

NOTE A SENTENZA136

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

tentando di favorire un accordo fra il medesimo e finanziatori stranieri diretti allo scopo sopra

indicato, come specificato nella parte motiva del presente provvedimento e nella relazione allegata

agli atti del procedimento e, fra l’altro: chiedendo un appuntamento a tarda ora della notte al

MICOLUCCI e presentandosi in compagnia di finanziatori stranieri interessati ad alterare la partita

in oggetto mediante la condotta illecita del calciatore ascolano.

Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità di illeciti posti in essere.

103. la società PIACENZA F.C. S.p.a. di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’ art. 7,

commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per gli addebiti mossi al suo tesserato GERVASONI.

104. MICOLUCCI VITTORIO, tesserato all’epoca dei fatti per la società ASCOLI, per

violazione dell’art. 7, comma 7, del Codice di Giustizia Sportiva per aver violato il dovere di

informare senza indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara

NOVARA - ASCOLI del 2 APRILE 2011 di cui era venuto a conoscenza.

105. la società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a. per responsabilità oggettiva ai sensi

dell’art. 4, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, in ordine agli addebiti contestati al proprio

tesserato MICOLUCCI.

A fondamento di tale deferimento la Procura Federale ha posto le risultanze dell’attività

svolta (riportate nella relazione in data 24 luglio 2011, prot. 1615 - Ind. 491 stagione

2010/11, con i relativi allegati), a seguito della acquisizione, ai sensi dell’art. 2, comma 3,

della legge n. 401/1989, in relazione all’art. 116 c.p.p., degli atti riguardanti l’indagine su una

ipotizzata associazione per delinquere costituita tra una pluralità di persone, alcune delle quali

risultate essere tesserate della FIGC, e su conseguenti episodi di scommesse su partite di calcio e di

frode in manifestazioni sportive.

In estrema sintesi, in tale relazione viene prospettata l’esistenza di:

- una vera e propria associazione di persone appartenenti a diversi settori le quali hanno

intrattenuto stabili relazioni volte a incidere illecitamente su competizioni sportive organizzate

dalla FIGC al fine, fra l’altro, di effettuare scommesse dall’esito predeterminato e di ottenere

guadagni illeciti;

- molteplici condotte dirette alla alterazione dello svolgimento e del risultato di gare

organizzate dalla FIGC, finalizzate sia al compimento di scommesse, sia a far conseguire un diretto

vantaggio a una squadra;

- comportamenti di tesserati integranti la violazione dell’obbligo di denunzia in materia di

illecito sportivo;

NOTE A SENTENZA137

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- comportamenti di tesserati integranti la violazione del divieto di effettuare o accettare

scommesse;

- comportamenti di tesserati integranti la violazione dei principi di lealtà, probità e

correttezza sanciti dall’art. 1 CGS.

2) Le memorie difensive

Nei termini assegnati nell'atto di convocazione, gli incolpati hanno fatto pervenire memorie

difensive, ove sono state proposte anche istanze istruttorie.

In quella presentata da Stefano BETTARINI si rileva che l’incolpato si sarebbe limitato a

qualche scommessa, senza peraltro sapere di non poterlo fare, atteso che il suo tesseramento per la

Soc. Chievo sarebbe stato meramente formale, e che comunque non vi sarebbe stata alcuna attività

in contrasto con l’art. 1 CGS.

In quella presentata da Mauro BRESSAN si eccepisce, preliminarmente, il difetto di

giurisdizione della Commissione, in quanto l’incolpato non sarebbe stato iscritto nell’elenco dei

tecnici, e, nel merito, l’estraneità alla vicenda associativa e a quella degli illeciti, nonché da

qualsiasi attività di scommessa.

In quella presentata da Antonio CIRIELLO si eccepisce l’insussistenza e l’infondatezza

delle violazioni ascritte all’incolpato, mancando qualsiasi prova sul punto.

In quella presentata da Daniele DEOMA si eccepisce la violazione del diritto di difesa per

tardiva trasmissione degli atti, l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, il difetto del

requisito soggettivo in relazione all’art. 6 CGS, in quanto l’incolpato sarebbe non tesserato ma solo

titolare del patentino di allenatore, l’inapplicabilità degli artt. 1 e 19 CGS, la mancanza di prove in

ordine ai comportamenti ascritti, l’assoluta estraneità dai fatti contestati.

In quella presentata da Mauro GIBELLINI si eccepisce l’insussistenza e l’infondatezza delle

violazioni ascritte all’incolpato.

In quella presentata da Marco PAOLONI si eccepisce l’inattendibilità delle intercettazioni

telefoniche, l’inammissibilità e l’inconfigurabilità della violazione di associazione finalizzata alla

commissione di illeciti e di quella di illecito sportivo.

In quella presentata da Daniele QUADRINI si eccepisce l’insussistenza dei fatti e la totale

assenza di responsabilità dell’incolpato.

In quella presentata da Leonardo ROSSI si rileva che il comportamento dell’incolpato è

immune da censure e gli addebiti contestati sono infondati.

NOTE A SENTENZA138

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In quella presentata da Nicola SANTONI si eccepisce l’insussistenza e l’infondatezza delle

violazioni ascritte all’incolpato.

In quella presentata da Davide SAVERINO si eccepisce l’insussistenza e l’infondatezza

delle violazione ascritta all’incolpato, mancando qualsiasi prova sul punto.

In quella presentata da Giuseppe SIGNORI si eccepisce, pregiudizialmente, il difetto

assoluto di giurisdizione, in quanto l’incolpato non sarebbe tesserato, né iscritto nell’elenco dei

tecnici, e, nel merito, l’estraneità alla vicenda dell’incolpato in relazione agli addebiti ascritti.

In quella presentata da Vincenzo SOMMESE si eccepisce, in via preliminare,

l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e, nel merito, l’insussistenza degli addebiti

contestati.

In quella presentata da Ivan TISCI si eccepisce la violazione del principio di legalità, e il

contrasto normativo palese con la normativa FIFA, l’ignorantia legis inevitabile e scusabile e

l’assenza di dolo.

In quella presentata da Giorgio VELTRONI si eccepisce l’insussistenza degli addebiti

contestati.

In quella presentata dalla Soc. ALESSANDRIA si eccepisce la nullità del deferimento per

mancanza della condotta vietata e non punibilità del tentativo, l’inesistenza o la nullità o la

procedibilità del deferimento.

In quella presentata dalla Soc. ASCOLI si eccepisce l’irregolarità e l’infondatezza

dell’azione disciplinare, l’erroneità e l’infondatezza del procedimento e l’inapplicabilità della

responsabilità oggettiva.

In quella presentata dalla Soc. BENEVENTO si eccepisce la totale insussistenza di

responsabilità dell’incolpata.

In quella presentata dalla Soc. CHIETI si eccepisce la totale estraneità dalla vicenda.

In quella presentata dalla Soc. CREMONESE si eccepisce l’estraneità della incolpata e

l’insussistenza di responsabilità.

In quella presentata dalla Soc. ESPERIA VIAREGGIO si eccepisce la carenza dell’elemento

oggettivo e l’insussistenza del vantaggio a favore dell’incolpata.

In quella presentata dalla Soc. PIACENZA si eccepisce l’insussistenza di responsabilità

dell’incolpata.

In quella presentata dalla Soc. RAVENNA si eccepisce l’insussistenza di responsabilità

diretta in capo all’incolpata.

NOTE A SENTENZA139

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In quella presentata dalla Soc. REGGIANA si rileva l’assoluta estraneità dell’incolpata

rispetto alla condotta del proprio tesserato e l’inapplicabilità della responsabilità oggettiva. In

quella presentata dalla Soc. SASSUOLO si rileva la non punibilità in ordine alla

responsabilità oggettiva.

In quella presentata dalla Soc. SPEZIA si eccepisce la totale infondatezza del

deferimento.

In quella presentata dalla Soc. VERONA si eccepisce l’insussistenza di responsabilità del

proprio tesserato e, di conseguenza, l’impossibilità di configurare una responsabilità della Società.

In quella presentata dalla Soc. VIRTUS ENTELLA si eccepisce la violazione del diritto di

difesa e l’illegittimità dell’art. 4 CGS.

Il deferito Gianni FABBRI ha depositato una istanza istruttoria, con relativa

documentazione.

La Soc. ATALANTA ha prodotto documenti e, con separata istanza, ha chiesto i files audio

relativi alle intercettazioni telefoniche di cui al procedimento.

Non hanno depositato memorie difensive i deferiti Antonio BELLAVISTA, Giorgio

BUFFONE, Cristian DONI, Massimo ERODIANI, Claudio FURLAN, Carlo GERVASONI,

Thomas MANFREDINI, Vittorio MICOLUCCI, Gianfranco PARLATO, Gianluca TUCCELLA e

Federico ZACCANTI, nonché le Società A.C. CHIEVO VERONA S.r.l., A.S.D. PINO DI

MATTEO C5, CALCIO PORTOGRUARO SUMMAGA S.r.l. e A.S. TARANTO CALCIO S.r.l.

Prima dell’inizio del dibattimento, inoltre, sono pervenute istanze di ammissione a

partecipare al dibattimento, ai sensi dell’art. 41, comma 7, CGS, da parte delle Società MONZA

BRIANZA 1912 S.p.a., UNIONE SPORTIVA TRIESTINA CALCIO, FUSBALLCLUB SUD-

TIROL S.r.l., A.S. VARESE 1910 S.r.l. e FROSINONE CALCIO S.r.l.

3) Il dibattimento

Al dibattimento, svoltosi nei giorni 3, 4 e 5 agosto 2011, sono comparsi:

- il Procuratore federale Palazzi, i Vice Procuratore federale Loli Piccolomini e Squiquero, i

Sostituti Procuratore federale Perugini e Giua, con i collaboratori Arpini e Pinna;

- i deferiti Bellavista (assistito dall’avv. Chiusolo), Ciriello (assistito dagli avv.ti Chiacchio,

Cozzone e Calò), Deoma (assistito dagli avv.ti Fragapani e Contorno), Doni (assistito dagli avv.ti

Pino e Manco), Fabbri (assistito dagli avv.ti Giglioli e D’Avirro), Furlan (assistito dagli avv.ti

Cocchini e Brunetti), Gervasoni (assistito dagli avv.ti Alleva, Andreussi e Marconi), Manfredini

NOTE A SENTENZA140

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(assistito dagli avv.ti Pino e Manco), Micolucci (assistito dagli avv.ti Chiacchio, Pigotti, Cozzone e

Gervasio), Paoloni (assistito dagli avv.ti Rodella, Curatti e Di Paolo), Parlato (assistito dagli avv.ti

Macrelli e Baldacci), Rossi (assistito dagli avv.ti Scudellari e Bolognesi), Sommese (assistito

dall’avv. Calabrese), soc. Chievo (assistita dall’avv. De Luca), soc. Atalanta (in persona del

Presidente Percassi, assistita dagli avv.ti Chiappero, Bianchi e Morelli), soc. Pino Di Matteo

(assistita dall’avv. Di Nella), soc. Reggiana (assistita dall’avv. Corapi), soc. Chieti (in persona

del Presidente Di Marco).

- i difensori di Bettarini (avv. De Toni), Bressan (avv. Dissegna), Buffone (avv.ti Petrillo e

Rossi), Gibellini (avv.ti Rigo e Diana), Quadrini (avv. Ciardullo e Del Re), Santoni (avv. Dinacci),

Saverino (avv. Pilla), Signori (avv. Boschetti), Tisci (avv. Mari), Tuccella (avv. Milia e D’Aurizio),

Veltroni (avv. Giotti), Zaccanti (avv.ti Malagnini e Delle Donne), soc. Sassuolo (avv. Menichini),

soc. Benevento (avv.ti Chiacchio e Fiorillo), soc. Ravenna (avv. Diana), soc. Portogruaro (avv.

Roseti), soc. Cremonese (avv.ti Malagnini e Delle Donne), soc. Piacenza (avv. Borgoni), soc. Hellas

Verona (avv. Fanini), soc. Ascoli (avv. Proietti),

soc. Esperia Viareggio (avv.ti Baroni e Giannecchini), soc. Spezia (avv.ti Angelini e

Leccese), soc. Chieti (avv. Micomonaco), soc. Alessandria (avv.ti Trombetta e Rondinelli).

- nonché i difensori delle società Monza (avv. Gentile), Triestina (avv.ti Urso e Oliva),

Sudtirol (avv.ti Grassani, Duca e Menichini), Varese (avv.ti Grassani, Duca e Menichini), Frosinone

(avv.ti Grassani, Duca e Menichini), che hanno chiesto di intervenire nel procedimento.

Subito dopo l’inizio del dibattimento, preliminarmente, la Commissione ha esaminato la

questione concernente le richieste di ammissione presentate dalle società MONZA BRIANZA 1912

S.p.a., UNIONE SPORTIVA TRIESTINA CALCIO, FUSBALLCLUB SUD- TIROL S.r.l., A.S.

VARESE 1910 S.r.l. e FROSINONE CALCIO S.r.l., sulle quali, dopo aver ascoltato gli interessati,

la Procura federale e i rappresentanti della soc. Ascoli, Piacenza e Atalanta, ha provveduto con

l’ordinanza n. 1, di seguito integralmente riprodotta:

“Ordinanza n. 1

La Commissione,

premesso che le istanze di ammissione dei terzi interessati sono pervenute tempestivamente,

cioè prima dell’apertura del dibattimento,

considerato che l’ammissibilità di tali istanze va valutata esclusivamente in relazione alla

sussistenza o meno di un interesse indiretto,

NOTE A SENTENZA141

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rilevato che le società MONZA BRIANZA 1912 S.p.a., UNIONE SPORTIVA TRIESTINA

CALCIO, FUSBALLCLUB SUD-TIROL S.r.l., FROSINONE CALCIO S.r.l. risultano

portatrici di interessi indiretti per ragioni di classifica, ai sensi dell’art. 41, comma 7, del CGS,

rilevato che, invece, la società A.S. VARESE 1910 S.r.l. non risulta portatrice di interessi

indiretti per ragioni di classifica, ai sensi dell’art. 41, comma 7, del CGS, in quanto non potrebbe

trarre alcun vantaggio dall’esito del procedimento,

P.Q.M.

- ammette al dibattimento le società MONZA BRIANZA 1912 S.p.a., UNIONE SPORTIVA

TRIESTINA CALCIO, FUSBALLCLUB SUD-TIROL S.r.l., FROSINONE CALCIO S.r.l.

- non ammette al dibattimento la società A.S. VARESE 1910 S.r.l.”.

In seguito, i deferiti MICOLUCCI, FURLAN, ZACCANTI e Società A.C. CHIEVO

VERONA S.r.l. hanno presentato istanza di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti ai sensi

dell’art. 23 C.G.S.

Su queste ultime istanze la Commissione ha provveduto con le ordinanze n. 2, 3, 4 e 5, di

seguito integralmente riprodotte:

“Ordinanza n. 2

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, la SOCIETÀ AC CHIEVO VERONA,

tramite il proprio difensore, ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23

CGS, individuata nell’ammenda di euro 80.000,00 (euro ottantamila/00);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne

dispone l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei

confronti del richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

NOTE A SENTENZA142

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la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti della predetta Società”. “Ordinanza n. 3

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Vittorio MICOLUCCI, tramite il

proprio difensore, ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi degli artt. 23 e 24

CGS, individuata nella squalifica di anni 1 (uno) e mesi 2 (due);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

visto l’art. 24, comma 1, CGS, secondo il quale, in caso di ammissione di responsabilità e di

collaborazione fattiva da parte dei soggetti sottoposti al procedimento disciplinare per la scoperta o

l’accertamento di violazioni regolamentari, gli Organi giudicanti possono ridurre, su proposta della

Procura federale, le sanzioni previste dalla normativa federale ovvero commutarle in prescrizioni

alternative o determinarle in via equitativa;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto tesserato”. “Ordinanza n. 4

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. FURLAN Claudio ha

depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS, individuata nella squalifica

di mesi 6 (sei);

NOTE A SENTENZA143

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rilevato che, nel caso di specie, la sanzione indicata non risulta congrua, in quanto non

rispetta quanto previsto dall’art. 7, comma 8 CGS che prevede oltre all’applicazione della sanzione

di inibizione o squalifica anche di quella della ammenda;

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale respinge l’istanza. “Ordinanza n. 5

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. ZACCANTI Federico ha depositato

istanza di applicazione di sanzione ai sensi degli artt. 23 e 24 CGS, individuata nella squalifica di

mesi 8 (otto);

rilevato che, nel caso di specie, la sanzione indicata non risulta congrua, non ricorrendo gli

estremi per l’applicazione dell’art. 24 CGS;

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale respinge l’istanza.”

La Commissione ha poi esaminato le richieste pregiudiziali e preliminari, sollevate nelle

memorie e all’inizio del dibattimento.

Dopo ampia discussione, al termine della quale la Procura Federale ha chiesto il rigetto delle

richieste e delle eccezioni proposte dai deferiti, la Commissione ha provveduto con l’ordinanza n. 6,

di seguito integralmente riprodotta:

“Ordinanza n. 6

In ordine alle richieste, alle eccezioni e alle questioni pregiudiziali e preliminari sollevate dai

deferiti, nelle memorie e in dibattimento, la Commissione osserva quanto segue:

a) quanto alla richiesta di astensione della Commissione, a seguito dell’accoglimento

della istanza di applicazione di sanzione ai sensi degli artt. 23 e 24 CGS presentata dal Micolucci, la

valutazione della Commissione è stata limitata alla congruità della sanzione e non è entrata nel

merito della posizione del deferito, in considerazione del fatto che il Micolucci è stato deferito per

violazione sia dell’art. 9 CGS, sia dell’art. 7, commi 1, 5, 6, sia dell’art. 7, comma 7, senza che nel

verbale risulti nello specifico per quale di queste violazioni sia stata formulata la richiesta;

l’applicazione della sanzione è frutto di un “accordo negoziale” tra le parti e non di un accertamento

da parte dell’Organo di giustizia; se ne deduce che l’applicazione della sanzione non ha costituito

alcun giudizio preventivo in danno degli altri deferiti per violazione dell’art. 9 CGS; d’altra parte,

NOTE A SENTENZA144

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

l’ordinamento federale non prevede, in caso di applicazione dell’art. 23 CGS, alcuna

incompatibilità, né obbligo di astensione, limitandosi a prevedere la possibilità di chiusura del

procedimento nei confronti di alcuni soggetti e così ammettendo che il procedimento prosegua nei

confronti di altri deferiti;

b) per quanto attiene alla eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed

ambientali eseguite nell’ambito del procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di

Cremona si rileva innanzitutto che il procedimento per illecito sportivo è connotato da una

accentuata specialità nell’ambito del più ampio genus disciplinare, correlata alla natura – parimenti

speciale – dettata dalla legge n. 401/1989: sia sufficiente richiamare, sotto questo profilo,

l’esclusione di ogni pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare

sportivo (art. 2) e – per quanto più direttamente rileva in questa sede – la stessa possibilità di

attingere dal primo atti ritenuti rilevanti ai fini del secondo (art. 2, comma 3). In quest’ottica,

secondo l’orientamento degli Organi della giustizia sportiva, ai fini dell’acquisizione e dell’utilizzo

delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche e ambientali è sufficiente la provenienza delle

stesse dalla Autorità Giudiziaria, dovendosi presupporre da tale derivazione la legittimità della loro

assunzione in conformità dell’art. 268 c.p.p.

In particolare, va ribadita la piena utilizzabilità delle sole trascrizioni delle intercettazioni

pur in assenza dei file audio (che peraltro ben potevano essere acquisiti nel processo penale nel

quale chi ha sollevato l’eccezione è parte), perché il contenuto, la veridicità e la provenienza delle

conversazioni trascritte sono state pienamente riconosciute dai soggetti interrogati dall’Autorità

giudiziaria procedente, nonché in sede di audizione di fronte alla Procura federale; peraltro, la Corte

di Cassazione (Sez. Unite, 29 maggio 2009, n. 12717)

ha statuito che il divieto di utilizzazione di intercettazioni in procedimenti diversi da quello

in cui le intercettazioni stesse sono state disposte non è applicabile ai procedimenti disciplinari;

c) quanto alla eccezione di difetto di giurisdizione della Commissione perché alcuni

incolpati non sarebbero stati iscritti nel ruolo dei tecnici o sarebbero stati sospesi da tale ruolo, si

rileva che il dovere di rispettare le norme della FIGC grava in via di principio sui “tecnici”,

indipendentemente dal loro tesseramento, a norma di quanto previsto dall’art. 1, comma 1, CGS,

che riguarda tutti i soggetti che abbiano una posizione “comunque rilevante per l’ordinamento

federale”, quale è quella dei tecnici che, pur non avendo vincoli con alcuna società, siano iscritti

negli albi, elenchi o ruoli tenuti dal Settore tecnico; oltretutto, il diritto positivo e, in particolare,

l’art. 18, comma 3, del regolamento del Settore tecnico dispone che i tecnici, anche se sospesi

NOTE A SENTENZA145

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temporaneamente dall’albo, sono soggetti a tutti gli obblighi derivanti dallo status di tecnico,

mentre l’art. 35, comma 1, dello stesso regolamento afferma che i tecnici inquadrati nell’albo e nei

ruoli del settore sono tenuti al rispetto dello Statuto e di tutte le norme federali; si aggiunga che, nel

caso specifico, risulta che chi ha sollevato l’eccezione è tuttora iscritto nel ruolo dei tecnici federali;

sussiste pertanto la giurisdizione della Commissione;

d) quanto alla eccezione di difetto di giurisdizione della Commissione per contrasto con

il Regolamento FIFA, si rileva che, come sancito dalla Corte di giustizia federale nel CU 229CGF

2010/11, i calciatori che non siano tesserati per la FIGC sono comunque tenuti, per il principio della

perpetuatio sancito dall’art. 4 dello stesso Regolamento FIFA, al rispetto della normativa propria

della Federazione italiana e in particolare allo Statuto di essa e al Codice di Giustizia per la durata

di trenta mesi.

P.Q.M.

respinge tutte le richieste, eccezioni e questioni pregiudiziali e preliminari proposte dai

deferiti.”

A questo punto, i deferiti BETTARINI, FURLAN, GIBELLINI, PARLATO,

TISCI, TUCCELLA, ZACCARDI, hanno presentato istanza di applicazione di sanzioni su richiesta

delle parti ai sensi dell’art. 23 C.G.S.

Su queste ultime istanze la Commissione ha provveduto con le ordinanze n. 7, 8, 9, 10,

11, 12 e 13, di seguito integralmente riprodotte:

“Ordinanza n. 7

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Claudio FURLAN, tramite il proprio

difensore, ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS, individuata

nella squalifica di mesi 6 (sei);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

NOTE A SENTENZA146

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l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue, alla luce della normativa vigente all’epoca dei fatti

(modificata con l’introduzione dell’art. 7, comma 8);

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”. “Ordinanza n. 8

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Stefano BETTARINI, tramite il

proprio difensore, ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS,

individuata nella squalifica di anni 1 (uno) e mesi 2 (due);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”. “Ordinanza n. 9

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Gianluca TUCCELLA, tramite

il proprio difensore ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23

CGS, individuata nella squalifica di anni 3 (tre);

NOTE A SENTENZA147

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considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”. “Ordinanza n. 10

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Ivan TISCI, tramite il proprio

difensore ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS, individuata

nella squalifica di anni 1 (uno);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”. “Ordinanza n. 11

NOTE A SENTENZA148

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Federico ZACCANTI, tramite il

proprio difensore ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS,

individuata nella squalifica di anni 1 (uno);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”. “Ordinanza n. 12

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Mauro GIBELLINI, tramite il proprio

difensore ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS, individuata

nella inibizione di mesi 5 (cinque) oltre all’ammenda di euro 10.000,00 (euro diecimila/00);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

NOTE A SENTENZA149

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P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”. “Ordinanza n. 13

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, il Sig. Gianfranco PARLATO, tramite il

proprio difensore, ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi degli artt. 23 e

24 CGS, individuata nella squalifica di anni 3 (tre);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

visto l’art. 24, comma 1, CGS, secondo il quale, in caso di ammissione di responsabilità e di

collaborazione fattiva da parte dei soggetti sottoposti al procedimento disciplinare per la scoperta o

l’accertamento di violazioni regolamentari, gli Organi giudicanti possono ridurre, su proposta della

Procura federale, le sanzioni previste dalla normativa federale ovvero commutarle in prescrizioni

alternative o determinarle in via equitativa;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”.

La Commissione ha quindi esaminato le istanze istruttorie proposte dai deferiti, sulle quali

ha provveduto con l’ordinanza n. 14, di seguito integralmente riprodotta:

“Ordinanza n. 14

NOTE A SENTENZA150

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In ordine alle richieste istruttorie avanzate dagli incolpati la Commissione dispone quanto

segue:

1) ammette tutta la produzione documentale dei deferiti, ad eccezione delle “assunzioni di

informazioni difensive”, in quanto non previste come mezzo di prova nell’ordinamento federale;

2) quanto alle istanze del deferito DEOMA:

- respinge la richiesta di prove testimoniali, perché generica e ininfluente;

- respinge la richiesta di interrogatorio di Giorgio Buffone, in quanto non previsto come

mezzo di prova nell’ordinamento federale;

- respinge la richiesta di perizia su intercettazioni telefoniche, per i motivi esposti

nell’Ordinanza n. 6.”

In seguito, il deferito BELLAVISTA ha presentato istanza di ricusazione dei componenti

della Commissione. La Commissione, dopo aver ascoltato la difesa del deferito e la Procura

federale, la quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza stessa, ha

provveduto con l’ordinanza n. 15, di seguito integralmente riprodotta:

“Ordinanza n. 15

La Commissione,

vista l’istanza di ricusazione presentata dal deferito Antonio BELLAVISTA;

considerato che la sola proposizione del ricorso per ricusazione non determina ipso jure la

sospensione del procedimento e la devoluzione della questione al giudice competente, spettando

alla Commissione procedente il giudizio sulla ammissibilità di tale istanza, come affermato da

costante giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato (tra le altre, Cass. civ., I,

n. 6309/2000; Cass. civ., I, n. 10406/2003; Cass. pen. V, n.

8472/2005; Cass. civ., III, n. 26089/2005; Cass. civ., III, n. 5236/2006; Cons. Stato, IV, n.

6370/2006);

rilevato che l’art. 28, comma 4, CGS, stabilisce che “ai componenti degli Organi della

giustizia sportiva si applicano le norme in materia di astensione e di ricusazione previste dal codice

di procedura civile”;

considerato che l’art. 51 c.p.c. prevede ipotesi tassative di obbligo di astensione, tra le quali

non rientra la questione sollevata dal BELLAVISTA con l’odierna istanza;

considerato che l’art. 52 c.p.c. dispone che l’istanza di ricusazione possa essere proposta

solo nei casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi ex art. 51 c.p.c.;

NOTE A SENTENZA151

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rilevato che sulla richiesta di astensione la Commissione si è già espressa con l’ordinanza n.

6;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile l’istanza di ricusazione presentata dal

deferito Antonio

BELLAVISTA.

Dispone la prosecuzione del procedimento.”

Al termine la Commissione ha dichiarato chiusa l’istruttoria dibattimentale e invitato le parti

a concludere.

4) Le richieste della Procura Federale e dei deferiti

La Procura Federale ha chiesto la dichiarazione di responsabilità dei deferiti e l’irrogazione

delle seguenti sanzioni:

1. BELLAVISTA Antonio: 5 anni di squalifica, preclusione e 3 anni e 6 mesi di

squalifica in continuazione;

2. BRESSAN Mauro: 5 anni di squalifica, preclusione e 6 mesi di squalifica in

continuazione;

3. BUFFONE Giorgio: 5 anni di squalifica, preclusione e 3 anni e 3 mesi di squalifica

in

continuazione;

4. CIRIELLO Antonio: 4 anni di inibizione;

5. DEOMA Daniel: 1 anno e 9 mesi di squalifica;

6. DONI Cristian: 3 anni e 6 mesi di squalifica;

7. ERODIANI Massimo: 5 anni di squalifica, preclusione e 8 anni di squalifica in

continuazione;

8. FABBRI Gianni: 5 anni di inibizione e preclusione;

9. GERVASONI Carlo: 5 anni di squalifica, preclusione e 1 anno di squalifica in

continuazione;

10. MANFREDINI Thomas: 3 anni di squalifica;

11. PAOLONI Marco: 5 anni di squalifica, preclusione e 5 anni di squalifica in

continuazione;

NOTE A SENTENZA152

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12. QUADRINI Daniele: 1 anno di squalifica;

13. ROSSI Leonardo: 3 anni di squalifica;

14. SANTONI Nicola: 5 anni di squalifica e preclusione;

15. SAVERINO Davide: 3 anni di squalifica;

16. SIGNORI Giuseppe: 5 anni di squalifica, preclusione e 1 anno e 6 mesi di squalifica

in continuazione;

17. SOMMESE Vincenzo: 5 anni di squalifica, preclusione e 2 anni di squalifica in

continuazione;

18. VELTRONI Giorgio: 5 anni di inibizione;

19. Società U.S. ALESSANDRIA CALCIO 1912 S.r.l.: retrocessione all’ultimo posto

nel

Campionato di competenza;

20. Società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a.: penalizzazione di sei (6) punti in classifica,

da scontare nel campionato 2011-2012 in applicazione del principio di afflittività e euro

90.000,00 di ammenda, in continuazione;

21. Società ATALANTA BERGAMASCA CALCIO: penalizzazione di sette (7) punti in

classifica, da scontare nel campionato di 2011-2012 in applicazione del principio di

afflittività;

22. Società BENEVENTO CALCIO S.p.a.: penalizzazione di quattordici (14) punti in

classifica, da scontare nel campionato 2011-2012 in applicazione del principio di afflittività

e euro 30.000,00 di ammenda, in continuazione;

23. Società U.S. CREMONESE S.p.a.: penalizzazione di nove (9) punti in classifica, da

scontare nel campionato 2011-2012 in applicazione del principio di afflittività e euro

30.000,00 di ammenda, in continuazione;

24. Società A.S.D. CUS CHIETI: penalizzazione di punti uno (1) in classifica, da

scontare nel campionato 2011-2012 in applicazione del principio di afflittività e euro

4.500,00 di ammenda, in continuazione;

25. Società F.C. ESPERIA VIAREGGIO S.r.l.: penalizzazione di punti uno (1) in

classifica, da scontare nel campionato di competenza 2010-2011 in applicazione del

principio di afflittività;

26. Società HELLAS VERONA F.C. S.p.a.: ammenda di euro 50.000,00;

NOTE A SENTENZA153

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27. Società PIACENZA F.C. S.p.a.: penalizzazione di quattro (4) punti in classifica, da

scontare nel campionato 2010-2011 in applicazione del principio di afflittività e euro

50.000,00 di ammenda, in continuazione;

28. Società A.S.D. PINO DI MATTEO C5: penalizzazione di punti dodici (12) in

classifica, da scontare nel campionato 2011-2012 in applicazione del principio di afflittività e euro

1.600 di ammenda, in continuazione;

29. Società CALCIO PORTOGRUARO SUMMAGA S.r.l.: ammenda di euro 50.000,00;

30. Società RAVENNA CALCIO S.r.l.: esclusione dal campionato di competenza con

assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati di categoria inferiore e euro

50.000,00 di ammenda;

31. Società ASS. REGGIANA 1919 S.p.a.: penalizzazione di due (2) punti in classifica,

da scontare nel campionato 2011-2012 in applicazione del principio di afflittività;

32. Società U.S. SASSUOLO CALCIO S.r.l.: ammenda di euro 50.000,00;

33. Società SPEZIA CALCIO S.r.l.: penalizzazione di punti uno (1) in classifica, da

scontare nel campionato di competenza 2011-2012 in applicazione del principio di afflittività;

34. Società A.S. TARANTO CALCIO S.r.l.: penalizzazione di punti uno (1) in classifica,

da scontare nel campionato di competenza 2011-2012 in applicazione del principio di

afflittività;

35. Società VIRTUS ENTELLA S.r.l.: ammenda di euro 40.000,00.

La Procura federale ha precisato che il deferimento a carico della soc. U.S. SASSUOLO

S.r.l. deve intendersi fatto ai sensi dell’art. 4, comma 2, CGS (e non ai sensi dell’art. 7, comma 4 e

6, come indicato, per mero errore materiale, nel capo di incolpazione).

I difensori dei deferiti hanno illustrato e integrato le proprie difese, precisando le proprie

conclusioni.

I difensori delle Società ammesse quali terze interessate hanno chiarito le ragioni del proprio

intervento.

Il Presidente della A.S.D. CUS CHIETI ha reso spontanee dichiarazioni, affermando

l’estraneità della propria Società dai fatti contestati e l’infondatezza del deferimento.

Durante la discussione il deferito DEOMA ha presentato istanza di applicazione di sanzioni

su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 23 C.G.S.

NOTE A SENTENZA154

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Su questa ultima istanza la Commissione ha provveduto con l’ordinanza n. 16, di seguito

integralmente riprodotta:

“Ordinanza n. 16

La Commissione disciplinare nazionale,

rilevato che, nel corso del dibattimento, il Sig. Daniele DEOMA, tramite i propri difensori,

ha depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS, individuata nella

squalifica di mesi 12 (dodici) e giorni 20 (venti);

considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto

l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi

con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere

all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura;

visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la

qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone

l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del

richiedente;

rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta

corretta e le sanzioni indicate risultano congrue,

P.Q.M.

la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al

dispositivo.

Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti del predetto”.

A conclusione degli interventi, la Commissione ha dichiarato chiuso il dibattimento e si è

riunita in camera di consiglio per deliberare.

5) I motivi della decisione

La Commissione, esaminati gli atti, rileva quanto segue, in conformità con il principio di

sinteticità sancito dall’art. 34, comma 2, CGS.

5.1. Premessa

NOTE A SENTENZA155

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Nel caso in questione emergono comportamenti palesemente incompatibili con i principi di

lealtà, correttezza e probità, ai quali l’ordinamento sportivo non può abdicare, pena la sua

irrimediabile caduta di credibilità e persino la sua stessa sopravvivenza.

Si tratta, in particolare, di comportamenti di intrinseca gravità, che svuotano di significato

l’essenza stessa della competizione sportiva, al di là di ogni valutazione in ordine alla intensità

dell’elemento psicologico che ha connotato l’agire dei singoli deferiti, alla condotta

preesistente, simultanea e successiva degli illeciti disciplinari e alle motivazioni che li hanno

ispirati.

Va sottolineato, inoltre, il fatto che la vicenda si caratterizza per quel clima “omertoso” che

troppo spesso permea i rapporti tra i tesserati, nonché tra i tesserati e il “sottobosco” di vari pseudo

appassionati.

Di seguito verranno esaminate le posizioni dei deferiti con riferimento al tipo di

comportamento illecito prospettato nel provvedimento di deferimento.

5.2. Violazione art. 9 CGS

Tesserati: BELLAVISTA Antonio, BRESSAN Mauro, BUFFONE Giorgio, ERODIANI

Massimo, GERVASONI Carlo, PAOLONI Marco, SIGNORI Giuseppe, SOMMESE Vincenzo

Società: ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a., BENEVENTO CALCIO S.p.a., C.U.S. CHIETI

A.S.D., U.S. CREMONESE S.p.a., PIACENZA F.C. S.p.a., A.S.D. PINO DI MATTEO C5,

RAVENNA CALCIO S.r.l.

Dagli atti ufficiali (documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Cremona e

audizioni dei tesserati effettuate dalla Procura federale) e dalle risultanze del dibattimento si

evince chiaramente l’esistenza di una vera e propria organizzazione costituita da tesserati e altri

soggetti preordinata ad alterare lo svolgimento e il risultato di competizioni sportive, al fine sia di

effettuare scommesse dall’esito predeterminato e di ottenere illeciti guadagni, sia di assicurare un

vantaggio ad alcune squadre.

Si è così integrata l’ipotesi prevista dall’art. 9 CGS, in quanto più di tre soggetti tenuti

all’osservanza delle norme e degli atti federali si sono associati per commettere illeciti. Ritiene la

Commissione che la partecipazione organica e non occasionale a tale associazione sia provata

per tutti i tesserati deferiti al suddetto titolo, ad eccezione di BRESSAN, per il quale non si

riscontrano elementi sufficienti a integrare la violazione dell’art. 9 CGS.

NOTE A SENTENZA156

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Dagli atti, infatti, risulta con certezza la sola partecipazione del BRESSAN

all’organizzazione dell’illecito relativo alla gara Taranto-Benevento. In tale occasione, il deferito

partecipò a un incontro, svoltosi presso il casello autostradale di Reggio Emilia,

nel corso del quale venne consegnata a PARLATO la somma di euro 30.000,00 quale

compenso anticipato per i calciatori coinvolti nell’alterazione del risultato della gara.

Quanto alle singole posizioni degli altri soggetti deferiti ai sensi dell’art. 9 CGS la

Commissione osserva:

- che il deferito BELLAVISTA, iscritto nell’albo del settore tecnico quale allenatore di base,

ha dato, contrariamente a quanto sostenuto nelle difese, un contributo causalmente rilevante al

perseguimento dei fini dell’associazione, intervenendo nella progettazione di numerosi illeciti,

costituendo il tramite con il c.d. Gruppo degli zingari e partecipando, insieme a ERODIANI, a

SIGNORI e ai commercialisti di quest’ultimo, all’incontro tenutosi a Bologna il 15 marzo 2011

presso lo studio Professionisti Associati, risultato determinante per lo sviluppo e l’ampliamento

dell’attività dell’associazione. Dagli atti risulta che egli, da tale momento in poi, ha mantenuto

contati stabili e ripetuti con gli altri deferiti appartenenti al gruppo, come si ricava anche dalle

numerose telefonate intercorse con ERODIANI;

- che il deferito BUFFONE, direttore sportivo del RAVENNA, ha avuto anch’egli un ruolo

rilevante nell’associazione, attraverso frequenti contatti con gli altri appartenenti al gruppo,

risultando particolarmente attivo nella ricerca di occasioni per l’alterazione di gare e manifestando

esplicitamente la propria disponibilità a operare con condotte illecite, anche, ma non solamente, per

la realizzazione di un programma che avrebbe dovuto consentire alla sua società di appartenenza

l’effettuazione di scommesse vincenti. Egli è intervenuto nella ideazione e realizzazione degli

illeciti relativi alle gare Verona-Ravenna, Ascoli- Atalanta, Alessandria-Ravenna, Ravenna-Spezia

e Reggiana-Ravenna e alla realizzazione di scommesse per le gare Taranto-Benevento, Padova-

Atalanta e Siena- Sassuolo;

- che il deferito ERODIANI, calciatore tesserato per la soc. PINO DI MATTEO, ha operato

quale dominus dell’organizzazione insieme a soggetto non tesserato, tenendo contatti telefonici e

personali frequentissimi con PAOLONI, PARLATO, BELLAVISTA e con gli altri associati.

Trovandosi al vertice dell’associazione ha partecipato all’incontro del 15 marzo

2011 a Bologna con il Gruppo dei bolognesi, facente capo a SIGNORI. Ha sempre avuto un

ruolo preminente nell’organizzazione di illeciti, procacciando finanziatori, individuando

NOTE A SENTENZA157

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intermediari in grado di contattare i tesserati disponibili di volta in volta alla alterazione di gare e

scommettendo personalmente sulle partite ritenute sicure;

- che il deferito GERVASONI, calciatore tesserato per la soc. CREMONESE, trasferito in

prestito il 20 gennaio 2011 alla soc. PIACENZA, oltre a essere frequentemente indicato nelle

conversazioni telefoniche tra associati come elemento fondamentale per la riuscita dell’alterazione

di risultati di gare (con particolare riferimento agli illeciti relativi alle gare Atalanta-Piacenza e

Novara-Ascoli), risulta avere svolto il ruolo di intermediario con il Gruppo degli zingari,

sollecitando MICOLUCCI a partecipare a un incontro svoltosi a notte fonda in Ascoli, al quale si è

presentato in compagnia di due esponenti di tale Gruppo, uno dei quali aveva una vistosa cicatrice

sull’occhio sinistro. L’organizzazione di tale incontro, sulla cui veridicità si tornerà trattando

dell’illecito relativo alla gara Novara-Ascoli, è sintomatico della rilevanza e stabilità del ruolo

svolto da GERVASONI e della sua volontà di partecipare all’associazione con compiti non

meramente esecutivi ma anche di promozione;

- che il deferito PAOLONI, all’epoca calciatore tesserato per la soc. CREMONESE e poi

trasferito alla soc. BENEVENTO, risulta essere uno degli elementi più attivi nella realizzazione del

programma dell’associazione; mantiene contatti assidui soprattutto con ERODIANI; si attiva con

cadenza frenetica nella ricerca di colleghi e tesserati disponibili alla alterazione di gare. Inoltre,

PAOLONI è uno scommettitore abituale, spasmodicamente interessato alla realizzazione di

“combine” e alla effettuazione di giocate, anche al fine di rientro delle perdite di gioco, maturate

soprattutto nei confronti di ERODIANI. Con riferimento a tale ultima circostanza la difesa

dell’incolpato ha sostenuto

che l’esigenza di soddisfare le pressanti richieste di ERODIANI avrebbe condotto

PAOLONI a una situazione psicologica di dipendenza tale da escludere la sua stessa volontà di far

parte dell’associazione. Si configurerebbe in sostanza per PAOLONI l’esimente di aver agito in

stato di necessità. Ritiene al riguardo la Commissione che tale esimente non possa ritenersi

sussistente in capo a chi, come PAOLONI, abbia volontariamente dato a causa alla situazione di

pericolo, mettendosi con la propria condotta nella condizione di dover subire quella che, secondo

la prospettazione dell’interessato, pare come una minaccia all’incolumità sua e dei familiari;

- che il deferito SIGNORI, allenatore iscritto all’albo dei tecnici, quale personaggio di

riferimento del Gruppo dei bolognesi, ha partecipato al noto incontro di Bologna presso lo studio

Professionisti Associati e da quel momento ha mantenuto, sia pure per interposta persona, contati

costanti e frequenti con gli altri soggetti dell’organizzazione, assumendo anche un ruolo propulsivo

NOTE A SENTENZA158

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nella realizzazione di illeciti e di scommesse sicure. Il riscontro di tale attività, che integra con

certezza gli estremi della partecipazione all’associazione di cui all’art. 9 CGS, sono riscontrabili in

modo incontestabile negli atti;

- che il deferito SOMMESE, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la soc. ASCOLI, ha

partecipato attivamente, come risulta da numerose intercettazioni telefoniche in atti, sia all’attività

di scommesse, sia a quella di preparazione di illeciti, essendo accreditato da parte degli altri

membri dell’associazione di un ruolo carismatico nei confronti dei compagni di squadra,

malgrado la sua posizione di fuori rosa. È intervenuto nella ideazione degli illeciti relativi alle

gare Livorno-Ascoli e Ascoli-Atalanta e alla realizzazione di scommesse per le gare Livorno-

Ascoli, Benevento-Cosenza, Padova-Atalanta e Siena- Sassuolo.

In conclusione, i deferiti BELLAVISTA, BUFFONE, ERODIANI, GERVASONI,

PAOLONI, SIGNORI e SOMMESE hanno sicuramente partecipato all’organizzazione con un ruolo

significativo.

Deve conseguentemente affermarsi la loro responsabilità, alla quale segue quella

oggettiva delle Società di appartenenza ASCOLI, BENEVENTO, CREMONESE,

PIACENZA , PINO DI MATTEO e RAVENNA.

A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico del deferito

TUCCELLA, la società C.U.S. CHIETI deve rispondere a titolo di responsabilità oggettiva per il

comportamento del proprio tesserato.

5.3. Violazione art. 7, comma 1, 5 e 6, CGS

Tesserati: BELLAVISTA Antonio, BRESSAN Mauro, BUFFONE Giorgio, CIRIELLO

Antonio, DONI Cristiano, ERODIANI Massimo, FABBRI Gianni, GERVASONI Carlo,

MANFREDINI Thomas, PAOLONI Marco, ROSSI Leonardo, SANTONI Nicola, SAVERINO

Davide, SIGNORI Giuseppe, SOMMESE Vincenzo, VELTRONI Giorgio

Società: U.S. ALESSANDRIA CALCIO 1912 S.r.l., ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a.,

ATALANTA BERGAMASCA CALCIO S.p.a., BENEVENTO CALCIO S.p.a., C.U.S. CHIETI

A.S.D., U.S. CREMONESE S.p.a., F.C. ESPERIA VIAREGGIO, PIACENZA F.C. S.p.a., A.S.D.

PINO DI MATTEO C5, RAVENNA CALCIO S.r.l., ASS. REGGIANA 1919 S.p.a., SPEZIA

CALCIO S.r.l., A.S. TARANTO CALCIO S.r.l.

NOTE A SENTENZA159

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Dagli atti ufficiali (documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Cremona e

audizioni dei tesserati effettuate dalla Procura federale) e dalle risultanze del dibattimento

emerge che diversi tesserati hanno svolto attività preordinate ad alterare lo svolgimento e il risultato

di competizioni sportive, in violazione dell’art. 7, comma 1, 5 e 6, CGS e dei principi di lealtà,

correttezza e probità sanciti dall’art. 1 CGS.

In particolare, ciò risulta provato, tra l’altro, dalle circostanze di seguito evidenziate.

Gara: Monza-Cremonese del 21.11.2010

L’intercettazione telefonica di un colloquio tra ERODIANI e altro soggetto non tesserato

(M.P.) nel corso del quale si discute in ordine a gare per le quali “combinare” il risultato consente di

trarre riferimento alla gara Monza-Cremonese che si concluse con il risultato di 2-2 a seguito di un

gol messo a segno nei minuti di recupero dal Monza grazie a un macroscopico errore del portiere

della Cremonese PAOLONI.

Il colloquio telefonico tra ERODIANI e altro soggetto non tesserato (M.P.) è del febbraio

2011, mentre la gara incriminata risale al novembre 2010, prima che venisse attivato il

servizio di intercettazione delle conversazioni da parte dell’Autorità giudiziaria. Nella telefonata

del febbraio 2011 tra ERODIANI e altro soggetto non tesserato (M.P.) emergono dubbi sul

fatto che PAOLONI possa garantire la certezza che nella imminente gara tra Benevento e Viareggio

si verifichi effettivamente il risultato progettato. Poiché altro soggetto non tesserato (M.P.) lamenta

il fatto che “questo è tre o quattro volte che ci incula”, ERODIANI ricorda la partita con il Monza

come un incontro con il risultato determinato da PAOLONI, il quale aveva giocato e “se l’era messa

lui dentro”, chiara allusione a un clamoroso errore commesso da PAOLONI che aveva consentito al

Monza di pareggiare 2 a 2, realizzando il risultato Over in virtù del quale gli scommettitori avevano

“un po’ recuperato” sulle perdite causate da PAOLONI.

Da tale intercettazione, quindi, emerge con chiarezza che la gara Monza-Cremonese era stata

“combinata” dai deferiti in concorso tra loro e che era stata conseguita l’alterazione del risultato in

conformità col progetto.

Successivi accertamenti hanno portato a riscontrare numerose telefonate intervenute in

precedenza e successivamente alla gara in questione tra PAOLONI (con utenza intestata fittizia

anagrafica cinese ma in uso allo stesso PAOLONI), ERODIANI e altro soggetto non tesserato

(M.P.). Tali risultanze, insieme al rilievo dato dalla stampa all’errore tecnico non giustificabile di

PAOLONI, costituiscono ulteriori elementi di convincimento in ordine alla commissione

dell’illecito.

NOTE A SENTENZA160

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Le condotte di cui sopra integrano la violazione dell’art. 7,comma 1, 5 e 6, per PAOLONI e

la violazione dell’art. 7, comma 7, per ERODIANI.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e PAOLONI segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e CREMONESE.

Gara: Cremonese-Paganese 14.11.2010

Dalla gara in epigrafe trae origine l’indagine attualmente in corso presso la Procura della

Repubblica del Tribunale di Cremona dalla quale deriva, a sua volta, l’odierno procedimento.

Alla vicenda, si è risaliti a seguito della denuncia inoltrata dalla Soc. CREMONESE e alle

successive intercettazioni telefoniche tra PAOLONI, ERODIANI e altro soggetto non tesserato

(M.P.), del cui contenuto i medesimi non sono stati in grado di fornire spiegazioni plausibili e

verosimili.

A seguito della gara in questione, conclusasi con il risultato di 2-0 in favore della

CREMONESE, i tesserati GERVASONI, Zerzouri, Tacchinardi, Musetti, Zanchetta e Rivetti

accusavano malori che ne consigliavano il ricorso alle cure dei sanitari e il successivo esame delle

urine. GERVASONI, peraltro, subiva anche un incidente stradale di cui non ricordava nemmeno la

dinamica.

All’esito degli esami eseguiti presso il Policlinico S. Matteo di Pavia, Laboratorio di

Tossicologia Analitica Clinica, emergeva che i predetti avevano ingerito, mescolato con l’acqua

contenuta nelle bottigliette messe a diposizione della società, un farmaco denominato

Lormetazepan, il cui principio attivo rientra nella categoria dei farmaci delle Benzodiazepine,

facente parte di una classe di sostanze psico-attive introdotte per la cura degli stati d’ansia, con

effetti compatibili con quelli lamentati dai citati tesserati.

La circostanza induceva la soc. CREMONESE a inoltrare denuncia/querela presso le

competenti autorità che ponevano immediatamente sotto controllo le utenze telefoniche dei

magazzinieri e di PAOLONI, di cui emergevano la forte propensione alle scommesse e i problemi di

natura economica.

La circostanza allertava immediatamente quelli che sarebbero poi risultati essere i

principali esponenti del gruppo di soggetti associatisi al fine di alterare il risultato delle gare di

calcio per conseguire profitti scommettendo ingenti somme sul risultato così assicurato. Dalle

intercettazioni era dato rilevare, infatti, la preoccupazione che le

indagini consentissero di risalire al soggetto che materialmente, tramite una prescrizione a

NOTE A SENTENZA161

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nome della moglie di PAOLONI, a firma di un soggetto non tesserato (M.P.) e inoltrata presso una

tabaccheria a mezzo fax, si fosse approvvigionato del farmaco Minias contenente i principi del

Lormetazepan.

Ai fini dell’accertamento dell’intervento dei deferiti nel tentativo di alterazione del risultato

della gara, è significativa la telefonata del 22.1.11, nel corso della quale PAOLONI confida a

ERODIANI la sua preoccupazione per “il fatto dell’avvelenamento”.

In ulteriori telefonate i deferiti, con linguaggio estremamente criptico, svolgono

considerazioni che ne rivelano il coinvolgimento. Significativa, a tal proposito, è la telefonata del

25.1.2011 in cui ERODIANI e PAOLONI parlano del farmaco, auspicando che, pur risaliti al

principio del farmaco, gli investigatori non riescano a individuare in modo specifico quello

adoperato, peraltro riportato in una prescrizione non a nome di PAOLONI, ma di altro soggetto.

E in effetti i due interlocutori sembrano in qualche modo tranquillizzati dalla previsione che

potrà risalirsi al principio, equiparato a una marca di auto (AUDI), ma non al farmaco

effettivamente usato, equiparato al modello (Q7) dell’auto di tale marca.

Inoltre, è emerso che, essendo fallito il tentativo di PAOLONI di alterare il risultato della

gara in esame, si è aggravata la sua esposizione debitoria in relazione alla perdita della ulteriore

somma di euro. 17.000,00 da parte del soggetto non tesserato (M.P.), il quale aveva appunto

scommesso sul risultato garantito da PAOLONI ma non conseguito sul campo (vittoria della

PAGANESE).

L’analisi del traffico telefonico intervenuto nei giorni a cavallo dell’evento tra l’utenza in

uso a PAOLONI, intestata a fittizia anagrafica cinese, l’utenza in uso a un soggetto non tesserato

(M.P.) e quella in uso a ERODIANI costituisce ulteriore supporto probatorio della vicenda così

ricostruita, che conferma, altresì, le pressioni cui il primo è sottoposto a causa dei debiti accumulati

nei confronti del duo composto da ERODIANI e dal soggetto non tesserato (M.P.).

I comportamenti ascritti a PAOLONI integrano la violazione dell’art. 7, comma 1 e 6, CGS,

mentre quelli ascritti a ERODIANI la violazione dell’art. 7, comma 7, CGS.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e PAOLONI segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e CREMONESE. Riguardo a

quest’ultima Società, dovrà tenersi conto delle peculiari modalità dell’illecito e del danno dalla

stessa subito anche con riferimento alla salute fisica dei propri calciatori.

Gara: Spal-Cremonese del 16.1.2011

NOTE A SENTENZA162

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Secondo la ricostruzione resa possibile dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni rese dai

soggetti ascoltati sia dinanzi alla Autorità giudiziaria sia dinanzi alla Procura federale, è stato

possibile accertare che PAOLONI ed ERODIANI si accordarono per alterare il risultato della gara

Spal-Cremonese coinvolgendo PARLATO e una serie di scommettitori interessati a realizzare il

disegno.

In realtà, il PAOLONI non gioca quella partita e dichiara di aver solo fatto credere di essersi

accordato con i compagni di squadra allo scopo di determinare il risultato desiderato.

In sostanza, ERODIANI promette a PAOLONI la somma di 30.000,00 euro per garantire

l’impegno a perdere della CREMONESE, PARLATO assume il compito di reperire soggetti in

grado di supportare una scommessa rilevante senza necessità di anticipare somme, PAOLONI si

impegna a garantire un impegno ridotto dei propri compagni di squadra. Sebbene non vi

siano certezze circa il coinvolgimento dei due calciatori

della CREMONESE Cattaneo e Cremonini, che PAOLONI in un primo tempo afferma di

aver contattato, salvo dichiarare successivamente alla Procura federale di averli “tirati in

mezzo” solo per trovare una scusa con ERODIANI “perché giocavano in difesa”, gli atti compiuti

dai deferiti e l’intreccio di comunicazioni tra loro, che prevedevano la dazione di denaro

proveniente da un gruppo di scommettitori milanesi conosciuti da PARLATO, appaiono

univocamente diretti ad alterare il risultato della gara. Ulteriore conferma dell’illecito si ricava

dall’effettuazione di scommesse sul risultato della gara da parte dei soggetti coinvolti a vario titolo

nella vicenda.

La mancata concretizzazione del risultato non rileva, essendosi comunque consumata la

violazione degli artt. 7, commi 1, 5 e 6 da parte di PAOLONI, ERODIANI e PARLATO e la

violazione degli artt. 1, comma 1 e 6, per ERODIANI e PARLATO.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e PAOLONI segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e CREMONESE.

Gara: Benevento-Viareggio del 13.2.2011

La mancata concretizzazione di alcuni illeciti (v. Spal-Cremonese) spinge ERODIANI e

PAOLONI a cercare di alterare il risultato della gara tra Benevento-Viareggio in considerazione dei

rapporti in essere con PARLATO.

NOTE A SENTENZA163

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

A tal fine, definiscono le somme da destinare ai tesserati del VIAREGGIO, negoziandole

con PARLATO, e cercano di organizzare, seppur con difficoltà, una rete di scommesse

sull’incontro.

I tempi brevissimi dell’inchiesta federale non hanno consentito di poter individuare

tesserati del VIAREGGIO da deferire, non essendo emersi allo stato elementi certi di responsabilità

a carico del Malacarne, calciatore del VIAREGGIO indicato da PAOLONI quale suo referente e

compiacente nell’attività di alterazione della gara. È emersa tuttavia la figura del FURLAN,

soggetto legato al deferito PARLATO da rapporti chiaramente afferenti alla realizzazione di

scommesse, il quale nel corso di telefonate intercettate ha appreso da PARLATO l’esistenza del

piano volto all’alterazione del risultato della gara.

Le risultanze delle telefonate e le ammissioni di FURLAN, da un lato, corroborano il

convincimento in ordine alla realizzazione dell’illecito e, dall’altro, consentono di affermare la

responsabilità dello stesso FURLAN ai sensi dell’art. 7, comma 7, del CGS. Infatti il deferito, a

conoscenza dell’illecito, non lo ha denunciato alla Procura federale.

Questa volta il risultato desiderato si concretizza, sicché alla responsabilità di ERODIANI e

PAOLONI segue quella oggettiva delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e

BENEVENTO, nei termini di cui al deferimento.

La società ESPERIA VIAREGGIO risponde a titolo di responsabilità presunta, ai sensi

dell’art. 4, comma 5 CGS, per illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da persone ad essa

estranee, non essendo emersi elementi che inducano, quantomeno in termini di ragionevole dubbio,

ad escludere che la società abbia partecipato all’illecito ovvero ad affermare che lo abbia ignorato.

La soc. PORTOGRUARO SUMMAGA, in seguito alla applicazione di sanzione ai sensi

dell’art. 23 CGS a carico del deferito FURLAN, deve rispondere a titolo di responsabilità oggettiva

per la condotta del proprio tesserato.

Gara: Livorno-Ascoli del 27.2.2011

Le intercettazioni telefoniche risultano decisive ai fini dell’accertamento dell’illecito

commesso.

Da una conversazione tra ERODIANI e altro soggetto non tesserato (M.P.) emerge che

SOMMESE (al momento “fuori rosa”nell’Ascoli) avrebbe assicurato il risultato grazie alla

partecipazione di due compagni di squadra. Si evidenzia anche la definizione delle somme che si

NOTE A SENTENZA164

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intendono ricavare con le scommesse, somme dalle quali detrarre il corrispettivo per gli atleti

coinvolti.

Nell’illecito entrano pure TUCCELLA, che vanta rapporti personali con SOMMESE, e

MICOLUCCI, che però potrebbe non partecipare alla gara.

Nelle ultime ore prima della partita MICOLUCCI, al quale SOMMESE ha destinato un

compenso di euro 20.000,00, decide di agire da solo, ma non riesce a concretizzare il risultato

sperato.

Va rilevato che, per quanto attiene alla gara in esame, attraverso le intercettazioni telefoniche

è stato possibile accertare chiaramente che MICOLUCCI, contrariamente a quanto lo stesso ha

tentato di accreditare nel corso della propria audizione, ha offerto in modo inequivocabile la propria

disponibilità all’alterazione del risultato, dichiarando a soggetto non tesserato (M.P.) di essere

disposto a prodigarsi anche da solo per soddisfare le aspettative degli scommettitori.

Nel corso dell’audizione MICOLUCCI, inoltre, ha affermato di aver ricevuto dal compagno

di squadra SOMMESE la richiesta di contribuire alla sconfitta della propria squadra dietro

compenso quantificato in euro 20000,00 e di aver subito successivamente insistenti pressioni da

parte del SOMMESE anche attraverso sms. Infine, ha confessato di aver inviato a SOMMESE,

mentre si trovava sul pullman per raggiungere lo stadio, un sms in cui gli riferiva l’accettazione

della proposta, utilizzando il telefono cellulare che il compagno di squadra gli aveva consegnato.

Le dichiarazioni di MICOLUCCI, ad avviso della Commissione, appaiono attendibili,

mancando in atti elementi che possano accreditare una inimicizia tra i due tale da aver indotto

MICOLUCCI a inventare tutta la vicenda.

Inoltre, deve essere dato risalto alla telefonata intercorsa il 22.2.2011 tra ERODIANI e un

soggetto non tesserato (M.P.), nel corso della quale vengono identificati nominativamente in modo

non equivocabile i due soggetti implicati, ovvero MICOLUCCI e SOMMESE. Come rilevato dalla

Procura federale nell’atto di deferimento, la contestualizzazione della telefonata nel complesso non

lascia dubbi sul fatto che i soggetti implicati fossero edotti che le due persone sopra indicate si

stessero adoperando per la riuscita del progetto di alterazione del risultato della gara.

Ulteriore conferma dell’illecito si ricava, naturalmente, dalla effettuazione di scommesse,

con esito infausto, da parte dei soggetti interessati al riguardo.

Tali comportamenti integrano la violazione dell’art. 7, comma 1 e 6, CGS.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e SOMMESE segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e ASCOLI.

NOTE A SENTENZA165

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A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico dei deferiti

MICOLUCCI e TUCCELLA, le società ASCOLI e C.U.S. CHIETI devono rispondere a titolo di

responsabilità oggettiva per il comportamento dei propri tesserati.

Gara: Hellas Verona-Ravenna del 27.2.2011

Dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni rese dai soggetti ascoltati sia dinanzi alla Autorità

giudiziaria sia dinanzi alla Procura federale, risulta che ERODIANI, BUFFONE e altre persone non

tesserate si accordano per alterare il risultato della gara.

Va rilevato che BUFFONE, nel corso delle dichiarazioni rese all’Autorità giudiziaria, ha

fornito il movente della sua condotta illecita, costituito dall’interesse di contribuire al salvataggio,

sia sportivo che finanziario, del RAVENNA.

Per realizzare il disegno, BUFFONE, al quale viene garantita la somma di euro 20.000,00,

tenta di trovare un accordo con la dirigenza dell’ HELLAS VERONA e, a tal fine, si incontra con

GIBELLINI, direttore sportivo della stessa,a Castelvetro ove GIBELLINI ha un’azienda vinicola.

L’interlocutore, però, rifiuta la proposta di illecito sostenendo di non avere punti di riferimento, date

le precarie condizioni di salute del proprio Presidente.

La condotta di GIBELLINI integra la violazione dell’articolo 7, comma 7, CGS, essendo

suo dovere informare senza indugio la Procura federale dell’accaduto.

Della organizzazione del tentativo viene portatoa conoscenza

anche FABBRI, rappresentante di riferimento del RAVENNA (seppur non più con la

qualifica di Presidente, essendo cessatodalla carica dal 18.12.2010, ma con

quella di Consigliere di amministrazione), il quale peraltro appare non solo

consapevole dell’attività illecita di BUFFONE ma anche concorrente nella stessa. Secondo le

dichiarazioni di BUFFONE, infatti, fu proprio FABBRI (sempre definito da BUFFONE Presidente

della Società) a presentargli un soggetto non tesserato (I.M.), indicato come interessato all’acquisto

di quote della Società e persona insieme alla quale si sarebbe dovuto attuare il progetto di ricavare

denaro da scommesse su partite di calcio del RAVENNA, per le quali “ci si sarebbe dovuti

adoperare per predeterminare il risultato”. Precisa BUFFONE che “questo progetto era condiviso

dal Presidente FABBRI che era di fatto il mio unico interlocutore”. Contrariamente a quanto

sostenuto nelle sue difese, FABBRI è assoggettato al giudizio di questa Commissione quale

soggetto che, pur non rivestendo più la carica di Presidente del RAVENNA, ma solo quella di

NOTE A SENTENZA166

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Consigliere di amministrazione, ha operato per conto della stessa Società con un ruolo che, secondo

BUFFONE, coincideva con quello di Presidente.

Tali comportamenti integrano la violazione degli artt. 1 e 7, comma 1 e 6, CGS.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI, BUFFONE e FABBRI segue quella

oggettiva della Società PINO DI MATTEO e oggettiva e diretta della Società RAVENNA, attesa la

posizione di rappresentante della Società di FABBRI, come si evince dal fatto che il BUFFONE

faceva sempre riferimento a quest’ultimo al fine di assumere ogni decisione.

A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico dei deferiti

MICOLUCCI e TUCCELLA, le società ASCOLI e C.U.S. CHIETI devono rispondere a titolo di

responsabilità oggettiva per il comportamento dei propri tesserati.

Gara: Benevento-Cosenza del 28.2.2011

Già dalla settimana precedente alla disputa dell’incontro il servizio di intercettazione sulle

utenze in uso agli indagati consentiva di avvalorare l’interesse dell’organizzazione criminale

sulla partita in questione.

ERODIANI aveva ricevuto assicurazioni da PAOLONI in ordine alla volontà di alcuni

giocatori del COSENZA di assicurare la sconfitta a fronte del pagamento della somma di euro

20.000,00.

Risulta in concreto accertata una serie di versamenti e di investimenti sull’esito assicurato

della partita così da concretizzare l’ipotesi di illecito. In particolare, l’attività dei deferiti intesa

all’alterazione della gara trova riscontro nell’accredito di somme di denaro sulla carta Poste-Pay

intestata a PAOLONI da parte di ERODIANI o comunque di soggetti dallo stesso incaricati, che

conferma il ruolo di ERODIANI quale organizzatore e finanziatore e di PAOLONI nel ruolo di

intermediario con i calciatori, allo stato non identificati, oltre che destinatario di una parte del

denaro messo a disposizione dai finanziatori dell’attività illecita.

Inoltre, risultano coinvolti nell’effettuazione di scommesse sulla partita in questione i

tesserati SOMMESE, ERODIANI, TUCCELLA e PARLATO.

Il risultato della gara venne in effetti alterato nel senso progettato, essendosi concluso il

confronto con il punteggio di 3-1 in favore della formazione di casa.

Tali comportamenti integrano la violazione degli artt. 7, commi 1, 5 e 6, CGS per

ERODIANI e PAOLONI e la violazione degli artt. 1, comma 1, e 6 CGS per SOMMESE ed

ERODIANI.

NOTE A SENTENZA167

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e PAOLONI, da una parte, e di

SOMMESE ed ERODIANI, dall’altra, segue quella oggettiva delle Società di appartenenza PINO

DI MATTEO, BENEVENTO e ASCOLI.

In ordine alla posizione di eventuali calciatori della soc. COSENZA coinvolti nell’illecito la

Procura federale si è riservata di effettuare ulteriori indagini.

A seguito della applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23 CGS a carico del deferito

TUCCELLA, la Società CUS CHIETI risponde a titolo di responsabilità oggettiva dell’operato del

proprio tesserato.

Gara: Ascoli-Atalanta del 12.3.2011

Tre giorni prima della gara un soggetto non tesserato (M.P.) comunicava a BUFFONE di

essere in procinto di incontrarsi con alcuni tesserati dell’ASCOLI per pianificare con loro la

sconfitta nella partita casalinga in programma con l’ATALANTA.

Nella stessa giornata veniva intercettata anche una telefonata tra ERODIANI e PARLATO

nella quale si prospettava di alterare il risultato della partita.

Una successiva conversazione tra altro soggetto non tesserato (M.P.) e SOMMESE,

calciatore dell’ASCOLI, confermava la diretta partecipazione di quest’ultimo all’illecito progetto.

Nel prosieguo manifestava interesse all’illecito anche MICOLUCCI, calciatore dell’ASCOLI.

Nonostante queste esternazioni, successivamente emergeva la volontà dei giocatori

dell’ASCOLI di non voler perdere la partita. Solo il calciatore MICOLUCCI confermava la propria

piena disponibilità a condurre da solo la gara verso il risultato combinato.

Emergeva anche un’ipotesi di accordo con il calciatore DONI dell’ATALANTA prospettata

da BUFFONE, direttore sportivo del RAVENNA, per il tramite di SANTONI, allenatore di base

tesserato per il RAVENNA, ma poi in concreto assolutamente non confermata, tant’è che la gara

finiva con il risultato di 1-1.

A questo punto, però, emerge quanto riferito da MICOLUCCI in ordine a una proposta

ricevuta personalmente in campo da MANFREDINI, calciatore dell’ATALANTA, per pareggiare

l’incontro. Proposta che spiazza MICOLUCCI visto che il suo approccio alla partita era per una

sconfitta e non per il pareggio.

A tale proposta MICOLUCCI aderiva, pur chiedendo tempo per riferirla ai compagni di

squadra, i quali però non accettavano la proposta illecita.

NOTE A SENTENZA168

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

In ordine alla responsabilità del MANFREDINI va rilevato che l’illecito posto in essere si è

pienamente realizzato nel momento in cui è stato proposto e il fatto che sia stato poi rifiutato dai

giocatori dell’Ascoli non può certo valere per escludere il comportamento ormai concretizzatosi.

Tali comportamenti integrano la violazione degli artt. 7, commi 1, 5 e 6, CGS.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI, BUFFONE, SOMMESE, SANTONI

e MANFREDINI segue quella oggettiva delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO,

RAVENNA, ASCOLI e ATALANTA.

A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico del deferito

MICOLUCCI, la società ASCOLI deve rispondere a titolo di responsabilità oggettiva per il

comportamento del proprio tesserato.

Taranto-Benevento del 13.3.2011

In ordine alla gara Taranto-Benevento, ERODIANI ha dichiarato, in sede di audizione da

parte della Procura federale, di aver curato l’organizzazione del risultato “over”, con la

collaborazione di PAOLONI, il quale aveva garantito il raggiungimento dell’accordo con due

calciatori per ciascuna squadra, senza peraltro farne i nomi. Il finanziamento dell’operazione

doveva essere assicurato dal Gruppo degli zingari con il conferimento dell’importo di euro

40.000,00, poi ridotti a 30.000,00. Per l’organizzazione dell’illecito aveva poi avuto notevole rilievo

il ruolo di BRESSAN, il quale ha ammesso nella sua audizione di aver agito da intermediario nei

contatti tra BELLAVISTA e organizzano altro soggetto non tesserato (G.A.), referente del Gruppo

degli zingari, consentendo l’incontro al casello autostradale di Reggio Emilia in cui venne

consegnato a PARLATO l’importo di euro 30.000, quale pagamento anticipato dei giocatori

coinvolti nell’illecito. PARLATO, peraltro, in sede di audizione della Procura federale, ha

confermato l’incontro e il ricevimento da parte di due persone di etnia slava della somma di euro

30.000,00, da lui successivamente consegnata a ERODIANI.

In effetti, ERODIANI inizia a ricaricare alcune Poste-Pay intestate a PAOLONI, che

quest’ultimo deve destinare ad altri tesserati con i quali si era accordato; se ne ricava il riscontro

della veridicità delle affermazioni di PARLATO.

Gli elementi raccolti nel caso di specie sono particolarmente numerosi, precisi e univoci e

sono costituiti dal contenuto di numerose conversazioni, da appostamenti della Polizia di Stato,

dall’esame di documentazione afferente alla ricarica di alcune Poste-Pay, dalle dichiarazioni dei

soggetti coinvolti, di cui si è detto.

NOTE A SENTENZA169

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Nel tracciare un quadro riassuntivo della vicenda si può affermare che l’evento è stato

realizzato con indispensabile contributo di PAOLONI, il quale ha svolto il ruolo di intermediario

con alcuni calciatori di entrambe le squadre (che non è stato possibile identificare), prospettando

egli stesso ai sodali, attraverso ERODIANI, la possibilità dell’illecito, in considerazione del fatto

che egli aveva la possibilità di contattare alcuni calciatori per ciascuna squadra.

Risulta inoltre dalle intercettazioni che BUFFONE e TISCI si sono inseriti nella vicenda,

assumendo informazioni utili all’effettuazione di scommesse, poi concretamente realizzate. Tali

comportamenti integrano le violazioni di cui all’atto di deferimento.

Va quindi affermata la responsabilità di PAOLONI, ERODIANI, BELLAVISTA e

BRESSAN per violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, CGS per aver posto in essere atti diretti

all’alterazione del risultato della gara, nonché di BUFFONE per violazione dell’art. 1, comma 1, e 6

CGS.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e PAOLONI segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e BENEVENTO; a quella di BUFFONE, la

responsabilità oggettiva della Società di appartenenza RAVENNA.

La società TARANTO risponde a titolo di responsabilità presunta, ai sensi dell’art. 4,

comma 5 CGS, per illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da persone ad essa estranee, non

essendo emersi elementi che inducano, quantomeno in termini di ragionevole dubbio, ad escludere

che la società abbia partecipato all’illecito ovvero ad affermare che lo abbia ignorato.

Gara: Atalanta-Piacenza del 19.3.2011

L'incontro di calcio è oggetto delle attenzioni illecite di numerosi soggetti.

Esso viene dapprima pianificato in data 15.3.2011 a Bologna dove, presso lo studio

Professionisti Associati, si svolge un incontro (confermato dalle risultanze di specifici controlli e

appostamenti della Polizia di Stato) al quale partecipano ERODIANI, BELLAVISTA, SIGNORI e i

due commercialisti di quest’ultimo. Nel corso di tale incontro viene progettato - anche con riguardo

alle somme da investire e da garantire ai calciatori coinvolti - un tentativo di alterazione del risultato

finale per consentire di “guidare” un

considerevole, anche economicamente, numero di scommesse effettuato, tra gli altri –

secondo le dichiarazioni rese da ERODIANI alla Procura federale in data 7.7.11 - anche dal Gruppo

degli zingari e dal Gruppo dei bolognesi, che farebbe capo allo stesso SIGNORI. E proprio

quest'ultimo, nell'audizione davanti alla Procura federale del 11.7.11, riferisce del citato incontro del

NOTE A SENTENZA170

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

15 marzo e dell'oggetto dello stesso. Dall'esame delle intercettazioni delle telefonate effettuate fra

PARLATO, ERODIANI e BELLAVISTA, emerge che il risultato combinato che si va a ricercare è

la vittoria dell'ATALANTA con l'Over. Di ciò danno conto anche SIGNORI e ERODIANI, nelle

citate deposizione rese, e lo stesso BELLAVISTA che risulta avere avuto un ruolo di raccordo fra i

principali scommettitori.

Nella organizzazione dell’illecito un ruolo rilevante viene poi svolto da PARLATO, il quale,

conversando con ERODIANI, afferma che l’incontro era “alla sua portata” e che lo stava

preparando con un amico di DONI, che risulta essere SANTONI.

In una telefonata del 15.3.2011 PARLATO, conversando con SANTONI, conferma che i

calciatori coinvolti sono tre o quattro e gli chiede di sincerarsi sull’avvenuto accordo.

Lo stesso SANTONI - nella audizione del 7.7.2011, nella quale ammette anche di aver

scommesso sulla gara in oggetto euro 30.000,00 - dichiara che, in un'altra telefonata, PARLATO gli

ha fatto i nomi di alcuni giocatori del PIACENZA coinvolti nella “combine”, fra i quali

GERVASONI.

Per quanto riguarda l'ATALANTA, invece, il referente dell'accordo risulta essere proprio

DONI, come si evidenzia dall'esame dell'intercettazione della telefonata del 18.3.11, avvenuta fra

SANTONI e PARLATO, nella quale il primo, tra l'altro, precisa che è tutto a posto. In proposito,

ancora SANTONI ha dichiarato, in sede di audizione, di avere sì detto a PARLATO di avere

coinvolto DONI, ma di averlo fatto solo per avvalorare la bontà dell'informazione fornita allo stesso

PARLATO. Quest'ultima dichiarazione del SANTONI, tuttavia, non risulta credibile posto il tenore

estremamente chiaro della su citata conversazione telefonica e della complessiva condotta dallo

stesso tenuta, compresa anche l'ingente scommessa effettuata.

D'altra parte, lo stesso ERODIANI, nella propria audizione, riferisce che DONI è il

principale referente per combinare le gare.

A dimostrazione dell’accordo illecito raggiunto, poi, nella telefonata datata 17.3.11,

ERODIANI dice al suo interlocutore PARLATO di avere concordato con GERVASONI - contattato

dall'ex compagno di squadra PAOLONI - che questi debba andare in campo a stringere la mano a

DONI. Nella telefonata del giorno seguente, invece, è PARLATO che comunica a ERODIANI che

GERVASONI deve andare da DONI per dirgli che è tutto a posto.

Dopo la gara, SANTONI consegna anche euro 40.000,00 a PARLATO, somma che era tra

gli stessi stata concordata - come risulta da altre intercettazioni telefoniche - da consegnare

ai giocatori del PIACENZA partecipi dell'illecito. Tale circostanza, al di là delle discordanze

NOTE A SENTENZA171

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

sull’entità della somma concretamente consegnata a PARLATO, che si spiegano con l’interesse di

SANTONI a riferire all’esito delle scommesse la consegna dell’importo, è particolarmente

significativa poiché ricalca i termini dell’accordo telefonicamente raggiunto tra SANTONI e

PARLATO, costituendone il puntuale perfezionamento.

La scommessa effettuata anche da GERVASONI per euro 10.000,00 è altro elemento che

avvalora il convincimento in ordine al perfezionamento dell’illecito e, in particolare, al

coinvolgimento dello stesso (chiamato in causa da ERODIANI e PARLATO) nella “combine”.

Tali comportamenti integrano la violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, del CGS, come

contestato nell’atto di deferimento.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI, SANTONI, DONI e GERVASONI

segue quella oggettiva delle Società PINO DI MATTEO, RAVENNA e PIACENZA e quella

oggettiva e presunta della Società ATALANTA, ai sensi dell’art. 4, comma 5, del CGS, per l’illecito

sportivo commesso a vantaggio della stessa da persone a essa estranee.

Gara: Inter-Lecce del 20.3.2011

Dalle intercettazioni versate in atti e dalla attività di indagine della Procura federale,

confermate dalle dichiarazioni delle parti coinvolte, è emerso che il tentativo di “combinare” la gara

nasce, da un lato, dalle asserite e dichiarate volontà e possibilità del PAOLONI di contare sulla

disponibilità di taluni tesserati del Lecce (Corvia, Vives, Ferrario e il portiere Rosati), dall’altro,

dalla disponibilità del Gruppo dei bolognesi, il cui referente è SIGNORI, di investire ingenti somme

sull’evento tramite ERODIANI.

In particolare, l’interesse degli incolpati appare appuntato sulla vittoria della squadra di casa

“1” con più di due reti di scarto Over 2,5 e, successivamente, con più di tre reti di scarto Over 3,5,

stante l’assicurazione di ERODIANI, in tanto confortato da PAOLONI in ordine alla disponibilità

dei giocatori del Lecce sopra indicati.

Tramite BELLAVISTA, manifesta interesse a tale gara anche il Gruppo degli zingari che, a

garanzia, chiedono di vedere almeno due “attori” del Lecce.

L’intervento del Gruppo degli zingari, peraltro, induce Paoloni, almeno stando alla versione

dallo stesso fornita, ad aprire un falso account Skype a nome del calciatore Corvia, servendosene

per poter contattare ERODIANI fingendosi Corvia per rappresentare che il risultato non si era

concretizzato perché i giocatori dell’Inter si erano tirati indietro. Premesso che allo stato non si

hanno precisi elementi per appurare la veridicità del racconto di PAOLONI a proposito della

NOTE A SENTENZA172

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

creazione di un finto account Skype, essendo stata, tra l’altro, stralciata la posizione di Corvia,

ritiene la Commissione che non vi siano precisi riscontri della reale attivazione dell’incolpato per il

compimento dell’illecito. PAOLONI, quindi, va prosciolto dall’addebito di illecito sportivo

relativamente alla gara in esame.

Ritiene, invece, la Commissione che sia ampiamente provata dalle intercettazioni l’attività

illecita posta in essere da ERODIANI e BELLAVISTA, nonché da SIGNORI, il quale ha assunto

nella vicenda l’importante ruolo di finanziatore dell’operazione. Inoltre, SIGNORI e BELLAVISTA

sono responsabili, per quanto chiaramente emerso dalle intercettazioni telefoniche, di violazione

dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 6 CGS, per aver posto in essere un’illecita attività conoscitiva

finalizzata a scommettere su gare dall’esito sicuro ed aver effettuato scommesse sulla gara in

esame.

Alla affermazione di responsabilità di ERODIANI consegue la responsabilità oggettiva della

società di appartenenza PINO DI MATTEO.

Risultano invece stralciate con separato provvedimento della Procura federale le posizioni

degli ulteriori tesserati nominati quali possibili autori o concorrenti dell’illecito.

Gara: Alessandria-Ravenna del 20.3.2011

Nei giorni che precedono l’incontro del 20 marzo 2011 il sevizio di intercettazione

telefonica registra numerosi contatti tra i rappresentanti delle due Società.

In data 13 marzo 2011, BUFFONE, direttore sportivo del RAVENNA, parla con

VELTRONI, Presidente dell’ALESSANDRIA, ipotizzando un accordo in ordine all’esito della

gara. Tre giorni dopo i due dirigenti si sentono nuovamente e fissano un appuntamento per il giorno

successivo.

Dopo la fissazione dell’appuntamento, BUFFONE ne dà notizia a ROSSI, allenatore del

RAVENNA, a DEOMA, tecnico di base iscritto all’Albo dei Tecnici, ad altro soggetto non tesserato

(M.P.) e a un soggetto facente parte dell’organizzazione degli scommettitori.

Non manca la telefonata tra BUFFONE e FABBRI, rappresentante di riferimento del

RAVENNA, nel corso della quale le parti concordano di incontrarsi di persona prima

dell’appuntamento con VELTRONI.

All’incontro, che si svolge a San Sepolcro, VELTRONI offre euro 50.000,00 per la sconfitta

del RAVENNA e BUFFONE contropropone euro 100.000,00 per la sconfitta dell’ALESSANDRIA.

Inevitabilmente l’incontro si chiude senza che le parti raggiungano un accordo.

NOTE A SENTENZA173

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Il VELTRONI ha inteso giustificare l’incontro con BUFFONE come utile alla risoluzione

della comproprietà del calciatore Scappini, ma la circostanza non risulta credibile.

Al mattino successivo BUFFONE informa dell’incontro con VELTRONI il vice presidente

del RAVENNA CIRIELLO.

Nella vicenda FABBRI viene costantemente informato da BUFFONE ed è dunque parte

attiva della trattativa, oltre ad esserne concorrente in esecuzione di un “programma” inteso a

reperire fondi a favore della Società Ravenna attraverso scommesse su partite combinate, di cui si è

dato atto trattando il deferimento relativo alla gara Hellas Verona- Ravenna.

BUFFONE incontra anche ROSSI per informarlo dell’incontro e quest’ultimo lo previene

dicendo che in ogni caso lui avrebbe voluto sempre vincere tutte le gare.

Su tutti questi contatti, in sede di interrogatorio, BUFFONE ha fornito formale ammissione.

Quanto a VELTRONI lo stesso ha ammesso l’incontro con BUFFONE, non fornendo una versione

convincente sui contenuti di tale incontro. Non può essere accolta la tesi difensiva che

vorrebbe accreditare la mancata consapevolezza di VELTRONI riguardo all’oggetto dell’incontro

propostogli da BUFFONE. La Commissione, infatti, considera del tutto attendibili le dichiarazioni

confessorie di BUFFONE, il quale ha espressamente affermato di aver palesato a VELTRONI,

sin dal primo contatto telefonico, che l’argomento da trattare sarebbe stato un aggiustamento del

risultato della gara, fornendo così una precisazione superflua ai fini della ricostruzione dei fatti.

In ogni caso, non è credibile che un Presidente di Società si sposti da Alessandria a San

Sepolcro per andare a discutere con il Direttore Sportivo della Società prossima avversaria il

trasferimento di un calciatore di cui il Ravenna deteneva soltanto la “comproprietà”.

Per l’accusa di illecito sicuramente devono considerarsi responsabili BUFFONE,

VELTRONI e FABBRI, mentre a ROSSI e a CIRIELLO deve attribuirsi una responsabilità per

omessa denuncia in relazione alla consapevolezza dell’illecito, derivante dal racconto fattogli da

BUFFONE il giorno successivo all’incontro col Presidente dell’Alessandria.

Per quanto riguarda ROSSI, ad avviso della Commissione, ne va esclusa la responsabilità a

titolo di illecito sportivo, contestatagli per non aver respinto l’ipotesi di un pareggio nella gara in

esame, prospettatagli da BUFFONE prima dell’incontro con VELTRONI. La condotta di ROSSI,

infatti, risulta priva di efficacia causale ai fini della realizzazione dell’illecito, essendosi verificata in

un momento meramente ideativo e non esecutivo dell’illecito architettato da BUFFONE.

NOTE A SENTENZA174

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Quanto a CIRIELLO, ritiene la Commissione che egli, ricevendo notizia da BUFFONE di

un illecito già perfezionato, non abbia compiuto sostanzialmente atti diretti ad alterare il risultato

della gara e, pertanto, debba rispondere unicamente di omessa denuncia.

Il DEOMA ha già definito la propria posizione a seguito della applicazione di sanzioni ai

sensi dell’art. 23 CGS.

Alla affermazione della responsabilità di VELTRONI segue quella diretta della società

ALESSANDRIA, attesa la qualifica di Presidente della Società stessa.

Alla affermazione della responsabilità di BUFFONE, FABBRI, CIRIELLO e ROSSI segue

quella della società RAVENNA, sia oggettiva che diretta, attesa la qualifica di rappresentante della

Società del FABBRI (pur se non più con la qualifica di Presidente essendo cessato dalla carica il 18

dicembre 2010).

Gara: Benevento-Pisa del 21.3.2011

Al fine di garantire il recupero delle somme perse per il nefasto esito (per gli scommettitori)

della gara Inter-Lecce della settimana precedente, che ne aveva fortemente indebolito la credibilità,

PAOLONI assicura a ERODIANI di essere in grado di garantire l’Over 3,5. Stante la disponibilità

del PAOLONI, ERODIANI coinvolge nella organizzazione dell’evento BELLAVISTA, che

interviene per conto del Gruppo dei bolognesi.

La circostanza si desume dalle intercettazioni successive alla gara, anch’essa dall’esito

nefasto per gli scommettitori, ERODIANI e BELLAVISTA inclusi.

La gara, infatti, termina con il risultato di 1-0 e proprio PAOLONI risulta il migliore in

campo.

Ecco, allora, dopo l’evento, le telefonate minacciose di ERODIANI, BELLAVISTA e di

altro soggetto non tesserato (G.F.).

Quest’ultimo telefona per conto di una persona che ha realizzato più di duecento reti in

Serie “A” (SIGNORI) e che lamenta una perdita di euro. 300.000,00.

Anche in questa circostanza, dunque, PAOLONI, pur succube delle incessanti richieste di

rientro da parte dei suoi creditori, si è reso promotore della “combine”, assumendo anche il

coinvolgimento di tesserati della squadra avversaria.

I fatti, come accertati per mezzo delle intercettazioni telefoniche, configurano atti diretti ad

alterare lo svolgimento della gara in esame, attraverso i contatti con calciatori, della cui identità

peraltro non vi è certezza, e la ricerca di finanziatori.

Dell’illecito rispondono ERODIANI, PAOLONI e BELLAVISTA.

NOTE A SENTENZA175

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Risulta altresì provata l’effettuazione di scommesse da parte di ERODIANI e SIGNORI, di

cui si tratterà in apposito capitolo.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e PAOLONI segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e BENEVENTO.

Gara: Padova-Atalanta del 26.3.2011

Dall'esame di numerose telefonate intercorse fra vari soggetti tesserati emerge che il risultato

della gara era stato probabilmente concordato tra le due società e che la prova dell'accordo si

ricavava dalla telefonata di BELLAVISTA a ERODIANI nella quale il primo comunicava che sui

siti asiatici erano state già scommesse sulla gara somme per complessivi euro 23.000.000,00 (cifra

poi ridimensionata da BELLAVISTA).

In seguito ERODIANI, nella conversazione con PARLATO del 24.3.11, riferiva di essere

certo del risultato della gara, essendo venuto a conoscenza di una giocata di euro

10.000,00 di DONI. Il giorno seguente PARLATO, nella conversazione intercettata con uno

sconosciuto, otteneva anch'egli la conferma che il capitano (DONI) con le sue scommesse aveva di

fatto contribuito a sancire l'avvenuta “combine”. E sempre il 24.3.11

ERODIANI veniva a conoscenza da persona non tesserata che le società ATALANTA e

PADOVA si sarebbero accordate per un pareggio.

Molti altri soggetti, fra cui anche BUFFONE, TUCCELLA e SOMMESE, si scambiano

successivamente sull'argomento interessate telefonate (sempre intercettate), al fine di conoscere lo

stato delle scommesse e il probabile esito della gara.

Premesso che la gara è effettivamente terminata con un pari e che la Procura federale non è

stata in grado di acquisire ulteriori elementi validi di prova, tuttavia si può con certezza affermare,

per le condotte tenute finalizzate a un'attività conoscitiva legata alle scommesse, la responsabilità

di ERODIANI, BUFFONE e SOMMESE, alla quale consegue quella oggettiva delle Società di

appartenenza PINO DI MATTEO, RAVENNA e ASCOLI.

A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico del deferito

TUCCELLA, la società C.U.S. CHIETI deve rispondere a titolo di responsabilità oggettiva per il

comportamento del proprio tesserato.

Gara: Siena-Sassuolo del 27.3.2011

NOTE A SENTENZA176

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Dalla documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Cremona e dalle

audizioni dei tesserati effettuate dalla Procura federale emerge chiaramente che ERODIANI,

PAOLONI e BELLAVISTA si accordano per alterare il risultato della gara.

A tal fine, si attivano organizzando contatti con tesserati e cercando finanziatori, poi trovati

nel Gruppo degli zingari.

In particolare, PAOLONI telefona a QUADRINI, dicendogli che doveva sentire “l’amico

mio” al fine di fargli sapere “se c’era margine di fare qualcosa” relativamente alla gara Siena-

Sassuolo. Successivamente QUADRINI richiama PAOLONI per comunicare che non c’è nulla da

fare (nella audizione di fronte alla Procura federale, QUADRINI tenta di dare una spiegazione della

telefonata che risulta del tutto inverosimile).

Vi è poi una serie di contatti concitati tra ERODIANI, PAOLONI, BELLAVISTA e altri,

tutti diretti a organizzare la “combine” della gara, in previsione della effettuazione di scommesse.

Il PAOLONI, peraltro, attiva un account su Skype, facendosi passare per QUADRINI nelle

conversazioni con i propri interlocutori, al fine di dare affidamento sull’esito della gara nei termini

auspicati.

Dai fatti suesposti risulta chiaramente che PAOLONI ha contattato l’amico QUADRINI per

chiedergli di indurre a un accordo alcuni compagni di squadra del SASSUOLO, ricevendo risposta

negativa dopo il rientro di QUADRINI dall’allenamento, nel corso del quale evidentemente era

stato tentato un approccio con i compagni di squadra.

Il tentativo di riferire le espressioni “devo sentire l’amico mio … che voleva sapere se c’era

margine di fare qualcosa” (PAOLONI) e “non si può fare nulla” (QUADRINI) è un mero espediente

difensivo privo - come si è già detto - di qualsiasi fondamento.

Deve essere affermata, quindi, la responsabilità di BELLAVISTA, ERODIANI e PAOLONI

per violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, CGS, con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, della

pluralità di illeciti posti in essere, mentre QUADRINI è responsabile di violazione dell’art. 7,

comma 7, per aver omesso di informare senza indugio dei fatti la Procura federale.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI E PAOLONI segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e BENEVENTO.

Gara: Ravenna-Spezia 27.3.2011

Dall'esame delle intercettazioni telefoniche, svolte sulle utenze dei soggetti indagati, si è

potuto rilevare come la partita sia stata al centro delle attenzioni di vari soggetti col fine ultimo di

NOTE A SENTENZA177

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pilotarne il risultato e “orientare” così le scommesse da effettuarsi. L'organizzazione della

“combine” ha il suo inizio il 23.3.11 quando, durante una conversazione telefonica intercettata

fra ERODIANI e PARLATO, quest'ultimo riferisce di essere stato informato da un suo amico, che

lo Spezia era disposto a versare ingenti somme (euro 100.000,00) per vincere la gara del successivo

giorno 27 marzo e che aveva cercato come referente del RAVENNA il direttore generale

BUFFONE. Quest'ultimo, anche grazie all’intervento di SANTONI, controproponeva la somma di

euro 150.000,00, come risulta anche dalla intercettazione della telefonata del 25.3.11 fra

ERODIANI e BELLAVISTA, dalla quale emerge appunto la differenza di euro 50.000,00 fra

domanda e offerta e anche l'ipotesi di BELLAVISTA e ERODIANI di integrare

eventualmente la differenza di persona pur di ottenere benefici dalle future scommesse.

Non si hanno certezze che l'accordo si sia trovato e, anzi, almeno fino al giorno 26.3.11,

dall'esame di intercettazioni ulteriori su utenze di BUFFONE e ERODIANI, pare che questo

accordo non sia intervenuto.

È tuttavia agevole sostenere che tutti i su citati tesserati abbiano comunque posto in essere

atti diretti a pilotare l'esito della gara in esame.

Tra l'altro, pur non avendo certezze del prosieguo delle citate trattative, a causa

dell'intervenuto termine naturale al 27.3.11, giorno dell'incontro, del servizio di intercettazioni

telefoniche, bisogna evidenziare come effettivamente l'incontro si sia concluso proprio con la

vittoria esterna dello SPEZIA.

Alla affermazione della responsabilità di BUFFONE e ERODIANI segue quella oggettiva

delle Società di appartenenza RAVENNA E PINO DI MATTEO.

La soc. SPEZIA, avendo tratto beneficio dall'illecito commesso a suo vantaggio da

persone allo stato non note è chiamata a rispondere a titolo di responsabilità presunta in quanto non

è possibile escludere, oltre ogni ragionevole dubbio, che la Società non abbia partecipato all'illecito

o lo abbia ignorato. Tale convincimento si ricava dalla circostanza che, in seguito alla proposta di

un versamento di euro 100.000,00 venne contrapposta un’offerta di euro 150.000,00 e che

BELLAVISTA e ERODIANI ipotizzarono persino di integrare personalmente con euro 50.000,00 la

somma offerta, pur di ottenere la prospettata eventualità di effettuare le scommesse. Tale condotta di

BELLAVISTA e ERODIANI comprova la serietà e fondatezza della proposta in questione e non

consente di superare la soglia del ragionevole dubbio.

NOTE A SENTENZA178

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Deve essere affermata, quindi, la responsabilità di BUFFONE, ERODIANI, SANTONI e

BELLAVISTA per violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, CGS, con l’aggravante di cui all’art. 7,

comma 6, della pluralità di illeciti posti in essere.

Alla affermazione della responsabilità di SANTONI, BUFFONE e ERODIANI segue quella

oggettiva delle Società di appartenenza RAVENNA e PINO DI MATTEO.

Gara: Reggiana-Ravenna del 10.4.2011

Dalle dichiarazioni rese da un soggetto non tesserato (M.P.) davanti all’Autorità

giurisdizionale e dalle attività di indagine svolte dalla Procura federale emergono elementi precisi,

dettagliati e concordanti in ordine alla responsabilità di ERODIANI, BUFFONE e SAVERINO nel

tentativo di manipolare il risultato della gara.

In particolare, emerge che ERODIANI fa da intermediario tra il SAVERINO e il

BUFFONE. Questi ultimi, poi, si incontrano a Imola, qualche giorno prima della gara, per

concordarne l’esito, anche se non raggiungono nessun accordo, poiché il calciatore proponeva

la vittoria per la sua squadra. Sulla vicenda BUFFONE ha reso alla Procura federale dichiarazioni

determinanti. SAVERINO, invece, non potendo negare il fatto oggettivo dell’incontro avvenuto con

il dirigente della REGGIANA, squadra che egli avrebbe dovuto incontrare nella imminente gara, ha

però tentato di alleggerire la propria posizione, asserendo che l’argomento trattato non era stato un

eventuale accordo sulla gara, ma una trattativa inerente il futuro trasferimento del calciatore. È

persino superfluo precisare che la versione di SAVERINO, per il contrasto insanabile con le

chiare dichiarazioni di BUFFONE, è priva di qualsiasi valore.

Tali comportamenti concretizzano atti diretti a condizionare l’esito della gara e, quindi,

integrano le violazioni contestate.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI, BUFFONE e SAVERINO per illecito

sportivo aggravato segue quella oggettiva delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO,

RAVENNA e REGGIANA.

Gara: Novara-Ascoli del 2.4.2011

Dall’esame delle intercettazioni telefoniche e delle audizioni effettuate dalla Procura

federale emerge che MICOLUCCI e GERVASONI si accordano per alterare il risultato della gara.

A tal fine GERVASONI chiede con un sms di incontrare MICOLUCCI. All’incontro, che si

svolge ad Ascoli, GERVASONI arriva a bordo di una Mercedes nera in compagnia di due persone,

NOTE A SENTENZA179

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uno dei quali con una vistosa cicatrice sull’occhio sinistro, appartenente al Gruppo degli

zingari. Allo scopo di invogliare il MICOLUCCI, le due persone che accompagnano GERVASONI

offrono un importo superiore a euro 100.000,00 in ipotesi di risultato esatto. Il MICOLUCCI

respinge l’offerta, anche per la paura di avere rapporti con tal genere di persone.

Tale versione dei fatti, fornita da MICOLUCCI in sede di audizione della Procura federale, è

solo parzialmente contrastata da GERVASONI, il quale a sua volta ha ammesso nell’audizione in

Procura federale di aver avuto un incontro notturno in Ascoli con MICOLUCCI, affermando di non

ricordare il luogo preciso dell’appuntamento e anticipandone l’orario dall’una del mattino a

mezzanotte.

La discordanza sulla data dell’incontro, eccepita con vigore dalla difesa di GERVASONI,

non assume rilevanza determinante, ben potendo essere riferita a un impreciso ricordo di

MICOLUCCI. Del resto, se questi avesse volutamente mentito, avrebbe certamente avuto cura di

collocare l’incontro in data diversa da quella della gara. È altresì significativa la circostanza che

GERVASONI, nella audizione del 19.7.2011 presso la Procura federale, dopo aver riconosciuto di

essersi incontrato con MICOLUCCI intorno alla mezzanotte ad Ascoli , non ha dato alcuna risposta

alle domande che gli venivano rivolte a proposito dello svolgimento di tale incontro, giustificandosi

con la necessità di fare il punto con i propri Legali e allontanandosi dal luogo dell’audizione per

non farvi più ritorno.

In base alle dichiarazioni di MICOLUCCI, che per le considerazioni svolte la Commissione

valuta attendibili, si ritiene accertata la responsabilità di GERVASONI in ordine alle violazioni

contestate.

Alla affermazione della responsabilità di GERVASONI segue quella oggettiva delle Società

di appartenenza PIACENZA.

A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico dei deferiti

MICOLUCCI, la società ASCOLI deve rispondere a titolo di responsabilità oggettiva per il

comportamento del proprio tesserato.

5.4. Violazione art. 7, comma 7, CGS

Tesserati: ERODIANI Massimo, QUADRINI Daniele

Società: A.S.D. PINO DI MATTEO C5, U.S. SASSUOLO S.r.l., CALCIO

PORTOGRUARO SUMMAGA s.r.l.

NOTE A SENTENZA180

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Dagli atti ufficiali (documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Cremona e

audizioni dei tesserati effettuate dalla Procura federale) e dalle risultanze del dibattimento

emerge che alcuni tesserati, pur essendo venuti a conoscenza della esistenza di attività volte ad

alterare lo svolgimento e il risultato di competizioni sportive non hanno provveduto a informarne la

Procura federale, in violazione dell’art. 7, comma 7, CGS.

In particolare, risulta provato, soprattutto dalle intercettazioni telefoniche effettuate prima e

dopo le relative gare, che il deferito ERODIANI è venuto a conoscenza della esistenza di attività

volte ad alterare lo svolgimento delle gare Cremonese-Paganese e Monza- Cremonese.

Ugualmente risulta provato, sempre dalle intercettazioni telefoniche effettuate prima della

gara Siena-Sassuolo, che il deferito QUADRINI ha ricevuto una telefonata da PAOLONI, nella

quale quest’ultimo gli diceva che doveva sentire “l’amico mio” al fine di fargli sapere “se c’era

margine di fare qualcosa” relativamente alla gara, e che successivamente il QUADRINI richiamava

il PAOLONI per comunicare che non c’era nulla da fare. Nella audizione davanti alla Procura

federale il QUADRINI ha precisato che, nella telefonata con

PAOLONI, si riferiva a una ristrutturazione della propria casa in Sardegna, ma si tratta di

una spiegazione del tutto inverosimile e incompatibile con il tenore del colloquio.

Ne deriva che ERODIANI e QUADRINI hanno violato la prescrizione di cui all’art. 7,

comma 7, CGS.

Alla affermazione della responsabilità di ERODIANI e di QUADRINI segue quella

oggettiva delle Società di appartenenza PINO DI MATTEO e SASSUOLO.

A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico dei deferiti

FURLAN e GIBELLINI, in relazione alla violazione dell’art. 7, comma 7, CGS, le società

PORTOGRUARO SUMMAGA e HELLAS VERONA devono rispondere a titolo di responsabilità

oggettiva per il comportamento dei propri tesserati.

5.5. Violazione artt. 1 e 6 CGS

Tesserati: BELLAVISTA Antonio, BUFFONE Giorgio, ERODIANI Massimo, SIGNORI

Giuseppe, SOMMESE Vincenzo,

Società: ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a., A.S.D. PINO DI MATTEO C5, RAVENNA

CALCIO S.r.l., VIRTUS ENTELLA S.r.l.

NOTE A SENTENZA181

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Dagli atti ufficiali (documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Cremona e

audizioni dei tesserati effettuate dalla Procura federale) e dalle risultanze del dibattimento si

evince che diversi tesserati hanno effettuato scommesse, talvolta presso soggetti non autorizzati a

riceverle, anche sulla base di attività dirette ad acquisire conoscenze tali da consentire di puntare su

gare sicure, in violazione del divieto sancito dall’art. 6 CGS e dei principi di lealtà, correttezza e

probità sanciti dall’art. 1 CGS.

In particolare, risulta provato, soprattutto dal contenuto delle intercettazioni telefoniche

effettuate prima e dopo le relative gare, che il deferito BELLAVISTA ha scommesso sulle gare

Inter-Lecce e Padova-Atalanta, il deferito BUFFONE sulle gare Taranto-Benevento, Padova-

Atalanta e Siena-Sassuolo, il deferito ERODIANI sulle gare Spal-Cremonese, Livorno-Ascoli,

Benevento-Cosenza, Inter-Lecce, Benevento-Pisa e Padova-Atalanta, il deferito SIGNORI sulle

gare Inter-Lecce e Benevento-Pisa e il deferito SOMMESE sulle gare Livorno-Ascoli, Benevento-

Cosenza, Padova-Atalanta e Siena-Sassuolo.

Tali comportamenti integrano la violazione degli articoli 1 e 6 CGS da parte di

BELLAVISTA, BUFFONE, ERODIANI e SOMMESE.

Alla affermazione della responsabilità dei deferiti BUFFONE, ERODIANI e SOMMESE

segue quella oggettiva delle Società di appartenenza RAVENNA, PINO DI MATTEO e ASCOLI.

A seguito della applicazione di sanzioni ai sensi dell’art. 23 CGS a carico dei deferiti

TUCCELLA e ZACCANTI, in relazione alla violazione degli art. 1 e 6 CGS, le società C.U.S.

CHIETI e VIRTUS ENTELLA devono rispondere a titolo di responsabilità oggettiva per il

comportamento dei propri tesserati.

6) La tipologia delle sanzioni applicabili

Per quanto riguarda le sanzioni a carico dei tesserati:

a) in caso di violazione dell’art. 9 CGS (associazione finalizzata alla commissione di illeciti)

si applicano le sanzioni di cui alle lettere f) (squalifica a tempo determinato, nel rispetto del

principio di afflittività della sanzione) e h) (divieto di accedere agli impianti sportivi in cui si

svolgono manifestazioni o gare calcistiche, anche amichevoli, nell’ambito della FIGC, con

eventuale richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA) dell’art. 19, comma 1;

b) in caso di violazione dell’art. 7, comma 1, CGS (illecito sportivo) si applicano la sanzione

non inferiore all'inibizione o alla squalifica per un periodo minimo di tre anni, con

NOTE A SENTENZA182

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aggravamento in caso di pluralità di illeciti ovvero se lo svolgimento o il risultato della gara

è stato alterato oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito;

c) in caso di violazione dell’art. 7, comma 7, CGS (omessa denuncia) CGS si applicano, in

mancanza di previsione specifica, le sanzioni previste dall’art. 19, comma 1, CGS.

d) in caso di violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità previsti dall’art. 1

CGS si applicano le sanzioni di cui alle lettere c) (ammenda), d) (ammenda con diffida), e)

(squalifica per una o più giornate di gara; in caso di condotta di particolare violenza o di particolare

gravità la squalifica non è inferiore a quattro giornate di gara), f) (squalifica a tempo determinato,

nel rispetto del principio di afflittività della sanzione), g) (divieto di accedere agli impianti sportivi

in cui si svolgono manifestazioni o gare calcistiche, anche amichevoli, nell’ambito della FIGC, con

eventuale richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA), h) (inibizione temporanea a svolgere

ogni attività in seno alla FIGC, con eventuale richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA, a

ricoprire cariche federali e a rappresentare le società nell'ambito federale, indipendentemente

dall'eventuale rapporto di lavoro) dell’art. 19, comma 1, CGS.

L’art. 19, comma 3, peraltro, precisa che la sanzione dell’inibizione temporanea non può

superare la durata di cinque anni, fermo rimanendo il potere degli Organi della giustizia sportiva, in

caso di applicazione di tale sanzione nel massimo edittale e di valutazione di particolare gravità dei

fatti, di disporre altresì la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC.

Ritiene pertanto la Commissione di non dover applicare sanzioni ulteriori in tutti i casi in cui

venga applicata la sanzione massima di cinque anni di squalifica o inibizione (con eventuale

preclusione), apparendo invalicabile il limite imposto dal richiamato art. 19, comma 3 CGS.

Per quanto riguarda le sanzioni a carico delle società:

a) in generale, in caso di responsabilità diretta o oggettiva per i comportamenti di chi le

rappresenta, dei dirigenti, dei tesserati, dei soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o

indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché di coloro che svolgono qualsiasi attività

all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale, si

applicano le sanzioni di cui all’art. 18, comma 1, CGS;

b) in particolare, in caso di violazione dell’art. 7, comma 1, CGS (illecito sportivo):

b1) se viene accertata la responsabilità diretta della società ai sensi dell'art. 4, si applicano le

sanzioni di cui alle lettere h) (retrocessione all'ultimo posto in classifica del campionato di

competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria; in base al principio della

afflittività della sanzione, la retrocessione all’ultimo posto comporta sempre il passaggio alla

NOTE A SENTENZA183

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categoria inferiore), i) (esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione

agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale a uno dei campionati di

categoria inferiore) e l) (non assegnazione o revoca dell'assegnazione del titolo di campione d'Italia

o di vincente del campionato, del girone di competenza o di competizione ufficiale) dell’art. 18,

comma 1, CGS, salva l’applicazione di una maggiore sanzione in caso di insufficiente afflittività;

b2) se viene accertata la responsabilità oggettiva o presunta della società ai sensi dell'art. 4,

comma 5, si applicano le sanzioni di cui alle lettere g) (penalizzazione di uno o più punti in

classifica; la penalizzazione sul punteggio, che si appalesi inefficace nella stagione sportiva in

corso, può essere fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente) h)

(retrocessione all'ultimo posto in classifica del campionato di competenza o di qualsiasi altra

competizione agonistica obbligatoria; in base al principio della afflittività della sanzione, la

retrocessione all’ultimo posto comporta sempre il passaggio alla categoria inferiore), i) (esclusione

dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con

assegnazione da parte del

Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore), l) (non assegnazione o

revoca dell'assegnazione del titolo di campione d'Italia o di vincente del campionato, del girone di

competenza o di competizione ufficiale) e m) (non ammissione o esclusione dalla partecipazione a

determinate manifestazioni) dell’art. 18, comma 1, CGS.

c) in caso di violazione dell’art. 7, comma 7, CGS (omessa denuncia) CGS si

applicano, in mancanza di previsione specifica, le sanzioni previste dall’art. dell’art. 18, comma 1,

CGS, in quanto l’introduzione del comma 8 (contenente la previsione della squalifica non inferiore

a sei mesi e del’ammenda non inferiore a euro 30.000,00) è avvenuta in un momento successivo a

quello dei fatti contestati.

d) in caso di violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità previsti dall’art. 1

CGS si applicano le sanzioni di cui alle lettere a) (ammonizione), b) (ammenda), c)

(ammenda con diffida) e g) (penalizzazione di uno o più punti in classifica; la penalizzazione sul

punteggio, che si appalesi inefficace nella stagione sportiva in corso, può essere fatta scontare, in

tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente) dell’art. 18, comma 1, CGS.

Con riferimento al principio della responsabilità delle Società, peraltro, la Commissione

ritiene opportuno ricordare che le società possono essere chiamate a rispondere a titolo diretto

presunto e oggettivo. Le società rispondono direttamente dell’operato di chi le rappresenta ai sensi

dei regolamenti federali; sono presunte responsabili sino a prova contraria degli illeciti sportivi a

NOTE A SENTENZA184

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loro vantaggio, che risultino commessi da persone a esse estranee; sono infine oggettivamente

responsabili dell’operato dei propri dirigenti, soci e tesserati agli effetti disciplinari.

Se nessun problema si è storicamente posto circa la responsabilità diretta e quella presunta,

operando, nel primo caso, i normali principi in tema di rappresentanza e di organi rappresentativi, e

trovando spazio, nel secondo caso, la possibilità di una prova liberatoria da parte della società

sportivamente avvantaggiata dall’illecito, non altrettanto può dirsi della responsabilità oggettiva,

relativamente alla quale si sono manifestate diverse prese di posizione volte a contestarne non

solo l’opportunità, ma la stessa compatibilità con i principi di civiltà giuridica e con gli stessi

fondamenti dell’ordinamento comune.

Su quest’ultimo punto, si è osservato come la responsabilità oggettiva trova, nell’ottica della

particolare autonomia dell’ordinamento sportivo e delle sue finalità, una valida giustificazione,

rispondendo all’esigenza di assicurare il pacifico e regolare svolgimento dell’attività sportiva.

Tuttavia, ciò non può voler dire che l’Organo giudicante perde ogni potere di graduazione

della pena, dovendo trasporre in via automatica nei confronti della società oggettivamente

responsabile il giudizio di disvalore effettuato nei confronti del tesserato ed eleggendo le società

stesse a ruolo di meri garanti e responsabili indiretti dell’operato dei propri tesserati. E

questo soprattutto in fattispecie dove va escluso ogni coinvolgimento nella materiale causalità

dell’accaduto, non essendo in alcun modo materialmente riferibile alla stessa società il fatto

imputato, in quanto posto in essere al di fuori del rapporto sportivo intercorrente tra società e

tesserato, e in cui, anzi, la società stessa, oltre a non conseguire alcun vantaggio, risulta in

definitiva danneggiata, sotto molteplici profili, dalla condotta perpetrata dal proprio tesserato.

7) La determinazione delle sanzioni

In relazione alla determinazione delle sanzioni, va rilevato che, ai sensi dell’art. 16, comma

1, CGS, gli Organi della giustizia sportiva stabiliscono la specie e la misura delle sanzioni

disciplinari, tenendo conto della natura e della gravità dei fatti commessi e valutate le circostanze

aggravanti e attenuanti, nonché l’eventuale recidiva.

Ai fini della concreta quantificazione delle sanzioni nel caso in questione, la Commissione

deve evidenziare in via generale come le modalità stesse dei comportamenti illeciti suscitino un

rilevante allarme generale, tanto più a fronte delle implicazioni che il campionato di calcio

comporta sul piano sociale, economico e dell’ordine pubblico.

NOTE A SENTENZA185

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In particolare, in relazione alle singole posizioni, la Commissione ritiene che, tra l’altro,

assumano specifico rilievo:

- quanto a BELLAVISTA Antonio: l’accertata partecipazione dell’incolpato all’associazione

di cui all’art. 9 CGS che, ad avviso della Commissione, costituisce la più grave violazione prevista

dalle norme federali, la rilevanza del ruolo dallo stesso rivestito nell’organizzazione con

partecipazione attiva e la violazione del divieto di scommettere comportano l'applicazione della

squalifica nella misura massima di cinque anni, nonché della preclusione alla permanenza in

qualsiasi rango o categoria della FIGC, attesa la particolare gravità delle condotte;

- quanto a BRESSAN Mauro: per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla

realizzazione dell’illecito sportivo aggravato relativo alla gara Taranto-Benevento del

13.3.2011 sanzione congrua appare quella della squalifica per 3 anni e 6 mesi;

- quanto a BUFFONE Giorgio: per la partecipazione all’associazione di cui all’art. 9 CGS,

per l’accertata responsabilità in ordine alla realizzazione di cinque illeciti sportivi e per la reiterata

violazione del divieto di scommettere, sanzione congrua appare quella della inibizione nella misura

massima di cinque anni, nonché della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria

della FIGC, attesa la particolare gravità delle condotte;

- quanto a CIRIELLO Antonio: per la violazione dell’art. 7, comma 7, CGS per omessa

denuncia, così derubricata rispetto all’originaria incolpazione, sanzione congrua, attesa la qualifica

di Vice Presidente di Società dell’incolpato, appare quella della inibizione per anni

1;

- quanto a DONI Cristiano: per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla

realizzazione dell’illecito sportivo aggravato relativo alla gara Atalanta-Piacenza del

19.3.2011 sanzione congrua appare quella della squalifica per 3 anni e 6 mesi;

- quanto a ERODIANI Massimo: per l’accertata partecipazione dell’incolpato

all’associazione di cui all’art. 9 CGS, per la posizione di vertice dallo stesso rivestita

nell’organizzazione, per la partecipazione a tredici illeciti sportivi, per le accertate omesse denunce

e per la reiterata violazione del divieto di scommettere, sanzione congrua appare quella della

squalifica nella misura massima di cinque anni, nonché della preclusione alla permanenza in

qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., attesa la particolare gravità delle condotte;

- quanto a FABBRI Gianni: per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla

realizzazione di due illeciti sportivi aggravati, attesa la posizione di vertice rivestita dal deferito

NOTE A SENTENZA186

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nella Società Ravenna con ampio potere decisionale, sanzione congrua appare quella della

inibizione nella misura massima di cinque anni;

- quanto a GERVASONI Carlo: per la partecipazione all’associazione di cui all’art. 9 CGS

con ruolo rilevante e per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla realizzazione di due

illeciti sportivi aggravati sanzione congrua appare quella della squalifica nella misura massima

di cinque anni, nonché della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della

F.I.G.C., attesa la particolare gravità delle condotte;

- quanto a MANFREDINI Thomas: per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla

realizzazione dell’illecito sportivo relativo alla gara Ascoli – Atalanta del 12.3.2011, sanzione

congrua appare quella della squalifica per tre anni;

- quanto a PAOLONI Marco: per la partecipazione all’associazione di cui all’art. 9 del CGS

e per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla realizzazione di 9 illeciti sportivi,

sanzione congrua appare quella della squalifica nella misura massima di cinque anni,

nonché della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., attesa

la particolare gravità delle condotte;

- quanto a QUADRINI Daniele: per l’accertata responsabilità del deferito per omessa

denuncia ai sensi dell’art. 7 comma 7 CGS, sanzione congrua appare quella della squalifica

per un anno;

- quanto a ROSSI Leonardo: per l’accertata responsabilità del deferito per omessa denuncia

ai sensi dell’ art. 7, comma 7 CGS, così derubricata rispetto all’originaria incolpazione di illecito

sportivo, sanzione congrua appare quella della squalifica per un anno;

- quanto a SANTONI Nicola: per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla

realizzazione di tre illeciti sportivi aggravati, considerata la reiterazione delle condotte, sanzione

congrua appare quella della squalifica per quattro anni;

- quanto a SAVERINO Davide: per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla

realizzazione dell’illecito sportivo relativo alla gara Reggiana – Ravenna del 10.4.2011, sanzione

congrua appare quella della squalifica per tre anni;

- quanto a SIGNORI Giuseppe: per la partecipazione all’associazione di cui all’art. 9 CGS

con ruolo di vertice, per l’accertata responsabilità del deferito in ordine alla realizzazione di due

illeciti sportivi e per la reiterata violazione degli articoli 1 comma 1 e 6 CGS, sanzione congrua

appare quella della squalifica nella misura massima di cinque anni, nonché della preclusione alla

permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., attesa la particolare gravità delle condotte;

NOTE A SENTENZA187

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- quanto a SOMMESE Vincenzo: per la partecipazione all’associazione di cui all’art. 9

CGS con ruolo non meramente esecutivo, per l’accertata responsabilità del deferito in ordine

alla realizzazione degli illeciti sportivi relativi alle gare Livorno – Ascoli del

27.2.2011 e Ascoli – Atalanta del 12.3.2011 e per la reiterata violazione degli articoli 1

comma 1 e 6 CGS, sanzione congrua appare quella della squalifica nella misura massima di cinque

anni, nonché della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., attesa

la particolare gravità delle condotte;

- quanto a VELTRONI Giorgio: per l’accertata partecipazione del deferito alla realizzazione

dell’illecito sportivo relativo alla gara Alessandria – Ravenna del 20.3.2011, in considerazione

della carica di Presidente di Società rivestita dal deferito, sanzione congrua appare quella della

inibizione per quattro anni;

- quanto alla Società U.S. ALESSANDRIA CALCIO 1912 S.r.l.: per la responsabilità diretta

ai sensi dell’art. 4 comma 1 CGS, sanzione congrua appare quella edittale della retrocessione

all’ultimo posto in classifica nel campionato di competenza;

- quanto alla Società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a.: per responsabilità oggettiva della

Società in relazione agli illeciti contestati ai suoi tesserati, sanzione congrua appare, anche in

applicazione dei criteri di valutazione enunciati nell’apposito capitolo, quella della penalizzazione

di 6 punti in classifica, da scontare nel campionato 2011 – 2012 in applicazione del principio di

afflittività e dell’ammenda di euro 50.000,00;

- quanto alla Società ATALANTA BERGAMASCA CALCIO: per responsabilità oggettiva

della Società in ordine agli illeciti contestati ai suoi tesserati relativamente alle gare Ascoli

– Atalanta del 12.3.2011 e Atalanta – Piacenza del 19.3.2011 e per la responsabilità presunta

nell’illecito commesso in suo favore relativamente alla gara Atalanta – Piacenza del 19.3.2011,

valutata l’aggravante contestata, sanzione congrua appare quella della penalizzazione di 6 punti in

classifica (4 punti per responsabilità oggettiva, 1 per la responsabilità presunta ed 1 per l'aggravante

di cui all'art. 7 comma 6 CGS) da scontare nel campionato 2011 – 2012 in applicazione del

principio di afflittività;

- quanto alla Società BENEVENTO CALCIO S.p.a.: per responsabilità oggettiva in ordine

agli illeciti contestati al suo tesserato Marco PAOLONI, valutata in via equitativa secondo i principi

enunciati al punto 6), sanzione congrua appare quella della penalizzazione di 9

punti in classifica da scontare nel campionato 2011 – 2012 in applicazione del principio di

afflittività e dell’ammenda di euro 30.000,00;

NOTE A SENTENZA188

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

- quanto alla Società U.S. CREMONESE S.p.a.: per responsabilità oggettiva in ordine agli

illeciti contestati al proprio tesserato Marco PAOLONI, attenuata con riferimento alla gara

Cremonese – Paganese per i motivi già esposti in motivazione, valutata l’aggravante di cui all’art. 7

comma 6 CGS, sanzione congrua appare quella della penalizzazione di 6 punti in classifica, da

scontare nel campionato 2011 – 2012 in applicazione del principio di afflittività e

dell’ammenda di euro 30.000,00;

- quanto alla Società A.S.D. CUS CHIETI: appaiono congrue le sanzioni richieste dal

Procuratore Federale, in misura di punti 1 in classifica, da scontare nel campionato 2011 –

2012 in applicazione del principio di afflittività e dell’ammenda di euro 4.500,00;

- quanto alla Società F.C. ESPERIA VIAREGGIO S.r.l.:per responsabilità presunta

nell’illecito sportivo commesso a vantaggio della Società relativamente alla gara Benevento –

Viareggio del 13.2.2011, sanzione congrua appare quella della penalizzazione di un punto in

classifica, da scontare nel campionato 2011 – 2012 in applicazione del principio di afflittività.

- quanto alla Società HELLAS VERONA F.C. S.p.a.: per responsabilità oggettiva

relativamente alla condotta del suo tesserato, sanzione congrua appare quella dell’ammenda di euro

20.000,00;

- quanto alla Società PIACENZA F.C. S.p.a.: appaiono congrue le sanzioni richieste dal

Procuratore Federale (3 punti di penalizzazione per responsabilità oggettiva nell’illecito sportivo

aggravato relativo alla gara Atalanta – Piacenza del 19 marzo 2011 ed 1 punto di penalizzazione per

l’illecito sportivo commesso dal tesserato per la gara Novara – Ascoli del 2.4.2011 non disputata

dalla Società) complessivamente 4 punti di penalizzazione da scontare nel campionato 2011 – 2012

in applicazione del principio di afflittività oltre all’ammenda di euro 50.000,00 per responsabilità

oggettiva in ordine alla partecipazione del proprio tesserato GERVASONI all’associazione di cui

all’art. 9 CGS;

- quanto alla Società A.S.D. PINO DI MATTEO C5: per responsabilità oggettiva della

Società in ordine alla pluralità di illeciti commessi dal proprio tesserato Erodiani, considerando

anche la situazione complessiva in via equitativa, appare congrua la sanzione della penalizzazione

di 8 punti in classifica da scontare nel campionato 2011 –

2012 in applicazione del principio di afflittività e dell’ammenda di euro 1.000,00;

- quanto alla Società CALCIO PORTOGRUARO SUMMAGA S.r.l.:per responsabilità

oggettiva nella omessa denuncia del proprio tesserato, sanzione congrua appare quella

dell’ammenda di euro 20.000,00;

NOTE A SENTENZA189

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- quanto alla Società RAVENNA CALCIO S.r.l.: la gravità e la reiterazione delle condotte, il

coinvolgimento del Direttore sportivo e il livello di responsabilità a essi connesso, la rilevante

partecipazione alla commissione dell’illecito nel ruolo di promotore del Direttore sportivo e il suo

ruolo di carattere essenzialmente attivo, l’interesse primario alla realizzazione degli illeciti,

comportano l’applicazione della sanzione richiesta dal Procuratore federale di esclusione dal

campionato di competenza con assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati

di categoria inferiore e dell’ammenda di euro 50.000,00;

- quanto alla Società ASS. REGGIANA 1919 SpA: per responsabilità oggettiva in ordine

all’illecito sportivo commesso dal suo tesserato SAVERINO in relazione alla gara Reggiana –

Ravenna del 10.4.2011, sanzione congrua appare quella della penalizzazione di due punti in

classifica, da scontare nel campionato 2011 – 2012 in applicazione del principio di afflittività;

- quanto alla Società U.S. SASSUOLO CALCIO S.r.l.: per responsabilità oggettiva per la

omessa denuncia del proprio tesserato, sanzione congrua appare quella dell’ammenda di euro

20.000,00;

- quanto alla Società SPEZIA CALCIO S.r.l.: per l’accertata responsabilità presunta

nell’illecito sportivo relativo alla gara Ravenna – Spezia del 27 marzo 2011, sanzione congrua, in

conformità a precedenti decisioni degli organi di giustizia, appare quella della penalizzazione di un

punto in classifica, da scontare nel campionato 2011/2012, in applicazione del principio di

afflittività;

- quanto alla Società A.S. TARANTO CALCIO S.r.l.: per responsabilità presunta

nell’illecito commesso a favore della Società da soggetti ad essa estranei per la gara Taranto –

Benevento del 13.3.2011 sanzione congrua, in conformità a precedenti decisioni degli organi di

giustizia sportiva, appare quella della penalizzazione di un punto in classifica, da scontare nel

campionato 2011 – 2012, in applicazione del principio di afflittività;

- quanto alla Società VIRTUS ENTELLA S.r.l.: per responsabilità oggettiva relativamente

alla condotta ascritta al suo tesserato, sanzione congrua appare quella dell’ammenda di euro

15.000,00:

Per quanto attiene alle sanzioni inflitte alle Società ASCOLI e PIACENZA la Commissione

precisa quanto segue. Il CGS impone che le sanzioni debbano essere applicate nel campionato di

competenza e, eventualmente, ove non risultino afflittive, in quello successivo. Poiché, nel caso in

questione, l’applicazione della sanzione della penalizzazione di punti in classifica ad ambedue le

Società con riferimento al campionato di competenza (2010/11), non incidendo sulla loro posizione

NOTE A SENTENZA190

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nella classifica finale, non risulterebbe afflittiva, occorre disporre che le rispettive penalizzazioni

vengano scontate nel campionato 2011/2012.

Quanto alla sanzione inflitta alla Società ESPERIA VIAREGGIO la Commissione rileva che

l’applicazione della penalizzazione di un punto nel campionato 2010 – 2011 non ne modificherebbe

la posizione acquisita in classifica, risultando così inefficace; in applicazione del principio di

afflittività, la sanzione dovrà, pertanto, essere scontata nel campionato 2011/2012.

8) Il dispositivo

Per tali motivi, la Commissione:

A) proscioglie:

1. BRESSAN Mauro dall’incolpazione di cui all’art. 9 CGS;

2. PAOLONI Marco dall’incolpazione di cui all’art. 7 CGS relativamente alla gara Inter-

Lecce del 20.3.2011;

B) dispone l’applicazione delle seguenti sanzioni:

1. BETTARINI Stefano: squalifica di anni 1 (uno) e mesi 2 (due);

2. DEOMA Daniele: squalifica di mesi 12 (dodici) e giorni 20 (venti);

3. FURLAN Claudio: squalifica di mesi 6 (sei);

4. GIBELLINI Mauro: inibizione di mesi 5 (cinque) e ammenda di euro 10.000,00 (euro

diecimila/00);

5. MICOLUCCI Vittorio: squalifica di anni 1 (uno) e mesi 2 (due);

6. PARLATO Gianfranco: squalifica di anni 3 (tre);

7. TISCI Ivan: squalifica di anni 1 (uno);

8. TUCCELLA Gianluca: squalifica di anni 3 (tre);

9. ZACCANTI Federico: squalifica di anni 1 (uno);

10.Società AC CHIEVO VERONA: ammenda di euro 80.000,00 (ottantamila/00);

C) infligge le seguenti sanzioni:

1. BELLAVISTA Antonio: squalifica per 5 (cinque) anni, con preclusione alla

permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC;

2. BRESSAN Mauro: squalifica per 3 (tre) anni e 6 (sei) mesi;

NOTE A SENTENZA191

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3. BUFFONE Giorgio: inibizione per 5 (cinque) anni, con preclusione alla permanenza in

qualsiasi rango o categoria della FIGC;

4. CIRIELLO Antonio: inibizione per 1 (uno) anno;

5. DONI Cristiano: squalifica per 3 (tre) anni e 6 (sei) mesi;

6. ERODIANI Massimo: squalifica per 5 (cinque) anni, con preclusione alla

permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC;

7. FABBRI Gianni: inibizione per 5 (cinque) anni;

8. GERVASONI Carlo: squalifica per 5 (cinque) anni, con preclusione alla permanenza in

qualsiasi rango o categoria della FIGC;

9. MANFREDINI Thomas: squalifica per 3 (tre) anni;

10.PAOLONI Marco: squalifica per 5 (cinque) anni, con preclusione alla permanenza in

qualsiasi rango o categoria della FIGC;

11.QUADRINI Daniele: squalifica per 1 (uno) anno;

12.ROSSI Leonardo: squalifica per 1 (uno) anno;

13.SANTONI Nicola: squalifica per 4 (quattro) anni;

14.SAVERINO Davide: squalifica per 3 (tre) anni;

15.SIGNORI Giuseppe: squalifica per 5 (cinque) anni, con preclusione alla

permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC;

16.SOMMESE Vincenzo: squalifica per 5 (cinque) anni, con preclusione alla permanenza in

qualsiasi rango o categoria della FIGC;

17.VELTRONI Giorgio: inibizione per 4 (quattro) anni;

18.Società U.S. ALESSANDRIA CALCIO 1912 S.r.l.: retrocessione all’ultimo posto in

classifica nel campionato di competenza (campionato 2010/2011);

19.Società ASCOLI CALCIO 1898 S.p.a.: penalizzazione di 6 (sei) punti in classifica da

scontare nel campionato 2011/2012 e ammenda di euro 50.000,00 (cinquantamila);

20.Società ATALANTA BERGAMASCA CALCIO: penalizzazione di 6 (sei) punti in

classifica da scontare nel campionato 2011/12;

21.Società BENEVENTO CALCIO S.p.a.: penalizzazione di 9 (nove) punti in classifica da

scontare nel campionato 2011/12 e ammenda di euro 30.000,00 (trentamila);

22.Società U.S. CREMONESE S.p.a.: penalizzazione di 6 (sei) punti in classifica da

scontare nel campionato 2011/12 e ammenda di euro 30.000,00 (trentamila);

NOTE A SENTENZA192

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23.Società A.S.D. CUS CHIETI: penalizzazione di 1 (uno) punto in classifica da scontare

nel campionato 2011/12 e ammenda di euro 4.500,00

(quattromilacinquecento);

24.Società F.C. ESPERIA VIAREGGIO S.r.l.: penalizzazione di 1 (uno) punto in classifica

da scontare nel campionato 2011/12;

25.Società HELLAS VERONA F.C. S.p.a.: ammenda di euro 20.000,00 (ventimila/00);

26.Società PIACENZA F.C. S.p.a.: penalizzazione di 4 (quattro) punti in classifica da

scontare nel campionato 2011/2012 e ammenda di euro 50.000,00 (cinquantamila);

27.Società A.S.D. PINO DI MATTEO C5: penalizzazione di 8 (otto) punti in classifica da

scontare nel campionato 2011/12 e ammenda di euro 1.000,00 (mille);

28.Società CALCIO PORTOGRUARO SUMMAGA S.r.l.: ammenda di euro 20.000,00

(ventimila);

29.Società RAVENNA CALCIO S.r.l.: esclusione dal campionato di competenza con

assegnazione da parte del Consiglio federale a uno dei campionati di categoria inferiore e ammenda

di euro 50.000,00 (cinquantamila);

30.Società ASS. REGGIANA 1919 S.p.a.: penalizzazione di 2 (due) punti in classifica da

scontare nel campionato 2011/12;

31.Società U.S. SASSUOLO CALCIO S.r.l.: ammenda di euro 20.000,00 (ventimila);

32.Società SPEZIA CALCIO S.r.l.: penalizzazione di 1 (uno) punto in classifica da scontare

nel campionato 2011/12;

33.Società A.S. TARANTO CALCIO S.r.l.: penalizzazione di 1 (uno) punto in classifica da

scontare nel campionato 2011/12;

34.Società VIRTUS ENTELLA S.r.l.: ammenda di euro 15.000,00 (quindicimila).

Pubblicato in Roma il giorno 9 agosto 2011

NOTE A SENTENZA193

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

CALCIO SOMMESSE ED ILLECITI SPORTIVI: I DOVERI DEL CALCIATORE PROFESSIONISTA

NOTA A C.U. N. 13/CDN FIGC DEL 09.08.2011

di Ernesto Mesto (*)

Sommario:

1. Introduzione.

2. Divieto per il calciatore professionista di scommettere.

3. Divieto di commettere illeciti sportivi.

4. Obbligo di tempestiva denuncia.

5. Doveri contrattuali collegati e conseguenze.

6. Conclusioni.

1. Introduzione

Lo sportivo professionista che svolge la prestazione lavorativa in Italia è ovviamente tenuto,

nella sua veste di comune cittadino, al rispetto, tra le altre, anche di leggi e normative penali vigenti

nel territorio nazionale.

Tra queste, assume particolare importanza per gli atleti la L. n. 401/1989 che punisce, in

primo luogo, la frode in competizioni sportive al fine di tutelare il corretto svolgimento delle gare e

di arginare il c.d. calcio-scommesse, fenomeno purtroppo ancora attuale tanto da aver provocato

l’apertura di un importante e ben noto procedimento da parte della Procura della Repubblica di

Cremona dal quale sono poi scaturite, sul piano della giustizia sportiva, le decisioni qui in

commento.

NOTE A SENTENZA194

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Tralasciando gli ulteriori profili penali di competenza della giustizia ordinaria1, nella

presente nota si effettuerà una disamina concernente esclusivamente gli illeciti sanzionati dagli

organi di giustizia sportiva della FIGC al fine di evidenziare quali invece siano gli obblighi di

condotta imposti ai calciatori professionisti e quali le conseguenze previste nell’ordinamento

sportivo in caso d’inosservanza di detti precetti.

Partendo, dunque, dall’analisi della norma che sancisce il divieto di scommesse, si

valuteranno i “reati” (forse i più gravi che l’ordinamento calcistico conosca) dell’illecito sportivo e

dell’associazione al fine di commettere illeciti, per poi approfondire il discorso verso un dovere che

molti tesserati, invece, colpevolmente trascurano, ossia l’obbligo di tempestiva denuncia. Infine, si

esamineranno le possibili conseguenze di queste gravi violazioni disciplinari anche sul piano del

rapporto professionale con la società per cui si è tesserati.

2. Divieto per il calciatore professionista di scommettere.

L’art. 6 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC (di seguito, CGS) proibisce ai

soggetti dell’ordinamento federale ed in particolare ai tesserati delle società di calcio professioniste

“di effettuare o accettare scommesse, direttamente o per interposta persona, anche presso i soggetti

autorizzati a riceverle, o di agevolare scommesse […] che abbiano ad oggetto i risultati relativi ad

incontri ufficiali organizzati nell’ambito della FIFA, della UEFA e della FIGC”.

Per il calciatore professionista, dunque, vige un divieto generale di scommettere su qualsiasi

competizione ufficiale. Si noti la particolare estensione di questo divieto: richiamando l’ambito

FIFA, infatti, il professionista in pratica non può scommettere su nessuna partita ufficiale

organizzata a livello mondiale. Ovviamente, viene sanzionato anche il comportamento dell’atleta

che, per eludere il divieto, partecipi alle scommesse per mezzo di un altro soggetto.

Analoga importanza ed estensione assume l’ulteriore divieto di “agevolare scommesse di

altri con atti univocamente funzionali alla effettuazione delle stesse”: ai fini sanzionatori tale

condotta assume un disvalore del tutto identico a quella di effettuare o ricevere scommesse.

Per quanto concerne la sanzione, la FIGC ha recentemente inasprito le pene previste per

queste fattispecie: con il C.U. n. 177/A del 09.06.2011 è stato infatti modificato il comma 3 dell’art.

6 CGS che innalza dai precedenti diciotto mesi agli attuali due anni il periodo minimo di inibizione

o squalifica introducendo anche l’ulteriore sanzione dell’ammenda non inferiore ad euro 25.000,00.

1 Si pensi, tra gli altri reati, alla paventata ipotesi di associazione a delinquere per alcuni soggetti indagati.

NOTE A SENTENZA195

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Naturalmente, oltre a non poter scommettere “presso i soggetti autorizzati a riceverle” sul

territorio nazionale ed a fortiori presso chi esercita abusivamente e clandestinamente tale attività,

l’espressione “anche” utilizzata dal legislatore sportivo pone in risalto il fatto che il calciatore non

possa neanche eludere il divieto scommettendo presso altri operatori esteri, anche se autorizzati nei

rispettivi Paesi.

Nelle decisioni in commento, ad esempio, gli organi di giustizia sportiva hanno irrogato le

previste sanzioni disciplinari ritenendo provato che alcuni dei deferiti avessero effettuato

scommesse, specie per interposta persona e spesso utilizzando circuiti esteri.

L’interesse tutelato è naturalmente quello della regolarità delle competizioni sportive: col

divieto in discorso, infatti, si vuole sia evitare il ricorso di situazioni, estremamente pericolose per

quello che potremmo definire l’ordine pubblico sportivo, di conflitto di interesse (laddove venisse

appunto consentito all’atleta di poter scommettere su una competizione che lo vede comunque

coinvolto), sia evitare che il giocatore, approfittando delle notizie e/o di conoscenze nella comunità

sportiva, cerchi di alterare un risultato o s’informi di eventuali alterazioni per poter vincere una

scommessa che, in assenza del divieto, sarebbe lecita.

3. Divieto di commettere illeciti sportivi.

Nel caso in commento, secondo quanto accertato sia dalla Commissione Disciplinare FIGC

in primo grado che dalla Corte di Giustizia Federale in appello, i soggetti coinvolti avrebbero

pilotato o tentato di pilotare lo svolgimento di alcune gare dei campionati di calcio professionistici

al fine di poter poi effettuare scommesse dall’esito sicuro e conseguire cospicui vantaggi

patrimoniali.

Aldilà del divieto di scommettere, dunque, nella fattispecie sarebbe stato violato soprattutto

l’interesse protetto dall’art. 7 CGS che mira, appunto, a garantire il leale svolgimento delle gare a

tutela sia dei protagonisti del mondo sportivo (atleti, società, federazioni, tifosi…) sia, più in

generale, di tutti quei soggetti che ne abbiano comunque interesse (es.: sponsors, scommettitori,

mass media…).

La disposizione citata, infatti, qualifica come illecito sportivo “il compimento, con qualsiasi

mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione

ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”.

NOTE A SENTENZA196

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Per quanto riguarda la condotta illecita, dunque, la definizione fornita dalla norma è, anche

in questo caso, molto ampia in modo da abbracciare qualsiasi comportamento teso a falsare il

regolare confronto sul campo.

Nel caso in questione, la Commissione Disciplinare, con decisione poi sostanzialmente

confermata a seguito dei gravami proposti dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, ha ritenuto

integrato l’illecito nella condotta di chi, ad esempio, si è accordato, o ha finanziato tali accordi, per

un minore impegno in gara, di chi ha alterato la prestazione dei compagni di squadra al fine di

pilotare il risultato, nella condotta di chi ha prestato/offerto/ricevuto denaro al fine di condizionare

lo svolgimento della partita, di chi ha organizzato/ intermediato accordi e/o movimenti di denaro

per promuovere gli accordi ridetti, per corrompere o compensare calciatori disponibili a

condizionare il risultato.

Allo stesso modo, l’illecito in discorso può essere commesso concordando direttamente tra

gli atleti coinvolti il risultato della competizione o anche solo proponendo in campo tale patto,

nonché avvicinando altri colleghi per promuovere tali accordi ovvero offrendosi per fungere da

intermediari presso gli stessi.

La Corte di Giustizia Federale, infatti, ricorda che l’illecito è punibile “con qualsiasi mezzo

esso si realizzi2” e che, riguardo al momento di perfezionamento, si tratta di un illecito di “pura

condotta” o “formale3”: l’illecito, cioè, sussiste anche in caso di semplice tentativo e si realizza

pienamente nello stesso momento in cui è proposto; perché il calciatore venga punito, dunque, sarà

sufficiente che compia un qualsiasi atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara

ovvero a far conseguire un vantaggio in classifica.

Non è quindi necessario che, a seguito della condotta del calciatore, il risultato venga

effettivamente alterato; anzi, il comma 6 dell’art. 7 CGS prevede un aggravamento della sanzione

nel caso in cui l’alterazione effettivamente si realizzi.

Le sanzioni previste per il calciatore responsabile di illecito sportivo sono la squalifica non

inferiore a tre anni e “l’ammenda non inferiore ad euro 50.000,004”.

2 CU n. 048/CGF – Sez. Unite del 27.09.2011 (reclamo Signori).3 CU n. 032/CGF – Sez. Unite del 02.09.2011 (reclamo U.S. Alessandria 1912 S.r.l.).4 La sanzione dell’ammenda è stata introdotta a seguito delle modifiche previste dal CU FIGC n. 177/A del 09.06.2011.

NOTE A SENTENZA197

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Nel procedimento in discorso, in cui quasi tutti i deferiti sono stati riconosciuti responsabili

di aver agito per alterare i risultati al fine di conseguire vantaggi dalle scommesse illecite, la

Commissione Disciplinare, vista la pluralità di illeciti e l’effettivo realizzarsi delle alterazioni, ha

ovviamente irrogato sanzioni ben più pesanti del minimo edittale, tutte sostanzialmente confermate,

anche nel quantum, in sede di reclamo.

Quanto poi alla “più grave violazione prevista dalle norme federali5”, questa è rappresentata

dall’associazione finalizzata a commettere illeciti: un’associazione “a delinquere” all’interno

dell’ordinamento calcistico e da questo punita con l’art. 9 CGS secondo cui: “Quando tre o più

soggetti tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali si associano allo scopo di

commettere illeciti si applicano, per ciò solo, le sanzioni di cui alle lettere f) e h) dell’art. 19

comma 1”.

La Commissione Disciplinare, infatti, nel caso affrontato ha ritenuto sussistente

un’organizzazione stabile di tesserati orientata a commettere una serie indeterminata di illeciti ed in

particolare finalizzata ad avvantaggiare determinate squadre oppure (e per lo più) ad alterare lo

svolgimento ed il risultato di partite di calcio per poi lucrare scommettendo sulle gare pilotate.

Come sottolineato anche dalla Corte di Giustizia Federale6, può rilevarsi l’esistenza di tale

associazione all’interno dell’ordinamento calcistico qualora si riscontri una convergenza di più

comportamenti individuali, variamente combinati tra loro (senza, dunque, che sia necessaria la

simultanea partecipazione di tutti gli “associati”), tesi ad uno scopo illecito comune.

Ciò che conta, dunque, è che vi sia una comunione di scopo, un assetto articolato e stabile ed

una distribuzione dei ruoli. Il calciatore coinvolto in tale sodalizio, pertanto, per essere prosciolto

non potrà sostenere di non conoscere tutti gli altri associati: i giudici sportivi, infatti, hanno ribadito

che per ritenere sussistente l’associazione ex art. 9 CGS non è necessario che vi siano rapporti

diretti tra ciascuno degli associati né che il c.d. vincolo associativo debba necessariamente legare

l’atleta a tutti gli altri partecipanti.

Lo sportivo professionista, dunque, deve essere estremamente attento nonché consapevole

della gravità delle conseguenze nel caso in cui venga accertata una sua responsabilità in tale

contesto. La Commissione Disciplinare ritiene, non a caso, che quello in esame sia il più grave tra

gli illeciti federali: si tratta, infatti, di una violazione che offende il generale interesse al buon

assetto ed al regolare andamento delle competizioni calcistiche ma qui, a differenza del “semplice”

5 CU n. 13/CDN FIGC del 09.08.2011.6 Cfr. CU n. 050/CGF FIGC del 29.09.2011 (reclamo Buffone).

NOTE A SENTENZA198

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illecito sportivo previsto dall’art. 7.1 CGS, l’ordinamento sportivo è colpito direttamente e non in

alcuni aspetti particolari (come, ad esempio, la fiducia dei tifosi o degli scommettitori) poiché

l’esistenza di una organizzazione, oltre a provare la sussistenza di illeciti già commessi, rappresenta

una seria minaccia di illeciti futuri.

L’illecito previsto dall’art. 9.1 CGS, dunque, si considera effettivamente commesso laddove

venga accertata l’esistenza di un’associazione che agisca avendo come fine, ad esempio, quello di

alterare i risultati sportivi, rimanendo ovviamente irrilevante il movente che spinge i vari

protagonisti all’alterazione (vantaggio in classifica, vincita di scommesse, premi di squadra, ecc.)7.

Naturalmente, tale illecito associativo si consuma con la semplice esistenza di

un’organizzazione che operi nei modi e con le caratteristiche sopra illustrate: il solo fatto di esistere,

infatti, costituisce di per sé un gravissimo turbamento nell’ordinamento calcistico e l’atleta sarà di

conseguenza punito per il solo fatto di fare parte dell’associazione in parola.

In proposito, è utile specificare che, dal punto di vista soggettivo, per la punibilità dovrà

ravvisarsi il dolo specifico rappresentato dalla volontà di partecipare alla rete organizzativa al fine

di commettere illeciti (es.: alterazione dello svolgimento delle gare) unita alla consapevolezza che

vi siano altri soggetti che si propongano la stessa finalità.

Nella fattispecie, diversi calciatori sono stati sanzionati anche a tale titolo atteso che, sia a

giudizio della Commissione Disciplinare che della Corte di Giustizia Federale, oltre a rendersi

responsabili di singoli illeciti sportivi, avevano dato vita ad una fitta rete, stabile ed organizzata,

che, coinvolgendo dirigenti, calciatori ed altri tesserati, cercava8 di pilotare un gran numero di gare

o di conoscere eventuali accordi illeciti già intercorsi in questo senso per poter poi lucrare attraverso

le scommesse sportive.

Il tutto, come ben illustrato dalla Corte di Giustizia Federale, caratterizzato da una costante

ed assidua comunicazione tra gli associati, dall’utilizzo di modalità di comunicazione idonee ad

evitare le intercettazioni della magistratura, dalla consapevolezza del fine e del perimetro non solo

della propria azione ma spesso anche di quella degli altri partecipanti al pactum sceleris, dalla

vastità degli interessi patrimoniali, dall’abitualità delle scommesse e dalla finalizzazione alle stesse

delle condotte illecite9.

7 Cfr. CU n. 043/CGF del 19.09.2011 (reclamo Paoloni).8 L’utilizzo di tale verbo non è casuale sia perché, come dimostrano gli atti di indagine, non sempre le gare si sono svolte come gli scommettitori avevano concordato sia perché, ai fini della punibilità dell’illecito ex art. 9 CGS, resta comunque irrilevante se le gare siano state effettivamente alterate o meno.9 Cfr. CU n. 050/CGF FIGC, cit.

NOTE A SENTENZA199

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

4. Obbligo di tempestiva denuncia.

Uno degli obblighi forse più colpevolmente trascurati dai calciatori è quello di denunciare

prontamente le violazioni di cui gli stessi vengano comunque a conoscenza in tema di scommesse

ed illeciti sportivi.

Il calciatore che abbia avuto rapporti con soggetti che abbiano violato o stiano per violare i

divieti previsti dall’art. 6 CGS commi 1 e 2 ovvero sia comunque venuto a conoscenza di tali fatti,

ha l’obbligo di informare, senza indugio, gli organi federali; in caso di omissione, il medesimo

rischia una squalifica non inferiore a 3 mesi ed un’ammenda non inferiore ad euro 15.000,00.

Analogamente e con un ovvio aggravamento della pena, il calciatore che abbia avuto

rapporti con soggetti che abbiano commesso o stiano per commettere un illecito sportivo o ne abbia

comunque conoscenza, dovrà immediatamente informarne la Procura Federale della FIGC, pena la

squalifica non inferiore a 6 mesi ed un’ammenda non inferiore a 30.000,00 euro.

La ratio dell’obbligo di informativa va individuata nell’esigenza che vi sia la piena

collaborazione da parte di tutti coloro che operano nell’ordinamento federale al fine di garantire

un’efficace e tempestiva prevenzione/repressione di condotte particolarmente gravi quali appunto

quelle sanzionate dagli artt. 6 e 7 CGS. Anzi, per quanto sopra illustrato, sarebbe auspicabile che

tale obbligo venga espressamente previsto anche nei casi di cui all’art. 9.1 CGS atteso che, allo

stato e sul piano teorico, potrebbero verificarsi situazioni non completamente sussumibili in una

delle fattispecie descritte dai precedetti artt. 6 e 7 CGS.

L’ordinamento federale, anche a seguito dei fatti in commento, ha prestato particolare

attenzione a siffatto obbligo d’informazione e collaborazione specie attraverso le modifiche al CGS

previste con il precitato C.U. FIGC n. 177/A del 09.06.2011: è stato infatti introdotto l’obbligo di

denuncia anche in relazione al divieto di scommesse, dovere in precedenza non previsto e ragion

per cui le omissioni registratesi nei casi decisi dalla Disciplinare con il provvedimento in commento

non sono state sanzionate dal collegio in quanto precedenti l’entrata in vigore delle modifiche; allo

stesso modo, è stato modificato il comma 7 dell’art. 7 CGS laddove la sostituzione del termine

“dovere” con la parola “obbligo” esprime in modo eloquente l’intenzione del legislatore sportivo di

rendere ancora più cogente la condotta richiesta; infine, mentre prima della ridetta modifica la

norma non prevedeva una sanzione specifica in caso di omessa denuncia in relazione agli illeciti

sportivi, lasciando dunque ai giudici sportivi l’individuazione e la determinazione della punizione

più congrua, il nuovo comma 8 dell’art. 7 CGS prevede espressamente, in caso di omissione o

NOTE A SENTENZA200

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

ritardo, la già illustrata squalifica/inibizione non inferiore a 6 mesi e l’ammenda non inferiore ad

euro 30.000,00.

Come già accennato, visto anche l’importante principio che ha ispirato le recenti modifiche

appena indicate, questo dovere è spesso sottovalutato dai destinatari della norma, i quali, vuoi per

un “singolare” senso di lealtà verso altri tesserati, vuoi per un atteggiamento a volte effettivamente

omertoso, nella convinzione errata (considerata non solo la particolare slealtà di tale reticenza verso

l’ordinamento sportivo ma anche le pesanti sanzioni previste) che “farsi i fatti propri” renda il

tesserato immune da qualsiasi conseguenza, omettono di contattare la Procura Federale per

denunciare i fatti indicati.

Ciò, inoltre, è forse anche dovuto ad un’inescusabile ignoranza della normativa con la

conseguente ed errata convinzione che, anche nella comunità calcistica, denunciare sia una mera

facoltà per il privato così come previsto nell’ordinamento statale10: ovviamente, per quanto già

sopra esposto, si ribadisce che, a fronte di situazioni integranti i casi di cui agli artt. 6 e 7 CGS, per

il calciatore così non è e che, pertanto, il medesimo dovrà denunciare senza indugio il tutto alla

Procura Federale pena una lunga squalifica.

Altrettanto importante è dunque la tempestività della denuncia: la norma, infatti, prescrive

chiaramente che la stessa deve essere fatta “senza indugio”.

Di conseguenza, il calciatore rischia la punizione prevista non solo in caso di omissione ma

anche nel caso di semplice ritardo nell’informare la Procura Federale.

Nel caso in discorso, ad esempio, uno dei calciatori deferiti alla Commissione Disciplinare

per violazione del dovere ex art. 7.7 CGS è stato da questa sanzionato in quanto, avendo avuto

notizia il 23.03.2011 di un tentativo di alterazione di una partita, ha presentato denuncia alla FIGC

solo il successivo 29.04.201111.

5. Doveri contrattuali collegati e conseguenze.

Con la decisione in commento la Commissione Disciplinare, valutando i fatti sottoposti a

giudizio come integranti le specifiche violazioni sopra esaminate, ha naturalmente ritenuto che con

gli stessi fosse stato violato anche il canone generale di lealtà, correttezza e probità codificato

dall’art. 1 CGS specie, ad esempio, nel caso di chi avesse posto in essere un’attività conoscitiva per

10 Salvo alcune eccezioni quali, ad esempio, l’obbligo di denunciare i delitti contro la personalità dello Stato puniti con l’ergastolo (art. 364 c.p.) oppure gli atti ed i fatti concernenti il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 3 L. n. 82/1991) nonché gli obblighi in tema di armi ed esplosivi di cui alla L. n. 110/1975.11 Cfr. CU n. 043/CGF FIGC del 19.09.2011 (reclamo Quadrini).

NOTE A SENTENZA201

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

captare eventuali accordi d’illecito sportivo intercorsi al fine di poter poi scommettere sulle gare

coinvolte.

Da ultimo, però, sempre limitando l’analisi alla situazione del calciatore professionista,

occorre altresì evidenziare che, l’inosservanza degli obblighi discendenti dal CGS in relazione agli

artt. 6, 7 e 9, può comportare per l’atleta pesanti conseguenze oltre che sul piano strettamente

disciplinare anche in relazione al rapporto contrattuale che lo lega alla società per cui è tesserato.

L’art. 10 del nuovo Accordo Collettivo per i calciatori di Serie A, oltre ad imporre

l’osservanza delle varie prescrizioni impartite dalla Società per il conseguimento degli scopi

agonistici, al comma 2 obbliga il calciatore “ad osservare strettamente il dovere di fedeltà nei

confronti della Società” (in proposito, si pensi alla grave inosservanza di chi compia atti tesi

all’alterazione della gara in danno della propria squadra) nonché “ad evitare comportamenti che

siano tali da arrecare pregiudizio all’immagine della Società” (comma 3; va da sé che il

coinvolgimento del calciatore in un caso di scommesse e illeciti sportivi sia pienamente idoneo a

ledere gravemente tale immagine).

Inoltre, il comma 4 impone al calciatore che abbia preventivamente accettato12, l’osservanza

delle prescrizione societarie attinenti al comportamento di vita dell’atleta, disposizioni che

riguardano anche (o soprattutto) la condotta “fuori dal campo” e che spesso danno vita ad un c.d.

“Codice Etico” predisposto dalla società e sottoscritto dai calciatori: è ovviamente prevedibile che

tra le varie prescrizioni vi sia l’obbligo di astenersi da attività legate a scommesse sportive e/o

all’organizzazione di illeciti sportivi.

Il calciatore che non osservi questi obblighi negoziali nonché quelli derivanti dalle norme

federali, soggiace alle pesanti conseguenze contrattuali previste dall’art. 11 dell’Accordo Collettivo.

Posto che di regola i provvedimenti stabiliti da quest’ultima norma debbano essere applicati e

graduati in relazione alla gravità dell’inadempimento, non v’è chi non veda che, nel caso di un

calciatore per il quale venga accertata in modo definitivo la violazione degli artt. 6.1, 7.1 e/o 9 CGS,

il rischio di risoluzione del contratto per giusta causa sarà molto elevato: il coinvolgimento

nell’alterazione dei risultati delle gare e la successiva illecita attività di scommessa possono infatti

costituire situazioni talmente gravi da poter ledere in modo irreparabile il particolare vincolo

fiduciario che lega l’atleta alla società datrice di lavoro e potrebbero essere reputate tali da non

consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto lavorativo.

12 E l’accettazione non può essere irragionevolmente rifiutata.

NOTE A SENTENZA202

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

Tra l’altro, non bisogna sottacere che la violazione commessa dall’atleta è fonte, sul piano

disciplinare, anche di responsabilità oggettiva per la Società (ad es. ammende, penalizzazioni,

retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, ecc.) la quale,

dunque, potrebbe patire gravissimi danni sportivi, patrimoniali, ecc. Ragion per cui non può

escludersi che la grave e dolosa inosservanza degli obblighi analizzati nella presente nota, potrebbe

altresì esporre il calciatore, oltre che alla risoluzione del rapporto lavorativo, anche al risarcimento

dei danni derivanti dalle gravissime condotte assunte (si pensi, ad esempio, al caso Chelsea/Mutu13).

6 . Conclusioni.

Da quanto illustrato emerge dunque la necessità che i principali protagonisti del gioco

prestino la massima attenzione alle proprie condotte non solo dentro ma anche (e soprattutto) fuori

dal campo.

L’inosservanza dei più importanti doveri di lealtà e correttezza gravanti sugli stessi, può

esporli a pesanti conseguenze sia sul piano disciplinare che dal punto di vista lavorativo e

patrimoniale.

In caso di violazioni plurime delle norme analizzate, anche alla luce del recente

inasprimento delle pene, l’atleta condannato rischia di compromettere seriamente il prosieguo della

sua carriera sportiva. In proposito, è auspicabile che le modifiche volute dalla FIGC la scorsa estate

costituiscano un valido deterrente per il futuro visto che, allo stato attuale, nonostante quanto

successo ed in pendenza dei ricorsi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, è stato aperto

un ulteriore filone d’inchiesta che porterà presumibilmente a nuovi deferimenti nelle prossime

settimane.

Aldilà dell’entità della pena, però, occorre soprattutto che nella comunità calcistica si

consolidi sempre più la consapevolezza che crimini così gravi non possono restare nascosti e che,

una volta scoperti ed accertati, questi vengano severamente puniti poiché rappresentano offese

gravissime ai più i,portanti valori dello sport.

In questo senso, l’accento posto sull’obbligo di denuncia esprime chiaramente il legittimo

desiderio dell’ordinamento calcistico di riuscire a trovare al proprio interno delle pronte reazioni

agli illeciti, confidando nel fatto che, oltre alla magistratura penale che dispone di mezzi d’indagine

13 Cfr. CAS/TAS 2008/A/1644, Adrian Mutu/Chelsea Football Club Limited, reperibile in http://www.tas-cas.org/d2wfiles/document/3459/5048/0/Award20164420FINAL.pdf.

NOTE A SENTENZA203

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Calcio scommesse ed illeciti sportivi...

comunque irrinunciabili per la giustizia sportiva, siano sempre più la denuncia ed il senso etico dei

propri tesserati a far emergere eventuali situazioni patologiche.

Per quanto riguarda i calciatori, spesso corteggiati da un sottobosco di personaggi che

cercano di lucrare illecitamente dal calcio più ricco, basterebbe forse ricordarsi di recuperare e dare

spazio unicamente a quello spirito che, da bambini, ha spinto ognuno di loro a percorrere fino in

fondo un sogno col solo fine di correre su un campo di calcio e di fare, di questo sogno, il proprio

lavoro quotidiano.

(*) Avvocato ed esperto di diritto sportivo.

NOTE A SENTENZA204

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PARTE TERZASAGGI

SOMMARIO:

MARIO ALESSI, La rescissione del contratto del calciatore professionista. pag.206

205

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La rescissione del contratto...

LA RESCISSIONE DEL CONTRATTO DEL CALCIATORE PROFESSIONISTA

di Mario Alessi (*)

Sommario:

1. Il rapporto di lavoro del calciatore nell’ordinamento italiano –

2. La stabilità contrattuale e l’articolo 17 del Regolamento FIFA –

3. Le clausole di rescissione spagnole – 4. Conclusioni

1. Il rapporto di lavoro del calciatore nell’ordinamento italiano.

A livello legislativo, il rapporto di lavoro del calciatore professionista trova la sua specifica

disciplina nella legge 23 marzo 1981, n. 911, così come aggiornata dalla legge 586 del 18 novembre

1996, nonché, sussidiariamente, in tutte le altre norme dettate per il lavoro subordinato in generale,

laddove non incompatibili o espressamente escluse.

Alla legge 91 del 1981, punto di riferimento per tutte le discipline sportive che prevedono un

settore d’attività regolamentato in forma professionistica, va riconosciuto il merito, oltre

dell’importante abolizione del vincolo sportivo2, di aver inquadrato il rapporto tra società e

calciatore come contratto di lavoro subordinato.

Nell’ambito dell’ordinamento statale, si evidenziano limiti posti alla libera rescissione da

parte del datore di lavoro e si riconoscono idonei strumenti al lavoratore illegittimamente

licenziato3.

Tale disciplina, predisposta dal legislatore italiano contro i licenziamenti illegittimi, non è

applicabile, però, al lavoro sportivo.

1* Dottore in Giurisprudenza. E-mail: [email protected]. Legge n. 91 del 23 marzo 1981, “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, aggiornata e modificata dalla

legge 18 novembre 1996, n. 586.2 Il vincolo sportivo consiste in un legale indissolubile, a tempo indeterminato e/o variamente determinato, fra un atleta e la società di appartenenza con la facoltà di scioglimento del rapporto concessa soltanto a quest’ultima. Secondo parte della dottrina, il vincolo sportivo, ormai abolito soltanto per i professionisti con legge n. 91 del 23 marzo del 1981, integra una violazione tanto del limite al patto di non concorrenza di cui all’art. 2125, primo comma del codice civile, tanto della libertà di associazione, che comprende anche il diritto di dissociazione tutelato dall’articolo 18 della Costituzione, dell’articolo 11 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti e delle Libertà fondamentali nonché dell’articolo 22 del Patto Internazionale sui Diritti civili e politici. 3 Cfr. legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) come modificato ed ampliato dalla legge n. 108 del 1990.

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La rescissione del contratto...

L’articolo 4 della legge n. 91 del 23 marzo 1981, infatti, esclude espressamente l’applicabilità

al rapporto di lavoro sportivo tanto dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come degli artt. 1, 2, 3,

5, 6, 7 e 8 della legge n. 640 del 1966, nonché delle norme di cui alla legge n. 230 del 18 aprile

1962.

L’ordinamento giuridico statale permette, nelle ipotesi di contratto a tempo determinato, la

risoluzione consensuale prima della scadenza naturale del termine ovvero il recesso unilaterale in

caso sussista giusta causa o una circostanza che renda impossibile per una delle parti contrattuali la

prosecuzione negli impegni assunti originariamente.

Non essendo realizzabile una tipizzazione di tutte le ipotesi idonee ad integrarne la

fattispecie, la ricorrenza di una giusta causa di recesso deve essere accertata caso per caso. Ad

esempio, come prassi, nell’ambito degli sport collettivi e di squadra, si suppone che l’esclusione

reiterata dalla rosa di prima squadra di un determinato calciatore costituisca ormai una giusta causa

di recesso, nonché potenziale violazione anche del diritto al lavoro di cui all’art. 4 della

Costituzione, così come, secondo l’accordo collettivo FIGC-AIC-LNPA del 5 settembre 2011 per i

calciatori professionisti di serie A, la morosità della società oltre determinati limiti temporali,

nonché la violazione degli obblighi contrattuali originariamente assunti, ex artt. 11, 12 e 13.

Il lodo pronunciato dal Collegio Arbitrale in data 23 dicembre 2009 ricopre un ruolo

importante nel mondo della giurisprudenza sportiva, soprattutto perché evidenzia, per la prima volta

nel calcio, il fenomeno del “mobbing sportivo”.

La vicenda coinvolge, da un lato, la S. S. Lazio e, dall’altro, il calciatore della stessa Goran

Pandev. Il Collegio arbitrale riconosce le ragioni del calciatore Goran Pandev, il quale, denunciando

una violazione dell’art. 7 dell’Accordo collettivo da parte dalla Società, ha chiesto ed ottenuto la

risoluzione del contratto, ex art. 12 dell’accordo collettivo, oltre ad un indennizzo di 160.000,00

euro.

L’art. 7 riconosce, infatti, il diritto del calciatore a partecipare agli allenamenti e alla

preparazione precampionato con la prima squadra. Si tratta di un diritto di grande importanza inteso

come partecipazione del calciatore alle competizioni sportive in cui la società di appartenenza è

coinvolta.

La rilevanza di tale diritto si riflette nella possibilità per il calciatore, in caso di violazione

dello stesso, ex art. 12 dell’accordo collettivo4, di diffidare per iscritto la Società, con possibilità di

4 Cfr. Accordo collettivo tra FIGC-AIC-LNP del 5 settembre 2011, articolo 12:12.1. Il Calciatore ha diritto di ottenere, con ricorso al CA, il risarcimento del danno e/o la risoluzione del contratto quando la Società abbia violato gli obblighi contrattuali cui è tenuta nei suoi confronti.

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La rescissione del contratto...

adire il Collegio Arbitrale qualora la stessa non adempia nel termine perentorio di 3 giorni dalla

ricezione della diffida, per la reintegrazione nella rosa ovvero per la risoluzione del contratto (fermo

restando, in entrambi i casi, il diritto a favore del calciatore al risarcimento del danno nella misura

non inferiore al 20% della parte fissa della retribuzione annua lorda).

A distanza di un mese, il 27 gennaio del 2010 il Collegio Arbitrale è tornato a pronunciarsi

su un’altra controversia sorta tra la S. S. Lazio e il calciatore della stessa Cristian Daniel Ledesma.

In quest’ultima occasione, nonostante notevoli punti di contatto con il caso Pandev, la pronuncia del

Collegio è stata di segno negativo. Il provvedimento, infatti, ha dichiarato inammissibile la richiesta

di arbitrato5, avanzata dallo stesso calciatore ai sensi dell’art. 12 dell’Accordo collettivo.

2. La stabilità contrattuale e l’articolo 17 del Regolamento FIFA.

Il Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori prevede che il

contratto stipulato tra un Professionista ed una Società possa terminare soltanto alla sua scadenza

naturale o per mutuo accordo tra le parti6. La ratio del regolamento parte dal principio

imprescindibile pacta sunt servanda, ribadito in maniera decisa dall’articolo 16 dello stesso

Regolamento, secondo il quale un contratto non può essere risolto unilateralmente nel corso di una

stagione.

12.2. Nell’ipotesi di violazione della previsione di cui sub 7.1., il Calciatore può diffidare per iscritto la Società, invitandola ad adempiere. Qualora la Società non adempia spontaneamente entro il termine perentorio di giorni 3 (tre) dalla ricezione della diffida, il Calciatore può adire il CA per ottenere a sua scelta la reintegrazione ovvero la risoluzione del Contratto. In entrambi i casi il Calciatore ha altresì diritto al risarcimento del danno in misura non inferiore al 20% (ventipercento) della parte fissa della retribuzione annua lorda.

12.3. La richiesta di reintegrazione può essere proposta dal Calciatore anche nel procedimento promosso dalla Società ex 11.1. 12.4. Se, dopo la pronuncia del CA di reintegrazione del Calciatore, la Società non provvede entro il termine di giorni 5 (cinque) dalla ricezione della comunicazione del dispositivo del lodo, il Calciatore ha diritto di ottenere dal CA la risoluzione del Contratto ed il risarcimento del danno, da determinarsi nella misura della retribuzione contrattuale dovuta fino al termine della stagione sportiva. 12.5. Il CA, se ravvisa ipotesi di infrazioni di carattere disciplinare, nel caso previsto nel presente art. 12 e in ogni altro procedimento di sua competenza, provvede a rimettere gli atti avanti alla Procura Federale per eventuali provvedimenti di competenza.

12.6. In ogni ipotesi in cui il Calciatore sia escluso, anche in via preventiva, dalla preparazione e/o dagli allenamenti con la prima squadra, resta comunque fermo l’obbligo della Società di fornire al Calciatore attrezzature idonee alla preparazione atletica e mettere a sua disposizione un ambiente consono alla sua dignità professionale ai sensi dell'art. 7.1., salva espressa rinuncia scritta del Calciatore. 12.7. La risoluzione del Contratto determina la risoluzione delle Altre Scritture. Il CA determina inoltre, in applicazione dei principi

generali del diritto civile, gli effetti della risoluzione sulle intese di cui sopra sub art. 4.4. 5 Il calciatore Ledesma, come previsto dall’Accordo, ha diffidato la Lazio per violazione dell’articolo 7 dell’Accordo collettivo. Entro i tre giorni previsti dall’articolo 12, la Società ha spontaneamente adempiuto agli obblighi ex articolo 7, reintegrando in rosa il calciatore e permettendogli di allenarsi con il resto della squadra (adempimento che non era avvenuto nel precedente caso del calciatore Pandev). Proprio tale spontaneo adempimento da parte della Lazio ha evitato una decisione favorevole per il calciatore, come nel caso Pandev.6 cfr. Regolamento Fifa sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori del 2010, articolo 13:

Il contratto fra un Professionista ed una Società può terminare solo alla sua scadenza o per mutuo accordo tra le parti.

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La rescissione del contratto...

Ciò nonostante, è possibile recedere dal contratto per giusta causa, ex articolo 147, e giusta

causa sportiva8, ex articolo 159.

Al contrario, laddove venga accertata la mancanza di giusta causa, il recesso è illegittimo e

implica, insieme all’irrogazione di una sanzione sportiva, l’obbligo del risarcimento del danno.

Inquadrato nell’ottica del pacta sunt servanda, si ritiene che l’articolo 1710 del Regolamento

FIFA consideri la risoluzione del contratto senza giusta causa come un’ipotesi di inadempimento,

dalla quale derivano conseguenze economiche e disciplinari.

Tale inadempimento determina effetti a seconda che la risoluzione avvenga all’interno o

meno del periodo protetto, ossia un periodo di tre stagioni intere o tre anni (a secondo di quello che

comincia per primo) che segue l’entrata in vigore di un contratto se questo è stato stipulato prima

del ventottesimo compleanno del calciatore, ovvero per un periodo di due stagioni o due anni che

segue l’entrata in vigore di un contratto se questo è stato stipulato dopo il ventottesimo compleanno.

7 cfr. Regolamento Fifa sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori del 2010, articolo 14:Entrambi le parti possono risolvere un contratto senza incorrere in conseguenze di sorta (pagamento di un’indennità o irrogazione di

sanzioni sportive) se sussiste una giusta causa.8 Dall’entrata in vigore del Regolamento questa norma non è mai stata invocata da nessun calciatore. 9 cfr. Regolamento Fifa sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori del 2010, articolo 15:

Un professionista affermato che abbia disputato, nel corso di una stagione agonistica, meno del 10% delle gare ufficiali alle quali partecipava la sua società, può risolvere il suo contratto prima della scadenza naturale del contratto per giusta causa sportiva. Nella valutazione di tali casi, verrà tenuta in considerazione ogni circostanza specifica concernente il calciatore. L’esistenza della giusta causa sportiva dovrà essere accertata caso per caso. Non saranno irrogate sanzioni sportive anche se può essere richiesta un’indennità. Il professionista può porre fine al suo contratto per giusta causa sportiva solo nei 15 giorni successivi all’ultima Gara Ufficiale della stagione disputata per la Società per la quale è tesserato.10 Cfr. Regolamento Fifa sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori del 2010, articolo 17:

Nel caso di risoluzione di un contratto senza giusta causa trovano applicazione le disposizioni riportate di seguito: 1. In tutti i casi, la parte inadempiente è tenuta a corrispondere un’indennità. Fatte salve le disposizioni di cui all’Art. 20 e all’allegato 4 in materia di indennità di formazione e salvo diversa disposizione contenuta nel contratto, l’indennità per la risoluzione del contratto deve essere calcolata tenendo conto delle leggi nazionali vigenti, della specificità della pratica sportiva e di tutti i criteri oggettivi del caso, tra cui: la remunerazione e gli altri benefici dovuti al giocatore ai sensi del contratto in vigore e/o del nuovo contratto, la durata residua del contratto in vigore fino ad un massimo di 5 anni, gli eventuali esborsi e oneri versati o sostenuti dalla società di provenienza (ammortizzati nel corso della durata del contratto) e se la risoluzione avviene durante un periodo protetto.

2. L’indennità non può essere ceduta a terzi. Nel caso in cui un professionista debba corrispondere l’indennità, egli ne risponderà in solido con la nuova società. L’ammontare dell’indennità può essere prevista nel contratto o stabilita fra le parti.

3. Oltre all’obbligo di corrispondere un’indennità, è prevista l’applicazione di sanzioni sportive a carico di qualsiasi calciatore che rescinda il contratto durante il periodo protetto. Questa sanzione consiste nel divieto di partecipare a incontri ufficiali per quattro mesi. In presenza di aggravanti, tale divieto sarà esteso a sei mesi. In ogni caso, tali sanzioni sportive decorreranno dall’inizio della stagione successiva presso la nuova società. Il recesso unilaterale senza giusta causa o giusta causa sportiva successivamente al periodo protetto non comporterà l’imposizione di sanzioni sportive. Misure disciplinari possono tuttavia essere imposte al di fuori del periodo protetto per mancata comunicazione di recesso entro 15 giorni dall’ultima partita ufficiale della stagione (inclusa la coppa nazionale) disputata dalla società presso la quale il calciatore è tesserato. Il periodo protetto inizia nuovamente quando, in sede di rinnovo del contratto, la durata del contratto precedente viene prorogata. 4. Oltre all’obbligo di corrispondere un’indennità, è prevista la possibilità di imporre delle sanzioni sportive nei confronti di qualsiasi società che commetta violazione contrattuale o che agisca in maniera da indurre alla violazione contrattuale durante il periodo protetto. Salvo dimostrazione del contrario, si ritiene che una società che tesseri un professionista che abbia rescisso il proprio contratto senza giusta causa abbia indotto tale professionista a commettere la violazione contrattuale. Alla società sarà imposto il divieto di tesserare nuovi calciatori, sia a livello nazionale che internazionale, per una durata pari a due periodi di tesseramento.

5. Qualsiasi persona soggetta allo Statuto e ai Regolamenti della FIFA (dirigenti di società, agenti di calciatori, calciatori, ecc.) che agisca in maniera da indurre alla violazione di un contratto fra un professionista e una società per facilitare il trasferimento sarà punita con le sanzioni del caso.

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La rescissione del contratto...

In entrambi i casi, il calciatore è tenuto a pagare un’indennità.

La somma di quest’ultima, a meno che un’espressa patto tra le parti fissi già l’importo, è

calcolata, ai sensi dell’articolo 17, nel rispetto delle leggi nazionali, della specificità dello sport e di

altri criteri oggettivi del caso, come la remunerazione ed altri benefici dovuti al calciatore o la durata

del tempo rimanente nel contratto risolto.

Nel lodo Webster11, ad esempio, la DRC12, competente in materia, prese in considerazione

diversi criteri tra quelli menzionati dall’articolo 17. Tenendo conto tanto del valore residuo del

contratto, delle condizioni economiche previste nel contratto tra Webster e il Wigan, come del fatto

che il trasferimento fosse avvenuto fuori dal periodo protetto, la DRC stabilì che un giocatore non

può, in alcun modo, comprare il suo contratto di lavoro pagando alla propria società solamente un

importo pari al valore del residuo contratto13.

Oltre all’indennità, qualora la risoluzione avvenga durante il periodo protetto, la parte

inadempiente può essere soggetta a sanzioni sportive che possono consistere per il calciatore nel

divieto di giocare partite ufficiali per quattro mesi, o sei mesi in circostanze aggravanti, ovvero per

la società nel divieto di tesserare nuovi calciatori per un due periodi di tesseramento.

11 Il caso Webster sorge il 26 maggio 2006 quando il calciatore in questione, legato alla società scozzese dell’Hearth of Midlothian da un contratto con scadenza nel luglio 2007, dopo un mancato accordo su un eventuale prolungamento del contratto, le comunicava la volontà di recedere senza giusta causa. In seguito, il 9 agosto 2006, Webster siglava un contratto con il Wigan della durata di tre anni. Nel novembre successivo, l’Hearth of Midlothian conveniva sia Webster che il Wigan dinanzi la DRC della FIFA chiedendo che il primo fosse condannato al pagamento dell’indennità per il recesso dal contratto (indennità da estendersi anche Wigan in quanto solidalmente responsabile per aver indotto il calciatore al recesso del contratto) e chiedendo come risarcimento la somma 5.037.311 sterline. La DRC accoglieva parzialmente l’istanza degli scozzesi, condannando Webster ed il Wigan al pagamento di 635.000 sterline oltre all’irrogazione di sanzioni sportive nei confronti del calciatore. Successivamente, il TAS, chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato dalle parti, quantificò in 150.000,00 sterline la somma che, a titolo di indennità per la risoluzione unilaterale senza giusta causa del contratto, erano obbligati a pagare solidalmente Webster e il Wigan. 12 Dispute Resolutions chamber della FIFA.13 Lodo del 30 gennaio 2008, CAS 2007/A/1298/1299/1230, Wigan Athletic FC/Hearth of Midlothian/Webster.

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La rescissione del contratto...

Nel lodo Mexes14 del 5 dicembre 2005, ad esempio, il TAS sanzionò la società A. S. Roma,

oltre al pagamento di una somma come indennizzo società francese AJ Auxerre, con l’interdizione al

tesseramento di nuovi giocatori per una sessione di mercato15.

3. Le clausole di rescissione spagnole.

Le cronache sportive degli ultimi anni testimoniano l’inserimento nei contratti d’ingaggio di

clausole che consentono all’atleta di recedere dal contratto in qualsiasi momento, dietro il

pagamento di una somma prestabilita. Le cosiddette clausole di rescissione possono definirsi come

quel patto, stabilito tra uno sportivo professionista e un club o ente sportivo, in virtù del quale si

quantifica la somma che riceverà, come indennizzo, il club o l’ente sportivo nel caso in cui la

relazione lavorativa si estingua per volontà del professionista.

La dottrina maggioritaria considera le clausole di rescissione come clausole penali, ex art.

1152 del Código Civil16, e le accosta ai patti di permanenza dei contratti lavorativi17; ciò comporta 14 Lodo del 5 dicembre 2005, CAS 2005/A/902, Philippe Mexes & AS Roma/AJ Auxerre. Nel dicembre del 2002, la società francese AJ Auxerre e il calciatore Mexes prolungarono il precedente contratto e inserirono una clausola in virtù della quale convenivano che l’intero rapporto (inteso complessivamente ovvero a partire dal 1 luglio 2000, decorrenza del primo contratto) obbedisse ai nuovi Regolamenti FIFA. Pertanto, secondo tale clausola, il periodo protetto sarebbe scaduto il 30 giugno 2003, ossia tre anni a partire dal luglio 2000 e non dal dicembre 2002, data della firma del prolungamento del contratto. Dopo una battaglia legale con la società francese, il contratto venne omologato nell’agosto 2003 e il calciatore, con il placet della Lega calcio francese, riuscì ad ottenere l’inserimento di questa clausola sul contratto. Alla fine della stagione 2003/2004, l’allora ventitreenne calciatore Mexes decise di lasciare la società AJ Auxerre per firmare con la società italiana A. S. Roma un contratto di quattro anni. In data 16 giugno 2004, l’allora direttore sportiva dell’A. S. Roma depositò il contratto del giocatore presso la Lega calcio italiana pur non avendo trovato un accordo economico con la società francese. L’1 settembre 2004, la DRC squalificò il calciatore Mexes per un mese e mezzo, a partire dal 12 settembre, data d’inizio del campionato italiano, per rottura unilaterale del contratto senza giusta causa. Mentre procedeva il procedimento riguardante eventuali responsabilità dirette della società sulla rottura del contratto, il calciatore ricorse al TAS che, il 24 gennaio 2005, confermò la squalifica di un mese e mezzo inflitta dalla FIFA. Successivamente, il 10 giugno 2005, la DRC fissò in 8 milioni di euro la somma che l’A. S. Roma doveva versare all’AJ Auxerre come indennizzo per il trasferimento di Mexes, oltre all’interdizione al tesseramento di nuovi giocatori per due sessioni di mercato, per aver tenuto un comportamento scorretto e aver indotto dolosamente il calciatore a recedere dal precedente contratto. Il 5 dicembre del 2005, dopo ricorso presentato dalla società italiano avverso la decisione della DRC, il TAS condannò definitivamente l’A. S. Roma al blocco dei trasferimenti in entrata per una sessione di mercato e al pagamento di 7 milioni di euro all’AJ Auxerre a titolo di indennizzo.15 L’interdizione al tesseramento di nuovi giocatori venne limitata ad una sola sessione in quanto l’A. S. Roma aveva cominciato a scontare la pena inflitta dalla FIFA, tra l’1 luglio e l’8 agosto 2005, prima che il TAS sospendesse provvisoriamente il provvedimento.16 Cfr. Código Civil español art. 1152:

En las obligaciones con cláusula penal, la pena sustituirá a la indemnización de daños y al abono de intereses en caso de falta de cumplimiento, si otra cosa no se hubiere pactado.Sólo podrá hacerse efectiva la pena cuando ésta fuere exigible conforme a las disposiciones del presente Código.17 Cfr. Ley n. 8 del 10 marzo 1980, Estatuto de los Trabajadores, artículo 21 , “Pacto de no concurrencia y de permanencia en la empresa”:1. No podrá efectuarse la prestación laboral de un trabajador para diversos empresarios cuando se estime concurrencia desleal o cuando se pacte la plena dedicación mediante compensación económica expresa, en los términos que al efecto se convengan.2. El pacto de no competencia para después de extinguido el contrato de trabajo, que no podrá tener una duración superior a dos años para los técnicos y de seis meses para los demás trabajadores, solo será válido si concurren los requisitos siguientes:que el empresario tenga un efectivo interés industrial o comercial en ello, yque se satisfaga al trabajador una compensación económica adecuada.3. En el supuesto de compensación económica por la plena dedicación, el trabajador podrá rescindir el acuerdo y recuperar su libertad de trabajo en otro empleo, comunicándolo por escrito al empresario con un preaviso de treinta días, perdiéndose en este caso la compensación económica u otros derechos vinculados a la plena dedicación.

4. Cuando el trabajador haya recibido una especialización profesional con cargo al empresario para poner en marcha proyectos determinados o realizar trabajo específico, podrá pactarse entre ambos la permanencia en dicha empresa durante cierto tiempo. El

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La rescissione del contratto...

che soltanto i Tribunali possono modificare la somma pattuita quando l’obbligazione sia stata

compiuta dal debitore solo in parte o irregolarmente. Pertanto, quando una clausola viene dichiarata

nulla, il resto del contratto rimane in vigore e il “vuoto creato”, cioè l’importo della clausola di

rescissione, viene regolato secondo precetti giuridici adeguati, ex art. 9 del Estatuto de los

Trabajadores18.

Un’altra corrente dottrinaria, avallata dalle sentenze del Tribunale superiore di giustizia della

Galizia19 e della Catalogna20, riconoscendo alle clausole di rescissione una natura strettamente

contrattuale, le riconduce alle clausole convenzionali, ex art. 1255 del Codice Civile21, e le

attribuisce carattere obbligatorio eccetto i casi di manifesto abuso di diritto.

Nell’ordinamento giuridico spagnolo, la base normativa delle clausole rescissorie si rinviene

nell’articolo 16 del Real Decreto 1006 del 1985, il quale prevede la possibilità per lo sportivo di

recedere unilateralmente dal contratto di lavoro, in qualsiasi momento, dietro pagamento di un

indennizzo. In assenza di un accordo delle parti, l’importo di tale indennizzo sarà determinato dal

giudice del lavoro secondo una pluralità di criteri. La ratio della norma va ricercata nella volontà di

conciliare la libertà contrattuale dello sportivo e gli interessi economici della società, riconoscendo

al calciatore il diritto alla risoluzione anticipata del contratto e al club, eventualmente privato del

professionista, il diritto ad ottenere un indennizzo per il pregiudizio subito.

Tale disciplina, però, in più di un’occasione ha evidenziato effetti alterati dovuti

principalmente a clausole spesso e volentieri manifestamente sproporzionate. Così o le clausole

finivano per essere talmente elevate che, più che un indennizzo, risultavano finalizzate a dissuadere

le società concorrenti ad assicurarsi le prestazioni sportive del calciatore o a ottenere somme molto

elevate nel caso del trasferimento, oppure, come nei casi di calciatori provenienti dai settori

giovanili, talmente esigue da non riflettere concretamente il reale valore delle prestazioni sportive

del calciatore.

acuerdo no será de duración superior a dos años y se formalizará siempre por escrito. Si el trabajador abandona el trabajo antes del plazo, el empresario tendrá derecho a una indemnización de daños y perjuicios.18 Cfr. Estatuto de los Trabajadores, artículo 9, validez del contrato:1. Si resultase nula sólo una parte del contrato de trabajo, éste permanecerá válido en lo restante, y se entenderá completado con los

preceptos jurídicos adecuados conforme a lo dispuesto en el número uno del artículo tercero de esta Ley.Si el trabajador tuviera asignadas condiciones o retribuciones especiales en virtud de contraprestaciones establecidas en la parte no

válida del contrato, la jurisdicción competente que a instancia de parte declare la nulidad hará el debido pronunciamiento sobre la subsistencia o supresión en todo o en parte de dichas condiciones o retribuciones.

2. En caso de que el contrato resultase nulo, el trabajador podrá exigir, por el trabajo qua ya huviese prestado, la remuneración consiguiente a un contrato válido.19 Tribunal Superior de Galicia, sentencia 139/00. 20 Tribunal Superior de Cataluña, sentencia 323/02.21 Cfr. Código Civil español, art. 1255: Los contratantes pueden establecer los pactos, cláusulas y condiciones que tengan por conveniente, siempre que no sean contrarios a las leyes, la moral, ni al orden público.

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Quest’ultima ipotesi, in concreto, terminava per permettere la rottura unilaterale del contratto

con conseguente pregiudizio per le società che avevano formato l’atleta22, dal momento che,

venendo stabilite ab origine del contratto, non prevedevano il successivo ed eventuale processo di

miglioramento dello sportivo.

Al riguardo, merita molta attenzione la sentenza del Tribunal Supremo del 12 maggio del

200823, che respinse il ricorso in Cassazione para la unificación de la doctrina interposto dal

giocatore Iban Zubiaurre, la Real Sociedad SAD e l’Athletic Club di Bilbao24.

Tanto la sentenza di istanza come quella di suplicación, che vennero confermate dal Tribunal

Supremo, dichiararono la clausola abusiva in quanto:

- la somma stabilita era dichiaratamente eccessiva poiché, al momento della sottoscrizione, il

calciatore aveva soltanto 22 anni e ricopriva un ruolo marginale nella formazione;

il fatto che la stessa clausola rescissoria fosse stata fissata per tutti i giocatori della “seconda

squadra” indicava come, in realtà, non vi fosse stato un accordo tra le parti quanto, piuttosto,

un’imposizione da parte del club;

- il non aver inserito nel contratto una clausola concernente il caso nel quale fosse stato il club a

rescindere unilateralmente dalla prestazioni, secondo quanto previsto invece dall’art. 15, primo

comma, del Real Decreto n. 1006 del 1985, presupponeva una chiara violazione del principio di

equivalenza e uguaglianza tra le parti.

Il Tribunal Supremo, che quantificò la somma della clausola rescissoria in € 5.000.000,00

contro i 30.000.000,00 stabiliti nel contratto, prese come punti di riferimento tanto la retribuzione

del professionista (in quanto c’era una netta sproporzione tra somma della clausola e salario del

giocatore), il costo del lavoratore (l’importo della clausola non teneva conto del fatto che il

calciatore, proveniendo dalle giovanili, riduceva il costo di formazione per il club) così come la

situazione lavorativa di professionisti della stessa categoria e, per ultimo, il nome e prestigio del

club.

22 cfr. U. E. Muniz, Las denominadas cláusolas de rescisión del contrato de los deportistas profesionales, Dykinson Ed., Madrid 2005.23 Il ricorso riguardava la sentenza dettata dal Juez de lo Social n.1 de San Sebastián (128/06 del 9 marzo 2006) che riconosceva come abusiva la clausola di rescissione inserita nel contratto di lavoro tra il calciatore Ivan Zubiaurre e la Real Sociedad.24 Il giocatore Iban Zubiaurre (proveniente dal settore giovanile) e la Real Sociedad sottoscrissero, in data 1 luglio 2004, un contratto annuale con opzione per il club di prolungarlo fino al 30 giugno 2006. Nel contratto, venne anche inserita a favore del giocatore la possibilità di recedere unilateralmente la somma di € 30.050.605,22. In data 1 luglio 2005, mentre la Real Sociedad aveva esercitato il suo diritto di opzione, il giocatore si accordava con l’Atlhletic Club di Bilbao. Pochi giorni dopo, la Real Sociedad ricorse al Tribunal Superior de Justicia del País Vasco reclamando il pagamento della somma stabilita nella clausola di rescissione.

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La rescissione del contratto...

Questa sentenza riapre l’eterno dibattito circa la validità delle clausole di rescissione dei

professionisti giacché, nonostante altri Tribunali si fossero espressi al riguardo in altre circostanze

(caso Tellez), mai avevano modificato la cifra pattuita dalle parti nel contratto.

Pertanto, la sentenza apre un precedente in quanto stabilisce che una clausola di rescissione

diventa abusiva quando risulta talmente elevata da pregiudicarne l’effettiva applicazione.

Per questo motivo, esiste abuso di diritto quando la somma pattuita nella clausola sia tanto

elevata da frustrare la possibilità di promozione professionale ed economica dell’atleta perché, da un

lato, impedisce ad altri club di trattarne le prestazioni e, dall’altro, obbliga il professionista a

rimanere nel club di origine, convertendo la clausola in un vero e proprio diritto di retención

(pregiudicando, di conseguenza, anche l’articolo 35 della Costituzione spagnola che riconosce il

diritto costituzionale al lavoro, alla libera scelta della professione o incarico e alla promozione

attraverso il lavoro).

Partendo, quindi, dal carattere sussidiario dei criteri di determinazione dell’indennizzo, tanto

nell’ambito internazionale come in quello spagnolo, le clausole rescissorie pattuite tra un

professionista e un club godono, in linea di principio, di piena applicazione.

Dunque, in una eventuale disputa tra un club e un calciatore dinanzi un organo federativo o

arbitrale internazionale, in virtù di quanto stabilito dall’articolo 17 del Regolamento FIFA, questo

organo dovrà rispettare la somma pattuita come indennizzo dalle parti e, soltanto in caso di assenza

o di abuso di diritto, stabilire la somma ai sensi del Real Decreto 1006 del 1985.

4. Conclusioni.

Alla luce delle sentenze sopra analizzate e, non per ultimo, del lodo De Sanctis del 28

febbraio 201125, emerge come il calciatore si stia convertendo nella parte forte del rapporto

contrattuale. A partire dalla famosa sentenza Bosman, i calciatori hanno visto aumentare

notevolmente il loro potere contrattuale, tanto da trasformarsi, oggi giorno, nella parte che detta

regole e vincoli del contratto.

Se un tempo le condizioni del calciatore erano tali da richiedere un intervento del legislatore

nazionale, prima, e della FIFA, successivamente, oggi la situazione, almeno in mia opinione, esige

un nuovo intervento degli organi sportivi nazionali e internazionali.

25 Lodo del 28 febbraio 2011, CAS 2010/A/2145/2146/2147, Sevilla FC SAD/Morgan De Sanctis/Udinese S.p.a., nel quale il TAS obbliga il calciatore italiano De Sanctis e la società spagnola Sevilla FC al pagamento di € 2.250.055 in favore della società italiana Udinese S.p.a. ai sensi dell’articolo 17 del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori.

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La rescissione del contratto...

Deve segnalarsi, infatti, l’opportunità di una tutela effettiva e sostanziale anche delle società

sportive, sempre più relegate come parte debole del contratto e in balia delle condizioni poste dagli

atleti.

Di certo non aiuta la giurisprudenza sportiva tanto della DRC come del TAS che, in più di

un’occasione, hanno finito per alimentare l’incertezza intorno all’applicazione dell’articolo 17 del

Regolamento FIFA.

Un primo e significativo passo potrebbe essere un’applicazione uniforme, basata su criteri

chiari ed oggettivi, dell’indennità di risoluzione del contratto senza giusta causa posta in essere dal

calciatore, che parta dal residuo valore contrattuale ovvero dal reale valore di mercato del calciatore,

quale risultante da circostanze prestabilite a livello legislativo.

Ulteriore e fondamentale passo, prendendo a riferimento tanto l’articolo 13 come il 17 del

Regolamento FIFA e sull’onda dell’esempio spagnolo, potrebbe essere quello di inserire

obbligatoriamente in ogni contratto clausole di rescissione che fissino, ab origine, la somma

dell’indennizzo in caso di risoluzione del contratto ante tempus.

Al momento della stipula del contratto di lavoro sportivo, le parti dovrebbe accordarsi

sull’importo della clausola rescissoria, così da pervenire ad un accordo che soddisfi le esigenze di

entrambe: il professionista alla salvaguardia della propria libertà contrattuale e il club alla tutela dei

propri investimenti presenti e futuri.

Il tutto sempre partendo dal presupposto che le clausole di rescissione siano il risultato di un

libero accordo, privo di qualsiasi imposizione, e che rispettino il valore reale del calciatore.

Di pari passo, però, si deve riconoscere a ciascuna delle parti un diritto di tutela effettiva

dinanzi a qualsiasi organo nazionale e internazionale, non permettendo che la somma pattuita

volontariamente ab origine venga successivamente modificata in sede arbitrale, così da non

consentire ad una delle parti di venir meno ad obblighi precedentemente pattuiti.

(*) _ Praticante Avvocato

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